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Psicologia generale

2 esoneri
• 24 marzo – psicologia generale (15 domande risposta multipla)
• 24 maggio – psicologia della comunicazione (15 domande a risposta multipla)
Ricordarsi di iscriversi all’appello verbalizzante

Lezione 1 16/02

Cos’è la Psicologia?
Psicologia non è psicoterapia perché questa è la disciplina che ha studiato le funzioni cognitive della mente
umana e declina queste conoscenze con l’obbietto del benessere delle persone.
La psicologia studia le capacità cognitive dell’uomo, tra queste c’è anche quella del ragionamento.
Le capacità cognitive sono quei processi cognitivi che permettono di percepire, parlare, decidere, pianificare
e ricordare le situazioni (attenzione, memoria, linguaggio e ragionamento).

Come si studia in maniera scientifica le funzioni cognitive? Si studia attraverso la modificazione di un


comportamento in seguito ad una specifica esperienza con l’ambiente – risposta data dal
comportamentismo, filone psicologico secondo il comportamentismo. Il comportamentismo sosteneva che
si potesse studiare con il metodo scientifico solo la modificazione di un comportamento in seguito ad una
specifica esperienza con l’ambiente.
I processi di pensiero siccome non sono osservabili e misurabili, secondo il comportamentismo non possono
essere oggetto della psicologia. Il comportamentismo ha studiato semplicemente come gli esseri umani
rispondono (comportamento manifesto) agli stimoli ambientali che sono stimoli manifesti, cioè ha osservato
le associazioni stimolo-risposta. Inoltre, implicitamente, ha anche sostenuto la tesi secondo la quale una vera
e propria psicologia non è possibile averla in termini scientifici.
Il comportamentismo non è un approccio sbagliato ma un approccio che coglie solo metà del comportamento
della nostra mente umana perché è vero che molti comportamenti dipendono dagli stimoli ambientali. Il
comportamentismo coglie bene tutto quel funzionamento della mente umana che, in maniera forte e
dipendente, consegue da qualcosa che avviene nell’ambiente, questo però è solo parte dello studio perché
c’è qualcosa in mezzo tra stimolo ambientale e risposta e questo riguarda inevitabilmente la mente, la
cognizione.

Cognitivismo: approccio psicologico che sostiene che lo studio delle attività mentali non osservabili (es.
motivazioni, emozioni, e altri aspetti relazionali e contestuali che incidono sul cambiamento) è possibile
attraverso metodo scientifico. Secondo il cognitivismo, quindi, a partire dai comportamenti osservabili è
possibile trarre inferenze sui processi di manipolazione mentale delle informazioni.
Il cognitivismo sostiene che buona parte de funzionamento dell’essere umano dipende da ciò che avviene
tra ciò che è nell’ambiente (stimolo ambientale) e la risposta che il soggetto dà. Cioè il modo con cui il
soggetto risponde nell’ambiente non dipende unicamente da cosa sta avvenendo nell’ambiente ma anche
da come il soggetto elabora l’informazione. Inoltre, il cognitivismo dice anche che è vero che ciò che sta in
mezzo a questo processo (la mente) ha un’ontologia complicata e misteriosa ma se si costruisce dei paradigmi
sperimentali sufficientemente sofisticati, attraverso la risposta che i partecipanti danno a questi paradigmi,
si può essere in grado di inferire indirettamente qualcosa sul funzionamento del comportamento umano.

Esistono quattro approcci/paradigmi allo studio della cognizione umana:


1. Psicologia sperimentale
2. Neuroscienza cognitiva
3. Neuropsicologia cognitiva
4. Scienza cognitiva computazionale
Questi sono approcci attraverso i quali è possibile studiare in maniera scientifica quello che accade tra stimolo
ambientale e risposta comportamentale. Nessuno di questi quattro approcci da solo però è in grado di dare
risposte esaustive serve che questi approcci si interfacciano tra di loro (metodo sistemi convergenti).
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1. PSICOLOGIA SPERIMENTALE
Approccio che discende in maniera diretta dal cognitivismo. La psicologia sperimentale vede l’uomo come
elaboratore di informazioni, cerca di elaborare paradigmi per capire come l’uomo elabora le informazioni.
Il modello prevede che ci sia uno stimolo ambientale che viene attenzionato dal soggetto e percepito,
successivamente subentrano i processi di pensiero che portano ad una decisione, la decisione porta poi ad
una risposta comportamentale.

Elaborazione bottom up = elaborazione tradizionale, lo stimolo viene elaborato dal basso verso l’alto, uno
stimolo per volta, va dall’ambiente alla mente. Storicamente questo era l’unico approccio della psicologia
sperimentale, quindi un solo stimolo che andava dall’ambiente alla mente. Elaborazione seriale, ovvero si
elaborava uno stimolo per volta, uno dopo l’altro. In realtà però l’elaborazione dello stimolo può essere
anche parallela e quindi per esempio con due stimoli per volta e non solo uno.
Elaborazione top down = elaborazione influenzata da cosa c’è già nel sistema, va dalla mente all’ambiente.
Ciò che è già attivo nella nostra mente influenza i processi di base come la percezione. Questo perché il modo
con cui elaboriamo gli stimoli dipende dalla cultura e anche dall’esperienza a cui siamo soggetti ogni giorno.
Quello che è già attivo nella nostra percezione influenza i processi cognitivi, scoperta molto semplice e banale
ma che ha un sacco di risvolti, es. in ambito di apprendimento quando si introduce un argomento nuovo
molto spesso si tende a cercare tutti quegli argomenti che già si conoscono e si possiedono e che possono
aiutare nell’elaborazione dello stimolo e del contenuto nuovo.

Limitazioni della psicologia sperimentale:


• Quando si fanno esperimenti lo si fa sempre in un contesto molto controllato, facendo questo si
ottiene rigore scientifico ma si perde in termini ecologici, ovvero se ciò che si scopre in laboratorio
può valere anche fuori, questo è plausibile ma non del tutto verificabile
• Sono sempre evidenze indirette perché non si può toccare mai la cognizione umana
• I risultati vengono espressi in termini linguistici e quindi il ricercatore prova a comunicare ciò che ha
scoperto costruendo una teoria. Utilizzando le parole però si ha un certo grado di vaghezza
• Specificità del paradigma, i fatto di studiare i processi mentali con un determinato tipo di paradigma
pone il problema sul fatto che esso possa essere applicato solo ad un determinato ambito o possa
essere fatto anche valere in ambiti simili
• Prevalenza di teorie specifiche invece di architetture generali, andando ad indagare aspetti
estremamente specifici si perde la logica generale del funzionamento della mente umana
In questo caso, i limiti più grossi sono il primo e il secondo, rispettivamente legati alla validità ecologica
(quello che scopro nel laboratorio vale anche nella realtà?) e alle evidenze indirette dei processi interni.

2. NEUROSCIENZA COGNITIVA
L’obiettivo della neuroscienza cognitiva è individuare quali sono le aree celebrali dedicate ai compiti cognitivi,
cercare di capire le aree che si attivano durante la percezione, le attività celebrali funzionali ad esempio alla
percezione visiva, alla memoria… in sostanza cerca di capire quali sono le strutture del nostro cervello che ci
permettono di far funzionare le nostre funzioni cognitive.

Il sistema nervoso centrale è diviso in:


→ Sistema nervoso periferico
→ Sistema nervoso centrale – costituito da cervello e corteccia celebrale. In neuroscienza cognitiva si parla
spesso di attivazione della corteccia celebrale, parte del sistema nervoso che è più semplice da studiare
perché è la parte più superficiale.

La corteccia celebrale è suddivisa in 4 lobi:


• Lobo temporale: impiegato in maniera importante per compiti di memoria
• Lobo frontale: importante per i processi dell’attenzione (parte frontale) e movimento (parte
posteriore)
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• Lobo parietale: area importante per l’integrazione sensoriale e per l’elaborazione specifica di
informazioni sensoriali; area importante per l’attenzione (parte inferiore)
• Lobo occipitale: specificatamente ingaggiato durante la percezione visiva

La corteccia celebrale, inoltre, è divisa in due emisferi:


• emisfero di sinistra – controlla tutta la parte del corpo dell’emisfero di destra
• emisfero di destra – controlla tutta la parte del corpo dell’emisfero di sinistra

La suddivisione della corteccia celebrale che viene maggiormente utilizzata, in realtà, è quella delle cito-
architetture o aree di Broadman: tra un lobo e l’altro ci sono degli spazi di avvallamento, invece tra un’area
di Broadman e l’altra quello che cambia è la struttura delle cellule (neuroni).
→ Il nostro cervello è costituito da neuroni: formato da nucleo, assone e dendriti che si collegano al nucleo
di un altro neurone. I neuroni non sono tutti uguali e il nucleo e l’assone possono essere più o meno grandi
così come anche il numero di ramificazioni che possono essere più estese o meno.
All’interno di una stessa area di Broadman ci sono neuroni che condividono la stessa struttura es. l’area 44 è
un area della corteccia celebrale al cui interno i neuroni sono molto simili tra di loro e hanno una struttura
leggermente diversa dai neuroni presenti per esempio nell’area 9.

Viene usato questo tipo di categorizzazione perché è più fine e dettagliata ma anche perché risponde alla
logica secondo la quale se i neuroni hanno la stessa identica struttura e sono vicini, allora probabilmente
potrebbero svolgere e avere un ruolo nello stesso tipo di funzione cognitiva. Es. area 44 e 46 sono molto
specifiche e si occupano di funzioni cognitive altrettanto specifiche come la produzione del linguaggio.

Ci sono anche delle strutture sottocorticali, ovvero strutture che stanno al di sotto della corteccia celebrale
che sono però più difficili da studiare ma, al tempo stesso, sono aree che giocano un ruolo cruciale nelle
funzioni cognitive. Le 4 più importanti sono:
• ippocampo: ruolo importante nella memoria episodica
• amigdala: ruolo importante nella memoria procedurale
• talamo
• cervelletto: struttura con quantità enorme di neuroni, ruolo importante nella coordinazione motoria

Dove e quando hanno luogo i processi cognitivi?


Dove: si intende quali aree si attivano davanti ad un determinato processo cognitivo
Quando: si intende quanto tempo intercorre tra la presentazione dello stimolo nell’ambiente e l’attivazione
celebrale che permette una determinata funzione cognitiva
Per rispondere a questa domanda, le neuroscienze cognitive hanno a disposizione una serie di tecniche.
Anche in questo caso una sola tecnica non può far comprendere tutto ma servirà utilizzare il sistema dei
metodi convergenti e quindi utilizzare più tecniche in congiunzione per arrivare a dei risultati solidi. Tutte
queste tecniche variano in base alla risoluzione spaziale e temporale, ovvero ci sono tecniche con tantissima
risoluzione spaziale che permettono di dire nello specifico quale area si attiva e solo quale area, permettono
anche di evidenziare quali sono i neuroni che si attivano. Ma ci sono anche tecniche che hanno una
risoluzione spaziale meno buona e quindi l’informazione spaziale è più grezza e non arriva in maniera
specifica. La stessa cosa vale per la risoluzione temporale: ci sono tecniche che hanno molta risoluzione
temporale e che quindi permettono di vedere l’attività di una determinata area nel tempo, altre che invece
sono più scarse, dicono l’area che si è attivata ma in quale arco di tempo si è attivata (es. risonanza magnetica)

Le tecniche però non bastano: qualsiasi tecnica della neuroscienza cognitiva deve essere pensata sempre
come accompagnamento da una richiesta o compito cognitivo che indaga una determinata funzione
cognitiva. Qualsiasi tecnica, quindi, da sola non dice nulla, deve sempre esserci un paradigma sperimentale
(si danno degli stimoli al soggetto per osservarne poi la risposta comportamentale e contemporaneamente
si misura l’attività elettrica del cervello).
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Prima tecnica – Registrazioni a unità singole


Tecnica estremamente invasiva che veniva utilizzata molti anni fa e precedeva l’utilizzazione di un
microelettrodo nel cervello che registrava le scariche elettriche, l’attività della parte di corteccia sulla quale
venivano applicati. Con questa tecnica è stato scoperto che esistono degli specifici neuroni che rispondono a
determinati orientamenti dello stimolo visivo.
Dal punto di vista spaziale è buona perché permette, in vivo, di vedere quasi l’intero comportamento singolo;
il grosso problema è che è una tecnica invasiva che oggi si può fare solo durante determinati interventi
chirurgici (solo una decina di esperimenti all’anno in tutto il mondo). Inoltre, c’è il problema dell’estendibilità
nella realtà dei risultati ottenuti.

Seconda tecnica – EEG Elettroencefalogramma


Il principio e la logica di queta tecnica è identica alla precedente ma gli elettrodi sono posti sullo scalpo.
Dunque, misura l’attività elettrica del cervello per mezzo di elettrodi posti sullo scalpo. Viene messo un
caschetto con numero di elettrodi che coprono l’area sotto la quale vengono applicati. Gli elettrodi sono un
numero limitato e quindi, per questa ragione, questa tecnica è poco invasiva e facile da somministrare ma
non ha una buona risoluzione spaziale. Inoltre, un altro problema dell’EEG è che il nostro cervello produce
attività cognitiva (attività elettrica) in continuazione quindi per capre se l’attività che si sta registrando è
dovuta effettivamente allo stimolo bisogna presentare lo stimolo tante volte, questo però rende il paradigma
meno ecologico.

Lezione 2 17/02

Terza tecnica – PET Tomografia ed emissione di positroni


La pet è un’apparecchiatura che registra l’emissione di positroni di un liquido radioattivo iniettato nella
persona. Prima di essere inseriti dentro al macchinario viene iniettato un liquido di contrasto nel sistema
cardiocircolatorio del soggetto che rilascia positroni (hanno carica elettrica +e, uguale e opposta a quella
dell'elettrone). Questo macchinario è in grado di misurare i positroni emessi dal liquido, essa, infatti, è una
tecnica che permette di andare a quantificare e vedere dove i positroni sono in una determinata posizione di
spazio.
Il principio base che ci permette di dire qualcosa sul funzionamento della corteccia celebrale attraverso la
pet è che laddove c’è un maggiore afflusso di sangue ci sarà anche un numero maggiore di positroni. Quindi
la concertazione di positroni dipende dal flusso di sangue. Dunque, dove ci sono più positroni cioè anche più
sangue e dove c’è più sangue possiamo dire che c’è più attività celebrale perché il sangue trasporta ossigeno
e quindi in manera indiretta si riesce a capire quale area è più meno attiva l’attività celebrale.

La pet, quindi, permette di studiare l’attività del cervello ma in maniera indiretta perché non permette una
misurazione diretta dell’attività del cervello ma è una tecnica che deve sfruttare un’inferenza: prima si inietta
il liquido di contrasto arrivando poi a comprendere i diversi assunti impliciti:
• primo assunto: dove ci sono più positroni c’è più sangue
• secondo assunto: dove c’è più sangue c’è molta attività celebrale

In questa tecnica la risoluzione spaziale è abbastanza accurata, si può andare abbastanza nel dettaglio ma ha
una scarsa risoluzione temporale, esattamente come succede per la risonanza magnetica. Il fatto che non
abbia una buona risoluzione temporale dipende dal fatto che nel momento in cui il macchinario è in grado di
rilevare i positroni, la scansione che viene fatta non è millisecondo per millisecondo. Inoltre, il problema è
che, per ragioni tecniche e statistiche, la pet ha bisogno di più scansioni per poter dire dove stanno più
positroni. Quindi, il risultato finale che si ottiene è come una sorta di fotografia che però non racchiude un
singolo instante ma tanti messi insieme, racchiude in sé più tempo (spesso si parla di più secondi).
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Quarta tecnica – Risonanza magnetica (MRI e fMRI)


La risonanza magnetica, come la pet, è una tecnica indiretta e si divide in due modalità:
• MRI – risonanza magnetica normale, fornisce informazioni sulla struttura del cervello (onde radio che
eccitano gli atomi del cervello)
• fMRI – risonanza magnetica funzionale, quella che si fa nello studio delle neuroscienze cognitive. È
quel tipo di risonanza che da informazioni sul funzionamento del cervello piuttosto che sulla sua
struttura.

La risonanza magnetica è una tecnica indiretta uguale alla pet, l’unica cosa che cambia è che c’è un passaggio
inferenziale in meno: la risonanza magnetica è in grado di misurare la presenza di ossigeno; l’ossigeno si
presenta in maniera naturale nel sangue, quindi, essa è in grado di misurare in maniera diretta il flusso
sanguigno, non c’è bisogno di un liquido di contrasto. Ovviamente è una misura indiretta perché è vero che
toglie un passaggio ma un assunto inferenziale rimane comunque:
• dove c’è più sangue c’è più attivazione celebrale

La risoluzione spaziale è migliore rispetto alla pet e quella temporale molto meno buona perché il margine
temporale è la condensazione di più istanti.

Quinta tecnica – MEG Magneto-encefalografia


Misura i campi magnetici prodotti da attività elettrica del cervello. È una misura diretta dell’attività celebrale.
Qualsiasi organismo che genera un qualsiasi tipo di attività elettrica genera anche un micro campo
magnetico. Lo stesso discorso vale anche per il cervello: campo magnetico estremamente ridotto che la meg
è in grado di rilevare, in qualche modo riesce a misurare direttamente l’attività elettrica del cervello.
La meg ha il grosso vantaggio di essere un tipo di esperienza molto più ecologica rispetto alla pet e alla
risonanza magnetica. Il suo grosso problema, però, è che, nonostante abbia una risoluzione spaziale
soddisfacente e un’eccellente risoluzione temporale, è molto costosa.

Tutte le tecniche viste fino ad ora condividono un grande problema: ci dicono quali aree sono attive
durante una determinata funziona cognitiva ma l’informazione che ci danno non è sufficiente perché
fanno semplicemente correlare l’attività di una determinata area con l’attività cognitiva. Es. laddove c’è
più attività della memoria si vede che si attiva una determinata area ma, osservare una correlazione non
dice nulla, la correlazione, infatti, non permette di essere sicuri circa la relazione causa-effetto che
intercorre tra le due variabili. Ciò che serve per dimostrare una relazione causa-effetto e avere così delle
certezze è manipolare almeno una delle due variabili. Questo è quello che viene fatto dalla sesta tecnica.

Sesta tecnica – TMS Stimolazione magnetica transcranica


Si crea un campo magnetico per inibire temporaneamente (“lesione temporanea”) l’attività di 1 cm circa di
corteccia cerebrale. Se un’area è critica per un compito, se inibita osserveremo un peggioramento
(condizione di controllo: applicare la TMS ad un’area cerebrale non critica).
Es. per essere sicuri che l’area 44 sia responsabile dei processi di memoria, utilizzando questa tecnica, il
neuroscienziato cognitivo prova in maniera forzata a inibire l’attivazione dell’area 44 per vedere cosa cambia
nell’attività cognitiva e per vedere se c’è una relazione dia causa-effetto.
Quello che fa la TMS è agire direttamente sul cervello, prendere un’area, inibirla in maniera temporanea e
vedere che effetti ha a livello cognitivo.

Limitazioni delle tecniche della neuroscienza cognitiva:


• Rischio di soccombere all’illusione del neuroimaging (descrizione Vs spiegazione): è un dato
fondamentale sapere quali aree si attivano per determinate funzioni cognitive. È un elemento
descrittivo fondamentale, ma non è una spiegazione circa il funzionamento delle funzioni cognitive.
• Metodiche che rivelano solo associazioni tra configurazioni di attivazione cerebrale e
comportamento (es. attivazione potrebbe dipendere da strategia scelta)
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• Si assume una specializzazione funzionale delle aree cerebrali ovvero si assume che ci siano delle
aree specifiche per delle funzioni specifiche, questo è vero ma non per tutte le funzioni cognitive.
Questo concetto, infatti, vale molto di meno per le funzioni cognitive di alto livello es. per il
ragionamento deduttivo le aree che si attivano sono tantissime e lo stesso discorso vale anche per
alcune forme di memoria che sono strutture cognitive di alto livello che non dipendono per forza
dall’attivazione di una singola area ma da un network di aree.
• Il cervello è attivo anche quando non riceve lo stimolo sperimentale: come differenziare le attivazioni
che dipendono dallo stimolo? Inoltre, alcune stimolazioni riducono l’attività cerebrale invece di
aumentarla
• Validità ecologica (stimoli di laboratorio e rilevazioni ‘invasive’)

3. NEUROPSICOLOGIA COGNITIVA
La logica della neuropsicologia cognitiva è la stessa logica della TMS, l’unica differenza è che la TMS simula la
lesione mentre la neuropsicologia cognitiva studia pazienti che effettivamente hanno una lesione a seguito
di trauma cranico oppure problemi di ictus o ischemie che portano ad avere aree della corteccia celebrale
danneggiate. La neuropsicologia cognitiva, quindi, studia le prestazioni cognitive in cerebro-lesi (per trauma
o malattia).
L’idea è che se si ha un paziente con una lesione specifica in una determinata area, si va ad osservare quello
che la lesione comporta al soggetto e quindi si andrà a capire il ruolo che l’area compie nelle funzioni cognitive
che vengono meno al paziente.

La neuropsicologia cognitiva si basa su diversi assunti:


• Modularità: idea che ci siano processori/moduli indipendenti (isolati e con specificità di dominio),
cioè ci sono delle aree del cervello deputate in maniera specifica ad attivarsi in determinati domini
• Modularità anatomica: ogni modulo è localizzato in un’area del cervello
• Uniformità dell’architettura funzionale tra le persone: non ci sono differenze individuali nella
disposizione dei moduli es. se si è scoperto che l’area 44 è importante per la produzione del
linguaggio questo vale per tutti gli esseri umani. Questo è un assunto che si è dimostrato essere
assolutamente ragionevole.
• Sottrattività: una lesione può danneggiare un modulo, ma non può introdurne di nuovi. Idea che una
lesione a livello celebrale comporti sempre un danno e mai un beneficio, questo può essere banale
ma è comunque un assunto ed è possibile che le cose non vadano per forza così.

Per la neuropsicologia cognitiva esistono due modi per comprendere il funzionamento cognitivo:
1. Dissociazioni: prevede che un paziente, con una determinata lesione, sappia fare il compito A ma non il
compito B.
Es. lesione parziale all’area 44, si vede che questa persona continua a performare molto bene ad una funzione
dell’attenzione, ma inizia a performare un po' meno bene ad un compito di funzione del linguaggio. Questa
situazione dice che è plausibile che l’area 44 svolga un ruolo nella funzione del linguaggio, anche qui non si
ha la certezza perché potrebbe essere che il compito del linguaggio è pi difficile del compito attentavo.
Quindi, per essere sicuri della relazione di causa-effetto tra la lesione e la performance cognitiva bisogna
avere un caso di doppia dissociazione.
2. Doppie dissociazioni: prevede che un paziente, con una determinata lesione, sappia fare il compito A ma
non il compito B e che un altro paziente, con un altro tipo di lesione, sappia, invece, fare il compito B ma non
il compito A.
Es. si ha un paziente con lesione ad area 31 ma area 44 perfettamente funzionante (diverso da quello di prima
con lesione ad area 44 e area 31 perfettamente funzionante) e si vede che performa bene per quanto
riguarda il linguaggio e male per quanto riguarda le funzioni attentive. Da questa doppia dissociazione si
comprende in maniera certa che l’area 44 è fondamentale per le funzioni del linguaggio mentre la 31 per
quelle dell’attenzione.

La neuropsicologia cognitiva è stata quella che ha individuato per prima questo tipo di informazioni.
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Il caso di Phineas Cage: uomo che si è infilato un palo di ferro dentro l’occhio, questo ha avuto una
ripercussione soprattutto per il lobo frontale sinistro del cervello. In seguito all’incidente riesce a
sopravvivere perché il palo non è andato ad intaccare vasi sanguigni particolari ma diventa una persona
istintiva, disinibito, impetuoso, impulsivo, disattento e veniva descritto dai suoi conoscenti come una persona
«Senza freni» che «Insultava e bestemmiava». Quello che caratterizza la situazione clinica di quest’uomo è
un’assenza di inibizione e la funzione cognitiva legata ad essa è proprio quella che riguarda l’attenzione che
si ritrova nel lobo frontale. Un danno al lobo frontale decrementa la nostra capacità di inibire e in qualche
modo cambia la personalità.

→ Un’importante scoperta che ha fatto la neuropsicologia cognitiva è la dissociazione che c’è tra
comprensione del linguaggio e produzione del linguaggio. Tramite la presenza di doppie dissociazione è stato
possibile scoprire
• l’area di Broca (nel lobo frontale sinistro), area ingaggiata nella produzione del linguaggio
• l’area di Wernike, ingaggiata per la comprensione del linguaggio.

Limitazioni della neuropsicologia cognitiva:


Tutti i limiti derivano dal fatto che il neuropsicologo, per lavorare con la doppia associazione, deve avere a
disposizione un numero molto elevato di pazienti. Inoltre, i traumi non sono tutti della stessa portata e dello
stesso identico tipo. Altri limiti sono anche:
• I pazienti possono sviluppare strategie compensatorie
• Assunzione di serialità: molte aree cerebrali funzionano in modo integrato
• Le lesioni cerebrali, piuttosto che interessare solo un ‘modulo’, sono in genere abbastanza estese.
Anche quando non sono estese c’è comunque il problema che le lesioni possono coinvolgere più aree
contemporaneamente
• Studio di aspetti specifici della cognizione umana, piuttosto che generali

4. SCIENZA COGNITIVA COMPUTAZIONALE


L’obiettivo della scienza cognitiva computazionale è quello di generare dei modelli computazionali per
comprendere l’attività cognitiva. La scienza cognitiva computazionale mira a creare programmi informatici
che, dando determinati imput e stimoli, possano in qualche modo simulare la risposta che danno gli esseri
umani. Tutto ciò è diverso dall’intelligenza artificiale perché gli obiettivi sono diversi. L’intelligenza artificiale,
infatti, crea programmi informatici per dare un qualcosa in più alle funzioni dell’essere umano, crea output
migliori e in tempi minori. La scienza cognitiva computazionale non fa questo ma cerca di simulare i
comportamenti umani come risposta a determinati stimoli anche in termini di tempi di reazione.
Il grosso vantaggio della scienza cognitiva computazionale è che supera vaghezza di teorie espresse solo
linguisticamente.

Esistono due metodi per costruire modelli computazionali:


1. Sistemi di produzione: serie di regole “se…allora”, se ti do questo stimolo allora fai questo. Operano
sulla base di rilevazione di corrispondenze tra la parte ‘se’ della regola e i contenuti della memoria di
lavoro
2. Reti connessioniste: Reti di nodi interconnessi attraversati da attivazioni. Possono rappresentare il
comportamento cognitivo senza utilizzare regole esplicite.

→ Ciò che è importante e che se dati determinati input gli esseri umani generano delle risposte identiche,
generate dal programma informatico, allora il modo con cui è stato costruito il programma dice qualcosa di
molto importante sul funzionamento cognitivo e ce lo dice nel linguaggio informatico, quindi con dei sistemi
di produzione o con reti connesioniste. Quindi la descrizione di che cosa avviene all’interno di un processo
cognitivo è scritta su un programma di un computer e non verbalmente come le teoria della psicologia
sperimentale. Infatti, il grosso vantaggio della scienza cognitiva computazionale, in termini scientifici, è che
poi ha un programma, che mira a descrivere il funzionamento cognitivo, e non, invece, una teoria espressa
con i limiti del linguaggio umano.
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Limitazioni della scienza cognitiva computazionale


• il modo con cui si costruisce una rete a nodi nel computer dice qualcosa su come i concetti sono
rappresentati nella nostra mente. Il passaggio dall’input alle risposte non è univoco, si può passare
per strade diverse. Potenzialmente si potrebbero costruire più programmi e a quel punto non si
saprebbe qual è quello che rappresenta effettivamente la mente umana.
• Esperienza in prima persona.

Lezione 3 23/02

Grande problema della scienza cognitiva computazionale = comprensione


Comprensione: un computer o un programma è in grado di manipolare degli input per arrivare a degli output
e questo lo può fare attraverso i sistemi di produzione o reti connessioniste ma quello che non può fare il
programma è comprendere. Il problema è quindi la comprensione che è una caratteristica fondamentale
dell’essere umano.

Per ragionare su questo grande problema della comprensione il filosofo Searle ha ideato l’esperimento della
stanza cinese → esperimento che descrive bene il problema tra sintassi e semantica legata alla scienza
cognitiva computazionale.

Searle si immagina di chiudersi dentro la stanza e debba interagire con qualcuno all’esterno che non sappia
niente su di lui. Suppone poi che la persona fuori parli il cinese come madrelingua e che Searle non abbia
nessuna conoscenza del cinese. Dopodiché si immagina ancora che siano disposte sul tavolo della stanza una
serie di caratteri cinesi che dovrà utilizzare per rispondere alla persona fuori. Dato che il cinese non attesta
nessuna vicinanza linguistica e semiotica con l’inglese (madrelingua di Searle), egli non ha nessuna capacità
di riconoscere qualcosa e di formulare una frase: ci sono solo simboli.
Searle si immagina allora che dentro la stanza ci sia un libro d’istruzioni con alcuni insiemi di caratteri cinesi,
associati secondo delle regole scritte in inglese. Searle continua a non capire nulla del cinese, però
comprende le informazioni in inglese, che gli indicano come rispondere a qualsiasi domanda ricevuta in
cinese. Queste regole, che costituiscono ciò che Searle chiama il “programma”, gli rendono possibile mettere
in relazione una serie di simboli formali con un'altra serie di simboli formali, cioè gli permettono di dare una
risposta (output) a ogni domanda (input). Ormai, Searle è capace di avere una conversazione con un
madrelingua cinese e, seguendo il programma, è in grado di fornire dati personali, narrare una storia o porre
una domanda. Più il programma si complica, più si aggiungono istruzioni complesse da seguire per dare
risposte sempre più precise. Ne risulta che l’esattezza del programma e della buona esecuzione da parte di
Searle gli consentono di essere considerato dalla persona all’esterno come un madrelingua cinese, che
risponde e reagisce normalmente, senza imbrogli.

Searle ha manipolato dei simboli in accordo con e regole scritte sul libro d’istruzioni ma non ha posseduto la
conoscenza di questi simboli (semantica). Sostanzialmente, quindi, questo esperimento mira a fare un
parallelismo tra come opera il computer e come opera la mente di un essere umano. Il computer, a differenza
dell’essere umano, non preclude per forza la semantica. Searle fa osservare che non ha mai dovuto
interpretare i simboli cinesi per capire la domanda e dare la risposta giusta. In effetti si è comportato come
se fosse un computer che deve calcolare una formula sulla base di un programma e di simboli formali.
Dunque, non era necessario che lui comprendesse ciò che doveva fare, perché doveva solo seguire le
istruzioni fornite. Quindi, il grosso problema della scienza computazionale è che riesce a dirci qualcosa di
interessante sulla sintassi ma, a priori, non potrà mai descrivere il livello della semantica che, invece, è un
livello fondamentale negli esseri umani.
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LA PERCEZIONE VISIVA
La percezione visiva è un processo di base e su di essa ci sono importanti contributi soprattutto dalla
neuroscienza cognitiva e questo è dato dal fatto che il 20% della corteccia celebrale è deputata alla
percezione visiva (lobo occipitale).
L’informazione visiva, prima di arrivare al lobo occipitale (aree visive), passa per altre vie. Il primo organo
visivo è l’occhio formato dalla retina. La retina ha poi due tipi di recettori visivi: coni e bastoncelli. Essi
mandano input alle cellule gangliari (magnocellulari e parvocellulari) che costituiscono la retina. Gli assoni
delle cellule gangliari formano il nervo ottico.
I due nervi ottici si incrociano (chiasma) e metà degli assoni procedono verso emisfero ipsilaterale (prosegue
nella stessa direzione da cui è partito), metà verso emisfero controlaterale (va a finire nell’emisfero opposto
da quello da cui è partito). Questo è importante perché il campo visivo sinistro e il campo visivo destro si
appoggiano a porzioni diverse del nervo ottico: il campo visivo sinistro poggia sulla parte controlaterale
dell’occhio sinistro e sulla parte ipsilaterale dell’occhio destro. Tutte le informazioni provenienti dal campo
visivo sinistro proiettano sulla parte controlaterale dell’occhio sinistro e ipsilaterale dell’occhio destro. Quindi
tutte le informazioni provenienti dal campo visivo sinistro vengono elaborate nell’emisfero destro (principio
generale del sistema nervoso legato al sistema motorio). La stessa cosa avviene per le informazioni
provenienti dal campo visivo destro che verranno elaborate nell’emisfero di sinistra.
Dal chiasma ottico, il tratto ottico procede verso il nucleo genicolato laterale che è una struttura
sottocorticale, e da qua si arriva nella parte più esterna del sistema nervoso centrale che è la corteccia visiva.
L’aspetto importante è che anche del nucleo genicolato c’è una differenziazione di cellule, esso è composto
da sei strati di cui:
• quattro composti da cellule parvocellulari: si occupano del colore, della forma e dei dettagli e
ricevono gli input dalle informazioni elaborate dai coni
• due composti da cellule magnocellulari: elaborano primariamente quello che è il movimento dello
stimolo percepito e ricevono gli input dalle informazioni elaborate dai bastoncelli

Nei vari passaggi della percezione visiva, sin da subito, c’è un’alta selettività per il tipo di informazione che
viene elaborata, da subito c’è la differenziazione tra:
• che cosa io vedo – forme e colori (via ventrale, cioè inferiore)
• come io lo vedo – movimento dello stimolo che si percepisce (via dorsale, cioè la parte più superiore)
Il nostro sistema visivo ha delle sedi anatomiche specifiche e diverse per elaborare il “cosa” dal movimento,
sin da subito, già a partire dall’occhio. Sin dall’inizio dell’elaborazione dello stimolo visivo, a partire dalla
retina, tutto il percorso sottocorticale prevede cellule specifiche.

La percezione visiva è una funzione cognitiva distribuita su entrambi gli emisferi, a differenza del linguaggio.
L’aspetto importante è che nel lobo occipitale ci sono determinate aree visive specializzate per l’elaborazione
di specifici stimoli visivi. Abbiamo:
• area V1 e V2: sono aree primarie, tutto passa da lì. Sono responsabili dell’elaborazione precoce dello
stimolo
• area V3: si occupa di elaborare la forma
• area V4: elabora colore e forma
• area V5: elabora movimento

La distinzione tra elaborazione del cosa e elaborazione del come (movimento) continua ad andare avanti
anche a livello corticale. Ci sono, infatti, specifiche aree per l’elaborazione del movimento e aree specifiche
per l’elaborazione delle forme e dei colori (specializzazione funzionale)

Nelle aree visive primarie (V1 e V2) Hubel e Wiesel, con registrazioni a unità singola scoprirono due tipi di
neuroni nella corteccia visiva primaria:
• cellule semplici: rispondono a stimoli con particolare orientamento, svolgono un ruolo importante
nell’individuare le caratteristiche dello stimolo
• cellule complesse: rispondono a contorni
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Principio di specializzazione funzionale: ci sono aree specifiche che svolgono funzioni specifiche
nell’elaborazione di caratteristiche specifiche dello stimolo visivo.

→ Elaborazione delle forme: si attiva la corteccia infero-temporale. Ci sono due tipi di neuroni:
• Selettività degli oggetti: rispondono a specifici oggetti visivi
• Tolleranza: neuroni con elevata tolleranza rispondono a immagini retiniche dello stesso oggetto che
varia per diversi aspetti, es., posizione, dimensione, illuminazione
Studi dimostrano che neuroni con alta selettività hanno scarsa tolleranza, e viceversa quelli con bassa
selettività hanno alta tolleranza: i primi garantiscono l’identificazione, i secondi la categorizzazione (es.
decidere se lo stimolo appartiene ad una categoria o meno).
Esistono deficit selettivi per l’elaborazione delle forme

→ Elaborazione del colore: si attiva l’area V4 e anche questa può essere compromessa in modo selettivo (v.
acromatopsia), seppur non completamente.
Si accompagna a deficit di elaborazione spaziale perché le cellule deputate a elaborazione spaziale sono
vicine.

→ Elaborazione del movimento: avviene principalmente nell’area V5. Può essere compromessa in modo
selettivo (v. achinetopsia) se danneggiata.
All’interno dell’area V5 i movimenti possono essere di:
• Primo ordine: quando la forma in movimento differisce in luminosità rispetto allo sfondo (e.g.,
ombra)
• Secondo ordine: quando non vi è differenza tra luminosità figura e quella dello sfondo (e.g., erba che
si muove vista dall’alto)

La specializzazione funzionale pone il problema del binding problem: come integriamo le informazioni su
forma, colore e movimento in modo da percepire oggetti distinti su uno sfondo? Bisogna pensare che queste
sono macro specifiche aree funzionali infatti:
1. Le aree non sono specializzate in modo così netto
2. L’elaborazione visiva precoce in V1 e V2 è più estesa e complessa, esse, infatti, sono aree che
elaborano lo stimolo a prescindere dal colore, dalla forma o dal movimento
3. Il problema del binding può essere affrontato abbandonando l’idea di specializzazione funzionale
rigida e riconoscendo le molte interazioni tra aree cerebrali implicate nell’elaborazione visiva. Il
problema del binding potrebbe risolversi ipotizzando che queste aree svolgano funzioni diverse e che
siano estremamente interconnesse tra di loro.

Ma com’è stata dimostrata e scoperta l’esistenza delle due vie: dorsale (movimento) e ventrale (forme e
colori)? Grazie a due sistemi visivi: percezione e azione (Goodale e Milner 1995; 1998).
Esistono, quindi, due vie (una dorsale e una ventrale) indipendenti e con ruoli funzionali distinti. Entrambe
analizzano attributi sia spaziali che no, ma per scopi differenti.

→ Via dorsale (occipito-parietale): Responsabile dell’analisi degli input visivi per guidare in modo
inconsapevole le interazioni motorie con l’ambiente. Via deputata per elaborare lo stimolo per interagire in
maniera efficace con esso, si percepisce per agire. Via che va a finire nel lobo frontale, paste posteriore
deputata al movimento, quindi anche dal punto d vista anatomico questa via ha come obiettivo l’azione.
PERCEZIONE PER AZIONE = percezione che ha come scopo l’azione
Es. vedo un boccale di birra e mi viene spontaneo afferrarlo
La via dorsale implica un coordinamento visuo-motorio e controllo visivo dell’azione
(collegamento con memoria a lungo termine - MLT- procedurale)
• Orientamento dell’attenzione spaziale
• Elaborazione inconsapevole (automatica)
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→ Via ventrale (occipito-temporale): Responsabile dell’analisi degli input visivi per costruire una
rappresentazione del mondo accessibile alla coscienza e in continua interazione con la memoria. Via che va
a finire nel lobo temporale, proprio importante per l’immagazzinamento delle informazioni nella memoria.
PERCEZIONE PER RICONOSCIMENTO
Es. vedo una tazzina di caffè e la riconosco in quanto tale
• Percezione degli attributi degli oggetti (forma, colore, dimensione, ecc.)
• Riconoscimento consapevole degli oggetti (collegamento con MLT semantica)

L’esistenza di questa dipendenza tra le due vie è stata dimostrata con una dissociazione doppia, ed
effettivamente esistono doppie dissociazioni che testimoniano la via dorsale indipendente da quella ventrale.
Le evidenze che supportano questa tesi di Goodale e Milner vengono dallo studio di pazienti con un quadro
neuropsicologico noto come Agnosia Visiva che è una conseguenza alla lesione della via ventrale. Questi
pazienti hanno gravi deficit nei giudizi percettivi relativi agli attributi di oggetti, hanno molte difficoltà a
valutare la forma, il colore o anche la dimensione degli oggetti, mentre non hanno difficoltà ad interagire con
questi stessi soggetti. Questi pazienti falliscono in un compito in cui venga richiesto loro di riportare
l’orientamento della fessura, ma riescono perfettamente ad inserire il cartoncino nella stessa fessura.
La dissociazione opposta a quella dell’agnosia visiva è visibile nel disturbo neuropsicologico chiamato Atassia
Ottica, che è al contrario causato da lesioni alla via dorsale. Questi pazienti non mostrano alcun deficit nei
giudizi percettivi relativi agli attributi di oggetti, quindi non hanno nessuna difficoltà a riconoscere il colore,
la forma o la dimensione degli oggetti ma hanno grosse difficoltà ad interagire con questi stessi oggetti, deficit
sia di orientamento che di direzione. In questo caso i pazienti con atassia ottica erano perfettamente in grado
di riportare l’orientamento corretto della fessura ma non riuscivano ad inserire un cartoncino o la loro stessa
mano all’interno di essa.

La stessa cosa è stata dimostrata su soggetti normali, senza lesioni né alla via dorsale né a quella ventrale,
attraverso l’illusione dei cerchi di Ebbinghaus.
Guardando l’immagine, probabilmente il cerchio sulla destra, quello
circondato da cerchi più piccoli potrebbe risultare più grande dell’altro.
Ma non è così. Si tratta di un’illusione ottica, infatti, i due cerchi centrali
sono identici ma appaiono diversi perché circondati da cerchi più piccoli
o più grandi.

In questo caso, quindi, i due dischi uguali vengono giudicati di dimensioni


diverse. Tuttavia, il gesto di prensione, operazionalizzato come distanza massima tra pollice e indice, relativo
a tali oggetti riflette le loro reali dimensioni. L’illusione funziona quindi con compiti a carico della via ventrale,
ma non con compiti a carico della via dorsale: l’illusione inganna soltanto la via ventrale. Dunque, ciò che si
vede o che si crede di vedere non è uguale a ciò che influenza i nostri movimenti, infatti, il movimento di
afferramento del cerchio di destra e del cerchio di sinistra erano identici. La via dorsale ha fatto due
movimenti esattamente identici nonostante la via entrale fosse soggetta all’illusione e quindi riconoscesse
due cerchi di dimensione diversa.

Lezione 4 24/02

Via Dorsale e Via Ventrale sono due vie indipendenti ma possono interagire tra di loro. La via della percezione
può essere implicata nella percezione per azione. Infatti, nella vita di tutti i giorni, soprattutto nei casi in cui
abbiamo a che fare con oggetti che hanno scopi diversi, non c’è un solo modo per interagire con l’oggetto e
quindi non si può andare in automatico. Inoltre, quado percepiamo un oggetto nuovo bisogna fare interagire
la via della percezione per il riconoscimento (via ventrale) e la via della percezione per azione (via dorsale).
Es. quando entriamo in casa nostra sappiamo benissimo dove si trova l’interruttore della luce e questo lo sa
la nostra via dorsale, al contrario quando entriamo in una casa nuova dobbiamo capire dov’è e quindi passare
per forza anche dalla via ventrale.
12

Bisogna, quindi, pensare che l’indipendenza dei due sistemi non vuol dire che questi operino sempre in
maniera indipendente perché c’è un’interazione costante nella vita quotidiana, infatti, quando mi trovo
davanti un oggetto diverso che non ho mai visto è necessario passare dalla via ventrale quindi le due vie
possono agire indipendentemente ma ci sono delle situazioni specifiche in cui è necessario che le due vie
interagiscono per scambiarsi informazioni.

La via della percezione-ventrale può essere implicata nell'azione-dorsale. È probabile il sistema ventrale sia
implicato quando:
• È necessaria la memoria
• C’è tempo per pianificare il movimento
• È necessario pianificare il movimento
• L’azione è poco pratica o è complicata
L'attivazione di un’area o l'altra dipende anche dalla situazione in cui ci si trova, ad esempio se una persona
mi tira un pugno devo per forza passare dalla via Dorsale perché devo dare una risposta immediata, nelle
situazioni invece in cui c'è tempo è il soggetto non è sotto pressione ci si può poggiare su un sistema ventrale
per pianificare il movimento oppure se l'azione è poco pratica o è complicata come nel caso in cui ci troviamo
davanti ad un oggetto nuovo.

Quando però c’è un danno alla retina o al nervo ottico, tutta questa cosa della percezione visiva con le due
vie si interrompe subito. Se si ha un danneggiamento alla retina la percezione non può partire. In questo
caso, con lesioni a carico delle aree visive primarie, succede che si ha il blindsight → Come per il neglect
(disturbo dell’attenzione che vedremo) vi è dissociazione tra mancanza di esperienza fenomenica di un dato
stimolo e l’elaborazione dello stesso. Cioè c’è un’elaborazione dello stimolo ma non se ne ha consapevolezza.
Il blindsight è una condizione clinica che è evidenza di una percezione senza consapevolezza, inconscia o
subliminale. Ovvero lo stimolo viene elaborato ma non a tal punto da renderlo cosciente al soggetto che sta
percependo lo stimolo.
Il blindsight è caratterizzato da uno scotoma, ovvero da una zona di assoluta cecità e la causa normalmente
è legata ad una lesione che distrugge una zona circoscritta dell’area visiva primaria e ha effetto su tutto il
sistema visivo portando ad un’attivazione ridotta delle aree successivamente implicate.

Per valutare il blindsight


• I pazienti devono tenere gli occhi su un punto di fissazione. Alla comparsa dello stimolo devono
spostarli su di esso. Vengono presentati degli stimoli nella zona scomatosa. I pazienti sono in grado
di fare un movimento oculare appropriato in assenza di una detenzione consapevole dello stimolo.
• I pazienti sono in grado di localizzare manualmente lo stimolo in assenza della percezione
consapevole dello stimolo medesimo.
Quindi se si ha un paziente affetto da blindsight e lo si mette di fronte alla focalizzazione dello stimolo e
quello che succede è che il paziente, a livello cosciente dirà di non star percependo nulla ma, è altamente
probabile che a livello procedurale faccia un movimento di afferramento congruente con lo stimolo a cui il
soggetto è stato sottoposto (es. cono gelato o pallini luminosi).

Come può essere studiata la percezione inconscia in pazienti sani? Esistono tre modi per presentare stimoli
al di sotto del livello di consapevolezza
1. Stimoli deboli: es. sfondo con tutti puntini arancioni e figura che emerge di pochissimo grazie a pallini
leggermente più chiari e scuri
2. Stimoli presentati per breve tempo: in un range che va al di sotto di 100/200 millisecondi e quasi
impossibile riuscire a percepire lo stimolo in maniera cosciente
3. Stimolo bersaglio seguito/preceduto da rapidissimo stimolo di disturbo (masking, che inibisce
l’elaborazione dello stimolo bersaglio)

Esempio di compito per valutare la percezione senza consapevolezza in individui sani: Decidere se una cifra
bersaglio chiaramente visibile è < o > di 5. Pochi millisecondi prima della cifra bersaglio viene presentata una
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cifra per tempo brevissimo. Essa può essere < 5 o > di 5. Nel caso di congruenza con cifra bersaglio la risposta
alla cifra bersaglio è più rapida.
Tutto ciò vuol dire che se la cifra è 8, il partecipante dovrà rispondere che la cifra è > di 5. Se per un tempo
brevissimo come 100 millisecondi, si presentano due stimoli come un 2 e un 9
• Nel caso del 2 si ha una situazione di incongruenza perché il 2 è < di 5
• Nel caso del 9 si ha una situazione di congruenza perché il 9 è > di 5
Presentando, dunque, questa situazione per 100 millisecondi è altamente probabile che il partecipante non
si renda conto in modo cosciente di questo. Se non se ne rende conto e basta, senza elaborare lo stimolo,
allora dovrebbe essere allo stesso modo indifferente presentare una cifra incongruente o congruente.

Ci sono poi due criteri per stabilire se la persona ha percepito lo stimolo:


• Limite soggettivo: la persona non sa riferire consapevolezza dello stimolo
• Limite oggettivo: la persona mostra un costo (tempi di risposta più lenti nella condizione di
incongruenza) in decisioni a scelte forzate (nell’es. si trattava di cifra < o > a 5?)

Dati in ambito di neuroscienza suggeriscono che l’esperienza consapevole si accompagna ad attività neurale
sincronizzata che riguarda numerose aree cerebrali. Cioè, affinché uno stimolo venga percepito
consapevolmente, occorre che V1 e V2 siano intatte e che permettano il passaggio delle informazioni anche
ad altre aree della corteccia celebrale. Se questo passaggio viene interrotto perché V1 eV2 non funzionano
bene, viene meno non l’elaborazione dello stimolo ma l’elaborazione consapevole dello stimolo.

PERCEZIONE DI OGGETTI
Il riconoscimento di oggetti è un processo complicato perché spesso ci sono:
• Sovrapposizioni tra componenti (es. c’è un alta numerosità ed è difficile stabilire i confini)
• Variazione nelle proprietà visive di oggetti di una stessa categoria (es. percepire una mela il 14 agosto
alle due del pomeriggio, sotto il sole è diverso dal percepirla in un altro giorno qualunque; eppure,
l’oggetto e lo stesso e lo riusciamo a percepire più meno nello stesso modo)
• Ampio spettro di distanze e orientamenti visivi (costanza e prospettiva dell’oggetto)

Nella percezione di oggetti interagiscono sia processi top down (percezione indiretta) che processi botton up
(percezione diretta). Infatti, i processi interni influiscono la percezione ma anche le informazioni che sono
disponibili nello stimolo stesso.
I primi studi sulla capacità di stabilire quali parti di informazioni visive formano oggetti distinti sono ad opera
della Gestalt → filone della psicologia tedesca che ha studiato la percezione visiva degli oggetti e ha
formulato tutta una serie di teorie, tra queste troviamo:
• teoria della prossimità: gli elementi visivi tendono ad essere raggruppati
insieme se sono vicini tra loro
• teoria della somiglianza: gli elementi visivi simili vengono raggruppati insieme

• teoria della continuità: raggruppiamo insieme gli elementi che richiedono il minor numero di
cambiamenti o interruzioni
• teoria della chiusura: parti mancanti di una figura vengono inseriti per completare
la figura stessa
• teoria della simmetria: tendiamo a unificare gli oggetti che sono simmetrici

Queste teorie sono tutte raggruppabili nella macro Legge della Pregnanza che è una teoria che genera tutti
i processi cognitivi – “Di numerose organizzazioni possibili dal punto di vista geometrico, si verificherà quella
che possiede la forma migliore, più semplice e più stabile”.

La legge più importante sviluppata dai teorici della gestalt è l’Effetto della superiorità della configurazione
per cui, quando percepiamo gli stimoli, l’intero tende a prevalere sulle parti. Ovvero il riconoscimento di
configurazioni si basa sulla forma globale dello stimolo (intero, o struttura)
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Ad esempio, in questo stimolo vediamo prima l’intero che è il volto della donna piuttosto
che le parti che sono tutte in prospettiva e che rappresentano un luogo con quadri alle
pareti…

Questa legge è stata anche dimostrata attraverso un altro esperimento:

È stato chiesto a gruppi di persone quale fosse la macro lettera rappresentata in a e in b. In questo caso i
tempi di riconoscimento della lettera H sono stati analoghi
È stato poi anche chiesto di riconoscere le lettere da cui era composta la H ed è stato notato un
riconoscimento più difficoltoso in (b) dove abbiamo come micro lettera la S. Questo è avvenuto perché c’è
un’incongruenza e il fatto che ci sia incongruenza nella situazione (b), tra stimolo globale (H) e stimolo locale
(S), e il fatto che si declini in tempi più lenti, testimonia il fatto che i partecipanti non riescono a non percepire
l’elemento incongruente e quindi non riescono a non percepire l’H globale. Il fatto che siano più lenti nella
percezione di b è indice di come il loro processo cognitivo, come primissima cosa, elabora l’H generale.
Questo paradigma dimostra come la primissima percezione che abbiamo degli stimoli è globale e si passa per
forza di lì e, nel momento in cui la percezione globale è incongruente con la valutazione richiesta (quella
locale) i partecipanti faticano.

Legge del destino comune: gli elementi visivi che sembrano spostarsi assieme (o andamento comune)
vengono raggruppati assieme

Articolazione figura-sfondo: lo sfondo non ha forma (immagine in cui si possono vedere sia il vaso che i due
volti ma questo non può avvenire nello stesso momento)

Nella percezione degli oggetti sono fondamentali due tipi di neuroni:


• Selettività degli oggetti: rispondono a specifici oggetti visivi
teorie dipendenti dal punto di vista
• Tolleranza: neuroni con elevata tolleranza rispondono a immagini retiniche dello stesso oggetto che
varia per diversi aspetti, es., posizione, dimensione, illuminazione
teorie indipendenti dal punto di vista

Per la neuropsicologia se c’è un danno nel riconoscimento visivo di oggetti in presenza di inalterata
trasmissione di informazioni visive alla corteccia cerebrale, si ha l’agnosia visiva. I pazienti sono in grado di
riconoscere gli oggetti usando altre modalità ma di per sé hanno un deficit, una compromissione e
riconoscimento visivo degli oggetti.
Esistono due tipologie di agnosia:
• Agnosia appercettiva: riconoscimento compromesso per deficit di elaborazione percettiva, lo
stimolo non viene percepito correttamente.
es. difficoltà a copiare i disegni, quello che viene percepito avviene in una maniera compromessa
• Agnosia associativa: processi percettivi integri, ma difficoltà di accesso alle conoscenze sull’oggetto,
problema di collegamento con quanto già si sa, problema legato alla memoria perché il processo
percettivo funziona ma si fa fatica a collegare quello che si sta percependo con quello che si conosce.
Prevede un riconoscimento degli oggetti insoddisfacente a causa della compromissione della
memoria visiva degli oggetti o dell’accesso alla conoscenza semantica.
es. problemi di denominazione dello stimolo percepito ma nessun problema a copiare disegni o ad
effettuare accoppiamenti visivi
15

PERCEZIONE/RICONOSCIMENTO DEI VOLTI


Il riconoscimento dei volti differisce dal riconoscimento di altri oggetti e implica un’elaborazione olistica
(elaborazione di insieme). Questo è dimostrato dalla presenza di due effetti:
• effetto inversione: è più difficile identificare volti capovolti, ma non oggetti capovolti
• effetto parte per il tutto: il ricordo di una parte del volto è più preciso se presentato all’interno del
volto, ciò non si verifica, ad esempio, per il ricordo di case e relative caratteristiche. Noi percepiamo
il volto o parti del volto sempre in maniera olistica e quindi sempre in relazione ad altre parti del
volto o del corpo, se queste vengono meno è difficile effettuare il riconoscimento.

Il deficit a carico dell’elaborazione dei volti si chiama prosopoagnosia, è un deficit specifico solo per il
riconoscimento dei volti e non degli oggetti. È causato dalla lesione dell’area giro fusiforme, area che parte
dal lobo occipitale e arriva al loro temporale, parte interna dove i due emisferi si rispecchiano l’uno con
l’altro.

PERCEZIONE DEL MOVIMENTO UMANO


La percezione del movimento umano è un processo di base nel quale agiscono sia processi vero l’alto (bottom
up) e sono presenti nel bambino giá nei primi giorni di vita.
Si tratta di una percezione diretta e quindi di una percezione per rispondere in modo appropriato
all’ambiente. Si parla, infatti, di via dorsale che poi va appunto a confluire nelle aree pre-motorie e motorie.
Lo stimolo viene percepito e l’elaborazione cognitiva che consegue serve per collegare lo stimolo alle nostre
conoscenze. L’elaborazione è diretta e molto automatica in modo tale da pianificare le proprie azioni, per
questa ragione non c’è bisogno di complessi processi cognitivi di inferenza.

Affordance: usi potenziali degli oggetti che sono direttamente percepibili (non conservati in memoria a lungo
termine). L’oggetto offre delle possibilità motorie; dipende dalla situazione psicologica della persona quale
possibilità lo influenzerà.
Se siamo sintonizzati correttamente, possiamo cogliere le informazioni dall’ambiente in modo relativamente
automatico.
Quando si parla di osservazione dell’azione si fa riferimento al concetto di risonanza → l’azione che si sta
osservando è come se risuonasse nel soggetto che sta osservando, come se internamente si riproducesse
l’azione.

Il fatto che l’elaborazione del movimento sia una funzione cognitiva particolare lo dimostra il fatto che siamo
capaci di percepire movimento biologico anche con informazioni visive limitate. E siamo ancora più bravi,
tant’è che possiamo riconoscere anche azioni più complesse, azioni di due agenti. Inoltre, siamo anche in
grado di capire, dal singolo movimento, che tipo di scambio comunicativo i due agenti stanno compiendo.

Lezione 5 2/03

Imitazione e neuroni a specchio


Da un punto di vista neuro cognitivo ci sono i neuroni mirror (neuroni specchio) sono neuroni della corteccia
pre motoria e motoria (ne costituiscono il 17%) che si attivano quando compio un movimento sia quando lo
osservo in un’altra persona. I neuroni a specchio sono utilissimi nell’apprendimento e dell’esistenza dei
neuroni mirror tutta la comunità scientifica è d’accordo benché sugli esseri umani non ci siano registrazioni
dirette. Inoltre, i neuroni specchio sono una classe di neuroni PREMOTORI con caratteristiche VISIVE

I primi neuroni specchio osservati sono stati visti sulle scimmie, ma ci sono anche negli esseri umani. Nelle
scimmie, infatti è stato notato che ci sono neuroni che si attivano quando:
• La scimmia esegue un’azione
• La scimmia osserva qualcuno che compie quella stessa azione

Tali neuroni specchio costituiscono il 17% dell’area F5 della corteccia premotoria


16

Nelle scimmie l’attività del sistema è determinata dal significato (o scopo) delle azioni osservate. Vi sono
evidenze di un sistema di neuroni specchio anche negli esseri umani.

La scoperta dei neuroni specchio è una scoperta puramente italiana: Giacomo Rizzolatti ha coordinato il
gruppo di Parma che ha scoperto i neuroni specchi totalmente per caso. Quello che stavano facendo, infatti,
era mappare il sistema motorio delle scimmie, quello che facevano era mostrare del cibo alle scimmie le quali
lo afferravano di conseguenza. Nel momento in cui la scimmia afferra il cibo si attiva un’area del cervello e
allo stesso modo questo è stato osservato anche nel momento in cui la scimmia vede un altro individuo
prendere una banana. Quindi, anche quando la scimmia sta ferma e osserva lo sperimentatore afferrare la
banana, si attiva quella stessa area.
L’interpretazione che da Rizzolatti è che è come se la scimmia stesse vedendo se stessa allo specchio
compiere l’azione, come se la scimmia si immedesimasse nella persona che osserva e che compie l’azione e,
internamente simula quel tipo specifico di azione che lei stessa sa fare.

Risonanza: è come se la scimmia si immedesimasse nella persona che osserva e che internamente simulasse
quel tipo di azione che anche lei sa fare. Da qui neuroni specchio: io mi rispecchio nell’altro e dentro di me
risuona quel tipo di schema motorio che l’altro sta eseguendo, risuona dentro di me come se anche io lo
stessi facendo.

I neuroni specchio sono una classe di neuroni che unisce percezione e azione: quello che si osserva è legato
ad uno schema motorio di colui che osserva che verrebbe ingaggiato anche nel momento in cui fosse lui
stesso a eseguire quello schema motorio. Questo nelle scimmie è stato scoperto con tecniche un po' invasive,
mentre negli esseri umani con tecniche come la pet o la risonanza magnetica. Il soggetto viene inserito
nell’apposito macchinario e gli vengono mostrati dei video di azioni compiute da altri individui, quello che
accade è che si attiva un’area del cervello, la stessa che si attiva quando il partecipante deve compiere
l’azione in prima persona.

Ci sono dei neuroni specchio che si attivano non sono nell’osservazione visiva dell’azione ma anche nella
percezione uditiva dell’azione (neuroni audio-visivi). Al percepire dello stimolo sonoro, nella scimmia si
attivano gli stessi neuroni che si attivano quando la scimmia compie l’azione es. suono della nocciolina che si
apre collegato all’azione di aprire la nocciolina

Nelle scimmie la localizzazione dei neuroni specchio è nell’area F5, nella STSa (F3) e nella corteccia parietale
inferiore e sono attivati da:
• Osservazione di azioni finalizzate compiute da un agente biologico (es. raggiungimento, prensione di
oggetto)
• In risposta al rumore causato da azioni note

Es. video degli sbadigli, viene voglia a chi lo guarda di sbadigliare


Questo video ha un collegamento con i neuroni specchio perché lo sbadiglio contagia l’atra individuo
attraverso il meccanismo dei neuroni specchio. Lo sbadiglio, infatti, è un azione della bocca della mandibola
e, nel momento in cui osserviamo qualcuno sbadigliare, questo viene simulato al nostro interno in maniera
inconsapevole, infatti anche se non si vuole sbadigliare un minimo di movimento lo si fa comunque.

Mentre sulle scimmie ci sono evidenze dirette dei neuroni specchio, negli esseri umani ci sono solo evidenze
indirette perché sono utilizzate altre tecniche meno invasive.

Sistema specchio nell’uomo: aspetti peculiari


1. il sistema specchio dell’uomo è maggiormente esteso rispetto a quello delle scimmie, negli esseri umani si
parte almeno del 30%. Da punto di vista comportamentale questo permette di identificare le azioni, anche
azioni complesse e comunicative, dalla semplice osservazione del movimento
2. attivazione somatotopica: l’attivazione del sistema specchio nell’uomo è somatotopica, ovvero aree
diverse rispondono all’osservazione di azioni compiute con effettori diversi. Es. se si osserva un’azione
17

compiuta da una gamba si attivano le are specifiche per l’attivazione del movimento della gamba (aree
dorsali); se si osserva un’azione compiuta con braccia e mani si attivano aree più in sede ventrale apposite
per l’attivazione di braccia e mani

Il sistema specchio ha anche effetti a livello periferico, es. quando si guarda una persona ridere, con
determinate contrazioni dei muscoli facciali, non solo si attivano le aree legate al movimento della faccia, ma
anche i muscoli della faccia. Quindi, l'osservazione passiva di espressioni facciali genera nell'osservatore
un'attività mimica rapida, involontaria e inconsapevole,

Il sistema specchio è anche ingaggiato nei processi di imitazione: es. l’esecuzione di semplici azioni della mano
è facilitata dall’osservazione di azioni anatomicamente compatibili. Questo vuol dire che se si chiede ad un
partecipante di muovere l’indice e di muoverlo nella maniera più rapida possibile e nel modo più accurato
possibile, lo si può facilitare in base a ciò che si mostra perché fa attivare in lui lo schema motorio più rapido
possibile per effettuare l’azione. Nei casi di congruenza si faciliterà l’esecuzione del movimento mentre nei
casi di incongruenza questo verrà meno, si ostacola l’esecuzione del movimento perché è come se si fornisse
al partecipante uno schema motorio che non è quello che gli serve per compiere il movimento richiesto.
Quindi l’attivazione dei neuroni specchio in osservazione velocizza l’esecuzione del movimento osservato.

In estrema sintesi: C’è un meccanismo neurale nel nostro cervello che ci consente, attraverso un processo di
SIMULAZIONE degli stati mentali altrui di COMPRENDERE IL SIGNIFICATO DELLE AZIONI DEGLI ALTRI senza
che questa comprensione sia mediata da processi di ragionamento inferenziale. Ovvero l’attivazione del
sistema specchio è un’attivazione molto automatica, rapida e bottom up.

Limiti:
1. Negli esseri umani, durante compiti relativi al fare e osservare una certa azione si attivano le stesse
aree; non ancora evidenze che si attivano stessi neuroni. Limite che deriva dalle tecniche utilizzate
2. Nell’attribuire intenzioni teniamo conto sia di conoscenze del contesto che della persona: difficile
che tutto ciò avvenga ad opera dei neuroni specchio. Questione dell’empatia, quando si comprende
lo stato emotivo di un’altra persona, sicuramente entrano in gioco componenti specchio ma non
sono le sole perché per esempio la conoscenza della storia di una persona permette anche di
comprendere lo stato mentale e ed emotivo non attraverso un processo di risonanza dei neuroni
specchio ma attraverso un processo di ragionamento deduttivo. Non tutto, quindi è spiegabile
attraverso i neuroni specchio

LE IMMAGINI VISIVE
Cosa succede quando si immagina visivamente qualcosa?
Immagini visive e percezioni visive sono rappresentazioni iconiche (pittoriche). Cioè riusciamo a creare, in
assenza di uno stimolo, delle rappresentazioni iconiche nella nostra mente, rappresentazioni di stati di cose
uguali a come le abbiamo nella realtà.
Es. quando si immagina la casa o il cane si sta dando nella propria mente una rappresentazione iconica con
la stessa natura della percezione visiva, si riesce a ricreare un esperienza simil-percettivo nella nostra mente

È stato dimostrato che gli stessi processi usati nella percezione visiva sono gli stessi usati per generare le
immagini. Quando si immagina qualcosa visivamente, si sfruttano gli stessi meccanismi cognitivi che sono
implicati nella percezione visiva reale. In termini cognitivi questo si traduce nel fatto che le stesse aree
attivate nell’elaborazione dello stimolo visivo, si attivano anche quando lo stimolo visivo non c’è e il soggetto
sta immaginando. Quindi quello che ci dice la psicologia sperimentale e la neuroscienza cognitiva è che gli
stessi meccanismi che regolano la percezione visiva regolano anche l’immaginazione ed è stato visiva (area
V1). Questo è vero sia dal punto di vista cognitivo ma anche da quello comportamentale ed è stato
dimostrato dai compiti di rotazione mentale: quello che succede all’oggetto nella nostra mente corrisponde
a quello che succederebbe nella realtà.
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I compiti di rotazione mentale sono dei giochini in cui l’oggetto di destra può
essere lo stesso presentato a sinistra, oppure no. Quando lo è vuol dire che si
tratta dello stesso oggetto ma ruotato. Davanti a queste coppie di oggetti, il
compito del partecipante è quello di dire se gli oggetti sono gli stessi o no.
Tutte le volte che l’oggetto di destra non corrisponde all’oggetto di sinistra, lo
sperimentatore può non analizzare nulla, concentrandosi, invece, su tutte le
volte in cui l’oggetto di destra è effettivamente l’oggetto di sinistra ruotato.

Quello che è stato dimostrato è che il tempo con cui i partecipanti rispondono,
si correla perfettamente con l’angolo di rotazione dell’oggetto di destra. Cioè
maggiore è la rotazione con cui è stato presentato l’oggetto di destra, maggiore
sarà il tempo necessario per i partecipanti per riconoscerli come due oggetti
identici. Minore è la rotazione dell’angolo, più i partecipanti sono veloci.

Tutto questo ci dice che nella nostra mente noi ruotiamo veramente l’oggetto per capire se effettivamente
è uguale a quello di destra. Quello che succede all’oggetto nella nostra mente, in qualche modo, corrisponde
a quello che accadrebbe nella realtà. Duque, anche qua ritroviamo l’analogia tra percezione visiva di uno
stimolo reale e immaginazione però dal punto di vista comportamentale.

Un altro paradigma inventato per testare la stessa cosa è quello legato all’esplorazione delle immagini.
1. Memorizzare mappa con oggetti
2. Immaginare di percorrere delle distanze fintanto che da un punto non se ne raggiunge un altro
(quindi premere pulsante quando a livello immaginativo si è raggiunto l’obbiettivo)
Risultati: Relazione lineare quasi perfetta tra le distanze che separavano coppie successive di oggetti nella
mappa mentale e la quantità di tempo che passava prima che i soggetti premessero il pulsante. Quindi,
maggiore era la distanza tra i due punti e maggiore era il tempo che i partecipanti ci mettevano per premere
il pulsante. Questo non vuol dire che, a livello immaginativo, ci si mette lo stesso identico tempo ma
semplicemente che c’è una relazione e che quindi in qualche modo agiscono gli stesi principi e le stesse
regole.

In sostanza, quindi, le aree cerebrali in cui si formano le rappresentazioni sia immaginative che percettive
sono le stesse (tra cui BA17 e BA18 ).

L’ATTENZIONE
L’attenzione è un costrutto un po' più complicato da definire. L’attenzione può essere definita come la
capacità di inibire tutte le cose che non sono rilevanti per un determinato scopo. L’attenzione non
corrisponde con la percezione visiva e nemmeno con la percezione uditiva, essa è proprio un costrutto a sé
stante. Già nel senso comune si da una certa importanza all’attenzione (es. “fai attenzione!”) proprio per
garantire una buona codifica del materiale in ingresso nel sistema nervoso.
L’attenzione è una funzione cognitiva separata da vista e udito: si possono puntare gli occhi su un oggetto
che si trova ad esempio al centro del campo visivo e al contempo spostare l’attenzione su un altro oggetto
che si trova più vicino alla periferia senza spostare gli occhi. A tutti gli effetti si “vede” meglio questo secondo
oggetto, si elabora cognitivamente meglio. L’attenzione, quindi, può essere considerata come una funzione
metacognitiva che consente di regolare il funzionamento della percezione visiva ed uditiva.

• Attenzione focalizzata: presentazione di 2 stimoli e richiesta di porre attenzione solo ad uno


• Attenzione divisa: presentazione di almeno 2 stimoli e richiesta di rispondere ad entrambi
Tutti gli studi legati a questi due tipi di attenzione presentano dei limiti che sono legati al fatto che analizzano
l’attenzione rispetto a stimoli provenienti solo dall’ambiente esterno e che non tengono conto che
l’attenzione è modulata da nostri obiettivi e stati d’animo, differentemente da quanto accade in laboratorio.
Non tengono conto di tutto ciò che può avvenire e che quindi, anche durante l’osservazione in laboratorio, il
partecipante può avere tutta una serie di pensieri che possono distrarlo e che lo sperimentatore non è in
grado di manipolare e di gestire.
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→ Attenzione focalizzata o selettiva: Il sistema visivo codifica prevalentemente ciò a cui si fa attenzione
selettiva, ovvero verso una specifica parte dello spazio o dell’oggetto. L’attenzione permette di mettere in
luce determinati stimoli.
Es. esperimento di contare i passaggi fatti dai giocatori e vedere se si vede il gorilla: questo esperimento ci
dice che ci si è focalizzati solo su un determinato elemento che si è elaborato bene, il problema è che c’è
anche l’altra faccia della medaglia (gorilla che passa tra i giocatori). In questo caso lo stimolo del gorilla si
trova al di fuori della porzione specifica di spazio su cui si pone l’attenzione e quindi non viene elaborata con
la stessa intensità cognitiva e in alcuni casi non viene proprio elaborata tant’è che molti non si accorgono
della presenza del gorilla perché sono attenti a contare i passaggi della palla della squadra bianca.
Dunque, l’attenzione focalizzata, copre un’area spaziale relativamente piccola e quanto accade al di fuori
viene codificato in modo povero, Elementi presenti non vengono elaborati o ricordati

Attenzione focalizzata UDITIVA: avviene quando lo stimolo da attenzionare non è uno stimolo visivo ma
uditivo. I paradigmi con cui si studia questo tipo di attenzione sono i compiti di ombreggiamento, cioè si
presentano stimoli diversi a ciascun orecchio e di chiede di ripetere ciò che viene udito da uno dei due. Quello
che poi viene studiato è cosa ne rimane dello stimolo che non viene attenzionato. L’esempio migliore
dell’attenzione uditiva focalizzata è l’effetto cocktail party: il risultato che ne deriva è che possiamo seguire
una sola conversazione mentre molte persone parlano in contemporanea, selezionando quindi il canale
uditivo. Tuttavia, possiamo sentire che qualcuno pronuncia il nostro nome e l’attenzione viene in questo caso
catturata in modo automatico → Esiste anche l’attenzione automatica, ci sono stimoli che ci catturano
l’attenzione indipendentemente dal fatto di volerlo. Gli stimoli automatici catturano la nostra attenzione sia
che lo vogliamo ma anche no e quindi possono rappresentare una limitazione all’attenzione focalizzata
uditiva.

Quando si parla di teorie dell’attenzione si parla sempre di metafore e le tre teorie proposte sono:
1. Teoria del filtro: prevede che l’imput uditivo
passi per la nostra memoria sensoriale (memoria
dei nostri sensi, impronta degli stimoli sul nostro
sistema nervoso). Dopo la memoria sensoriale c’è
un filtro che fa decadere uno stimolo e fa
proseguire l’altro stimolo. Dal registro sensoriale, solo uno stimolo passa attraverso il filtro, sulla base delle
sue caratteristiche fisiche, l’altro stimolo resta nel registro in attesa di essere elaborato.

I limiti della teoria del filtro sono che:


• Se i due stimoli sono diversi tra loro, diversi nella loro natura (es. parole e immagini) è spesso
possibile elaborarli in modo più completo di quanto assunto dalla teoria. Questo rivela, quindi, che
non è proprio vero che uno dei due stimoli scopare dal focus attentivo. La teoria del filtro, dunque,
funziona bene se i due stimoli sono identici nella loro natura.
• Se stimoli non sono diversi, ma quello trascurato è familiare (es. il proprio nome), viene comunque
elaborato e quindi vengono elaborati e attenzionati due stimoli contemporaneamente.

2. Teoria dell’attenuazione: prevede che l’analisi


dell’informazione trascurata non decadi e non si
stoppi ma che venga attenuata (perciò se una
parola è plausibile nel contesto del messaggio
ombreggiato può essere ripetuta anche se è nel
messaggio trascurato: affioramento).
Dunque, quello che dice la teoria dell’attenuazione è che lo stimolo a cui non si presta attenzione non viene
stoppato ma elaborato con meno intensità, viene attenuta la sua elaborazione cognitiva.
È stata teorizzata questa metafora per cercare di spiegare come, in alcune situazioni, lo stimolo che non
attenzioniamo in realtà lo si riesce a ricostruire
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3. Teoria dell’elaborazione completa: Tutti gli stimoli


vengono elaborati completamente: ma solo uno
determina la risposta, dipendentemente dalla
situazione. Idea che non ci sia un filtro ma che solo
uno di questi stimoli sia quello che ha un’influenza
sulle scelte comportamentali del soggetto. Scenario altamente implausibile nel momento in cui abbiamo
tanti stimoli, infatti funziona bene solo quando si hanno pochi stimoli.

La teoria che spiega meglio il funzionamento dell’attenzione focalizzata uditiva è la teoria del filtro ma una
versione leggermente modificata secondo cui Il registro sensoriale mantiene gli stimoli trascurati; se vi è
slittamento di attenzione verso di essi, vengono elaborati. Cioè la metafora che si addice di più è quella del
filtro dove però lo stimolo stoppato, in una forma primitiva, rimane attivo e quindi può essere ripescato.
Questo, in qualche modo, ci dice che lo stimolo non decade, non viene stoppato del tutto, ma rimane, in un
formato passivo, nel registro sensoriale e per un tempo limitato. Quindi, se il soggetto decide di spostare il
focus attentivo, lo stimolo riesce comunque ad essere ripreso dal soggetto per elaborarlo ulteriormente.

Lezione 6 3/03

Attenzione focalizzata VISIVA: l’attenzione focalizzata visiva ovviamente vale per gli stimoli visivi e non per
quelli uditivi.
In termini molto generali, esistono due sistemi attenzionali distinti:
• Endogeno: controllato da intenzioni e aspettative, si attiva con indizi presentati centralmente
(controllato dall’interno)
• Esogeno: sposta in modo automatico l’attenzione verso stimoli periferici (controllato dall’esterno)
Studi di neuroimmagine hanno evidenziato l’esistenza di due circuiti cerebrali distinti per sistema
attenzionale endogeno e esogeno.

L’attenzione focalizzata visiva viene teorizzata utilizzando due metafore:


1. Attenzione focalizzata visiva come riflettore attenzionale: secondo questa teoria l’attenzione è come un
riflettore, che può spostarsi, ma non consente di vedere al di fuori. Questo non consente di vedere al di fuori
di quello che è “illuminato”. Questo non parla di percezione visiva, non corrisponde al movimento degli occhi
proprio perché l’attenzione è separata dal processo cognitivo degli occhi e della vista.
Questa teoria è quella più semplice: l’attenzione viene vista come una luce che si può spostare all’interno del
campo visivo e può essere accesa o spenta. Tutto quello che è illuminato da questa luce è attenzionato molto
bene, tutto ciò che sta al di fuori invece, no.
2. Attenzione focalizzata visiva come obiettivo zoom: teoria secondo cui il focus attenzionale può essere
ristretto o allargato a seconda delle richieste del compito. Quindi, secondo questa metafora, l’attenzione non
è tanto una luce che si accende o si spegne, ma uno zoom che è in grado di allargarsi o restringersi.
3. attenzione focalizzata come riflettori multipli: teoria secondo la quale l’attenzione visiva è molto flessibile
Vi può essere attenzione divisa, diretta a più regioni dello spazio non adiacenti. La teoria dei riflettori multipli
non coincide con riflettore singolo e nemmeno con la teoria zoom, ma prevede che si possano attenzionare
contemporaneamente più stimoli, accendendo più luci contemporaneamente (è come se fosse un upgrade
della prima teoria).

Queste teorie vengono testate per poter definirne poi un paradigma → Esperimento
- Presentazione di 23 lettere e 2 cifre su uno schermo
- Compito: indicare dove sono le cifre
- Prima della presentazione delle cifre compaiono indizi validi e invalidi. Le cifre erano poi presentate nelle
posizioni suggerite (indizi validi, venivano fatti vedere dei puntini colorati nei posti in cui poi effettivamente
sarebbero state messe le cifre), o tra le posizioni suggerite (indizi invalidi, in mezzo alle posizioni suggerite e
quindi non nel posto giusto, per questo considerati come indizi invalidi)
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Questo paradigma è utile per vedere bene la teoria zoom e quella dei riflettori multipli perché
→ se fosse vera la teoria zoom, quando vengono dati gli indizi prima della presentazione delle cifre, il
partecipante dovrebbe restringere il suo zoom alla minima porzione di spazio che contiene entrambi
gli indizi, cioè dovrebbe attenzionare le posizioni suggerite e includere lo spazio tra di esse. Se fosse
così non ci sarebbe differenza tra indizi validi e invalidi perché lo stimolo, la cifra, ricadrebbe
all’interno della porzione di spazio attenzionata
→ se fosse vera la teoria dei riflettori multipli, il partecipante dovrà avere un focus attentivo per l’indizio
valido e uno per quello invalido. Se le cose stessero così, tra indizi validi e non validi, ci sarebbe molta
differenza perché in un caso le cifre effettivamente compaiono al posto giusto che era stato suggerito
(all’interno del focus attentivo), nell’altro caso sarebbero fuori dai due focus attentivi.

Quindi manipolando la presentazione delle cifre (come negli indizi o tra i due indizi) si riesce a capire se
l’attenzione funziona meglio con uno zoom o con un riflettore multiplo. I risultato di questo esperimento è
che la localizzazione delle cifre presentate tra le posizioni suggerite era scarsa. Cioè la nostra attenzione non
funziona tanto con uno zoom quanto più si riesce, in maniera selettiva, ad attenzionare specifiche porzioni
di spazio. Quindi la teoria più valida è quella dei riflettori multipli perché se si presentano indizi invalidi e poi
le cifre bersaglio si trovano tra questi indizi, i partecipanti attenzionano in maniera precisa due porzioni di
spazio e quindi ci si mette di più ad elaborarli perché l’attenzione è centrata sui due punti degli indizi.

L’attenzione può perciò essere usata in modo flessibile, dipendentemente dagli obiettivi individuali. Quando
usiamo l’attenzione, la spostiamo → Inibizione di ritorno: “priorità percettiva ridotta per le informazioni in
una regione che, di recente, ha goduto di una priorità elevata. Qui si fa riferimento alla regione e quindi alla
porzione di spazio ma lo si può declinare anche nei confronti degli oggetti.
Es. se si ha attenzionato, in un determinato istante, una determinata porzione di spazio e poi si è spostato
l’attenzione su un’altra porzione di spazio, allora la posizione di spazio precedente (attenzionata per prima,
in un momento precedente) gode di una priorità percettiva ridotta, è più difficile da riattenzionare
nuovamente. È, quindi, più difficile riattenzionare, con la stessa forza cognitiva, una porzione di spazio che si
ha appena attenzionato.
Si fa fatica a riaccendere la luce su una porzione di spazio che ha goduto di priorità percettiva in un momento
precedente (inibizione di ritorno).

Disturbo dell’attenzione visiva focalizzata: cosa accade quando nel cervello si “rompe” qualcosa? Succede
che se si danneggia l’area del lobo parietale so verifica quella che viene definita Negligenza Spaziale
Unilaterale (NEGLECT).
Il Neglect è una lesione a carico del lobo parietale destro (parte più inferiore) che porta alla perdita di
consapevolezza degli stimoli presentati nell’emicampo visivo controlaterale la lesione (la causa spesso è un
ictus). Questa lesione genera una grave difficoltà nei pazienti a prestare attenzione agli stimoli provenienti
dal campo visivo di sinistra.
Per verificare la presenza del neglect si possono usare:
• test in cui si chiede di copiare gli stimoli Es. se si chiede di copiare un disegno, il partecipante tenderà
a copiare gli elementi a destra e non tenere in considerazione quelli a sinistra, questo avviene anche
nel disegno spontaneo quando il paziente deve immaginare cosa disegnare, anche qui gli elementi di
sinistra vengono tralasciati
• test di cancellazione di linee Albert: il compito del paziente è quello di andare a tracciare un segno su
tutte le linee che vede e, tendenzialmente, il paziente riesce a tracciare le linee soltanto su quelle
che provengono dal campo visivo di destra

Il neglect è una modalità indipendente, non importa la natura dello stimolo, può essere visivo o uditivo, se
proviene dalla porzione audiovisiva sinistra, è più faticoso per il paziente attenzionarlo.
Il neglect non è un disturbo visivo ma un disturbo attentivo tant’è che c’è, invece, una sindrome visiva che è
l’emianopsia per cui il paziente veramente non vede la parte di sinistra perché la percezione visiva non
funzione in maniera adeguata. Un paziente affetto da neglect vede benissimo solo che la lesione è a livello
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dell’attenzione e non nella percezione visiva. Inoltre una sostanziale differenza è che il paziente con
emianopsica è consapevole di avere un disturbo della percezione visiva, della vista. Chi, invece, è affetto da
neglect normalmente non lo sa e quindi il paziente crede che la sua conoscenza finisca lì dove finisce la sua
percezione cognitiva.
Il neglect riguarda poi anche tutte le modalità sensoriali, quindi sia le informazioni uditive che quelle tattili,
olfattive provenienti dall’emispazio controlaterale alla lesione celebrale. Inoltre, il disturbo si rileva anche
nella memoria, nell’immaginazione, nella lettura e può colpire solo un tipo di coordinate spaziali:
• o egocentriche: il paziente negletta tutto quello che è a sinistra del suo corpo, il punto di riferimento
è il suo corpo
• o allocentriche: il paziente percepisce anche gli oggetti provenienti dal campo visivo di sinistra ma
fatica a vedere la parte sinistra dell’oggetto

Un altro disturbo è l’estinzione che si ha nel momento in cui si ha la capacità di percepire singoli stimoli anche
nella parte lesionata dal neglect ma se si presentano contemporaneamente 2 stimoli (uno a sinistra e uno a
destra), quello nello spazio controlaterale la lesione (sinistro) viene trascurato; per alcuni pazienti ciò accade
solo quando i 2 stimoli sono uguali. Le capacità attentive del paziente sono dunque limitate e quindi è come
se solo uno dei due stimoli riuscisse ad arrivare alla coscienza.
La possibile spiegazione dell’estinzione è che il deficit spaziale del paziente sia più evidente in situazioni di
competizione.
L’estinzione è un caso di negligenza spaziale per cui si negletta lo stimolo proveniente dallo spazio
controlaterale solo quando un altro stimolo viene contemporaneamente presentato nello spazio ipsilaterale.
Si fatica ad attenzionare uno stimolo nel campo di sinistra solo quando, contemporaneamente, si ha anche
uno stimolo a destra. Non si chiama negligenza perché se il paziente è sottoposto ad un solo stimolo riesce
comunque a riconoscere la parte di sinistra, l’estinzione avviene solo quando vengono presentati due stimoli
contemporaneamente.

Cosa ne è degli stimoli visivi trascurati? Gli stimoli trascurati sono elaborati a sufficienza perché si verifichi
che nel neglect vi è una qualche elaborazione degli stimoli presentati all’emicampo visivo sinistro. Es.: sono
più rapidi a riconoscere che una parola è tale quando è preceduta da un’immagine associabile (presentata a
sinistra della parola).

Tre abilità attenzionali: Il controllo dell’attenzione visiva implica 3 diverse abilità (implicate nel controllo del
riflettore attenzionale), che sono funzioni del:
1. Disengagement: allontanare l’attenzione da uno stimolo quando si vuole focalizzare l’attenzione su
uno stimolo nuovo
2. Shifting: trasferimento da uno stimolo all’altro, spostare l’attenzione da uno stimolo all’altro (stimolo
inteso come porzione di spazio o oggetti)
3. Engaging: concentrazione su un nuovo stimolo

Queste possono essere considerate come le tre fasi dell’attenzione focalizzata visiva viste in un arco
temporale: prima si deve disancorare la propria attenzione dallo stimolo a cui si sta facendo attenzione
(molto complicato per pazienti con lesioni frontali); dopodiché spostare l’attenzione verso una porzione di
spazio nuovo e ancorare l’attenzione allo stimolo nuovo o alla porzione di spazio nuova.

Queste tre fasi non sono solo descrittive ma per ciascuna delle tre funzioni è stato individuato un disturbo,
ovvero per ognuna di esse c’è un processo neuro cognitivo specifico.
1. Disturbo del disengagement dell’attenzione (regione parietale del cervello): Impossibilità a prestare
attenzione a più di un oggetto, sguardo fisso, tendenza a porre attenzione a (quindi percepire) un
solo oggetto alla volta.
Es. può porre attenzione alla punta della sigaretta che ha in bocca e non vedere il fiammifero vicino
2. Disturbo dello shifting dell’attenzione: Difficoltà a effettuare movimenti oculari volontari in direzione
verticale laddove in realtà gli occhi si muovono correttamente, c’è una difficoltà del controllo del
movimento degli occhi
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3. Disturbo dell’engaging dell’attenzione (nucleo posteriore del talamo): Difficoltà a concentrare


l’attenzione su stimoli nuovi
Es. dovendo riferire identità e colore di una lettera bersaglio, riferire il colore della lettera di disturbo

RICERCA VISIVA
Quali processi sottendono la ricerca attiva di qualcosa in particolare? Sperimentalmente, si studia come le
persone decidono se è presente un elemento bersaglio su uno schermo.

→ Teoria dell’integrazione delle caratteristiche: Le caratteristiche visive degli oggetti sono elaborate in
parallelo. Le caratteristiche visive sono poi combinate per formare gli oggetti (attenzione focalizzata = colla:
il processo è seriale). Tale processo seriale è tanto più lento quante più sono le caratteristiche che si devono
combinare per formare gli oggetti.
Quello che dice questa teoria è che c’è una prima fase in cui le caratteristiche visive sono elaborate in
parallelo, fase molto veloce in cui si riesce contemporaneamente ad elaborare più caratteristiche visive degli
oggetti ma poi, quando bisogna combinarle, questo processo diventa seriale.
Evidenze: l’identificazione di un oggetto bersaglio definito da più caratteristiche è più lenta
dell’identificazione di un oggetto bersaglio definito da una sola caratteristica. Cioè, di fronte a questi due
macro stimoli succede che:
• Le caratteristiche visive, quindi, il fatto
che ci siano x rosse o cerchi verdi, è
un’informazione che il cervello elabora in
maniera molto veloce e parallela
• Quando si devono combinare queste due
caratteristiche questo è un passaggio che
richiede più tempo e più sforzo cognitivo
perché richiede un processo seriale, uno
alla volta
Per cui se si deve identificare la x verde nello stimolo di sinistra ci si mette molto meno tempo rispetto ad
identificare lo stesso oggetto nello stimolo di destra. Nell’immagine di sinistra è facile e rapido perché c’è un
solo elemento verde e quindi non si deve combinare nulla. Nell’immagine di sinistra, invece, abbiamo sia x
che o e quindi il processo è più lungo perché bisogna combinare più elementi, più caratteristiche: bisogna
essere sicuri di trovare una x e che questa sia verde, il processo è dunque più lungo.
Questo non è altro che la declinazione sperimentale della teoria per cui effettivamente le caratteristiche
visive sono elaborate in maniera rapida e in parallelo ma, se poi si deve anche combinarle, il processo diventa
seriale. Il processo seriale è tanto pi+ lungo quante sono le caratteristiche da combinare. Maggiori sono le
caratteristiche da combinare, più il processo seriale richiederà tempo e più il processo di focalizzazione visiva
su quello stimolo sarò lento.

ATTENZIONE DISTRIBUITA
Quando è che 2 compiti possono essere eseguiti assieme?
Quando si parla di attenzione distribuita si parla del momento in cui si presta attenzione
contemporaneamente a due compiti o stimoli e ci sono situazioni in cui questo attuare un processo di
attenzione distribuita è più facile. La capacità di distribuire l’attenzione dipende da:
• Somiglianza: es. usano entrambi una modalità di stimolo visiva, è più facile prestare attenzione ad
uno stimolo visivo e uno uditivo piuttosto che due stimoli visivi o due stimoli uditivi. Inoltre,
all’interno degli stimoli visivi è più facile prestare attenzione ad uno stimolo presentato con la parola
e uno con un’immagine piuttosto che a due stimoli visivi entrambe parole o immagini. Più c’è
somiglianza nella natura tra gli stimoli e più è difficile sfruttare l’attenzione
• Pratica: può consentire di ridurre le risorse necessarie, se nello stimolo c’è tanta famigliarità
quell’elaborazione, dopo un po' di tempo, diventa automatica. L’elaborazione diventando
automatica, ha meno bisogno di risorse cognitive e lascia più spazio all’attenzione di un altro stimolo.
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Es. mentre si guida succede questo, con gli anni si diventa bravi a cambiare marcia senza rendersi
conto di prestare attenzione ad essa perché quel tipo di stimolo viene elaborato in maniera
automatica lasciando molte risorse cognitive per l’elaborazione di altri stimoli
• Difficoltà del compito: un aumento di consumo di risorse da parte di un compito produce una
proporzionale riduzione della disponibilità di risorse per l’altro compito. Se uno dei due stimoli
richiede tanta elaborazione cognitiva questa va a discapito dell’elaborazione che si può avere per
l’altro stimolo.

La capacità di dirigere l’attenzione su più compiti dipende primariamente dall’attivazione della corteccia
dorsolaterale prefrontale (cabina di regia del nostro sistema cognitivo i gradi di pianificare la nostra attività
cognitiva per raggiungere un determinato obiettivo).

ELABORAZIONE AUTOMATICA
L’elaborazione automatica riguarda tutte quelle situazioni in cui, senza volerlo, lo stimolo è in grado di
catturare la nostra attenzione. L’attenzione, quindi, può essere catturata anche automaticamente
• effetto cocktail party
• effetto arma, stimolo pericoloso che cattura la nostra attenzione in maniera automatica

L’effetto arma è stato studiato negli anni ’80, l’arma cattura attenzione in modo automatico: ne consegue
che il resto della scena viene codificato in modo relativamente povero (molto bene l’arma, ma chi ha
commesso l’omicidio?). Questo effetto è stato studiato attraverso un esperimento:
Condizione 1 (SENZA ARMA): alcuni soggetti attendono fuori dal laboratorio per partecipare ad un
esperimento. Sentono che in laboratorio si sta discutendo del fatto che certe attrezzature non funzionano.
Dalla stanza esce una persona, con in mano una penna e le mani sporche di grasso.
Condizione 2 (CON ARMA): i soggetti sono fuori dal laboratorio in attesa di partecipare all’esperimento ma,
rispetto alla condizione precedente: a) all’interno della stanza sentono una conversazione concitata che si
conclude con rumore di vetri rotti e sedie fracassate; b) la persona che esce dalla stanza ha nelle mani un
tagliacarte insanguinato

In seguito, i soggetti devono svolgere un compito di riconoscimento:


• ai soggetti vengono mostrate delle fotografie e chiesto loro di individuare il colpevole. La percentuale
di riconoscimenti corretti è del 49% nella condizione senza arma 1), del 33% nella condizione con
arma 2).
• L’arma tende a restringere l’attenzione dell’osservatore su di essa, e quindi a non prestare attenzione
al resto.

Questo esperimento dimostra che se, un qualsiasi stimolo non è stato elaborato con la giusta attenzione, la
memoria sarà molto deficitata, cioè, paradossalmente, il primo step di elaborazione mnestica è quello
dell’attenzione: se non si presta attenzione ad uno stimolo è difficile che poi questo venga ricordato.

Lezione 7 9/03

LA MEMORIA
La memoria viene intesa come la codifica di uno stimolo, codifica consapevole e che richieda attenzione dello
stimolo stesso e il suo successivo riutilizzo.
La memoria, innanzitutto, serve per avere un’idea del sé, infatti, ciò che noi siamo dipende molto anche da
quello che noi ricordiamo di essere. La memoria non è un sistema né semplice né unitario, infatti non esiste
uno solo tipo di memoria ma diverse tipologie di memoria.
La memoria è la capacità di rievocare informazioni codificate in precedenza.
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Caso Clive: Clive è un musicista di talento, direttore di un importante coro londinese. Nel 1985 contrae
un’infezione che causa un’encefalite. Quando si riprese Clive era diventato amnesico: non riusciva a tenere
a mente un’informazione per più di qualche secondo/minuto. Clive interpretava la sua condizione
supponendo di aver appena riacquistato conoscenza (cosa che registrava su un quadernetto – “Ho appena
riacquistato conoscenza”). Salutava con trasporto la nuova moglie ogni volta che la vedeva, anche se era
uscita dalla stanza pochi minuti prima → Incatenato in un eterno presente, una parte della memoria
sembrava risparmiata: quella concernente la musica, Clive era in grado di ricordare perfettamente come
dirigere un coro, leggere uno spartito e suonare il piano cioè qualche tipo di memoria era preservato.

Questo mette in luce due aspetti fondamentali della memoria:


• quanto la memoria sia intimamente connessa alla narrazione di noi stessi
• memoria che non è un sistema unitario, non c’è un singolo tipo di memoria, può esserci un sistema
di memoria che lavora bene e uno che può essere danneggiato, alcuni tipi di memoria possono essere
preservati es. quella legata alla musica come nel caso Clive

La memoria, quindi, è la capacità di usare/rievocare informazioni codificate/elaborate in precedenza.

Quando si parla di memoria bisogna distinguere bene le strutture di memoria dai processi di memoria.
Processi di memoria: si verificano all’interno e permettono il passaggio da una struttura all’altra
Il primo processo di memoria è la Codifica che è l’elaborazione consapevole di uno stimolo e delle
informazioni in entrata da immagazzinare in memoria:
• Acquisizione: registrazione e analisi input sensoriale
• Consolidamento: generazione nel tempo di rappresentazione più forte

Immagazzinamento: Risultato della codifica che genera e mantiene una registrazione permanente
• Oblio: avviene quando le informazioni non sono più disponibili o noi volutamente rendiamo
l’informazione poco disponibile
- Oblio naturale: tempo che fa eliminare una traccia mnestica
- Oblio motivato: il soggetto svolge un ruolo attivo e cosciente nel cercare di inibire il recupero di una
traccia mnestica es. esperienze negative

Recupero: Estrapolazione dalla memoria delle informazioni immagazzinate, quando l’informazione viene
riattivata in maniera più o meno consapevole

Strutture della memoria: com’è organizzata la memoria, idea che ci sia una memoria legata al come si sanno
fare le cose e una legata agli episodi

Quanti tipi di memoria?


Modello modale (1968): primo modello creato per lo studio delle tipologie di memoria. Qui l’informazione
proveniente all’ambiente incontra la memoria sensoriale (memoria legata ai mostri organi di senso). I sensi
non si limitano percepire lo stimolo ma lo tengono in memoria; la memoria sensoriale è un tipo di memoria
rapida e passiva (anche se non lo vogliamo i nostri organi di senso incontrano questo tipo di memoria. Passivo
perché non è intervenuto ancora il processo di apprendimento cosciente e di attenzione).
Dalla memoria sensoriale si passa alla memoria a breve termine: in questo passaggio agisce un processo
attentivo, il soggetto decide di dare attenzione ad un determinato stimolo. Memoria spazialmente e
temporalmente limitata, memoria che può ottenere una serie limitata di informazioni e per un arco
temporale limitato. Se l’informazione viene reiterata questa passa alla memoria a lungo termine che
potenzialmente ha la durata infinita.
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Questo modello presenta una struttura semplicistica perché:


• l’informazione fluisce da entrambe le direzioni e non procede solo in una direzione, quello che già
c’è nella memoria a lungo termine influenza tutti i vari processi
• la memoria è il risultato di un’alleanza fra diversi sistemi interattivi e non solo tra componenti della
memoria stessa ma anche dalle altre capacità cognitive dell’uomo. Non si può quindi pensar dei vari
magazzini della memoria nello stesso modo, c’è una costante interazione tra le varie strutture della
memoria
Un esempio del doppio processo che c’è tra ambiente e memoria a lungo termine e viceversa è quello del
fatto che tendiamo a sovrastimare l’altezza di un individuo se lo crediamo un criminale. Cioè se si ha assistito
ad un crimine e poi, a distanza di tempo, viene chiesto al soggetto di stimare l’altezza della persona coinvolta,
se lo si ritiene un criminale si darà una stima che è statisticamente maggiore rispetto alla persona vista in un
video compiere un’azione non criminosa. Questo vuol dire che ciò che noi ricordiamo dipende già da quello
che noi crediamo (stereotipo: associamo l’idea di un criminale dall’idea di un persona possente, questo
influisce sul nostro modo di ricordare)

Questa è una rappresentazione


grafica più dettagliata del modello
modale 

C’è un imput ambientale e un


registro sensoriale diviso in base
all’organo di senso coinvolto
(visivo, uditivo, tattile). Se non vi è
un processo attentivo consapevole
dello stimolo, la traccia dopo
pochissimo temo decade. Se,
invece, interviene il processo
cognitivo dell’attenzione lo stimolo
passa nella memoria a breve
termine. Se vi è reiterazione
dell’informazione, questa è in grado di passare alla memoria a lungo termine (tipo di memoria permanente).
Interferenza: episodi nuovi che interferiscono con il ricordo di episodi meno nuovi

La memoria a lungo termine si


divide in:
Memoria esplicita: memoria
che facilmente esprimibile
attraverso il linguaggio
(facilmente verbalizzabile)
→ Memoria episodica:
memoria a lungo
termine legata ad
episodi specifici
nell’arco temporale,
legata a singoli eventi
→ Memoria semantica: memoria che riguarda la conoscenza generale del mondo es. cosa significano
le parole o i simboli

Memoria implicita: memoria che è difficile da tradurre a parole es. come andare in bicicletta
27

1. MEMORIA SENSORIALE
• Passiva: tipo di memoria che abbiamo indipendentemente dalla nostra volontà
• Pre-categoriale (precede l’attribuzione di significato e l’attribuzione a categorie di senso). Tipo di
memoria i cui contenuti non sono stati elaborati in maniera esplicita e consapevole, non c’è stato un
riconoscimento dell’informazione per ricondurla ad una categoria già nota
Si divide in:
→ Memoria iconica: studio del 1970 in cu veniva presentato uno stimolo visivo (flash) in modo intermittente.
Compito dei soggetti: cliccare all’ onset a offset, cliccare ogni volta che percepivano lo stimolo e ogni volta
che percepivano l’assenza dello stimolo. Da questo studio ne è derivato che le persone tendono a vedere lo
stimolo anche quando lo stimolo non c’è più, per un breve periodo di tempo.
Questo tipo di memoria mantiene, quindi, traccia dello stimolo senza analizzarlo, probabilmente dovuta ad
attività neurale (in atto o persistente). Nel senso che lo stimolo arriva ad attivare aree che rimangino attive
per più tempo rispetto a quanto è rimasto presente lo stimolo nell’ambiente
Non richiede attività volontaria del soggetto perché è un tipo di memoria passivo.

→ Memoria ecoica: Magazzino che contiene una rappresentazione delle informazioni acustiche non
analizzate SEPARATO da magazzino iconico. Magazzino più ampio di quello iconico (circa 1500ms)

2. MEMORIA A BREVE TERMINE: Memoria limitata spazialmente e temporalmente, permette una ritenzione
di una piccola quantità di informazioni e per un breve intervallo di tempo.
Fa parte della memoria a breve termine la memoria di lavoro → sistema che non solo immagazzina
temporaneamente l’informazione ma anche che la manipola, la lavora in modo da rendere possibile altre
attività cognitive più complesse (es. compiti di ragionamento).

La memoria a breve termine si misura con un compito molto semplice che è lo Span di memoria (solitamente
lo span di cifre è limitato a 6/7 cifre). Lo sperimentatore presenta delle sequenze numeriche es. 9754 e il
compito del partecipante è quello di ridire le stesse cifre nello stesso ordine. Se il partecipante risponde
correttamente si passa ad una sequenza con numerosità maggiore es. 648371 e così via. Quando il
partecipante sbaglia una sequenza di una data numerosità es. sbaglia quella sei cifre, quello che viene fatto
è offrire un’altra possibilità e quindi un’altra sequenza con la stessa numerosità di cifre. Se viene sbagliata
anche la seconda possibilità allora lo spansi ferma e si tiene in considerazione la lunghezza numerica alla
quale il partecipante è arrivato a memorizzare. Se, invece, il partecipante riesce a rispondere correttamente
alla seconda possibilità si prosegue. Ci si ferma solo laddove il partecipante sbaglia entrambe le sequenze
della stessa numerosità. La media dello span è 6/7, si dice 7+/-2.
In realtà, la capacità di memoria non è limitata dal numero di item ma dal numero di raggruppamenti. Noi
non ricordiamo solo 7+/-2 elementi ma il limite può essere aggirato ricodificando l’informazione in ingresso
creando dei raggruppamenti (chunks) es. 10100010010 = 11 elementi → 10 1000 100 10 = 4 elementi
Il raggruppamento può essere prodotto anche dal RITMO della presentazione – sistema di memoria sfrutta
suggerimenti basati sulla prosodia – permette di suddividere in unità discrete il continuum di suoni che
costituisce il normale flusso linguistico (es. come si fa per ricordare il numero di telefono).

Con quale velocità si deteriora l’informazione nella Memoria a breve termine?


Il paradigma di Brown-Peterson (Peterson e Peterson, 1959) viene chiesto ai partecipanti di
• Leggere triplette di consonanti, es. DBX
• Leggere numero a tre cifre, es. 947 (per impedire reiterazione senza interferire)
• Contare all’indietro (x 3 o x 4) partendo dal numero (tale numerazione a ritroso può avere durata
variabile)
• Ricordare le tre consonanti in ordine
Dopo 18 sec le persone ricordano ben poco. Le informazioni decadono se non c’è reiterazione. Nel momento
in cui si ha decodificato l’informazione ma non la si ha reiterata per farla passare nella memoria a breve
termine, l’informazione poi decade.
28

In compiti di rievocazione libera emergono alcune caratteristiche della memoria a breve termine:
1. La probabilità di rievocare un singolo item è minore per le liste più lunghe, anche se il numero totale
degli item rievocati tende ad essere più grande. Es. se si presenta una lista di 50 parole che il soggetto
deve rievocare, la probabilità che il 24simo item venga rievocato e minore rispetto a ricordare la
24esima parola su 25. È più facile ricordare più items per liste più lunghe perché è più probabilità che
ci siano items che catturano la nostra attenzione. È una constatazione matematica.
2. Gli item che occupano le prime posizioni tendono a essere rievocati meglio (EFFETTO PRIORITA’)
3. Se la rievocazione è immediata anche gli ultimi item tendono ad essere rievocati meglio (EFFETTO
RECENZA). Di conseguenza sarà più difficile ricordare elementi che si trovano in una posizione
centrale in una lista

2.1 MEMORIA DI LAVORO


Es. sapere quanto fa 27x3 o contare quante finestra si ha in casa richiedono tutti attivazione di questo tipo
di memoria

WORKING MEMORY (Baddley e Hitch, 1974)


Idea per cui esiste un esecutivo centrale, chiamato anche meccanismo attentivo di controllo che è
indipendente e si attiva a prescindere dall’attività in gioco. L’esecutivo centrale controlla il Taccuino visuo-
spaziale (visuo-spatial cketchpad) e il circuito fonologico (phonological loop), quindi queste sono attività
dipendenti. Idea che ci sia un sistema che controlla il funzionamento di sottosistemi.

• Loop fonologico (phonological loop): Conserva e


ripete l’ordine in cui sono presentate le parole
• Taccuino visuo-spaziale (visuo-spatial cketchpad):
Immagazzina e gestisce informazioni spaziali e visive
• Buffer episodico: Conserva e integra informazioni
che provengono da circuito fonologico, taccuino
visuo-spaziale, e memoria a lungo termine
• Esecutivo centrale (central executive): consente di
prendere decisioni, cerca di capire quale strategia p
migliore per arrivare all’obbiettivo finale. È anche
implicato in compiti di produzione casuale di
numeri o lettere
Inoltre, ha anche le seguenti funzioni:
• passare ad altri piani rispetto a quello attuale: soprattutto nel caso in cui l’obiettivo richieda
azioni complesse, c’è bisogno di cambiare l’oggetto della propria operazione cognitiva, e
quindi passare ad altri piani
• distribuire i tempi su più compiti: stabilire quanto tempo dedicare ad una determinata
operazione
• cognitiva
• attenzione selettiva su stimoli ignorandone altri
• attivazione temporanea della memoria a lungo termine perché alcune informazioni possono
essere importanti

Esite poi un’articolazione ulteriore dell’esecutivo centrale in 3 processi (Miyake et al., 2000)
1. Funzione di trasferimento: spostarsi tra vari compiti o operazioni
2. Funzione di aggiornamento (delle rappresentazioni nella memoria di lavoro) es. ero arrivata a contare il
numero delle finestre fino a sei ma me n’è tornata in mente un’altra, allora si aggiorna il calcolo che si stava
facendo
3. Funzione di inibizione: funzione più importante, capacità a inibire risposte automatiche. L’inibizione si può
facilmente studiare e quantificare (vedi effetto Stropp)
29

Se ci troviamo nella situazione a) e b) non risulta molto difficile compiere l’operazione richiesta. Invece, nel
caso della c) risulta comunque facile ma, se paragonata alle situazioni precedenti, lo stacco è evidente ed è
molto più difficile, inoltre il gap temporale è maggiore, ci si impiega più tempo rispetto alle situazione a) e b).
Questo succede perché bisogna inibire l’informazione derivante dal significato della parola. Il motivo per cui
siamo più lenti nella situazione c) è, quindi, il fatto che al nostro sistema cognitivo stanno arrivando due
informazioni: una legata alla semantica della parola e l’altra legata al colore di essa. Finché le due cose sono
congruenti questo problema non c’è, invece, quando viene richiesto di lavorare solo su uno dei due canali il
nostro sistema cognitivo deve inibire uno dei due stimoli e per inibire un dei due ha bisogno di risorse
cognitive e quindi di più tempo. Maggiore è il tempo, minore è stata l’inibizione dell’informazione
incongruente. Con questo paradigma si può ottenere un dato su quanto il soggetto sia capace di inibire.

L’esecutivo centrale è localizzato nella corteccia prefrontale Es. rTMS (stimolazione magnetica transcranica
ripetuta) a corteccia prefrontale dorsolaterale compromette esecuzione di compiti cognitivi complessi

Lesione lobi frontali e sindrome disesecutiva: “disturbi dell’attenzione, aumento distraibilità, incapacità a
cogliere l’insieme di situazione complessa, operare seguendo percorsi di routine, no apprendimento nuovi
compiti in situazioni nuove”
I disturbi dell’attenzione sono meglio descritti come disturbi dell’inibizione, si presta attenzione agli stimoli
sbagliati.

Esempi che possono essere ricollegati all’assenza di controllo dell’inibizione


• Ogni volta che il Signor x lascia una stanza, cammina verso la porta di uscita, torna indietro,
cammina nella stanza, quindi ripete questo ciclo 13 volte più o meno
• Ogni volta che il Signor y parla con qualcuno, usa un linguaggio irriverente, pieno di commenti
coloriti
• Ogni volta che il Signor z prende una decisione, non prende mai in considerazione le conseguenze
future ma, anzi, restringe in modo miope le sue considerazioni a guadagni immediati
Cosa hanno in comune? Mancano un controllo inibitorio appropriato
Il Signor x non può inibire il ciclo uscita-entrata, non lavora per fini più complessi
Il signor y non può inibire commenti sociali inappropriati (vedi il famoso caso di Phineas Gage)
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Il signor z non può inibire la tentazione di agire per un compenso immediato senza vedere la situazione nel
complesso.

Compito che evidenzia deficit in pazienti frontali (pazienti on lesioni alla corteccia frontale dorsolaterale)
nella presa di decisione
1 barattolo con soldi - 4 mazzi di carte voltati sul tavolo
Girando le carte il partecipante può vincere o perdere soldi. Due mazzi a lungo andare portano un netto
profitto mentre gli altri 2 una netta perdita. Per aumentare il conflitto, i due mazzi vincenti offrono compensi
e punizioni più bassi, aumentando la tentazione di attingere dagli altri, per i compensi più alti. Registrata la
«temperatura emotiva» dei partecipanti in base alla sudorazione cutanea.
Dopo circa 50 carte. . .
• persone sane girano le carte dei mazzi vincenti.
• pazienti con danno prefrontale ventromediale girano le carte dei mazzi perdenti (sedotti dall’alto
guadagno, come se fossero immuni alla punizione).
Inoltre:
• nelle persone sane varia l’attivazione emotiva (picchi durante la selezione dal mazzo perdente)
• nei pazienti la reazione emotiva è piatta, senza differenza rispetto ai 4 mazzi.
Si conclude che nelle persone sane, ma non nei pazienti, i lobi frontali dominano le tentazioni
Tutto questo per dire che la funzione dell’inibizione noi non la vediamo tanto perché agisce in negativo ma
determina molto del nostro comportamento nella nostra vita quotidiana.

Lezione 8 10/03

Loop fonologico: struttura, costrutto dipendente che si occupa delle informazioni fonologiche e delle
informazioni presentate visivamente da tradurre in formato fonologico. Il loop fonologico è costituito da:
• Magazzino a breve termine: gli elementi sono conservati in un codice linguistico
• Processo di controllo articolatorio: traduce le informazioni visive in codice basato sul linguaggio e
rinfresca le tracce nel magazzino (reiterare le tracce nel magazzino)

Il loop fonologico può essere, quindi, immaginato come un grande magazzino che ha una struttura che da
una parte traduce l’informazione in ingresso se l’informazione è visiva; dall’altra parte reitera le componenti
presenti nel magazzino (processo di controllo articolatorio).

Es. per tradurre una lista di 10 parole quello che facciamo nella mente e ripetere le parole tra noi, questo è
un lavoro che viene svolto dal loop fonologico. Se però la parola è già presente nell’ambiente in formato
uditivo-fonologico allora entra direttamente nel magazzino perché non ha bisogno del processo di
traduzione. Se, invece, leggiamo la parola allora c’è bisogno del processo di traduzione, infatti per
memorizzare lista di parole scritte, quello che facciamo è leggere e tradurre quel codice visivo in un formato
fonologico, ci ripetiamo la parola.

Per memorizzare alcuni item noi usiamo proprio questa struttura del loop fonologico. Inoltre, è stato
scoperto che quando due item hanno un suono simile tra di loro si riduce lo span (7+/-2). La memoria, infatti,
è meno efficace per elementi simili nel suono, sia in presentazione uditiva che visiva (questi ultimi sono
tradotti in codice linguistico dal processo di controllo articolatorio). Si fa, quindi, più fatica a memorizzare
item simili nel suono piuttosto che con elementi fonologicamente diversi.
Da questa struttura discende una predizione: se si impedisce a questa struttura tale conversione, ovvero la
traduzione da formato visivo a formato fonologico, l’effetto di similarità fonologica dovrebbe venire meno
per gli elementi visivi. Si ostacola il passaggio che c’è tra informazione visiva e immagazzinamento fonologico,
non si consente la traduzione e quindi si costringe il soggetto ad attuare strategie di memorizzazione diverse
da quella più automatica che è proprio quella messa in atto dal loop fonologico. In questo caso, gli item che
si presentano, anche se sono simili dal punto di vista fonologico, non saranno trattati dal soggetto in modo
31

fonologico e quindi l’effetto di similarità fonologica dovrebbe venire meno perché si spinge il partecipante e
a trattare quell’informazione primariamente in maniera visiva e non fonologica. Così facendo si verifica il
fenomeno della soppressione articolatoria: Se si pronuncia ripetutamente una parola a voce alta durante la
presentazione di elementi visivi da memorizzare impediamo la conversione. Impedendo la conversione o
traduzione viene meno l’effetto di similarità fonologica. Invece, le informazioni uditive continuano a subire
l’effetto di similarità fonologica (perché non passano dal processo di controllo articolatorio, ed entrano
direttamente nel magazzino fonologico).
Un modo per interferire nel passaggio di traduzione/conversione è chiedere al partecipante di produrre
linguaggio attivamente, facendo così si interferisce proprio in questo processo quindi l’informazione visiva
proveniente dall’ambiente sarà un po' più difficile da tradurre in formato fonologico rispetto alla condizione
in cui il partecipante è in silenzio.

3. MEMORIA A LUNGO TERMINE


Quando si parla di memoria a lungo termine parliamo di apprendimento. La specie umana, infatti, per
sopravvivere ha bisogno di apprendere.
L’apprendimento non l’istinto e non è neanche maturazione. Cioè l’apprendimento non è tutto quello che si
manifesta nell’individuo per ragioni di istruzioni genetiche o istintive. L’apprendimento è qualcosa che è
accaduto nell’ambiente, qualcosa che viene appreso dall’ambiente.
La memoria a lungo termine si divide poi in memoria dichiarativa (esplicita) e memoria non dichiarativa
(implicita).

3.1 MEMORIA NON DICHIARATIVA – APPRENDIMENTO IMPLICITO


L’apprendimento implicito è il processo tramite il quale l'esperienza produce un cambiamento nel
comportamento relativamente duraturo e adattivo nella capacità di comportamento di un organismo.
Es. Un uomo che prende un gatto per la coda, impara qualcosa che non può imparare in nessun altro modo

Si parla di apprendimento implicito ogni qualvolta ci sia un’esperienza che cambia in modo significativo il
comportamento umano senza troppi passaggi cognitivi, in maniera abbastanza diretta es. ina volta che si
mette la mano sul fuoco e ci si brucia, la volta dopo non lo si farà più e questo non richiede granché sforzo
cognitivo.

La memoria non dichiarativa non è esprimibile a parole e quindi l’apprendimento è dimostrato da una
modificazione del comportamento (abilita motorie ma non solo).

L’apprendimento può essere diviso in tre principali categorie:


1. Condizionamento classico e operante: processo di apprendimento associativo in cui uno stimolo
incondizionato (SI) produce automaticamente una risposta riflessa (RR). Se si accoppia ripetutamente un
nuovo stimolo condizionato (SC) con l’SI, l’SC di per sé può evocare una risposta condizionata (RC) molto
simile alla RR.
Esperimento 1902 → suonava un campanello (SC) e subito dopo una martelletto colpiva il soggetto al
ginocchio (SI) che provocava l’estensione involontaria della gamba (RR). In un’occasione dopo il suono del
campanello, il martelletto non si era abbassato, ma il riflesso si era presentato comunque (estensione gamba,
RC) → apprendimento condizionato.

Il condizionamento classico è il processo per cui un organismo impara ad associare due stimoli in modo tale
che l'uno venga a suscitare una reazione che in origine veniva suscitata solo dall'altro.
Questo processo è stato scoperto da Ivan Pavlov mentre stava studiando la salivazione nei cani. Scoprì che i
cani “prevedevano” l'arrivo del cibo ed iniziavano a salivare.
32

Il cibo è in grado di generare una risposta


automatica riflessa (la salivazione). Inoltre, di
per sè, il suono di un campanello o di un
diapason non è in grado di generare una
risposta simile ma se questo stimolo viene
unito a quello del cibo si. Quindi il diapason
dopo il condizionamento riesce a produrre
una risposta automatica riflessa come il cibo.

In questo tipo di paradigma, prima del


condizionamento, il cibo è lo stimolo
incondizionato, la salivazione è una risposta
incondizionata; il diapason è uno stimolo
neutro e di conseguenza non ottiene
nessuna risposta.
Durante il condizionamento quello che si fa
è associare lo stimolo condizionato con lo
stimolo incondizionato e la risposta che si
ottiene è incondizionata perché è legata alla
presenza del cibo.
Dopo il condizionamento il diapason diventa
uno stimolo condizionato perché è stato
associato molte volte allo stimolo
incondizionato del cibo e quindi è in grado, da solo, di generare una risposta condizionata che è sempre la
salivazione del cane. Si parla di risposta condizionata solo alla fine del processo di condizionamento, durante
il processo, infatti, si parla sempre di risposta incondizionata per il semplice fatto che è sempre presente lo
stimolo incondizionato.

Il cane in maniera automatica prevede l’arrivo del cibo, è il suo corpo che lo prevede ed è per questo che è
considerato come un apprendimento implicito. Però affinché avvenga il condizionamento classico ci devono
essere ripetute associazioni tra stimolo incondizionato e stimolo condizionato. Se vi sono ripetute
associazioni si avrà una risposta automatica e riflessa condizionata che sarà molto simile a quella
incondizionata.

Condizionamento operante: forma di apprendimento implicito ma strutturato in maniera differente. C’è uno
stimolo proveniente dall’ambiente che genererà dalle risposte da parte dell’organismo:
• le risposte comportamentali allo
stimolo che hanno conseguenze
positive verranno rinforzate e
quindi reiterate
• le risposte cin conseguenze
negative verranno abbandonate

Es. un bambino che quando prende 5 torna


a casa e si ritrova sempre la mamma che fa le lasagne funge da rinforzo e potrebbe portare al rinforzo di quel
tipo di comportamento
33

2. Priming: abilità di influenzare implicitamente la percezione o il processamento di un dato materiale


presentando lo stesso stimolo o stimoli collegati poco prima. Il priming, quindi, è l’influenza che possiamo
dare all’elaborazione di uno stimolo presentando, poco prima, un altro stimolo simile o collegato. Il
collegamento tra i due stimoli può essere di varia natura e quelli più efficaci sono quelli semantici e fonetici.

Es. priming semantico e concettuale, viene chiesto a due gruppi di partecipanti di individuare, nel minor
tempo possibile, una parola che stia bene con lo stimolo D_T_O_E. Ad un gruppo di partecipanti, poco prima
dell’esperimento, viene presentato l’immagine di un infermiere mentre all’altro gruppo un cacciavite (questi
sono due prime che andranno ad influenzare il modo in cui i partecipanti elaboreranno lo stimolo iniziale).
Quello che succede è che il primo gruppo sarà in grado di dire dottore in un tempo ridotto rispetto al gruppo
che ha avuto come stimolo il cacciavite.
Tutto ciò porta a comportamenti inconsapevoli perché presentando lo stimolo infermiere, in maniera
automatica e implicita, nei partecipanti del primo gruppo si sono attivati tutti costrutti e concetti
semanticamente connessi alla parola infermiere, si attivano nella mente tutti dei processi impliciti e
inconsapevoli che portano maggior velocità di elaborazione dello stimolo e di correttezza della risposta.

3. Apprendimento procedurale: Apprendere la struttura grammaticale di una lingua avviene in gran parte a
livello procedurale, ovvero avviene in gran parte attraverso l’esperienza. L’apprendimento procedurale è un
metodo di immersione dove le regole grammaticali vengono acquisite semplicemente ascoltandole.

Cosa avviene nel cervello quando si fa apprendimento implicito? L’amigdala svolge un ruolo fondamentale
per l’apprendimento implicito non dichiarativo, motivo per cui se lesionata non si mostrano gli effetti del
condizionamento. Mente, l’ippocampo è fondamentale per la memoria esplicita, dichiarativa.
Da uno studio è poi emerso che l’apprendimento esplicito richiede tanto sforzo delle regioni frontali mentre
l’apprendimento implicito comporta il decremento del flusso ematico e quindi meno attivazione delle regioni
frontali. Con l’apprendimento implicito abbiamo, quindi, meno bisogno di ragionare.

3.2 MEMORIA DICHIARATIVA – APPRENDIMENTO ESPLICITO


Memoria che si può esprimere a parole e si suddivide in memoria episodica e semantica. La memoria
episodica riguarda ricordi specifici associati a un particolare punto nel tempo mentre la memoria semantica
riguarda le conoscenze generali del mondo. Questi due tipi di memoria bisogna pensarle come altamente
interconnesse l’una con l’altra.

Le persone ricordano informazioni nuove attraverso strutture già esistenti, cioè schemi.
Schema: una rappresentazione strutturata a lungo termine che utilizziamo per dare un senso al materiale
nuovo e, successivamente per immagazzinarlo e rievocarlo (influenzato da fattori sociali e culturali).
Gli schemi possono portare a errori sistematici e distorsioni es. Stessa storia su un dittatore che poteva
chiamarsi Gerald Martin o Hitler proposta a due gruppi diversi:
-rievocazione dopo 5 minuti → no differenze;
-1 settimana → il gruppo con Hitler ricordava erroneamente frasi sugli ebrei.
Questo è accaduto perché Hitler faceva attivare uno schema che però face snaturare quello che era
effettivamente il ricordo che so aveva di quello stimolo. Se studiato ad hoc si può usare l’influenza della
memoria semantica su quella episodica per favorire il ricordo.
34

Gli esseri umani costruiscono modelli mentali (Jonshon-Laird, 2006) di quanto appreso. I modelli mentali
sono rappresentazioni mentali che riproducono lo stato di cose descritto da uno stimolo. La loro caratteristica
fondamentale è che sono analogici e iconici, ovvero sono strutture che rappresentano quanto appreso i un
formato pittorico e non proposizionale. Un classico esempio è quando si studia l’apparato circolatorio ci si
immagina il suo funzionamento, se lo si studia a memoria invece ci si soffermerà sulla parte proposizionale
del concetto da studiare.
Un modello mentale è quindi una rappresentazione analogica di uno stato di cose in cui vi sono elementi che
stanno per entità e relazioni tra elementi che stanno per relazioni tra entità (non una rappresentazione
proposizionale come lo schema). I modelli non contengono informazioni di superficie (es. la forma
linguistica), infatti ci si sgancia proprio dalla forma linguistica con cui è stato comunicato. Il modello mentale
gioca un ruolo rappresentazionale diretto.

Com’è strutturata la memoria semantica? Quali sono le teoria legate a questo tipo di memoria? Come sono
organizzati i concetti nella nostra mente?
Le prime teorie sui concetti derivano dalla filosofia per cui un concetto può essere caratterizzato da un
insieme di attributi definitori:
• Intensione: insieme di attributi
• Estensione: insieme di entità che sono membri del concetto
Es.: Intensione di CANE: mammifero con pelo, colore, forma varie; Estensione: tutte le entità con questi
attributi
Questa è la base della prima teoria della memoria semantica che è quella del modello gerarchico di Collins
e Quillian secondo cui i concetti della nostra mente sono rappresentati come dei nodi all’interno di una
struttura gerarchica. I concetti principali sono rappresentai come nodi, e ogni concetto è associato con
proprietà e attributi. Il significato è dato da una singola unità. Apprendere in una rete semantica vuol dire
apprendere nuovi nodi, nuove relazioni tra nodi.
Questo modello funziona molto bene per determinate domande Es. il canarino è giallo?; il canarino ha la
pelle? Ovviamente rispondiamo sì ad entrambe le domande ma se misurassimo il tempo di reazione si
impiegherebbe meno tempo a rispondere alla domanda se il canarino e giallo. Questo perché si attiva il nodo
canarino e il giallo è un attributo che è subito connesso al nodo canarino. L’attributo pelle, invece, è più
lontano e quindi richiede un movimento tra i nodi. Quindi, più bisogna spostarsi tra i nodi e più c’è bisogno
di tempo.
Questo modello però ha anche molti limiti infatti assumere che ciascun elemento viene immagazzinato una
sola volta (no rappresentazioni multiple) è implausibile; le strutture possono non essere perfettamente
gerarchiche. Inoltre, ci cono proprietà a frequenza più elevata di altre; esse spiegano la velocità di risposta.
A causa di questi limiti dal modello gerarchico si è passati al modello di propagazione.

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