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ATTENZIONE

L’attenzione esplora alla ricerca di qualcosa di rilevante.


Una volta individuato l’oggetto d’interesse, l’attenzione non si limita a metterlo a fuoco, ma sembra influire
direttamente sul modo in cui l’informazione viene elaborata, dedicando al processo di elaborazione risorse
cognitive che ne migliorano la qualità e l’efficienza.
Molti manuali, parlando dell’attenzione, ne descrivono solo il fascio di luce (o finestra attenzionale),
identificando il suo raggio d’azione come limitato, tuttavia quando parliamo di memoria sappiamo che non
siamo in grado di ricordare ogni cosa, eppure non parliamo di funzione limitata, così quando parliamo di
linguaggio non conosciamo tutti i vocaboli che una lingua può esprimere, eppure non parliamo di funzione
limitata, dunque per comprendere l’attenzione non conviene interpretarla dal punto di vista dei suoi limiti,
ma bensì provando ad immaginare come potrebbe essere fatto il nostro sistema cognitivo per poter fare a
meno dell’attenzione.
Un sistema cognitivo che rinunci all’attenzione dovrebbe avere un potere di risoluzione ed elaborazione
talmente potente, da essere in grado di elaborare con lo stesso livello di efficienza e in parallelo, tutte le
informazioni potenzialmente presenti in qualunque momento. Poiché questo non sembra possibile, il
presunto limite è del sistema cognitivo, non dell’attenzione. Ciò che quest’ultima cerca di fare è porre
rimedio alle limitazioni del sistema cognitivo.

L’attenzione è una funzione elusiva, trasparente e difficile da individuare.


Dal punto di vista storico, la psicologia cognitivista è nata con lo studio dell’attenzione.
E probabilmente essa costituisce la funzione più rilevante che uno studente deve esercitare nel corso del
suo iter accademico.

Quando cerchiamo di comprendere qualcosa che ancora non conosciamo, la domanda che più
spontaneamente tendiamo a formulare è: “che cos’è?“.
Ma in quale caso si potrebbe ipotizzare che sarebbe possibile rispondere letteralmente alla domanda “cos’è
l’attenzione?“.
Per poter trattare l’attenzione come una cosa, esse dovrebbe essere costituita da/riconducibile ad elementi
concreti ed individuabili. Per esempio qualora un giorno fosse possibile definire in termini scientifici ogni
substrato neurale coinvolto negli atti attenzionali.
Nell’attesa però dobbiamo accontentarci di approcciare lo studio dell’attenzione rispondendo ad un’altra
domanda: “a cosa serve l’attenzione?“.

Se si provassero ad elencare tutte le possibili informazioni provenienti dal campo visivo, acustico, tattile e
olfattivo, ma anche quelle provenienti dall’interno del nostro organismo, come le informazioni relative alla
posizione assunta dal nostro corpo, la frequenza dei battiti cardiaci e il nostro respiro, si scoprirebbe che
l’elenco sarebbe davvero lungo.
Tutte queste informazioni sono disponibili, tant’è vero che noi possiamo individuarle se ci concentriamo su
di esse. Ma il punto è che non possiamo elaborarle tutte insieme.
Proprio questa sarebbe la funzione dell’attenzione: frazionare la complessità e la sovrabbondanza della
realtà circostante, riconducendola in unità di minore ampiezza che noi possiamo analizzare di volta in volta.
Nel linguaggio quotidiano siamo soliti trattare l’attenzione come se fosse sostanzialmente unitaria ed
indifferenziata. L’esortazione “fai attenzione!“ viene utilizzata indifferentemente in ogni circostanza (Per
qualcuno che si appresta ad attraversare una strada, per qualcuno che si appresta a partire per un lungo
viaggio, per qualcuno distratto a guardare fuori dalla finestra, per qualcuno intento a risolvere un problema
ma che appena commesso un errore, ecc).
William James in “Principles of Psychology” ha detto: “Tutti sanno che cosa è l’attenzione. È la presa di
possesso da parte della mente, in forma chiara e vivida, di uno solo tra molteplici oggetti o pensieri“.
Eppure gli esempi ordinari portati prima, ci possono indurre a pensare che non si tratti sempre dello stesso
tipo di attenzione.
L’attenzione infatti può essere differenziata rispetto a vari livelli funzionali e descrittivi.

Già riferendoci ad un singolo atto intenzionale di base (come spostare l’attenzione nello spazio circostante),
possiamo evidenziare delle componenti costitutive dell’atto stesso, per definire le quali, gli studiosi sono
ricorsi ad analogie di tipo marinaresco. Ogni singolo spostamento implica il coinvolgimento di tre
movimenti costitutivi: Disancoraggio, Movimento/Spostamento/Orientamento e Ancoraggio. Se la nostra
attenzione è infatti focalizzata su un oggetto e vogliamo direzionarla altrove, abbiamo bisogno di un
meccanismo che ci permetta di “disancorarci” da quell’oggetto. Subito dopo deve esistere un meccanismo
deputato ad uno spostamento. Infine dobbiamo ricorrere a qualcosa che blocchi lo spostamento e
permetta “l’ancoraggio” ad un nuovo oggetto attenzionale.
L’analogia con l’ancora però può indurre a pensare che il primo e l’ultimo movimento siano azionati dallo
stesso meccanismo, che si muove però in senso opposto, per questo usiamo un’ulteriore analogia con il
mastice (o qualunque altro tipo di collante) per l’ancoraggio e con un solvente per il disancoraggio, per
differenziare ancora di più i due momenti.
I due meccanismi sono dunque concettualmente e neurofisiologicamente diversi.

Attenzione spaziale: esplorazione dello spazio.


Attenzione selettiva: rilevazione, individuazione e focalizzazione su un singolo particolare.
Attenzione sostenuta: capacità di rilevare indizi importanti per un periodo di tempo prolungato.
Attenzione divisa: capacità di focalizzarsi su più elementi contemporaneamente.

Gli esempi dei differenti tipi di attenzione che sono stati appena introdotti, potrebbero essere ricondotti a
tre principali caratteristiche dell’attenzione:
1)Orientamento
2)Selezione

3)Risorse
Nel caso dell’attenzione sostenuta si fa riferimento alle risorse necessarie per protrarre nel tempo l’atto
attenzionale.
Questa capacità può essere analizzata dagli studiosi sotto due aspetti principali:
-Il primo riguarda l’interesse per la finestra temporale in cui l’attenzione può essere sostenuta, che
potrebbe portare importanti organizzazioni in ambito lavorativo sui turni di lavoro.
Questo interesse inizia a portare ai primi studi già dal primo dopoguerra.
Diversi di questi sono stati condotti in ambito militare:
Ai militari veniva mostrato questo “orologio”

Il pallino nero si spostava di una posizione alla volta in senso orario e a volte saltava una posizione. Il
compito dei soggetti era di indicare tutte le volte in cui lo spazio saltava.

La prestazione dei soggetti tende a calare in funzione del trascorrere del tempo.

-Per converso siamo a conoscenza del fatto che un compito che inizialmente richiede maggiore attenzione,
nel corso del tempo può essere svolto più rapidamente e senza necessità di un’attenzione costante, ovvero
certe pratiche con il tempo e l’esercizio vengono automatizzate (Automazione).

L’andamento generale può essere identificato da questo grafico riassuntivo, che mostra come accuratezza
e rapidità d’azione abbiano un andamento inverso in funzione dell’esercizio. Se il compito è
sufficientemente complesso, all’inizio si rendono a fare errori (bassa accuratezza. Linea rossa), con risposte
lente (linea verde), ma all’aumentare delle ripetizioni, i tempi di reazione si riducono e l’accuratezza cresce.

Nel caso dell’attenzione divisa invece, si fa riferimento alla quantità di informazioni che il sistema è in grado
di gestire ed elaborare in parallelo.
Sono proprio i primi studi sull’attenzione divisa a caratterizzare la nascita della psicologia cognitivista. Il
comportamentismo infatti non riteneva possibile l’esistenza di funzioni interne e vaghe, ma solo di relazioni
osservabili tra stimoli e risposte, una funzione come l’attenzione non era dunque contemplata.
Broadbent fece degli studi a partire dal cosiddetto “ascolto dicotico”: nella procedura il soggetto indossa
degli auricolari che conducono informazioni diverse all’orecchio destro e al sinistro, il suo compito è quello
di prestare attenzione ad uno dei due canali, ignorando l’altro. Si chiede al soggetto di ripetere parola per
parola il messaggio che proviene dall’orecchio selezionato (in inglese questa tecnica si chiama shadowing e
indica l’idea di seguire come un’ombra il messaggio rilevante). Se al termine dell’esperimento si chiedeva di
indicare cosa ricordava del messaggio proveniente dall’orecchio ignorato, venivano ricordate solo
caratteristiche estremamente superficiali, come il tono della voce o un’inflessione della pronuncia, ma
assolutamente nulla che riguardi il contenuto del messaggio. Ciò indusse Broadbent a concludere che
l’attenzione funga come un filtro che non permette l’elaborazione di caratteristiche non rilevanti (Selezione
Precoce).

Alcuni anni dopo Anne Treisman escogitò degli esperimenti in grado di individuare capacità diverse
dell’attenzione: la tecnica utilizzata era sempre quella dell’ascolto dicotico, ma questa volta i messaggi
erano scelti in modo più accurato, facendo in modo che la frase che iniziava nell’orecchio scelto,
continuasse nell’orecchio da ignorare. Dal punto di vista dello shadowing questo non dovrebbe essere
rilevante, dovendo il soggetto ripetere parola per parola ciò che sentiva nell’orecchio prescelto, invece egli
continuava la frase che proseguiva nell’altro orecchio, identificando così una discriminazione nel contenuto
e non nella provenienza.
Il soggetto passa dal canale rilevante a quello non rilevante per seguire il contenuto dell’espressione, di
conseguenza Anne Treisman propose la teoria del “Filtro Attenuato” o “Selezione Tardiva”, che non nega
l’esistenza di un meccanismo di blocco dell’informazione, ma che esso si attenui nel caso in cui elementi
contenuti nel canale rilevante, siano coerenti con elementi del messaggio ignorato.

Sono state successivamente proposte teorie che tendono a negare la necessità dell’esistenza di un filtro. In
base a queste teorie il sistema cognitivo elabora sempre in modo automatico e in parallelo tutta
l’informazione disponibile, per valutare successivamente dove porre l’interesse. Una volta identificata la
zona rilevante, tutto il resto svanisce dal ricordo, non perché sia stato filtrato, ma solo perché, essendo
stato elaborato in modo preliminare, la traccia che rimane è talmente evanescente da dissolversi in
brevissimo tempo.

ATTENZIONE SPAZIALE
Il Paradigma di Posner
Il soggetto siede difronte a due finestre, collocate una a destra e una a sinistra del punto di fissazione
centrale.
A questo punto inizia una sequenza temporale di eventi: una delle due finestre viene portata all’attenzione
del soggetto, o attraverso un segnale periferico come l’illuminazione dei bordi, o attraverso un segnale
centrale come una freccia che la indica. In entrambi i casi questo evento viene identificato come “Stimolo
Prime” o “Clue” (indizio). Allo Stimolo Prime segue un intervallo di tempo variabile in cui i due riquadri
tornano alla condizione di partenza. Infine viene presentato lo “Stimolo Target”, che consiste in un
qualunque simbolo grafico presentato in uno dei due riquadri. Il compito del soggetto consiste nel premere
il più rapidamente possibile il pulsante di risposta, appena rileva la comparsa dello Stimolo Target.
L’intera successione di eventi avviene in un arco temporale molto ristretto, generalmente inferiore ad un
secondo.
Il Prime Clue Esogeno consiste in un segnale proveniente dalla periferia del campo visivo, al contrario il
Prime Clue Endogeno consiste in uno stimolo presentato al centro del segnale visivo. Quest’ultimo viene
chiamato “endogeno” perché richiede un intervento di origine interna, ovvero di elaborazione e
comprensione da parte del soggetto, che esso sia una freccia, le lettere D ed S (destra e sinistra) o i numeri
1 e 2. Il Prime Clue Neutrale è un segnale che non indica né il quadrato di destra né quello di sinistra e
spesso non viene utilizzato (per questo è posto tra parentesi).
Per lo Stimolo Target, se esso viene collocato nel riquadro evidenziato precedentemente dello Stimolo Clue,
allora viene definito “valido”, qualora invece venisse presentato nel riquadro opposto, viene definito
“invalido”.
Lo spostamento dell’attenzione viene studiato attraverso i tempi di reazione tra le prove valide e quelle
invalide.
Lo sguardo del partecipante deve rimanere sempre sul punto di fissazione centrale, perché se si
permettesse al soggetto di orientare lo sguardo verso il quadrato evidenziato dallo Stimolo Prime, il Target
valido sarebbe semplicemente percepito da una zona più sensibile della retina, a quel punto non si
starebbe misurando l’orientamento dell’attenzione, ma una banale differenza tra la percezione con la fovea
e la percezione con la periferia del campo visivo.

Questo è il tipico andamento dei risultati. Nonostante il compito sia talmente semplice da pensare
difficilmente che qualcosa possa modularne lo svolgimento, i risultati indicano che nelle prove valide il
tempo di reazione sia estremamente più rapido rispetto alle prove invalide. Questo quadro di risultati è
perfettamente spiegabile immaginando che l’attenzione (non lo sguardo), sia effettivamente orientata nel
campo visivo.
Differenze tra il Prime Esogeno e quello Endogeno

In questo esempio i soggetti erano sottoposti a due differenti prove sperimentali, una con singoli Prime
Esogeni e una con singoli Prime Endogeni. In entrambi i casi a volte veniva chiesto ai soggetti di ignorare gli
stimoli provenienti dai Clue, mentre in altri veniva chiesto di tenerne conto e regolarsi di conseguenza.

Prove con Prime Endogeno in cui il soggetto doveva tenerne conto:

I tempi di reazione sono chiaramente più lenti nei Target Invalidi, indicando che il soggetto aveva orientato
l’attenzione nella direzione indicata dallo Stimolo Prime.

Prove con Prime Endogeno in cui il soggetto doveva ignorarlo:

I tempi di reazione sono quasi equivalenti.


Prove con Prime Esogeno in cui il soggetto doveva tenerne conto:

Di nuovo, i tempi di reazione sono più lenti nei Target Invalidi, indicando che il soggetto aveva orientato
l’attenzione nella direzione indicata dallo Stimolo Prime.

Prove con Prime Esogeno in cui il soggetto doveva ignorarlo:

Contrariamente a quanto osservato con gli stimoli Endogeni, in questo caso si manifesta un marcato effetto
dell’orientamento dell’attenzione.

Mentre l’orientamento Endogeno dell’attenzione è sotto il controllo consapevole del soggetto,


l’orientamento Esogeno non lo è. Il soggetto orienta l’attenzione verso lo stimolo esterno, a prescindere dal
fatto che voglia ignorarlo o meno.
Questo è perfettamente compatibile con la differenza di significato tra i termini “Esogeno” ed “Endogeno”.
Lo Stimolo Endogeno deve essere elaborato ed interpretato dal sistema cognitivo e quindi è ragionevole
che sia maggiormente controllabile dalla volontà de soggetto, al contrario lo Stimolo Esogeno sembra
catturare l’attenzione del soggetto in modo automatico.
Questo ci permette di introdurre una distinzione cruciale per l’interpretazione cognitivista dei processi
mentali: La distinzione tra Processi Automatici e Processi Controllati.

Già con la percezione abbiamo individuato due percorsi, quello Bottom-Up, più semplice ed elementare e
quello Top-Down, più complesso. Inoltre abbiamo analizzato la presenza di un percorso Esplicito ed uno
Implicito e quindi al di fuori del controllo del soggetto.
Fenomeno del “Repetition Blindness” ovvero “Cecità verso la ripetizione”
Provate a leggere molto rapidamente queste due frasi

Ora provate a rileggerle più attentamente.


Se notate, l’articolo è ripetuto due volte.
Il sistema visivo tende a cercare continuamente informazioni dal mondo esterno che potrebbero risultare
rilevanti, una volta individuate però l’interesse sarà nuovamente rivolto verso la ricerca di informazioni
nuove, tralasciando o considerando meno importanti quelle già rilevate.

Riprendendo il Paradigma di Orientamento Spaziale dell’Attenzione, ci concentriamo sull’intervallo di


tempo tra lo Stimolo Prime e lo Stimolo Target.

Mentre nel paradigma che coglie l’Orientamento dell’Attenzione avevamo osservato come tale intervallo
doveva essere preferibilmente molto breve, il fenomeno di cui stiamo parlando si manifesta in presenza di
intervalli più lunghi e solo in presenza di Prima Esogeni. Quando viene presentato uno Stimolo Periferico
l’attenzione tende automaticamente ad orientarsi verso di esso, se il quadrato però successivamente
rimane vuoto per un periodo di tempo prolungato, in virtù del meccanismo che abbiamo appena descritto,
l’attenzione automaticamente tenderà a tornare nella posizione di partenza. L’attenzione coglie il segnale,
lo rileva, ma non osserva nulla di interessante. Se lo Stimolo Target viene presentato dopo questo intervallo
temporale, l’attenzione farà più fatica a tornare nella posizione appena esplorata.
Questo fenomeno è stato denominato “Inibizione Di Ritorno” e produce questi risultati:

Dopo aver esplorato la prima porzione di campo visivo, l’attenzione tende spontaneamente a ridirezionarsi
verso nuove zone di potenziale interesse, di conseguenza sarà più rapida la rilevazione dello Stimolo Target,
nelle prove invalide, rispetto a quelle valide. Anche questi risultati però confermano la presenza di un
Orientamento nello Spazio dell’Attenzione, seppure il soggetto non sposti mai gli occhi dallo schermo.

ATTENZIONE SELETTIVA
Paradigma Sperimentale del Visual Search o Compito di Ricerca Visiva
Consiste nell’individuazione di uno Stimolo Target, ovvero uno stimolo che produce una risposta.
Questo compito può essere applicato a due diverse tipologie di ricerca:
-Individuazione di caratteristiche semplici (simple detection), come la presenza di un elemento colorato o
orientato in un certo modo, ecc.

Individuazione dell’elemento inclinato diversamente.

Individuazione dell’elemento con forma diversa.

Individuazione dell’elemento con colore diverso.


I compiti sono molto semplici e immediati, anche se non si fosse a conoscenza del compito, vedendo le
immagini si noterebbe subito l’elemento differente.
Per definire questo fenomeno si usa il termine “Pop Out”, per indicare la tendenza dell’elemento diverso di
imporsi autonomamente all’attenzione degli osservatori, quasi come se potesse saltare fuori dall’immagine.

-Integrazione di due o più caratteristiche semplici (features conjunction).

Individuazione dell’elemento con colore e forma diversi (il quadrato verde tra tutti quadrati rossi e cerchi
verdi).

Se si mettono insieme i dati provenienti dai compiti di ricerca visiva applicati alle caratteristiche semplici e
alle integrazioni delle caratteristiche, questo è il quadro che viene fuori

In ascissa viene riportato il numero dei distrattori, ovvero degli stimoli che circondano lo Stimolo Target in
ciascuna presentazione, mentre in ordinata sono riportati i tempi di risposta. La linea verde si riferisce
all’andamento nei compiti di ricerca visiva semplice, mentre quella rossa si riferisce ai compiti di features
conjunction.
Quando il compito consiste nella ricerca di caratteristiche semplici, il numero dei distrattori non incide sulla
prestazione dei soggetti, questo induce a pensare che tutti gli elementi della scena possano essere
processati in parallelo, individuando con la stessa rapidità il Target, a prescindere dal fatto che intorno vi
siano 10 o 20 altri stimoli.
Quando il compito invece è di features conjunction, il grafico mostra un aumento costante e sistematico dei
tempi di risposta in relazione diretta con l’aumento del numero dei distrattori, questo sembra indicare una
tipologia di processo sequenziale, in cui gli stimoli presenti nella scena debbano essere elaborati uno ad
uno, al fine di individuare quello Target.
Poiché abbiamo detto che nei compiti di ricerca semplice lo Stimolo Target sembra uscire fuori senza
necessità di alcuno sforzo da parte del soggetto, ecco che la differenza dei risultati nei due compiti può
aggiungere un nuovo elemento di distinzione tra Processi di Elaborazione Automatici e Controllati. I primi si
svolgono in parallelo, mentre i secondi hanno una natura sequenziale.
Teoria delle Integrazioni di Caratteristiche di Anne Treisman

In basso uno scenario con stimoli di colore e forma diversi.


Ad un primo livello operano rilevatori di caratteristiche semplici come il colore, che si attivano in risposta
alla semplice presenza nel campo visivo di elementi compatibili con la propria specializzazione funzionale
(recettori che si attivano per la semplice presenza del rosso e recettori che si attivano per la semplice
presenza del verde), o l’orientamento, anch’essi arrivati grazie alla semplice presenza di elementi che
riguardano la loro specializzazione funzionale (recettori che si attivano per linee verticali, recettori che si
attivano per linee oblique e recettori che si attivano per linee orizzontali).
In questo primo livello tutto i rilevatori di caratteristiche semplici si attivano in modo automatico e
parallelo, nessuno di loro però è in grado di effettuare l’operazione di integrazione necessaria per svolgere
il compito di features conjunction.
Il rilevatore che risponde al colore infatti non sa nulla dell’orientamento, così come un rilevatore di
movimento non si occupa dei colori e delle forme degli oggetti.
Per rendere conto del processo di integrazione, bisogna ipotizzare un secondo livello, in grado di combinare
appropriatamente le caratteristiche semplici rilevate dai recettori di primo livello.
L’operazione di combinazione delle caratteristiche può avvenire solo in riferimento ad una mappa spaziale.
Solo in riferimento ad una mappa che colloca gli oggetti nello spazio, si possono appropriatamente
collegare le informazioni cromatiche per esempio di uno stimolo verde, con le caratteristiche legate alla sua
forma.
Ecco dunque quale è il ruolo dell’Attenzione Selettiva secondo la Features Integration Theory: combinare
appropriatamente, rispetto ad una mappa di riferimento spaziale, le caratteristiche rilevate dai detettori di
livello più basso.
Senza l’intervento dell’Attenzione, tali caratteristiche resterebbero sospese e non sarebbero combinate in
modo corretto tra loro.

Rispetto al ruolo dell’Attenzione in questa disposizione teorica non vi è traccia di nessun meccanismo che
operi come filtro che blocchi a qualche livello l’elaborazione delle informazioni. Le informazioni vengono
elaborate e se l’attenzione non interviene, semplicemente se ne perdono le tracce poco tempo dopo.
Rispetto alla Dimensione Spaziale, se l’Attenzione opera in riferimento ad una mappa di rilevazione
spaziale, apparentemente si potrebbe pensare che non ci sia una grande differenza tra Attenzione Spaziale
e Attenzione Selettiva, invece i due meccanismi sono molto diversi. Parlando delle fasi di Ancoraggio e
Disancoraggio nei movimenti di esplorazione dello spazio, si faceva riferimento alla metafora di un collante,
che in quel caso serviva per ancorarsi alle zone di interesse nello spazio circostante.
Nella Features Integration Theory si potrebbe invece dire che il collante viene usato per mettere insieme le
caratteristiche degli oggetti. Non è qualcosa che riguarda l’esplorazione dello spazio circostante, ma
l’elaborazione dello stimolo e il corretto trattamento delle sue caratteristiche.

La distinzione tra Elaborazione Seriale e Parallela si può associare alla distinzione tra Processi Automatici e
Controllati
Effetto Stroop

Il primo compito è quello di leggere le parole mostrate, da sinistra verso destra e dovrebbe risultare
piuttosto semplice.
Il secondo è quello di pronunciare ad alta voce i nomi dei colori (l’inchiostro) con cui sono state scritte le
parole, questo dovrebbe risultare più difficile.

Il sistema cognitivo elabora con percorsi diversi ed indipendenti le componenti verbali e cromatiche dello
stimolo.
Si può immaginare che l’individuazione ed elaborazione di una luce colorata sia più rapida rispetto
all’estrazione ed elaborazione di una parola, tuttavia intuitivamente si può immaginare che il passaggio
dall’elaborazione della parola alla lettura del nome della parola sia più rapido rispetto al passaggio
dall’individuazione di un colore alla produzione e lettura del suo nome.
Di conseguenza il nome della parola è reso disponibile per la risposta prima rispetto al nome del colore.
Questo dunque crea l’effetto di interferenza con il conseguente rallentamento nei tempi di risposta.
Questo ovviamente nel caso in cui il nome della parola sia in conflitto con il colore con cui essa è scritta.

Sebbene il compito indichi con chiarezza che si debba prestare attenzione solo al colore della parola,
sembra che l’elaborazione del nome della parola non sia sopprimibile volontariamente.
A dispetto del fatto che non venga richiesto di elaborare la parola, il sistema cognitivo sembra elaborarla
ugualmente.
Questo è un esempio di ciò che si intende per Processo Automatico.

Effetto Simon
Il soggetto siede davanti ad uno schermo sul quale sono disegnati alcuni quadrati, a destra e a sinistra del
punto di fissazione centrale.
A disposizione vi è una pulsantiera con due tasti di risposta, per esempio uno (quello a destra da premere
con la mano destra) in risposta alla comparsa di un triangolo in uno qualunque dei riquadri e un altro
(quello a sinistra da premere con la mano sinistra) in risposta alla comparsa di un cerchio in un qualunque
dei riquadri.
Nell’esperimento si osserva che quando il cerchio compare in uno qualunque dei quadrati alla sinistra del
punto di fissazione, la risposta è rapida, mentre se compare in uno qualunque dei quadrati alla destra del
punto di fissazione, la risposta è più lenta.
Nonostante le istruzioni non facciano riferimento alla necessità di considerare una o l’altra porzione
spaziale, ma solo ed esclusivamente la forma dello Stimolo Target, i dati mostrano che la posizione spaziale
viene elaborata in modo automatico, provocando dunque l’interferenza rispetto alla mano con la quale
deve essere fornita la risposta.

Fenomeno del Change Blindness (cecità al cambiamento)


Esperimento:
Consiste nella presentazione di una successione di due immagini intervallate da una breve schermata
neutrale. Il compito dell’osservatore consiste nel rilevare se tra l’immagine 1 e l’immagine 2, ripetute in
successione varie volte, intercorrono dei cambiamenti.
I dati riportano che i cambiamenti rilevati sono meno della metà.

Richiamo alla Teoria Senso-Motoria della percezione: molti studi sul Change Blindness sono stati prodotti
dagli studiosi di questa teoria. Se ci fossero rappresentazioni mentali nel nostro cervello e se queste
rappresentazioni fossero simili a fotografie, non dovrebbe esserci alcun problema nel confrontare queste
rappresentazioni in rapida successione e dovrebbe essere semplice ed immediato rilevare le differenze. Le
evidenze sembrano mostrare che invece non sia così, infatti alla base della Teoria Senso-Motoria vi è l’idea
che noi non abbiamo alcun bisogno di formare rappresentazioni interne della realtà esterna, perché la
realtà esterna è lì fuori, alla nostra portata, le informazioni rilevanti sono fuori di noi e basta aprire gli occhi
per rilevarle. Quello che occorre dunque non è una copia interna della realtà circostante, ma solo una
conoscenza di come interagire con la realtà esterna, per ricavarne tutte le informazioni che ci occorrono di
volta in volta.
Non sempre però la realtà esterna è a nostra disposizione nel momento in cui avremmo bisogno di
guardarne qualche aspetto particolare.
Restano dubbi sull’applicazione dell’approccio Senso-Motorio in tutti gli ambiti, ma molti esempi possono
accorrere a supportarlo almeno in alcuni casi.

Fenomeno dell’Inattentional Blindness


Mentre nel Change Blindness le scene presentate negli esperimenti sono solitamente statiche,
nell’Inattentional Blindness sono solitamente in movimento.
Gli stimoli sono disposti in modo da attrarre spontaneamente l’attenzione del soggetto verso particolari
elementi della situazione.
In alcuni casi possono essere indicati ai soggetti alcuni compiti che devono eseguire durante il corso della
presentazione, ad esempio individuare quanti personaggi compaiono, cosa dicono e cosa fanno.
Esempio di presentazione: una storia che racconta una breve indagine svolta da un ispettore per
individuare il colpevole di un omicidio. L’ispettore interroga individualmente i tre sospettati e alla fine
arriva alla conclusione che la colpevole è una donna il cui alibi non era credibile, perché non si piantano le
petunie in quel periodo dell’anno.
(VIDEO AL MINUTO 26:06 DEL SECONDO VIDEO SULL’ATTENZIONE).

L’evoluzione degli avvenimenti induce lo spettatore a seguire i dialoghi tra i personaggi e focalizzare
l’attenzione allo sviluppo della storia. Nel farlo, non abbiamo la sensazione di non aver tenuto conto anche
di tutto il resto, non abbiamo la sensazione di un ambiente vuoto dove si susseguono i personaggi,
nell’ambiente c’è tutto e noi abbiamo la sensazione di notare tutto.
Il fenomeno dell’Attentional Blink
Misura il potere di risoluzione temporale dell’attenzione.
A cavallo tra l’esplorazione dell’Attenzione Selettiva e l’individuazione delle Risorse Attenzionali.
Esempio:
Il compito consiste nel tentativo di individuare due stimoli all’interno di una serie presentata in rapida
successione.
In una serie di lettere nere bisogna identificare le due lettere rosse.

Quello che evidenzia il fenomeno è che il primo stimolo viene solitamente individuato con una notevole
accuratezza, mentre l’identificazione del secondo mostra un andamento abbastanza tipico: se viene
presentato immediatamente dopo il primo, l’accuratezza rimane elevata, mentre in un intervallo
intermedio la prestazione peggiora marcatamente.
Questo andamento sembra indicare che l’attenzione immediata, quella coinvolta in eventi momentanei
(non si parla dunque di Attenzione Sostenuta), ha una sua finestra di durata temporale. Il primo stimolo
apre questa finestra e se il secondo segue immediatamente si può dire che esso possa essere incluso in
quella stessa finestra ancora attiva, trascorso però un intervallo superiore (poco più di 100ms circa), è come
se ci fosse una sorta di periodo refrattario. Il sistema cognitivo è impegnato nell’elaborazione dello stimolo
selezionato e non è immediatamente in grado di rimettere l’attenzione a disposizione di elementi successivi.
Via via che l’intervallo tra il primo e il secondo stimolo aumenta, l’attenzione sembra in grado di rientrare in
gioco e la capacità di identificare anche il secondo Target raggiunge la stessa accuratezza della capacità di
riportare il primo.

Gioco di magia:
Vengono mostrate per circa 3 secondi sei carte e il soggetto ne deve scegliere una, di cui deve ricordare
numero, colore e seme.
Nella seconda parte del gioco vengono mostrate ad una ad una le cinque carte non scelte dal soggetto, così
da dimostrare di essere stati in grado di identificare quella scelta.
Il gioco fa riferimento da una parte al fenomeno dell’Inattentional Blindness, in cui l’attenzione del
soggetto viene diretta verso un preciso aspetto della situazione, portandolo a trascurare gli aspetti
circostanti, ma ancora di più alla Features Integration Theory, che prevede esplicitamente che se la nostra
attenzione è orientata altrove, le caratteristiche degli altri elementi della scena saranno elaborati
individualmente, ma sarà impossibile combinarli adeguatamente. Concentrandoci sulla carta che abbiamo
scelto, siamo in grado di segnalare la presenza di altri colori, forme e semi, ma non di integrare le
informazioni tra di loro appropriatamente. In questi casi può manifestarsi il fenomeno delle cosiddette
“Congiunzioni Illusorie”.
Nelle prime sei carte vi erano dei cuori e delle donne, così nella seconda fase potremmo avere l’illusione di
aver visto una donna di cuori e così via analogamente anche per le altre combinazioni.
Differenze tra i modelli visti:
Il Modello di Posner è come un fascio di luce che si applica all’idea dello spostamento dell’attenzione nello
spazio, il Modello della Treisman, che opera anch’esso in riferimento ad un’operazione di tipo spaziale, si
applica invece all’idea di integrazione di caratteristiche (Modelli diversi e funzioni diverse).
Questo evidenzia un aspetto essenziale e costitutivo della psicologia cognitiva: anch’essa si propone di
specificare le fasi del processo in modo dettagliato, quasi come se si stesse descrivendo un vero e proprio
processo fisico, di cui possiamo identificare tutte le componenti, sia ordinate cronologicamente che
componenzialmente, ma il punto è che si tratta di una descrizione astratta. Una volta individuata la natura
del meccanismo, potenzialmente esso potrebbe essere realizzato da molti ipotetici supporti fisici effettivi.
Per esempio il termine di “collante“ può essere messo in rapporto sia con l’ancoraggio che con l’operazione
di combinazione delle caratteristiche, ma trattandosi di funzioni diverse, esse potrebbero essere svolte da
“collanti” diversi. Dunque, la psicologia cognitiva aiuta a definire in modo astratto quali potrebbero essere i
processi attraverso cui il sistema cognitivo realizza le nostre proprietà e capacità psicologiche. Le
neuroscienze dovrebbero svolgere il lavoro a livello fisico.

Esistono davvero delle strutture fisiche che svolgono i ruoli dei collanti previsti dal Modello di Posner e dal
Modello della Traisman?
Per quanto ne sappiamo i deficit dell’attenzione, con particolare riferimento all’attenzione spaziale, sono
localizzati nella maggioranza dei casi, in corrispondenza della Corteccia Parietale dell’emisfero destro.
Poiché la lesione è tipicamente localizzata nell’emisfero destro, il deficit riguarderà l’emicampo
controlaterale, ovvero quello sinistro (Test di Barrage, Neglect Spaziale e Immaginativo).
Il coinvolgimento del Lobo Parietale in certi disturbi dell’attenzione è un dato importante, ma considerando
quanto è stato detto a proposito dei differenti tipi di attenzione, dell’inibizione di ritorno, delle fasi del
processo di orientamento dell’attenzione e dei processi di elaborazione automatici e controllati, il concetto
di coinvolgimento del lobo parietale è troppo vago per rendere conto di questa moltitudine di differenze.
Se l’obiettivo è quello di comprendere una funzione cognitiva nei termini dei sottostanti processi neurali,
allora la descrizione di tali processi deve essere altrettanto differenziata quanto lo sono i modi in cui la
funzione manifesta se stessa nell’esperienza psicologica degli individui.

Per quanto riguarda le componenti dell’Attenzione Spaziale, è stato proposto di attribuire al Lobo Parietale
Posteriore la funzione del Disancoraggio, mentre l’operazione dello spostamento potrebbe essere attribuita
al Collicolo Superiore, localizzato subito dietro al Talamo, infine l’operazione dell’ancoraggio potrebbe
essere attribuita al Pulvinar, che è contenuto nella parte posteriore del Talamo.
L’orientamento dell’attenzione implica la capacità di spostarsi tra le varie zone di interesse esplorativo:
mentre il movimento sarebbe attribuibile ad una piccola struttura sottocorticale, denominata “Collicolo
Superiore“, la capacità di ancorarsi sarebbe ascrivibile al Pulvinar. essendo quest’ultimo collegato al lobo
frontale, la capacità di ancoraggio può diventare volontaria e controllata, perdurando quindi nel tempo (nei
casi in cui si rivelasse utile continuare ad analizzare la stessa zona dello spazio circostante).

Sembra invece esserci un coinvolgimento delle aree della Corteccia Cingolata Anteriore, legate alla
pianificazione e alle funzioni esecutive, probabilmente attribuito ai meccanismi legati al controllo
dell’attenzione.

In generale dunque la Corteccia Parietale Posteriore sarebbe quindi implicata nell’Attenzione Spaziale e, in
generale, nei meccanismi di orientamento automatico dell’attenzione. Per converso, la Corteccia Cingolata
Anteriore, in virtù delle proprie connessioni con le aree anteriori del cervello, legate alla pianificazione ed
esecuzione delle azioni, sembra più implicata nei processi di Attenzione Selettiva Controllata.

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