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CAPITOLO 1- LE BASI DEL FUNZIONAMENTO COGNITIVO E DELL’APPRENDIMENTO

Lo studio psicologico della mente


Riflettere sulle basi del funzionamento della mente significa porsi il problema di come essa possa
essere approcciata. L’oggetto della psicologia può essere ricondotto all’attività psichica
consapevole, ma anche al comportamento.
Per esempio, l’apprendimento può essere definito in termini di cambiamento non solo delle
conoscenze, ma anche del comportamento stabile che una persona adotta di fronte a una certa
situazione.
L’approccio comportamentista sostiene che non si può studiare direttamente la mente, perché essa
non è osservabile con criteri oggettivi, ma dobbiamo concentrarci solo sui cambiamenti dei
comportamenti.
La ricerca sui processi cognitivi, motivazione e apprendimento deve tener conto anche dei processi
inconsapevoli, oltre a quelli consapevoli, che costituiscono solo la punta dell’iceberg. Un esempio
di processo inconsapevole è l’apprendimento implicito, tramite il quale impariamo cose nuove
senza accorgerci.

La nascita della psicologia scientifica e lo studio comportamentale egli apprendimenti semplici


Si considera il 1879 come l’anno di nascita della psicologia, quando venne fondato in Germania,
all’università di Lipsia, il primo laboratorio di Psicologia sperimentale.
A quell’epoca, gli psicologi si concentravano sull’introspezione e sulla scomposizione degli stati di
coscienza. Questo metodo venne poi criticato per la troppa soggettività e per la deformazione che
può verificarsi nell’osservare e scomporre eventi psichici.
Soprattutto in Nord America ebbe importanza l’approccio comportamentista, avviato con la
pubblicazione di un articolo programmatico di Watson nel 1913, intitolato Psychology as the
Behaviorist views it.
Questo articolo prendeva spunto dallo studio del comportamento animale, la cui utilità era stata
evidenziata da Pavlov che, con i suoi studi, aveva elaborato la teoria del condizionamento classico,
mostrando come alla base di apprendimenti possa esserci una associazione semplice tra due
eventi, i quali compaiono più volte in modo contiguo temporalmente.
È celebre l’esperimento chiamato “il cane di Pavlov”: Inizialmente, il cane ha salivazione solo
quando viene introdotto il cibo nella bocca (stimolo e risposta incondizionati), in un secondo
momento saliva alla vista della campanella, che per molto tempo veniva presentata al cane prima
di presentargli il cibo. Un oggetto irrilevante diventa quindi rilevante per un’associazione appresa.
Secondo i comportamentisti, gran parte di quello che siamo è il risultato di apprendimenti.
Per tenere conto che moli apprendimenti non riguardano reazioni originariamente incondizionate,
Skinner ha evidenziato il condizionamento operante. In un suo esperimento si vede un piccione
che, avendo accidentalmente premuto una leva, si è visto dare del cibo. Il piccione impara quindi
che, per avere cibo, deve premere la leva.
Non tutti gli apprendimenti sono basati sull’acquisizione di associazioni, come aveva già capito
Chomsky. Inoltre, è stato appurato che anche i meccanismi associativi più semplici coinvolgono
processi cognitivi complessi. Non basta, infatti, una semplice esposizione a due elementi
temporalmente contigui per creare un’associazione, ma occorre che l’individuo percepisca che uno
stimolo può funzionare da segnale per l’altro.
Secondo il concetto di associazione per contiguità, alcuni concetti nella mente sono collegati
perché i referenti si presentano insieme nella mente dell’individuo:
MELA🡪 rossa, tonda, frutto ma anche MELA🡪 rossa🡪camion dei pompieri
Questo principio di formazione dei concetti è alla base del pensiero e del ragionamento.

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Le basi biologiche e il processo maturativo
Il processo di sviluppo e apprendimento interagisce con le strutture biologiche che l’individuo
porta con sé al momento della fecondazione. Alcune competenze cognitive, quindi, possono essere
presenti già alla nascita. Il bambino farebbe più fatica a sviluppare questi comportamenti senza un
ambiente favorevole e feedback appropriati che riceve dagli adulti.
Il periodo post-natale necessario alla formazione delle funzioni dominio-specifiche della
neocorteccia è lungo; quindi, molti fattori possono intervenire nella formazione di abilità generali
e, successivamente, specifiche.
Poiché il cervello del bambino è plastico e poco specializzato, si può intervenire su eventuali lacune
precoci.

Meccanismi della mente e funzioni esecutive


La psicologia ha affrontato in modo diverso il tema del funzionamento mentale e
dell’apprendimento. Si possono riconoscere diversi orientamenti:
- Il comportamentismo, che ha come focus il comportamento e le sue modificazioni;
- Le neuroscienze cognitive, che ritengono che il funzionamento della mente sia
strettamente legato alle sue basi biologiche;
- La psicoanalisi, che ritiene gli stati inconsapevoli la parte fondamentale della mente;
- La psicologia cognitiva, che mette al entro i processi e le abilità cognitive della mente.
La psicologia cognitiva rappresenta l’orientamento centrale quando si vuole studiare il
funzionamento della mente. In questo libro ci concentriamo, quindi, su questo approccio.
Ci sono poi due aspetti che non sono oggetto di specifica trattazione, in quanto sono trasversali ai
vari ambiti:
- La velocità di elaborazione, che indica quanto la mente è veloce nel compiere le sue
attività. Le operazioni complesse della mente sono il risultato di combinazioni di molte
operazioni più semplici. Si è ipotizzato che essa si evolva negli anni della crescita e decresca
dalla mezza età.
- Le funzioni esecutive, che sono funzioni di controllo della mente che ne gestiscono il
funzionamento. Sono attività associate ai lobi frontali del cervello e permettono il
passaggio da un compito all’altro, la gestione di due compiti contemporaneamente,
pianificare, organizzare.

Modelli di analisi delle operazioni della mente e delle difficoltà di apprendimento e sviluppo
delle abilità di apprendimento
Tipicamente, con lo sviluppo, aumentano le capacità di apprendimento, ma non necessariamente
la memoria. Infatti, per certi versi, il bambino piccolo è una spugna che assorbe facilmente le
stimolazioni, ma con lo sviluppo cambiano la capacità di recepire e rappresentare queste
stimolazioni e, in generale, cambia la metacognizione.

CAPITOLO 2- ATTENZIONE E PERCEZIONE


Siamo continuamente immersi nell’ambiente che ci offre molti stimoli visivi, uditivi, olfattivi, ma
solo alcuni catturano la nostra attenzione e vengono elaborati per poter essere percepiti.
La percezione ci permette di attribuire un significato agli stimoli esterni, e grazie ad essa, per
esempio, identifichiamo un volto tra i rami di un albero, o un sorriso in una fila di bottiglie.
In alcuni casi, però, l’attribuzione del significato non è immediata per l’ambiguità dello stimolo.
In questo capitolo si affrontano i principali aspetti dell’attenzione e della percezione, che sono due
dimensioni cognitive in relazione tra loro, relate con altri processi cognitivi come memoria e

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pensiero. L’attenzione è quel processo cognitivo che ha un ruolo centrale nel selezionare gli stimoli
presenti nell’ambiente e che permette di dare un senso ad alcuni di essi. Ha quindi un ruolo
fondamentale nel processo di elaborazione percettiva.

L’attenzione
L’attenzione è un insieme di processi e funzioni solitamente distinti in:
- Attenzione selettiva, che è l’aspetto più importante, opera una selezione tra tutte le
informazioni che colpiscono i nostri organi di senso e i nostri ricordi, consentendo solo ad
alcuni di accedere ai successivi stadi di elaborazione. È un’abilità che filtra e organizza le
informazioni in modo da rispondere in maniera adeguata quando necessario. I sistemi
sensoriali e il cervello hanno dei mezzi per selezionare solo le informazioni rilevanti ad un
certo compito e ciò è favorito anche dal fatto che orientiamo fisicamente i nostri recettori
sensoriali per privilegiare alcuni stimoli.
- Attenzione mantenuta
- Attenzione focalizzata
- Attenzione divisa
- Attenzione soggetta a spostamento
Nell’attenzione esistono 3 processi:
- Uno che permette l’attivazione generale del sistema di elaborazione, che intercetta
cambiamenti nell’ambiente;
- Uno che permette la focalizzazione delle risorse di elaborazione verso informazioni oggetto
del nostro interesse;
- Uno che si occupa della gestione delle risorse attentive.
L’attenzione mantenuta coinvolge maggiormente il processo di attivazione, mentre quella selettiva
il processo di focalizzazione. L’attenzione divisa coinvolge maggiormente il processo di gestione.

Attenzione selettiva
È la capacità di concentrarsi sull’oggetto che ci interessa e elaborare le informazioni rilevanti per gli
scopi che perseguiamo.
Se mappiamo i movimenti oculari effettuati durante l’esplorazione di una scena visiva, vediamo
che i punti su cui gli occhi si fissano non sono casuali, ma corrispondono alle aree della scena che
veicolano il maggior numero di informazioni utili a distinguere quella scena da qualsiasi altra.
Quando uno stimolo è particolarmente saliente, cattura la nostra attenzione e questo viene
chiamato focalizzazione. Focalizzare l’attenzione su un oggetto ne porta a una maggiore codifica ed
elaborazione, producendo una maggior memorizzazione. Quando siamo in una situazione affollata,
cerchiamo di udire e capire solo la voce della persona che ci interessa, ignorando le voci e i rumori
attorno. Questo fenomeno è chiamato Cocktail party e evidenzia come l’attenzione selettiva
seleziona gli stimoli sonori che ci interessano, ignorando gli altri.
L’efficienza della selezione dipende da due meccanismi che interagiscono:
- Uno di attivazione, che opera prima della selezione
- Uno di inibizione, per le informazioni non rilevanti
Il fenomeno di non notare gli stimoli che non interessano e che non sono rilevanti viene chiamato
cecità da disattenzione, che è in relazione con la cecità al cambiamento, cioè l’incapacità delle
persone di notare cambiamenti nella scena su cui non ci si è focalizzati (video dell’esperimento del
gorilla).

Attenzione divisa

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È la capacità autoregolativa che consente di suddividere le nostre risorse attentive su più compiti
contemporaneamente. La capacità umana di svolgere più azioni contemporaneamente dipende
dalla loro complessità e dalla loro natura, da quante risorse attentive richiedono e dal loro grado di
automatizzazione. Questa attenzione spiga, per esempio, come sia possibile guidare la macchina e
ascoltare musica contemporaneamente. Uno stimolo improvviso durante la guida, tuttavia, porta a
riattivare tutte le risorse attentive per poter selezionare le azioni più adeguate.

Attenzione sostenuta
È la capacità di prestare attenzione a un medesimo stimolo per un periodo di tempo prolungato.
Questo processo è influenzato da caratteristiche personali e dello stimolo. L’attenzione sostenuta
può diminuire quando gli stimoli diventano prevedibili e immutati, generando un’abituazione, cioè
una diminuzione delle risorse attentive verso lo stimolo. Un cambiamento, seppur piccolo, di uno
stimolo familiare può modificare lo stato delle cose e produrre una disabituazione. Stimoli diversi
dal solito possono aiutare a mantenere l’attenzione verso un certo compito.

L’attenzione nel sistema cognitivo: l’attenzione come filtro


Per comprendere le funzioni dell’attenzione, soprattutto quella selettiva, gli studiosi hanno
proposto un modello secondo il quale essa funzionerebbe come un filtro, ed hanno usato la
metafora del collo di bottiglia. Ci sono più teorie a riguardo:
- Quella del filtro precoce, secondo la quale l’informazione non rilevante non viene
ulteriormente elaborata e scompare passivamente entro pochi secondi
- Quella del filtro attenuato, che sostiene che il filtro non blocca l’elaborazione di tutta
l’informazione che non è rilevante, ma la attenua o ne riduce la forza, a vantaggio delle
informazioni rilevanti.
- Quella del filtro tardivo, che prevede che il sistema analizzi tutta l’informazione e ne valuti
poi l’importanza.
Tutte e tre le teorie sono fondate e si applicano in situazioni diverse.

Processi controllati vs automatici


I processi controllati sono alla base dei comportamenti che richiedono un alto investimento di
risorse attentive e che si basano sulla consapevolezza e sull’intenzionalità di raggiungere uno
scopo. Richiedono più tempo e possono essere eseguiti bene solo uno alla volta.
Lo svolgimento di compiti uguali, per effetto della pratica, può diventare automatizzato, ovvero
gestito da processi automatici che ricadono al di fuori della nostra consapevolezza e non
richiedono sforzi specifici.
A volte ci si può imbattere in errori d’attenzione, per esempio entrare in una stanza senza sapere
effettivamente il motivo. Questi errori evidenziano il ruolo del contesto di presentazione degli
stimoli e del luogo in cui viene svolta l’azione.
Norman e Shallice ipotizzano l’esistenza di un sistema attentivo supervisore, che guida i processi
attentivi.

La percezione
La percezione è quel processo attraverso il quale le informazioni raccolte dagli organi di senso sono
organizzate in oggetti, eventi o situazioni e vengono elaborate in unità dotate di significato per il
soggetto. È diversa dalla sensazione, che è la mera interazione tra stimoli fisici e recettori
sensoriali.
La percezione è un processo costruttivo si strutturazione delle sensazioni, con lo scopo di formare
una rappresentazione dotata di significato.

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Una distinzione all’interno della percezione riguarda:
- I processi bottom-up, che sono un’elaborazione dal basso verso l’alto, ovvero
un’elaborazione guidata dalle informazioni sensoriali. Quando prevale, ogni stimolo
possiede informazioni sensoriale sufficienti per essere riconosciuto, senza l’intervento di
processi cognitivi superiori. Lo stimolo ha già un proprio ordine interno.
- I processi top-down, ovvero elaborazioni guidate da altri processi cognitivi, come la
memoria, la motivazione e gli stati emotivi. Si ha quando la conoscenza influenza il modo
con cui viene percepito uno stimolo. Bruner ha messo a fuoco questo tipo di elaborazione,
tramite la teoria secondo la quale i processi cognitivi contribuiscono a costruire le nostre
percezioni, utilizzando le conoscenze che si possiedono. Un esempio è la percezione
dell’astrazione.
Gli psicologi della Gestalt furono i primi a studiare la percezione e a individuare le principali regole
di come vengono organizzati e dotati di significato i vari stimoli del mondo esterno.
Tra le funzioni della percezione, c’è quella di riconoscere oggetti e scene del mondo esterno. Gli
psicologi della Gestalt hanno individuato delle regole secondo le quali gli elementi percettivi sono
organizzati secondo una “buona “forma”.
Insieme alla percezione, sono fondamentali le costanze percettive, cioè il fatto che gli oggetti
rimangono percettivamente invariati mantenendo la stessa grandezza, anche quando cambiano le
dimensioni delle immagini proiettate sulla retina.
L’organizzazione percettiva degli elementi è in relazione al contesto nel quale lo stimolo è
percepito.
Davanti ad un’immagine agiscono anche gli stili cognitivi. Lo stile cognitivo si riferisce alle
preferenze che ha una persona per un certo modo di elaborare l’informazione: chi ha uno stile
globale, guarda la forma complessiva, chi ha uno stile analitico si fissa sui dettagli.
Di fronte ad uno stimolo, il sistema percettivo sfrutta un’iniziale elaborazione globale, per arrivare
ad un’elaborazione locale, cioè individuando i singoli elementi.

Lo sviluppo dell’attenzione e della percezione


I processi di attenzione e percezione si sviluppano molto precocemente, fin dai primi mesi di vita.
L’attenzione sostenuta si sviluppa col tempo. Per quanto riguarda quella selettiva, i bambini fino ai
7 anni si concentrano sia su stimoli rilevanti che irrilevanti, mentre poi si passa a prestare
attenzione solo a quelli rilevanti. I miglioramenti nel controllo inibitorio favoriscono la crescita
cognitiva riducendo la confusione cognitiva e favorendo l’emergere di abilità avanzate di
elaborazione delle informazioni.
Per quanto riguarda la percezione, le ricerche hanno studiato l’abilità di discriminare gli stimoli già
dai primi mesi. Sin dalla prima infanzia agiscono i processi bottom-up e top-down.

CAPITOLO 3- LA MEMORIA
Funzioni della memoria ed elaborazione iniziale dell’informazione
La memoria può essere definita come un sistema attivo, che ci permette di elaborare, conservare e
recuperare informazioni della nostra esperienza quotidiana. È composta da una serie di sistemi
interconnessi complessi.
Sono state identificate tre principali funzioni della memoria:
- Codifica, il sistema si attiva per elaborare le informazioni trasformandole in un formato che
potrà essere conservato in memoria e riconosciuto.
- Immagazzinamento, mettere e mantenere l’input codificato in memoria, in attesa di una
sua utilizzazione.

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- Recupero, l’informazione viene ritrovata dall’archivio per essere utilizzata.
Per capire come funzionano queste tre funzioni sono necessari dei modelli di riferimento:
- Un modello classico, che sancì la nascita del cognitivismo moderno, di Atkinson e Shiffrin.
Secondo questo modello, l’informazione viene gestita dai tre sistemi di memoria
(sensoriale, a breve termine MBT e a lungo termine MLT). Ogni sistema è dotato di una
funzione, ovvero il ruolo che svolge, una capacità, ovvero quante informazioni può
contenere, e una durata, ovvero il tempo in cui può trattenere informazioni.
La memoria sensoriale è una sorta di fotografia istantanea, che trattiene le informazioni solo per
pochissimo tempo, necessario a spostarle nella MBT. A questo livello, le informazioni vengono
trattenute allo stato grezzo. Si ritiene che ci sia uno specifico deposito per ogni sistema sensoriale.
Quello del sistema visivo è chiamato memoria iconica, mentre quello del sistema uditivo si dice
memoria ecoica. Solo una piccola parte di quello che vediamo o sentiamo passa nella MBT., che è
un magazzino in cui un numero limitato di informazioni restano per circa 20 secondi.
La MBT permette di attivare un primo processo di controllo per elaborare le informazioni. Questo è
spiegato nel concetto di memoria di lavoro ML, che include processi semplici della MBT, ma ance
processi attivi compiuti sull’informazione mantenuta nella MBT. Un esempio di processo attivo è la
ripetizione di un’informazione, al fine di ricordarla.
Nel modello di Baddley e Hitch sono stati identificati dei sottosistemi fondamentali:
- Il loop fonologico, chiamato anche memoria di lavoro verbale, che permette di elaborare e
mantenere l’informazione linguistica. Esso contiene a sua volta due componenti: un
magazzino fonologico, che mantiene l’informazione acustica e verbale per tempi brevissimi,
e un meccanismo di ripetizione, che interviene per mantenere più a lungo l’informazione
nel magazzino fonologico
- Il taccuino visuo-spaziale, che mantiene ed elabora stimoli con caratteristiche visuo-spaziali
- Buffer episodico, che permette l’immagazzinamento temporaneo di informazioni
conservate in codice multimodale come scene ed episodi
- L’esecutivo centrale, che coordina gli altri sottosistemi, integra informazioni e seleziona le
strategie volontarie e coscienti. Esso è coordinato dal sistema attentivo supervisore.
Per misurare la capacità di ML si usano prove di span, che si riferiscono al numero di elementi
presentati che la persona riesce a ricordare nell’ordine esatto: più è lunga la serie di elementi
ricordati senza errori, più è maggiore la capacità di mantenere ed elaborare informazioni verbali.

La memoria a lungo termine


La MLT riguarda informazioni conservate per intervalli di tempo che variano da alcuni minuti a
tutta la vita. È una sorta di magazzino duraturo per la conoscenza.
Si distinguono due categorie di MLT:
- La memoria procedurale, per le abilità e le abitudini, cioè fare qualcosa senza essere
necessariamente consapevoli di dove o come abbiamo appreso tali conoscenze (guidare la
macchina)
- La memori dichiarativa, è la memoria per le informazioni personali e fattuali, a sua volta
divisa in memoria semantica (che funge da dizionario mentale di conoscenze, ed è il
sistema attraverso cui noi immagazziniamo le nostre conoscenze sul mondo); e memoria
episodica (quella che permette di collocare le informazioni a livello spazio-temporale).
Una particolare forma di memoria episodica è quella autobiografica, che si riferisce a ricordi
della vita personale.

Un’altra divisione è tra memoria retrospettiva, relativa a eventi del passato, e prospettica,
che riguarda il ricordo dell’intenzione precedente di compiere azioni nel futuro.

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Quest’ultima è importante per ricordarsi di avere un certo comportamento quando si
verifica un certo evento.
Un’altra funzione importante della memoria è, appunto, l’immagazzinamento, che è in relazione a
come vengono decodificare le informazioni. Se esse hanno un significato e sono distintive, sono pi
facili da immagazzinare: tanto più si attribuisce significato al materiale durante la decodifica,
migliore sarà la fissazione del ricordo.
Oltre a questa, esiste anche la funzione di recupero, che può essere ostacolato da vari fattori, come
l’ansia. Accade spesso che alcune informazioni contenute nella memoria vadano perse, e in questo
caso si verifica l’oblio (evidente, per esempio, in condizioni di amnesia.

Strategie di memoria e metamemoria


La memoria è un sistema modificabile e migliorabile tramite alcune strategie:
- Reiterazione meccanica, è una strategia semplice e funzionale con un certo tipo di
materiale, ma non con tutti.
- Ripetizione elaborativa, che consiste nel ripetere il materiale cercando di comprenderlo e
collegarlo con altre informazioni che possediamo.
- Organizzazione del materiale, che consiste nel raggruppare o classificare gli stimoli in
sistemi significativi che sono più facili da mantenere, per esempio in uno schema
gerarchico.
- Associazione, che consiste nel collegare le informazioni tra loro.
- Mediazione, che riguarda la trasformazione di qualcosa di difficile da ricordare, in qualcosa
di più semplice grazie ad un terzo elemento.
- Formazione di immagini mentali, pe facilitare la codifica delle informazioni.
Tutte queste tecniche facilitano il recupero dell’informazione memorizzata.
Le strategie di memoria permettono di comprendere come noi conosciamo la memoria e gestiamo
i ricordi: questi aspetti riguardano la metamemoria.
La metamemoria è la conoscenza e il controllo dei processi di memoria, che comprende le
conoscenze e le abilità che riguardano ciò che il soggetto sa e crede, le strategie che usa, le
motivazioni che lo spingono riguardo la memoria. Se è buona, permette di analizzare meglio la
natura del problema e scegliere le strategie più adatte in modo flessibile.

Lo sviluppo dei sistemi di memoria, delle strategie di memoria e della metamemoria


Gli studi hanno rilevato che la ML aumenta dai 4-5 anni fino a raggiungere nell’adolescenza una
capacità simile a quella dell’adulto. La capacità della memoria autobiografica aumenta dai due
anni, grazie anche alla comparsa del linguaggio. La velocità di elaborazione delle informazioni
migliora progressivamente con l’età e consente di sfruttare al meglio il tempo disponibile per la
reiterazione e l’elaborazione delle informazioni da ricordare.
Un altro fattore dello sviluppo della memoria è il livello expertise in un determinato ambito. È stato
dimostrato che essere esperti in un ambito migliora il ricordo delle informazioni nuove e
conosciute.
Una delle prime strategie che si sviluppano è la ripetizione. Può darsi che un bambino conosca una
strategia, ma non riesca a metterla in pratica perché troppo faticosa: si ha quindi il deficit di
produzione. Il deficit di uso si ha quando un bambino, nonostante l’uso di una strategia, non
presenta miglioramenti a livello di memoria.

CAPITOLO 4-PENSIERO
Strutture del pensiero: immagini mentali e concetti

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Il pensiero è dato da un insieme di processi che rendono disponibili informazioni su cui lavorare e
permette di costruire rappresentazioni mentali di un problema o di una situazione, che possono
assumente una forma proposizionale, come parole o affermazioni, o basarsi su immagini.

Le immagini mentali
Tra le loro funzioni c’è anche quella di aiutare il pensiero. Molte immagini mentali sono colorate,
tridimensionali e analogiche. Alcune ricerche hanno evidenziato che buone capacità di
immaginazione portano a punteggi più elevati nei testi che misurano la creatività. Le immagini
mentali variano a seconda della persona: alcuni sanno elaborarle in modo molto vivido, altri hanno
scarse abilità immaginative. Per misurare l’immaginazione di una persona, si possono utilizzare dei
questionari. Le abilità immaginative possono essere migliorate con istruzioni e processi specifici.

Concetto
Il concetto è stato definito in vari modi, ma principalmente con riferimento a un insieme di
caratteristiche che accomunano potenzialmente una serie di esemplari. Ha la funzione di unificare
varie caratteristiche di singoli oggetti organizzando in memoria le informazioni in modo
economico. Quando un concetto accoglie una serie di concetti più specifici, si parla di categoria.
Concetti e categorie si formano per il processo di categorizzazione, ovvero un processo di
classificazione delle informazioni in categorie dotate di significato. Per classificare si usano
inferenze di due tipi:
- Induttive, quando si attivano le informazioni del concetto che si attribuiscono all’esemplare
- Deduttive, quando un attributo di un esemplare viene generalizzato
L’insieme delle caratteristiche dei migliori esemplari del concetto è definito prototipo. Per
esempio, il prototipo di “mammifero” è “cane”.

Pensiero e linguaggio
I concetti sono quasi sempre espressi da parole che sostengono il processo di concettualizzazione.
Il linguaggio viene usato per comunicare con glie altri, e quindi è utile per apprendere concetti
nuovi. Il linguaggio interagisce con il pensiero quando diamo dei comandi o quando un
ragionamento viene facilitato dal pensiero ad alta voce.

Ragionamento
È una forma di pensiero, che si distingue in deduttivo e induttivo.

Ragionamento deduttivo
È quel processo in cui la conclusione è necessariamente vera, qualora le premesse siano vere o
viceversa. La tipologia principale di questo ragionamento è il sillogismo, che si basa su due
premesse, dalle quali si arriva alla conclusione. Per risolvere un sillogismo ci si avvale di modelli
mentali, che si articolano in:
- Comprensione delle premesse
- Integrazione delle premesse
- Estrazioni delle conclusioni
- Ricerca di contro esempi, per trovare una conclusione alternativa
Il sillogismo più comune è quello categorico, con una premessa maggiore, una minore e la
conclusione: “tutti i bovini sono animali, alcuni bovini sono mucche, tutte le mucche sono animali”.
È comune che vengano commessi errori nei sillogismi categorici, ed essi vengono chiamati belief
bias.

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Il sillogismo lineare esprime relazioni tra vari ordini e la conclusione può essere raggiunta
collegando la prima e la seconda premessa, con un termine medio che ricorre in entrambe: “Anna
è più alta di Maria, Teresa è più bassa di Maria, Anna è più alta di Teresa”.
Il sillogismo condizionale prevede una premessa ipotetica: “se p, allora q”.

Il ragionamento induttivo
È un’attività di pensiero in cui una regola viene inferita da una serie di esempi o osservazioni. Lo
usiamo per dare un senso agli eventi che accadono per poterli prevedere e arrivare a una
conclusione probabile.
La probabilità è alla base di questo ragionamento. Se non viene valutata in modo corretto la
probabilità degli eventi, si compiono errori, alla base dei quali c’è l’uso delle euristiche, ovvero
scorciatoie di pensiero:
- Euristica della rappresentatività, quando si dà maggior peso all’ipotesi che appare
maggiormente rappresentativa della sua categoria. Per esempio, la sequenza alla roulette
che sembra più probabile è “rosso nero rosso nero” rispetto a “rosso rosso rosso rosso”,
anche se in realtà hanno la stessa probabilità.
- Euristica della disponibilità, che porta a stimare la probabilità di un certo evento sulla base
della facilità con cui vengono alla mente esempi di quell’evento. “Inglese ci sono più parole
che iniziano con R o che hanno R come terza lettera?” la maggior parte risponde la prima
opzione, perché le parole che iniziano con R sono più facili da evocare.
- Euristica dell’ancoraggio-aggiustamento (accomodamento), il giudizio è influenzato dalle
informazioni fornite inizialmente, che tendono a essere confermate anche successivamente
rispetto a tutto ciò che le contraddice o le mette in discussione

Il problem solving
Ha tre componenti:
- Rilevazione del problema, data da un confronto tra l’ambiente attuale e i propri obiettivi
- Rappresentazione del problema, in cui si deve definire il problema e rappresentarlo in
modo adeguato, induce a cercare spiegazioni e creare ipotesi
- Ricerca della soluzione, in cui si controlla ciascuna ipotesi formulata precedentemente.
Implica un’analisi del problema. Per la risoluzione si possono adottare diverse strategie,
come l’analisi mezzi-fini (identificare le differenze tra lo stato di cose attuali e gli obiettivi),
generazione e verifica (generare una strategia, applicarla e vedere i risultati), ricerca per
astrazione (rappresentare il problema con grafici), ricerca in salita (selezionare lo stato
successivo solo se si migliora la condizione attuale).
I problemi si dividono in:
- Ben strutturati, che per la loro risoluzione richiedono una serie preordinata di mosse
- Poco strutturati, che non si risolvono con una serie di passaggi, il punto di arrivo deve
essere trovato.
La fissità funzionale è la fissazione sulla funzione usuale di un oggetto, che limita soluzioni
alternative. Questo può essere un ostacolo alla risoluzione di un problema.
Quando si deve riorganizzare gli elementi rispetto al loro uso, si trovano soluzioni per insight.

Il pensiero creativo
L’insight presenta delle relazioni con una forma di pensiero divergente, che viene attivato nelle
situazioni che permettono più vie d’uscita (al contrario di quello convergente). La domanda “in che
modo possono essere riutilizzate le bottiglie di plastica vuote?” permette lo sviluppo di un
pensiero divergente.

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Lo sviluppo del pensiero
Inteso come formazione di concetti e immagini mentali si sviluppa dai due anni. Via via il bambino
articola le sue conoscenze e arriva a concetti e regole più precise. Dagli 11 anni si sviluppa a pieno
la capacità di fare inferenze, compiere ragionamenti di tipo induttivo o deduttivo. Già dai primi
anni di vita, però, il ragionamento e il problem solving si affermano.

CAPITOLO 5-INTELLIGENZA E DIFFERENZE INDIVIDUALI NEI PROCESSI COGNITIVI


L’intelligenza è una funzione molto complessa che coinvolge una serie di aspetti cognitivi di base
(come la memoria di lavoro) e superiori (come il pensiero e il ragionamento).

Definire l’intelligenza
Definire l'intelligenza significa comprendere il funzionamento psichico dell'uomo nelle sue
manifestazioni più elevate. L'intelligenza è un ambito di studio complesso che affronta questioni
controverse. È difficile trovare una definizione globalmente accettata per la presenza di molte idee
diverse sull’intelligenza. È possibile, tuttavia, definire due accezioni fondamentali:
- l'intelligenza come accezione generale, che pone l'accento su ciò che è comune agli esseri
viventi. Si riferisce alla capacità di comprendere la realtà. Ci si riferisce all'intelligenza, in
termini generali, per menzionare l'attività della mente umana.
- L’intelligenza come accezione differenziale, che pone l’accento su ciò che differenzia gli
individui nella capacità di affrontare i compiti cognitivi. Questa accezione spiega perché
sono stati inseriti dei “test di intelligenza”, che permettono di operare una differenziazione
tra gli individui.

Teorie e forme dell’intelligenza


Per orientarsi nel panorama di come viene considerata l’intelligenza è utile fare riferimento alle
varie teorie, che vengono classificate in:
- Unitarie
- Globali-maturative
- Multiple
- Gerarchiche
- Cognitive
Le teorie unitarie
Uno dei principali promotori di questa teoria è Spearman. Egli capì che chi era particolarmente
abile in una prova, era di conseguenza abile anche in altre, mentre chi aveva difficoltà,
generalmente le ripresentava ad ogni compito proposto. Questo risultato suggeriva la presenza di
un’abilità generale, chiamata “fattore generale g”, dal quale deriva il QI globale, integrata da
un’abilità di secondo ordine.
Le teorie globali-maturative
Esse considerano l’intelligenza come un costrutto caratterizzato da più funzioni generale che si
sviluppano parallelamente con l’età.
Le scale di Binet-Simon e Wechsler sono ispirate a questa teoria: sono composte da varie prove di
difficoltà crescente di tipo diverso, che nell’insieme dovrebbero spiegare le differenze tra gruppi
con diverse età e, quindi, con diverso livello intellettivo.
Teorie multicomponenziali
Esse criticano l’ipotesi che il fattore g possa essere completamente rappresentato da una persona.
Si sostiene quindi che una aggregazione unitaria dell’intelligenza non può spiegare completamente

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le potenzialità e le specificità di una persona. Gardner ha individuato 7 forme di intelligenza,
ognuna con le proprie caratteristiche.
Sternberg individua, invece, 3 forme di intelligenza:
- analitica, che rappresenta le capacità astratte e il ragionamento logico
- pratica, ovvero la capacità di applicare ciò che la mente ha elaborato
- creativa, cioè la capacità di individuare strade nuove e soluzioni originali
Queste teorie, però, presentano dei problemi, perché non c’è accordo su quali siano le forme di
intelligenza fondamentali, le abilità descritte non sono indipendenti tra loro e non sembrano avere
la stessa importanza nella vita quotidiana.
Le teorie gerarchiche
Esse prevedono che un vasto insieme di abilità possa essere categorizzato in specifiche distinte
forme, ma queste si pongono a differenti livelli gerarchici e nel loro insieme rimandano ad un
fattore più centrale e importante, inteso come il “fattore g” delle teorie unitarie.
Secondo la teoria di Carroll, c’è:
- lo strato III più elevato, ovvero il fattore g
- lo strato II con 9 abilità
- lo strato I con abilità ristrette
Da questa teoria derivano varie formulazioni, che vanno sotto il nome di CHC (Cattell, Horn,
Carroll).

Teorie cognitiviste dei meccanismi di base dell’elaborazione


Le teorie unitarie furono messe in discussione perché il pensiero si basa su abilità ancora più
primitive. Tra le abilità di base per il ragionamento, la risoluzione dei problemi e l’organizzazione
delle conoscenze, c’è la memoria di lavoro, che sembra avere un ruolo fondamentale
nell’intelligenza. Il suo funzionamento, infatti, spiega l’efficienza di altri aspetti di base relativi
all’intelligenza, come la velocità di elaborazione.
Chi ha maggiore memoria di lavoro è più in grado di immagazzinare sub risultati e principi di
soluzione.

Modello a cono delle quattro componenti della teoria dell’intelligenza basata sul controllo della
memoria di lavoro
Il modello a cono di Cornoldi tiene conto della multicomponenzialità dell’intelligenza, includendo
le strutture intellettive di base in modo gerarchico, ma anche aspetti non cognitivi, come
l’esperienza o gli aspetti motivazionali culturali.
Questo modello ha una forma conica e evidenza come le abilità intellettive alla base del cono siano
strettamente legate alla specificità del materiale su cui operano, come aspetti verbali, visivi o
spaziali, mentre sono meno condizionate dalla capacità di controllo della memoria di lavoro.
Ad esempio, ricordare una serie di parole è un compito verbale, poco elevato gerarchicamente che
richiede un basso controllo della memoria di lavoro.
Via via che ci si avvicina all’apice del cono è necessario un maggior grado di controllo, mentre
assume meno importanza la natura del compito in sé.
Questo funzionamento dell’intelligenza è integrato da tre fattori esterni alle strutture intellettive di
base:
- esperienza, che agisce negli strati inferiori
- fattori motivazionali-culturali, che agiscono a più livelli sulle operazioni intellettive
- fattori emotivi-metacognitivi, che incidono sui processi altamente controllati

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Il quoziente intellettivo
I test di intelligenza permettono di ottenere un punteggio, che viene poi trasformato in un
“punteggio standard” che permette di confrontare gruppi e identificare profili differenti di
individui. Il punteggio ottenuto ai test permette, quindi, di individuare il QI.
Esso è stato proposto per la prima volta da Stern nel 1912, che studiava se i bambini di una certa
età riuscissero a svolgere dei compiti per bambini più grandi o più piccoli.
Il calcolo del QI si basava sul rapporto età mentale/età cronologica x 100. L’intelligenza di un
bambino veniva definita in termini di età mentale.
Questa accezione di QI è stata superata e oggi si definisce come punteggio di deviazione, in cui non
si fa riferimento ad altre età, ma alla fascia stessa del bambino.

Differenze individuali nei profili di intelligenza


La maggior parte delle persone ha un QI compreso fra 85 e 115, che rappresenta la fascia della
cosiddetta normalità, e si collocano al centro della curva a campana della rappresentazione del QI.
Essa rappresenta un quadro preciso di come gli esseri umani si distribuiscono per abilità
intellettiva.

Disabilità intellettiva
Una persona con disabilità intellettiva presenta una debolezza generalizzata che riguarda molti
aspetti del funzionamento intellettivo, cioè presenta difficoltà in tutti (o quasi) gli aspetti intellettivi
esaminati.

Forme eccezionali di intelligenza


Plus dotati e geni non sono la stessa cosa: la super dotazione intellettiva può essere ricondotta alla
prestazione in compiti intellettivi, mentre la genialità è prodotta da una combinazione non solo di
capacità intellettive, ma anche di specifiche funzionalità e abilità molto elevate. Nel genio sono in
atto delle caratteristiche importanti:
- caratteristiche cognitive generali particolari
- specifiche abilità in particolari forme intellettive
- creatività
- caratteristiche di personalità centrate sul conseguimento di certe competenze e prodotti
- contesto culturale favorevole
C’è una distinzione particolare per quanto riguarda le forme eccezionali di intelligenza:
- talentosi, con forme altamente specifiche di intelligenza
- creativi, che riescono a trovare soluzioni originali a cui nessun altro pensa
- geni, che sono il risultato della combinazione di più fattori diversi
- dotati o superdotati, che ottengono prestazioni molto elevate in quasi tutti i compiti
intellettivi
- superesperti, che sono molto esperti in singole attività

Aspetti evolutivi dell’intelligenza e il ruolo dell’esperienza


L’intelligenza intesa come aspetto globale o come insieme di sotto-componenti incrementa con
l’età in progressione graduale. L’intelligenza si sviluppa progressivamente, ed è possibile sostenere
il suo sviluppo con interventi educativi generali e/o mirati.
Esempio: somministrando lo stesso test di intelligenza a gruppi di età diverse ha dimostrato
un’acquisizione graduale delle abilità senza brusche discontinuità.
Tutti i test di intelligenza hanno sempre rilevato miglioramenti con lo sviluppo.

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Risulta ampiamente condivisa la convinzione che l’intelligenza sia stabile ed ereditabile con stime
fino al 70%. Questa teoria si basa su vari studi, ad esempio: un test di intelligenza proposto molto
precocemente può predire, a distanza di anni, il successo scolastico e lavorativo.
Tuttavia il contesto culturale e familiare influisce sullo sviluppo intellettivo, soprattutto se è
carente. Quindi i contesti educativi possono contribuire ad incrementare l’intelligenza e
decrementare gli effetti negativi. Nel contesto scolastico è importante tener conto delle effettive
abilità dell’individuo e delle sue abilità potenziali.
Zona di sviluppo prossimale
Sono le abilità potenziali che l’individuo potrebbe essere in grado di esprimere se assistito. Questo
concetto è alla base di un approccio secondo cui lo sviluppo delle funzioni cognitive superiori,
come l’intelligenza, è il risultato dell’interazione dell’individuo e degli strumenti fornitigli
dall’ambiente.

CAPITOLO 6-LA METACOGNIZIONE


La metacognizione riguarda la riflessione e il controllo sui processi cognitivi: conoscenze, strategie,
modalità, processi. Una parte di questo “lavoro” avviene spontaneamente, mentre un’altra parte
può richiedere un processo metacognitivo attivo, e quindi intenzionalità.

Conoscere il funzionamento della propria mente


La conoscenza metacognitiva è l’insieme di idee sviluppate da ciascun individuo sul funzionamento
della mente in generale, e in particolare della propria. Le conoscenze metacognitive favoriscono
l’apprendimento.
Le stime metacognitive, ossia le previsioni riguardo un determinato “compito”, rappresentano
metagiudizi sulle nostre conoscenze. Le capacità di controllo metacognitivo sono favorite da
conoscenza e uso di efficaci strategie. Le stime metacognitive dipendono dall’esperienza: più un
compito è familiare, più accurata sarà la stima prodotta. Per “compiti” nuovi, o la cui difficoltà non
è ben compresa, si tende a stimare in modo errato la propria prestazione.
Le stime influenzano anche i comportamenti di fronte ad un compito, e si riscontrano due
modalità: 1. prudente, tende a rispondere solo in caso di certezza e 2. audace, produce comunque
una qualche risposta anche in caso di incertezza.
Esistono degli errori sistematici nel processo di stima: euristiche della disponibilità e della
rappresentatività, ossia esempi o episodi facilmente disponibili in memoria, o più rappresentativi e
prototipici, sono giudicati come più frequenti e probabili. Esempio: pensare a priori che parole
straniere nuove siano più difficili da imparare rispetto a parole italiane nuove. Simili scorciatoie di
giudizio possono influenzare le previsioni, sovra o sottostimandole.

Monitorare il funzionamento della propria mente


Con “monitoraggio” o “controllo metacognitivo” si intende l’insieme dei processi auto-regolativi
adottati per verificare la corretta applicazione e l’efficacia di un’attività o strategia, eventualmente
decidendo un cambiamento del proprio agire per la risoluzione del compito. Il monitoraggio
include una riflessione metacognitiva associata a un determinato processo di controllo.
La risoluzione di un problema richiede di rappresentarsi il compito, predire la propria prestazione,
pianificare l’attività cognitiva, rendersi consapevoli dell’efficacia delle azioni programmate, adattare
le strategie e gli obiettivi.
In simili processi contano molto le conoscenze metacognitive su come lavora la propria mente,
saper predire la propria prestazione e conoscere le migliori strategie. E’ fondamentale anche aver
ben chiaro lo scopo e il tipo di prova da affrontare.

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Teorie implicite: sono fatto così o posso migliorare?
Obiettivi (Elliott)
Si riferiscono alla riflessione metacognitiva sul “perché” si vuole qualcosa. Valgono sia per chi
apprende, che per chi favorisce l’apprendimento.
- padronanza del compito: imparare, migliorarsi, conoscere;
- ottenere risultati: caratteristiche intermedie, ma funzionali a un obiettivo di padronanza
per raggiungere standard personali;
- dimostrazione di abilità: ottenere feedback positivi, competere.
Gli obiettivi di padronanza rendono più efficace e piacevole l’apprendimento rispetto agli obiettivi
di dimostrazione.
Teoria statica o entitaria
Visione delle abilità come competenze che o si posseggono o non si hanno, applicata al proprio
caso personale. E’ poco funzionale all’apprendimento sul piano emotivo e motivazionale. Esempio:
“Sei il solito distratto”
E’ in correlazione con l’obiettivo di dimostrazione.
Teoria incrementale
Porta a credere che le abilità sono in crescita e che l’esperienza può comportare o determinare un
miglioramento delle proprie conoscenze, competenze e attitudini. In questa teoria è fondamentale
e cruciale l’impegno, e si accompagna a vissuti emotivi piacevoli in quanto favorisce una
rappresentazione del sé positiva. A determinare e mantenere questa teoria è l’ambiente attraverso
i feedback e gli obiettivi che trasmette. Esempio: “Ti sei distratto. Come potresti fare per stare più
attento?”
E’ in correlazione con l’obiettivo di padronanza.

Stili attributivi: perché è successo questo?


Di fronte a qualsiasi risultato, positivo o negativo, viene spontaneo chiedersene le ragioni. Si
formulano valutazioni di stabilità, costanza, specificità che portano a individuare ragioni interne o
esterne a sé, più o meno controllabili e stabili. Col tempo tali riflessioni diventano abitudini
cognitive confluendo in uno “stile attributivo”: la tendenza ad applicare lo stesso modello in una
pluralità di situazioni. Si possono individuare 4 tipi di stili attributivi:
- impegno: “riesco se mi impegno, non riesco perché non mi applico”. L’insuccesso porta a
rimotivarsi, creando un senso di sfida. E’ associato alla teoria incrementale.
- impotente: “non sono bravo, se riesco è per caso o grazie ad altri”;
- negatore: “sono bravo, non riesco per colpa degli altri”;
- pedina: “le cose vanno come devono andare, impegno e abilità contano poco”.

Lo sviluppo della metacognizione


Le forme base di metacognizione sono intrinseche dell’uomo e possono essere svolte anche da
bambini piccoli. Le forme più complesse di metacognizione si sviluppano attraverso l’acquisizione
di 3 tipi di abilità:
Gioco simbolico: si riferisce al “far finta di” e presuppone la consapevolezza che qualcosa esiste
indipendentemente dalla nostra possibilità di coglierla con i sensi. Le cose sono rappresentate, e
quindi possono essere pensate. Così situazioni ipotetiche diventano “finte”, cioè pensate
anticipatamente, e possono sostenere la riflessione metacognitiva. Esempio: “cosa succederebbe
se usassi questa strategia?”.
Pensiero narrativo: capacità di costruire e comprendere delle storie e di utilizzare nessi causali e
collegamenti temporali e spaziali per la rappresentazione della realtà. Sostiene la capacità precoce

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di memoria autobiografica (c. 3). Consente di costruire legami e dare un senso di continuità tra
l’esperienza e la stima in ottica metacognitiva. Ad esso è contrapposto il pensiero paradigmatico
che è basato su nessi logici, ipotesi, analisi e un linguaggio decontestualizzato tipico delle scienze
esatte;
Teoria della mente: capacità di “decentrarsi”, ossia porsi dal punto di vista dell’altro, di
rappresentarsi ciò che ha in mente un altro individuo. Favorisce i processi metacognitivi
promuovendo la comprensione sociale e aiutando a creare stime riguardo interazioni sociali.
Consente di prevedere e comprendere gli stati mentali altrui attraverso la rappresentazione di
emozioni.

CAPITOLO 7-MOTIVAZIONE
I motivi impliciti
Sono definibili come “tratti di motivazione”, si riferiscono a delle disposizioni di base che ci portano
ad essere, in modo anche inconsapevole, attratti da stimoli, situazioni, compiti riferiti a 3 ambiti:
- motivo alla riuscita: spinge a desiderare di affrontare un compito in cui sentirsi competenti
e ad avere successo. Risultato opposto: fallimento;
- motivo alla dominanza: spinge a voler sentire che si ha il controllo della situazione, che le
proprie idee vengono seguire e che non si è dominati da altri. Risultato opposto:
sottomissione;
- motivo all’affiliazione: porta a proporsi per il desiderio di essere accettati e accolti. Risultato
opposto: esclusione.
La motivazione è conflittuale: lo stesso motivo può portare a fare o a evitare la situazione. Ci sono
differenze individuali nella forza dei vari motivi. A determinare l’intensità dei motivi e a modularli
vi sono 3 fattori:
- di base: è costituzionale e ci contraddistingue fin dalla nascita;
- stima di successo;
- emozioni anticipate: quanto soddisfatto o meno suppongo che mi sentirò se vedrò appagati
o meno i motivi.
A determinare le stime di successo e insuccesso e le emozioni anticipate sono le esperienze
pregresse. I motivi infatti sono latenti, sono predisposizioni su cui si innestano tutti i successivi
processi motivazionali.

La percezione di competenza
E’ il “sentirci capaci” e costituisce una forte spinta motivazionale. All’origine del percepirsi
competenti c’è la motivazione alla riuscita. I comportamenti degli adulti possono determinare un
blocco o uno sviluppo della percezione di competenza. Solo chi fa in prima persona può sentirsi
competente, se fa un altro per noi ci sentiremo meno competenti.
Promozione della motivazione
Adulto che lascia provare e non si intromette, anzi incoraggia.
Aumenta: percezione di competenza, desiderio di padronanza, motivazione alla competenza.
Diminuisce: bisogno di approvazione esterna.
Blocco della motivazione
Adulto intrusivo, direttivo o controllante. Esempio “Non sei portato”.
Aumenta: bisogno di approvazione, ansia del fallimento, evitamento.
Diminuisce: percezione di competenza, motivazione al compito.

L’autoefficacia

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La percezione di autoefficacia è in relazione con la percezione di competenza. Esempio: “questa
cosa non so farla” prima ancora di iniziarla.
Si definisce come percezione di efficacia anche la percezione di controllo della situazione, che è
anticipatoria e specifica. Esempio: “adesso, questo compito, per come mi sento ora, non riesco a
farlo”.
La percezione di autoefficacia è un importante fattore motivante. L’autoefficacia si costruisce in 4
passi:
1. affrontare la situazione e ottenere un buon risultato;
2. vedere altri che riescono (anche sé stessi in passato);
3. persuasione verbale: convincersi di riuscire;
4. gestione dell’emotività negativa.

La teoria aspettative x valori [Wigfield e Eccles]


Tutte le stime di “fattibilità” appena trattate non sono sufficienti, è importante che ciò che si
decide di affrontare abbia valore per noi e che non costi troppo.
La motivazione è il frutto della moltiplicazione tra aspettative di riuscita e valore dato alla
situazione. Le aspettative dipendono dalla percezione di competenza, dalle stime di fattibilità e dal
tipo di attribuzione formulata. I valori e l’importanza assegnata alla situazione dipendono dagli
obiettivi e dalle aspettative proprie e altrui. E’ bene soffermarsi su 4 valori:
- utilità: serve a fini pratici? Esempio: serve per trovare un lavoro?;
- costo: è l’elemento sottrattivo. Se un argomento è utile ma costa troppa fatica affrontarlo, il
risultato sarà negativo e di demotivazione. Esempio: questo è troppo difficile da studiare;
- valore intrinseco-piacevolezza. Esempio: mi piace studiare questa materia;
- importanza del risultato. Esempio: è importante per me andare bene in questo;

Curiosità e interesse: come stimolarli


La piacevolezza verso il compito può venire stimolata da curiosità o interesse.
Curiosità
E’ un bisogno innato ed è mossa da specifiche caratteristiche degli stimoli definite “proprietà
collative”: novità, complessità, incongruenza. La curiosità però è transitoria, in quanto svanisce non
appena è stata data risposta ai quesiti. Entra in gioco l’interesse.
Interesse
E’ stabile e si sviluppa nel tempo andando a fissarsi su certi temi o argomenti più di altri.
- interesse individuale: predisposizione stabile che caratterizza ognuno diversamente;
- interesse situazionale: favorito dagli elementi “catch” forniti dall’ambiente e dallo stimolo.
A promuovere l’interesse vi sono gli elementi di novità, comprensibilità, percezione di valore.

CAPITOLO 8-EMOZIONI
L’origine delle emozioni: la teoria controllo-valore
Perché di fronte a uno stesso compito c’è chi va in ansia mentre altri affrontano positivamente la
situazione, e altri ancora si annoiano? Secondo la teoria controllo-valore [Pekrun] ci sono due
antecedenti cognitivi delle emozioni: la percezione di controllo e il valore. Pekrun li esamina anche
dal punto di vista delle emozioni che possono produrre nel processo di apprendimento.
Percezione di controllo
Sentire di essere capace, sapere come riconoscere che il buon risultato dipende da sé.
Valore
Si riferisce al significato e all’importanza data al compito o alla situazione.

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Le due si accrescono vicendevolmente e sono necessarie entrambe per cogliere la sfumatura
emotiva. L’ambiente comunica valori, aspettative e percezioni che influenzano le valutazioni di
controllo e di valore.

Le emozioni si trasformano: la teoria comunicativa


Le emozioni comunicano significati a noi stessi, ci offrono una interpretazione della situazione e ci
suggeriscono chi siamo. Significa che l’insuccesso era importante per chi reagisce emotivamente,
ma non per chi invece non manifesta alcuna particolare reazione emotiva. Le emozioni ci dicono
ciò che ci interessa davvero.
Secondo il modello di [Oatley e Johnson-Laird] le emozioni dipendono dal livello di raggiungimento
degli obiettivi che si stanno perseguendo. Le emozioni ci comunicano a che punto siamo e quali
obiettivi sono importanti per noi. L’intensità dell’emozione provata ci suggerisce quanto è per noi
rilevante l’obiettivo.
- tristezza: vi viene associata la percezione di obiettivo perso o irraggiungibile;
- paura: riferita alla percezione di incertezza;
- rabbia: percezione di obiettivo ostacolato. E’ attivante, spinge ad agire nel rimuovere o
superare l’ostacolo;
- coinvolgimento: esperienza di flusso, sensazione completa di benessere e padronanza;
- soddisfazione: da qui ci si rimotiva per affrontare con meno tristezza e paura ulteriori
attività.
In ogni step c’è la possibilità di tornare a quello precedente che è già stato affrontato, o di
progredire al successivo.
La teoria comunicativa spiega perché ci si sente tristi, impauriti o arrabbiati. Illustra anche quanto
l’obiettivo percepito e la meta influenzino le nostre emozioni e mostra anche che rabbia e ansia
sono espressioni di “interesse”, mettendo in evidenza quanto l’obiettivo sia importante per noi. La
soddisfazione sarà tanto maggiore quanto più avremo attraversato e affrontato momenti di paura
e di rabbie ed evidenzia le ragioni emotive per cui è così difficile cominciare.

Le emozioni piacevoli
Quando si parla di emozioni quasi sempre si hanno in mente emozioni spiacevoli, ma esistono
molte emozioni a carattere piacevole la cui funzione è fondamentale per il benessere e anche per
aiutare ad elaborare il vissuto emotivo più spiacevole.
Secondo il modello di [Fredrickson] queste emozioni positive ampliano il repertorio di azioni e
pensieri e favoriscono l’apprendimento. Difatti il processo non è “del momento”, ma si configura
nella crescita di “forze” quali: ottimismo, resilienza, tendenza a vedere le cose nella prospettiva
migliore. Per sostenere l’apprendimento è importante, oltre a ridurre le emozioni spiacevoli, anche
incrementare le emozioni piacevoli. Lo stato emotivo piacevole può aiutare ad affrontare lo stato
emotivo spiacevole. Il rapporto ottimale di emozioni piacevoli : spiacevoli è 3 : 1.

L’entusiasmo
[Keller] distingue tra:
- entusiasmo sperimentato e sentito: emozione provata;
- dimostrazione di entusiasmo attraverso comportamenti relativi soprattutto alla sfera della
comunicazione non verbale.
L’entusiasmo fa provare emozioni piacevoli e migliora l’apprendimento.

Conoscere e controllare le proprie emozioni

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Capita di dover regolare le proprie emozioni per renderle funzionali ad affrontare la situazione.
Tale processo di regolazione ha un “costo del controllo emotivo” (emotional labor). Esso richiede
un lavoro sul proprio vissuto emotivo (acting) a due diversi livelli:
- profondo: si attua una rivalutazione della situazione e delle possibili interpretazioni che
determina una reale modifica del vissuto emotivo. La focalizzazione è sugli antecedenti, sui
fattori che generano l’emozione;
- superficiale: viene modulata solo l’espressione comportamentale, sopprimendo la naturale
manifestazione del vissuto emotivo provato. La focalizzazione è solo sulla risposta.
L’emozione risulterà trasformata ed espressa in modo autentico solo se ci sarà stata una
preliminare riflessione e modulazione dei significati. In caso contrario, l’emozione sarà solo
soppressa superficialmente. L’elaborazione profonda favorisce il benessere, mentre ripetuti sforzi
di elaborazione superficiale possono stressare fino a condurre a fenomeni di burn-out.
Modello di [Gross]
Mostra che è possibile modificare il proprio vissuto emotivo, sottolinea l’importanza di riflettere
sulle proprie esperienze emotive e di comunicare le emozioni per riuscire a elaborarle e
controllarle. Questo “controllo” riguarda emozioni che già si provano.
Non sono gli eventi in sé ad emozionarci, ma altri fattori individuati da [Frijda] nella codifica e
nell’interpretazione. Uno stesso evento può infatti trasmettere significati differenti e andare a
incidere sull’emotività di alcune persone, ma non di altre. Contano gli obiettivi, i potenziali ostacoli
che si esperiscono e le informazioni che si hanno al fine di giudicare un evento che genera
emozioni. Le interpretazioni degli eventi generano le emozioni in un processo ricorsivo: le
valutazioni cognitive danno luogo a reazioni e comportamenti che rimodulano il processo. Ogni
emozione è unica, perché unici sono i contesti e i pensieri di quel momento. Non sono gli altri a
farci emozionare, ma siamo noi a “decidere” che emozione provare

CAPITOLO 9-SOCIALIZZAZIONE E APPRENDIMENTO


L’apprendimento si realizza in un contesto sociale che lo promuove e lo determina. Esistono fattori
ambientali che favoriscono e altri che rallentano il processo. Contano molto anche l’ambiente
classe e il fattore “compagni come risorsa”, implementabile attraverso l’apprendimento
cooperativo.

Il supporto sociale all’apprendimento e l’imitazione


La deprivazione sociale nei primi anni di vita può avere conseguenze drammatiche sulla
maturazione e sull’apprendimento del bambino. Conforto affettivo e relazionalità sono per sé
stessi due profondi e intensi motori dell’apprendimento, ma i loro effetti possono anche essere
indiretti (dovuti ai meccanismi che instaurano).
Un meccanismo sociale fondamentale è l’imitazione. Il bambino, sin da piccolo, è portato a imitare
gli altri e quindi a sviluppare capacità che siano svolte da altre persone. Per questo fenomeno i
neuroni-specchio si attivano in modo da rappresentare le azioni viste fare da altre persone.
Teoria dell’apprendimento sociale [Albert Bandura]
L’apprendimento (modeling, modellamento) si riscontra osservando il comportamento di un altro
individuo che ha la funzione di modello. Attraverso l’osservazione si possono apprendere
comportamenti anche negativi. L’apprendimento osservativo richiede che l’osservatore diriga
l’attenzione verso il modello con cui deve identificarsi. Fattori che influiscono sul modellamento
sono:
- somiglianza delle caratteristiche personali tra osservatore e modello;
- grado in cui può avvenire l’identificazione;
- competenza e autorevolezza del modello.

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Il bisogno di relazione
La Self-determination Theory [Ryan e Deci] specifica l’importanza della relazione nel favorire il
benessere e la motivazione. E’ cruciale il soddisfacimento e la non frustrazione di 3 bisogni innati:
1. relazione - soddisfazione: sentirsi accolti e accettati; frustrazione: senso di esclusione;
2. competenza - soddisfazione: riuscire, sapere come fare; frustrazione: sentirsi incapaci;
3. autonomia - soddisfazione: poter scegliere come organizzarsi; frustrazione: sentirsi
obbligati.
Le persone dimostrano benessere e spinta motivante in ciò che fanno quando si sentono sostenute
e capaci di fare cose scelte da sé. E’ possibile favorire benessere e motivazione sia sostenendo che
non frustrando i 3 bisogni. Non è sufficiente che i 3 bisogni siano soddisfatti, ma occorre che ci sia
equilibrio nella soddisfazione di essi.
La soddisfazione è come una vitamina: nutre il naturale bisogno di avere relazioni che sostengono
gli sforzi per essere capaci e autonomi. La frustrazione è come un veleno: attivamente ci fa sentire
fuori posto, meno capaci e obbligati a svolgere attività poco chiare.
Ambiente caring
Per soddisfare e non frustrare i 3 bisogni serve creare un ambiente caring, che fa sentire accolti per
i tentativi di costruire la propria motivazione. Le caratteristiche di questo ambiente sono:
- non giudicare, far sentire competenti, lasciare scegliere;
- spiegare le ragioni per fare;
- accettare le espressioni di emotività negativa;
- rispettare i tempi individuali e sostenere interesse e curiosità;
- adottare un linguaggio non controllante: potresti.., come pensi di..?.

Ambienti supportivi e autoregolazione


L’autoregolazione consiste nella capacità di gestire da sé strategie e motivazioni funzionali alla
riuscita e a saper svolgere compiti e attività considerati importanti e a cui si dà valore. Per
acquisirla si attua un processo di internalizzazione che consiste in gradi diversi di regolazione del
proprio agire. Spesso l’autoregolazione della motivazione segue una traiettoria che inizia
all’esterno della persona e progressivamente viene interiorizzata.
- motivazione esterna: serve un motivatore esterno;
- regolazione introiettata: non serve più un motivatore esterno ma ci sono delle perplessità;
- regolazione identificata: porta a fare perché ci si sente quella persona. Esempio: sono uno
studente quindi studio;
- regolazione integrata: porta a sentire che l’attività è parte di sé, viene naturale motivarsi e
autoregolarsi.
Si passa dalle prime due modalità che portano ad agire perché “si deve” alle ultime due in cui si
agisce perché “si vuole”. E’ l’ambiente a favorire l’internalizzazione, ed è importante il ruolo della
struttura data dall’ambiente. Vi possono essere ambienti:
- ad alta struttura: è chiaro ciò che ci si aspetta;
- a bassa struttura: tutto risulta meno chiaro e definito.
Ambiente supportivo dell’autonomia + alta struttura = efficace;
Ambiente controllante + bassa struttura = problematico.
Il tipo di ambiente supportivo andrebbe implementato con attenzione al singolo, ma anche ai suoi
obiettivi di natura sociale e della rappresentazione di sé.

Obiettivi sociali, rappresentazioni di sé e autostima

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L’apprendimento si svolge in un contesto sociale: è il graduale inserimento nella vita intellettuale
dell’ambiente in cui si vive e la cui cultura si assorbe con vari mezzi.
Obiettivo sociale
Uno scopo rivolto agli altri e quindi non solo e unicamente al fine individuale del proprio
apprendere. Tali obiettivi possono agire sinergicamente con gli obiettivi di apprendimento o anche
entrarci in conflitto.
Rappresentazioni di sé [Higgins]
1. sé presente e sé ideale (personale): non sono come vorrei;
2. sé presente e sé imperativo (per sé): non sono come credo di dover essere;
3. sé presente e sé ideale (per gli altri): non sono come vorrebbero che io sia;
4. sé presente e sé imperativo (per gli altri): non sono come vogliono che io sia;
Queste rappresentazioni definiscono la spinta al cambiamento: desiderare o voler essere diversi
attiva verso il cambiamento. La discrepanza fra chi sono e chi sento dovrei essere è una forte fonte
di motivazione.
Autostima
E’ la valutazione e valorizzazione globale di sé. Autostimarsi significa piacersi e ritenersi capaci. Alla
base ci sono due dimensioni:
- “io posso” self-competence: percezione di competenza e di auto-efficacia;
- “io valgo” self-liking: convinzione di valore e di importanza data al compito e al sé che
apprende.
Dipendono entrambe in parte dal supporto fornito dall’ambiente attraverso meccanismi che
possono promuovere o bloccare la crescita dell’autostima, quali:
- reflected appraisal (valutazione riflessa): mi valuto e costruisco la mia autostima sulla base
delle valutazioni degli altri;
- contingent self-worth (valorizzazione di sé in base alle contingenze): valgo e mi sento
apprezzato se ottengo buoni risultati, credo di non valere se non riesco. Rende l’autostima
instabile;
- convinzioni self-defining: i risultati definiscono chi sono;
- convinzioni self-enhancing: le difficoltà mi consentono di migliorare.
Al fine di accrescere l’autostima è importante rimandare un’immagine di persona che può e che
vale, che conta l’impegno e non la dimostrazione di abilità.

L’apprendimento mediato dai compagni


Lo studente è artefice, protagonista e costruttore attivo della propria conoscenza. La principale
modalità per sviluppare questo approccio è la collaborazione fra compagni. In cooperazione si
sviluppano abilità non costruibili individualmente.
Viene quindi sfruttata la zona di sviluppo prossimale: la sfera di capacità non ancora padroneggiate
che, con adeguata stimolazione dell'ambiente, possono emergere. Ciò può avvenire attraverso:
- modeling: offrendo modelli di comportamento;
- scaffolding: dando un supporto da rimuovere man mano che lo studente padroneggia ed è
autonomo.
L’obiettivo generale consiste nel creare un ambiente-piattaforma efficace per il successivo
insegnamento. Risulta importante promuovere l’agentività: la percezione di essere protagonista
della costruzione delle proprie conoscenze.
Si parla di apprendimento mediato dai compagni per tutte le occasioni in cui un certo
apprendimento è stato possibile grazie al fatto che lo studente cooperava con altri studenti. La
partecipazione attiva può implementarsi attraverso alcune modalità pratiche fra cui:
- brainstorming: esprimere in un gruppo le idee spontanee su un certo argomento;

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- perspective taking: porsi dal punto di vista dell’altro;
- pensiero narrativo: raccontare le proprie scoperte e conoscenze.
L’atteggiamento dell’insegnante dovrebbe essere aperto e caratterizzato da un’attenzione rivolta a
ciascun alunno e ad ogni argomento prodotto.
Le tecniche “personalizzate” [Rivetti e Capodieci] di peer tutoring (lavoro a coppie) e
apprendimento cooperativo sono altamente strutturate e attente alle caratteristiche degli studenti
più fragili. Negli anni sono state sviluppate anche altre tecniche specifiche quali il Teambuilding, il
Jigsaw e il Group Investigation che favoriscono la responsabilizzazione e la costruzione di gruppi
efficaci.

CAPITOLO 10-LETTURA E COMPRENSIONE


Davanti ad un testo, la prima operazione è un processo di decodifica che permette, attraverso
l’associazione rapida grafema/fonema o l’accesso diretto alle parole scritte, di pronunciare le
parole del testo, senza avere la certezza di accedere direttamente al significato.
Si passa poi ad una seconda fase, che presuppone una decodifica, nella quale ci si concentra sul
significato, attivando un processo di comprensione, che è reso più o meno difficile dalla tipologia di
testo e dal contesto più o meno chiaro della descrizione.
Con l’espressione leggere si intendono quindi due processi cognitivi diversi, in parte indipendenti
tra loro, che nel lettore esperto sono interconnessi.

Decodifica e comprensione: modelli teorici


Il modello evolutivo stadiale
I modelli evolutivi e i modelli di apprendimento seguono come un bambino acquisisce
progressivamente una certa competenza.
Il modello stadiale di Frith ha individuato quattro stadi nel processo di apprendimento della
lettura, che interessano anche il rapporto tra scrittura e lettura:
- Stadio logografico, tipico dell’età prescolare, in cui il bambino riconosce alcune parole per la
presenza di alcuni indizi che ha imparato a riconoscere, ma ancora non ha conoscenze
ortografiche o fonologiche. Si è creata un’associazione tra configurazione grafica della
parola e significato.
- Stadio alfabetico, all’inizio del processo di scolarizzazione ed è fondamentale per
l’apprendimento della lettura, perché il bambino riconosce che il suono di ogni parola può
essere scomposto in parti più piccole (sillabe, fonemi). Si apprendono le regole di
conversione grafema/fonema.
- Stadio ortografico, in cui il bambino perfeziona e economizza ciò che ha appreso fino a quel
momento.
- Stadio lessicale, consente al bambino il riconoscimento diretto della parola, che porta
all’automatismo della lettura attraverso la formazione di un magazzino lessicale.
Questo modello ipotizza un andamento gerarchico, l’acquisizione di uno stadio permette ed è
fondamentale per l’acquisizione corretta dello stadio successivo.

Il modello neuropsicologico di funzionamento a due vie


È un modello molto noto, elaborato negli anni ’80 attraverso lo studio di pazienti adulti con
dislessia cerebrale. Prevede l’esistenza di due modalità per arrivare alla lettura di parole che siano
appartenenti al lessico, oppure inventate.
- La via lessicale, o diretta, che postula che il lettore, con la pratica, abbia un magazzino
lessicale nel quale ogni parola corrisponde ad alcune rappresentazioni mentali che gli
consentono un riconoscimento immediato di parole anche irregolari.

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- La via fonologica e sublessicale, o indiretta, usa regole di conversione grafema/fonema e
assicura il riconoscimento e la lettura delle parole regolari e delle non parole. Permette
quindi di leggere ogni parola.
Per una lettura adeguata sono necessarie entrambe le vie.

Modello structure building framework


La comprensione è un processo attivo di costruzione del significato del testo dipendente sia dalle
informazioni del testo, sia dalle conoscenze possedute dal lettore. Senza questa interazione, il
lettore non comprende il significato e non attiva uno scema appropriato del brano, e a costruire un
modello mentale coerente.
Il modello elaborato da Gernsbacher, detto Structure Building Framework viene usata la metafora
della costruzione di un edificio per delineare un modello di lettura, in cui lo scopo della
comprensione è quello di creare una coerente rappresentazione del testo. Si parte dai primi
elementi del testo e se le informazioni ritenute rilevanti si rivelano tali nel testo, si continua con la
costruzione, altrimenti si ricomincia.
In questo processo di costruzione hanno un ruolo fondamentale:
- L’attivazione, che consente di mantenere attive le informazioni rilevanti
- La soppressione, che diminuisce l’attivazione di quelle non rilevanti
Questi due meccanismi servono, per esempio, di seguire le azioni di un protagonista in un libro
senza subire l’interferenza di personaggi secondari.
I cattivi lettori mantengono attive anche le informazioni non rilevanti.

Modello Simple View of Reading e il ruolo della comprensione orale


È un modello proposto da Gough ed ha come punto centrale la distinzione tra la decodifica e la
comprensione del testo all’interno del processo di lettura, mettendo anche in evidenza il ruolo
fondamentale della comprensione orale come abilità connessa alla comprensione del testo.
Secondo questo modello, il livello della comprensione del testo può essere predetto
dall’interazione di:
- Decodifica D
- Comprensione del linguaggio L
Secondo la legge C=DxL
Quando la capacità di decodificare è zero, non c’è comprensione del testo, e viceversa. Dal punto di
vista evolutivo, il modello dice che col crescere del livello di scolarità, con il miglioramento di
decodifica e dell’automatizzazione, la comprensione del testo sarà migliore.

Il paradigma dei movimenti oculari


Quando si legge, sembra che gli occhi scorrano lungo il testo in modo continuo in lineare. In realtà,
procedono irregolarmente e a salti rapidi, con pause durante le quale avviene la lettura.
Gli occhi procedono con piccoli salti in avanti, detti saccadi, seguiti da pause, dette fissazioni
oculari, intervallati da piccoli movimenti indietro, detti regressioni. Le fissazioni permettono al
lettore di elaborare l’informazione visiva, le regressioni permettono di cogliere nuove informazioni
utili o modificare l’interpretazione. I movimenti oculari riflettono quindi il processo di
comprensione in atto, che mette in relazione le informazioni che via via si leggono con le
conoscenze possedute attraverso processi guidati dai dati (bottom-up), e guidati dai concetti
(top-down). I primi rispondono ai segnali in arrivo agli occhi del lettore (grafemi, parole), i secondi
fanno sì che conoscenze acquisite permettano di fare ipotesi sul significato che si sta leggendo.

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La scelta dei punti di fissazione non è a caso, ma avvengono sulle parti più significative del testo.
Durante le pause, il lettore compie una serie di processi che permettono il collegamento con
quanto già letto e anticipano le parti seguenti del testo.
È importante dire che l’attribuzione del significato del testo avviene durate la lettura e non alla
fine!
Un altro contributo di questo studio è quello di delineare le modalità di lettura del lettore esperto,
rispetto a quello in difficoltà. Una lettura veloce si basa sulla capacità di ridurre le fissazioni e
abbreviare il tempo della codifica.

Comprensione: processi cognitivi e metacognitivo-motivazionali


Memoria a lungo termine e memoria di lavoro
La memoria a lungo termine ha un ruolo importante nel processo di comprensione. In essa sono
conservati il lessico, le emozioni collegate a contenuti del testo…
Conoscenze ampie permettono una più efficace comprensione
Il ruolo della memoria di lavoro nella comprensione varia a secondo di quale suo aspetto si
considera. Al fine di poter ipotizzare la possibile relazione con la comprensione del testo e la
memoria di lavoro, Daneman e Carpenter hanno costruito una prova di ML che pone richieste di
elaborazione e mantenimento dell’informazione, chiamata Reading Span Test, e tramite questo
esperimento si sono trovate molte correlazioni tra memoria di lavoro e comprensione.
I lettori con difficoltà di comprensione del testo hanno uno span minore di ML.
Il ruolo della ML è anche quello di conservare le informazioni utili e scartare le altre, oppure quella
di aggiornamento, in cui è possibile sostituire le informazioni attivate e elaborare una nuova
rappresentazione mentale.

Processo inferenziale
È molto legato alle conoscenze preesistenti e ai processi di memoria, e consiste nell’abilità di
dedure informazioni di varia natura non esplicitate nel testo. Fare inferenze significa collegare le
informazioni nel testo con le conoscenze del lettore. La capacità di trarre inferenze è legata al
livello di maturità raggiunto nella lettura.
- Inferenze che mantengono la coerenza, che favoriscono la creazione di un modello mentale
coerente. Permettono di collegare informazioni lontane nel testo (inferenze ponte).
- Inferenze elaborative, che permettono di approfondire il contenuto del testo e consentono
di elaborare meglio il significato.
I cattivi lettori generano meno inferenze rispetto ai buoni lettori e tendono a perdere le
informazioni rilevanti.

Processi metacognitivi e motivazionali


Con il termine metacomprensione ci si riferisce a quell’insieme di conoscenze e processi
metacognitivi che riguardano la comprensione del testo e caratterizzano i lettori efficaci dai meno
efficaci. La metacomprensione fa riferimento alla metacognizione e sono state individuate quattro
componenti di essa:
- Conoscenze relative al compito, che sono legate con la consapevolezza dei processi di
scrittura e con la sensibilità, intesa come la capacità di valutare la difficoltà di un testo,
saper riconoscere informazioni rilevanti, il genere e la struttura del testo, i vari errori e le
incongruenze
- Conoscenza di strategie, per esempio la scorsa rapida del testo. Un buon lettore conosce
molte strategie.

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- Consapevolezza di sé come lettore, riguardano le sue reali capacità, i suoi interessi e la sua
motivazione.
- Controllo, permette di cogliere errori o cadute di comprensione.

Il testo e le sue caratteristiche


Il testo può variare in difficoltà, in relazione a più parametri: intenzione comunicativa, lunghezza,
complessità linguistica, caratteristiche linguistiche…
L’organizzazione e il collegamento tra le parti di un testo variano a seconda si tratti di una fiaba, di
una lettera o di un articolo scientifico.
Sono stati elaborati diversi sistemi per analizzare la facilità di un testo.

I disturbi della lettura


Decodifica e comprensione sono processi distinti, quindi può succedere che un bambino abbia un
problema in solo un processo.
La dislessia riguarda solo l’aspetto di decodifica. Il bambino dislessico ha difficoltà a leggere, a
scrivere, ma anche a livello fonologico.
Esistono poi bambini che hanno difficoltà nel comprendere un testo, ma non nella decodifica.

Evoluzione dei processi di decodifica e comprensione


Il processo vero e proprio di apprendimento della lettura avviene dei primi due/tre anni della
scuola primaria, durante i quali la velocità di lettura aumenta.

CAPITOLO 11-SCRITTURA
Nella scrittura sono in gioco tre componenti fondamentali:
- Grafismo
- Ortografia
- Espressione scritta

Processi e modelli della scrittura strumentale e disturbi della scrittura


Grafismo e ortografia costituiscono gli aspetti strumentali della scrittura e, una volta acquisti, sono
lo strumento per poter comunicare per iscritto. Se questi processi sono ben automatizzati, la
persona scrive senza fatica e può creare testi con piani e scopi specifici.

Il grafismo e la disgrafia
Il segno e il movimento costituiscono il grafismo e sostengono la competenza grafo-motoria,
ovvero tutte le abilità che consentono alla persona di riprodurre i singoli segni grafici. Il grafismo
dipende dallo sviluppo della motricità fine, della coordinazione motoria e visuo-motoria, che
variano a seconda del sesso, della cultura e dell’età.
Gli aspetti fondamentali indicativi dell’acquisizione dei pattern grafo-motori della scrittura sono la
velocità e la leggibilità.
L’abilità della scrittura, nonostante venga insegnata esplicitamente solo nei primi anni della scuola
primaria, evolve lungo tutto l’arco della scolarizzazione. È uno strumento abbastanza regolare che
cresce in modo costante, con una spinta iniziale e una attenuazione negli ultimi anni delle scuole
superiori.

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Nell’analisi di padronanza grafica si considerano anche la gestione dello spazio nel foglio, la
direzione del movimento, la grandezza dei grafemi, la spaziatura, ma anche la pressione della
penna e l’impugnatura, le dimensioni del banco e della sedia, la posizione del gomito e della spalla.
Per valutare la qualità e la leggibilità del grafismo si usano dei questionari chiamati check list, che
sono molto specifici nel caso in cui uno studente abbia difficoltà in questo ambito.
Il grafismo corrisponde alla meccanica della scrittura, e a scuola la scrittura manuale è un’abilità
fondamentale richiesta.

La competenza ortografica e la disortografia


L’ortografia riguarda il rispetto di regole e convenzioni nella scrittura di parole della lingua di
appartenenza. Questa competenza permette di scrivere parole ascoltate secondo una sequenza
convenzionale di grafemi.
Lettura e scrittura sono strettamente connesse nell’apprendimento, perché l’apprendimento di una
aiuta l’apprendimento dell’altra.
Se la parola udita è nota al soggetto, il lessico grafemico permette di recuperare la forma
ortografica corrispondente, nel caso in cui la parola sia sconosciuta, invece, il buffer fonemico
permette di tradurre i singoli suoi secondo il meccanismo di conversione fonema-grafema e di
organizzarli secondo un ordine preciso. Il buffer grafemico permette di conservare in memoria i
grafemi, mentre il sistema allografico consente di recuperare le caratteristiche del grafema nel
formato di scrittura scelto (corsivo, stampatello…), per arrivare a trascrivere la parola attraverso i
processi del pattern grafo-motorio.
In ogni fase dello sviluppo sono coinvolte sia la scrittura che la lettura. Il bambino riconosce
visivamente una parola e cerca di riprodurla in forma scritta, e via via accede al livello alfabetico.
Successivamente, con l’esercizio della letto-scrittura, costruisce un magazzino ortografico prima
per la lettura, poi per la scrittura, arrivando poi allo stadio lessicale, in cui l’intera parola viene letta
o scritta in modo globale.
Un bambino più maturo con difficoltà ortografiche ha difficoltà anche nel grafismo. Ci sono però
molti casi di bambini con buon grafismo, ma con notevoli difficoltà ortografiche, a causa di loro
caratteristiche cognitive che non permettono di segmentare la lingua parlata in modo da
identificare i suoni corrispondenti, né di memorizzare la forma scritta delle parole.
Questa difficoltà è chiamata disortografia.

Processi e modelli dell’espressione scritta


L’espressione scritta concerne la capacità di scrivere in modo autonomo testi adeguati a diversi
contesti. Produrre un testo significa imparare a gestire la sua creazione, la sua processualità, è
un’attività metacognitiva, riflessiva, linguistica e sociale. L’acquisizione di questa attività migliora
lentamente per moltissimi anni, anche dopo la scolarità.

Modelli cognitivi di elaborazione del testo scritto


Il modello di Hayes e Flower individuano nell’elaborazione del testo scritto tre componenti:
- Il contesto del compito (titolo, argomento, scopo e destinatario)
- La memoria a lungo termine (conoscenza di piani di scrittura)
- Il processo di scrittura, articolato in pianificazione, trascrizione e revisione
Questo modello prevede anche il coinvolgimento di un’attività di controllo e della memoria di
lavoro.
Altri studiosi hanno poi messo l’accento sull’importanza di distinguere tra generazione del testo e
trascrizione. Questo ultimo aspetto è fortemente influenzato dalla memoria di lavoro, poiché

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entrano in gioco diversi fattori linguistici a livello testuale, sintattico, morfologico, lessicale e
ortografico.
Come dovrebbe procedere uno studente davanti ad una produzione scritta?
- Definire a sé stesso il contesto e il compito da svolgere, chiarire lo scopo e la tipologia di
testo da produrre.
- Fase della generazione di idee, attingendo a conoscenze e informazioni immagazzinate
nella MLT o ricorrendo a fonti esterne
- Abbozzo di pianificazione e organizzazione del testo da produrre, che potrebbe organizzare
in una scaletta
- Revisione, al fine di migliorare o rivedere il piano che sta alla base del testo trascritto

Aspetti metacognitivi e motivazionali della scrittura


La produzione scritta è un processo ricorsivo in cui le diverse fasi si integrano l’una con l’altra, e si
basa su continue prese di decisioni e scelte in funzione di obiettivi definiti.
La consapevolezza metacognitiva e il controllo esecutivo, insieme alla MDL, presiedono e regolano
l’elaborazione testuale e ne garantiscono l’unitarietà.
La consapevolezza metacognitiva si acquisisce nel tempo attraverso l’esperienza sistematica, come
anche la capacità di controllo e autoregolazione del compito.
È importante anche la percezione della propria esperienza come scrittore, che influenza la
motivazione a scrivere: lo studente a cui piace scrivere si sente capace e trae soddisfazione da
questa attività, esprimendosi liberamente. Un altro aspetto che influenza la motivazione a scrivere
è il processo di insegnamento e apprendimento: uno studente con difficoltà a scrivere considererà
i compiti di questo tipo molto difficili, poiché un errore ortografico compromette tutto il lavoro.
La produzione scritta si apprende soprattutto a scuola.

Scrivere per: funzioni e scopi


La scrittura è anche un’attività di pensiero e ha la funzione di elaborare la conoscenza con ricadute
significative sull’apprendimento. Alcune forme di scrittura sono particolarmente utili, come gli
appunti; quindi, a scuola sarebbe importante insegnare agli studenti modalità per prendere
appunti, esplicitandone i vantaggi.

Aspetti evolutivi della scrittura


Il bambino inizia precocemente a riconoscere l’esistenza della scrittura e ad acquisire i prerequisiti
della scrittura strumentale, che si consolidano verso l’ultimo anno della scuola dell’infanzia. Nei
primi due/tre anni della scuola primaria, il bambino diventa capace di scrivere in modo fluente e
leggibile, ma anche corretto ortograficamente. Via via sia il grafismo che l’ortografia si
perfezionano. I processi fondamentali dello scrivere si sviluppano con ritmi diversi: prima la
trascrizione, poi la generazione del testo e la revisione, sia globale che locale. Dalla scuola primaria
cresce la capacità della memoria di lavoro, che consente di gestire più informazioni
contemporaneamente per comporre un testo. Le competenze metacognitive e strategiche
migliorano con la scuola secondaria di primo grado e i primi anni della secondaria di secondo
grado.
Tra i contributi più significativi sull’evoluzione della produzione testuale abbiamo due modelli:
- Quello knowledge telling, che descrive una procedura lineare di scrittura, in cui, a partire da
un argomento, lo scrittore principiante recupera dalla memoria le informazioni e le
trascrive una dopo l’altra, finché esse non sono esaurite. La revisione è locale e gli obiettivi,
la chiarezza e la completezza vengono trascurati.

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- Quello knowledge transforming, che mette in evidenza il duro lavoro dello scrittore
esperto, che seleziona, organizza e sceglie i contenuti e la tipologia testuale più adatta.
Tra le abilità cognitive, la capacità di espressione scritta è la più complessa, anche per un adulto. Il
secondo modello non esclude il primo, in quanto in alcune situazioni si deve ricorrere ad esso.
Inoltre, i due modelli non devono essere considerati come due fasi di uno sviluppo maturativo, ma
piuttosto come due approcci di scrittura in stretta relazione con l’esperienza di apprendimento.

CAPITOLO 12-LA MATEMATICA


La matematica non è una materia unitaria, ma si articola in diversi aspetti:
- Calcolo e aritmetica
- Geometria
- Risoluzione dei problemi
- Statistica
La matematica implica una serie di aspetti semi-indipendenti che però possono essere coinvolti
contemporaneamente. Ogni aspetto richiede approcci e strategie di diversa natura. La psicologia
cognitiva si è occupata soprattutto dello studio del calcolo e della soluzione di problemi.

Le abilità matematiche: il calcolo e i modelli esplicativi


Capacità di calcolo: l’insieme dei processi che consentono di operare sui numeri tramite operazioni
aritmetiche.
Le prime informazioni elaborate sono i segni delle operazioni, necessari per stabilire la natura
dell’operazione. Ci sono poi i fatti aritmetici, ossia le operazioni base, come i calcoli semplici e le
tabelline i cui risultati sono archiviati nella memoria a lungo termine, essendo quindi facilmente
recuperabili. Quando non è possibile recuperare il risultato dalla memoria bisogna ricorrere alla
conoscenza delle procedure del calcolo generiche e specifiche.
Calcolo a mente
La conoscenza procedurale permette di operare scomposizioni sui numeri per ottenere operazioni
intermedie più semplici.
Il calcolo a mente utilizza ed esercita prevalentemente le strategie che richiedono elaborazione
cognitiva.
Nelle prime fasi dell’apprendimento è fondamentale l’utilizzo delle dita, ma successivamente solo
gli studenti più deboli continuano ad adottarlo. Gli studenti più abili utilizzano strategie basate
sulla decina. [Beishuizen] distingue tra due strategie:
- “1010”: scomposizione in decine e unità di entrambi gli addendi che vengono ricomposti
dopo lo svolgimento dell’operazione. Esempio: 43+25 = (40+20)+(3+5);
- “N10”: scomposizione in decine e unità solo del secondo addendo che viene poi sommato
o sottratto al primo. Esempio: 52+27 = ((52+20) +7). E’ più evoluta ed efficace.
Nel campo dei calcoli a mente rientra anche il calcolo approssimativo, in cui ci si limita a stimare
l’ordine di grandezza del risultato.
Calcolo scritto
La conoscenza procedurale “comanda”una serie di fasi che riguardano la forma grafica
dell’operazione, l’incolonnamento dei numeri, etc.
Il calcolo scritto utilizza ed esercita soprattutto l’applicazione di procedure più o meno
automatizzate.

La capacità di comprendere i numeri, ossia l’intelligenza numerica, è innata.


Subitizing: processo di percezione visiva che permette di ricavare la numerosità di un piccolo
insieme di elementi in modo immediato e senza contare.

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Modello modulare [McCloskey, Caramazza, Basili]
L’architettura della cognizione numerica è organizzata in 3 moduli distinti collegati tra loro tramite
la rappresentazione astratta di quantità:
- sistema di comprensione numerica: trasforma la struttura superficiale dei numeri (espressi
in codice verbale o arabico) in una rappresentazione astratta di quantità;
- sistema di calcolo: assume la rappresentazione e la manipola attraverso 3 componenti
(segni delle operazioni + - x :, “fatti aritmetici”=operazioni base, procedure del calcolo);
- sistema di produzione numerica: traduce le rappresentazioni interne in risposte numeriche
(output).
Nei processi di comprensione e di produzione si distinguono due tipi di elaborazione:
- lessicale: elaborazione di singole cifre o parole contenute nel numerale al fine di ricavarne il
nome;
- sintattica: elaborazione dei rapporti tra le cifre o le parole per ricavare il corretto ordine di
grandezza.
Modello del triplo codice [Dehaene]
Due premesse fondamentali:
1. i numeri possono essere rappresentati mentalmente in tre diversi formati (codici): verbale
uditivo /quattro/, arabico visivo 4, grandezza analogica;
2. ogni codice numerico specifico possiede i propri processi di input/output.
Distingue 3 gruppi di abilità numeriche, ognuna con un particolare formato numerico:
- notazioni numeriche verbali: abilità legate alla conta e al recupero dei fatti aritmetici;
- notazioni in cifre: risoluzione di operazioni con numeri a più cifre e giudizio di parità;
- grandezze analogiche: confronti tra quantità, stime e calcolo approssimativo →
competenze numeriche preverbali.
Novità del modello: capacità di manipolare i numeri e di svolgere i compiti aritmetici utilizzando la
via asemantica, ossia senza la necessità di elaborare una rappresentazione analogica della
quantità.
Le difficoltà nel calcolo
Sono state individuate 3 fondamentali abilità/difficoltà nella popolazione scolastica italiana:
- automatizzazione: il bambino è lento;
- conoscenza numerica: il bambino non si muove bene nel mondo dei numeri;
- calcolo scritto.
Quando i problemi nel calcolo compromettono in modo significativo la prestazione ci si riferisce ad
un disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) denominato “discalculia” di cui si sono distinti due
profili principali:
1. debolezza nella strutturazione cognitiva delle componenti di cognizione numerica (aspetti
basali dell’intelligenza numerica: subitizing, quantificazione, comparazione..). E’ una “cecità
ai numeri”, l’incapacità di comprendere e manipolare le numerosità. [Butterworth] ha
ipotizzato l’esistenza di un “cervello matematico” innato, di cui però si può anche essere
sprovvisti.
2. procedure esecutive (lettura, scrittura, messa in colonna dei numeri) e calcolo. Si riferisce
alle difficoltà nell’acquisizione delle procedure e degli algoritmi del calcolo.
[Temple] ha evidenziato tipologie diverse di discalculia, con difficoltà o nel sistema di elaborazione
dei numeri o in quello del calcolo. Classificazione dei principali errori:
- errori nel recupero di fatti aritmetici;
- errori nel mantenimento e nel recupero delle procedure;
- errori nell’applicazione delle procedure;
- difficoltà visuospaziali.

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Abilità matematiche: risoluzione di problemi, abilità cognitive e metacognitive implicate
[Fuchs e Fuchs] distinguono tra:
- problemi aritmetici semplici (arithmetic story problems): testo breve ed essenziale, una
domanda, una sola operazione per trovare la soluzione. Meno difficili;
- problemi aritmetici complessi (complex story problems): testo più lungo, domande e
dettagli non essenziali ma nessun dato numerico irrilevante. Da 1 a 3 operazioni per trovare
la soluzione. Livello intermedio;
- problemi del mondo reale (real-world problem-solving): testo esteso, dettagli non
essenziali, elementi numerici irrilevanti. Da 1 a 3 operazioni per trovare la soluzione. Più
difficili.
[Carpenter e Moser] classificano i problemi aritmetici di tipo verbale in base alla struttura
semantica:
- problemi cambio: quantità iniziale + azione che la aumenta o decrementa. Esempio: X ha 5
caramelle, Y gliene dà 6. Quante caramelle ha M?
- problemi associazione: relazione statica tra un particolare insieme e due distinti
sottoinsiemi. Esempio: Ci sono 10 mele, 3 sono verdi e il resto rosse. Quante sono rosse?
- problemi comparazione: relazione statica + comparazione tra due distinti sottoinsiemi.
Esempio: X ha un libro di 20 pagine, Y uno di 30 pagine. Quante pagine ha in più Y?
- problemi uguaglianza: quantità iniziale + azione che la aumenta o decrementa +
comparazione di due distinti sottoinsiemi. Esempio: X ha 20 anni, Y avrebbe la stessa età di
X se avesse 5 anni in più. Quanti anni ha Y?
La posizione della quantità da trovare è fondamentale: nei problemi “non canonici” la quantità è
posta all’inizio, sono i più difficili.
Arithmetic word problem
In questi problemi la soluzione si ottiene tramite una serie di operazioni aritmetiche e il quesito
viene posto verbalmente. Sono problemi di tipo “routinario”, propongono quesiti simili ad altri già
proposti in precedenza.
[Mayer] descrive alcune categorie di processi cognitivi messi in atto in questo tipo di problemi,
partendo dalla “codifica del problema”, suddivisa in processi di:
- traduzione: ogni affermazione contenuta nel testo del problema viene trasformata dal
solutore in una rappresentazione semantica in memoria, costruisce una rappresentazione
interna del problema;
- integrazione: il solutore mette insieme in una rappresentazione coerente tutte le frasi del
testo, ossia integrare le varie parti del problema in una struttura unitaria.
Segue il “processo di ricerca” suddiviso in:
- pianificazione: ricercare nella memoria la strada per la soluzione;
- calcolo: si individuano le operazioni da utilizzare per ottenere i diversi sotto-obiettivi.
Test delle abilità di soluzione dei problemi matematici
Considera 5 componenti fondamentali:
1. comprensione delle informazioni contenute nel testo del problema e delle loro relazioni;
2. rappresentazione delle informazioni in uno schema integrato;
3. categorizzazione: individuazione della tipologia generale alla quale può appartenere il
problema e del percorso tipico di soluzione;
4. pianificazione del percorso di soluzione;
5. valutazione del corretto esito della procedura adottata.
Capacità metacognitive e soluzione di un problema

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I buoni solutori possiedono un livello più alto di capacità metacognitive grazie al quale possono
analizzare meglio la struttura del compito. Il modello di [Ann Brown] descrive alcuni processi
metacognitivi di controllo implicati nella soluzione di un problema, precisamente le capacità di:
- previsione: prevedere se si è in grado di risolverlo;
- pianificazione: predisporre un progetto di soluzione;
- monitoraggio: tenere sotto controllo il processo risolutivo;
- valutazione: valutare il risultato conseguito.

Aspetti motivazionali ed emotivi della matematica


Le componenti emotivo-motivazionali possono influenzare la soluzione di problemi. L’ansia della
matematica ha diverse manifestazioni che variano da individuo a individuo, passando da sintomi
fisiologici a reazioni emotive difensive. Sebbene la matematica non sia l’unica disciplina ad indurre
tali sentimenti, è quella che li suscita con maggior frequenza.
Le cause sono varie: 1. stile d’insegnamento che pretende un alto livello di correttezza e
competenza dando però poche spiegazioni; 2. per sua natura l’errore in matematica è evidente e
arbitrario, scatenando una manifestazione pubblica d’incompetenza; 3. la competenza matematica
è considerata espressione del livello intellettivo.

Evoluzione delle abilità matematiche


Lo sviluppo della memoria di lavoro, della comprensione del testo, delle diverse abilità
metacognitive e di altre abilità cognitive sorregge le diverse abilità matematiche nel tempo.

CAPITOLO 13-STUDIO AUTONOMO E STRATEGICO


Lo studio: caratteristiche, aspetti sottesi e modelli
Lo studio è una particolare forma di apprendimento intenzionale e autonoma che lo studente
mette in atto per conto proprio e che, nei casi ottimali, si intreccia ed è indirizzato da un
insegnamento efficace. Lo studio autonomo è un processo complesso, articolato in fasi e coinvolge
abilità: cognitive, metacognitive, motivazionali ed emotive.
Studiare e apprendere non sono la stessa cosa:
- lo studio richiede intenzionalità e autoregolazione, è lo studente che decide cosa e come
studiare autonomamente e usando diverse modalità;
- l’apprendimento include il caso dello studio, ma può avvenire anche in maniera incidentale,
per osservazione o implicitamente. Esempio: guardare un film e imparare delle cose senza
volerlo.
Il ruolo del docente è fondamentale, ma l’apprendimento autogestito dallo studente lo è
altrettanto e con la crescita diventa più significativo. Lo studio autonomo può costituire una
percentuale ampia o totale dell’attività di apprendimento.
Modello delle componenti cognitive e metacognitive implicate nello studio
Ha 3 componenti: autoregolazione, strategicità, convinzioni.
La strategicità si esplica attraverso 3 aspetti:
- conoscenza metacognitiva: quali strategie conosce lo studente e quanto pensa siano utili;
- controllo metacognitivo: uso effettivo delle strategie;
- coerenza strategica: corrispondenza tra i giudizi di utilità e l’uso effettivo delle strategie.
Autoregolazione e strategicità permettono di affrontare il compito di studio richiesto nel modo
appropriato e influiscono positivamente sull’apprendimento. Su questi due fattori incidono le
convinzioni: le idee che lo studente possiede riguardo la sua mente e la fiducia nelle sue abilità.

Le fasi dello studio, abilità, strategie

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Organizzazione iniziale
Si prende visione di tutto il materiale di studio e, in relazione al tempo a disposizione, ai risultati
che si vogliono raggiungere e alle caratteristiche del compito si stabiliscono degli obiettivi.
Attraverso strategie di prelettura lo studente visiona velocemente tutto il materiale e si rende
conto della quantità effettiva, della difficoltà, dell’interesse e delle conoscenze pregresse.
Comprensione ed elaborazione
Ci si concentra sulla comprensione del materiale scritto e sulla sua elaborazione approfondita. Nel
primo approccio al materiale scritto sono utili: lettura esplorativa e scorsa rapida del testo, per farsi
un’idea generale.
Lettura lenta e analitica: per comprendere a fondo i materiali.
Lettura a salti: per trovare inizialmente singole informazioni di cui si ha bisogno o per rivedere
specifiche parti del testo.
Sottolineatura/evidenziazione: per comprendere ed elaborare in modo personale il testo. Diviene
efficace se svolta durante la seconda lettura e se viene seguito un criterio specifico.
Porsi domande prima: per attivare conoscenze pregresse e interessi, rende la lettura attiva.
Porsi domande dopo: per verificare la comprensione e le capacità di rielaborazione ed esposizione.
Annotazioni scritte: per elaborare, self-testing e ripasso.
Schemi grafici: per rappresentare e sintetizzare le informazioni di svariate pagine.
Memorizzazione
Le informazioni che sono state comprese ed elaborate vengono ulteriormente trattate per
garantire che siano depositate nella memoria a lungo termine.
(Capitolo 3: strategie di memorizzazione).
Ripasso
Permette di raggiungere 2 obiettivi:
1. consolidamento ulteriore in memoria delle informazioni studiate. Utili: ripetizione, lettura a
salti;
2. controllo, attraverso l’autovalutazione, di quanto si è preparati. Utili: self-testing, porsi
domande dopo.
Dedicare abbastanza tempo a un ripasso efficace comporta notevoli vantaggi perché produce una
retrieval practice, un’abitudine a recuperare dalla memoria le informazioni necessarie.

I metodi di studio
Il metodo di studio è una sequenza ordinata e coordinata di strategie.
Metodi “storici”
- SQ4R [Robinson]: survey (sfogliare il materiale), question (porsi domande prima), read,
reread, recite (ripetere), review (ripassare).
- MURDER [Dansereau]: mood (umore positivo), understand (leggere capendo), recall
(ricordare senza guardare), detect (controllare il testo per errori o omissioni), elaborate,
review.
Metodi più specifici
- DICEOX: informazioni rilevanti per comprendere una teoria scientifica. Description,
inventor/history, consequences, evidence, other theories, x-tra information.
- ReQuest [Manzo]: svolto insieme da studenti e insegnante. Re (read), quest (questions).
- REAP [Eanet e Manzo]: read, encode (tradurre in parole proprie), annotate, ponder
(ragionarci sopra).
- DRTA Directed Reading and Thinking Activities [Stauffer]: predire il contenuto del materiale,
leggere mentalmente per confrontare con le predizioni, verificare le aspettative.

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- Structured Overview [Earle]: preparation (l’insegnante prepara uno schema anticipatorio),
follow-up (lettura e confronto dello studente).

Strategie e metodi di studio: livello di efficacia


[Dunlosky et al.] hanno comparato l’efficacia dei 10 metodi più utilizzati.
Alta efficacia:
- Pratica distributiva: organizzare la distribuzione dello studio nel tempo in funzione del
materiale e della data della prova.
- Autointerrogazione.
Media efficacia: pratica intervallata, fare associazioni, autospiegazioni.
Bassa efficacia: immaginare, riassumere, evidenziare/sottolineare, mnemotecnica della parola
chiave. Hanno bisogno di essere contestualizzate per essere efficaci.
Alcune strategie (schema grafico, mappe, rispondere a domande, auto interrogazioni) sono più
efficaci rispetto ad altre (rilettura del testo) perché richiedono un’elaborazione cognitiva più
profonda. Portano ad un apprendimento più duraturo.
Lo studente deve conoscere varie strategie per scegliere le più adatte a sé.

Stili cognitivi
Lo stile cognitivo è la modalità di elaborazione che il soggetto adotta in modo prevalente, che
permane nel tempo e si generalizza a compiti diversi.
Se la strategia è un insieme di procedure finalizzate alla risoluzione di un compito, lo stile cognitivo
è una tendenza costante a utilizzare una specifica classe di strategie.
[Sternberg] distingue tra stili e abilità: gli stili sono preferenze nell’uso delle proprie abilità che
possono variare e che si sviluppano in relazione all’ambiente culturale di appartenenza.
Alcuni stili cognitivi:
- Globale/analitico: preferenza per una percezione dell’insieme/del dettaglio.
- Dipendente/indipendente dal campo: percezione poco differenziata e fortemente dominata
dall’organizzazione del campo/percezione non influenzata dal contesto e atteggiamento
autonomo.
- Verbale/visuale: preferenza ad utilizzare il codice linguistico/visuo-spaziale.
- Convergente/divergente: soggetto che procede su una linea logica condivisa e converge
verso una risposta prevedibile/soggetto che procede in modo divergente e autonomo
generando risposte di qualità.
- Sistematico/intuitivo: prendere in esame un elemento alla volta/procedere per ipotesi che
vanno confermate o confutate.
- Impulsivo/riflessivo: riguarda i tempi decisionali e i processi di valutazione e decisione nella
risoluzione di un compito.

Evoluzione e sviluppo delle abilità di studio


L’avvio di una capacità di studio è il momento in cui il bambino si comporta in maniera diversa se sa
che deve ricordare. La terza elementare è il momento in cui i bambini si avvicinano allo studio più
sistematico e iniziano a sviluppare strategie di studio appropriate. Tra la seconda e la terza media
lo studente acquista esperienza nell’uso di strategie di studio sia generali che specifiche. Negli
ultimi anni delle superiori si consolida uno studio autonomo, strategico e flessibile.
CAPITOLO 14-BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI (BES) E TUTELE LEGISLATIVE
Gli studenti con BES costituiscono una categoria eterogenea che riunisce, anche in presenza di uno
stesso bisogno, soggetti con caratteristiche diverse.

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Data l’esistenza di profili diversi, si possono commettere gravi errori educativi nell’usare con uno
studente le stesse modalità educative usate con un altro caso.

Difficoltà di apprendimento e differenti profili


Le difficoltà di apprendimento derivano da vari fattori che riguardano il contesto familiare e
culturale, il contesto scolastico e le caratteristiche individuali dello studente.
Disabilità intellettiva (DI)
Comporta un basso rendimento in molte funzioni cognitive, causando un disturbo generalizzato.
Presenta difficoltà di tipo generalizzato migliorabili attraverso soluzioni concrete.
Criteri: oltre al QI (<70) si tiene conto anche dell’adattamento del soggetto e delle sue
caratteristiche specifiche.
Metodo: piano didattico/educativo individualizzato (PDI/PEI).
Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA)
Sono una tipologia di problemi scolastici legati al processo di elaborazione dell’informazione in
assenza di deficit cognitivi, carenze educative o culturali.
Peculiarità: il disturbo interessa uno specifico dominio di abilità in modo significativo ma
circoscritto. C’è una differenza tra l’abilità deficitaria e il funzionamento intellettivo generale che è
nella norma. Fattori biologici e ambientali interagiscono nella comparsa del disturbo.
Diagnosi: attraverso test standardizzati.

Quali e quanti sono i DSA?


Dislessia evolutiva
Disturbo specifico di lettura. Concerne l’apprendimento della decodifica della lettura. Incapacità a
leggere in maniera adeguata rispetto ai compagni.
Prove standardizzate: lettura ad alta voce di un testo, liste di parole e non parole. Se ne ricavano:
indice di velocità e di correttezza che possono avere diversi livelli di compromissione.
Disgrafia
Disturbo specifico di scrittura. Difficoltà specifica a carico dell’aspetto grafo-motorio della scrittura
che risulta illeggibile, disordinata e lenta. Riguarda il primo livello del processo di scrittura, l’attività
motoria.
Disortografia
Disturbo specifico di scrittura. Riguarda uno specifico disturbo nella componente linguistica della
scrittura a carico del processo di associazione e trascrizione fonema e grafema. Deficit di
funzionamento delle componenti centrali del processo di scrittura delle parole.
Discalculia evolutiva
Disturbo specifico del calcolo. Difficoltà nell’elaborazione del numero e nell’acquisizione delle
abilità di calcolo. Due profili diversi:
- debolezza nella strutturazione cognitiva delle componenti di cognizione numerica (lettura e
scrittura di numeri, giudizio di numerosità, seriazioni numeriche);
- debolezza nel calcolo e nelle procedure correlate.

Altri disturbi associati


Disturbi dell’apprendimento non verbale
Portano difficoltà di tipo visuo-spaziali e percettive associate a buone attività verbali. Ha
ripercussioni importanti in matematica, geometria, geografia, scienze e disegno.
Disturbo da deficit di attenzione e iperattività (DDAI/ADHD)
Disturbo evolutivo caratterizzato da problemi di attenzione, iperattività e impulsività in
associazione ad altri sintomi che si manifestano in diversi ambienti. Difficoltà a mantenere

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l’attenzione sostenuta su un compito o un’attività, bisogno continuo di muoversi e tendenza a
rispondere in modo impulsivo e inadeguato agli stimoli ambientali.

Gli studenti svantaggiati e gli studenti stranieri


Gli studenti stranieri incontrano difficoltà legate ai loro bisogni linguistici, comunicativi e di
integrazione socioculturale. Questo fenomeno sta diventando sempre più imponente.
Gli alunni immigrati hanno in comune la ridotta conoscenza dell’italiano, che può creare problemi
per la comprensione delle sottigliezze e delle ambiguità dei testi scritti. La matematica è un punto
di forza perché richiede una ridotta padronanza linguistica.
Essendo ogni situazione individuale diversa dalle altre, è necessario effettuare un’adeguata
valutazione dei bisogni educativi speciali che tenga conto anche delle caratteristiche individuali
come: lingua d’origine e somiglianza con l’italiano, capacità cognitive, età, motivazione, livello di
autostima, etc.

Diritto all’istruzione e normative


Gli studenti con BES hanno diritto ad un piano didattico personalizzato (PDP).
Articolo 3 della Costituzione (1948): scuola come diritto.
1963: istituzione della scuola media unica.
Legge quadro 104 (1992): introduzione dell’insegnante di sostegno.
Legge 53/2003: principio della personalizzazione/individualizzazione dei percorsi formativi come
strumento indispensabile.
D.M. 4099/a/4 (2004): prevede misure dispensative e strumenti compensativi per gli studenti con
DSA.
Legge 170/2010: indicazioni chiare dei disturbi da considerare (dislessia, disortografia, disgrafia,
discalculia).

Studenti con BES: gli studenti plusdotati


Programma europeo Horizon 2020: sottolinea l’importanza dell’inclusione per questi soggetti.
Gli studenti gifted hanno una discreta sorprendente probabilità di presentare DSA e possono
presentare noia, individualismo e creare difficoltà di gestione per il loro atteggiamento sfidante.

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