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1. CHE COS’È LA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO?


La Psicologia dello Sviluppo studia lo sviluppo psicologico dell’individuo nel corso della sua intera
esistenza.
Prima era conosciuta come Psicologia dell’Età Evolutiva, riferendosi a quei processi di evoluzione e
organizzazione di un soggetto, dalla sua nascita fino ai 25 anni di età. Questo variazione di denominazione
rispecchia l’enfasi oggi posta sul processo di cambiamento che avviene col crescere dell’età; cambiamenti che
possono essere sia di natura incrementale (evidenti nella prima fase della vita attraverso l’aumento delle capacità
cognitive, espressive ecc.), ma anche di natura decrementale (nella seconda parte della vita).
Inoltre, la psicologia dello sviluppo osserva i cambiamenti di interazione tra bambino e ambiente (famiglia,
insegnanti, coetanei…) e tra genitori e bambino (i genitori hanno un istinto comportamentale utile allo sviluppo
delle capacità cognitive ed emotive del bambino).
In particolare gli psicologi dello sviluppo, nella formulazione delle loro teorie, hanno 3 compiti:
1) Descrivere i cambiamenti entro una o più aree del comportamento, approfondendo i microcambiamenti, che
portano ad un cambiamento di tipo qualitativo (es: lo sviluppo del concetto piagetiano di costanza (o
permanenza) dell’oggetto ovvero la consapevolezza dell’esistenza di un oggetto, anche quando non si
può vederlo, udirlo o sentirlo al tatto);
2) Descrivere i cambiamenti nelle relazioni tra le diverse aree di comportamento (es: indagando se e quale
collegamento esista tra pensiero e linguaggio. Vygotskji postula che pensiero e linguaggio siano dapprima
indipendenti tra loro, per poi unirsi e consentire al bambino di pensare con le parole);
3) Spiegare il corso dello sviluppo di cui si è fatta la descrizione , ossia il passaggio da un punto ad un altro, da
un traguardo a quello successivo (es: una abilità A appare poco prima dello sviluppo di una abilità B:
possiamo ipotizzare che A contribuisca a sviluppare B o che A si trasformi in B, oppure possiamo anche
supporre che B, nonostante sia apparsa dopo, sostituisca A).
2. UTILITÀ E IMPORTANZA DELLE TEORIE NELLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO
Una teoria scientifica offre sempre un quadro di riferimento per i fatti osservabili.
In particolare, una teoria evolutiva mira a spiegare il processo mediante il quale avviene il cambiamento nel
tempo (lo sviluppo).
Una teoria è utile ad organizzare e a dare un significato ai fatti (es: il pianto del bambino secondo la teoria
dell’attaccamento e secondo le teorie comportamentiste).
Inoltre, una teoria promuove nuovi campi di studio, di ricerca, e talvolta anche di approccio e prospettiva (come
nel caso dell’etologia che ha suggerito agli psicologi dello sviluppo l’esistenza di comportamenti sociali innati
con funzione di adattamento della specie all’ambiente).
3. LE TAPPE DELLO SVILUPPO
INFANZIA
O FANCIULLEZZA PREADOLESCENZA ADOLESCENZA
PRIMA INFANZIA (CHILDHOOD) (pubertà 11-13) (13-20/25)
(0-2)
NEONATO (1 mese) PRIMA FANCIULLEZZA o
INFANTE SECONDA INFANZIA (2-6)
MEDIA FANCIULLEZZA o
TODDLER (ai primi passi)
TERZA INFANZIA (6-11)
4. LE FASI DELLO LO SVILUPPO PRENATALE
Non appena uno spermatozoo feconda l’ovulo nelle Tube di Falloppio, avviene il concepimento.
 Periodo germinale (da 0 a 2 settimane)
Il prodotto dell’unione tra spermatozoo maschile e ovocita femminile è lo zigote che, tra le 24 e 36 ore
successive alla fecondazione, si suddivide duplicandosi, divenendo dapprima morula e quindi blastocisti. In
quest’ultima si possono individuare: uno strato esterno (trofoblasto) e uno interno da cui si originerà
l’embrione. Nella parte esterna si sviluppano i villi che, protendendosi verso le pareti dell’utero, danno
origine alla placenta.
Talvolta può accadere che si vengano a sviluppare due blastocisti anziché una, da cui derivano i gemelli
monozigoti (anche detti identici). Hanno pertanto origine da una singola cellula uovo fecondata da uno
spermatozoo. Durante la moltiplicazione cellulare, l'embrione si separa in due embrioni assolutamente identici ed
ognuno di essi continua il proprio sviluppo. Questi gemelli possiedono lo stesso patrimonio genetico, lo stesso
sesso e si somigliano talmente che è difficile distinguerli.
I gemelli dizigoti (anche detti fraterni) derivano dalla fecondazione di due ovuli ad opera di due spermatozoi
diversi, e quindi geneticamente si somigliano come due fratelli non gemelli. Possono essere dello stesso sesso o
di sesso diverso.
 Periodo embrionale (da 2 a 8 settimane)
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In questa fase si formano e differenziano i tessuti, gli organi e le strutture del corpo. A seguito
dell’annidamento della blastocisti nell’utero materno, si vengono a distinguere:
 Ectoderma (che origina tessuto nervoso e epidermide)
 Endoderma (che origina sistema digestivo e respiratorio)
 Mesoderma (che origina muscoli, scheletro e sistema circolatorio)
Il periodo embrionale è quello nel quale si originano difetti congeniti (per anomalie genetiche o per cause
esterne, come una malattia della madre, l’ingestione di sostanze tossiche…).
 Periodo fetale (dai 3 mesi fino alla nascita)
L’organismo è differenziato in tutte le sue parti, ma deve ancora crescere e perfezionarsi.
In questo periodo il feto presenta già capacità di suzione e riflesso di prensione, inoltre si vengono a
delineare via via gli organi sessuali.
Allo scadere dei 6 mesi di gravidanza, abbiamo il superamento del limite minimo di sopravvivenza in caso di
nascita prematura (sistema respiratorio e sistema nervoso sono ormai perfezionati), e si attivano i meccanismi di
termoregolazione corporea. Attorno alla muscolatura del feto si viene a incrementare lo strato di grasso.
5. LO SVILUPPO DEL CERVELLO E DEL SISTEMA NERVOSO
Dall’ectoderma si genera il tubo neurale primitivo, dal quale poi si andranno a formare cervello e midollo. Lo
sviluppo del cervello inizia nel periodo embrionale e segue 3 fasi:
1) Proliferazione neuronale: produzione di migliaia di neuroni al minuto, fino al 6° mese circa;
2) Migrazione delle cellule neurali verso il cervello, fino al 6°mese circa;
3) Organizzazione: verso la 15° settimana i neuroni iniziano a collegarsi (connessioni tra assoni e dendriti)
attraverso le sinapsi (sinaptogenesi), processo che durerà per l’intera vita. Infatti, non abbiamo solo sinapsi
geneticamente programmate, ma anche sinapsi dipendenti dall’esperienza.
Durante il successivo sviluppo avremo:
 La mielinizzazione: è la maturazione delle fibre nervose e consiste nel rivestimento del cilindrasse (assone)
del neurone di una sostanza bianca, proteico-lipidica, che funge da guaina isolante. Ciò consente una
elevata capacità di conduzione nervosa. La mielinizzazione inizia nel tardo periodo fetale e prosegue fino ai
20 anni di età; essa avviene in tempi differenti e in differenti aree del cervello: ecco perché vi è sincronia
tra maturazione cerebrale e comparsa di determinate abilità.
 La potatura (pruning): lo sfoltimento dei collegamenti neuronali in eccesso o poco utilizzati, che rende
maggiormente efficaci e veloci i restanti. Le sinapsi geneticamente programmate debbono tuttavia ricevere
stimoli appropriati per la loro stabilizzazione, altrimenti vengono potate con perdita della funzione
corrispondente.
I cambiamenti che intervengono nel cervello grazie all’esperienza possono essere di due tipi:
 In attesa di esperienza: i sistemi neuronali per svilupparsi devono ricevere uno stimolo appropriato in una
data finestra temporale (denominata periodo critico o sensibile). In genere gli stimoli necessari sono
disponibili a tutti i membri della specie.
 Dipendenti dall’esperienza: ossia cambiamenti acquisiti nell’arco di tutta la vita per effetto
dell’esperienza (es: correre in bicicletta, imparare a suonare il pianoforte…)
 Le aree della corteccia prefrontale hanno uno sviluppo più prolungato nel tempo (fino alla prima età
adulta). Esse si connettono con altre aree corticali e subcorticali, formano la base di funzioni esecutive
(meglio sarebbe chiamarle direttive) ossia quelle funzioni che sovraintendono e dirigono i
comportamenti volontari finalizzati ad uno scopo.
6. NASCITA E NEONATO
Con la nascita prendono avvio, nel neonato, tutta una serie di processi fisici e psichici di adattamento
all’ambiente. In particolare avremo mutamenti che riguardano:
 La respirazione: il bambino deve ora respirare autonomamente, in seguito della recisione del cordone
ombelicale (che gli consentiva, attraverso la placenta, di ricevere l’ossigenazione necessaria);
 La nutrizione: anch’essa era garantita dalla placenta, ma ora nel bambino diventa necessario il
funzionamento dell’apparato digerente;
 Meccanismi di termoregolazione: il bambino è fin da subito esposto a temperature diverse rispetto a
quelle presenti nell’utero materno (questi ultimi richiedono un certo tempo per essere affinati).
Non ci sono ragioni scientifiche sufficienti che possano confermare quanto sostenuto dallo psicanalista Otto
Rank che nel 1924 pubblicò Il trauma della nascita e il suo significato psicanalitico. Egli aveva individuato
nell’esperienza traumatica irrisolta della nascita e nell’angoscia di separazione dalla madre, le radici dello
sviluppo psicopatologico.
È pur vero che il parto non è esente da rischi, quali l’ipossia o addirittura l’anossia, che danneggerebbero i tessuti
cerebrali; inoltre, se alla madre vengono somministrati dei farmaci durante il travaglio, queste sostanze vengono
assorbite anche dal feto.
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Negli anni ’70 in medico francese Leboyer propose la “nascita senza violenza”, una serie di condizioni che
permettessero al neonato una uscita senza traumi (sala parto silenziosa e in penombra, immersione in acqua per
diminuire la differenza termica tra utero e ambiente…).
7. LA SCALA DI APGAR
È una scala di valutazione, messa a punto dall’ostetrica statunitense Virginia Apgar, per osservare (al 1° minuto
e al 5° minuto) le condizioni fisiche di salute del bambino subito dopo la nascita. L’indice di Apgar consta di 5
parametri (o indici vitali), con punteggio che va da 0 a 2 per ciascun parametro.
I neonati che ottengono un punteggio complessivo da 7 a 10 vengono considerati normali, da 6 a 4 sono
considerati a rischio, mentre quelli con punteggio inferiore a 4 necessitano di intervento medico immediato.
PARAMETRI 0 punti 1 punto 2 punti
Colorito Cianotico o Estremità cianotiche e tronco Completamente roseo
pallido roseo
Attività cardiaca Assente Minore di 100 battiti al Maggiore di 100 battiti al
minuto minuto
Reattività alla Assenti Smorfia Pianto vivace e tosse
stimolazione
Tono muscolare Flaccido Debole Movimenti attivi

Attività respiratoria Assente Lenta e irregolare Vigorosa con pianto

8. GLI STATI NEUROCOMPORTAMENTALI DEL NEONATO


I principali stati neurocomportamentali riscontrabili in un neonato sono:
 Sonno profondo
 Sonnolenza
 Veglia inattiva
 Veglia attiva
 Agitazione (pianto)
1) Sonno: il neonato dorme un tempio doppio rispetto ad un adulto che nella prima settimana di vita può
arrivare fino a 16-20 ore al giorno. Tali ore sono distribuite in 7-8 periodi, intervallati da allattamento e
pulizia. Col passare delle settimane i singoli periodi durano di più, e attorno ai 6-7 mesi gran parte dei
bambini riesce a dormire l’intera notte. L’acquisizione del ritmo sonno-veglia è influenzato sia dal
comportamento specifico dei genitori, sia dalla cultura di appartenenza (auspicabile che i sonnellini diurni
avvengano in un luogo non del tutto oscurato e privo di rumori, per far acquisire al neonato la distinzione tra
sonno notturno e sonnellino).
Il sonno del bambino è caratterizzato da una percentuale superiore di sonno REM rispetto ad un adulto.
Bisogna ricordare che la fase REM è la fase in cui si sogna e le ipotesi sul perché i bambini sognino di più
sono:
- Necessità maggiore di rielaborare tutta la mole di stimoli ricevuti durante il giorno;
- Mantenimento in attività del cervello.
2) Pianto: viene innescato da cause quali fame, caldo, freddo, dolore, sonno ecc. e rappresenta un segnale che le
madri in genere sanno distinguere (es: il pianto per fame o per dolore).
Il pianto, assieme alle vocalizzazioni e alla lallazione, è un precursore del linguaggio perché consente la
produzione di suoni fra loro differenti.
 In psicologia vi sono due interessanti posizioni antitetiche rispetto al pianto del bambino:
 I comportamentisti vedono nella risposta consolatoria dell’adulto un rinforzo che farà aumentare
ulteriormente la quantità di pianto del bambino, per cui viene sostenuta la necessità di lasciarlo
piangere, affinché col tempo impari a diminuire la quantità di pianto;
 I teorici dell’attaccamento invece, postulano che il pianto ha una funzione adattiva (far avvicinare la
madre), pertanto i genitori consolano il bambino, e col passare del tempo questi piagnucolerà di
meno.
3) Veglia: permette al neonato di apprendere e di rapportarsi con l’ambiente
 Attiva (respiro irregolare, numerosi movimenti corporei)
 Inattiva (respiro regolare, pochi movimenti corporei, osservazione di oggetti)
La veglia inattiva è la condizione più favorevole all’apprendimento.
9. CAPACITÀ COMPORTAMENTALI DEL NEONATO
Con l’introduzione di nuove tecnologie nelle ricerche sui neonati è stato possibile osservare e raccogliere dati
che hanno ribaltato la visione che un tempo si aveva del bambino. Da inetto e passivo o con potenzialità solo
generiche, si è passati a concepire il neonato come un soggetto competente, ossia dotato di un repertorio innato
di capacità specializzate attraverso le quali interagirà in modo differenziato con i diversi aspetti dell’ambiente .
E sono:
 Capacità percettive con esse esplora l’ambiente e organizza le varie informazioni ottenute;
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 Modalità primitiva d’azione punto di partenza per le successive azioni volontarie;


 Capacità di apprendimento (vedi paragrafo 11, pag.5);
 Repertorio emotivo, costituisce una potente spinta all’azione nei confronti dell’ambiente fisico e sociale, e
consente agli infanti di stimolare attivamente gli adulti a interagire e prendersi cura di loro.
Oltre ciò, il bambino è dotato di una serie di schemi comportamentali innati che lo predispongono ad
interagire con l’ambiente, quali:
 Riflessi (vedi paragrafo 10, pag.4)
 Azioni congenitamente organizzate sono azioni spontanee che differiscono dai riflessi perché non sono
legate a stimoli, come per esempio la suzione, il pianto e il guardare.
 Il bambino può succhiare volontariamente per nutrirsi, ma anche per esplorare l’ambiente o confortarsi (il
bambino piange per mandare messaggi di fame, dolore, paura);
 Stereotipie ritmiche sono movimenti ripetuti ritmicamente (strofinarsi un piede contro l’altro, dondolarsi,
scalciare…) e rappresentano la modalità con la quale i bambini tengono in esercizio la muscolatura, i tendini
e i nervi. Alcune di queste attività saranno poi integrate in azioni volontarie, (es: lo scalciare verrà poi
integrato nel camminare). Va precisato che il perdurare nel tempo delle stereotipie ritmiche è indice di
patologia.
10. I RIFLESSI
Sono reazioni automatiche e stereotipate di risposta ad uno stimolo. La comparsa o scomparsa di determinati
riflessi neonatali in precise fasi dello sviluppo riveste un ruolo importante. In primo luogo, perché segnalano che
è in corso uno sviluppo normale, in secondo luogo perché rappresentano la base per i successivi schemi
comportamentali volontari. Si distinguono in:
o Riflessi permanenti che saranno presenti per tutta la vita (es: sbadiglio, starnuto)
o Riflessi arcaici o neonatali che svaniranno con lo sviluppo o verranno sostituiti da azioni volontarie. I
riflessi neonatali non è detto che funzionino in modo meccanico (es: se il bimbo è sazio non risponde con il
riflesso del rooting).
Esempi di riflessi neonatali:
ROOTING (6 mesi): se viene stimolata la guancia, il neonato ruota il volto verso quella direzione aprendo la
bocca e tentando la suzione (utile per la ricerca del capezzolo);
SUZIONE (4 mesi): tutto ciò che tocca la bocca dal neonato, viene immediatamente succhiato (prepara alla
suzione volontaria);
PRENSIONE (3-4 mesi): tutto ciò che tocca il palmo della mano (e dei piedi) del neonato viene stretto
(prepara alla prensione volontaria);
COLLO TONICO (4 mesi): se, a un neonato supino, viene fatta ruotare la testa da un lato, osserveremo che
gamba e braccio di quel lato vengono allungate, mentre quelle le lato opposto ripiegate (prepara a azioni
volontarie di indicazione e presa);
DI MORO (6 mesi): un rumore o uno stimolo improvviso fa sì che il neonato allarghi braccia e dita per
riavvicinarle poi al tronco (mantiene la vicinanza con la madre in caso di pericolo);
MARCIA AUTOMATICA (2 mesi): se un neonato viene sostenuto e fatto appoggiare i piedi a terra, egli
compie dei piccoli passi;
NUOTO (4-6 mesi): il neonato immerso nell’acqua trattiene il respiro e muove braccia e gambe.
11. L’APPRENDIMENTO
L’apprendimento è un processo psichico che consente una modificazione più o meno stabile delle strutture
mentali e del comportamento per effetto dell’esperienza, soprattutto se ripetuta nel tempo. Con questa
definizione si escludono tutte le modificazioni di breve durata dovute a condizioni temporanee, episodi isolati,
eventi occasionali, fatti traumatici, mentre il riferimento all’esperienza esclude tutte quelle modificazioni
determinate da fattori innati o dal processo biologico di maturazione.
Le forme più elementari di apprendimento sono le seguenti:
 Condizionamento Classico
 Condizionamento Operante
 Abituazione/ Disuabituazione
 Imitazione
Il condizionamento classico (Pavlov) è l’associazione di uno stimolo neutro ad uno significativo e si
risponde al primo stimolo come fosse il secondo.
Si è osservato che nei neonati la nuova associazione viene appresa soprattutto se rappresenta un qualche valore
adattivo, in particolare se legata alla nutrizione. Ad esempio si è strofinato la fronte (stimolo neutro) e subito
dopo si è somministrato ai neonati un liquido dolce (stimolo condizionato). Ne è conseguito che ad ogni
strofinamento della fronte il neonato rispondesse con la suzione.
Nel condizionamento operante (Skinner) invece, è possibile consolidare i comportamenti spontanei
attraverso il rinforzo. Per esempio ai neonati è stato possibile far apprendere di succhiare con maggior vigore,
se l’atto della suzione veniva rinforzato con la somministrazione di un liquido dolce nella bocca.
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L’abituazione (anche detta assuefazione) avviene in seguito alla ripetuta presentazione di uno stimolo che
fa diminuire gradualmente di intensità, durata o frequenza una risposa fisiologica o comportamentale.
Una volta che lo stimolo è divenuto familiare il bambino assuefatto, distoglie la propria attenzione da esso.
La disuabituazione prende forma quando uno stimolo nuovo viene presentato dopo uno stimolo
abituativo, con conseguente riaccendersi della risposta. In sostanza, la disuabituazione indica la capacità di
discriminare tra i due stimoli differenti, poiché il bambino si dimostra maggiormente interessato allo stimolo
nuovo rispetto a quello precedente.
L’imitazione consiste nella riproduzione di movimenti e comportamenti da un modello. Il neonato è capace
di imitare molto presto, cosa importantissima per l’acquisizione dei modi di fare e di essere, nonché per
l’acquisizione del linguaggio. Nell’apprendimento imitativo, sono implicati anche i neuroni specchio, che
traducono ciò che il neonato vede fare dagli altri in una rappresentazione motoria, come se stesse programmando
l’esecuzione di quel movimento.
 Attraverso il metodo della violazione dell’aspettativa, in cui i bambini reagiscono con sorpresa di fronte a
eventi impossibili o sorprendenti che violino le loro aspettative, è stato possibile indagare che gli infanti di
età inferiore ai 6 mesi di vita, hanno rappresentazione delle proprietà degli oggetti e delle regole che
governano il comportamento.
12. IL PRECIPIZIO VISIVO (ideato da Eleanor Gibson)
È stato ideato per comprendere se la percezione della profondità da parte dei bambini, che hanno iniziato a
gattonare o sono ai primi passi, sia innata o acquisita.
L’esperimento consisteva in una lastra di plexiglass posta sopra un telo a scacchi, che a sua volta copriva una
sorta di tavolo. A partire da un lato del tavolo, il telo quadrettato era posizionato a contatto col plexiglass, ma
successivamente il livello del telo veniva abbassato bruscamente di molto, creando l’impressione di una
discontinuità o precipizio. I bambini, richiamati dalla madre che si trovava all’estremità col dislivello maggiore,
gattonando giungevano in prossimità del precipizio senza rendersi conto dell’esistenza del piano di plexiglass e,
percependo il vuoto, si rifiutavano di proseguire.
Ulteriori ricerche condotte da J. Sorce hanno altresì dimostrato come l’espressione della madre potesse offrire
soluzione alla situazione ambigua in cui il bambino si trovava. Se la madre mostrava uno sguardo arrabbiato o
preoccupato la totalità dei bambini si arrestava, mentre di fronte ad uno sguardo sorridente e sereno il 74% dei
bambini attraversava il precipizio visivo.
13. LE CAPACITÀ PERCETTIVE ALLA NASCITA E NEL PRIMO ANNO DI VITA
Nel neonato sono presenti grandi capacità percettive e alcune di esse sono state riscontrate già nel periodo
prenatale. Le ricerche hanno dimostrato che le capacità percettive sono molto simili a quelle di un adulto, o
tuttalpiù si perfezionano entro il primo anno di vita.
Le tecniche di studio utilizzate in questo ambito sono:
- Tecniche psicofisiologiche, che rilevano le variazioni fisiologiche ad uno stimolo (battito cardiaco, o
frequenza respiratoria, livelli di cortisolo…);
- Tecniche comportamentali, che osservano il comportamento adottato dal neonato (movimento oculare,
rotazione del capo).
L’udito dei neonati ha una soglia minima di sensibilità più alta rispetto a quella degli adulti (è più sordo).
Tuttavia egli riesce a distinguere le voci, in particolare quella della madre, le note e cogliere i suoni nello spazio
(ovvero da dove provengono, volgendo lo sguardo in direzione).
Per quanto concerne il gusto e l’olfatto si è osservato che i neonati prediligono i gusti dolci rispetto agli altri
(amaro, aspro e salato), ed evitano odori penetranti. I neonati riconoscono il latte materno anche dall’odore e non
solo dal sapore.
Il senso del tatto oltre che precoce è davvero notevole, ben superiore rispetto a quello di un adulto. I neonati
sanno distinguere lievi differenze di spessore o di soffi d’aria sulla pelle.
La vista invece, è la capacità percettiva che si sviluppa più lentamente, questo perché l’apparato visivo non è
giunto ancora a maturazione. Infatti, nei neonati l’acuità visiva è ridotta (vedono oggetti vicini, ma non quelli
lontani), il processo accomodativo di messa a fuoco di oggetti posti a distanze differenti tra loro riscontra ancora
delle difficoltà, manca la visione binoculare (che consente di cogliere la tridimensionalità degli oggetti), e manca
la coordinazione muscolare oculare per seguire la traiettoria di oggetti veloci in movimento (come una palla
lanciata da destra verso sinistra).
Nonostante questi deficit iniziali, il neonato sa percepire i volti umani (prediligendo quello della madre),
possiede la costanza della forma e della dimensione (che gli permette di riconoscere un oggetto anche se questo è
in movimento), e ha la migliore visibilità a circa 25-30 cm (la distanza che intercorre tra il neonato e il volto
materno durante l’allattamento).
Dai 3 agli 8 mesi l’acuità visiva si approssima a quella di un adulto.
Viene definita coordinazione intermodale, la capacità di mettere in relazione informazioni provenienti da
organi di senso diversi. Presente fin dalla nascita, si affina via via entro il primo anno di vita. Un esperimento (i
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due succhiotti, uno liscio e l’altro con delle protuberanze, di Meltzoff e Borton, 1979) ha dimostrato che i
neonati riconoscono con lo sguardo, ciò che prima hanno esplorato solo col tatto, attraverso la bocca.
14. LO SVILUPPO MOTORIO (DALLA NASCITA AI 2 ANNI)
Mentre le capacità sensoriali dei neonati sono simili a quelle di un adulto o tali diventano entro il primo anno di
vita, lo sviluppo motorio procede con gradualità.
Lo sviluppo motorio segue una serie di progressioni (o gradienti di crescita):
 Progressione Cefalo-caudale, tendenza del controllo dei movimenti a procedere dall’alto verso il basso
(prima le braccia, poi le gambe);
 Progressione Prossimo-distale, tendenza del controllo dei movimenti a procedere dal centro del corpo
verso le estremità (prima la spalla, poi la coordinazione motoria delle dita della mano);
 Progressione Dall’indifferenziato allo specifico, tendenza dei movimenti larghi e grossolani a procedere
quelli fini e coordinati (per prendere l’oggetto, prima userà tutto il corpo, poi la mano).
Lo sviluppo motorio di un bambino, pur seguendo un ordine abbastanza stabile e preordinato, è frutto anche di
un ambiente sufficientemente stimolante, atto a garantire il raggiungimento di tutte le tappe del percorso.
15. JEAN PIAGET
Piaget nacque in Svizzera nel 1896, e fin da bambino fu un vero maestro nell’osservazione del mondo naturale.
Il suo esordio lo ebbe proprio nel campo delle scienze naturali laureandosi in zoologia. La sua formazione
pertanto, è di tipo scientifico e ciò gli consentì di imparare a osservare prima e a classificare poi. Si occupò in
seguito di filosofia e di epistemologia (ovvero la riflessione sui principi e i metodi impiegati nella conoscenza
scientifica).
Entrando nel campo della psicologia, Piaget volle che le sue conclusioni derivassero dai fatti. Nelle sue ricerche
infatti, egli poté applicare non solo le proprie indiscusse capacità di metodo, ma anche la comprensione
filosofica da lui studiata. Si rivolse, quindi, alla psicologia dell’età evolutiva, in particolare allo sviluppo
dell’intelligenza, elaborando la propria originalissima metodologia di ricerca (il metodo clinico con interviste
verbali fra sperimentatore e intervistato; metodo criticola manipolazione di oggetti concreti da parte del
bambino o dello sperimentatore).
Piaget dimostrò che i bambini non sono semplicemente dei piccoli adulti che pensano in modo meno efficace,
bensì pensano in modo proprio diverso; sempre Piaget ha postulato l’esistenza di 4 stadi differenziati nello
sviluppo cognitivo.
16. EPISTEMOLOGIA GENETICA
È la teoria sviluppata da Jean Piaget, che vuole spiegare i processi cognitivi umani attraverso la
ricostruzione storica delle fasi dello sviluppo di un individuo, dalla prima infanzia fino all’età adulta.
In sostanza l’epistemologia genetica studia come le attuali forme di pensiero logico siano riconducibili a forme
genetiche che sono all’origine del successivo sviluppo con cui le espressioni mentali si sono progressivamente
organizzate.
Con il termine epistemologia intendiamo lo studio della conoscenza e come gli elementi vengo strutturati e
organizzati; con genetica intendiamo ciò che si genera, che emerge e si sviluppa.
L’epistemologia genetica si focalizza su 4 categorie del pensiero (tempo, spazio, causalità e quantità) e come
queste vengano acquisite e sviluppate come concetti. Per Piaget la conoscenza non è uno stato e non deriva da un
assorbimento passivo, semmai è un processo attivo nel quale:
 Il bambino costruisce la propria conoscenza attraverso azioni fisiche o mentali;
 La conoscenza è soggettiva, perché elaborata dal bambino sulla base delle modalità di comprensione che
possiede in quel momento;
 La comprensione del mondo si modifica con lo sviluppo cognitivo (cambia il conoscente, cambia il
conosciuto);
L’assioma piagetiano è che l’intelligenza è un meccanismo di adattamento all’ambiante, e parte dall’assunto
che l’adattamento è uno stato di equilibrio tra organismo e ambiente.

17. LE INVARIANTI FUNZIONALI DI PIAGET


Per Piaget i cambiamenti dello sviluppo cognitivo del bambino sono di tipo qualitativo e quantitativo.
Le trasformazioni qualitative sono sovrapponibili agli stadi, mentre le trasformazioni quantitative sono date da
tutta una serie di micro-sviluppi che fanno procedere per piccoli passi l’evoluzione del pensiero del bambino.
I micro-sviluppi sono il frutto di 3 invarianti funzionali (invarianti perché non variano nell’arco della vita, e
funzionali perché hanno una precisa finalità). Le invarianti funzionali sono delle modalità di pensiero che
derivano non solo dalla biologia, ma anche dalla relazione esistente tra organismo e ambiente, e sono:
a. La tendenza all’organizzazione: il pensiero si organizza in strutture e schemi coerenti (in sostanza è
l’accordo del pensiero con se stesso);
b. La tendenza all’adattamento: la relazione tra organismo e ambiente genera una variazione nelle strutture
cognitive (in sostanza è l’accordo del pensiero con l’ambiente).
A sua volta l’adattamento discende da 2 processi complementari e interconnessi tra loro:
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Accomodamento è la modifica degli schemi cognitivi preesistenti, in relazione all’ambiente circostante;


Assimilazione è l’incorporazione di nuovi dati di esperienza utilizzando schemi cognitivi preesistenti;
c. L’equilibrazione: ossia il bilanciamento tra organizzazione e adattamento. L’adeguamento continuo tra
assimilazione e accomodamento genere sempre nuovi modi di pensare.
18. LA TEORIA DEGLI STADI COGNITIVI DI PIAGET
È una teoria che ha come unità costitutiva lo stadio lasso di tempo in cui un bambino pensa e assume dei
comportamenti in diverse situazioni, in conseguenza del particolare tipo di struttura mentale posseduta in quel
momento. L’ordine degli stadi è fisso, mentre la cronologia varia per fattori individuali o ambientali.
I 4 stadi basilari per Piaget sono:
STADIO ETÀ DESCRIZIONE

Sensomotorio 0 – 2 anni Il bambino passa dall’avere dei semplici riflessi a comprendere il


mondo attraverso sistemi sensoriali e motori.
Si creano gli schemi sensomotori schemi d’azione che collegano
percezioni e movimenti, che si affinano e coordinano
progressivamente
Preoperatorio 2 – 7 anni Il bambino rappresenta mentalmente oggetti ed eventi, ed è in grado
di usare i simboli che vengono espressi tramite il linguaggio, il gioco,
la finzione e il disegno funzione simbolica.
Permane l’egocentrismo intellettuale l’incapacità di distinguere il
proprio punto di vista da quello altrui.
Acquisiscono il senso del passato, presente e futuro.

Operatorio 7 – 11 anni Compare il pensiero logico e la capacità di compiere operazioni


Concreto mentali (classificazione, seriazione...) riferite a problemi concreti,
mentre per i problemi presenti in forma verbale commettono ancora
vari tipi di errore; gli schemi mentali vengono organizzati in strutture
d’insieme.
I bambini imparano la cooperazione nei giochi e chiedono il rispetto
delle regole
Operatorio 11 - 15 anni È possibile organizzare le conoscenze in modo sistematico e pensare
Formale in termini ipotetico-deduttivi.
Le operazioni mentali riguardano aspetti reali, possibili, il passato, il
presente e il futuro

19. LE 5 CARATTERISTICHE DEGLI STADI DI PIAGET


1) Ogni stadio è una totalità strutturata in stato di equilibrio, per Piaget ciascun stadio è un tutto integrato
(=completo) che organizza le parti. Gli stadi si differenziano per la loro struttura intrinseca che consente
una diversa interazione tra bambino e ambiente.
2) Ogni stadio incorpora e deriva da quello precedente, e prepara allo stadio successivo, nel passaggio da
uno stadio a quello successivo avviene una rielaborazione, e la nuova organizzazione non permette più di
ritornare allo stadio precedente.
3) Gli stadi hanno una sequenza invariante, il percorso stadiale ha tappe ben definite che vanno in un preciso
ordine sequenziale e non si può saltare alcuna tappa.
4) Gli stadi sono universali, seguono tutti lo stesso ordine in tutte le culture, seppur con tempi di progressione
differenti.
5) Ogni stadio è composto da un periodo di preparazione e da un periodo stabile, il passaggio non è
repentino, ma procede per gradi, a piccoli passi. L’inizio di ogni stadio è ancora instabile e poco
organizzato, ma via via la struttura diventa stabile e organizzata.
20. LO STADIO SENSOMOTORIO e SOTTOSTADI (0 – 2 ANNI)
È la prima tappa dello sviluppo cognitivo, ed è suddivisa in 6 sottostadi uguali per tutti i bambini del mondo. Il
bambino parte da una condizione in cui non fa distinzione tra sé e l’ambiente (egocentrismo assoluto o integrale
o radicale), tra gli oggetti e le azioni che esercita su di essi. La comprensione del mondo avviene mano a mano
attraverso i sistemi sensoriali e motori, che gli consentono di creare degli schemi sensomotori, ovvero schemi
d’azione che mettono in relazione percezioni e movimenti.
I. Esercitazione e modificazione degli schemi riflessi (0-1 mese) Il neonato mette in atto una serie di
riflessi presenti alla nascita (es: suzione, prensione). Con l’esercizio essi si rafforzano, vengono
generalizzati a più oggetti e il bambino inizia a differenziarli (es: la suzione è differente se l’oggetto è un
capezzolo o un succhiotto).
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II. Reazioni circolari primarie (1-4 mesi) non appena il bambino scopre casualmente che una sua azione
genera un risultato interessante o gratificante, tende a replicarla. La ripetizione dell’azione viene definita
da Piaget reazione circolare primaria. In questo sottostadio le reazioni circolari sono centrate sul corpo
del bambino e consentono una prima coordinazione tra gli schemi.
III. Reazioni circolari secondarie (4-8 mesi) l’interesse del bambino si sposta sugli effetti che le sue azioni
hanno sull’ambiente circostante; tali azioni sono dette reazioni circolari secondarie (vengono ripetuti
quei procedimenti per far durare gli spettacoli interessanti). Manca ancora la comprensione dei nessi
causali, per cui le reazioni circolari vengono messe in atto a volte con successo a volte no (denotano una
presenza di causalità magico-fenomenica).
IV. Coordinazione tra schemi e intenzionalità (8-12 mesi) emerge la pianificazione e l’intenzionalità.
Compare la capacità di differenziare i mezzi dai fini (es: rimuovere un oggetto per raggiungere il giocattolo
che sta dietro). Il bambino impara a usare le persone come strumenti (es: usa la mano del genitore sul
telecomando per accendere il televisore).
 In questo sottostadio la comprensione di permanenza dell’oggetto è ancora limitata. Se un oggetto
viene ripetutamente nascosto in un posto (che chiameremo A) e poi in un altro (che chiameremo B)
effettuando questo spostamento alla vista del bambino, egli lo andrà a cercare nel primo luogo in cui è
stato visto sparire la prima volta (errore A non B).
V. Reazioni circolari terziarie (12-18 mesi) il bambino procede per prove ed errori introducendo alcune
variazioni nelle azioni che compie per studiare la natura dell’effetto (es: far cadere un oggetto da diverse
altezze e in modi diversi). Queste azioni sono le reazioni circolari terziarie. Viene differenziata la
causalità fisica da quella psicologica (i bambini non agiscono più sulle persone come fossero oggetti
inanimati, muovendone le mani e le braccia per metterle in azione, ma comunicano i loro desideri e
attendono che esse agiscano da sole).
VI. Scoperta di nuovi mezzi mediante combinazioni mentali (18-24 mesi) nasce la funzione simbolica o
rappresentativa, ossia la capacità di evocare mentalmente oggetti e situazioni non presenti. Il bambino
non procede più per prove ed errori perché è in grado di avere una rappresentazione mentale dell’azione e
ne anticipa gli effetti.
21. LE REAZIONI CIRCOLARI
Piaget identifica come reazioni circolari la tendenza dei bambini, nel periodo sensomotorio, a ripetere
un’azione eseguita inizialmente per caso, che ha prodotto un risultato interessante o piacevole. Sono di 3 tipi:
 Primarie ripetizione di movimenti incentrati su se stessi (movimenti delle dita, della lingua, produzione
di suoni, bollicine) – tipiche del 2° sottostadio;
 Secondarie ripetizione di movimenti che producono degli effetti sull’ambiente circostante (far dondolare
un oggetto appeso sulla culla agitando il corpo, agitare un sonaglio che produce un suono) – 3° sottostadio
 Terziarie introduzione deliberata di variazioni nelle azioni compiute per osservare l’effetto sugli oggetti
(immergere l’ochetta di gomma a varie profondità e osservarla risalire) – 5° sottostadio

22. LO SVILUPPO SECONDO L’H.I.P e RICERCHE POST-PIAGETIANE


La teoria dell’elaborazione delle informazioni (HIP, Human Information Processing), concepisce l’essere umano
come un sistema che elabora informazioni e usa la metafora del computer per spiegare l’architettura cognitiva. In
particolare l’HIP ha ripreso le nozioni di:
- memoria a breve termine MBT (a capacità limitata e di rapido decadimento)
- memoria di lavoro MDL (sistema di immagazzinamento temporaneo che mantiene quantità limitate di
informazioni per un tempo limitato e consente l’utilizzo dell’informazione nell’immediato).
L’incremento della capacità di MBT nei bambini, dovuta allo sviluppo fisiologico, spiegherebbe l’aumento della
complessità delle azioni e dei ragionamenti che essi fanno.
In questo contesto le teorie neopiagetiane (che si rifanno ai costrutti dell’HIP) mantengono alcune parti del
pensiero di Piaget superandone altre. In particolare teorizzano che lo sviluppo del pensiero non consiste
nell’acquisire strutture logiche, bensì di elaborare una crescente capacità di informazioni.
Ricerche recenti hanno dimostrato che l’imitazione, la percezione, la costanza della forma e la coordinazione
intermodale (ritenute da Piaget più tardive) siano abilità già presenti nei bambini molto precocemente.
ATTENZIONE: studi sulla percezione dimostrano che esiste già un’attenzione selettiva (capacità di
selezionare alcuni stimoli tra quelli presenti), ma è con la maturazione delle strutture cerebrali che inizia ad
aumentare l’attenzione sostenuta (capacità di resistere a stimoli distraenti; capacità che continuerà a crescere
fino all’adolescenza).
MEMORIA: gli studi hanno evidenziato una precoce presenza di memoria implicita (che si manifesta grazie al
comportamento), ma più difficile è stabilire la presenza di memoria esplicita (perché è richiesta una prova di
rievocazione che può avvenire con il disegno o con il linguaggio). Per Piaget la memoria di rievocazione
compare nel VI sottostadio, mentre per altri studiosi è già presente intorno ai 12 mesi.
In merito ai neopiagetiani possiamo aggiungere che si formarono due linee di pensiero:
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 Il Nativismo dello stato finale sostiene che le nozioni alla nascita sono già come quelle di un adulto e man
mano si manifestano:
 Il Nativismo dello stato iniziale sostiene invece, che le nozioni sono rudimentali e vanno affinate.
Altri studi hanno tentato di rispondere al quesito: perché prima degli 8-10 mesi i bambini non cercano l’oggetto?
Si ritiene che ciò sia dovuto alla limitata capacità di pianificare le azioni.
23. ERRORE “A NON B” PER PIAGET e HIP
L’errore A non B è un fenomeno di permanenza dell’oggetto nei bambini (che dura fino agli 8-10 mesi di vita).
Se un oggetto viene ripetutamente nascosto in un posto (che chiameremo A) e poi in un altro (che chiameremo
B) effettuando questo spostamento alla vista del bambino, egli lo andrà a cercare nel primo luogo in cui è stato
visto sparire la prima volta.
Piaget giustificava tale comportamento con l’incapacità di pianificare le azioni (capacità che compare attorno ai
10 mesi di vita). Mentre altri studiosi (che si rifanno ai costrutti dell’HIP) propongono spiegazioni alternative,
come la capienza ancora insufficiente della MBT è l’incapacità del bambino di inibire un comportamento
precedentemente appreso (in base ai precedenti successi nel trovare l’oggetto). Le aree cerebrali per il controllo
inibitorio sono infatti mature dopo i 12 mesi.
24. CATEGORIZZAZIONE E SUO SVILUPPO
La memoria contiene soprattutto informazioni su categorie a cui si riferiscono la maggior parte dei concetti.
Le categorie sono organizzate in gerarchie (dette anche tassonomie): le più generali includono le più specifiche.
Ciò permette di ricondurre a categorie già note entità individuali nuove-> se incontro per la prima volta una
situazione, l’esperienza passata ci aiuta (es: conosco le mele rosse, vedo quelle verdi e so che le posso mangiare).
I concetti lessicali danno significato alle singole parole (es: cane, gatto) o descrizioni con più parole (es: i
bambini della scuola materna di Selargius). La connessione tra parole, concetti e categoria ha fatto ritenere ad
alcuni studiosi che l’acquisizione dei concetti avvenisse con lo sviluppo del linguaggio (Piaget e Vygotskji
addirittura postulano all’età scolare).
Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato che la categorizzazione compare molto presto (a 3 mesi i bambini
distinguono immagini di animali), sono già presenti delle categoria specifiche (gatto) e globali (animali), ed è
presente la capacità di categorizzare le proprietà degli oggetti (colore, forma…).
25. PLOBLEM SOLVING DEL BAMBINO (ROBBIE CASE E CONFRONTO CON PIAGET)
Il canadese Robbie Case, cerca di integrare il modello stadiale alle teorie dell’HIP. R. Case considera i bambini
come dei solutori di problemi fin dalla nascita, e ha svolto studi sulla crescente complessità nella formazioni di
obiettivi e desideri nei bambini, nonché sulle strategie da loro escogitate per ottenerli.
Cese, come Piaget, ha esaminato i cambiamenti cognitivi da un livello al successivo, attribuendo questi
cambiamenti alla crescente capacità di MDL (o spazio di elaborazione esecutiva numero massimo di schemi
indipendenti che il bambino può attivare in uno stesso momento).
Per Robbie Case il principale meccanismo di sviluppo non è l’equilibrazione, bensì l’aumento di efficienza
nell’usare le proprie abilità. La capacità della MDL cresce per effetto di:
Maturazione del cervello, che incrementa la quantità di informazioni che il bambino può elaborare;
Esercizio e pratica delle abilità le rendono più veloci e automatizzate, consentendo di liberare MDL;
Robbie Case ricalca gli stadi dello sviluppo di Piaget sostenendo il comportamento è guidato sostanzialmente da
una struttura di controllo esecutivo, che consente di:
 Avere la rappresentazione di una situazione problematica presente
 Specificare gli obiettivi della risoluzione del problema
 Concepire la strategia necessaria per raggiungere gli obiettivi
Robbie Case propone 4 stadi :
1. Sensomotorio (0-1,5 anni)
2. Interrelazionale (1,5 -5 anni)
3. Dimensionale (5-11 anni)
4. Vettoriale (11-18 anni)
Ciascuna struttura di controllo (stadio) è organizzata in 4 sottostadi, denominati:
a) Consolidamento delle operazioni;
b) Coordinazioni unifocali;
c) Coordinazioni bifocali;
d) Coordinazioni elaborate.
Il primo sottostadio di ciascun livello (consolidamento delle operazioni), corrisponde all’ultimo sottostadio
del livello precedente (coordinazioni elaborate). Nei sottostadi delle coordinazioni unifocali, bifocali e
elaborate, i bambini coordinano in modo crescente le abilità.
Va ricordato che Piaget teorizzava la capacità di porsi obiettivi solo a partire dal 3° sottostadio e descriveva i
sottostadi 4,5 e 6 in relazione al problem solving con i seguenti mezzi:
4° sottostadio attraverso mezzi noti
5° sottostadio attraverso nuovi mezzi scoperti con la sperimentazione attiva (prove ed errori)
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6° sottostadio attraverso nuovi mezzi scoperti con la sperimentazione mentale (immaginare di fare).
26. LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO
Lo sviluppo della capacità di comunicazione verbale nei bambini prevende:
 Competenza linguistica: comprensione e espressione di messaggi dotati di significato;
 Competenza comunicativa: uso appropriato dei messaggi nei contesti e relazioni sociali.
Una lingua è una forma di linguaggio verbale con fini comunicativi. Essa è un sistema formato da fonemi (=unità
linguistiche distintive), la cui combinazione dà luogo a morfemi (che conferiscono aspetto e funzionalità alle
parole e radici) e parole (elemento linguistico dotato di significato). Più parole legate tra loro danno origine a
frasi, da cui discendono i discorsi e i testi.
Le teorie sullo sviluppo del linguaggio sono:
 Teoria del condizionamento, secondo Skinner il linguaggio viene appreso mediante l’imitazione, il
modellamento e il rinforzo (teoria oggi superata).
 Teoria innatista o della modularità, secondo Chomsky la competenza linguistica è innata, segue poi la
capacità comunicativa. Per l’autore esisterebbero dei principi universali o Grammatica Universale
(soggetto, verbo e oggetto) e dei parametri variabili (tipici di ogni lingua naturale) che il bambino impara a
utilizzare e ad applicare grazie all’esperienza.
 Teoria costruttivista-interazionista-cognitivo-funzionale, secondo cui all’acquisizione del linguaggio
fanno capo abilità e processi extra-linguistici preesistenti (abilità cognitive, percettive, affettive, sociali) dai
quali esso si evolve.
Il neonato, fin dalla vita prenatale, è immerso in un flusso indistinto di suoni, ma con lo sviluppo inizierà a
comprendere che tale flusso è formato da parti diverse gerarchicamente organizzate. Verso i 4-5 anni, i bambini
possiedono un vocabolario mentale (comprensivo di informazioni sulla corretta pronuncia e sul significato),
nonché una certa padronanza di sintassi (come costruire le frasi).
 I neonati non producono suoni linguistici perché gli organi coinvolti non sono ancora adeguatamente
sviluppati, il controllo degli organi preposti all’articolazione dei suoni è ancora grossolano, e la MDL ha
dimensioni ridotte.
Lo sviluppo fonologico è composto da:
PERIODO PRELINGUISTICO
 I suoni prodotti dal neonato nelle prime settimane di vita sono limitati a ruttini, sbadigli, sospiri, starnuti
(suoni vegetativi).
 Verso i 2 mesi compaiono le vocalizzazioni non di pianto, emesse in momenti piacevoli, in particolare
durante le interazioni con la madre.
 Intorno ai 7 mesi prende avvio la lallazione canonica (comune a tutti i bambini del mondo, persino nei
bambini sordi alla nascitastessa sillaba ripetuta più volte ‘babababa’), alla quale segue la lallazione
variata verso i 10-12 mesi (che risente dell’influenza ambientale, scompaiono i suoni non appartenenti alla
lingua madre).
PERIODO LINGUISTICO
 Verso i 12 mesi i bambini dicono la loro prima parola, e cercano di imitare quelle che sentono,
presentando difficoltà coi suoni coordinati (gl, sc) e con le sillabe complesse (br, gr). Le parole
principalmente indicano oggetti di vita quotidiana e le persone più strette. Vi è l’uso di protoparole (tata,
papa, brum brum) che assumo significato speciale quando sono usate in determinati contesti abituali.
 Verso i 18 mesi abbiamo l’esplosione del vocabolario, con una vera e propria crescita esponenziale del
numero di parole comprese dal bambino, sebbene non vengano riprodotte nella stessa misura. Il linguaggio
è di tipo telegrafico.
 Tra i 2 e 3 anni, gli enunciati si arricchiscono di articoli, congiunzioni, avverbi, preposizioni esplosione
grammaticale (a seguire vedi paragrafo 48, pag.26)
 A 3 anni gran parte dei bambini italiani padroneggia i fonemi della lingua madre, anche se taluni presentano
ancora delle difficoltà di articolazione o pronuncia, ma già verso i 3 anni e mezzo sanno ripetere
correttamente una frase pronunciata da un adulto.
Un’altra suddivisione dello sviluppo del linguaggio contempla:
FASE PREINTENZIONALE DELLA COMUNICAZIONE (0-8 mesi) nei primi mesi di vita il bambino
emette suoni e compie movimenti senza una vera intenzione comunicativa, ossia non ancora eseguiti con lo
scopo di ottenere un effetto su chi lo vede o ascolta (es: cerca di prendere un oggetto senza guardare la madre e
quest’ultima orienta il proprio sguardo verso l’oggetto);
FASE INTENZIONALE DELLA COMUNICAZIONE (8-12 mesi) il bambino produce suoni e
comportamenti per raggiungere determinati obiettivi, quindi si palesa l’intenzione comunicativa (es: indicando
un oggetto guardando il genitore e emettendo suoni)
FASE LINGUISTICA (dai 12 mesi in poi) il bambino si esprime verbalmente con frasi, pone domande, dà
risposte e saluta.
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Il baby talk o motherese è un tipo di linguaggio utilizzato verso i bambini piccoli dalle figure di accudimento.
Tale linguaggio costituisce un valido supporto allo sviluppo comunicativo del bambino (parlare lentamente,
pause più lunghe, frasi brevi, uso di parole caratteristiche come bua…). Secondo Bruner il baby talk assolve la
funzione di L.A.S.S. (=Language Acquisition Support System, sistema di supporto per il linguaggio), senza il
quale non si attiverebbero quei processi innati di acquisizione del linguaggio teorizzati da Chomsky.
L’acquisizione del vocabolario ha luogo non solo per definizione ostensiva (ovvero viene indicato l’oggetto a
cui la parola si riferisce), ma soprattutto sulla base di principi guida o vincoli:
1) Vincolo dell’intero oggetto il vocabolo nuovo da acquisire è riferito ad un intero oggetto e non ad una
sua parte (es: ‘gatto’ per l’intero animale e non per una sua parte)
2) Vincolo tassonomico la parola denota una categoria intermedia (un gatto e non quel specifico gatto) e
non un raggruppamento (cesta + ciotola + quadrupede);
3) Vincolo dell’esclusione reciproca ogni cosa ha un nome solo, laddove prima vi era la sovraestensione
(uso di dire ‘gatto’ per tutti gli animali a 4 zampe), ora vi è maggior distinzione nella
gerarchia(animale/gatto/persiano) e dettagliamento (pelo, coda, baffi).
Errori tipici nello sviluppo del lessicale:
b) Sovraestensione: il bambino chiama ‘cane’ qualunque animale a 4 zampe
c) Sottoestensione: il bambino chiama ‘palla’ solo la sua palla e tace per le altre;
d) Sovrapposizione: il bambino usa ‘aprire’ non solo all’azione di aprire una porta, ma anche all’azione di
accendere la luce
La decontestualizzazione è il passaggio dall’uso non-referenziale delle singole parole a quello referenziale
(ovvero riferite a oggetti non presenti).
Agli esordi del linguaggio i bambini usano parole legate a contesti specifici (dicono ‘gatto’ per designare il loro
gattino di peluche, ma non per il gatto del vicino) o ad azioni in corso (dicono ‘papà’ mentre stanno correndogli
incontro). Solo in seguito verrà acquisita la capacità di decontestualizzare, ossia di estendere il vocabolo in senso
generale (‘gatto’ per gatto del vicino e il gatto di peluche), o evocare oggetti assenti sulla scena (funzione
simbolica).
Secondo Piaget la capacità di decontestualizzare va di pari passo con lo sviluppo della funzione simbolica.
27. LO SVILUPPO DEL SÈ
Il Sé è ciò che permette di definire noi stessi e la realtà esterna. È una istanza psicologica che consente
all’individuo di integrare le sue esperienze; l’integrazione delle esperienze assicura alla persona sia una
continuità tra le esperienze che effettua nei diversi momenti, sia un confine tra ciò che appartiene al
mondo e ciò che è proprio dell’individuo.
Il Sé ci permette di osservare il mondo da un punto di vista unico e coerente.
William James, nel 1890, è stato il primo a affrontare l’argomento e distingueva tra:
 Io (I), il Sé come soggetto, in grado di riflettere su se stesso
 Me (Me), il Sé come oggetto di riflessione
 Sé (Self), che si distingue dal ‘Me’ permettendo di parlare di sé in 3° persona.
Il Sé si articola in 2 sottocomponenti:
 SÈ ATTUALI:
 Sé materiale, coscienza del proprio corpo e dell’ambiente
 Sé sociale, dato dalle percezioni o immagini che ciascuno presume gli altri abbiano di lui
 Sé spirituale, aspetti stabili del Sé costituiti da valori, sensibilità morale, disposizioni
 SÉ POSSIBLI o POTENZIALI, i vari tipi di personaggio che ci si immagina di impersonare, chi si
potrebbe aspirare a diventare
James ha anche trattato dei sentimenti innati rivolti verso il sé, classificabili in due categorie antitetiche tra
loro:

autocompiacimento vergogna
orgoglio
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umiltà
vanità
arroganza mortificazione
autostima modestia
Secondo l’interazionismo simbolico (Cooley e Mead), il Sé in un bambino si genera grazie all’interazione
sociale. L’immagine che il bambino sviluppa di sé è il risultato di ciò che le persone per lui significative
trasmettono; l’autostima si sviluppa grazie alla considerazione degli altri e i sentimenti rivolti a sé sono il riflesso
di quelli comunicati dagli altri.
28. IL SÈ PRESIMBOLICO e LA COSCIENZA DI SÈ
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Alla nascita è presente un Sé denominato presimbolico (fondamentale per l’origine della coscienza di Sé) che
consente al bambino di fare esperienza percettiva, emotiva e dei processi autoregolatori (tramite i quali
l’organismo reagisce alle variazioni dell’ambiente).
Il Sé presimbolico è pertanto un’esperienza di tipo intuitivo-affettivo e rappresenta l’elemento che tiene le fila
delle azioni tra neonato e le altre persone (andando a costituire poi, ciò che James definiva ‘Io’).
Per assicurare continuità al Sé presimbolico è indispensabile la presenza di una persona adulta che si prenda cura
del bambino (di solito la madre), che consente alle esperienze uditive, visive, cinestetiche e propriocettive del
bambino di non risultare frammentate. Intorno al primo anno di vita si delinea in modo chiaro l’emergere della
capacità di attribuire stati mentali (pensieri, convinzioni, emozioni, ricordi) all’altro. La capacità di attribuire
stati mentali all’altro si genera grazie alla partecipazione in modo sistematico alle interazioni con l’adulto.
Il linguaggio agevola non solo l’espressione, ma anche la presa di consapevolezza di Sé e si manifesta:
 Con il crescente autocontrollo (la capacità di resistere ai propri impulsi per agire in conformità alle
richieste dei genitori);
 Comparsa di emozioni autocoscienti;
 Determinazione nel far valere la propria volontà nei confronti degli altri.
Il primo indizio di un Sé consapevole è costituito dal riconoscimento del proprio aspetto fisico (es: l’immagine
riflessa allo specchio).
29. IL CONCETTO DI SÉ
Già verso i 2 anni e ½ il bambino ha un concetto di Sé che va oltre il proprio corpo, e include caratteristiche
generali (buono, bravo, bello), quello relativo ai suoi possessi (ho una sorella, ho una palla) e ai risultati delle sue
azioni (saper contare).
A partire dai 3 anni e per tutta la prima fanciullezza i bambini non si descrivono quasi mai in termini negativi,
piuttosto enfatizzando le caratteristiche positive.
Secondo Freud e Piaget le visioni irrealistiche di sé sono la conseguenza dell’incapacità di distinguere tra
desiderio e realtà; mentre per gli evoluzionisti queste visioni irrealistiche hanno la funzione di ottimismo
protettivo (aiutano i bambini a non arrendersi di fronte alle difficoltà e agli insuccessi).
Per la valutazione delle loro prestazioni i bambini usano i confronti temporali (prima non lo sapevo fare ora sì) e
i confronti sociali (io sono meno bravo di Luca). Nel primo caso avremo dei rinforzi che incentivano
all’impegno; nel secondo caso invece, si evidenzieranno i limiti del bambino.
Altro fattore importante nello sviluppo del Sé è rivestito dagli altri significativi per il bambino (genitori,
educatori) che sono fonte di messaggi positivi o negativi rispetto alle capacità e al valore del bambino.
30. CONCETTO DI SÉ E TEORIE SULLE ABILITÀ
La rappresentazione di Sé è una vera e propria teoria costruita su credenze e concetti che si riferiscono a entità e
processi non osservabili. Il concetto di Sé è pertanto una teoria specifica che si colloca all’interno della teoria
della mente.
Dai 7/8 anni i bambini riescono a fare delle descrizioni di sé ricche di tratti di personalità, anche con aspetti
negativi e graduate.
Secondo Susan Harter ciò permette di effettuare una distinzione tra i vari sé:
- Sé reale (come ci si sente);
- Sé ideale (come si vorrebbe essere, lo standard da raggiungere);
- Autostima globale (sentimento di soddisfazione o insoddisfazione).
La presenza del sé ideale può essere fonte di stimolo o di frustrazione. In caso di divario tra sé ideale e sé reale, il
bambino attua strategie come il ridimensionare del sé ideale, o miglioramento del sé reale.
Dweck ha osservato due tipologie diverse di come i bambini rappresentino Sé e gli altri coetanei:
- Teoria dell’entità: le persone hanno tratti e qualità innate, immutabili nel tempo (i bambini vivono gli
insuccessi come conferma delle loro incapacità, con conseguente rinuncia del compito. Questa impotenza
appresa può essere favorita anche da critiche esterne).
- Teoria incrementale: le persone hanno tratti e qualità influenzate dall’ambiente, che possono essere
modificate e migliorate con l’impegno personale. Questi bambini vivono le difficoltà del compito come uno
stimolo e sviluppano un orientamento alla padronanza (concentrazione sul compito e padroneggiare la
situazione).
È interessante notare come i bambini di età prescolare valutino principalmente col parametro buono/cattivo, e
sono convinti che l’impegno assicuri il successo.
31. LE EMOZIONI
Le emozioni sono predisposizioni biologiche di natura adattiva a stimoli esterni o interni che coinvolgono
processi neuropsicologici, psicofisiologici, cognitivi e di controllo del comportamento.
Esistono 2 punti di vista che si concentrano sulle espressioni facciali, secondo cui le modificazioni fisiologiche:
 Sono antecedenti all’etichettamento emotivo: la percezione di uno stimolo genera una modificazione
facciale che fornisce informazioni sul tipo di sensazione (es: vedo un serpente, il mio viso assumerà una
determinata espressione, e dopo averla elaborata, sarò impaurita)
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 Sono posteriori all’etichettamento emotivo: la valutazione cognitiva che viene fatta successivamente allo
stimolo, mi consente di interpretarlo, dando un’etichetta all’emozione per poi esprimerla.
32. TEORIE SULLO SVILUPPO EMOTIVO
TEORIA DELLA DIFFERENZIAZIONE EMOTIVA: lo sviluppo emotivo è correlato a quello cognitivo e
sociale. Il neonato prova dapprima uno stato generico di attivazione da cui si articoleranno, nel corso dello
sviluppo, emozioni specifiche e diverse.
APPROCCIO FUNZIONALE O ORGANIZZAZIONALE (SROUFE): l’autore riprende la teoria di Bridges
degli anni ’30 sulla differenziazione emotiva e la rielabora, teorizzando un modello di sviluppo emotivo distinto
in fasi. A partire da strutture rudimentali (prototipi fisiologici) le emozioni si sviluppano attraverso processi di
differenziazione e organizzazione, passando per precursori delle emozioni a emozioni vere e proprie (reazioni
basate su stimoli esterni), che si affinano man mano fino ad arrivare ai 7/8 mesi in cui il bambino prova, tra le
altre, l’angoscia da separazione (che ha funziona adattiva, evita che il bambino si allontani dalla figura di
accudimento entrando in situazioni di pericolo).
TEORIA DIFFERENZIALE DELLE EMOZIONI (IZARD): il neonato possiede sin dall’inizio un repertorio
di emozioni fondamentali (primarie o basiche) differenziate, basate su programmi innati e universali (es: gioia,
tristezza, rabbia, paura, disgusto e sorpresa).
Altre emozioni emergono nel corso dello sviluppo e sono chiamate emozioni complesse (secondarie o sociali)
che derivano dalla combinazione di emozioni primarie e presuppongono la coscienza di Sé: ecco perché alcuni
autori le definiscono emozioni autocoscienti.
M. Lewis, va oltre e suddivide le emozioni autocoscienti in:
- emozioni esposte perché il bambino consapevole di Sé si espone al mondo esterno (es: imbarazzo, empatia
invidia, gelosia).
- emozioni valutative perché si originano dal confronto tra il proprio comportamento e le norme sociali
(orgoglio, senso di colpa, vergogna).
Questa teoria differenziale delle emozioni è stata criticata perché vi è il rischio di attribuire al neonato lo stesso
significato della mimica facciale di un adulto, senza considerare che talvolta la mimica facciale di un neonato è
governata da riflessi innati.
L’espressione delle emozioni attraverso la mimica facciale è stata analizzata fin dai tempi di Darwin, il quale
rilevò che popolazioni diverse presentavano la stessa espressione facciale per esprimere le stesse emozioni.
Successivamente Paul Ekmann confermò con studi più rigorosi che alcune espressioni facciali sono uguali in
qualunque luogo, tempo e cultura emozioni fondamentali (primarie o basiche). Le emozioni secondarie o
sociali si originano dalla combinazione delle emozioni primarie, sono dipendenti da scopi e capacità cognitive, e
si sviluppano con la crescita del soggetto e l’interazione sociale.
33. REGOLAZIONE, COMPRENSIONE, CONOSCENZA E ESIBIZIONE DELLE EMOZIONI
Nel primo anno di vita i bambini presentano una capacità rudimentale di regolazione delle emozioni (ricercare
emozioni piacevoli, aumentarne l’intensità, evitare quelle spiacevoli). La regolazione è esercitata in particolare
dai genitori che hanno la funzione di mitigare un’eccessiva intensità delle emozioni che, se superata, diverrebbe
difficile da gestire.
La capacità di autoregolazione nei bambini si affina con lo sviluppo della capacità di gestire gli stimoli,
mediante aumento dell’attenzione, diminuzione della reazione al dolore, possibilità di muoversi e allontanarsi da
ciò che li spaventa. Anche l’acquisizione del linguaggio consente loro di descrivere all’adulto le emozioni
provate, e quest’ultimo può tal modo intervenire adeguatamente.
Nei bambini di età prescolare, si sono potute osservate le strategie messe in atto per la regolazione delle
emozioni:
- Restrizione degli input (si chiudono gli occhi, si tappano le orecchie);
- Richiesta esplicita di aiuto e conforto (mamma ho paura ad entrare nella cantina buia);
- Verbalizzazioni che minimizzano l’evento (non piango perché mamma torna presto);
- Gioco (produce piacere distraendo dalle emozioni negative, e consente di elaborare l’esperienza).
Un secondo aspetto, non meno importante è la comprensione delle emozioni, fattore indispensabile nella
competenza sociale, che permette di interagire con gli altri in modo adeguato. La manifestazione delle emozioni
(attraverso le parole, il tono, l’espressione del viso e le azioni concrete) ha la funzione di regolazione reciproca
del comportamento.
Dai 12 mesi in avanti, i bambini comprendono che le emozioni sono referenziali (=si provano per qualcosa). Il
riferimento sociale inoltre, consente di osservare e affidarsi alle emozioni altrui in casi incertezza, identificando
situazioni pericolose (ma anche di mutuare dai genitori elementi del tutto irrazionali).
A 3 anni i bambini conoscono i nomi delle emozioni fondamentali (rabbia, paura, gioia...) e le sanno correlare ai
fattori esterni che le hanno suscitate (sono triste perché mi sono fatto male), alle credenze (piangere perché si
crede che la mamma sia uscita) e desideri (sono felice perché ho avuto il giocattolo).
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Con l’aumento dell’età aumenta anche la conoscenza delle emozioni fondamentali e i bambini riescono a
distinguere le situazioni che possono provocarle. Infine, essi imparano presto a controllare il comportamento
espressivo e sono in grado di nascondere, enfatizzare o sminuire le emozioni per evitare danni, ottenere
vantaggi, per regole sociali e culturali.
34. COS’È L’EMPATIA E COME SI FORMA
L’empatia la capacità di immedesimarsi in un’altra persona fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo, pur
conservando la coscienza della propria identità separata.
L’empatia infatti, va distinta dal contagio emotivo tipica del 1° anno di vita del bambino, nel quale vi è la
condivisione immediata ed automatica dell’emozione altrui, caratterizzata da assenza di mediazione cognitiva. Il
bambino infatti non ha ancora sviluppato una coscienza di Sé come entità separata.
L’empatia pertanto, è una capacità innata che si sviluppa universalmente a partire dal 2° anno di vita, ed ha un
substrato neurobiologico: la scoperta dei neuroni specchio ha dimostrato che è parte del patrimonio genetico.
Secondo Martin Hoffman, tra i meccanismi che attiverebbero risposte empatiche vi sono anche:
1. L’immedesimarsi nei panni altrui (che richiede tuttavia una attività volontaria di pensiero);
2. L’associazione diretta: ciò che accade all’altra persona è una nostra esperienza dolorosa provata in
circostanze analoghe;
3. Condizionamento Classico: avviene quando la persona prova effettivamente la stessa emozione dell’altra
(es: il bambino triste guarda la mamma triste a sua volta).
Inoltre, l’empatia va tenuta distinta da simpatia e disagio personale. Nel primo caso il soggetto è consapevole
che le proprie emozioni derivano da quelle di un altro, e dirige su quest’ultimo la sua attenzione; mentre nel
secondo caso il soggetto, pur consapevole che le proprie emozioni derivano da quelle di un altro, dirige su di sé
la propria attenzione.
35. GENESI E SVILUPPO DEL SENSO DI COLPA E VERGOGNA
Senso di colpa e vergogna fanno parte delle emozioni autocoscienti (perché presuppongo la coscienza di Sé).
Senso di colpa: è stato largamente studiato perché assume un ruolo importante nello sviluppo della moralità,
oltre che nella genesi di psicopatologie e depressioni.
Viene considerata dagli studiosi un’emozione positiva quando è predisposizionale (se provata in un contesto
appropriato e spinge ad azioni riparative), ma patogena quando è cronica (una costante non legata al contesto o a
azioni).
Nella genesi del senso di colpa entrano in gioco: il dispiacere empatico, l’attribuzione a sé di un’azione dannosa
e la coscienza di Sé, ma soprattutto è necessario l’intervento disciplinare dei genitori; questo perché i bambini
provano dispiacere per il dolore altrui se sono spettatori innocenti (non ne sono responsabili), diversamente non
fanno caso alla sofferenza della vittima (Andrea, nella foga della corsa, ha spinto Luca che cadendo a terra si è
fatto male). Gli interventi disciplinari possono essere:
Induzione: blocco dell’azione dannosa (aggressiva), si riaffermano le regole, e si fa comprendere al bambino
che la sua azione ha avuto conseguenze osservabili (pianto, dolore…) e ferito sentimenti altrui (tristezza,
umiliazione…). Questa modalità di intervento suscita il dispiacere empatico, che combinandosi con
l’attribuzione a sè della sofferenza altrui, porta al senso di colpa con effetti di tipo riparativo.
Asserzione di potere: si usano minacce (“ti darò un sacco di botte”), si immobilizza o blocca il bambino (lo si
rinchiude in camera, lo si lega al passeggino…), o lo si priva di possessi e privilegi (non guardare la TV, non
avere il gelato a fine pranzo…). Questa modalità è contro producente, perché promuove l’obbedienza
unicamente sulla paura e non sulla comprensione dell’azione dannosa compiuta; spesso genera rabbia nel
bambino che sfocia in comportamenti oppositori verso coetanei o adulti (insegnati). L’asserzione di potere
induce i bambini a fare altrettanto.
Ritiro dell’amore: può essere esplicito (si minaccia di abbandonarlo o di non volergli più bene) o implicito
(si priva il bambino di gesti d’affetto o non gli si rivolge la parola). Questa modalità suscita ansia e non fa
comprendere l’errore. Il bambino poi, si concentra più sulla vergogna che prova, anziché sul senso di colpa.
Per evitare la messa in atto di determinate azioni dannose/aggressive, è importante lo sviluppo del senso di colpa
anticipatorio, che viene a formarsi con il ripetersi di più esperienze in cui si è provato senso di colpa (mediante
l’intervento disciplinare). Tali esperienze, memorizzate in uno script, vengono elaborate dal bambino diventando
una costruzione interna propria.
Vergogna: è un’emozione rivolta verso la nostra persona che si basa sull’imbarazzo, e che ci spinge al ritiro (ci
sentiamo incapaci, falliti). La disposizione alla vergogna deriva dall’aver vissuto esperienze di umiliazione,
derisione o pratiche educative basate sul ritiro d’affetto (se fai ancora quella cosa, la mamma non ti vorrà più
bene).
Le differenze individuali nel provare in prevalenza senso di colpa o vergogna (in seguito ad un insuccesso, alla
violazione di una norma o se si danneggia una persona) sono dovute a:
 Fattori biologici: lesioni o caratteristiche di determinate strutture corticali;
 Fattori sociali: background familiare e stili educativi (i bambini maltrattati mostrano a loro volta sofferenza
o ostilità verso un bambino sofferente);
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 Fattori interni: caratteristiche psicologiche (l’empatia è modulata dalla regolazione emotiva, per cui se la
regolazione è scarsa sopraggiunge disagio o poca simpatia verso il sofferente, se la regolazione è buona
avremo maggiore simpatia e focalizzazione sulla persona sofferente).
 Razionalizzazione: giustificazioni e scuse. Con le giustificazioni ci si assume la responsabilità dell’azione,
negando la gravità dell’azione (ti ho dato solo una piccola spinta, non puoi esserti fatto male); con le scuse
pur riconoscendo la gravità dell’azione si nega o minimizza la responsabilità dell’azione (ti ho dato una
spinta, ma era per scherzo);
 Meccanismi di disimpegno morale (vedi paragrafo 57, pag. 33).
Infine, chi tende a focalizzarsi su di Sé prova vergogna; chi tende a focalizzare l’attenzione sugli altri prova
senso di colpa.
36. STUDI SUL TEMPERAMENTO INFANTILE (NYLS – New York Longitudinal Study)
Negli anni ’60 Thomas e Chess avviarono una ricerca sullo sviluppo del temperamento e della personalità. Dallo
studio, noto come New York Longitudinal Study (NYLS) sono emersi 3 profili di temperamento nei bambini:
facili, difficili o lenti a scaldarsi.
I bambini facili sono regolari nei ritmi biologici, sono attratti dalle novità, si adattano facilmente ai
cambiamenti e tendenzialmente di buon umore.
I bambini difficili hanno fame o sonno a orari variabili, rifuggono le novità, si adattano con lentezza ai
cambiamenti e spesso sono di cattivo umore.
I bambini lenti a scaldarsi in una prima fase sono ritrosi ai cambiamenti, si adattano con lentezza, ma
successivamente si comportano in modo simile ai coetanei dal temperamento facile.
Va ricordato che la valutazione del temperamento presenta problemi sulla metodologia adottata. Vi è il rischio di
considerare maggiormente le reazioni dei genitori anziché quelle del bambino, e in questa prospettiva diventa
importante studiare le varianti transculturali (in ogni cultura emergono diversità considerevoli sulle aspettative
genitoriali).
37. SIGMUND FREUD
Figlio primogenito e favorito della madre, si laureò in Medicina con l’obiettivo di dedicare la sua vita alla
ricerca. Tuttavia, a causa delle discriminazioni razziali in ambito accademico (Freud era ebreo) e delle difficoltà
economiche, Freud dovette indirizzarsi verso l’ambito, allora emergente, del trattamento dei disturbi nervosi.
Vinse una borsa di studio e, all’ospedale psichiatrico di Parigi, incontrò Charcot, che al tempo sperimentava
l’ipnosi con le pazienti affette da isteria. Assieme a Breuer pubblicò un saggio psicanalitico che vedeva nei
ricordi bloccati (perché perturbanti e conflittuali col resto delle idee e dei sentimenti della persona) la causa
dell’isteria. Ma a differenza di Charcot, Freud si rese conto che la guarigione stava nel render consci i ricordi
inconsci, facendo rivivere al paziente i sentimenti vissuti.
Lavorando coi pazienti, Freud notò pure come i ricordi rimossi fossero sempre di natura sessuale, e riconducibili
ad età antecedenti ai 6 anni, perciò concepì la Teoria della Seduzione Infantile, secondo la quale i sintomi della
malattia psicologica era data da esperienze traumatiche a sfondo sessuale vissute in età precoce.
Ciò non di meno, proseguendo con se stesso la propria autoanalisi, Freud si rese conto che i ricordi (rimossi) non
erano esperienze vissute, bensì ricordi di desideri provati. Teorizzò pertanto che il fattore alla base della nevrosi
isterica fosse il ruolo della sessualità (Teoria della Sessualità Infantile), secondo cui il bambino vive una
sessualità sterile finalizzata al piacere autoerotico (quindi non alla riproduzione), con risvolti conflittuali. Le
pulsioni sessuali infantili di tipo parziale debbono infatti cedere il passo dinanzi alla morale e all’educazione,
mentre i residui andranno sotto l’egemonia della genitalità adulta.
38. CONCETTO DI PULSIONE e TEORIA DELLE PULSIONI
La pulsione è un’energia sessuale presente in tutti gli individui; un concetto al limite dello psichico e del
somatico, che non va confusa con l’istinto.
La pulsione (libido o tensione) è una carica energetica che, producendo uno stato di eccitazione, spinge
l’organismo verso una meta che rappresenta l’azione di scarica o di soddisfazione della tensione medesima.
Nella pulsione è possibile individuare:
a) Spintaelemento motorio o somma delle operazioni richieste dalla pulsione;
b) Fonteprovenienza della pulsione, eccitazione somatica di un organo (zone erogene);
c) Metasoppressione della stimolazione attraverso il soddisfacimento della pulsione;
d) Oggettol’obiettivo finale attraverso cui la pulsione raggiunge la sua meta.
Freud agli inizi (1915) propone un dualismo pulsionale distinguendo tra:
 Pulsione di autoconservazione (di Vita o dell’IO), con fonte e oggetto predeterminati (come la fame);
 Pulsione Sessuale, inizialmente si appoggia su quella dell’Io per poi distaccarsene, l’oggetto può essere
variabile a seconda che si segua il principio di piacere o di realtà (vedi paragrafo 41, pag. 20)
Successivamente (1920) Freud ha rielaborato la teoria proponendo una contrapposizione tra:
 Pulsione di vita (Eros), come il sesso, l’autoconservazione, l’amore e le forze vitali
 Pulsione di morte (Thanatos), come l’odio, l’aggressività o l’inerzia totale.
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In questa cornice, con il termine rappresentante psichico si designa l’espressione psichica della pulsione stessa,
ossia i messaggi che l’organismo invia alla mente affinché essa intervenga in una situazione di squilibrio
energetico (effettuare la scarica).
39. FASI PSICOSESSUALI DI FREUD
Freud ha elaborato una teoria stadiale dello sviluppo, composta di 4 stadi più un periodo di latenza. Ogni stadio è
definito nei termini della zona del corpo su cui si concentrano le pulsioni (ovvero quelle parti ricche di
terminazioni nervose che costituiscono fonte di eccitazione). Il passaggio da uno stadio a quello successivo è
biologicamente determinato, e gli stadi seguono un ordine invariante, tuttavia sono sempre possibili regressioni e
fissazioni.
La regressione è il ritorno a stadi precedenti dello sviluppo psichico, che si manifesta nelle forme di pensiero,
nelle relazioni oggettuali e nella strutturazione del comportamento.
Nello specifico Freud individuava 3 tipi di regressione:
 Temporale (il ritorno a stati libidici antecedenti);
 Formale (modi primitivi d’espressione e di raffigurazione sostituiscono quelli più complessi e strutturati che
sono stati acquisiti);
 Topica (passaggio di richieste dell’IO o del Super-io, a richieste dell’ES).
La fissazione è l’arresto di una quantità di libido a particolari fasi dello sviluppo, zone erogene o forme di
soddisfacimento esperiti nel passato, che non consentono (alla parte fissata della pulsione) di progredire nello
sviluppo.
LO STADIO ORALE (dalla nascita a 1 anno)
L’energia libidica è investita sulla bocca, le esperienze sociali (e non) ruotano attorno a interessi di tipo orale.
Oltre a provare piacere, il neonato sperimenta per la prima volta dolore e frustrazione se le tensioni non sono
appagate (es: interruzione allattamento notturno, imposizione del biberon al seno materno, proibizioni inerenti
alla suzione di oggetti sporchi o pericolosi…). Per fronteggiare le frustrazioni ogni bambino sviluppa modalità
proprie, che costituiscono la base della personalità futura.
Le esperienze vissute in questo stadio influenzeranno la personalità del bambino:
 Una scarsa gratificazione può creare angoscia e una costante ricerca di gratificazione orale, oppure sfociare
in pessimismo verso la vita;
 Un eccesso di soddisfazione può creare difficoltà ad investire la libido verso altri oggetti (rischio di
fissazione).
Le modalità di funzionamento orale dell’infanzia (con il relativo piacere o dolore provato), definiscono la
personalità adulta:
1) Ingerire: il piacere provato nell’ingerire si trasforma nella tendenza a prendere, ad avere fame di conoscenza
o potere;
2) Aggrapparsi al seno quando viene allontanato, può condurre all’ostinazione e alla determinazione;
3) Mordere: come prototipo della distruttività, del sarcasmo, del cinismo e della dominanza:
4) Sputare diventa rifiuto;
5) Chiudere la bocca, come chiusura, rifiuto e introversione.
Freud sosteneva che l’attaccamento del bambino alla madre è dovuto al suo soddisfacimento del cibo, ed ella
diventa in primo oggetto d’amore che fungerà da prototipo per tutte le relazioni amorose successive in entrambi i
sessi.
LO STADIO ANALE (da 1 a 3 anni)
L’energia libidica è investita nella zona dell’ano. Il bisogno di defecare genera una tensione che viene scaricata
attraverso l’atto di espellere le feci, generando piacere; la frustrazione si verrebbe a creare per le pressioni del
mondo esterno (genitori) che impongono al bambino il controllo dello sfintere e l’uso del vasino, impedendogli
di trovare gratificazione immediata.
Un addestramento troppo severo può sfociare in due diverse modalità di personalità adulta:
 Diventano irresponsabili, disordinati e hanno un atteggiamento verso il denaro da scialacquatori;
 Diventano ossessivi nell’ordine e nell’igiene, estremamente parsimoniosi e con senso del possesso.
Le feci, in questo stadio, per il bambino hanno una doppia valenza: a) qualcosa di buono da trattenere; b)
qualcosa di sporco da espellere. Inoltre rappresentano un dono da offrire ai genitori (una propria creazione).
LO STADIO FALLICO (da 3 a 5 anni)
In questo stadio l’energia libidica è a livello genitale, nonostante l’immaturità organica.
L’aspetto cardine di questa fase per Freud è la scoperta del fallo nei maschi e l’assenza del fallo nelle femmine.
Inoltre, l’oggetto investito della pulsione fallica è la madre.
Da ciò deriverebbe il complesso di Edipo (con riferimento alla tragedia di Sofocle in cui Edipo, dopo aver
ucciso senza sapere il proprio vero padre, ne sposa la vedova, ossia la propria madre, senza sapere chi ella fosse
in realtà), che possiamo definire come una struttura psichica in cui si organizzano i sentimenti ambivalenti
(amorosi / ostili) del bambino verso i genitori. Il bambino desidera la morte del genitore dello stesso sesso e
prova desiderio sessuale verso il genitore di sesso opposto. Inoltre, il bambino ha paura della castrazione (nel
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mito rappresentata dal tentativo del padre Laio di uccidere Edipo), e vive i desideri incestuosi (verso la madre) e
ostili (verso il padre) con grande senso di colpa. La risoluzione del complesso sta nella rimozione del desiderio
incestuoso e nell’identificazione col padre.
Per quanto riguarda la femmina, Freud postula una teoria, secondo cui ella provi invidia per il pene, ritenendosi
di esser stata castrata. Da qui il rimprovero verso la madre che l’ha mandata nel modo così poco equipaggiata, e
l’allontanamento da essa (primo oggetto d’amore) per avvicinarsi al padre, risolvendo così il complesso. A
differenza del maschio, la bambina non teme la castrazione (essendo priva del pene) per tanto l’angoscia è
minore, la rimozione conseguente è di minore intensità e l’identificazione col genitore dello stesso sesso (madre)
è meno forte.
LO STADIO DI LATENZA (da 5 anni alla pubertà)
La risoluzione del complesso di edipico, segna l’ingresso nel periodo di latenza, nel quale le pulsioni sessuali
sono meno accentuate e ridirezionate verso attività moralmente e socialmente accettate (come gli interessi socio-
culturali)
Tutto questo diventa possibile anche grazie ai meccanismi di difesa quali:
Formazione reattiva: l’impulso inaccettabile viene dominato tramite l’accentuazione della tendenza opposta
(es: odio vs. sollecitudine/amore)
Sublimazione: spostamento di pulsioni sessuali verso una meta che trova valorizzazione a livello sociale (es:
la creazione artistica o la ricerca intellettuale)
LO STADIO GENITALE (dall’adolescenza in poi)
Alle soglie della pubertà gli impulsi sessuali parziali (perché localizzati in determinate aree del corpo e con
finalità autoerotica) che erano stati rimossi, tornano vivi per effetto della maturazione fisica. Ora tali impulsi
vengono orientati verso l’altro e non più verso se stessi, in prospettiva di una sessualità adulta. Per Freud solo
la convergenza delle due correnti dirette verso l’oggetto sessuale e la meta sessuale, ossia la corrente affettuosa e
quella sensuale, assicura una vita sessuale normale.
40. IL CASO DEL PICCOLO HANS
È stata la prima analisi condotta su un paziente in tenera età. Tuttavia, va anche ricordato che Freud non vide mai
in prima persona il piccolo Hans, ma fu il padre di Hans stesso (medico e seguace di Freud) a raccogliere
informazioni, elaborare osservazioni e proporre interpretazioni, seppur sotto la supervisione di Freud. I temi
principali nel Caso del Piccolo Hans sono:
1) il complesso di Edipo;
2) il timore della punizione per la masturbazione;
3) la rivalità nei confronti dei fratelli.
All’età di 5 anni, Hans sviluppò una fobia verso i cavalli (paura di esserne morso e paura che il cavallo, trainante
carri o carrozze, rovesciasse il suo carico), tale da impedirgli di uscire di casa.
Hans, bambino sveglio e vivace, aveva scoperto ben presto l’interesse per il suo “pipino” e, sorpreso dalla madre
a masturbarsi, aveva subito la minaccia di castrazione (la madre gli aveva detto di smetterla con la
masturbazione altrimenti avrebbe chiamato il dottor A. a tagliargli il pipino). Inoltre, a 3 anni e mezzo era nata la
sua sorellina, e lui venne estromesso dalla camera dei genitori dove aveva dormito sino ad allora.
L’analisi compiuta identificò nel cavallo il rappresentante del padre di Hans, che attraverso il morso avrebbe
potuto castrarlo, mentre la paura che il cavallo si rovesciasse era il timore che la madre partorisse nuovamente.
Di Hans, furono altresì analizzate le bizzarra fantasie, come quella nella quale si metteva a sedere sopra una
piccola giraffa, schiacciandola. L’animale era la rappresentazione della sorellina, che Hans voleva distruggere
per gelosia.
La fobia si risolse, quando il bambino rimosse i desideri sessuali verso la madre, e si identificò col padre.
41. L’APPARATO PSICHICO SECONDO FREUD
Le 3 direttrici che descrivono l’apparato psichico sono:
 Il punto di vista dinamico (perché);
 Il punto di vista economico (come);
 Il punto di vista topico (dove), che a sua volta viene distinto in 1° e 2° topica.
Il punto di vista dinamico considera la psiche come un campo di forze in movimento, dove agiscono forze
motivazionali antagoniste, ciascuna con una propria meta (talvolta in conflitto). Tra le forze motivazionali,
particolare rilievo assumono le pulsioni istintuali, che per loro natura debbono restare inconsce. Il meccanismo
attuato dalla psiche per questa finalità è la rimozione, che può essere di 2 tipi:
 Primaria o originaria: che previene l’accesso alla coscienza dei rappresentanti ideativi (pensieri, ricordi,
immagini) della pulsione;
 Secondaria: la rimozione propriamente detta, ossia la repulsione da parte dell’Io o del Super-io di
rappresentazioni incompatibili con le proprie esigenze.
Il punto di vista economico concerne l’intensità e la quantità di forze psichiche in gioco (importo d’affetto). La
psiche mira a mantenere il livello di energia degli eccitamenti (pulsioni) basso, per evitare ingorghi. Per tale
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motivo l’importo d’affetto viene dapprima staccato dalle rappresentazioni inaccettabili (rimozione), per poi
legarlo a rappresentazioni neutre (spostamento).
Dal punto di vista economico la psiche è regolata da due processi:
 Processo primario, tendenza alla scarica immediata della tensione pulsionale anche attraverso un
soddisfacimento allucinatorio (come nei sogni, dove si attuano i meccanismi dello spostamento
[trasferimento d’accentuazione e intensità da una rappresentazione a un’altra, collegata alla prima da una
catena associativa] e della condensazione [concentrazione di più elementi psichici e dell’energia a essi
legata in un’unica rappresentazione dotata di notevole intensità]).
 Processo secondario, l’energia non è più libera (come nel principio di piacere) ma legata, e la scarica della
pulsione viene rinviata nel tempo, per soddisfare esigenze di realtà contingenti e valori.
Il processo primario risponde al principio di piacere, il secondario risponde al principio di realtà.
 Il principio di piacere ha per scopo quello della gratificazione immediata, ovvero di evitare il dispiacere e
di procurare piacere;
 Il principio di realtà rinvia la gratificazione in funzione delle condizioni imposte dal mondo esterno.
Il punto di vista topico, non è una localizzazione anatomica, bensì una metafora per spiegare i processi psichici.
Esso contempla:
 Prima Topica (1915)
 Inconscio: realtà profonda e primaria che risponde al principio di piacere, ed è alla base della vita
cosciente, determinandola. Contiene le pulsioni e i contenuti psichici che non entrano nel campo
della coscienza. Il suo nucleo è dato dal rimosso originario e secondario relativo alle prime
esperienze infantili.
 Preconscio: zona di transizione i cui contenuti sono soprattutto pensieri latenti e ricordi che possono
essere ritualizzati. Dal Preconscio al Conscio opera la censura, che seleziona i contenuti ed è
responsabile del livello di attenzione. L’energia del Preconscio è legata e caratterizzata dal processo
secondario.
 Conscio: componente psichica che riguarda la consapevolezza di sé. I contenuti rispondono al
principio di realtà, con rappresentazioni legate e organizzazione che risponda al processo secondario.
 Seconda Topica (1923)
 Es: termine tedesco analogo al latino neutro singolare ‘Id’. In questa istanza vige il principio di
piacere, ed è la parte più ampia di tutto l’apparato psichico. Secondo l’autore, l’Es è luogo del
rimosso e delle eredità filogenetiche dei nostri antenati. L’Es è sovrapponibile all’inconscio della
prima topica.
 Io: è l’istanza tipica della coscienza. Nonostante l’Io sia ampliamento del conscio, una sua parte
rimane nell’inconscio dal quale ha avuto origine.
L’io è un mediatore, in quanto deve conciliare le pulsioni dell’Es e le richieste del Super-io (conflitto
intrapsichico), tra mondo interno e mondo esterno (conflitto interpsichico). L’Io è sede dei
meccanismi di difesa che operano però a livello inconscio. L’insuccesso nel lavoro di mediazione
dell’Io, è una spiegazione della nevrosi.
 Super-io: è il principio di autorità, e nasce dall’introiezione delle norme, dei divieti e delle
prescrizioni genitoriali. Si sviluppa in seguito alla risoluzione del Complesso di Edipo: il bambino si
identifica col genitore, incorporandolo.
Sempre secondo Freud, un Super-io forte è appannaggio dei maschi, poiché l’identificazione col
padre è molto potente a causa della paura di castrazione; mentre nelle femmine si svilupperebbe un
super-io più debole, perché non devono vivere la paura della castrazione, e quindi con minore
interiorizzazione di norme e valori.

42. JOHN BOWLBY


Studiò medicina e psicologia a Cambridge, specializzandosi poi in psichiatria infantile e psicanalisi, entrando a
far parte della Società Psicanalitica Britannica. Dal 1946 lavorò presso la Tavistock Clinic, divenendo direttore
del dipartimento infantile che ribattezzò ‘Dipartimento dei Bambini e dei Genitori’. Nel 1950 svolse per incarico
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità una ricerca sulle condizioni psichiche dei bambini orfani e
istituzionalizzati (quindi privati del nucleo familiare). Lo studio evidenziò come la presenza di una figura
materna, o di un suo stabile sostituto, fosse fondamentale per lo sviluppo psicologico armonico del bambino.
L’eco che ne seguì fu tale da suscitare in Gran Bretagna una critica riflessione sull’assistenza dei bambini
ospedalizzati e sulle politiche relative alle cure infantili.
Bowlby proseguì la sua ricerca sull’effetto delle separazioni precoci, che lo portò a identificare tre fasi di
risposta alla separazione:
1. Protesta (il bambino cerca in tutti i modi il genitore anche con pianti, attacchi d’ira…)
2. Disperazione (collegata al lutto e al cordoglio, con una fase depressa e di ritiro)
3. Distacco (la riorganizzazione per allontanare il sentimento di dolore).
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In polemica, ma anche in dialogo serrato col modello psicanalitico, Bowlby e collaboratori (tra cui Mary
Ainsworth) elaborarono una teoria dello sviluppo psicologico incentrato sul concetto di attaccamento.
43. TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
È una teoria dello sviluppo psicologico incentrato sul concetto di attaccamento, ovvero quella tendenza
innata a stabilire legami con individui della stessa specie, in particolare con figure genitoriali primarie. La
teoria dell’attaccamento studia il legame madre-bambino, e le modalità che questo processo fonda poi, la
costruzione dei futuri legami affettivi dell’individuo adulto.
La teoria, al tempo in cui Bowlby la propose, fu una vera innovazione che si distaccava dal comportamentismo
(in particolare dall’apprendimento sociale) e dalla psicanalisi, allora dominanti.
Il comportamentismo spiega il legame d’attaccamento come effetto di un rinforzo secondario, associato ad un
rinforzo primario che è conseguenza della soddisfazione di un bisogno primario (es: il cibo per chi ha fame è un
rinforzo primario, e poiché il cibo è dato dalla madre, essa diventa un rinforzo secondario).
Secondo la psicanalisi invece, il bambino si trova in una fase di narcisismo primario, con interessi convergenti
sul proprio corpo perché fonte di piacere. Il bambino si attaccherebbe alla madre, perché grazie ad essa fa
esperienza di soddisfacimento dei bisogni e del piacere ad essi collegato. Secondo la psicanalisi l’attaccamento è
una fissazione ad uno stadio precedente di sviluppo che persiste in modo immaturo e talvolta nevrotico con i
legami normali che via via si sviluppano.
Inoltre, nella teoria elaborata da Bowlby, confluirono prospettive evoluzionistiche, in particolare gli studi dello
statunitense Harry Harlow, sui legami affettivi dei primati e sulla deprivazione di cure materne nei piccoli di
scimmia rhesus.
Utilizzando delle madri fantoccio, una ricoperta di spugna che creava un morbido contatto e l’altra di rete
metallica che sorreggeva il biberon, Harlow dimostrò come i cuccioli di scimmia trascorressero gran parte del
loro tempo a contatto col pupazzo morbido, mentre andavano dal fantoccio metallico solo per nutrirsi.
Ciò ha evidenziato che la ricerca di vicinanza e contatto siano indipendenti dalla nutrizione e dalle soddisfazioni
derivanti.
Lo studio ha altresì dimostrato, quando nella gabbia veniva inserito un oggetto spaventoso e nuovo, che i
cuccioli preferissero cercare protezione e sicurezza presso il fantoccio morbido anziché quello metallico. Le
scimmiette, dapprima si rifugiavano dal surrogato materno morbido, e in seguito quando si sentivano rincuorati,
iniziavano a esplorare l’oggetto nuovo.
Quando Bowlby lesse le tesi dell’etologo Konrad Lorenz, intuì come l’attaccamento nella specie umana traesse
origine dall’evoluzione, poiché è un bisogno primario funzionale alla sopravvivenza della prole (nutrimento,
interazioni sociali, protezione da predatori).
L’ontogenesi dell’attaccamento (ovvero lo sviluppo dell’attaccamento nel singolo individuo) procede per
fasi:
 Preattaccamento (0-3 mesi) nei quale il bambino attua comportamenti di segnalazione per avvicinare
l’adulto (pianto, vocalizzi, sorriso, suzione), senza tuttavia distinguere voci e volti.
 Attaccamento in formazione (3-8 mesi) l’interesse e il piacere viene manifestato verso la figura di
accudimento primario (in genere la madre). Trova consolazione se è la madre a consolarlo, ma non protesta
o mostra segni di sofferenza se lei si allontana.
 Attaccamento vero e proprio (8 mesi ai 2/3 anni) usa la madre come base sicura per le sue esplorazioni
avendo iniziato a muoversi in autonomia. Mostra ansia da separazione dalla madre se questa si allontana, e
angoscia/paura dell’estraneo.
 Rapporto reciproco (dai 3 anni in poi) lo sviluppo cognitivo, linguistico ed emotivo del bambino
migliorano non solo le rappresentazioni del caregiver, ma anche la comprensione degli stati mentali degli
altri. Ciò consente al bambino di mettere in atto una serie di situazioni via via sofisticate per mantenere la
vicinanza col caregiver (persuadere, tenere il broncio, lusingare, sedurre…)
 Ulteriori sviluppi dell’attaccamento con diminuzione della paura degli estranei e disponibilità a instaurare
rapporti anche con altre figure, tolleranza maggiore ai brevi periodi di allontanamento dalla madre.
Definiamo Modelli Operativi Interni (MOI) o Internal Working Models, quei modelli che derivano da
esperienze precoci e ripetute intervenute nella relazione di attaccamento, che una volta interiorizzati dal
bambino, diventano un modello cognitivo che guida il comportamento e le aspettative che egli ha sul
mondo. I MOI permettono di prevedere e spiegare i rapporti con le figure significative.
I MOI (o IWM) si costruiscono nel corso dello sviluppo del bambino come frutto dell’interiorizzazione di
esperienze ripetute interattive tra sé e la figura di attaccamento.
La qualità dell’interazione tra il bambino e la figura di attaccamento viene quindi tradotta in una serie di
rappresentazioni mentali che costituiranno la base delle future interazioni: ovvero quegli schemi mentali che
saranno una sorta di filo conduttore nelle future relazioni interpersonali da adulto.
Il MOI della figura di attaccamento deriva essenzialmente dal tipo di qualità di esperienza vissuta con lei, ossia
da quanto questa sia dimostrata sensibile, disponibile, coerente, prevedibile e così via.
Nel concetto di MOI è implicito l’assunto della trasmissione intergenerazionale delle relazioni di attaccamento:
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ovvero la possibilità di trasmettere inconsapevolmente come genitori quella sicurezza o insicurezza che abbiamo
vissuto come figli.
Il MOI dell’io del bambino viene invece, costruito in maniera speculare a quanto egli sia accettabile o
inaccettabile agli occhi della propria figura di attaccamento.
Va fatta una distinzione tra:
 Comportamento di attaccamento: insieme di azioni e reazioni osservabili nel bambino che promuovono
la vicinanza al caregiver, come ad esempio la segnalazione (pianto, sorriso, lallazione, richiamo,
supplica…) o l’avvicinamento (aggrapparsi, muoversi o camminare verso…);
 Sistema comportamentale di attaccamento: quei programmi innati (specie-specifici) e la loro
organizzazione all’interno dell’individuo. Tale sistema prevede l’equivalenza funzionale, cioè che tutti i
comportamenti poi attuati dal bambino hanno la finalità di avvicinarsi alla madre, ma sono flessibili per
consentire l’adattamento alle caratteristiche stesse del bambino e all’ambiente.
 Legame di attaccamento (o attaccamento tout court): la relazione durevole ed emotivamente
significativa con una persona specifica, nella quale troviamo conforto e sicurezza.
44. MARY AINSWORH
Mary Salter si laureò nel 1935 in Psicologia a Toronto, e fu da subito influenzata dalla Teoria della Sicurezza
proposta dal suo relatore di tesi William Blatz. Secondo la teoria il bambino necessita di sviluppare una
dipendenza sicura dai genitori, che gli consentirà di apprendere le capacità e sviluppare le conoscenze che
renderanno possibile il fare affidamento su di sé e diventare autonomo. La dipendenza sicura dai genitori, deve
essere seguita da una dipendenza sicura dai pari e successivamente dal partner.
Già docente all’università di Toronto, Mary nel 1950 sposò Leonard Ainsworth un veterano della 2° Guerra
mondiale, che si era da poco laureato all’università dove lei insegnava. Successivamente la coppia si trasferì a
Londra affinché Leonard potesse svolgere gli studi di dottorato senza essere nella posizione di marito e al
contempo allievo della sua insegnate.
In Inghilterra Mary entrò a far parte dell’equipe di Bowlby presso la clinica Tavistock, e venne in contatto con le
teorie da lui proposte. Quando il marito Leonard partì per l’Uganda, Mary lo seguì e, svolse una ricerca sul
campo, relativa alla relazione madre-bambino. Tali ricerche la convinsero dalla validità delle supposizioni di
Bowlby e delle basi etologiche a sostegno di tali idee.
Quando la coppia tornò negli USA si separò, e lei proseguì la sua carriera all’università di Baltimora.
La Ainsworth qui fece un importante studio longitudinale a breve termine sullo sviluppo dell’attaccamento,
chiamato studio longitudinale di Baltimora. A partire dalle 3 settimane di vita fino al compimento d’anno di
età, i bambini venivano osservati nel loro contesto naturale (a casa coi genitori) per 4 ore consecutive a cadenza
tri-settimanale. Ciò consentì di avere un monte ore di osservazione piuttosto rilevante, alle quali fu affiancata
una situazione di laboratorio denominata ‘strange situation’.
Nel 1975 si trasferì in Virginia proseguendo il suo lavoro nell’ambito della psicologia dello sviluppo.
Rimase in contatto con Bowlby nonostante la distanza.
45. STRANGE SITUATION
Si svolgeva in laboratorio, in una stanza accogliente e con giocattoli che attraessero il bambino a giocare, (ma
ambiente nuovo per il bambino). Nella stanza adiacente, nascosto da uno specchio unidirezionale, erano
posizionati gli sperimentatori e gli apparecchi per le video registrazioni.
I soggetti coinvolti erano un bambino di 12-18 mesi e in buone condizioni (quindi non affamato, malato o ferito),
la madre o caregiver, e un’estranea.
La Strange Situation si suddivide in 8 episodi, il primo della durata di un minuto e gli altri della durata di 3; era
possibile accorciarli se necessario. Gli episodi:
1) Episodio 1: madre + bambino entrano nella stanza (1 minuto);
2) Episodio 2: madre + bambino madre incoraggia il bimbo a giocare poi si siede e legge (3 minuti);
3) Episodio 3: madre + bambino + estranea estranea entra e si mette a leggere (1 minuto) poi parla con la
madre (1 minuto), poi gioca col bambino (1 minuto).
La madre esce 1° SEPARAZIONE;
4) Episodio 4: bambino + estranea estranea resta a giocare con il bambino poi si siede a leggere; se il
bambino è inconsolabile l’episodio viene accorciato: dura 30” se è molto inconsolabile e dura 60” se è
moderatamente inconsolabile;
5) Episodio 5: madre + bambino madre bussa, chiama e rientra: 1° RIUNIONE E SIGLATURA; estranea
esce e alla fine del 3° minuto esce anche la madre;
6) Episodio 6: bambino è solo, se inconsolabile l’episodio viene accorciato;
7) Episodio 7: bambino + estranea estranea bussa, chiama ed entra. Se necessario consola il bambino;
8) Episodio 8: madre + bambino la madre bussa, chiama e rientra: 2° RIUNIONE E SIGLATURA; estranea
esce, se necessario la madre consola il bambino e lo riavvia al gioco.
La Strange Situation offre al ricercatore diverse indicazioni:
 Ricorso alla madre come “base sicura”;
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 Risposta all’uscita della madre e al suo ritorno;


 Risposta ad una persona estranea.
La siglatura avviene su 2 episodi (5 e 8) secondo 4 variabili misurate su una scala a 7 punti. Le variabili:
 Comportamento di ricerca della vicinanza e contatto: valuta intensità e persistenza con cui il bambino
cerca di raggiungere la vicinanza con la madre;
 Comportamento di mantenimento del contatto: valuta la persistenza degli sforzi per mantenere il contatto
una volta raggiunto;
 Comportamento di resistenza al contatto: valuta intensità, frequenza o durata di comportamento di
resistenza (ritrosia, riluttanza) al contatto (imbronciato, strilla per essere messo a terra, talvolta ha attacchi
d’ira, getta via i giocattoli, scalcia). È un comportamento ambivalente perché si alterna a sforzi di
mantenimento del contratto con la persona che prima era stata rifiuta.
 Comportamento di evitamento: valuta intensità, persistenza e durata di situazioni in cui il bambino evita
vicinanza o interazione. Si osservano elementi come saluti, sguardi o inviti a interagire il bambino si gira
dall’altra parte e presta attenzione al gioco. Sembra avere un umore neutro, con cui cela risentimento.
46. STILI DI ATTACCAMENTO e SCALE DI VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO
MATERNO
Mary Ainsworth classificò il legame di attaccamento all’interno di tre gruppi principali (il primo sicuro gli altri
due nella categoria insicuro):
Attaccamento sicuro: il bambino usa la madre come base sicura per esplorare attivamente l’ambiente, mostra
segni di perdita durante le separazioni e al ritorno corre incontro alla madre, se ha sofferto durante la separazione
si fa consolare e poi ritorna a giocare.
Attaccamento evitante: il bambino mostra indifferenza alla presenza o meno della madre, non piange durante le
separazioni, evita o ignora il genitore al suo ritorno, si allontana se viene preso in braccio dalla madre.
Attaccamento ambivalente o resistente: il bambino si mantiene in stretto contatto col genitore, non esplora
l’ambiente e appare preoccupato. In assenza della madre mostra segni intensi di sconforto, ma al suo ritorno,
dapprima si avvicina per farsi consolare per poi allontanarla e rifiutarla quando lei è disposta al contatto. Il
bimbo mostra segni di rabbia e non si lascia consolare.
Main e Solomon (1990) avevano osservato la presenza di una nuova categoria di comportamento infantile nella
Strange Situation:
Attaccamento disorientato-disorganizzato , il bambino manca totalmente di una strategia per affrontare lo
stress da separazione: può mettere in atto comportamenti stereotipati, interrotti o incoerenti tra loro verso la
madre.
L’ipotesi è che questi bambini abbiano esperienza del caregiver come fonte di conforto, ma al contempo come
fonte di allarme, perciò si attivano risposte contraddittorie, perché debbono affrontare una situazione paradossale
in cui la madre è rifugio sicuro, ma suscita anche paura.
I comportamenti attuati sono:
 Stereotipie o asimmetrie nei movimenti (dondolarsi, posture o vocalizzazioni anomale);
 Immobilizzazione, il bambino immobile nella posizione in cui si trova, non contraria alla forza di gravità
(es: bambino si butta a terra e rimane immobile);
 Congelamento, il movimento si blocca come congelato, contrariamente alla forza di gravità (es: un braccio
che rimane in alzato a metà);
 Espressioni facciali di terrore e confusione;
 Indici di paura verso il genitore (coprirsi il viso, nascondersi, scappare…);
 Indici diretti di disorganizzazione come salutare e interagire con l’estranea, anziché col genitore al suo
ritorno, oppure alternare comportamenti incoerenti in sequenza.
 Un tempo era convinzione che il bambino sviluppasse attaccamento unicamente verso una figura
privilegiata (di solito la madre), mentre oggi sì è più propensi a credere che il bambino sviluppi legami
di attaccamento con più persone significative, attraverso una gerarchia.
Nell’osservazione diretta delle madri e dei bambini, che avveniva in ambiente domestico per 4 ore, a cadenza tri-
settimanale, è stato possibile evidenziare dei pattern (modelli) di comportamento materno, da cui poi si sono
compresi i differenti stili di attaccamento del bambino. Furono così messe a punto le scale di valutazione del
comportamento materno, che contemplano 4 variabili:
1) Sensibilità – Insensibilità misura la risposta della madre ai segnali e alle richieste del bambino.
- Sensibile: madre che assume la prospettiva del figlio e risponde prontamente;
- Insensibile: madre che modella interventi e iniziative quasi sempre sul proprio volere.
2) Accettazione – Rifiutomisura il grado di sentimenti negativi e positivi che la madre nutre verso il
bambino, e come ella sia capace di risolvere tale conflitto.
- Accettante: tollerante verso comportamenti fastidiosi del bambino (es: attacchi di rabbia);
- Rifiutante: madre che vive o esprime rabbia, risentimento o rifiuto verso il bambino.
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3) Cooperazione – Interferenzamisura il grado in cui una madre percepisce il bambino come entità
separata da sé, e come riesce a trovare il punto di equilibrio tra le esigenze di entrambi.
- Cooperativa: rispetta l’autonomia del bimbo, evita di interromperlo, decide assieme a lui;
- Interferente: impone i suoi voleri, cerca di modellare il bambino a suo piacimento, a prescindere
dai segnali del bambino.
4) Disponibilità – Indifferenza misura il grado di attenzione, la sintonizzazione della madre sul figlio.
- Disponibile: madre sintonizzata sul figlio, che ascolta suoi i segnali sia lui vicino o lontano;
- Indifferente: madre presa da sé, che non nota i segnali del figlio, sembra notarlo solo quando egli
si presta per qualcosa di già programmato da lei.
Com’è facilmente intuibile, le madri dei bambini con attaccamento sicuro, risultavano essere le più responsive,
sensibili, cooperanti, accettanti e disponibili.
Mentre le madri dei bambini con attaccamento evitante o resistente, presentavano gradi di rifiuto, indifferenza e
interferenza.
47. ADULT ATTACHMENT INTERVIEW (AAI)
Negli Anni ’80 Kaplan, Main e Cassidy, ipotizzarono di differenziare i modelli di attaccamento adulto sulla base
dei pattern di attaccamento avuto nell’infanzia. A tale scopo è stato sviluppato l’Adult Attachment Interview
(AAI), un questionario semi-strutturato che permette di classificare i modelli rappresentativi interni del sé e delle
figure di attaccamento in età adulta. L’intervista dura circa 1 ora, e ripercorre le esperienze infantili coi genitori.
Sono stai individuate 4 categorie:
1) Adulto F (Free) che deriva dall’attaccamento sicuro, per cui avremo adulti autonomi e liberi;
2) Adulto DS (Dismissing) che deriva dall’attaccamento evitante, per cui avremo adulti emotivamente
distanzianti;
3) Adulto E (Entangled) che deriva dall’attaccamento resistente/ambivalente, per cui avremo adulti
preoccupati o bisognosi di sostegno e attenzione, oppure non si fidano degli altri;
4) Adulto U (Unresolved) che deriva dall’attaccamento disorganizzato, per cui avremo adulti disorganizzati e
non risolti.
48. STADIO PREOPERATORIO O PRIMA FANCIULLEZZA O 2^ INFANZIA (2 – 6 ANNI)
È caratterizzata dalla fioritura del linguaggio, del gioco e del disegno. Viene anche detta età prescolare o età del
gioco, ponendo enfasi sul fatto che il gioco svolge un ruolo basilare nello sviluppo intellettuale, emotivo e
sociale del bambino (per Piaget corrisponde allo stadio preoperatorio).
SVILUPPO DEL LINGUAGGIO
Successiva alla cosiddetta esplosione del vocabolario (intorno ai 18 mesi, nello stadio sensomotorio), abbiamo
l’esplosione grammaticale (2-3 anni circa, nello stadio preoperatorio). Infatti in questa fase gli enunciati
divengono sempre più lunghi, complessi e con preposizioni subordinate.
In questo stadio Piaget identificava due tipi di linguaggio che si succedevano in maniera inversamente
proporzionali nella fase:
 Linguaggio egocentrico, dove non si avverte alcuna esigenza comunicativa. È composto da monologhi
rivolti a sé, senza considerare il punto di vista dell’altro. Ciò accade anche in gruppi di bambini della stessa
età, in cui ciascuno fa il proprio monologo (monologo a due o collettivo);
 Linguaggio socializzato, dove vi è l’intento di scambiare il proprio pensiero, chiedere o dare informazioni,
influire sul comportamento degli altri.
L’ipotesi di Vygotskji ritiene invece, che la funzione originaria del linguaggio, in bambini e adulti, sia la
comunicazione. Per tanto anche il linguaggio del bambino è sociale. Esso non deriva dal pensiero e non si pone,
originariamente, come suo strumento, bensì le linee di sviluppo del pensiero e del linguaggio, (concepite in
origine come separate o parallele) nel corso dello sviluppo del bambino si incontrano, e allora il pensiero diventa
verbale e il linguaggio razionale. L’autore individua:
 Linguaggio privato (o egocentrico), un pensiero ad alta voce che aumenta nei momenti di difficoltà e
influisce sul comportamento dei bambini, aiutandoli a comprendere e risolvere situazioni difficili;
 Linguaggio interiore, è il pensiero riflessivo e silenzioso con funzione di autoregolazione.
SVILUPPO DEL GIOCO SIMBOLICO
Piaget identifica nello stadio preoperatorio lo sviluppo del gioco simbolico (o di finzione), dove in esso gli
oggetti non sono considerati unicamente per ciò che sono, ma anche come simboli di altri oggetti non presenti , il
che consente di evocare situazioni passate e immaginare eventi.
Lorraine McCune individuò 5 livelli di sviluppo del gioco simbolico a sequenza costante, ma ad alta variabilità
individuale di comparsa, secondo 3 parametri:
 Decentramento delle azioni (coinvolgimento di persone o oggetti al posto di);
 Decontestualizzazione delle azioni (usare oggetti per simulare altri oggetti);
 Integrazione di diverse attività simboliche.
Sempre secondo l’autrice il gioco si sviluppa in 5 livelli:
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1. Schemi pre-simbolici azione e significato sono uniti (es: bere da un bicchiere);


2. Schemi auto-simbolici appare la consapevolezza tra ciò che è reale e ciò che è per finta (es: bere
rumorosamente);
3. Gioco simbolico decentrato il bambino applica ad altri gli schemi simbolici che conosce (dà da bere alla
bambola);
4. Gioco simbolico combinatorio sequenza di azioni secondo un ordine temporale e causale (prepara il caffè
e lo serve alla mamma);
5. Gioco simbolico gerarchico l’attività di finzione non è più guidata da oggetti, ma da un processo mentale
(gioco socio drammatico, dove il bambino interpreta un ruolo tenendo conto della propria parte e di quella degli
altri=role-taking).
Secondo diversi autori le funzioni emotive del gioco sono molteplici: mezzo per liberarsi di un surplus di
energia, esercizio di abilità da adulti, sviluppo dei ruoli sociali e del Sé, manifestazione di bisogni profondi e di
aspetti conflittuali, realizzazione di desideri insoddisfatti. (vedi paragrafo 66, pag. 37)
SVILUPPO DEL DISEGNO
Il disegno è una rappresentazione grafica di un oggetto reale o immaginario, eseguita con mezzi naturali o
appositi strumenti. Esso costituisce una delle più importanti attività motorie ed espressive del bambino che
acquisisce gradualmente il controllo della propria manualità, giungendo al disegno rappresentativo verso i 3-4
anni.
Intorno ai 12 mesi il bambino tenta di tracciare dei segni, mentre già al 2° anno di vita abbiamo degli scarabocchi
che tuttavia, sono fatti per il piacere di farli e non con un intento rappresentativo-simbolico.
Il disegno non ha base innata come il linguaggio, è necessario l’apprendimento, che è comunque rapido, poiché
in ogni parte del mondo i bambini vengono a contatto con le immagini (es: effigi sacre, mappe, quadri,
manifesti...).
Tra le figure che compaiono per prime nei disegni è l’omino testone (un cerchio grande per la testa e delle linee
per gli arti). Verso i 4/5 anni abbiamo forme chiuse per i volumi. Nei 5/7 anni abbiamo la figura a blocchi (un
cerchio per la testa, un rettangolo per il tronco e le mani a petalo). Dopo i 7 anni appariranno profili e il
movimento.

49. GLI STADI DI LUQUET (SVILUPPO DEL GRAFISMO NELL’INFAZIA)


Secondo il francese Luquet, l’obiettivo principale del bambino nel disegno è il realismo.
Le fasi in cui si evolve il disegno infantile sono 4:
 Realismo fortuito (2 anni): all’inizio il disegno è un’estensione dell’attività motoria che viene catturata su
un supporto (scarabocchi). Successivamente, verso i 2 anni, il bambino inizia a trovare delle analogie tra il
proprio disegno e la realtà, considerandolo una rappresentazione di essa. In questa fase è completamente
assente l’intenzione di tracciare un aspetto concreto della realtà. Per Piaget e Inhelder, il bambino in questa
fase fa ricorso solo ad alcune relazioni topologiche.
 Realismo mancato (2 ½ - 4/5 anni): appare l’intenzione figurativa, ma il bambino incontra i limiti del
controllo motorio non ancora sufficientemente affinato, nonché la discontinua e limitata capacità di
attenzione (alcuni dettagli vengono trascurati). L’aspetto più saliente di questa fase è l’incapacità sintetica,
ossia la difficoltà di organizzare, disporre e orientare i diversi elementi nel disegno. Per Piaget e Inhelder
ciò è conseguenza della non padronanza dei rapporti topologici.
 Realismo intellettuale (5-8 anni): il bambino migliora le sua abilità di rappresentazione e i disegni si
arricchiscono di particolati. Tuttavia, il bambino rappresenta la realtà per come la vede, non per quella che
essa è. L’importanza viene data alla riconoscibilità degli oggetti, per tanto le caratteristiche sono la
trasparenza (oggetti che in realtà sono nascosti, nel disegno sono visibili) e la mancata prospettiva
(ribaltamenti, oppure dimensioni non coerenti col punto di fuga).
 Realismo visivo (dopo gli 8 anni): il bambino inizia a disegnare la realtà per come la vede. Elimina gli
oggetti non visibili, adotta un’unica prospettiva e mantiene le proporzioni delle dimensioni. Per Piaget e
Inhelder ciò è dovuto all’acquisizione della piena padronanza delle relazioni euclidee e proiettive.
Alla soglia dell’età prescolare i bambini sanno padroneggiare gli equivalenti pittorici, ossia delle forme che
possono rappresentare in modo inequivocabile gli oggetti.
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I disegni infantili, come pure i disegni degli adulti non artisti, sono ricchi di figure canoniche forme ricorrenti
ad alta riconoscibilità e semplicità (es: casa col tetto a punta, anche per chi vive in un condominio di città).
Le figure canoniche si distinguono per: essere centrate sull’oggetto (ossia viene fatta una rappresentazione
dell’oggetto che meglio ne fa cogliere le caratteristiche), e centrate sull’osservatore (viene preso in
considerazioni il punto di vista dell’osservatore).
I bambini non si impegnano nel disegno sempre allo stesso modo. Infatti, è fondamentale capire il contesto in cui
un disegno viene prodotto (a casa, a scuola, per svago) e ciò ha una ricaduta sullo scopo e sul risultato finale
(variabilità intraindividuale).
Infine, una riflessione va fatta sull’arte infantile. Essa è frutto dell’interazione tra:
- Influenze culturali e pedagogiche;
- Vincoli cognitivi, procedurali e motivazionali del bambino;
- Guida indiretta (lodi o critiche).
Si è osservato come lo sviluppo artistico segua un andamento a U.
Le produzioni grafiche dei bambini sono più interessanti per elementi compositivi e cromatici, ma con il
perseguire l’obiettivo del realismo, i disegni perdono le caratteristiche che li definiva. Inoltre, molti bambini
iniziano a perdere interesse in questo ambito, perché pensano che le loro capacità non permetta di creare disegni
che si avvicinino alla realtà. Solo gli adolescenti dotati di talento proseguiranno nello sviluppo creativo-artistico.
50. I CONCETTI SECONDO PIAGET
I concetti, nella loro forma matura, sono il risultato di un processo di astrazione, derivati dalla categorizzazione
di oggetti o eventi in base a proprietà e relazioni considerate comuni.
Per Piaget (che si rifà alla concezione aristotelica), i concetti sono quindi collegati tra loro attraverso i principi
di:
 Classificazione gerarchica (o categorizzazione)
Nella classificazione gerarchica il collegamento può essere superordinato o subordinato.
Es: gatto animale (legame superordinato); gattosiamese (subordinato)
L’operazione corrispondente sono rispettivamente addizione e sottrazione.
 Classificazione incrociata
La classificazione incrociata tiene conto della compresenza di 2 proprietà appartenenti a 2 diversi concetti
che sono allo stesso livello.
Es: negli esseri umani ci sono maschi e femmine, ma ci sono anche adulti e bambini (4 classi)
L’operazione corrispondente è la moltiplicazione
Sempre nella visione di Piaget, il pensiero dei bambini nello stadio preoperatorio, non possiede queste
caratteristiche, per tanto non si può parlare di concetti, semmai di pre-concetti. Oltre ciò, i bambini non
sarebbero in grado di compiere ragionamenti deduttivi (dal generale al particolare), né induttivi (dal particolare
al generale). Essi riescono a fare ragionamenti dal particolare al particolare (transduttivi).
51. OPERAZIONI DI CLASSIFICAZIONE E SERIAZIONE – IRREVERSIBILITÀ,
CONSERVZIONE, CAUSALITÀ
La classificazione è quel processo di raggruppamento (materiale o mentale) di oggetti o eventi in gruppi,
individuando le qualità e le relazioni comuni (es: classificare distinguendo i cani dai gatti).
Piaget attraverso dei compiti assegnati a dei bambini dai 2 ai 5 anni, ha postulato che essi mancano della capacità
di classificazione gerarchica e incrociata, per tanto essi non raggruppano, bensì costruiscono:
 Delle collezioni figurali (es: triangolo + quadrato per creare una casetta);
 Delle collezioni tematiche (es: unisce figura di uomo e cane, perché l’uomo porta a spasso il cane);
 Criteri di somiglianza variandolo di volta in volta (es: per forma, per colore; sempre a coppie adiacenti).
Verso i 5/6 anni invece, i bambini riescono a raggruppare gli oggetti sulla base di una caratteristica comune,
dimostrando di averne la rappresentazione mentale. Tuttavia, i bambini hanno ancora difficoltà nelle addizioni in
classi, né riescono a fare collegamenti tra oggetti che divergono per una caratteristica, ma si somigliano per
un’altra.
Per valutare lo sviluppo delle operazioni di classificazione Piaget forniva ai bimbi, dei compiti particolari:
 Compito per l’addizione in classi, venivano date 20 perle di legno, 17 nere + 3 bianche, e veniva chiesto se
fossero di più le perle nere o le perle di legno. I bambini minori di 8 anni rispondevano che le perle nere
erano maggiori (manca il collegamento superordinato: ‘perle di legno’ è la categoria superiore).
 Compito di classificazione moltiplicativa, veniva richiesto di individuare tra un insieme di oggetti diversi,
quello che poteva essere collocato nell’incrocio tra una colonna e una fila di altri oggetti, perché possedeva
delle proprietà comuni, con gli uni e gli altri.
La seriazione è l’organizzazione (materiale e o mentale) degli elementi in base a determinati criteri (es: mettere
in ordine dei bastoncini di diversa lunghezza dal più lungo al più corto).
Per valutare lo sviluppo delle operazioni di seriazione Piaget forniva ai bimbi, dei compiti particolari:
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 Compito di seriazione additiva, mettere in ordine dei bastoncini dal più lungo al più corto. I bambini fino ai
6 anni circa, riescono a fare questa operazione solo confrontando una coppia di bastoncini alla volta.
 Compito di seriazione moltiplicativa , ordinare degli oggetti tenendo conto di due relazioni alla volta. Ai
bambini veniva chiesto di ordinare in una tabella a doppi entrata dei bicchieri di diversa altezza e larghezza.
Solo i bambini di 7/8 anni riuscivano a superarlo.
Per Piaget, nel periodo preoperatorio le operazioni mentali sono caratterizzate dalla irreversibilità, ossia
l’impossibilità di annullare, invertire o compensare un risultato. L’irreversibilità inoltre, non consente di tener
presenti due fasi distinte di un processo, ma una cosa per volta, con impossibilità a risalire dalla seconda alla
prima. A sostegno di tale ipotesi abbiamo il fallimento nelle operazioni di classificazione e seriazione e
conservazione.
La conservazione è invece, la comprensione che certe proprietà delle cose restano invariate anche se cambia il
loro modo di apparire. Nell’esperimento un bambino osservava il travaso di un liquido, da un bicchiere basso e
largo, in un bicchiere alto e stretto. Poi gli veniva chiesto se il volume del liquido travasato fosse lo stesso. I
bambini nello stadio preoperatorio rispondevano che c’era più liquido nel bicchiere più alto.
La causalità è la connessione che stabilisce tra due entità un rapporto per cui la seconda è univocamente
prevedibile a partire dalla prima. Per Piaget, i bambini nello stadio preoperatorio non distinguono tra causalità
personale (desideri e credenzemi alzo, vado in frigo e prendo uno yogurt) e causalità impersonale (come per
esempio la causalità meccanicale foglie si muovono per il vento).
52. DISTINZIONE TRA MONDO ESTERNO E MONDO INTERNO
ANIMISMO/ARTIFICIALISMO/FINALISMO
Secondo Piaget la peculiarità principale del periodo preoperatorio è l’egocentrismo intellettuale, ossia la
tendenza del bambino a prendere come assoluto il proprio punto di vista, senza considerare la possibilità che ne
esistano altri.
Tale limite ha come conseguenza la confusione tra mondo esterno (fisico, materiale) e mondo interno (psichico),
ad esempio i sogni vengono raccontati come qualcosa di reale, visibile anche dagli altri, e non onirico. La
confusione seguirebbe 3 tendenze:
 Animismo attribuire vita, coscienza o intenzione a ciò che è inanimato (es: “il sole va via quando piove
perché non vuole bagnarsi”);
 Artificialismo credere che piante, animali o corpi celesti siano prodotti dall’uomo (es: “le montagne
sono state fatte per sostenere il cielo”);
 Finalismo dare spiegazione degli eventi in virtù di una loro utilità per l’uomo (es: “la gallina fa l’uovo
perché lo si possa mangiare”).

53. CRITICHE A PIAGET e TEORIA DELLA MENTE


La Teoria di Piaget fu messa in discussione negli anni ’70, quando numerosi studi dimostrarono che il pensiero e
le abilità nei bambini fossero molto più variabili ed eterogenei di quanto postulasse la teoria stadiale.
È stato dimostrato che le prestazioni inadeguate dei prescolari non sono da ricondurre alla mancanza di
competenza, bensì alla insufficienza nelle prestazioni (data da limiti di memoria e attenzione, scarso interesse,
cattiva comprensione del compito). Ricerche in tal senso hanno osservato come, in condizioni sperimentali più
semplici, bambini di 5 anni sanno classificare, seriare, conservare, distinguere tra materiale fisico e psichico,
separare causalità fisica da quella psicologica.
Va inoltre sottolineato che il successo nei compiti, dimostrato dai bambini più grandi, è dovuto al superamento
dei limiti di prestazione e alle maggiori conoscenze.
Sempre in quegli anni, con l’affermarsi dell’H.I.P., fu teorizzato che ad ogni livello di età, i bambini possiedono
una moltitudine di abilità e nozioni, le quali sviluppano lungo itinerari per larga parte indipendenti.
Susan Carey propone un’alternativa a Piaget e all’H.I.P., affermando che il bambino è un attivo costruttore di
teorie ingenue che rassomigliano a quelle scientifiche in quanto impiegano concetti astratti, strutture causali,
sono coese (le varie proposizioni sono interconnesse), e servono a predire, spiegare o interpretare. Le teoria
ingenue sono suddivisibili in teorie cornice (generali) e teorie specifiche.
Comunque, va precisato che l’infante, già fin dalla nascita, è dotato di rudimentali teorie quali:
 Fisica ingenua (la Biologia ingenua, compare più tardi)
 Psicologia ingenua
 Teoria dei numeri
Le teorie si ampliano grazie a nuove conoscenze della realtà (generalizzazioni empiriche) che sintetizzano
informazioni ricavate dell’esperienza (es: il gatto miagola).
La Teoria della Mente (ToM – Theory of Mind) è la capacità di attribuire stati mentali ad altri (credenze,
intenzioni, desideri, conoscenze, emozioni). È un’abilità che si sviluppa nel corso della crescita del bambino,
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grazie ad una sana interazione con le figure di riferimento e permette di avere uno specchio sulle proprie e altrui
capacità cognitive.
Alla nascita i neonati sono dotati di una capacità di rappresentazione amodale (astratta) del proprio corpo, che
permetter loro di tradurre in un programma motorio le azioni che vedono fare da altri, e successivamente
generalizzare le informazioni acquisite con l’esperienza.
Più tardi l’infante sviluppa le nozioni di intenzione e desiderio (verso i 18 mesi); a 3 anni si affaccia la nozione
di credenza e a 4 anni la nozione di falsa credenza.
 Per test della falsa credenza si designa la traduzione letterale false belief test (più corretto sarebbe test
della credenza erronea). È un test sotto forma di gioco dove vengono presentate due bambole Sally a Anne
che giocano con una palla. Sally ad un certo punto esce dalla scena e nasconde la palla in una scatola
coprendola con un panno. Anne prende la palla e la nasconde nuovamente in una cesta. Quando la bambola
Sally rientra nella scena, viene chiesto al bambino dove egli crede che Sally andrà a cercare la palla. Le
risposte possono essere di due tipi a seconda che il bambino abbia sviluppato o meno la capacità di attribuire
un pensiero, una convinzione nella mente altrui.
54. LE TEORIE INGENUE NEI BAMBINI
Sono delle teorie intuitive, un insieme di credenze organizzate, che servono a predire, spiegare, interpretare
quello che accade, e a dare un senso ai fenomeni del mondo.
Le teorie che il bambino si costruisce gradualmente cambiano in funzione delle sue esperienze e delle sue
conoscenze sul mondo.
PSICOLOGIA INGENUA (TEORIA DELLA MENTE)
È una tendenza innata, in cui i bambini sono convinti che le persone possiedano degli stati mentali e che questi
stati mentali siano la causa/conseguenza del comportamento.
TEORIA BIOLOGICA INGENUA
È una teoria che emerge dalla teoria psicologica ingenua.
Il bambino vede gli animali come esseri con un comportamento (pensano come noi), mentre l’adulto li
concettualizza in termini biologici.
I bambini in età prescolare hanno scarse conoscenze sugli organi interni, pensano che il corpo sia un’unica cavità
e il cibo ingerito vada direttamente nelle braccia o nei piedi; solo verso i 7/8 anni sviluppano una teoria dei
contenitori, che consente loro di comprendere come gli organi interni, contenuti nel corpo, a loro volta
contengano delle sostanze che fanno muovere tutto l’organismo. Già a 4/5 anni sanno che ci sono caratteristiche
corporee che non possono esser modificate da cause psicologiche (come il colore degli occhi).
Hanno concezione che la morte è un fatto universale e irreversibile, ma la interpretano come un dormire.
Verso i 6 anni gli infanti costruiscono il concetto di forza vitale, che caratterizza persone, animali e piante,
andando poi a costruire il concetto di ‘essere vivente’.
TEORIA ASTRONOMICA INGENUA
È una teoria intuitiva che i bambini elaborano a partire dalla loro esperienza quotidiana, secondo cui noi viviamo
su una superficie piatta, che può essere rettangolare o circolare (teoria cornice o iniziale, presente a 6 anni).
Con l’arrivo a scuola, i bambini vengono a contatto con informazioni diverse dalla loro teoria di base, perciò
operano una deformazione tra questa teoria iniziale e la nuova teoria fornita (misconcezioni). I bambini più
piccoli immaginano una Terra rotonda, ma collocata in un punto dello spazio al di fuori del loro superficie piana;
oppure rappresentano la Terra come una massa tondeggiante schiacciata ai poli dove loro possano stare in piedi.
Verso gli 8/10 anni, per raccordare la rotondità della terra con la percezione che è piatta, alcuni bambini la
rappresentano come una sfera cava, dove l’emisfero superiore è il cielo.
La comprensione della rotondità terrestre (che servirà poi a capire il ciclo giorno-notte e l’alternanza delle
stagioni) viene finalmente acquisita come modello scientifico dopo gli 8/10 anni.
27

TEORIA ECONOMICA INGENUA


Già nei primi anni di vita gli infanti vengono a contatto coi fenomeni economici (sono con la mamma a fare la
spesa, sanno che i genitori escono di casa per andare al lavoro). La loro teoria cornice o iniziale prevede che per
avere denaro basti recarsi alla banca e chi lavora lo faccia per piacere personale o perché è utile farlo (la maestra
sta coi bambini perchè le piace; il meccanico esiste perché aggiusta le auto).
Attorno ai 6 anni d’età iniziano a comprendere il funzionamento del denaro (con le maggiori competenze
aritmetiche acquisite) e iniziano a capire il ruolo occupazionale.
Fino ai 6/7 anni è diffusa l’idea che i negozianti siano gli stessi produttori dei beni venduti in negozio. E fino ai 9
anni circa, sono convinti che i negozianti vendano le merci a prezzo di costo, senza comprendere che i prezzi
cambiano nei vari passaggi commerciali produttore/grossista/negoziante; solo studiando i concetti di ‘spesa’,
‘ricavo’ e ‘guadagno’ riescono a capire perché vi sono prezzi diversi (il negozio include i vari costi sostenuti
nella filiera distributiva della merce).
TEORIA POLITICA INGENUA
I bambini di età prescolare vengono a conoscenza dell’esistenza delle istituzioni politiche sia attraverso la
televisione che per esperienza diretta (il sindaco del paese inaugura la nuova scuola). Tuttavia i personaggi
politici non sono differenziati da altri personaggi famosi (visti in TV) o favolistici. Re e regine vengono
concepiti come tali perché hanno la corona in testa o sono molto ricchi, mentre le attività pubbliche vengono
spiegate in termini di utilità (il carabiniere cattura i ladri).
Verso i 7/10 anni i bambini iniziano a formarsi una teoria politica ingenua, secondo cui i vari esponenti politici
hanno diversi poteri (capi che comandano) inseriti in una gerarchia (c’è un capo che è più capo di tutti gli altri).
Dopo i 10 anni viene a crearsi il concetto di partito, e la distinzione tra dipendenti pubblici e privati.
Nell’adolescenza la conoscenza delle istituzioni politiche diventa sempre più ampia e particolareggiata, e
comprendono che i partiti politici sono espressione di interessi diversi tra ceti sociali differenti.
Nella formazione e sviluppo delle teorie ingenue, oltre alle esperienze che il bambino fa, è la trasmissione
culturale ad avere un ruolo di primo piano.
La predisposizione degli essere umani a credere a quello che gli altri dicono, ovvero la fiducia epistemica, ha
consentito la trasmissione delle conoscenze accumulate nel corso di generazioni. Ricerche in tal senso hanno
inoltre osservato che i bambini tendono precocemente e spontaneamente a prestare attenzione a chi si è
dimostrato una attendibile fonte di informazioni.
55. LO SVILUPPO MORALE
La morale è un aspetto della coscienza che regola la condotta individuale in armonia con i valori
riconosciuti dal gruppo sociale di appartenenza.
La moralità è frutto di tendenze emotive, cognitive e operative del bambino, ma anche l’insieme di giudizi di
valore che il bambino mutua dall’ambiente socio-culturale e storico, in cui vive.
Nello sviluppo e genesi della moralità concorrono in vari modi le emozioni e la loro relativa comprensione, in
particolare le emozioni empatiche (simpatia, dispiacere empatico). Queste infatti, spingerebbero il bambino ad
agire positivamente, alleviano la sofferenza altrui e ponendo rimedio se egli ne è la causa.
Hoffman sostiene che il dispiacere empatico si sviluppi in 4 stadi:
Consapevolezza di sé Dispiacere empatico
1 anno EGOCENTRICO
Differenziazione sé/altro ancora vaga Cerca di alleviare il proprio stato di malessere

1-2 QUASI EGOCENTRICO


anni Consapevolezza di sé come entità separata Allevia la sofferenza altrui senza distinguere gli
[grazie al Sé presimbolico] stati mentali (aiuta con ciò che lo aiuterebbe)

2 anni VERIDICO
Consapevolezza che gli altri hanno stati interni 1) prosociale se emozione e causa sono visibili;
indipendenti (desideri, pensieri, bisogni) 2) disagio se emozione visibile, ma non la causa

5-8 SENZA VEDERE LA CAUSA


anni Sé/altri sono dotati di identità e storia separata

Tra gli 8-12 anni i bambini arrivano a capire che certe situazioni (malattie, povertà, dissidi in famiglia…) creano
in certe persone una sofferenza costante anche se non manifestata apertamente.
Nell’adolescenza e nell’età adulta la capacità di rappresentare gruppi sociali e i possibili loro disagi (fame,
povertà, oppressine politica…) aprono la strada a modalità sempre più avanzate di partecipazione empatica.
56. PRO-SOCIALITÀ E ALTRUISMO
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I comportamenti pro-sociali sono quelle azioni volte a produrre, accrescere e mantenere il benessere di altre
persone.
I comportamenti posti in essere possono avere una matrice altruistica (quando non vi sono benefici di riflesso a
chi compie l’azione pro-sociale) o di matrice non del tutto disinteressata (in tali casi avremo una aspettativa di
tornaconto).
Le teorie sull’altruismo e pro-socialità sono:
Psicanalisi: altruismo e pro-socialità sono il superamento di posizioni egoiche che caratterizzano lo stadio
narcisistico dello sviluppo; sono frutto del senso di colpa (si attiva la riparazione come compensazione); è una
manifestazione riconducibile a meccanismi di difesa; è legata ai valori introiettati dal Super-io.
Apprendimento sociale e Teoria social-cognitiva: tramite l’imitazione (apprendimento vicario si apprende
per osservazione di comportamenti altrui, e dal success/insuccesso nonché approvazione/disapprovazione che
tali comportamenti hanno avuto).
Piaget e Kohlberg: viene evidenziato il ruolo di un ragionamento morale che ne sta alla base (vedi paragrafo 60,
pag. 34).
Eisenberg: abbina al ragionamento morale anche fattori ambientali, situazionali, e individuali. L’interpretazione
della situazione porta il bambino a identificare le azioni di aiuto necessarie, a valutare la propria capacità o meno
di metterle in pratica previo confronto con la gerarchia di priorità e scopi propri. Tale analisi è comunque
influenzata dalle reazioni emotive che la sofferenza altrui ha suscitato.
57. MECCANISMI DI DISIMPEGNO MORALE
I meccanismi di disimpegno morale sono delle strategie messe in atto per discolpare se stessi da azioni
inaccettabili, censurabili o riprovevoli. A. Bandura le ha catalogate come segue:
Giustificazione morale: rendere accettabili, se non addirittura lodevoli, azioni immorali appellandosi a ideali
superiori (andare in guerra per la difesa della patria, abbattere un tiranno…)
Confronto vantaggioso: alleggerisce la gravità di un’azione, paragonandola ad un’altra accaduta in passato,
nel presente o che accadrà (i civili in Iraq, durante la guerra, pativano sofferenze minori rispetto a quelle
perpetrate dal dittatore Saddam Hussein).
Etichettamento eufemistico: si maschera un’azione immorale usando nel linguaggio vocaboli neutri o
socialmente rispettabili (un militare è caduto sotto il ‘fuoco amico’; un film violento è un film d’azione);
Spostamento di responsabilità: si trasferisce la colpa su di altri (‘non sono stato io, ma Luca e Marco mi
hanno detto di farlo’);
Diffusione di responsabilità: la responsabilità è condivisa e attribuita al gruppo in cui l’individuo si trovava
(il caso delle spedizioni punitive o dello stupro di gruppo);
Ignorare o minimizzare le conseguenze: soprattutto se non sono direttamente visibili (sganciare una bomba
sopra una città, una multinazionale decide di chiudere una fabbrica in un’altra nazione);
Disumanizzazione della vittima: togliere dignità e umanità alla vittima (gli immigrati sono inferiori e quindi
vanno trattati come tali);
Attribuzione del torto alla vittima (nel caso degli stupri, la vittima diventa la provocatrice che se l’è cercata,
con effetti devastanti sulla vittima medesima).
58. OBBEDIENZA, DISOBBEDIENZA E AUTOCONTROLLO
L’obbedienza: è una forma di acquiescenza in cui si mette in atto un comportamento in risposta a un ordine
diretto. L’obbedienza presuppone un comportamento inibitorio. I bambini riescono ad obbedire sporadicamente
ai genitori già verso i 12 mesi. Le prime regole imposte sono relative alla sicurezza dei bambini (non metter le
dita nella presa elettrica), per passare in età prescolare a regole di pulizia (lavati i denti), nei confronti di altri
bambini (non picchiare tuo fratello) e di buona educazione (dì grazie alla zia). L’obbedienza è distinta in:
- Situazionale: un genitore sprona il bambino affinché porti a temine l’azione;
- Convinta: il bambino obbedisce di buon grado alla richiesta, senza che venga ripetuta.
Disobbedienza: è il contraltare dell’obbedienza. Tra i 2 e 5 anni c’è una progressione evolutiva, si parte dal
semplice rifiuto, passando per la sfida all’adulto (facendo di proposito ciò che è stato vietato), a strategie più
complesse di negoziazione.
Autocontrollo: capacità di resistere alle tentazioni. Gli studiosi hanno studiato la capacità di autocontrollo
attraverso il paradigma del differimento della gratificazione. Si chiedeva al bambino di non toccare un giocattolo
bellissimo, fintanto che lo sperimentatore non fosse rientrato nella stanza. Dallo studio è emerso che tale capacità
di resistenza alla tentazione emerge già tra i 18-30 mesi, in particolare se la madre ha un comportamento
supportivo.
L’autocontrollo prevede inoltre, due tipologie di fattori: fattori caldi (fattori emotivi e motivazionali) e fattori
freddi (fattori cognitivi di credenze).

59. SVILUPPO DI NOZIONE DI BUGIA


Già all’inizio del ‘900, i coniugi Stern, osservando il comportamento dei loro bambini, individuarono le pseudo-
bugie, dette cioè senza consapevolezza della falsità e dell’ingannevolezza delle proprie parole.
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Piaget ha invece studiato le bugie attraverso il colloquio clinico osservando come ad un primo livello, i bambini
considerassero la bugia come una parola cattiva (una colpa commessa col linguaggio), nel secondo livello
considerano la bugia come una falsa affermazione includendo anche gli errori, nel terzo livello la bugia è
volta ad ingannare.
Approfondendo le sue ricerche, Piaget, ha individuato che nel secondo livello (quindi fino ai 6 anni) il giudizio
di gravità derivi più dalla valenza dell’effetto che la bugia provoca, rispetto all’intenzione. Cosa che invece,
cambia verso i 7/8 anni in cui conta maggiormente l’intenzione rispetto all’effetto. L’indagine è stata condotta
presentando ai bambini due storielle, in ciascuna delle quali il protagonista forniva un indirizzo sbagliato alla
persona che glielo chiedeva. In un caso l’indirizzo era sbagliato intenzionalmente, ma senza conseguenze; nel
secondo caso l’indirizzo era dato in buona fede, ma con la conseguenza che la persona si smarriva.
Secondo esperimenti condotti dai teorici della mente, è emerso che i bambini di 3 anni non sanno mentire
volontariamente nemmeno per difendersi, mentre a 4 anni acquisiscono la capacità di mentire. Secondo questa
visione teorica i bambini sono in grado di usare la menzogna prima ancora di comprenderne appieno la portata e
il significato. Resta ancora non distinta la capacità di differenziare tra scherzo e bugia, che verrà sviluppata dopo
i 7 anni.
60. GIUDIZIO MORALE E SUO SVILUPPO
Se Freud e i comportamentisti consideravano il giudizio morale come il risultato di un processo di
interiorizzazione delle regole e delle norme degli adulti, Piaget propone una maturazione morale composta di 2
stadi:
1. Un primo periodo caratterizzato da eteronomia (moralità eteronoma), tale periodo si spinge fino a 8 anni,
con l’accettazione delle regole proposte dagli adulti, ma che il bambino sente estranee a sé e di cui non
comprende le ragioni;
2. Un secondo periodo caratterizzato da autonomia (moralità autonoma) che prevede il principio di trattare gli
altri così come si vorrebbe esser trattati, avvertito come un’esigenza personale e non imposta.
Riguardo al termine di giustizia secondo Piaget, troviamo 2 declinazioni:
 Giustizia retributiva: disporre una punizione/sanzione a seguito di una colpa (da notare che nello stadio
eteronomo la sanzione rappresenta vendetta e deve provocare sofferenza, mentre nello stadio autonomo la
sanzione è finalizzata a far comprendere l’azione dannosa);
 Giustizia distributiva: abbiamo una ripartizione dei compiti e delle risorse, che a sua volta si sviluppa
per gradi:
I) 7-8 anni, gli adulti stabiliscono ciò che è giusto anche se comporta disuguaglianze;
II) 8-11 anni, la giustizia coincide con l’uguaglianza (a tutti nella stessa misura);
III) 11-12 anni, c’è un maggior bilanciamento di giustizia verso l’equità (vengono considerato fattori
individuali e di circostanza).
Anche Kohlberg ha formalizzato un modello a stadi dello sviluppo morale , ideando appositi strumenti
d’indagine tra cui la famosa Moral Judgment Interview, delle storie dilemmatiche sulle quali esprimere un
giudizio etico (es: la storia di Heinz che decide di rubare un farmaco costosissimo che non si può permettere, per
curare la moglie). Egli considerava gli stadi come una sequenza universale e invariante strettamente legata allo
sviluppo cognitivo, ma era altrettanto convinto della necessità che i ragazzi vivessero esperienze sociali
significative per la crescita del loro ragionamento morale;
 Livello pre-convenzionale (non viene compresa la funzione e l’utilità della norma):
 Stadio 1: obbedienza alle regole solo per evitare punizioni (prospettiva sociale egocentrica);
 Stadio 2: obbedienza alle regole per il proprio tornaconto immediato (prospettiva sociale
individualista concreta);
 Livello convenzionale (le norme sono accettate in quanto parte di un ordine sociale stabilito)
 Stadio 3: obbedienza alle regole per sentirsi buoni e meritare il rispetto altrui (prospettiva sociale
decentrata);
 Stadio 4: obbedienza alle regole per evitare il senso di colpa derivante dalla censura dell’autorità
(prospettiva sociale societaria);
 Livello post-convenzionale (le norme non sono vincolanti ma esaminate, se necessario sono rifiutate in
base a principi superiori):
 Stadio 5: obbedienza alle regole in base a considerazioni oggettive circa l’ottimizzazione del
benessere collettivo (prospettiva sociale razionale);
 Stadio 6: obbedienza alle regole in base a convinzioni intime maturate e all’adesione a principi
superiori universali (prospettiva morale, etica universale)
61. LA TEORIA DEI SISTEMI ECOLOGICI
Al fine di comprendere lo sviluppo umano, è necessario prendere in considerazione non solo i fattori biologici e
genetici di un soggetto, ma anche l’intero sistema ecologico (i vari contesti) in cui avviene lo sviluppo stesso. La
Teoria dei Sistemi Ecologici ideata da Bronfenbrenner, studia le interazioni, a diversi livelli contestuali, che
influenzano la crescita evolutiva. L’autore distingue tra:
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Nicchie ecologiche, ossia quelle aree favorevoli/sfavorevoli per lo sviluppo in relazione alle caratteristiche del
bambino;
Ambiente ecologico, l’insieme dei livelli contestuali.
In particolare, individua 4 livelli:
1. Microsistema (il sistema “minimo”), pattern organizzato di relazioni dirette (famiglia, asilo, campo-giochi);
2. Mesosistema, due o più microsistemi interconnessi (famiglia + asilo)
3. Esosistema, contesti non esperiti in prima persona dal bambino, ma in connessione col microsistema
(famiglia + lavoro materno);
4. Macrosistema, il livello superiore (politiche educative nazionali, nuove tecnologie, cultura…)
I livelli ambientali sono costituiti quindi, da parti in relazione tra loro: il cambiamento di una parte comporta
necessariamente un cambiamento nelle altre, perché il sistema ecologico così come formulato da
Bronfenbrenner, tende all’equilibrio omeostatico.
62. I FRATELLI
Dalla statistica sappiamo che la maggior parte dei bambini vive l’arrivo di un fratello o sorella, nella prima
fanciullezza. La madre, occupandosi maggiormente del nuovo nato, dedica minore quantità di tempo (e talvolta
qualità) al primo genito, che allaccia rapporti più stretti col padre. Col passare delle settimane e dei mesi, si passa
gradualmente da una triade+uno, a una tetrade composta a sua volta dal sottoinsieme parentale (genitori) e dal
sottoinsieme fraterno.
Il primo nato sente il nuovo arrivato come un intruso, e possono verificarsi casi di gelosia, crisi di rabbia e
comportamenti regressivi.
Fattori diversi influenzano il nascente rapporto tra fratelli come: vicinanza d’età, affinità caratteriali, rapporto coi
genitori, e coinvolgimento del figlio maggiore nelle cure del figlio minore.
I genitori inoltre, tendono a comportarsi diversamente coi vari figli, e ciò dipende da:
 Ordine di genitura: i primogeniti guadagnano una posizione speciale in seno alla famiglia, sperimentano
un lasso di tempo in cui sono figli unici; i fratelli che nascono dopo arrivano in un ambiente familiare con
regole già stabilite e debbono condividere da subito le cure parentali. Ciò influenza lo sviluppo della
personalità (i primogeniti talvolta sono più ambiziosi, autoritari e legati alla famiglia; i figli successivi a
volte hanno un senso maggiore di sfiducia, di inferiorità, minore autostima, ma sono più inclini a ricercare
fuori dalla famiglia le possibilità di affermazione personale).
 Numerosità della fratria (più fratelli ci sono, maggiore è la suddivisione delle cure parentali);
 Omogeneità o disomogeneità di genere;
 Distanza d’età.
La relazione fraterna è caratterizzata da un coinvolgimento ambivalente, per cui possiamo avere condivisione
positiva di giochi e esperienze, alla quale si affianca conflitto, liti e discussioni. Se l’instabile equilibrio tra
fratelli si rompe, può accadere che uno dei due cessi di imitare l’altro, assumendo modi di fare differenti
(branching off = diramazione). Ciò può far sì che i fratelli si sforzino di assumere identità opposte (de-
identificazione).

63. I NONNI
I nonni, e soprattutto la nonna materna, svolgono nel nostro paese un ruolo fondamentale nello sviluppo dei
bambini: Tante coppie, che spesso vivono non molto lontano dai loro rispettivi genitori, preferiscono affidare a
questi ultimi i propri figli, anziché a baby sitter o altre strutture. Il coinvolgimento dei nonni ha risvolti positivi
anche per gli anziani che mantengono così un ruolo importante in famiglia. La dimensione che più caratterizza
l’immagine del nonno è quella affiliativa, che richiama la capacità di fare qualcosa assieme al piacere che tale
condivisione comporta. Sia bambini che adolescenti dichiarano di preferire i nonni materni a quelli paterni, e di
preferire la nonna al nonno (il motivo è da ricercare nella maggior frequenza con cui le madre coinvolgono le
proprie madri nella cura dei figli piccoli). L’importanza dei nonni inizia a calare quando i nipoti crescono, perché
questi ultimi tendono a staccarsi dalla famiglia nucleare e ad esplorare i nuovi valori che invece trovano nel
gruppo dei pari.

64. IL GRUPPO DEI PARI (COMPORTAMENTI ALTRUISTICI, AFFILIATIVI E AGGRESSIVI)


Definiamo gruppo una categoria sociale di persone che condivide, in maniera più o meno consapevole,
interessi, scopi, caratteristiche e norme comportamentali (le persone possono conoscersi tra loro direttamente
oppure no: pensiamo alle persone che si riconoscono come ‘italiani’).
In senso più circoscritto un piccolo gruppo è composto da persone che hanno rapporti diretti tra loro (es:
familiari, compagni di gioco).
Entrando nella scuola d’infanzia i bambini sperimentano, per la prima volta, l’appartenenza a un gruppo
strutturato. Vari studi hanno dimostrato che i rapporti coi gruppi di pari iniziano già a 2/3 anni, ma è verso i 5
anni (come studiano da Strayer e Santos) che si sviluppano delle vere e proprie strutture che possono essere di
tipo affiliativo (cioè tendenti a mantenere la prossimità del gruppo), aggressivo (cioè a dannosi per gli altri o
antisociali) e altruistico (a beneficio degli altri). Nello specifico:
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I comportamenti affiliativi sono rivolti a compagni particolari e le preferenze, se contraccambiate, danno


luogo a cricche.
I comportamenti aggressivi danno luogo a strutture gerarchiche di dominanza, nelle quali i soggetti dominanti
dirigono l’aggressività verso i soggetti gerarchicamente più vicini a loro (il gruppo in questo senso ha un effetto
regolatore dell’aggressività, perché evita i conflitti impari tra il primo e l’ultimo nella gerarchia gruppale).
I comportamenti altruistici sono invece rivolti ai bambini superiori gerarchicamente (con l’effetto di inibire
l’aggressività dei più forti).
Un discorso a parte va fatto per la diade, che è composta da soli due elementi. Per tale motivo nella diade non
c’è la possibilità di creare sottogruppi o coalizioni come nei gruppi. Inoltre l’allontanarsi di un componente della
diade fa rimanere l’altro da solo, mentre l’uscita di un membro da un gruppo non annulla l’esistenza del gruppo
stesso. La diade si forma per l’emergere di stabili preferenze reciproche tra bambini. In questa fascia d’età le
preferenze sono rivolte a caratteristiche fisiche/esteriori (Angela è mia amica perché ha dei bei capelli lunghi,
Mauro è mio amico perché sa saltare più in alto di tutti) o al possesso di beni materiali (Luca ha un gioco
bellissimo e mi ci lascia giocare).
65. IL COMPAGNO IMMAGINARIO E SUOI EFFETTI
L’amico o compagno immaginario è frutto della fantasia del bambino. Può trattarsi di un animale, un oggetto
personificato, ma più spesso si tratta di una persona.
A lungo si è ritenuto che questo fenomeno fosse appannaggio di bambini soli senza fratelli o sorelle, introversi a
tal punto da non avere amici con cui giocare, e affetti da patologia.
Per la psicanalisi l’amico immaginario ha una funzione difensiva positiva, perché permette di assegnare
(proiettare) al compagno immaginario le caratteristiche inaccettabili di sé.
Anche Piaget attribuisce al compagno immaginario un ruolo importante. Esso infatti assume funzione
consolatoria, compensatoria, moralizzatrice genitoriale, di stimolo e rassicurazione.
Studi condotti anche su popolazioni non cliniche ha dimostrato che è un fenomeno molto più diffuso di quanto si
ritenesse, e fa parte del normale sviluppo psichico. Il compagno immaginario appare verso i 3 anni, e può durare
anche tutta la vita (seppur in forma modificata nel corso del tempo). Si è potuto constatare che i bambini con
compagno immaginario sono maggiormente creativi e collaborativi coi coetanei e con gl adulti. Il compagno
immaginario, come già postulato da Piaget, è il banco di prova per affinare le competenze relazionali.
66. GIOCO E GIOCHI, COINVOLGIMENTO SOCIALE E SOCIALIZZAZIONE
Il gioco è una disposizione psicologica ed è uno strumento importante nella crescita del bambino perché lo aiuta
a sviluppare la creatività, a sperimentare capacità cognitive, e ad entrare in contatto col gruppo di pari.
I bambini giocano a partire dal periodo sensomotorio con qualunque oggetto (tappo bottiglia di plastica, chiavi
dell’auto del genitore, busta della spesa…), ma è con la conquista della funzione simbolica che i bambini sono in
grado di attribuire svariate funzioni ai diversi oggetti (un tavolo da giardino può diventare una casa, un sottovaso
può diventare una pentola per cuocere la minestra…). Talvolta alcuni oggetti (copertina, orsetto) costituiscono
un sostituto della figura materna (oggetto transazionale).
Alcune culture non incentivano a giocare, di conseguenza i giocattoli sono rari, e i giochi dei bambini sono
imitazione di attività adulte o sono attività motorie (correre, arrampicarsi). Nella cultura occidentale invece, i
giochi sono vari e distinti per fasce d’età.
Mildred Parten osservò come vi siano differenti gradi di coinvolgimento sociale nel gioco:
Gioco solitario (in cui il bambino è solo);
Gioco parallelo (il bambino gioca da solo seppur condividendo oggetti o spazi con altri bambini);
Gioco associativo (più bambini giocano tra loro, ma senza reale cooperazione in vista di uno scopo comune);
Gioco cooperativo (esiste una organizzazione sottostante al gioco, condivisa dai partecipanti e spesso c’è una
differenziazione dei ruoli).
Il gioco sociodrammatico (gioco simbolico condiviso o gioco di fantasia) si sviluppa tra i 3 e i 6 anni, e si
caratterizza per un’interazione in cui ciascuno mette in scena ruoli ben definiti (es: la mamma che porta il
bambino dal dottore). Qui il bambino è al tempo stesso autore, attore e regista. Egli infatti può impersonare vari
ruoli, sperimentando in anticipo gli scambi interpersonali di azione-reazione. In questo tipo di giochi, il bambino
spesso si identifica con le figure significative.
Il gioco di finzione rafforza la creatività, la memoria, l’attenzione e il ragionamento logico (i bambini che vi si
dedicano, sono spesso più competenti socialmente), e fa acquisire una sempre maggiore capacità di distinzione
tra realtà e finzione.
Anche all’interno dei giochi si sono osservate delle differenze di genere. Erikson ha messo in luce che i maschi
preferiscano giocare con oggetti interpretabili come simboli fallici, mentre le femmine con strutture basse e
ampie, allusive all’accogliere dentro di sé.
67. TEORIE SULLA TIPIZZAZIONE DI GENERE
Per tipizzazione di genere o sessuale si fa riferimento all’assunzione di comportamenti e preferenze in linea col
proprio sesso biologico e anagrafico.
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La psicanalisi e la teoria dell’apprendimento sociale, mettono in luce come l’imitazione (assunzione di


comportamenti simili) e l’identificazione (assimilazione dei modelli cognitivi di un altro individuo) siano alla
base della tipizzazione di genere.
La Teoria dell’apprendimento sociale valorizza il rinforzo degli adulti dato ai bambini nell’assunzione di
comportamenti concordanti col sesso di nascita. Genitori e insegnanti interagiscono in modo differente verso le
femmine (privilegiando gli scambi verbali) rispetto ai maschi (giochi fisici). Inoltre la teoria sottolinea
l’apprendimento osservativo (si osservano e si apprendono i comportamenti dagli esemplari appartenenti al
proprio sesso, osservati anche attraverso i mass media) e il ruolo delle figure affettive salienti (i genitori in
primis). Si è osservato come in famiglie con distribuzione di ruoli non tradizionale (la madre lavora fuori casa) o
in coppie divorziate, i cui figli sono stati affidati al genitore di sesso opposto, siano presenti nei bambini minori
stereotipi di genere e una ricerca di amici anche dell’altro sesso.
Secondo l’approccio cognitivo evolutivo, proposto da Kohlberg, il bambino comprende che il genere non può
essere modificato (costanza di genere) e pertanto cerca e mette in atto comportamenti concordi col genere
biologico. A tale comprensione il bambino vi giunge in 3 fasi:
a) Entro i 3 anni il bambino sa quale sia il suo genere e quello degli altri, ma non ha ancora il concetto di
costanza di genere;
b) A 5 anni, sa che il suo genere non cambierà nel tempo, ma potrebbe variare in relazione a comportamenti
tipici del sesso opposto (una femmina che gioca con le macchinine diventerà un maschio);
c) 6/7 anni, il bambino si sente più simile agli adulti dello stesso sesso e tende a imitarli e a identificazione con
loro.
In base alla Teoria dello schema sessuale, i bambini riconoscono molto presto le differenze tra i due sessi, e
organizzano così di conseguenza gli schemi attraverso i quali interpretare il mondo circostante. Una cosa
etichettata come propria del sesso opposto viene scartata (es: una bambola presentata ad un maschietto).
68. DIFFERENZE DI GENERE SU BASE BIOLOGICA (IL CASO DI BRENDA-DAVID)
Il corredo cromosomico viene fornito all’atto del concepimento: i maschi hanno cromosomi XY mentre le
femmine XX. Alla 6° settimana dal concepimento iniziano a prendere forma gli organi sessuali. Studi condotti
hanno dimostrato quanto determinante sia la struttura cromosomica sulla personalità di genere. I maschi affetti
da Sindrome di Klinefelter (XXY) risultano meno mascolini, le donne con sindrome di Turner (X) sono ultra
femminili, mentre le donne con sindrome adrenogenitale sono più mascoline.
I fattori genetici incidono sulla struttura della personalità, anche se non è possibile affermare che i soli fattori
biologici ne siano l’unica causa.
Negli anni ’70 è diventato celebre il caso di Breda-David. Era un soggetto nato maschio, che a seguito della
devastazione del pene per una circoncisione avuta a 8 mesi, i genitori cercarono di femminilizzarlo attraverso un
intervento chirurgico e allevandolo come una bambina. Nonostante le massicce dosi ormonali e le forzature
psicologiche, Brenda si comportava da maschio e quando arrivò alla pubertà iniziò a cambiare,
mascolinizzandosi. Quando Brenda venne a conoscenza di cosa gli era accaduto in tenerissima età, non ebbe più
dubbi: scelse di farsi chiamare David e di invertire la rotta fino ad allora seguita. Si fece operare nuovamente, e
si sottopose a iniezioni di testosterone.
Questo caso dimostra che, sebbene l’educazione svolga un ruolo importante nel contribuire a plasmare l’identità
sessuale, essa è anche frutto di un dato biologico assegnato per natura.
69. STADIO OPERATORIO CONCRETO O MEDIA FANCIULLEZZA O 3^ INFANZIA (6 – 11
ANNI)
In questo stadio Piaget sottolinea come il pensiero sia ora reversibile, riuscendo a compiere vari tipi di
operazione; l’egocentrismo intellettuale è in via di superamento, e vi è l’abbandono delle concezioni animiste,
artificialistiche e finaliste.
Per operazioni intendiamo tutte quelle azioni mentali interiorizzate che fanno parte di una struttura organizzata.
Le operazioni del 3^ stadio si sviluppano in contemporanea e verranno padroneggiate per intero alla fine dello
stadio stesso.
Piaget distingue tra operazioni:
 Logico-aritmetiche, riguardano somiglianze e differenze tra oggetti distinti, indipendentemente dalla loro
vicinanze spazio-temporali (classificazione e seriazione);
 Spazio-temporali, riguardano relazioni di spazio e tempo, indipendentemente dalle somiglianze e
differenze tra oggetti (i concetti di davanti/dietro, interno/esterno addizione/moltiplicazione;
prima/dopo/duranterapporti topologici, proprietà euclidee, rapporti proiettivi).
Va precisato che nella classificazione esiste tuttavia, una corrispondente operazione spazio-temporale: la
partizione, che permette di suddividere oggetti o eventi in parti sempre più piccole (la partizione sarà
fondamentale per la comprensione atomica della materia).
Altra conquista del 3° stadio è il concetto di conservazione, perché viene acquisita la nozione di ‘quantità
corrispondente’, ovvero che vi sono alcune proprietà della materia (numero, peso, quantità) che non variano
sebbene siano variate forma e disposizione iniziale. Tuttavia, possono essere presenti fenomeni di decàlage (o
33

sfasamento temporale): asincronie nella soluzione dei compiti che, dal punto di vista logico, richiedono le
stesse abilità (es: la conservazione della sostanza si sviluppa un anno o due prima della conservazione del peso).
Caratteristiche e limiti del periodo operatorio concreto sono:
- Le operazioni mentali sono messe in atto solo di fronte a materiali concreti;
- Vi è l’incapacità di ragionare per assurdo e di risolvere compiti puramente verbali;
- Difficoltà a ragionare su ipotesi semplici, cioè tratte delle conclusioni a partire da premesse semplici.
70. I RAPPORTI TOPOLOGICI E TEST DELLA MONTAGNA
Piaget ha dedicato parte dei suoi studi a come i bambini comprendessero i rapporti spaziali, sottoponendo loro il
compito di ricopiare una serie di forme. Infatti, la capacità di ricopiare correttamente delle forme deriva dal saper
riconoscerne le proprietà salienti a livello topografico (topografia branca della geometria che studia i rapporti
spaziali che restano immutati anche quando una figura viene deformata modificando la distanza tra i punti che la
compongono).
I bambini sotto i 2 anni e 1/2, non copiavano, semplicemente eseguivano degli scarabocchi su un foglio; tra i 2
anni e mezzo e i 4 i bambini mostravano di saper tener conto di alcuni rapporti topologici (apertura, chiusura,
inclusione, separazione, intersecazione).
Dai 4 ai 6/7 anni i bambini iniziano a considerare anche aspetti come lati, angoli, numero e dimensioni, che sono
le proprietà della geometria euclidea.
Dopo i 7 anni, figure più complesse (un cerchio inserito in un triangolo), vengono riprodotte fedelmente.
Piaget, per testare l’acquisizione dei rapporti proiettivi, utilizzò il ‘test della montagna’. Esso serviva a valutare
la capacità dei bambini di identificare degli oggetti nonostante, il punto di vista non fosse il loro, ma quello dello
sperimentatore.
Egli mise un bambino davanti a un plastico che raffigurava tre montagne di altezza e grandezza diverse fra loro;
poi si mise lui stesso dall’altra parte del plastico. A questo punto chiese al bambino di individuare tra alcune foto
quella corrispondente a ciò che vedeva lo sperimentatore (Piaget). Le risposte furono diverse a seconda della
fascia d’età dei bambini:
- Quelli sotto i 7/8 anni sceglievano quella che rappresentava il loro punto di vista (dimostrando pertanto, di
non sapersi staccare dal loro punto di vista);
- Quelli dai 7/8 anni agli 11/12 sceglievano una foto a metà strada tra i due punti di vista (dimostrando di
saper ricostruire solo in parte i rapporti proiettivi);
- Quelli di età superiore agli 11/12 davano la risposta corretta (dimostrando di saper compiere le
trasformazioni mentali ed assumere anche punti di vista diversi dal loro).
71. NOZIONE TEMPORALE E TEST SPAZIO-TEMPO (ESPERIMENTO DEI PUPAZZI ROSSO-
BLU)
Per Piaget i bambini di età prescolare hanno una nozione di tempo basata sulla successione degli eventi (prima,
dopo, durante) e sulla percezione soggettiva della durata (osservano il risultato ottenuto e lo sforzo impiegato:
una bambina che fa una lunga passeggiata o si stanca molto, dirà che ha impiegato tanto tempo per la
passeggiata).
Anche gli adulti potrebbero incorrere nella distorsione del tempo (es: ad ascoltare un relatore noioso sembra che
il tempo non passi mai, mentre fare una cosa divertente il tempo sembra scorrere velocemente), ma per ovviare a
questo sono stati creati degl’indici esterni di durata (orologi, cronometri).
Per indagare la comprensione nei bambini, dell’ordine degli eventi e la loro durata, Piaget aveva ideato un
compito apposito. Due pupazzi, uno di colore rosso e l’altro di colore blu, venivano fatti partire simultaneamente
da un punto A e percorrere, in un medesimo lasso di tempo, una certa distanza ma a velocità diverse. Com’è
facilmente intuibile, il pupazzo più veloce percorreva una lunghezza maggiore arrivando al punto B, mentre
l’altro pupazzo più lento, si fermava al punto C. Ai bambini veniva chiesto se i pupazzi avessero camminato per
lo stesso tempo.
 I bambini sotto i 5 anni rispondevano che il primo pupazzo aveva camminato per più tempo essendo
arrivato maggiormente lontano (viene confuso il tempo col risultato dell’azione);
 I bambini tra 5/7 anni, partendo dall’assunto che chi è più lento impiega maggior tempo a fare le cose,
sostenevano che il secondo pupazzo avesse camminato di più perché aveva fatto meno strada (meno
tragitto=meno veloce=più tempo impiegato);
 I bambini dopo i 7 anni davano la risposta corretta, scindendo il risultato dall’azione.
72. PROVE DI CONSERVAZIONE E CONCETTO DI DECÀLAGE
Conservazione e decàlage Piaget li riconduce soprattutto allo stadio operatorio concreto. Una delle conquiste del
3° stadio è il concetto di conservazione, perché viene acquisita la nozione di ‘quantità corrispondente’ ovvero
che ci sono alcune proprietà della materia (numero, lunghezza, volume, sostanza) che non variano sebbene siano
variate forma e disposizione iniziale (es: un liquido contenuto in un bicchiere basso e largo, viene travasato in un
bicchiere stretto e alto).
34

In merito al concetto di conservazione, Piaget sostiene che non tutti i compiti di conservazione (che dal punto di
vista logico richiederebbero la medesima abilità) si sviluppino contemporaneamente, bensì:

Piaget, per spiegare il fatto che alcune nozioni di conservazione si sviluppino prima rispetto ad altre, introduce il
termine di decàlage, che identifica una asincronia nella risoluzione dei compiti, che pur richiedendo la stessa
abilità, nei fatti tale abilità non viene applicata al caso specifico.
73. LO SVILUPPO COGNITIVO NELL’H.I.P. e CAMBIAMENTI NEI MAGAZZINI DI MEMORIA
Secondo il paradigma dell’H.I.P. lo sviluppo cognitivo ha luogo per effetto di cambiamenti:
- Nei processi di acquisizione, elaborazione, trasformazione e utilizzo delle informazioni;
- Nei magazzini di memoria: memoria a breve termine (MBT) e memoria a lungo temine (MLT).
I primi magazzini di memoria nel quale vengono memorizzate le informazioni sono i registri sensoriali che
consentono la rappresentazione dello stimolo ricevuto per pochi secondi o frazioni di secondo.
Successivamente entra in campo la MBT, che ha una capacità limitata e per un breve periodo di immagazzinare
le informazioni, prima che vengano perse. Il limite della MBT si riferisce sia al numero di informazioni che essa
può trattenere (span) sia al tempo in cui queste informazioni rimangono disponibili. Si è osservato che lo span
aumenta col crescere dell’età. La MBT funziona anche come memoria di lavoro (MDL), che pur mantenendo
una quantità limitata di informazioni per un tempo limitato, consente l’utilizzo dell’informazione stessa
nell’immediato. L’informazione resa così disponibile può essere elaborata e utilizzata mentre si eseguono in
contemporanea altri compirti cognitivi (es: ascoltare, ragionare…). Pertanto, se lo span aumenta, aumenta sia la
capacità di contenete informazioni (capacità strutturale o di base) sia la capacità di eseguire più processi in
contemporanea (capacità funzionale). Per questo motivo si incrementa la complessità delle azioni che possono
essere eseguite dai bambini.
Inoltre, il migliorare delle prestazioni, è imputabile alla maturazione del sistema nervoso (mielinizzazione), e
dall’esperienza acquisita che rende più familiari e semplici certe operazioni (impegnando di meno la MDL) e
dall’affinarsi delle strategie di memorizzazione.
74. LE STRATEGIE MNEMONICHE E LORO SVILUPPO
Una strategia di memoria è una sequenza di operazioni eseguita quasi sempre consapevolmente e
intenzionalmente, con lo scopo di immagazzinare e recuperare informazioni.
Le strategie per l’immagazzinamento sono:
 La reiterazione o rievocazione subvocale (7 anni), ossia ripetere a voce alta o col pensiero lo stimolo (es:
ripetere il nome di una persona appena conosciuta). ;
 L’organizzazione (10 anni), ossia nel raggruppare degli stimoli per categorie;
 La rielaborazione (adolescenza), ovvero inserire gli stimoli in una struttura significativa o collegare gli
tessi ad altre conoscenze.
Studi condotti sui bambini di 2-3 anni hanno portato alla conclusione che essi hanno già la capacità di formulare
l’intenzione di ricordare e di predisporre delle azioni con questa finalità. Ciò nonostante le azioni sono rivolte
esclusivamente a mantenere il contatto con lo stimolo da ricordare, anziché ricercare la conservazione di una
rappresentazione nella MBT o nella MLT. Ovviamente col crescere dell’età le cose cambiano.
L’uso della reiterazione a 5 anni non viene usata; a 6 anni non viene usata spontaneamente, ma solo se i bambini
vengono indotti a farlo dallo sperimentatore; infine, a 7 anni la reiterazione viene usata spontaneamente.
Questi risultati ha portato Flavel a postulare 3 livelli di sviluppo di strategie mnemoniche:
1. Nel primo livello la strategia non è disponibile, perché nei bambini non sono comparse o consolidate le
operazioni che ne costituiscono la base (es: saper riconoscere uno stimolo e pronunciare il nome);
2. Nel secondo livello, c’è carenza di produzione: i bambini pur possedendo la strategia, non la applicano
(probabilmente perché risulta più agevole applicare una vecchia modalità abitudinaria e conosciuta);
3. Nel terzo livello i bambini applicano spontaneamente la strategia che possiedono (uso maturo della
strategia).
75. LA METAMEMORIA E IL SUO SVILUPPO
35

Nella definizione di metamemoria troviamo due accezioni distinte:


 Nel primo caso è riferita all’attività cognitiva che dirige, sceglie, coordina e controlla i processi di base della
memoria (processi metacognitivi di controllo);
 Nel secondo caso è riferita all’insieme di conoscenze su cui si basano le attività metacognitive.
Secondo Flavel la metamemoria ha in sé due componenti:
1. Saper distinguere la memoria (e le situazioni che la coinvolgono) da altri tipi di attività cognitive;
2. Conoscenza dei fattori che rendono la memorizzazione più o meno difficile.
I fattori che incidono sulla facilità/difficoltà di memorizzazione sono raggruppabili in 3 categorie:
 Caratteristiche della persona;
 Caratteristiche del compito;
 Caratteristiche del materiale.
Con l’età diventa più accurata la conoscenza dei limiti della propria memoria (ricerche hanno dimostrato che
bambini di 4 anni pensano di ricordare un numero maggiore di elementi di quanto poi, siano in grado di
ricordare; mentre i bambini di 9 anni riescono a fare previsioni più realistiche). La discrepanza può essere
ragionevolmente spiegata dal fatto che i bambini non hanno ancora avuto la possibilità di conoscere i limiti della
loro memoria e dall’inesperienza.
I bambini di 6 anni sono già capaci di differenziare il grado di difficoltà del compito (riconoscere è più facile che
rievocare).
Dai 9 anni, i bambini si rendono conto che è più facile immagazzinare e rievocare del materiale organizzato
rispetto a del materiale privo di organizzazione.
76. LO SVILUPPO DELL’ENUMERAZIONE
Enumerare o contare significa associare numeri, sulla base di precise regole, ad una collezione di oggetti per
indicarne la quantità. I bambini iniziano presto a contare, ma compiono diversi errori.
Secondo Piaget la conoscenza numerica si evolve grazie allo sviluppo dell’intelligenza, che dal pensiero
irreversibile e preoperatorio passa al pensiero reversibile e delle operazioni logiche.
Secondo R. Case invece, è nello stadio interrelazionale che il bambino sviluppa la struttura di controllo esecutivo
adatta. Nel sottostadio di Consolidamento delle Operazioni (18-24 mesi) nel bambino si consolidano quelle
strutture, attraverso l’imitazione di gesti e parole, che costituiranno la base dell’enumerazione. Nel successivo
sottostadio delle Coordinazioni Unifocali (2-3 anni), il bambino abbozza un conteggio 1,2 toccando due oggetti
distinti. Nel sottostadio seguente delle Coordinazioni Bifocali (3 anni), il bambino crea una collezione di 4 o 5
oggetti in fila enumerando 1, 2,...,5, toccando consecutivamente gli oggetti. Infine nel sottostadio delle
Coordinazioni Elaborate, il bambino applica una strategia di enumerazione (toccando gli oggetti da contare)
anche ad oggetti non posti in fila.
77. SVILUPPO DELLA SCRITTURA E DELLA LETTURA
Per alcuni autori disegnare ordinatamente è un prerequisito per imparare a scrivere (es: allineamento da sinistra a
destra del foglio). I bambini, già molto prima di entrare alle scuole primarie, hanno la possibilità di incontrare
parole scritte e numeri.
Emilia Ferreiro ha dimostrato come i bambini abbiano familiarità con la scrittura già in età prescolare:
- 3 anni distinzione tra segni e figure, basata su proprietà formali;
- 4 anni distinzione tra segno e figura è consolidata;
- 4-5 anni distinzione tra numeri e lettere, con rudimentali idee di sintassi (combinare lettere in
sequenza per formare parole);
- 6 anni orientamento convenzionale per la lettura (da sx a dx).
La scrittura viene appresa attraverso due modalità:
riconoscimento del lessico
fonologico di input nel
analisi acustica sistema semantico composizione della
dell'input uditivo parola su carta
(sorta di dizionario nella
MLT)
corrispondenza
analisi acustica fonema-grafema composizione della
dell'input uditivo (collegamento suono- parola su carta
segno)

Per quanto riguarda la lettura esistono due vie di apprendimento:


1. La via visiva-semantica (per i più esperti e più rapida)
36

analisi visiva e collegamento della


riconoscimento lettere dal lessico visivo di input al parola scritta al suo
sistema semantico significato e
(o grafemi) comprensione
2. La via fonologica-lessicale (per i principianti)
conversione
analisi visiva e
identificazione grafema-fonema riconoscimento
riconoscimento lettere (o
delle lettere (collegamento uditivo
grafemi)
segno-suono)

L’autrice Utah Frith sostiene che vi sia un processo stadiale nell’accesso alla lingua scritta (processo di lettura):
 Strategia logografica (età prescolare): visivamente vengono identificate globalmente alcune parole (es:
mamma, perché la ‘m’ ha molte gambette);
 Strategia alfabetica (inizio scuola): abbinamento lettere e suoni, che viene agevolata dalla capacità di
identificare i suoni di una determinata lingua (consapevolezza fonologica);
 Strategia ortografica: i suoni vengono riprodotti sillaba per sillaba e la lettura diviene più fluida;
 Strategia lessicale: la lettura è automatizzata e l’accesso al significato delle parole è immediato.
Per quanto concerne le tecniche di insegnamento un tempo veniva privilegiato l’approccio linguistico-
fonologico o sintetico, con l’apprendimento della corrispondenza suono-forma per ciascuna lettera e nella loro
successiva sintesi nella composizione delle parole solo quando si è consolidato il collegamento grafemi-fonemi.
Per contro, l’approccio linguistico integrale o globale prevede che si debba partire già dai testi di senso
compiuto e proseguire nella scomposizione delle singole parti costitutive.
Infine, l’approccio integrato tiene conto della complementarietà dei due precedenti approcci
78. TEORIE INGENUE E APPRENDIMENTO DELLE MATERIE SCOLASTCIHE
Con l’ingresso alla scuola primaria, il bambino ha occasione di mettere a confronto le sue teorie ingenue coi
nuovi contenuti didattici. Le conseguenze di tale confronto, può avere due esiti diversi:
1. I nuovi contenuti sono congrui con le teorie ingenue e vanno ad arricchirle;
2. I nuovi contenuti non sono congrui con le teorie ingenue, per cui il bambino reagisce operando:
 Revisioni e riorganizzazioni delle teorie;
 Rifiuto di ciò che non è compatibile con la teoria ingenua;
 Deformazione della nuova teoria per raccordarla alla teoria ingenua (misconcezioni).
La difficoltà dei bambini di riorganizzare o cambiare le proprie teorie ingenue sono date da una serie di fattori in
cui concorrono la struttura delle teorie generali e specifiche elaborate dal bambino stesso, le sue abilità e le
generalizzazioni empiriche tratte dalla sua esperienza.
(Vedi teorie ingenue a pag. 31 e seguenti)
È fondamentale che le nozioni introdotte a scuola tengano conto dell’ecologia mentale (teorie generali e
specifiche, generalizzazioni empiriche, abilità) e adattate alla capacità di comprensione del bambino.
Diversamente, i rischi principali possono essere:
 Che vi sia l’aggiunta delle nuove nozioni alla teoria preesistente, rendendola incongruente;
 Che si crei una misconcezione che raccordi la nuova teoria a quella preesistente.
Per ovviare a tutto ciò è importante incoraggiare i bambini a esprimere ciò che pensano al fine di chiarire e
superare le misconcezioni.
Anche l’organizzazione scolastica (relazione con l’insegnate) ha un forte impatto nell’apprendimento del
bambino.
Uno studio condotto da Lewin, Lippit e White ha dimostrato che:
 Uno stile autoritario (adulto che impone senza discutere) comporta alternanza tra momenti di passività e
ribellione nei bambini. Questi ultimi, in assenza del leader, presentavano un alto tasso litigiosità e
inconcludenza;
 Uno stile permissivo (adulto che non interviene e lascia decidere ai bambini) comportava livelli di
aggressività, litigiosità, noia, inconcludenza e disorganizzazione nei bambini;
 Uno stile democratico (adulto che incoraggia l’autonomia e la compartecipazione dei bambini) comportava
minore aggressività, maggiore produttività e soddisfazione nei rapporti tra pari e con il leader.
79. EFFETTO PIGMALIONE
Effetto Pigmalione (dal racconto di Ovidio dell’abile scultore di Cipro, Pigmalione, che modellò una statua di
donna che incarnasse il suo ideale di femminile, e della quale poi, si innamorò) o effetto Rosenthal (dal nome
del ricercatore che lo studiò), è una cosiddetta profezia che ai autoavvera.
Le aspettative di un insegnante possono influenzare anche il rendimento effettivo dell’allievo.
37

Se un insegnate è convinto che un bambino sia più dotato (o meno dotato) di altri, lo tratterà, anche
inconsapevolmente, diversamente dagli altri; in tal modo il bambino interiorizzerà il giudizio e si comporterà di
conseguenza, concretizzando così le previsioni dell’insegnate.
L’esperimento fu condotto nel 1974 da Rosenthal e Jacobson. A dei bambini di una classe vennero somministrati
dei test di intelligenza, e senza rendere noti i risultati delle prove, furono indicati agli insegnanti quali erano i
bambini più intelligenti (che tuttavia erano stati scelti a caso senza tener conto dell’esito del test). A conclusione
dell’anno scolastico si osservò che i bambini considerati intelligenti furono valutati migliori dagli insegnanti e lo
furono poi anche oggettivamente, quando rifecero i test d’intelligenza.
Ciò dimostra come informazioni non veritiere date agli insegnanti abbiano modificato il loro atteggiamento nei
confronti degli allievi, con ripercussioni sull’apprendimento dei bambini.
80. LA COMPETENZA SOCIALE TRA PARI (modello Dodge)
La competenza sociale è un insieme di abilità cognitive, comunicative, relazionali ed emotive che
consentono all’individuo di interagire con gli altri ed inserirsi nel contesto sociale.
Essa comprende il saper rispondere in modo efficacie a situazioni interpersonali, il saper interagire con gli altri
preservando la propria salute fisica e psichica, instaurare rapporti stabili e soddisfacenti, nonchè padroneggiare le
regole esplicite ed implicite di convivenza note come grammatica sociale.
Secondo Dodge, è socialmente competente il bambino che sa affrontare e risolvere una situazione sociale.
I fase: il bambino riceve uno stimolo sociale (es: Marco urta Luca facendogli cadere il gelato);
II fase: processo di elaborazione del bambino, caratterizzato da sottoprocessi quali: codifica e
l’interpretazione dello stimolo, ricerca della risposta e valutazione di essa (es: Marco è sbadato o malevolo?);
III fase: attuazione del comportamento sociale del bambino (es: Luca grida a Marco)
IV fase: processo di elaborazione dei pari conseguente allo stimolo sociale che essi hanno ricevuto attraverso
il comportamento attuato dal bambino (es: Marco se ne accorge e se ne dispiace);
V fase: attuazione del comportamento sociale dei pari che diventa a sua volta ulteriore stimolo sociale per il
bambino e così via (es: Marco chiede scusa a Luca).
81. LA SOCIOMETRIA
È un metodo elaborato da J. Moreno per ricostruire la struttura affettiva dei gruppi. Tale struttura è composta da
una rete di relazioni interpersonali generatesi a partire da preferenze e antipatie personali verso gli altri membri
del gruppo. È stato utilizzato nei gruppi di scuola elementare.
La raccolta delle informazioni avviene attraverso due modalità:
 Nomina dei pari: si chiede ai bambini chi si vorrebbe accanto e chi no (ciò implica la valutazione delle
caratteristiche personali e dei comportamenti altrui);
 Ranking: viene chiesto in che misura si vorrebbe avere accanto o meno un compagno in differenti situazioni
(da pochissimo a moltissimo scala likert).
I dati così raccolti consentono di valutare la posizione di ciascun membro all’interno del gruppo, delineando 4
categoria di bambini:
 POPOLARI (molte scelte, e poche o nessun rifiuto);
 RIFIUTATI (molti rifiuti, e poche o nessuna scelta);
 ISOLATI (in bene o in male sono nominati sporadicamente);
 CONTROVERSI (molte scelte e molti rifiuti).
A questi si possono aggiungere delle situazioni intermedie (dove la posizione del bambino è attorno alla media
del gruppo) oppure atipiche (perché non rientrante in nessuna delle categorie).
Secondo alcuni studiosi la richiesta di esplicitare un rifiuto verso un membro del gruppo comporta un rinforzo
implicito all’atteggiamento negativo verso quel componente; tuttavia, è pur vero che la minore preferenza o
rifiuto esisterebbero comunque, anche se non fossero esplicitati.
Se i test sociometrici evidenziano una situazione nel gruppo così com’è, per indagarne le cause è utile correlare i
test con valutazioni riferite a tratti fisici e di personalità. In particolare è stata studiata la correlazione del rifiuto,
osservando che la condizione di rifiutato ricorre in presenza di difetti fisici, insuccesso scolastico, e
comportamenti aggressivi e distruttivi.
Anche i bambini isolati presentano difficoltà di adattamento, perché nonostante non abbiano connotazioni
negative essi rimangono per così dire invisibili ai coetanei (e spesso anche agli stessi insegnanti), perdendo
occasioni di interazione personale attraverso le quali sviluppare capacità emotive e cognitive.
82. LO SVILUPPO E COMPRENSIONE DELLE REGOLE
A partire dai primi anni di scuola i bambini comprendono che il gioco può essere anche disciplinato da regole
che devono essere rispettate, specialmente quando si tratta di giochi collettivi.
Piaget riteneva il gioco di regole fondamentale per lo sviluppo del giudizio morale del bambino, ed ha
individuato 4 fasi nello sviluppo e comprensione delle regole:
1. Stadio motorio individuale (2-3 anni), il bambino segue i suoi desideri e le sue abilità motorie, senza alcun
codice di regole condiviso;
2. Stadio egocentrico (3-5 anni), il bambino di uniforma agli altri senza capire le regole, né il loro scopo;
38

3. Stadio della cooperazione incipiente (6- 7/8 anni), con la presa di coscienza della competizione i bambini
comprendono anche la necessità di cooperare per garantire il rispetto delle regole. Viene acquisito il
concetto di inviolabilità della regola;
4. Stadio della codifica delle regole (11-12 anni) codifica di regole anche in forme articolate con diverse
varianti, previo l’accordo di tutti i partecipanti al gioco, e sempre con l’accordo di tutti le regole possono
essere modificate. Viene compresa la funzione delle regole: evitare ingiustizie e garantire la parità nel gioco.
83. NATURA E SVILUPPO DELLE RELAZIONI D’AMICIZIA TRA PARI
L’amicizia è quel rapporto tra due o più persone che percepiscono una comunanza di interessi, valori o ideali, e
per questo stabiliscono relazioni intime fondate sulla comprensione e sulla fiducia reciproca.
L’approccio evolutivo indica come amicizia un rapporto diadico selettivo, stabile e reciproco.
Circa l’aspetto selettivo dei legami amicali, alcuni studi hanno osservato come i bambini instaurino
maggiormente amicizia con coetanei dello stesso sesso, appartenenti allo stesso gruppo etnico, dello stesso status
socio-economico e con somiglianza in termini di rendimento scolastico e socievolezza.
La ragione può essere trovata nell’omofilia comportamentale (la preferenza verso soggetti a noi somiglianti per
comportamento) e nei vincoli ambientali (si frequentano bambini della stessa età, scuola, quartiere…).
Per quanto riguarda l’aspetto della stabilità, è necessario che i bambini sviluppino strategie di gestione dei
conflitti. Tali strategie, nei bambini della media fanciullezza, sono caratterizzate da un forte impegno a trovare
un accordo comune e da un minore attaccamento ai propri punti di vista soggettivi.
Infine, in merito all’aspetto della reciprocità, i bambini si pongono in un piano di parità che restituisca
simmetricamente i benefici (o le eventuali ostilità) che si ricevono.
L’amicizia offre ai bambini la possibilità di uno scambio sociale equilibrato, dove l’equità negli scambi
materiali e immateriali assume un ruolo rilevante, ecco perché in amicizia si scelgono persone simili. Tuttavia
non è infrequente trovare una situazione equilibrata anche se i membri della diade presentano caratteristiche
differenti (es: il più bravo della classe assieme al più simpatico).
Oppure vi sono delle diadi sbilanciate (es: un bambino ha sempre ragione e l’altro rinuncia sempre a portare
avanti il proprio punto di vista), che nonostante ciò rimangono legate.
84. DEFINIZIONE DI AGGRESSIVITÀ E SVILUPPO DEL COMPORTAMENTO AGGRESSIVO
Definire l’aggressività in modo univoco non è compito facile, tuttavia, possiamo descrivere l’aggressività
come un comportamento il cui intento è quello di offendere, danneggiare o distruggere persone, animali o
cose. Gli aspetti che pertanto vengono evidenziati sono: l’intenzionalità e il danno arrecato.
L’aggressività va distinta dal comportamento antisociale, ovvero quella condotta ostile all’organizzazione
del gruppo sociale di appartenenza, che si manifesta attraverso attività che violano le regole che
presiedono all’ordine vigente nel gruppo sociale (es: rompere la vetrina di un negozio per rubare la merce
esposta). L’aggressività è solo uno tra i molti comportamenti antisociali.
Il comportamento aggressivo si sviluppa:
 Nel 1° anno di vita la rabbia si differenzia da altre emozioni dirigendosi verso la fonte di frustrazione, e
viene usata a anche a scopo comunicativo;
 Dai 12 mesi la rabbia viene rivolta verso la persona ritenuta responsabile della frustrazione provata, anche
contro coetanei (in particolare per ottenere o difendere oggetti).
 Nella prima fanciullezza vi è una distinzione tra aggressione strumentale (convogliata a eliminare
l’ostacolo che si frappone a un intento personale) e l’aggressività ostile (con lo scopo di danneggiare
l’altro);
 Nella media fanciullezza si distingue tra aggressività reattiva o difensiva (in risposta a minacce o attacchi)
e aggressività proattiva o offensiva (attacco deliberato per raggiungere uno scopo). A volte compaiono
problemi seri di condotta prepotente e bullismo.
 Nell’adolescenza i soggetti che hanno manifestato un alto livello di aggressività nella media fanciullezza
possono intraprendere una carriera criminale (se facilitata da ambienti devianti e degradanti).
Le ricerche hanno dimostrato che l’aggressività è uno dei tratti più stabili della personalità: un bambino
aggressivo ha maggiori possibilità di diventare un adulto aggressivo.
85. TEORIE SULL’AGGRESSIVITÀ
Secondo la psicanalisi aggressivi si nasce. Freud aveva osservato come vi fossero diverse manifestazioni di
impulsi aggressivi a seconda della fase di sviluppo (mordere e sputare nella fase orale, sporcare e controllare
nella fase anale, uccidere il genitore di sesso opposto nella fase fallica). L’autore considera l’aggressività come
una reazione primordiale che si manifesta quando viene interrotta la tendenza dell’organismo
all’autoconservazione (mangiare, dormire, riprodursi…).
I comportamentisti considerarono la frustrazione la causa dell’aggressività. Berkovitz sostiene che i
comportamento aggressivi sono mediati da emozioni che sorgono i risposta alla frustrazione quali risentimento,
collera…;
39

Per i teorici dell’apprendimento sociale (Bandura) aggressivi si diventa, perché vi sono fattori ambientali che
la possono favorire. Per l’apprendimento della condotta aggressiva non è necessario il rinforzo, ma è sufficiente
l’imitazione di un modello, soprattutto se associato a soddisfazione di sé ad autoefficacia;
Per gli etologi e sociobiologi l’aggressività ha una funziona adattiva ed è necessaria alla sopravvivenza della
specie (procurarsi cibo, risorse, accoppiamento, protezione). Per Lorenz, negli animali esisterebbero dei segnali
inibitori intraspecifici che limitano gli effetti distruttivi dell’aggressività.
86. AGGRESSIVITÀ DI GENERE
L’intento dell’aggressività è quello di offendere, danneggiare o distruggere un’altra persona, ma sono state
osservate forme di aggressività differenti a seconda del genere di appartenenza.
I maschi tendono ad assumere forme aggressive dirette e fisiche (picchiare, minacciare…), mentre nelle femmine
prevalgono forme di aggressività indiretta e relazionale (deridere, escludere dal gruppo…).
Tale diversità può trovare una spiegazione sia a livello biologico (i maschi hanno livelli ormonali androgeni
superiori che nelle femmine), sia a livello di acquisizione di ruolo sociale. Mentre nei maschi l’aggressività
fisica e diretta viene maggiormente tollerata, nelle femmine essa viene scoraggiata, per cui le bambine si trovano
ad organizzare diversamente la modalità di espressione dell’aggressività.
87. AGGRESSIONE, CONFLITTO, COMPETIZIONE e COOPERAZIONE
L’aggressione comporta uno o più atti deliberati volti a ledere sul piano fisico, psicologico o materiale un altro
soggetto.
Il conflitto interpersonale sorge quando due o più soggetti sono in disaccordo o opposizione tra loro; di per sé
non è negativo se viene gestito in maniera adeguata attraverso strategie di risoluzione del conflitto (che saranno
tanto più adeguare quanto maggiori sono le capacità di role-taking, ascolto e motivazione delle proprie ragioni).
Il conflitto si può scomporre in 3 scambi interattivi:
- Azione scatenante del bambino A (es: provocazione)
- Prima opposizione del bambino B
- Ulteriore mossa oppositiva di A
La competizione può assumere forme aggressive e distruttive, ma spesso viene arginata perché inserita in
contesti con delle regole.
La cooperazione invece, è quella forma di interazione in cui i soggetti traggono dal rapporto di collaborazione
un vantaggio reciproco.
Competizione/collaborazione sono legate da fattori quali l’età e il contesto sociale di appartenenza.
Si è osservato che i bambini sotto i 6 anni d’età non riescono a competere né a cooperare perché in essi è ancora
presente l’egocentrismo; mentre sopra i 6 anni i bambini sono in grado di competere e cooperare, grazie all’uso
delle regole.
Altra osservazione viene fatta circa la cultura di appartenenza, dove i bambini nati nel mondo accidentale
sviluppano maggiormente la tendenza al successo personale, a differenza delle culture collettivistiche orientate
verso il gruppo e alla convivenza.
88. CARATTERISTICHE DELLA RELAZIONE GENITORI E FIGLI
La relazione coi genitori è uno dei punti di riferimento maggiori del bambino. I tratti distintivi della relazione
sono:
 Permanenza nel tempo: aspetto cardine per la sopravvivenza e il benessere dei figli; ai genitori è delegata
la cura dei bambini
 Sentimenti di obbligo: i genitori provvedono ai figli sul piano materiale e affettivo; i figli sono tenuti
all’obbedienza e al rispetto verso i genitori (lo studio di W. Damon che evidenzia come i bambini passino da
una forma di obbedienza non motivata a una valutazione razionale dell’obbedienza, in conseguenza a una
maggior capacità di role-taking e differenziazione dei punti di vista).
 Adattamenti continui: per effetto dei costanti passaggi evolutivi tra i protagonisti coinvolti:
 Rapporto asimmetrico in cui il bambino dipende in tutto e per tutto dal genitore
 Rapporto paritario quando i figli sono ormai adulti
 Rapporto di rovesciamento in cui i genitori divenuti anziani necessitano di cure e aiuto
 L’azione dei genitori sui figli non è unidirezionale, ma avviene all’interno di un sistema familiare
(modello tripartito di Parke e Buriel):
 I genitori influenzano figli sia in modo diretto che indiretto, attraverso:
1) L’educazione diretta: con indicazioni di comportamento, sanzionamento, premi o rinforzi di azioni.
2) Le iterazioni quotidiane: i genitori rappresentano un modello di imitazione e di identificazione.
3) La funzione manageriale: i genitori decidono per il bambino luoghi e persone da frequentare.
 I figli influenzano i genitori con le loro caratteristiche individuali.
La genitorialità (o parenting = ‘mestiere del genitore’) è stato studiato mediante due approcci diversi:
 L’approccio molecolare (riferito alle minime unità): focalizzato su specifiche pratiche educative;
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 L’approccio molare (riferito alla mole): tiene conto della costellazione complessiva delle interazioni o stile
educativo.
Entrambi gli approcci sono stati oggetto di critiche poiché veniva posta maggior attenzione alle pratiche e
disposizioni dei genitori, anziché alle caratteristiche dei figli.
In aggiunta a ciò si è notato come le pratiche disciplinari sui bambini abbiano effetti diversi a seconda della
cultura di appartenenza. Altri studi hanno evidenziato come spesso, ragazzi con comportamenti antisociali,
provenissero da famiglie in cui era presente una incoerenza di pratica disciplinare (es: un padre che picchia il
figlio perché a sua volta ha picchiato un altro bambino).
Paterson, in un o studio delle interazioni tra genitori e bambini aggressivi, ha individuato un processo di azioni-
reazioni (ciclo di coercizione) tramite il quale si radicalizzano, nei figli, livelli di disobbedienza sempre
maggiori e modalità relazionali fondate sull’aggressività (es: un genitore cede, frustrato rispetto alla
disobbedienza del figlio e al rifiuto sempre più conflittuale di obbedire, a una richiesta del bambino. Tuttavia
così facendo il genitore sviluppa un rinforzo negativo, che sul lungo periodo andrà ad incrementare ulteriormente
l’intensità di quei comportamenti negativi che invece andavano abbattuti).
89. GLI EFFETTI DEL DIVORZIO SUI BAMBINI
L’impatto del divorzio sui figli dipende da vari fattori quali:
 L’età dei bambini
 Le spiegazioni a loro fornite
 Il tasso di conflittualità tra i genitori divorziati
 La capacità di entrambi i genitori di mantenere una funzione genitoriale coerente e autorevole.
I bambini comunque, anche nella circostanza più favorevole, ne vengono turbati. Alcuni si sentono abbandonati,
altri colpevoli, altri ancora sviluppano depressione o aggressività.
In una prima fase post divorzio, tutte queste manifestazioni sono accentuate dal fatto che i genitori sono
maggiormente coinvolti a risolvere problemi di ordine pratico (aspetti economici, logistici, psicologici…).
Successivamente invece, cresce il rischio di discrepanza nello stile educativo che può disorientare il figlio.
Fattori che agevolano il superamento, da parte del bambino, delle difficoltà emotive legate al divorzio sono: la
capacità di adattamento del genitore affidatario (più frequente la madre) e che la madre (poiché genitore
affidatario più frequente) trovi una posizione stabile (ad esempio con un nuovo partner). Una ricerca ha messo in
luce come i rapporti col padre, seppur altrettanto importanti, di fatto vengano diradati.
Un’altra interessante studio ha evidenziato come il livello di autostima dei figli dei divorziati non sia inferiore a
quello delle coppie unite. Il livello di autostima sembra invece essere influenzato dal livello di conflittualità tra i
genitori (siano essi separati o sposati).
90. GLI STILI GENITORIALI
Con stile genitoriale si definisce la modalità educativa, ovvero gli atteggiamenti, l’approccio, i gesti e i
comportamenti che ciascun genitore mette in atto nello svolgere il proprio ruolo educativo.
Chiaramente lo stile educativo è un risultato tra singola personalità del genitore, stile educativo col quale il
genitore stesso è stato allevato, aspettative e desideri verso il figlio ecc.
Tra le varie teorie elaborate nel corso degli anni la più importante è la teoria degli stili genitoriali, proposta da
Diana Baumrind, che individua 4 stili genitoriali diversi tra loro:
Negligente: il genitore non dedica sufficiente tempo ed energia nella gestione dei figli, in sostanza abdica al suo
ruolo di educatore e il bambino è lasciato a se stesso (es: madri depresse, situazioni altamente stressanti di
conflitto coniugale o divorzio…).
Permissivo: è presente l’aspetto di cura e di affetto verso il figlio, ma gli viene lasciato un eccessivo spazio di
libertà superiore alla sua capacità di autoregolazione. Non vengono imposti i ‘no’ fondamentali per contenere il
pensiero egocentrico del bambino e aiutarlo a fare i conti con la realtà. Per cui avremo figli impulsivi, poco
controllati e irresponsabili.
Autoritario: il genitore adotta metodi disciplinari rigidi e inflessibili, senza tener conto del punto di vista del
bambino. I figli sono obbedienti coi genitori, ma possono diventare scarsamente indipendenti e responsabili, se
non addirittura collerici e provocatori.
Autorevole: sa bilanciare cure amorevoli con richieste di obbedienza alle regole, sa ascoltare il punto di vista del
bambino. I figli diventano responsabili, indipendenti e sensibili, con maggior successo scolastico e sociale.
Come ha evidenziato la stessa autrice in uno studio longitudinale, lo stile genitoriale più efficacie per un buon
adattamento sociale dei figli, è quello autorevole.
91. ADOLESCENZA E CARATTERISTICHE
L’adolescenza è il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta. Inizia con la pubertà e convenzionalmente si
conclude con la maggiore età (tuttavia, nei paesi industrializzati il tempo di transazione si è così dilatato, che
taluni parlano di adolescenza prolungata o post-adoloscenza).
La maggior parte dei ragazzi vive l’adolescenza come un’esperienza di crescita continuativa senza particolari
scossoni; alcuni la vivono come una crescita intermittente, caratterizzata da episodiche difficoltà; solo una
minima parte vive una crescita tumultuosa, ma che sono il protrarsi di disagi emersi durante la fanciullezza.
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Lo studio dell’adolescenza può essere ricondotto a 3 nuclei principali:


1. Mutua relazione tra fattori psichici e sociali: dato da cambiamenti fisiologici e sviluppo intellettuale;
2. Molteplicità di eventi critici: pubertà, relazioni con l’altro sesso, distacco dalla famiglia, scelta
dell’occupazione…, possono essere affrontati gradualmente e con esiti diversi;
3. Collegamento con fasi precedenti e successive: l’adolescenza è un anello della catena del percorso di
crescita e sviluppo. Per tanto i ragazzi vanno considerati in prospettiva (verso il divenire o verso il loro
pregresso) con esiti di buon adattamento o disadattamento, in miglioramento o con difficoltà transitorie o
inedite.
92. CONNESSIONE TRA SVILUPPO FISICO E PSICHICO IN ADOLESCENZA
Lo sviluppo puberale comporta la maturazione dei caratteri sessuali primari (apparati sessuali e riproduttivi) e
secondari (crescita del seno nelle ragazze e cambio della voce nei ragazzi).
La variabilità nello sviluppo puberale è generata da fattori di tipo biologico (le femmine maturano prima dei
maschi e in un lasso di tempo minore), ereditario (spesso l’età del menarca nelle ragazze è la stessa che avevano
le loro madri e nonne), fattori igienico-sanitari, nutrizionali (nei paesi industrializzati l’inizio della pubertà si è
abbassata per effetto di migliori condizioni nutritive), e relazionali (in famiglie conflittuali la maturazione
avviene prima).
Le modificazioni fisiologiche hanno rilevanza psicologica impattante sugli adolescenti, che in questo lasso di
tempo perdono i connotati infantili, senza però raggiungere rapidamente i connotati dell’età adulta. Durante
questo processo di crescita i ragazzi e le ragazze possono provare senso di disagio e incertezza circa il proprio
aspetto futuro. Talvolta il disagio si trasforma in disturbo che prende il nome di dismorfofobia (fobia che nasce
dalla visione distorta del proprio corpo).
Bisogna ricordare che un aspetto attraente agevola il successo nelle relazioni tra pari e pure con gli insegnati (che
sono più inclini a valutare scolasticamente meglio gli alunni di bell’aspetto).
Inoltre, mass media e social propongono con insistenza modelli estetici corporei talvolta irrealistici, con
conseguente induzione nei ragazzi di diete dimagranti esagerate (soprattutto nelle femmine) e uso, o abuso, di
sostanze dopanti (per i maschi).
Maschi e femmine vivono in maniera diversa l’avvento della pubertà. Le ragazze sono in genere maggiormente
informate (grazie alle madri o alla condivisione con le amiche), reagiscono al menarca più positivamente e con
minor fastidio. Diversamente, i maschi hanno a disposizione meno informazioni dai genitori e minore
condivisione con gli amici, ma se informati, hanno anch’essi reazioni positive alla prima eiaculazione.
93. PUBERTÀ PRECOCE O RITARDATA
La pubertà è la prima fase dell’adolescenza caratterizzata dalla comparsa di caratteri sessuali secondari
(aumento seno nelle ragazze, cambio voce nei ragazzi), dalla maturazione delle gonadi e dal raggiungimento
delle capacità riproduttive. Come periodo di transizione con rilevanti modificazioni fisiologiche, la pubertà è
caratterizzata da frequenti conflitti psicologici connessi all’accettazione o al rifiuto del proprio corpo, che
comportano una riconfigurazione della propria identità e del proprio modo di relazionarsi col mondo circostante.
Tra gli stimoli che influenzano la pubertà vi sono: lo stress (che inibisce il cambiamento puberale) e la leptina
(ormone proteico che funziona da attivatore della pubertà, e nelle bambine in sovrappeso la anticipa).
Se normalmente la pubertà viene indicata a 10 anni nelle femmine e a 11 per i maschi, si può parlare di pubertà
precoce quando ciò avviene prima degli 8 anni per le bambine (comparsa del bottone mammario) e prima dei 9
per i bambini (aumento del volume testicolare).
Si definisce pubertà precoce vera quella di tipo gonadotropino-dipendente, dovuta all’attivazione precoce
dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi. Tale condizione può avere una componente genetico-ereditaria, metabolica,
ambientale o una combinazione di questi fattori. Altre cause sono da ricercare in patologie del SNC (idrocefalo,
cisti aracnoidea…).
Vi è anche una forma di pseudo pubertà svincolata dall’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi con
livelli di LH (ormone luteinizzante) e FSH (ormone follicolo stimolante) che rimangono bassi, ma con un
aumento degli ormoni estrogeni ed androgeni (secreti per effetto di patologia alle gonadi, alle ghiandole
surrenaliche, cisti ovariche…).
Infine si parla di forme incomplete di pubertà quando compaiono varianti fisiologiche isolate riconducibili alla
pubertà (telarca o menarca prematuro isolato, adrenarca prematuro isolato).
La principale conseguenza della pubertà precoce, a livello fisico, è il mancato raggiungimento della statura
bersaglio, cioè della statura che sarebbe raggiunta in base alla genetica con una pubertà normale.
La pubertà ritardata, invece l’abbiamo quando lo sviluppo avviene dopo i 13 anni nelle femmine e dopo i 14
nei maschi. Le cause sono da ricercare nell’ipogonadismo ipogonadotropo (caratterizzato da deficit dei livelli
ormonali di LH, FSH e GH), nell’ipogonadismo ipergonadotropo (ridotta funzione delle gonadi, in presenza di
alti livelli di GH, FSH e LH), e nel ritardo costituzionale (una temporanea bassa statura per effetto del ritardo
nello sviluppo puberale).
94. STADIO OPERATORIO FORMALE (11 – 15 ANNI)
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Piaget considera la pubertà come l’inizio dell’ultimo stadio da lui teorizzato, lo stadio operatorio formale, che si
conclude verso i 15 anni. Le caratteristiche sono:
Si passa dal pensiero empirico-induttivo al pensiero ipotetico-deduttivo. Il pensiero operatorio formale
valuta i dati della questione, ipotizza delle teorie, e giunge a conclusioni a partire da alcune premesse. Ciò
consente il ragionamento astratto.
Dal pensiero intraproposizionale al pensiero interproposizionale (vedi paragrafo 97, pag. 50).
Si sviluppa il pensiero analogico, ovvero individuare somiglianze, attinenze o uguaglianze tra oggetti e le
relazioni che li legano (es: ala/uccello-coda/gatto; 5:7=20:28).
Nell’adolescente il possibile ha il primato sul reale. Di fronte ad un problema egli è in grado di costruire un
sistema che comprende tutte le ipotesi possibili da esaminare, immaginando probabili occorrenze e relazioni
causali. In questo processo sono fondamentali le operazioni di combinazione che permettono di individuare tutte
le parti di cui un insieme potrebbe essere composto, in modo da valutarne ciascuna. Se, per esempio, ho
l’insieme ABC, i sottoinsiemi sono A, B e C, ma anche le combinazioni possibili AB, AC, BC. Questa abilità di
individuare le diverse combinazioni possibili permette di risolvere i problemi di riconoscimento della causa da
cui dipende un certo risultato.
95. ESPERIMENTO DEL PENDOLO
È un esperimento ideato da Piaget e Inhelder per raffrontare il pensiero operatorio formale del bambino, con il
pensiero degli stadi precedenti.
Viene dato al bambino una serie di pesi e una cordicella appesa a un gancio, e gli si dice che può variare la
lunghezza della cordicella, cambiare il peso, e variare la forza della spinta. Il compito consiste nell’individuare
quali di questi fattori determina la frequenza di oscillazione del pendolo. La legge fisica del moto del pendolo
sostiene che la frequenza di oscillazione del pendolo è inversamente proporzionale alla lunghezza del pendolo, e
che sulla frequenza non influiscono né il peso né l’ampiezza di oscillazione.
Nello stadio preoperatorio il bambino/a va per tentativi e ha difficoltà a comprendere i risultati.
Nello stadio operatorio concreto il bambino/a prova ad analizzare i diversi fattori anche in contemporanea, ma in
modo casuale, e non è in grado di formulare ipotesi.
Nello stadio operatorio formale il ragazzo/a formula ipotesi, verifica ogni fattore in maniera sistematica, ed è in
grado di isolare ciascuna variabile.
96. ESPERIMENTO DELLA BILANCIA A DUE BRACCI
Si pone di fronte al bambino una bilancia a due bracci, spiegandogli che è come un’altalena, su cui devono
essere collocati a distanza variabile dal perno centrale, uno o più pesi, sino a raggiungere la situazione di
equilibrio. La fase “critica” consiste nella comprensione che l’equilibrio è raggiungibile attraverso un’operazione
di compensazione tra la pesantezza dei pesi e la loro distanza dal fulcro.
Nello stadio preoperatorio il bambino/a va per tentativi, senza considerare gli elementi utili a far sì che la
bilancia possa stare in equilibrio (es: il bambino alza un braccio della bilancia per equilibrarla).
Nello stadio operatorio concreto il bambino/a riesce ad applicare due insiemi distinti di operazioni (togliere o
collocare dei pesi sui bracci, avvicinare o allontanare i pesi dal fulcro), ma non riesce a considerarle
congiuntamente.
Nello stadio operatorio formale l’adolescente riesce a integrare e coordinare i due sistemi di operazioni (pesi e
distanza) comprendendo che una distanza maggiore può esser compensata con un peso minore, dimostrando di
aver integrato due tipi di reversibilità di pensiero.
97. PENSIERO INTRAPROPOSIZIONALE E INTERPROPOSIZIONALE
DIFFERENZA TRA PENSIERO OPERATORIO CONCRETO E PENSIERO OPERATORIO
FORMALE
Piaget definisce pensiero intraproposizionale il pensiero operatorio concreto, ossia il pensiero dentro i confini
di una singola proposizione. Il pensatore operatorio concreto guarda la relazione tra una proposizione e la realtà
empirica a cui si riferisce.
Diversamente, il pensiero interproposizionale è più sottile, perché è in grado di cogliere i nessi logici che
intervengono fra 2 o più proposizioni. Il pensiero interproposizionale caratterizza lo stadio operatorio formale.
Sono i connettivi logici, quali ‘e’, ‘o’, ‘se’…, a collegare tra loro 2 o più proposizioni dando origine ad una
proposizione logica composta che può essere vera o falsa.
Nel caso della contraddizione una proposizione si unisce alla sua stessa negazione con una ‘e’ (il gettone che ho
in mano è verde e non è verde) risultando sempre falsa; nel caso della tautologia (= dal greco tautologia,
discorso che ripete le stesse cose) una proposizione affermativa si unisce alla sua stessa negazione con una ‘o’ (il
gettone che ho in mano è verde o non verde), risultando sempre vera.
Un esperimento condotto su bambini e ragazzi di età differenti, ha dimostrato la diversità tra i 2 tipi di pensiero.
Il compito consisteva nello stabilire se le affermazioni dello sperimentatore, a proposito di gettoni colorati che
egli aveva in mano, fossero vere o false.
Si è visto che i bambini non si soffermavano sulla formulazione delle affermazioni, ma passavano subito a
verificare la realtà a cui esse si riferiscono, e infine rispondevano.
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Gli adolescenti invece, ragionavano sulle proposizioni complesse e sui connettivi logici che le legavano,
fornendo poi, una risposta anche in assenza di verifica sulla realtà.
98. ALTRI ASPETTI EVIDENZIATI NELL’ADOLESCENZA
Al di là dell’esercizio di pensiero richiesto nelle attività scolastiche, gli adolescenti applicano il crescente
sviluppo del pensiero operatorio formale anche in altri ambiti.
 La sensibilità all’incoerenza: l’adolescente individua le contraddizioni presenti nelle idee acquisite
commentandole o controbattendole; coglie le incongruenze tra idee e comportamento dell’adulto.
 L’indecisione: avendo la possibilità di prefigurarsi varie possibilità di scelta, l’adolescente potrebbe non
sentirsi all’altezza, con conseguenti 3 possibili esiti: rimandare la scelta, agire d’impulso o agire in modo
abitudinario.
 Egocentrismo adolescenziale: (vedi paragrafo 99)
 Creazione della favola personale e del pubblico immaginario: Elkind usa l’espressione favola personale
per indicare il senso di invulnerabilità, intrisa di egocentrismo, che fa supporre all’adolescente di essere
immune da rischi; altresì Elkind definisce pubblico immaginario quell’atteggiamento dell’adolescente (e di
molti adulti) che si prefigura i giudizi e le reazioni altrui, sulla base di ciò che egli pensa di se stesso (es: se
una ragazza si vede grassa, si prefigura che tutti la vedano grassa).
 Cambiamenti circa l’immagine del Sé: che riguardano il rapporto coi genitori (dai quali l’adolescente
cerca via via di prendere le distanze per il crescente bisogno di autonomia), il rapporto coi coetanei, nonché i
rapporti diadici di amicizia e le prime esperienze sentimentali.
99. I 3 EGOCENTRISMI DI PIAGET
 EGOCENTRISMO RADICALE O INTREGRALE O ASSOLUTO (stadio sensomotorio) la condizione
in cui il bambino non fa distinzione tra sé e l’ambiente;
 EGOCENTRISMO INTELLETTUALE (stadio preoperatorio) la tendenza del bambini a prendere come
assoluto il proprio punto di vista, senza considerare la possibilità che ne esistano altri;
 EGOCENTRISMO ADOLESCENZIALE: (stadio operatorio formale) dopo aver acquisito la capacità di
immaginare possibili realtà differenti da quella in cui vive (“se si abolisse il denaro”, “se si smettesse di
costruire armi”), l’adolescente sopravvaluta la forza del proprio pensiero rinnovatore e la propria azione
riformatrice futura, senza tener conto della complessità della realtà.
100.RAPPORTO GENITORI E FIGLI IN ADOLESCENZA
Nel periodo dell’adolescenza viene a mutare anche il rapporto tra genitori e figli. Gli aspetti di conflitto sono
riconducibili al gap generazionale. La discontinuità tra la generazione più giovane e quella precedente si
manifesta in termini di comportamento, idee, abbigliamento, linguaggio..., e sono anche conseguenza delle
maggiori opportunità che gli adolescenti hanno rispetto ai loro genitori a livello economico (gli adolescenti
dispongono di maggiore denaro), culturali (maggiori possibilità di proseguire gli studi) e libertà d’azione
personali (oggi giorno moltissime ragazze hanno libertà di movimento superiori a quella delle loro madri). Altri
aspetti di conflitto possono nascere sulle regole della casa, sui compiti scolastici, sul tempo libero e la vita fuori
casa.
Ciò non di meno, nel campo dei valori, degli atteggiamenti profondi, della stima personale e della soddisfazione
reciproca, permangono aspetti di accordo e congruenza tra le generazioni.
La ricerca di autonomia è il punto focale dello sviluppo adolescenziale. I ragazzi e le ragazze possiedono
capacità di ragionamento tali, che riescono a prendere le distanze dai genitori, ridimensionando le competenze a
loro attribuite (de-idealizzazione). Tuttavia, questa separazione non va intesa come distacco (che invece include
sentimenti di sfiducia ed estraniamento).
101.I GRUPPI NELL’ETÀ ADOLESCENZIALE
AMICIZIA E RELAZIONI SENTIMENTALI IN ADOLESCENZA
Le associazioni tra pari forniscono agli adolescenti un sostengo nel processo di autonomia dai genitori, e
attenuano la marginalità sociale per il fatto di essere in una categoria di mezzo: non più bambini, ma nemmeno
adulti a pieno titolo. A seconda del livello di aggregazione, i gruppi possono essere:
Gruppo allargato (crowd): dove si condividono atteggiamenti, preferenze e altre caratteristiche (es: una
tifoseria o un movimento giovanile). Questi gruppi vengono a costituirsi per rappresentazione sociale o
stereotipi, e l’adolescente tenderà ad unirsi a quello che sente più simile a sé;
Piccoli gruppi: numero ristretto di persone che si aggregano per affinità o condivisione di attività. In
quest’ultimo caso troveremo gruppi formali basati su regole esplicite e spesso con supervisione di un adulto (es:
squadra di pallavolo, gruppo parrocchiale), o gruppi informali su associazione spontanea nati per il piacere dello
stare insieme (es: i ragazzi del muretto).
Nel gruppo l’adolescente si sente libero di esser se stesso, di confrontarsi, di confidarsi. Per mezzo del gruppo il
ragazzo e la ragazza hanno modo di fare cose interessanti, e avere una comprensione del mondo più ampia
rispetto a quella avuta fino ad allora.
Appartenere ad un gruppo tuttavia significa aderire a regole esplicite ed implicite tra cui: il rispetto degli
impegni, lealtà reciproca, e il non giudicare i membri del gruppo.
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Il conformismo (=tendenza a modificare i propri atteggiamenti e comportamenti in base alla pressione del
gruppo) accentua l’identità del gruppo e passa attraverso atteggiamenti e look condivisi.
Il fenomeno del favoritismo (sbilanciamento comportamentale a favore del gruppo di appartenenza) invece, fa sì
che vengano sopravvalutati i membri del gruppo, e svalutati chi è esterno ed esso.
Rapporti diadici: sono i rapporti d’amicizia stretti con poche persone scelte con cura. Le amicizie
adolescenziali si contraddistinguono per la ricerca di intimità, condivisione di aspetti privati circa i rapporti con
l’altro sesso e i cambiamenti fisici e psicologici.
Si sono osservate delle differenze di genere circa le amicizie in adolescenza. Nelle femmine prevale il ‘faccia a
faccia’ (più intime e dirette), mentre per i maschi prevale il ‘fianco a fianco’ (si condividono eventi esterni come
lo sport, ma meno aspetti intimi).
Le relazioni sentimentali che nascono durante l’adolescenza tendono a ridimensionare l’importanza delle
amicizie. Nella prima adolescenza i rapporti sentimentali sono di importanza limitata, arrivando mano a mano a
rapporti più profondi e intimi. Molte volte è proprio all’interno della compagnia di amici che i ragazzi e le
ragazze incontrano i loro partner. La nascita della relazione di coppia si interfaccia con quella del gruppo, con tre
possibili risoluzioni:
1. La vita di coppia viene preferita al gruppo;
2. La vita di coppia è antitetica al gruppo (con la conseguenza di dover operare una scelta);
3. La vita di coppia è compatibile col gruppo.
102.L’EVOLUZIONE DEI GRUPPI DALLA PREADOLESCENZA ALL’ADOLESCENZA
Dunphy individua durante l’adolescenza, nello sviluppo interrelazionale tra pari, ben 5 stadi:
 Stadio 1: nella preadolescenza formazione di piccoli gruppi unisessuali isolati (cricche), senza legami con
gruppi dell’altro sesso;
 Stadio 2: le due tipologie di gruppi unisessuali iniziano ad interagire tra di loro;
 Stadio 3: formazione di compagnie miste, in cui alcuni membri dei sottogruppi unisessuali entrano a far
parte di gruppi eterosessuali;
 Stadio 4: compagnia in fase matura, si formano sottoinsiemi misti che interagiscono tra loro;
 Stadio 5: nella tarda adolescenza si formano coppie che interagiscono tra loro con disintegrazione della
compagnia, in quanto prevale l’interazione maschio-femmina.
103.RUOLI ALL’INTERNO DEI GRUPPI
All’interno di ogni gruppo si vengono a definire dei ruoli e delle regole. Similmente ai gruppi di adulti, quelli
adolescenziali possono avere un leader, scelto e riconosciuto come tale da tutti i membri del gruppo, il quale, per
rivestire questo ruolo, deve possedere una serie di caratteristiche. Altra figura che spesso compare è il capro
espiatorio sul quale vengono scaricate le colpe di azioni negative all’interno di un gruppo (spesso è l’ultimo
arrivato all’interno del gruppo, o il meno forte).
La vita all’interno del gruppo è sostanzialmente regolata dal conformismo (che accentua l’identità del gruppo,
passando per esempio per atteggiamenti, linguaggi e look condivisi) e dal favoritismo (che favorisce gli ingroup
e svaluta gli outgroup).
Appartenere ad un gruppo tuttavia significa aderire a regole esplicite ed implicite tra cui: il rispetto degli
impegni, lealtà reciproca, e il non giudicare i membri del gruppo.
104.DELINQUENZA E DEVIANZA IN ADOLECENZA E CAUSE DELLA DELINQUENZA
I comportamenti antisociali raggiungono un loro culmine all’inizio dell’adolescenza, divenendo più frequenti,
vari e con livelli di gravità maggiori.
La delinquenza è quella condotta volta a infrangere le norme vigenti in un gruppo sociale che comportano
azioni punitive da parte gruppo sociale stesso (es: una rapina a mano armata).
La devianza invece, è quella condotta trasgressiva, con effetti meno gravi, rispetto ad una norma sociale (es:
imbrattare i muri della scuola con bombolette spray).
La statistica ha evidenziato come i comportamenti devianti negli adolescenti siano abbastanza comuni, ma con
un rapido declino dopo i 18-20 anni, mentre i comportamenti delinquenziali, seppur più rari, siano maggiormente
riscontrabili nei maschi con precoce antisocialità e questi ultimi, dopo i 18-20 anni, abbiano maggiori probabilità
di intraprendere una carriera criminale.
Le cause della delinquenza sono molteplici e possono subentrare in momenti diversi:
 Fattori sociologici (etnia di appartenenza e basso status socio economico);
 Caratteristiche individuali (scarso sviluppo dell’intelligenza da cui discende l’insuccesso scolastico e
uno scarso livello di ragionamento morale);
 Relazionali (conflitti familiari, ambiente e cultura antisociale, ingresso in gruppi antisociali che offrono
una identità alternativa).
Patterson ha individuato un percorso evolutivo che da condotte problematiche precoci conduce alla delinquenza.
All’origine di comportamenti negativi e aggressivi è presente un clima familiare inadeguato (conflitti e disciplina
incoerente), che sortisce l’effetto di rifiuto da parte dei coetanei meglio adattati e di insuccesso scolastico. Tutto
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ciò, a sua volta, comporta la ricerca, da parte degli adolescenti aggressivi, di accettazione in altri gruppi, quasi
sempre antisociali, che tendono a cristallizzare la delinquenza.

Altri autori hanno elaborato una teoria della gestione della reputazione, secondo cui una identità
delinquenziale costituisce pur sempre, agli occhi di un adolescente problematico, una reputazione attraente,
quando altre strade sembrano chiuse. Va ricordato che la violazione delle norme, in questo contesto, ha la
funzione di affermare se stessi, venire accettati dai pari del proprio gruppo, e rafforzare l’appartenenza ad esso.
Altresì è possibile individuare due fattori di rischio e protettivi, quali la scuola e la famiglia.
La scuola è un fattore protettivo qualora vi sia una buona organizzazione, un ambiente adeguato e un rapporto di
fiducia tra adolescenti e insegnati; diversamente lo è quando l’insegnamento è scadente, le classe sono troppo
numerose e vige l’autoritarismo.
La famiglia per esercitare il suo ruolo di protezione e monitoraggio deve poter instaurare un clima favorevole,
comunicativo e confidenziale (sapere con chi escono i figli, cosa fanno, dove vanno…).
105.LA RICERCA DI IDENTITÀ SECONDO MARCIA
Marcia ha elaborato una teoria dell’identità adolescenziale che si esplica in 4 stati. Gli stati di identità hanno
origine da due diversi fattori: 1) avere o non avere esplorato le diverse alternative; 2) avere o non avere preso
l’impegno (nel lavoro, nella famiglia, nella società). I 4 stati pertanto sono:
 Confusione di identità o identità diffusa: l’adolescente non ha ancora preso alcun impegno e non sta
ancora esplorando le alternative che gli si presentano. Ha la sensazione di essere privo di una direzione.
 Moratoria di identità: l’adolescente sta esplorando le alternative, ma non ha ancora assunto alcun
impegno. È nella fese di ricerca e riesame di valori e scopi verso i quali orientare la propria vita.
 Definizione prematura: l’impegno è stato assunto senza aver prima esplorato le alternative. Di solito si
percorrono i binari già tracciati dalla famiglia o da altre figure di riferimento.
 Conquista dell’identità o realizzazione dell’identità: dopo la fase di moratoria, l’adolescente ha scelto
quali impegni ideologici, professionali e personali vuole assumere, con conseguente benessere psicologico
e morale.
106.L’IMPEGNO POLITICO DEGLI ADOLESCENTI
Siegler e Hoskin nei primi anni ‘80, hanno condotto una ricerca sull’atteggiamento degli adolescenti verso al
politica, il quale si esplica in 4 tipologie di cittadino:
1. Attivista razionale: con conoscenza e partecipazione elevata alla vita pubblica. Solitamente erano
adolescenti con livelli medio-alti di autostima e status socioeconomico;
2. Spettatore: scarsa partecipazione, ma elevati livelli di conoscenze sulla vita pubblica;
3. Cittadino passivo: scarsa partecipazione e conoscenza della vita pubblica. Solitamente erano adolescenti
con livelli minori di autostima e status socioeconomico medio-basso;
4. Cittadino mobilitante: alti livelli di partecipazione, ma scarse conoscenze della vita pubblica.
Ogni tipologia racchiude al suo interno 2 sottotipi, che si differenziano circa i sentimenti negativi/positivi verso
il governo in carica e il sistema politico del paese di appartenenza.
In contrasto con l’idea di Piaget, secondo cui l’adolescente cerca di inserirsi nel modo degli adulti elaborando
una propria teoria sulla società o assimilando quella del proprio ambiente di appartenenza, una ideologia in
senso stretto è in realtà presente solo in una minima arte degli adolescenti. Semmai è più frequente trovare una
ideologia in senso lato, ovvero un insieme di atteggiamenti, credenze esplicite o implicite su temi quali libertà
individuali, economia o stili di vita alternativi.
Con l’avvicinarsi della maggiore età e con l’innalzamento del livello culturale emerge un qualche tipo di
ideologia che, correlandola agli stadi dello sviluppo morale di Kohlberg, la si può collocare tra il livello
convenzionale o post-convenzionale, a seconda si tratti di adolescenti conservatori o progressisti (vedi paragrafo
60, pag. 34).

107.IL RAPPORTO DEGLI ADOLESCENTI COL FUTURO


Viene definita prospettiva temporale la consapevolezza del futuro e la capacità di collegare ad esso scelte e
attività svolte nel presente.
Se i bambini di età prescolare hanno una circoscritta capacità di anticipare situazioni e di fare progetti, i bambini
della media fanciullezza diventano più abili, ma la loro prospettiva temporale si sofferma all’immediato futuro (i
prossimi giorni, piuttosto che al prossimo anno).
46

Gli adolescenti, per contro, riescono a ragionare a lungo termine, avere una progettualità per il futuro e a saper
distinguere tra realtà e fantasia.
Alcuni studi hanno evidenziato come l’orientamento al futuro caratterizza sia chi ha già conquistato l’identità
che chi l’ha definita anticipatamente, ma con esiti diversi. I primi hanno una visione più positiva del passato dei
secondi. Chi invece è nello stato di confusione di identità presenta livelli più marcati di percezione negativa sul
passato, con atteggiamenti fatalistici verso il futuro.
Oltre a questo, vi sono altri fattori che impattano la prospettiva temporale degli adolescenti restringendola, quali:
la situazione reddituale famigliare, il tipo di scuola scelta (scuole professionali rispetto a istituti tecnici o licei),
aspettative di ruolo differenti tra maschi e femmine (uomo manager, donna segretaria del manager), culture
collettivistiche rispetto a quelle individualistiche, e la diffusione di lavori sempre più precari.
108.IL MINNESOTA LONGITUDINAL STUDY
Il MLS è uno studio longitudinale o diacronico (= raccolta dati sulla variazione di uno o più fattori, in tempi
diversi nella vita di uno stesso individuo), che prese avvio nel 1977 e continua tutt’oggi.
Al tempo furono campionate oltre 260 madri al 3° mese di gravidanza (valutando le caratteristiche della madre,
le circostanze, le aspettative genitoriali e la cura prenatale). Successivamente si sono valutati genitori e bambini
dopo la loro nascita (temperamento dei bambini, interazioni genitori-bambino…).
Attualmente il MLS continua a somministrare interviste agli stessi partecipanti del 1977 (status e qualità delle
relazioni, genitorialità, situazione lavorativa, grado di istruzione, salute fisica…), con l’obiettivo di determinare
il grado di continuità e fattori predittivi di discontinuità a partite dall’infanzia. In particolare viene osservata la
continuità dello stile genitoriale, nonché i processi e i percorsi che legano le relazioni significative avute prima
dell’età adulta, con la qualità delle relazioni romantiche poi.
Inoltre, lo studio ora può avvalersi anche dei figli degli stessi partecipanti (i partecipanti di seconda
generazione), ai quali vengono somministrati gli stessi compiti dati ai genitori anni prima (strange situation,
genitore e figlio in una situazione di problem solving…)
La premessa per la strutturazione di questo lavoro è che lo sviluppo può esser compreso correttamente solo alla
luce di tutti gli aspetti che lo caratterizzano: sviluppo fisico, cognitivo, emotivo, sociale e contesti di
apprendimento.
Sroufe, che è l’autore principale del MLS, sostiene l’esistenza di 3 principi guida presenti in ogni sviluppo
(umano, animale o vegetale), in stretta relazione tra loro e applicabili sia allo sviluppo normale che a quello
patologico:
1. Unitarietà dello sviluppo l’oggetto di studio è la persona. Sia gli aspetti che i cambiamenti emotivi,
cognitivi e sociali, si influenzano a vicenda, per cui non si possono tenere separati tra loro:
2. Complessità emergente (o auto-regolazione) nuovi comportamenti si generano e si sviluppano a partire
da ciò che era già esistente in passato, e le nuove strutture presentano esse stesse delle proprietà emergenti
(es: zigote, embrione e feto; ogni fase si origina da quella precedente con peculiarità proprie);
3. Differenziazione le esperienze formano e plasmano il bambino, ma è altrettanto vero che il bambino crea
le esperienze interpretando e reagendo al mondo in modo personale.
Sempre secondo l’autore i punti cardine che stanno alla base della pianificazione del MLS sono:
1. Il comportamento è caratterizzato dall’organizzazione (=processo col quale le parti si differenziano e
coordinano fra loro, così da formare un tutto funzionale);
2. L’organizzazione si manifesta osservando l’interazione degli aspetti emotivi, cognitivi e sociali (es: un
bambino che riesce a coinvolgere altri bambini in un nuovo gioco ha un’organizzazione del comportamento
diversa da quel bambino che invece, tiene lontano i coetanei dall’usare un proprio giocattolo);
3. Lo sviluppo è dato dai cambiamenti nell’organizzazione del comportamento lungo una linea temporale
(di fondo esiste la continuità nello sviluppo individuale, che fa sì che le esperienze passate e i precedenti
pattern adattivi vengano integrati nelle strutture successive)
4. L’organizzazione del comportamento (rispetto ad altri comportamenti e al contesto) è centrale nella
definizioni delle differenze individuali (es: due bambini molti attivi possono essere diversi tra loro: uno è
allegro, curioso e socievole; l’altro aggressivo e non cooperativo). Questo concetto tiene conto
dell’interazione continua tra ambiente e individuo, tra storia passata e nuovi compiti specifici della fase
evolutiva;
5. Aspetti centrali dell’organizzazione del comportamento traggono origine nelle relazioni primarie precoci.
In questa affermazione va comunque considerata l’intera l’organizzazione del sistema di accudimento
(organizzazione diadica), non solo quella del bambino.
I compiti evolutivi sono delle sfide centrali per lo sviluppo e servono per comprendere se lo sviluppo del
bambino sia normale o patologico. Le sfide riguardano capacità da acquisire per favorire la prosecuzione dello
sviluppo in 3 ampie aree:
- Sviluppo individuale
- Relazione coi genitori
- Relazione nel contesto sociale
47

(Es: il compito evolutivo nel 1° anno di vita del bambino è la formazione del legame di attaccamento; altro
compito evolutivo del bambino di età prescolare è la gestione dell’ingresso nel mondo dei pari…).
La validazione progressiva contrasta la circolarità di alcune definizioni (ovvero quando le premesse derivano
dalle conseguenze, e queste ultime derivano a loro volta dalle prime è nato prima l’uovo o la gallina? Un
bambino reagisce alle avversità perché è resiliente o la resilienza lo fa reagire meglio alle avversità?). Il modo
per ovviare a questo inconveniente è stata l’osservazione dei bambini negli anni successivi, verificando le
previsioni che erano state fatte circa pattern adattivi o disadattivi. La verifica confermava o smentiva la validità
delle ipotesi formulate. In questo modo la ricerca è in grado di “autocorreggersi”.
Le conclusioni a cui sono arrivati gli autori:
 Nello sviluppo del bambino, niente è più importante delle cure ricevute, in particolare nei primissimi anni di
vita;
 Le esperienze precoci non vengono mai cancellate;
 Continuità e cambiamento devono coesistere;
 Le caratteristiche personali di resilienza o di psicopatologia non sono congenite;
 L’individuo può essere compreso solo se visto nel suo insieme, considerando le continue interazioni tra sé e
le sfide da affrontare e il sostegno ricevuto.
Se lo sviluppo è l’emergere di qualcosa che prima non c’era, la continuità è il collegamento tra questo prima e
dopo. Allo stesso tempo è indispensabile considerare il cambiamento, da intendere nell’accezione di Sroufe,
ossia cambiamento organizzazionale che fa sì che le esperienze passate e i precedenti pattern adattivi vengano
integrati nelle strutture successive.
I punti di vista circa la continuità dello sviluppo riguardano:
1. La continuità nelle risorse ambientali. Le opportunità offerte dall’ambiente (es: possibilità di un
attaccamento sicuro) incidono sullo sviluppo del bambino;
2. Le influenze precoci sui sistemi cerebrali , rispetto alla regolazioni delle emozioni e all’attivazione
(arousal), influiscono sullo sviluppo che seguirà;
3. Le nuove esperienze sono condizionate dalla storia passata dei bambini , che in talo modo possono essere
più o meno ricettivi a determinate esperienze, o a reagire in diversa maniera di fronte alle esperienze;
4. Vi è continuità di rappresentazioni, modelli operativi interni e aspettative . Sulla base delle esperienze
pregresse, i bambini creano le loro rappresentazioni, modelli interni e aspettative, le quali determinano il
conseguente comportamento. Va inoltre rammentato che le persone tendono a comportarsi in modo tale da
confermare le loro stesse anticipazioni immaginative sul mondo (ciò che è familiare crea sicurezza), anche
se negative.
Nonostante vi sia cambiamento nello sviluppo, è altrettanto vero che esso non cancella la continuità.
È stato dimostrato l’importanza cruciale delle esperienze precoci e la loro incancellabilità.
Uno studio ha suddiviso un gruppo di bambini di 4/5 anni che presentavano un basso livello di funzionamento
nelle varie prove, in due sottogruppi sulla base delle loro storie: bambini con un buon adattamento tra 12-24
mesi, e bambini con cattivo adattamento tra 12-24 mesi. Alle scuole elementari si è potuto osservare come i
bambini, che avevano avuto un cattivo adattamento precoce, presentassero un numero significativo di problemi
rispetto agli altri con buon adattamento. L’osservazione si è ripetuta nel periodo dell’adolescenza, riscontrando
come i ragazzi, che avevano vissuto un cattivo adattamento precoce, presentassero ancora numerose
problematiche rispetto agli altri ragazzi.
A conclusioni simili si è pervenuti anche con esperimenti su scimmie rhesus deprivate nell’infanzia e poi inserite
in gruppi con un buon livello di funzionamento. Sebbene le scimmie apparissero di aver recuperato, di fronte alle
difficoltà riemergeva la loro disorganizzazione latente, manifestando un comportamento disturbato.
48

1) Che cos’è lo sviluppo……………………………….


………………………………………………………………………………………………… pag. 1
2) Utilità e importanza delle teorie nella psicologia dello sviluppo………………....
……………………………………................. 1
3) Le tappe dello sviluppo……………………………………………………………………………….
……………………………………………………. 1
4) Le fasi dello sviluppo prenatale………………………………………………………………………….
……………………………………………… 1
5) Lo sviluppo del cervello e del sistema nervoso……………………………………………………………….
………………………………… 2
6) Nascita e
neonato………………………………………………………………………………………………………………
……….…………………… 3
7) La scala di
Apgar………………………………………………………………………………………………………………
……………………….……… 3
8) Gli stati neurocomportamentali del neonato………………………………………………………….
………………………………………… 3
9) Capacità comportamentali del
neonato…………………………………………………………………………………………………………… 4
10) I
riflessi………………………………………………………………………………………………………………
…………………………..……………… 4
11)
L’apprendimento……………………………………………………………………………………………………
……………………………………… 5
12) Il precipizio visivo (ideato da Eleanor Gibson) .....……….
…………………………………………………………………………………. 5
13) Le capacità percettiva alla nascita e nel primo anno di
vita…………………………………………………………………….……... 6
14) Lo sviluppo motorio…………………………………………………………………………………………….
…………………………………………. 6
15) Jean
Piaget………………………………………………………………………………………………………….
…………………………………………. 7
16) Epistemologia
genetica……………………………………………………………………………………………………..
…………………………… 7
17) Le invarianti funzionali di Piaget…………………………………………………………….
………………………………………...…………… 8
18) Teoria degli stadi cognitivi di Piaget ………………………….
…………………………………………………………………………………… 8
19) Le 5 caratteristiche degli stadi di Piaget ………………………………………………..
……………………………………………………... 8
20) Lo stadio sensomotorio e i sottostadi (0-2 anni) ..……………………………………………….
………………………………………… 9
21) Le reazioni
circolari………………………………………………………………………………………………………………
………………………… 9
22) Lo sviluppo secondo l’HIP e ricerche post
piagetiane………………………………………………………………………..…………. 10
23) Errore A e non B per Piaget e
HIP………………………………………………………………………………………………………………….
10
49

24) Categorizzazione e suo


sviluppo…………………………………………………………………………………..
………………………………. 10
25) Problem solving del bambino (Robbie Case e confronto con Piaget)
…………………………………………………………… 11
26) Lo sviluppo del
linguaggio……………………………………………………………………………………………………………
………….…... 11
27) Lo sviluppo del
Sé……………………………………………………………………………………………………………………
….…….……………13
28) Il Sé presimbolico e la coscienza di
Sé…………………………………………………………………………..…………………………….... 14
29) Il concetto di
Sé……………………………………………………………………………………………………………………
………………………. 14
30) Concetto di Sé e teorie sulle
abilità…………………………………………………………………………………….…………………………
14
31) Le
emozioni……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………. 15
32) Teorie sullo sviluppo emotivo………………………………………………………………………………….
…………………………………… 15
33) Regolazione, comprensione, conoscenza e esibizione delle emozioni………………….
……………………………………… 15
34) Cos’è l’empatia e come si forma…………………………………………………………………………..
……………………………………… 16
35) Genesi e sviluppo del senso di
colpa……………………………………………………………………………………………………………. 16
36) Studi sul temperamento infantile (NYLS – New York Longitudinal Study)
…………………………………………………… 17
37) Sigmund
Freud…………………………………………………………………………………………………………………
…………………………. 18
38) Concetto di pulsione e teoria delle
pulsioni………………………………………………………………………….……………………… 18
39) Fasi psicosessuali di
Freud…………………………………………………………………………………………………………………
…………. 18
40) Il caso del piccolo
Hans…………………………………………………………………………………………………………………
……………... 20
41) L’apparato psichico secondo Freud………………………………………………………………………….
…………………………………… 20
42) John
Bowlby………………………………………………………………………………………………………………
………………………………… 22
43) Teoria dell’attaccamento……………………………………………………………………………………..
……………………………………… 22
44) Mary
Ainsworth……………………………………………………………………………………………………..
……………………………………. 23
45) Strange
situation……………………………………………………………………………………………………………
……………………………. 24
46) Stili di attaccamento e scale di valutazione del comportamento
materno…………………………………………………… 24
47) Adult Attachment Interview (AAI)
………………………………………………………………………………………………………………. 26
48) Stadio preoperatorio o Prima fanciullezza o Seconda infanzia……………………………………..
……………………………… 26
50

49) Gli stadi di Luquet (sviluppo del grafismo nell’infanzia) ………………………………………………..


……………………………… 27
50) I concetti secondo
Piaget………………………………………………………………………………………………………………
……………… 28
51) Operazioni di classificazione e seriazione – Irreversibilità, conservazione e causalità…………………..
……………… 29
52) Distinzione tra mondo esterno e mondo interno – Animismo/artificialismo/finalismo………………….
……………… 29
53) Critiche a Piaget e teoria della
mente…………………………………………………………………………………………………………… 30
54) Le teorie ingenue nei
bambini………………………………………………………………………………………………………………
……… 30
55) Lo sviluppo
morale………………………………………………………………………………………………………………
………………………. 32
56) Prosocialità e
altruismo……………………………………………………………………………………………..………...
……………………... 32
57) Meccanismo di disimpegno
morale………………………………………………………………………………………………………………
33
58) Obbedienza, disobbedienza e
autocontrollo………………………………………………………………………………………………... 33
59) Sviluppo di nozione di
bugia……………………………………………………………………………………………………….
………………… 34
60) Giudizio morale e suo
viluppo………………………………………………………………………………………………………………
……… 34
61) La teoria dei sistemi
ecologici……………………………………………………………………………………………………………
…………. 35
62) I
fratelli………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………… 35
63) I
nonni…………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………. 36
64) Il gruppo dei pari (comportamenti altruistici, affiliativi, aggressivi)
……………………………………………………………… 36
65) Il compagno immaginario e i suoi
effetti……………………………………………………………………………….………………………. 36
66) Gioco e giochi, coinvolgimento sociale e socializzazione………………………………………….
…………………………………... 37
67) Teoria sulla tipizzazione di
genere………………………………………………………………………………………………………………
… 37
68) Differenze di genere su base biologica (il caso di Brenda-David)
………………………………………………………..………… 38
69) Stadio operatorio concreto o Media fanciullezza o Terza infanzia (6-11 anni) …………………….
………………………. 38
70) I rapporti topologici e test della
montagna…………………………………………………………………………………………………... 38
71) Nozione temporale e test spazio-tempo (esperimento dei pupazzi rosso-blu) …………………………..
………………… 39
72) Prove di conservazione e concetto di
decàlage……………………………………………………………………………………………. 39
73) Sviluppo cognitivo nell’HIP e cambiamento nei magazzini di
memoria…………………………………………………………. 40
51

74) Le strategia mnemoniche e loro


sviluppo……………………………………………………………………………………………………... 40
75) Metamemoria e suo
sviluppo……………………………………………………………………………………………………………
…………...41
76) Sviluppo
dell’enumerazione…………………………………………………………………………………………………
………………………. 41
77) Sviluppo della scrittura e della
lettura…………………………………………………………………………………………………………… 41
78) Teorie ingenue e apprendimento delle materie
scolastiche…………………………………………………………………………. 42
79) Effetto
pigmalione…………………………………………………………………………………………………………
………………..…………... 43
80) Competenza sociale tra pari (modello Dodge)
……………………………………………………………………………………………...43
81) La
sociometria…………………………………………………………………………………………………………
…………..……...………………. 44
82) Lo sviluppo della comprensione delle
regole…………………………………………………………………….…………..……………... 44
83) Natura e sviluppo delle relazioni d’amicizia tra
pari……………………………………………………………………………………… 44
84) Definizione di aggressività e sviluppo del comportamento aggressivo………………………………………..
………………… 45
85) Teorie
sull’aggressività……………………………………………………………………………………………………
……………………………. 45
86) Aggressività di
genere………………………………………………………………………………………………………………
…………………...46
87) Aggressività, conflitto, competizione e
cooperazione……………………………………………………………..……………………. 46
88) Caratteristiche della relazione genitori e
figli………………………………………………………………………..………………………. 46
89) Gli effetti del divorzio sui
figli……………………………………………………………………………………………….
…………………………47
90) Gli stili
genitoriali……………………………………………………………………………………………………………
….…………………………. 47
91) Adolescenza e
caratteristiche………………………………………………………………………………………..
………………………………48
92) Connessione tra sviluppo fisico e psichico in
adolescenza……………………………………………………………………………. 48
93) Pubertà precoce o
ritardata………………………………………………………………………………………………………..
………………. 49
94) Stadio operatorio formale (11-15 anni)
…………………………………………………………………………………………….…………. 49
95) Esperimento del
pendolo………………………………………………………………………………………………………………
……………… 49
96) Esperimento della bilancia a due
bracci………………………………………………………………………………………………………… 50
97) Pensiero intraproposizionale e interproposizionale – Differenza tra pensiero operatorio e
formale………………50
98) Altri aspetti evidenziati nell’adolescenza……………………….
……………………………………………………………………………… 50
52

99) I 3 egocentrismi di
Piaget………………………………………………………………………………………………………………
……………… 51
100) Rapporto genitori e figli in adolescenza………………………………………………….
…………………………………………………… 51
101) I gruppi in età adolescenziale – Amicizia e relazioni sentimentali………………………..
………………………………………. 51
102) L’evoluzione die gruppi dalla preadolescenza all’adolescenza…………………………………………..
………………………… 52
103) Ruoli all’interno dei
gruppi………………………………………………………………………………………………………………
…………. 52
104) Delinquenza e devianza in adolescenza e cause della
delinquenza………………………………………………..……………. 52
105) La ricerca di identità secondo
Marcia………………………………………………………………………………………….………………. 53
106) L’impegno politico degli
adolescenti……………………………………………………………………………………………………….
……53
107) Il rapporto degli adolescenti col
futuro………………………………………………………………………….……………………………. 54
108) Il Minnesota Longitudinal
Study…………………………………………………………………………………………………..
……………… 54

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