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IL PENSIERO

Tipicamente il pensiero viene rappresentato come una nuvoletta, a testimonianza della sua leggerezza,
trasparenza e intangibilità. Esso rappresenta probabilmente la quinta essenza dell’idea di un mondo
psicologico interiore.

Ormai sappiamo che quando osserviamo un oggetto non creiamo una rappresentazione interna di esso, ciò
che facciamo è dunque sviluppare un pensiero. Per esempio guardando una nuvola penseremmo: “questa è
una nuvola“.
Di che natura è il contenuto di un pensiero?
Viene probabilmente spontaneo ritenere che sia qualcosa che si formi nel nostro cervello (più che nella
nostra mente, poiché non sappiamo dare una definizione di “mente”), sappiamo infatti che qualunque
attività umana può avere un riferimento in sottostanti substrati neurali.
Guardando l’evoluzione del cervello nelle varie specie, ci si rende conto che fino ai primati lo sviluppo delle
aree cerebrali ha seguito una progressione abbastanza regolare e proporzionale, mentre il cervello
dell’uomo manifesta un abnorme improvviso aumento delle aree frontali della corteccia cerebrale. Poiché
sembra ragionevole pensare che ciò che differenzia maggiormente l’uomo dalle altre specie siano le facoltà
del linguaggio e del pensiero, è ragionevole associare tali facoltà allo sviluppo delle aree anteriori del nostro
cervello.

La seconda domanda però, riguarda la questione del riferimento. I contenuti all’interno del nostro cervello
si riferiscono al mondo esterno.
Come può dunque una scarica neurale oppure un’area cerebrale riferirsi a qualcosa?
Nel mondo fisico non sembra che le cose si riferiscano ad altre cose: una traccia lasciata da un sasso
rotolante sulla spiaggia certamente si riferisce al sasso, ma solo per un occhio che osserva quella traccia. È
difficile pensare che la sabbia faccia riferimento al sasso.
Una libreria si riferisce ai libri che vi sono contenuti, ma solo in relazione all’intenzionalità del falegname
che ha costruito quella libreria: è difficile pensare che il legno che la compone possa far riferimento ai libri
che vi sono contenuti.
Le parole scritte in un libro si riferiscono al mondo ed alla vita, ma solo in virtù dell’autore che le ha scritte e
solo se vi è un lettore che le interpreta, altrimenti è difficile pensare che delle pagine di carta con delle
macchie di inchiostro sopra possano riferirsi ad alcunché.
Come puro fenomeno fisico quindi, non è ovvio comprendere come un’area cerebrale o una scarica neurale
possano fare riferimento a qualcosa nel mondo esterno.
Nel caso del pensiero questo è ancora più evidente rispetto al caso della percezione: lì in partenza vi era
uno stimolo esterno, i pensieri invece sono autonomamente generati nella mente di colui che pensa, il
riferimento sembra proprio non esservi.
Per spiegare quindi come un circuito cerebrale possa costituire un pensiero, bisognerebbe essere in grado
di spiegare come il cervello, nel suo complesso, possa essere considerato un osservatore dotato di
intenzionalità. Il che naturalmente rimane un problema aperto.
In generale, il problema del contenuto degli stati mentali e della loro capacità di riferirsi a qualcosa, sono
argomenti trattati nei corsi di filosofia della mente (per l’appunto, cos’è una mente? Che relazione c’è tra le
proprietà della mente e quelle del sottostante substrato neurale?).

La Psicologia Cognitiva invece assume certe proprietà di base della mente (ovvero considera già presenti e
costituenti, proprietà come i contenuti, il riferimento, ecc...) e, partendo da queste, si limita a domandarsi
come funzionino.
Dunque, in quale modo il pensiero si manifesta nella nostra vita ed in quale modo, osservando queste
manifestazioni, possiamo cogliere aspetti del suo funzionamento e della sua struttura?

Il pensiero è una funzione cognitiva indipendente dalle altre?


Un pensiero come “questa è una nuvola“ difficilmente potrebbe essere formulato senza la percezione per
osservare, la memoria per ricordare ciò che abbiamo osservato ed imparato e il linguaggio per attribuire
all’oggetto una definizione.
Questo però dimostra soltanto che le nostre funzioni cognitive sono concepite in modo da potersi unire tra
loro per realizzare nella sua interezza la natura della nostra psiche.
Il fatto che la percezione si integri con il pensiero non indica affatto che essa si possa identificare con il
pensiero ed operare secondo gli stessi principi e meccanismi. Discorso analogo vale per la memoria ed il
linguaggio.

Usi propri ed impropri del concetto di pensiero


Il pensiero è una funzione unitaria o può essere suddivisa anch’essa in parti costituenti?
“Sto pensando al film che abbiamo visto l’altra sera“
“Chiudi gli occhi e pensa a me“
In questo senso il pensiero è praticamente tutto ciò che intercorre tra la percezione ed il comportamento
(incluse fantasie e sogni).

“Sto pensando a quale insegnamento seguire“


Questa frase sembra fare riferimento alla nostra capacità di prendere decisioni e fare delle scelte.

“Cosa pensi di questo lavoro?“


Questa invece allude alla nostra capacità di formulare giudizi.

“Sto pensando a come posso estinguere il debito“


Questa alla nostra capacità di risolvere problemi.

“Siamo a maggio, quindi probabilmente fa caldo”


Quest’ultima alla nostra capacità di creare inferenze (conseguenze logiche).

Il pensiero è una funzione del tutto esplicita e controllabile, o ha anche meccanismi impliciti?

“L’intuito mi dice che quella non è una brava persona“


“Di fronte a quell’opportunità ho deciso senza pensarci su“

Quello di cui ci occuperemo ora è dunque individuare le suddivisioni del pensiero in: prendere decisioni,
risolvere problemi, formulare giudizi ed effettuare inferenze. Per ciascuna di queste vedremo come
possano entrare in gioco processi di elaborazione espliciti o controllati (sistema 2) ed impliciti o diretti
(sistema 1).

Analogie e differenze tra le varie modalità di pensiero


In genere, le scelte si basano sui giudizi e comunque i giudizi influiscono sulle nostre scelte. Analogamente,
prima vista si potrebbe anche affermare che i giudizi, a loro volta, possano basarsi su preferenze o scelte
individuali. Per quanto riguarda poi la risoluzione di problemi, sembra evidente che essa comporti
l’effettuazione di varie scelte e la formulazione di vari giudizi.
Potrebbe dunque sembrare che le componenti del pensiero siano intrinsecamente ed imprescindibilmente
interconnesse.
Problem solving vs Giudizi e Decisioni
“Per arrivare all’appuntamento delle 16:00, dovrò avviarmi non oltre le 15:00“.
Non sto formulando alcun giudizio né effettuando alcuna scelta (a parte quella di recarmi
all’appuntamento).
Per converso, posso effettuare scelte (“preferisco andare a teatro“) o formulare giudizi (“mi piace quello
che hai detto“) che non implicano alcun problema da risolvere.
Principio della doppia dissociazione.

Giudizi vs Scelte e Decisioni


1)Giudizi che non implicano alcuna scelta:
“Sono contento che ha ottenuto quel riconoscimento: è una persona che ha l’intelligenza e le competenze
necessarie per svolgere al meglio il proprio lavoro“.
(Non stiamo scegliendo tra l’essere contenti oppure no, stiamo giustificando uno stato di cose che non ha
implicato alcuna scelta da parte nostra).

“In quell’artista mi colpisce la capacità espressiva: i suoi quadri sono emotivamente coinvolgenti; nell’altro
invece trovo uno spiccatissimo senso estetico: il modo in cui distribuisce forme e colori sulla tela mi
ammalia, resterei a guardare i suoi dipinti per ore“
(Non è detto che si debba effettuare alcuna scelta, si potrebbe addirittura evitare o non essere in grado di
farne alcuna)

2)Scelte (e decisioni) Che non sembrano dipendere direttamente dalla formulazione di un giudizio esplicito
sottostante:
“So che non dovrei ma voglio farlo lo stesso“
“Tra Mario e Antonio, decido per Mario“ (ma non è detto che ciò dipenda dal fatto che giudichi Mario
migliore di Antonio).

Inferenze vs Problem Solving, Giudizi e Decisioni


“Siamo a maggio quindi probabilmente fa caldo“
(Nessuno ha posto una domanda o formulato un problema da risolvere. Non si tratta di alcuna decisione
perché non sto decidendo se fa caldo o no. Non si tratta di alcun giudizio perché non sto giudicando se sia
bello o brutto, bene o male, giusto o sbagliato che a maggio possa fare caldo e non sto nemmeno
giudicando il mese di maggio come “caldo“ nello stesso senso in cui, toccando un oggetto, giudico che “è
caldo“).
Anche se tecnicamente è possibile differenziare la capacità di ricavare inferenze dalle capacità di risolvere
problemi, prendere decisioni e formulare giudizi, nel caso specifico questo esercizio di differenziazione,
potrebbe rivelarsi un po’ sterile. Più che è una componente del pensiero che si differenzia dalle altre e si
pone al pari delle altre, la capacità di ricavare inferenze sembra occupare un ruolo privilegiato
nell’architettura del pensiero: è un’abilità diversa dalle altre ma nello stesso tempo costituisce un
presupposto essenziale di esse. In realtà la nostra capacità di risolvere i problemi, prendere decisioni e
formulare giudizi, sembra dipendere intrinsecamente dalla nostra abilità di concatenare i pensieri e di
ricavare nuovi pensieri da pensieri precedenti.

Problem solving, scelte e giudizi comportano quindi competenze (cognitive) diversificabili:


Risolvere un problema implica la capacità di procedere sequenzialmente in una serie di passaggi successivi
(piano verticale).
Scegliere implica la capacità di operare confronti (piano orizzontale).
Giudicare implica la capacità di inserire gli elementi da valutare in un contesto di riferimento più ampio che
conferisca a ciascun elemento un valore diversificato.
Fare inferenze invece costituisce una capacità più basilare alla quale attingono le altre.
Anche se potrebbe essere corretto ritenere che nel momento in cui qualcosa mi punge, io non stia
decidendo di ritrarre la mano solo perché ho effettuato l’inferenza “se non la ritraggo il dolore persiste“, né
che io giudichi che “la puntura è dolorosa“ solo a condizione che abbia effettuato qualche particolare
inferenza.
Tuttavia non è a questo tipo di atti mentali che tipicamente facciamo riferimento quando intendiamo
riferirci alla capacità umana di “pensare“, gli esempi riportati sembrano fare riferimento più a risposte
riflesse, che a veri e propri atti mentali o atti di pensiero.

Il problema che quindi affronteremo è quello del ragionamento, ovvero il problema di come, concatenando
e derivando pensieri da altri pensieri, noi organizziamo i nostri discorsi, impostiamo la nostra indagine sulla
realtà e sviluppiamo teorie scientifiche.
In generale, si tratta del problema di come, attraverso il ragionamento (concatenazione e derivazione di
pensieri da altri pensieri, “fare inferenze“) noi definiamo i nostri pensieri veri o falsi, giusti o sbagliati,
adeguati o non adeguati.

Il pensiero non consiste solo nella capacità di attingere ad un “magazzino“ (memoria a lungo termine) dove
sono contenute informazioni ordinate ed organizzate in base a dei criteri, “pensare” non è solo attivare
ricordi, ovvero “pacchetti” di concetti associati tra loro.
In una biblioteca i libri sono collocati in base ad una classificazione che ne rende possibile ed agevole il
recupero, il pensiero però è fuori dalla biblioteca e riguarda il modo in cui l’utente della biblioteca la
consulta, in relazione agli obiettivi che vuole raggiungere ed alle esigenze poste dalla realtà circostante.
Una cosa è la struttura della biblioteca (memoria), un’altra è l’uso che se ne fa. Il pensiero riguarda l’uso
delle nostre conoscenze, non il modo in cui sono state accumulate.
La funzione del pensiero si differenzia da quella della memoria, essa infatti non procede per
concatenazione di memorie preesistenti, ma genera pensieri nuovi: molti pensieri e molti ragionamenti non
possono essere recuperati dalla nostra memoria semplicemente perché essi non erano ancora mai stati
formulati.
Il pensiero è una procedura che concatena concetti, ma come lo fa?

IL RAGIONAMENTO

Pensiero proposizionale
I simboli, come le proposizioni, sono astratti, ovvero non preservano le proprietà e le relazioni degli oggetti
che rappresentano. In una proposizione avente caratteristiche spaziali come “l’albero è di fronte alla casa“
la parola “albero“ non si trova fisicamente collocata di fronte alla parola “casa“, allo stesso modo, in un
sistema di codifica simbolica, la parola “Roma“ non è più vicina alla parola “Napoli“ di quanto lo sia alla
parola “Parigi“.

Argomenti a favore del pensiero proposizionale


Nel linguaggio naturale, a partire da un numero limitato di regole combinatorie, è possibile produrre un
numero potenzialmente infinito di frasi (produttività). Il significato di un enunciato può essere ricavato da
quello dei suoi elementi e da tali regole di combinazione sintattica (composizionalità): tale struttura è
sistematica (sistematicità).
Analogamente, sembra che anche il pensiero disponga di questa semantica combinatoria in base alla quale
è possibile manipolare (attraverso procedure sintattiche) un numero finito di stati mentali (ad esempio le
credenze) per produrne di nuovi (questo ha indotto qualcuno a pensare che si possa associare la relazione
tra mente e cervello a quella tra software e hardware).
La logica formale studia quali dovrebbero essere le regole o norme che dovrebbero caratterizzare un
ragionamento che ci conduce a conclusioni corrette.
Ciò dovrebbe aiutarci a riconoscere la struttura dei ragionamenti che potrebbero avvicinarci alla verità e
distinguerla da quella dei ragionamenti che potrebbero condurci in errore.
La logica, in generale, è la scienza delle regole e delle leggi del pensare (la logica formale è la scienza del
pensare a prescindere dai contenuti), è la disciplina che tratta la validità e le articolazioni di un discorso in
termini di nessi inferenziali relativamente alle proposizioni che lo compongono. In questo senso, la logica
può essere considerata come la scienza propedeutica ad ogni possibile conoscenza.

Il ragionamento deduttivo: talvolta le conclusioni che è possibile trarre da alcuni ragionamenti sono valide.
Un ragionamento valido implica che se le sue premesse sono vere la conclusione che se ne ricava sarà vera
necessariamente. La cosa importante è che la validità del ragionamento non dipende dal contenuto delle
proposizioni che lo formano, se le condizioni sono rispettate, qualunque asserto compaia nel ragionamento
sarà vero. Si tratta di una regola. L’esempio più noto di questo tipo di ragionamento è il sillogismo
“categorico“ di Aristotele.

Il ragionamento induttivo: in altri casi invece il ragionamento non è valido, nel senso che non permette di
giungere a conclusioni certe (anche quando le premesse fossero vere). Ciò non implica che tali conclusioni
siano errate, piuttosto si tratta di valutare con quale probabilità esse potrebbero essere vere. In questo
caso il tipo di ragionamento viene definito “induttivo”, nel senso che la concatenazione delle proposizioni ci
“induce” a ritenere che le conclusioni siano vere o false.

Molti manuali affermano che il ragionamento deduttivo proceda dal generale al particolare, mentre quello
induttivo dal particolare al generale. Questo però è fuorviante, vediamo degli esempi:
“Antonio non è biondo. Antonio è un uomo. Non tutti gli uomini sono biondi“
Questo è un ragionamento deduttivo, ma procede dal particolare al generale (oppure dal particolare al
particolare, considerando “non tutti“ come “alcuni“).
“Tutti i mammiferi sono animali. I cani sono mammiferi. Tutti i cani sono animali“
Anch’esso è un ragionamento deduttivo, ma procede dal generale al generale.

Il ragionamento abduttivo: secondo alcuni questo tipo di ragionamento sarebbe il più importante, in
quanto ci renderebbe in grado di ricavare da indizi locali e frammentari, teorie esplicative generali. Rispetto
a deduzione ed induzione, nel ragionamento abduttivo tra le premesse e le conclusioni non intercorrono
legami logici diretti.

I primi modelli di ragionamento


Il sillogismo “categorico“ di Aristotele
Dal greco συλλογισμός, “ragionamento concatenato”, formato da συν “insieme” e λογισμός “calcolo”.
È un tipo di ragionamento dimostrativo che partendo da due premesse arriva ad una conclusione.
Che relazione ci deve essere tra le premesse per derivarne conclusioni vere?
Quando, partendo dalle premesse, si giunge ad una conclusione vera, si parla di ragionamento
deduttivamente valido.
Un ragionamento deduttivamente valido è un ragionamento in cui, se le premesse sono vere, la
conclusione che ne seguirà sarà necessariamente vera.
Che caratteristiche deve avere un ragionamento per essere deduttivamente valido?

Struttura formale di un sillogismo categorico


“Tutti gli uomini sono mortali. I greci sono uomini. Tutti i greci sono mortali”
La prima frase è definita Premessa Maggiore, la seconda invece Premessa Minore. Da queste due premesse
se ne ricava la Conclusione.
Premesse e conclusione sono a loro volta suddivise in “termini“.
In questo caso il Termine Medio si trova sia nella Premessa Maggiore che Minore ed è rappresentato da
“Tutti gli uomini” e “sono uomini”.
Il Predicato compare sia nella Premessa Maggiore che nella Conclusione ed è composto da “sono mortali”
in entrambe le frasi.
Per ultimo il Soggetto nella Premessa Minore e nella Conclusione, “I greci”.

Il Soggetto ed il Predicato si trovano nella conclusione e sono definiti “estremi“. Il Termine Medio è quello
che unisce il predicato al soggetto attraverso le due premesse. I vari termini però possono occupare
posizioni diverse, in questo caso per esempio il Termine Medio si trova in prima posizione nella Premessa
Maggiore e in seconda nella Premessa Minore.

Dalle diverse disposizioni del Termine Medio, del Predicato del Soggetto nelle due premesse, si ricavano le
quattro figure del sillogismo categorico.

Figura 1 Figura 2 Figura 3 Figura 4

PREMESSA M. M-P P-M M- P P-M

premessa m. S-M S-M M-S M-S

conclusione S-P S-P S-P S-P

Ogni proposizione in ciascuna figura può variare in relazione a due tipologie: universale/particolare (tutti vs
alcuni) e affermativa/negativa.
Questo determina quattro possibili declinazioni di ciascuna delle componenti del sillogismo (Premessa
Maggiore, Premessa Minore e Conclusione).

Universale Particolare

Affermativa TUTTI ALCUNI

Negativa TUTTI NON ALCUNI NON

Questi sono i “modi“ della figura.


Di conseguenza, ogni figura ha 4³ (4 × 4 × 4 = 64) possibili combinazioni.
Ogni proposizione può essere declinata come affermativa universale, negativa universale, affermativa
particolare o negativa particolare.
Poiché le figure sono 4, vi sono 4 × 64 = 256 possibili combinazioni di figure e modi.
Si possono assegnare nomi alle combinazioni attribuendo le lettere A ed I, da A-ff-I-rmo (A per affermativa
universale ed I per affermativa particolare) ed E ed O, da nEgO (E negativa universale ed O negativa
particolare).
Sillogismo in bArbArA: Premessa Maggiore affermativa universale, Premessa Minore affermativa
universale, Conclusione affermativa universale.
Sillogismo in dArII: Premessa Maggiore affermativa universale, Premessa Minore affermativa particolare,
Conclusione affermativa particolare.

La struttura formale di un sillogismo si applica a TUTTI I ragionamenti che la condividono. Si tratta quindi di
una struttura astratta che prescinde dai singoli contesti in cui quel ragionamento si utilizza.

Struttura formale del sillogismo iniziale:


Tutte le X sono Y
Le Z sono X
Le Z sono Y

Proviamo però con questo sillogismo che evidenzia la difficoltà di comprendere solo dalla forma astratta la
validità:
Tutte le X sono Y
Le Z sono Y
Le Z sono X
Può essere utile sostituire gli elementi con riferimenti chiari:
Tutti i gatti sono mammiferi
I cani sono mammiferi
Tutti i cani sono gatti
Il sillogismo dunque non è valido.

Dunque, tra le molteplici forme che un ragionamento può avere, solo alcune sono valide.
Lo studio della logica ci aiuta ad individuarle.
Un ragionamento deduttivamente valido però non è sempre anche vero, è vero solo a patto che entrambe
le premesse siano vere.
Sillogismo in dArII con validità evidente e con conclusione vera:
Tutti gli uomini sono mortali
Socrate è un uomo
Socrate è mortale

Sillogismo in dArII deduttivamente valido ma con conclusione falsa (ciò non muta la validità formale della
struttura, mostra semplicemente che una delle due premesse è falsa):
Tutte le donne sono oggetti celesti
Alisia è una donna
Alisia è un oggetto celeste

Sillogismo in dArII deduttivamente valido ma con conclusione falsa (nonostante entrambe le premesse
sembrino vere):
Tutti i verdi sono colori
Alcuni oggetti sono verdi
Alcuni oggetti sono colori
I Termini Medi sono apparentemente gli stessi ma in realtà sono diversi, nella Premessa Maggiore la parola
“verde” è un sostantivo (è trattato come fosse un oggetto, un’entità specifica), mentre nella Premessa
Minore è un aggettivo (è trattato come una proprietà degli oggetti).

Capiamo ora dunque meglio le differenze tra ragionamento Deduttivo, Induttivo e Abduttivo
“Alberto è uno studente universitario. Ogni studente universitario è iscritto all’università. Alberto è iscritto
all’università”
Questo è un ragionamento deduttivamente valido.
“Molti uomini di 70 anni corrono i 100mt in più di 15 secondi. Gianni è un uomo di 70 anni. Gianni correrà i
100mt in più di 15 secondi”
In questo caso anche se le due premesse sono vere, non possiamo concludere con certezza che Gianni
correrà i 100mt in più di 15 secondi, ma possiamo solo stimarlo in termini di probabilità, questo dunque è
un ragionamento induttivo.
(L’esempio ha la struttura formale del sillogismo per capirlo meglio, ma qualunque ragionamento di natura
probabilistica fa riferimento all’induzione: “ho estratto dal sacchetto tre palline blu, tutte le palline sono
blu”).

“Antonio ha subito un furto in casa mentre era in viaggio di lavoro. Nello stesso giorno Antonio ha ricevuto
una telefonata in ufficio per sapere se era al lavoro. Qualcuno ha cercato Antonio al telefono anche
nell’albergo dove ha alloggiato, per sapere se era arrivato. La/e persona/e che ha/hanno effettuato le
chiamate è/sono la/e stessa/e che ha/hanno svaligiato casa di Antonio.”
Questo è un ragionamento abduttivo.
È evidente che, mentre esiste una relazione diretta tra l’essere studente e l’essere iscritto all’università e
tra l’età e la capacità di correre velocemente, per converso non esiste alcuna relazione logica tra l’atto di
effettuare una telefonata e l’atto di effettuare un furto.
Proprio per questa relazione non diretta, la nostra capacità di trarre conclusioni da premesse non
logicamente collegate, risulta ancora più preziosa.
Essa è essenziale in termini investigativi e scientifici, ma ci induce anche in più possibili errori.

Esercizi
“Tutti gli uomini sono mortali. Tutti gli astrofisici sono uomini. Tutti gli astrofisici sono mortali”
Che tipo di ragionamento è e in che direzione (particolare/generale) va?

Risposta: ragionamento deduttivo, da generale a generale.

“Tutti i cani hanno il sangue caldo. Tutti i gatti hanno il sangue caldo. Cani e gatti sono mammiferi. Tutti i
mammiferi hanno il sangue caldo”
Che tipo di ragionamento è e in che direzione va?

Risposta: ragionamento induttivo, da generale a generale.

La retorica (dal greco rhetorikè tèchne, “arte del dire”) è la teorizzazione del metodo di organizzazione del
linguaggio naturale, secondo un criterio per il quale ad una proposizione segua una conclusione. Lo scopo
della retorica è l’ottenimento della persuasione, intesa come approvazione della tesi dell’oratore da parte di
uno specifico uditorio.

Con sofisma si fa riferimento ad un’argomentazione capziosa e fallace, apparentemente valida ma fondata


in realtà su errori logici formali o ambiguità linguistiche.

Esempi di sofismi:
ISLAM
“I terroristi arabi vogliono uccidere noi occidentali. I terroristi arabi sono islamici. Gli islamici vogliono
uccidere noi occidentali”
GUERRA
“Chi è contro le guerre ai paesi arabi favorisce i terroristi. Chi favorisce i terroristi è anch’egli un terrorista.
Chi è contro la guerra è un terrorista“

LIBERTÀ E PRIVACY
“Pedofili e criminali agiscono in anonimato. C’è chi vuole garantita la propria privacy ed il proprio
anonimato. Chi vuole l’anonimato è un pedofilo o un criminale”

LIBERTÀ DI SCELTA E DI CURA


“Un sedicente guaritore che usa erbe ha causato danni alla salute della signora Maria. Gli omeopati usano
erbe. Gli omeopati causano danni alla salute“

Gli esempi che abbiamo portato finora si basano su un sillogismo categorico, nel pensiero ordinario e
soprattutto nel pensiero scientifico però, probabilmente il tipo di ragionamento più frequente non è il
sillogismo categorico, bensì quello “condizionale” o “ipotetico” (logica proposizionale: relazioni tra
proposizioni legate dei connettivi logici, congiunzione, disgiunzione, condizionale “se...allora” e negazione).

Il sillogismo “condizionale” o “ipotetico”

Modus Modus Negazione Affermazione


Ponens Tollens antecedente Conseguente

PREMESSA M. Se P allora Q Se P allora Q Se P allora Q Se P allora Q

premessa m. P non Q non P Q

Conclusione Q non P Nessuna Nessuna

Le quattro figure rappresentano i quattro possibili tipi di relazione tra Premessa Maggiore Premessa Minore
e non danno origine ad ulteriori combinazioni (come succedeva invece nel sillogismo categorico).
La Premessa Maggiore rimane uguale in tutti e quattro i possibili modi ed è costituita da un antecedente ed
un conseguente.
La Premessa Minore affermerà o negherà l’antecedente o il conseguente.

Nel Modus Ponens si afferma l’antecedente (se P allora Q, si afferma P): “se X studia allora sarà promosso.
X ha studiato”.
Nel Modus Tollens si nega il conseguente (se P allora Q, si nega Q): “se X studia allora sarà promosso. X non
è stato promosso”.
Negazione dell’antecedente (se P allora Q, si nega P): “se X studia allora sarà promosso. X non ha studiato”.
Affermazione del conseguente (se P allora Q, si afferma Q): “se X studia allora sarà promosso. X è stato
promosso”.

Vale lo stesso principio del sillogismo categorico, ovvero se entrambe le premesse sono vere, la conclusione
sarà necessariamente vera.
“se X studia allora sarà promosso. X ha studiato. X è promosso”
“se X studia allora sarà promosso. X non è stato promosso. X non ha studiato”
Già nel Modus Ponens si potrebbe obiettare che, anche se abbiamo studiato, in alcune circostanze
potremmo essere bocciati. Così come per il Modus Tollens, se veniamo bocciati, non significa
necessariamente che non abbiamo studiato.
Questi pensieri però non tengono conto della definizione di ragionamento deduttivo. Se pensiamo che
l’esito dell’esame potrebbe dipendere da altre cause e non solo dallo studio o meno, di fatto,
implicitamente o esplicitamente, stiamo negando la veridicità della Premessa Maggiore, ovvero stiamo
sostenendo che non è vero che se uno studia sarà promosso.
La definizione di ragionamento deduttivo non tiene però conto dei singoli casi in cui una premessa può
essere vera o falsa, stabilisce una regola generale, in base alla quale se le premesse sono entrambe vere, la
conclusione che ne deriverà sarà necessariamente vera anch’essa.

Un altro esempio:
“Se Enrico è un essere umano allora ha 6 zampe. Enrico non ha 6 zampe. Allora Enrico non è un essere
umano”
La definizione generale di ragionamento deduttivo non può e non deve tenere conto di quali siano i singoli
casi in cui le premesse possono essere vere o false, ma deve permetterci di capire quali sono le
caratteristiche generali che permettano di derivare da premesse vere, conclusioni vere.
Nel sillogismo condizionale le caratteristiche che permettono di derivare da premesse vere, conclusioni
vere, sono il Modus Ponens e il Modus Tollens.

Esempio più chiaro:


“Se piove allora per terra sarà bagnato. Piove. Quindi per terra è bagnato”
“Se piove allora per terra sarà bagnato. Non è bagnato. Quindi non piove”

“Se piove allora per terra sarà bagnato. Non piove...”


Da queste premesse non possiamo dedurre che allora per terra sia asciutto, qualcuno potrebbe aver
innaffiato le piante prima, ecc. La Premessa Maggiore non dice nulla a proposito di altre cause del bagnato.

“Se piove allora per terra sarà bagnato. Per terra è bagnato...”
Analogamente, anche dalle premesse di questa frase non possiamo sapere con certezza che è bagnato
perché ha piovuto, di nuovo qualcuno potrebbe aver innaffiato le piante poco prima, ecc.

La logica ci indica quale dovrebbe essere il modo corretto di ragionare nei casi in cui il nostro obiettivo
consista nell’accertare la verità.
Non sempre però l’obiettivo è quello di giungere alla verità, come abbiamo visto nella retorica, un obiettivo
potrebbe anche essere quello della persuasione.
Tuttavia, anche quando noi volessimo giungere alla verità, accade che commettiamo degli errori. Il semplice
fatto che la retorica esista indica che siamo portati a volte a ragionare in modo errato.
Mentre dunque il logico studia il modo in cui dovremmo ragionare, lo psicologo studia il modo in cui di
fatto ragioniamo nella vita di tutti i giorni, cercando di individuare le variabili e i fattori che ci influenzano,
inducendoci talvolta in errore.
Un fattore estremamente studiato dalla psicologia è il modo in cui i pensieri vengono rappresentati, ovvero
il contenuto dei nostri ragionamenti.
Le regole che abbiamo discusso finora riguardano il ragionamento formale: in questo senso esse
dovrebbero essere applicate indipendentemente dai significati dei termini che appaiono nei ragionamenti e
a prescindere dal sistema di conoscenza di colui che ragiona. In realtà in molti casi sembra difficile gestire le
regole in relazione alle pure rappresentazione linguistica delle proposizioni. Sembra dunque necessario
ricorrere a rappresentazioni in grado di rendere più “visualizzabili“ le regole che governano le relazioni tra
le proposizioni.
Richard Feynman fece questa osservazione: “Quando cerco di capire continuo a costruire degli esempi. Per
esempio i matematici arriverebbero a un teorema, mentre mi espongono le condizioni del teorema, io
costruisco un modello che si adatta a tutte le condizioni elencate. Abbiamo un insieme (una palla) e una
disgiunzione (due palle). Poi le palle si colorano, mettono capelli, o altro, nella mia mente mano a mano che
questi (matematici) aggiungono altre condizioni. Infine essi definiscono il teorema, che asserisce qualcosa
sulla palla che però non è vera per la mia palla verde con molti capelli quindi dico Falso”.
Quello che intuitivamente disse Feynman noi possiamo rappresentarlo attraverso i diagrammi di Eulero.

Vediamo come questo si applica a due esempi:


1)“Nessun fornaio gioca a scacchi. Alcuni giocatori di scacchi ascoltano l’opera. Alcuni ascoltatori d’opera
non sono fornai”

2)“Alcuni programmatori di computer suonano il pianoforte. Nessun pianista guarda le partite di calcio.
Alcuni programmatori di computer guardano le partite di calcio”

Le conclusioni hanno più probabilità di essere vere o false?

Ricorso ai diagrammi:
1)Fornai e giocatori di scacchi sono del tutto indipendenti e separati

“Alcuni giocatori di scacchi ascoltano l’opera” può essere rappresentato in tre modi: alcuni giocatori di
scacchi ma nessun fornaio, alcuni giocatori di scacchi e alcuni fornai o alcuni giocatori di scacchi e tutti i
fornai

Ma se l’obiettivo della logica è quello di preservare la verità, bisogna osservare tutto ciò che un’espressione
comporta.
“Alcuni” nella premessa minore può non essere interpretato in senso letterale come “solo una parte”, ma
come “almeno alcuni” e quindi può significare: tutti i giocatori di scacchi, tutti i giocatori di scacchi e una
parte dei fornai o tutti i giocatori di scacchi e tutti i fornai

O
O
Osservando dunque tutte le possibili rappresentazioni delle premesse, sia in senso più restrittivo, che in
senso più ampio, la conclusione rimane comunque sempre vera. In tutti i casi rimarrà sempre vero che
almeno alcuni ascoltatori d’opera non sono fornai. Si tratta di un ragionamento deduttivamente valido: se
le premesse sono vere, le conclusioni saranno necessariamente vere.

2)I programmatori di computer e i suonatori di pianoforte si intersecano in parte tra loro.


In modo restrittivo può essere rappresentato così

Dunque “Nessun pianista guarda le partite di calcio” può essere compatibile con due scenari: nessun
pianista e nessun programmatore di computer guardano calcio oppure alcuni programmatori di computer
guardano calcio

In modo più ampio (ovvero “alcuni” interpretato come “almeno alcuni”, non escludendo la possibilità che
siano tutti) però può essere rappresentato in questo modo

Dunque la conclusione del sillogismo è vera solo in alcuni casi, ma non in tutti.
Questo non è un ragionamento deduttivamente valido, ma un ragionamento che è vero solo
probabilisticamente e che quindi potrebbe essere considerato un ragionamento induttivo.

I diagrammi di Eulero aiutano, ma non è detto che eliminino tutti i problemi.


Consideriamo questo esempio:
“Tutti gli A sono B” può significare che A è un sottoinsieme di B o che A e B coincidono
“Alcuni C sono A” può significare che C è un sottoinsieme di A e B

Che coincide con A e B

Una parte di C interseca una parte di A (e quindi necessariamente anche una parte di B)

Tutti gli A (e necessariamente almeno una parte di B) sono inclusi in C

Sia A che B sono sottoinsiemi di C

Anche le rappresentazioni grafiche dunque richiedono molta attenzione e non sono esenti da errori.

Esperimenti del “Compito di Selezione” di Peter Wason (la forma del sillogismo è quella condizionale o
ipotetica)
Ai soggetti vengono mostrate quattro carte, sul cui lato visibile è stampata o una lettera o un numero.

I soggetti devono verificare la verità della seguente regola: se su un lato della carta c’è una vocale, allora
sull’altro lato ci deve essere un numero pari.
Quali carte scoprireste sapendo di avere solo due mosse a disposizione?

Come prima mossa tutti i soggetti voltano la carta con la vocale sul lato visibile.
Per stabilire però se l’intero assetto delle carte soddisfa la regola è necessario fare una seconda scelta.
La maggioranza delle persone indica la carta con il numero “6” sul lato visibile, come seconda carta da
controllare.
Ma la premessa non dice nulla sulla presenza di un numero pari sul primo lato di una carta, dunque
nessuna conclusione può essere ricavata dal controllo di queste carte.
Quindi l’altra carta decisiva per la verifica della regola è la carta con il numero dispari “9“ (Disconferma o
Falsificazione).
Infatti, perché la regola sia vera, non deve mai verificarsi il caso in cui su un lato di una carta compare un
numero dispari e sull’altro una vocale.

Per verificare il sillogismo se su un lato vi è una vocale, sull’altro vi deve essere necessariamente un numero
pari, così come se su un lato vi è il numero dispari, sull’altro lato deve esserci necessariamente una
consonante. Nessun altro caso può provare la veridicità del sillogismo.

“Se su un lato della carta c’è una vocale, sul retro c’è un numero pari”:

Modus Modus Negazione Affermazione


Ponens Tollens antecedente Conseguente

PREMESSA M. Se P allora Q Se P allora Q Se P allora Q Se P allora Q

premessa m. P (vocale) non Q (dispari) non P(consonante) Q (pari)

Conclusione Q (numero pari) non P(consonante) Nessuna Nessuna

La necessità per alcuni soggetti di visualizzare i ragionamenti, ha fatto pensare che gli errori fossero dovuti
al fatto che talune proposizioni fossero troppo astratte.
In una variabile del compito, Peter Wason si è chiesto cosa sarebbe accaduto se esso fosse stato presentato
in modo da essere più concreto.

In questo caso la regola era la seguente: se un individuo sta bevendo birra allora deve avere più di 21 anni.

Quali dovrebbero essere ora le due carte da voltare per verificare la veridicità della regola?

I soggetti che partecipavano a questo esperimento non avevano partecipato a quello precedente.
Una grande percentuale di loro riusciva rispondere correttamente.

A prima vista la differenza nella prestazione dei soggetti nelle due diverse versioni del compito di selezione,
potrebbe essere attribuita alla differente difficoltà di un ragionamento astratto rispetto ad un
ragionamento concreto. Ma non è detto che la possibilità di rappresentare “concretamente” un
ragionamento ne faciliti sempre la soluzione.

Vediamo questo esempio:


“Tutti i frutti possono essere mangiati. Le banane possono essere mangiate. Le banane sono frutti”
Potremmo affermare che le premesse siano vere e che dunque provengano da un ragionamento valido, ma
è molto facile svelare l’inganno.

“Tutti i frutti possono essere mangiati. Le lasagne possono essere mangiate. Le lasagne sono frutti“
La forma del ragionamento è rimasta inalterata, ma questa volta sembra evidente che esso non permetta di
giungere a nessuna conclusione certa.

Vediamo quest’altro esempio:


“Tutti i gatti sono mammiferi. Nessun pesce è un gatto. Nessun pesce è un mammifero”
La conclusione sembra evidentemente veritiera e la struttura, in particolare la posizione dei termini, è
identica al primo sillogismo visto. Ma vediamo ora questo esempio:
“Tutti i gatti sono mammiferi. Nessun cane è un gatto. Nessun cane è un mammifero”
Dunque dove risiede il problema?
Nei quantificatori (tutti, alcuni, nessuno).

La possibilità di fare riferimento al significato degli enunciati a volte può essere utile, ma altre può indurci a
fare conclusioni errate.
Questo indica che noi tendiamo spontaneamente a riconvertire almeno alcuni ragionamenti astratti, in un
formato più concreto, a prescindere dal fatto che questo ci aiuti o ci tragga in inganno.

Alcuni studiosi hanno però proposto che possano esistere anche altri fattori in grado di influenzare la
nostra rappresentazione di un problema logico, in modo da aumentare o diminuire le probabilità di
svolgerlo efficacemente.
Da questo punto di vista sembra più appropriata una rappresentazione in termini di “schemi di
ragionamento pragmatico“, da inquadrare in un contesto generale di “regole di scambio sociale“.

Esempio di modello:
a)Se l’azione deve essere intrapresa, allora la precondizione deve essere soddisfatta.
b)Se l’azione non deve essere intrapresa, allora la precondizione non necessita di essere soddisfatta.
c)Se la precondizione è soddisfatta, allora l’azione può essere intrapresa.
d)Se la precondizione non è soddisfatta, allora l’azione non deve essere intrapresa.

Applicazione del modello alla seconda versione del compito di Wason:


a)Se qualcuno sta bevendo birra, allora ha più di 21 anni (Modus Ponens).
b)Se qualcuno non sta bevendo birra, allora non è necessario che abbia più di 21 anni (Negazione
dell’Antecedente).
c)Se qualcuno ha almeno 21 anni, allora può bere la birra (Affermazione del Conseguente).
d)Se qualcuno non ha 21 anni, allora non deve bere birra (Modus Tollens).

Se questa ipotesi è più affidabile, dovrebbe essere possibile sottoporla ad una verifica incrociata.
Compiti che non elicitano schemi di ragionamento pragmatico, non dovrebbero essere risolti in modo più
efficiente rispetto al formato originale astratto:
“Se mangio merluzzo, allora bevo gin...”

Per converso, una formulazione astratta che però richiami uno schema di ragionamento pragmatico,
dovrebbe facilitare la soluzione del problema:
Immaginiamoci di essere un’autorità che sta verificando se le persone stiano rispettando o meno certe
regole.
In questo caso chi e cosa bisognerebbe verificare? Chi mangia merluzzo e chi…?
NON beve gin.

In sostanza lo schema mentale che si attiva per verificare se una regola è stata violata potrebbe essere
diverso dallo schema mentale che si attiva quando devo cercare di capire se è una regola è stata falsificata.
Accertare la violazione di una regola però, non equivale ad accertare la correttezza di una regola
(falsificazione).
Se io guido contromano su una strada a senso unico, io sto violando la regola, non la sto falsificando.
D’altra parte se il problema fosse presentato nel formato del compito di selezione, la mia azione
proverebbe la falsità della regola (non è vero che sussiste questa regola…).
Il modo in cui viene presentato un problema influisce sul modo in cui tale problema viene rappresentato e il
modo in cui un problema viene rappresentato influisce sul modo in cui si prova a risolverlo.

Esempio (non necessario ai fini dell’esame, ma solo come ulteriore delucidazione):


Il titolare di un’agenzia di autonoleggio dice a dei turisti che stanno noleggiando un’automobile che,
guidando in superstrada, devono rimanere al di sotto dei 100 km/h.
In seguito, i turisti notano che alcuni automobilisti viaggiano ad una velocità maggiore.
La frase sottolineata mostra che la regola è stata violata o che la regola è stata falsificata?
La maggior parte delle persone tende a pensare che la regola sia stata violata, il limite di velocità esiste, ma
alcuni non ne tengono conto.

Il turista dice a sua moglie che, guidando in questo paese, si devo occupare il lato sinistro della strada.
In seguito, i turisti notano che alcuni automobilisti viaggiano sul lato destro della strada.
La frase sottolineata mostra che la regola è stata violata o che la regola è stata falsificata?
In questo caso invece si tende a pensare che semplicemente la regola non esista, ovvero sia stata falsificata
(è più facile pensare che alcune persone stiano superando il limite di velocità, piuttosto che pensare che
molte stiano viaggiando contromano). Sei molte persone viaggiano sul lato destro della strada,
probabilmente questo dipende dal fatto che questa azione non è vietata. Dunque la formulazione del
problema indurrebbe le persone a pensare spontaneamente ad una regola falsificata.

Questo è ciò che il modello prevede nel dettaglio:


Nel primo caso (limite di velocità) la maggior parte dei partecipanti giudica che la regola è stata violata e
non falsificata. In questo senso, assume spontaneamente una prospettiva pragmatica rispetto al problema.
Il problema, inquadrato pragmaticamente (ovvero dal punto di vista dell’individuazione dell’infrazione alla
regola sociale) dovrebbe venire risolto più facilmente.
Quali controlli sono essenziali per accertare che la regola sia osservata, ovvero non sia violata?
La carta della super strada e la carta di coloro che viaggiano ad una velocità superiore a 100 km/h (nessuno
di essi dovrebbe viaggiare sulla super strada).
Se ora però alle stesse persone venisse chiesto a quali condizioni la regola risulterebbe falsificata
(prospettiva astratta, non pragmatica), le stesse persone commetterebbero errori.

Questo dovrebbe essere il risultato, ovvero il tipico errore che si compie nel compito di selezione di Wason.
La regola dice che se si viaggia in superstrada non si possono superare i 100 km/h, le persone dunque
tenderebbero a verificare tutti coloro che viaggiano al di sotto dei 100 km/h.
Nella sezione dedicata alla risoluzione dei problemi vedremo che questo tipo di comportamento potrebbe
essere messo in relazione alla cosiddetta “strategia della conferma“, alla quale tendiamo un po’ tutti ad
essere soggetti.

Nel secondo caso (senso di marcia) la maggior parte dei partecipanti giudica che la regola è stata falsificata
(se molte macchine girano contromano, semplicemente quella presunta regola non esiste).
In questo caso, i partecipanti dovrebbero risolvere più facilmente il problema in termini di falsificazione.
A quali condizioni la regola può essere considerata vera?

Affinché la regola sia vera deve essere verificato che nel paese A le macchine viaggino sul lato sinistro e che
chi viaggia sul lato destro non stia guidando nel paese A.
Se ora però alle stesse persone venisse chiesto “a quali condizioni la regola sarebbe violata“, le stesse
persone potrebbero commettere degli errori.

Anche in questo senso dovrebbe essere commesso l’errore tipico, ovvero la verifica della validità della
regola, controllando tutti coloro che la rispettano.

Riassumendo, il compito di selezione di Wason, esattamente come nel sillogismo condizionale, ammette
due conclusioni valide: quella basata sul Modus Ponens e quella basata sul Modus Tollens.
Naturalmente questo rimane vero anche nelle varianti proposte del compito di selezione, prescindere dal
fatto che si parli di violazione o falsificazione.
A quanto pare però, la tendenza generale da parte degli individui sembra essere quella di verificare la
validità della regola ricorrendo non al Modus Tollens, ma preferendo il modo che conferma la regola,
quindi optando per l’Affermazione del Conseguente.
È stato proposto che il modo in cui rappresentiamo il problema influenza il modo in cui cerchiamo di
risolverlo.
Se è un problema viene rappresentato in termini di falsificazione, il formato che favorisce l’individuazione
della risposta giusta è quello che fa riferimento alla falsificazione della regola, ovvero chiedendo al soggetto
se la regola è vera o falsa.
Se invece un problema viene rappresentato in termini di violazione, il formato che favorisce l’individuazione
della risposta giusta è quello che fa riferimento alla violazione della regola, ovvero chiedendo al soggetto se
la regola viene rispettata o violata.

Altra evidenza utile a comprendere come noi tendiamo a rappresentare le argomentazioni logiche,
proviene dallo studio dei cosiddetti “sillogismi lineari“, in cui le premesse fanno riferimento a termini che
possono essere collocati idealmente in una sequenza ordinata, in riferimento a diverse possibili dimensioni
(spaziale: da sinistra a destra; temporale: prima o dopo; dimensione: dal più grande al più piccolo; ecc.).

Esperimento
Ai soggetti viene presentato un testo come questo:
“Anche se i quattro artigiani erano fratelli, e si erano molto diversi rispetto alla loro altezza. L’elettricista
era il più alto, l’idraulico invece era molto più basso di lui. L’idraulico però era più alto del falegname che,
sua volta, era più alto dell’imbianchino”.
Subito dopo la presentazione del testo, i soggetti dovevano rispondere a due diverse tipologie di domanda:
chi è il più alto, l’elettricista o l’imbianchino?
Oppure: chi è il più alto, l’idraulico o il falegname?
Nonostante nel brano sia indicato esplicitamente che l’idraulico è più alto del falegname, le persone
tendono a rispondere più rapidamente alla prima domanda.

Per spiegare questo è stato proposto che i soggetti dispongano gli elementi della scena in ordine di altezza,
in base al quale ordine è più facile confrontare, ovvero individuare, gli estremi.

Il ruolo delle rappresentazioni nei ragionamenti induce ad aprire una parentesi riguardo lo studio delle
immagini mentali, infondo la rappresentazione a cui si fa riferimento non è così diversa dall’immagine
mentale.
Nello studio delle immagini mentali però va sottolineato il fatto che tecnicamente i compiti da eseguire non
sono ragionamenti, ma perlopiù veri e propri compiti percettivi.

Esperimento dell’Isola ideato da Stephen Kosslyn

In una prima fase i soggetti studiano la mappa, cercando di memorizzare tutti i principali punti di
riferimento.
Immaginando poi di partire da una certa posizione, se ne nomina un’altra e si chiede al soggetto di indicare
se quel luogo è presente sull’isola.

I tempi di reazione delle risposte sono direttamente proporzionali alla distanza che separa i punti sulla
mappa.
Questo è compatibile con l’idea che il soggetto, in un certo senso, percorra mentalmente e linearmente lo
spazio che separa i vari punti sull’isola, impiegando più tempo a percorrere distanze maggiori.

Lo studio delle “Rotazioni Mentali”


In questi studi sono state utilizzate sia rappresentazioni di oggetti tridimensionali, che rappresentazioni
bidimensionali di forme astratte

I soggetti dovevano giudicare se varie coppie di stimoli, presentate simultaneamente o in successione,


rappresentavano lo stesso stimolo ruotato. Oppure se, trattandosi di immagini speculari, non avrebbero
mai potuto coincidere, a prescindere da qualunque rotazione.

Anche in questo caso i dati dimostrarono che invariabilmente e sistematicamente i tempi di reazione
aumentavano in misura direttamente proporzionale all’entità della rotazione che doveva essere effettuata,
per accertare la coincidenza delle figure.
A quanto pare i soggetti non sono in grado di confrontare direttamente le due immagini determinando
all’istante se esse coincidono (un computer presumibilmente potrebbe operare in questo modo), per
converso, sembra che i soggetti debbano effettivamente seguire mentalmente tutta la rotazione e di
conseguenza quanto maggiore è l’ampiezza della rotazione in gradi, tanto maggiore sarà il tempo di
risposta.

Nel pensiero visivo tendiamo a rappresentare visivamente il contenuto di un determinato problema o


pensiero.

Di che natura sono le immagini della modalità “pensiero visivo“?

Si tratta di immagini simili a quelle della percezione?

Studiosi come Stephen Kosslyn tenderebbero a rispondere affermativamente.


Ulteriore esperimento che confermerebbe questa idea
Ai soggetti era chiesto di riportare alcune caratteristiche di immagini che venivano presentate, ad esempio
l’immagine di un coniglio.
In alcuni casi veniva loro chiesto di immaginare il coniglio vicino ad un elefante, mentre in altri casi veniva
chiesto di immaginarlo vicino ad una mosca.

Esattamente come avverrebbe nella rappresentazione visiva reale, apparentemente i soggetti non
sembravano in grado di mantenere le dimensioni del coniglio immutate nelle due condizioni, al contrario,
era come se la grandezza del coniglio scalasse rispetto alla grandezza dell’animale di riferimento.
I soggetti erano dunque più bravi a riportare i particolari dell’immagine target quand’era in riferimento ad
un oggetto piccolo, rispetto a quando era in riferimento ad un oggetto più grande.

Ma si possono trovare evidenze che vadano contro l’idea che le nostre immagini mentali riproducano in
tutto e per tutto il formato della percezione visiva.

Possibile esempio

Questa immagine rappresenta la sagoma di un gatto. Se l’immagine mentale fosse uguale all’immagine
visiva, non ci dovrebbero essere problemi nel vedere cosa si troverebbe di fronte alla stessa immagine
ruotata di 180° in senso antiorario.

Questa immagine invece rappresenta una lumaca. Cosa si dovrebbe vedere ruotando l’immagine di 90° in
senso orario?

Questa è la sagoma di un’anatra o papera. In cosa si trasformerà, ruotando anch’essa di 90° in senso orario?

Quest’ultima è un’immagine di un cormorano. Cosa si dovrebbe vedere ruotando l’immagine sempre di 90°
in senso orario?
Ecco ciò che la nostra mente avrebbe dovuto vedere se le nostre immagini mentali avessero le stesse
caratteristiche dei percetti visivi

Il gatto diventa un falco, la lumaca diventa un cavalluccio di mare, la papera si trasforma in un coniglio e il
cormorano diventa uno scoiattolo.

È possibile che alcuni siano riusciti ad eseguire il compito, interpretando correttamente tutte le immagini
ruotate, tuttavia molte persone trovano lo stesso compito difficile e questo è in contrasto con l’idea che le
nostre rappresentazioni mentali siano una versione leggermente meno nitida delle immagini visive
prodotte dalla percezione diretta.

Gli studi riportati finora ci hanno dato degli indizi sul modo in cui noi potremmo tentare di rappresentare
mentalmente le cose, non forniscono ancora una risposta univoca e definitiva sul modo in cui procediamo.
Un modo interessante per rappresentare come le strategie utilizzate dal sistema cognitivo potrebbero
essere molteplici, lo possiamo ricavare dagli studi sulla cosiddetta “fisica ingenua“, che servono anche per
richiamare alla mente le ricerche sulle caratteristiche dei percorsi del What e del Where del sistema visivo.
In quel caso avevamo visto come in alcune circostanze i due percorsi sembra possano operare in modo
relativamente indipendente l’uno dall’altro.

Negli studi sulla cosiddetta “fisica ingenua“ si chiede degli osservatori di descrivere la traiettoria Che
dovrebbe caratterizzare il percorso di determinati oggetti.

Esempi

Quale tra le traiettorie descritte caratterizzerebbe il percorso dell’oggetto lasciato cadere dall’aereo?
Quale tra le traiettorie descritte caratterizzerebbero il percorso dell’oggetto lanciato da questa strana
cerbottana?

Quale tra le traiettorie descritte caratterizzerebbero il percorso dell’oggetto lanciato dal pendolo nel punto
indicato?

Quale tra le traiettorie descritte caratterizzerebbe il percorso dell’oggetto cascato nel vuoto al termine del
suo percorso lungo il muro?

Molti soggetti sbagliano a rappresentare il corretto andamento delle traiettorie, tendendo solitamente ad
enfatizzare il peso della gravità, trascurando il contributo del moto iniziale.

Nel caso della cerbottana a spirale, si attribuisce alla traiettoria dell’oggetto la stessa forma della
cerbottana.

Mentre nella valutazione esplicita di questa traiettoria i soggetti commettono, o possono commettere degli
errori, quando devono interagire pragmaticamente con gli oggetti che vengono lanciati gli stessi soggetti
non mostrano alcun problema nell’afferrarli correttamente.
Oltre che alla distinzione tra i sistemi del What e del Where, per quanto riguarda la rappresentazione della
realtà esterna e la capacità di interagire con essa, questi studi si ricollegano anche alla distinzione tra
processi impliciti ed espliciti, che troveremo ancora parlando dei processi del pensiero collegati alla
formulazione di giudizi e alla presa di decisioni.

Arrivati a questo punto, anche per quanto riguarda il tentativo di individuare i meccanismi sottostanti alla
nostra capacità di ragionare, ci si potrebbe chiedere se è possibile differenziare a livello neurale i
meccanismi attivati nel caso di inferenze deduttive o induttive, oppure nel caso di sillogismi a contenuto
concreto o astratto.

“Nessun fornaio gioca a scacchi. Alcuni giocatori di scacchi ascoltano l’opera. Alcuni ascoltatori d’opera non
sono fornai”
“Alcuni programmatori di computer suonano il pianoforte. Nessun pianista guarda le partite di calcio. Alcuni
programmatori di computer guardano le partite di calcio”

In questo esempio già affrontato venivano comparati ragionamenti deduttivamente validi con
ragionamenti induttivi, in cui le diverse soluzioni potevano essere individuate solo in base a gradi di
probabilità.
L’esperimento mirava proprio a capire cosa accadeva nel cervello in un caso e nell’altro.

Ecco quello che è emerso dalle rilevazioni

Nell’immagine riportata il ragionamento deduttivo è individuato dai marcatori blu, mentre quello induttivo
è associato ai marcatori rossi.
I marcatori rossi, associati al ragionamento induttivo, sono dominanti e maggiormente raggruppati
nell’emisfero sinistro, mentre quelli blu sono distribuiti nell’emisfero destro.
Il dato sembra chiaro, ma come interpretarlo è più difficile.
Se l’emisfero destro è maggiormente coinvolto nel ragionamento deduttivo, si potrebbe far riferimento al
ricorso alla rappresentazione spaziale necessaria per riformulare il problema in termini di diagrammi.
Il problema è che se il soggetto fa ricorso a tale rappresentazione per valutare la validità della conclusione,
non si capisce perché ciò dovrebbe essere vero solo nel caso del ragionamento deduttivo.
Allora si potrebbe pensare che, una volta rappresentato il problema, nel caso del ragionamento induttivo
l’individuo debba fare riferimento a valutazioni che riguardano la probabilità di una certa conclusione,
questo potrebbe caratterizzare in modo più peculiare il contributo dell’emisfero sinistro.
Altro fattore rilevante che avevamo evidenziato nei processi di ragionamento è costituito dal grado di
astrattezza o concretezza del contenuto dell’argomentazione logica.

Coinvolgimento del cervello nel caso di ragionamenti dal contenuto familiare:


“Tutti i cani sono animali. Tutti i barboncini sono cani. Tutti i barboncini sono animali“

Coinvolgimento del cervello nel caso di ragionamenti dal contenuto astratto:


“Tutti i P sono B. Tutti i C sono P. Tutti i C sono B”

Nel primo caso si attiva prevalentemente l’emisfero sinistro, mentre nel secondo si attivano entrambi gli
emisferi.

Esperimento sulla differenza tra sillogismi lineari con materiale concreto e sillogismi lineari con materiale
astratto
“Nancy è più giovane di Karen. Karen è più giovane di Jake. Nancy è più giovane di Jake“

“N è più giovane di K. K è più giovane di J. N è più giovane di J“

Anche in questo caso sembra confermarsi una tendenza verso un maggiore coinvolgimento dell’emisfero
sinistro in presenza di materiale familiare o concreto, mentre l’emisfero destro prevarrebbe nel caso di
materiale più astratto.
Volendo provare a riassumere le evidenze mostrate in modo compatibile con un tipo di ragionamento di cui
ci siamo occupati, potremmo dire:
“L’emisfero destro si attiva in presenza di ragionamenti dal contenuto astratto. L’emisfero destro sarebbe
anche maggiormente coinvolto dai ragionamenti deduttivi. I ragionamenti deduttivi dunque sono
ragionamenti astratti“

Ci sono veramente elementi che possono indurci a ritenere che il ragionamento deduttivo sia effettivamente
più astratto rispetto a quello induttivo?

Il ragionamento non è deduttivamente valido (da confrontare con “tutti gli uomini sono mortali. Socrate è
un uomo. Socrate è mortale“), ma nella scienza, nella stragrande maggioranza dei casi, si predilige il
ragionamento induttivo, in cui le conclusioni non sono sempre necessariamente vere o false, ma hanno
gradi di probabilità differenti.
Non dobbiamo quindi preoccuparci della certezza assoluta della nostra conclusione, ma quanti indizi
abbiamo e quanti altri dovremmo cercarne, per definire la probabilità che la conclusione sia
ragionevolmente verosimile.

A proposito di substrati biologici del ragionamento, ci si potrebbe chiedere se qualche tipo di ragionamento
sia universale: il che farebbe pensare a qualcosa di simile ad una facoltà innata o comunque indipendente
dalle influenze culturali.

Esperimento svolto in una tribù di coltivatori di riso il Liberia, la Kpelle, composta da persone per la maggior
parte analfabete
“Tutti gli uomini nel villaggio Kpelle sono coltivatori. Joe è un uomo di Kpelle. Joe è un coltivatore”
È vera la conclusione?
Spesso i soggetti rispondevano in questo modo: “Non posso rispondere alla domanda perché parlo solo
delle persone che conosco e non conosco questo Joe”.

Gli adulti della tribù Kpelle possiedono la competenza logica per trattare questo tipo di ragionamenti?
Potremmo concludere qualcosa dalla risposta comune?
Chi volesse rispondere affermativamente dovrebbe farlo sulla base della seguente argomentazione:
“Posso parlare solo delle persone che conosco. Non conosco Joe. Non posso parlare di Joe”

Non è facile rispondere in modo inequivocabile alla domanda sull’universalità del ragionamento categorico,
alcuni potrebbero rimanere incerti riguardo alla possibilità che l’argomentazione proposta sia convincente.
Come avrebbe dovuto essere formulato il problema per avere una risposta ancora più convincente?
Bisognerebbe fare riferimento ad un individuo che la persona partecipante conosca bene, a quel punto
magari il problema potrebbe essere formulato così:
“Tutti gli uomini del villaggio Kpelle hanno una pecora. X (conosciuto dal partecipante) è un uomo di
Kpelle. X ha una pecora”
La conclusione è vera?
Se invece di Joe ci fosse un individuo conosciuto e se fosse noto che egli NON possiede una pecora, l’esempio
funzionerebbe?
Nel caso in cui la struttura fosse padroneggiata dal soggetto, richiederebbe una risposta affermativa, ma
probabilmente in questo caso, se fosse noto che l’individuo non possiede una pecora, la risposta sarebbe
negativa.
Tuttavia il soggetto, sapendo che l’individuo da lui conosciuto non possiede una pecora, potrebbe
affermare che non è vera la premessa per cui tutti gli uomini del villaggio hanno una pecora.
Gli studi effettuati fino ad ora non permettono di dare ancora risposte certe a proposito dei substrati
neurali del ragionamento e dell’universalità del sillogismo categorico.
Problem solving
La nostra capacità di risolvere i problemi può essere caratterizzata come un processo di tipo verticale, nel
quale bisogna essere in grado di rappresentare lo stato presente, rappresentare lo stato desiderato e
successivamente verificare l’eventuale discrepanza o concordanza tra stato presente stato desiderato.

In quanti e quali modi tendiamo ad affrontare o risolvere i problemi?


Uno stesso problema può essere affrontato con approcci strategici diversi, d’altra parte è anche vero che il
tipo di strategie con le quali si affronta il problema può dipendere dal tipo di problema.
In questo senso è stata introdotta una distinzione tra problemi “ben definiti“ e problemi “mal definiti“, i
quali possono essere d’aiuto per rendere conto di soluzioni che si basano su procedure “meccaniche“,
rispetto a soluzioni “creative”.

Esempio di problema ben definito:


“Individua un numero che elevato a potenza dia come risultato 512“

Esempio di problema mal definito:


“È giusto essere sinceri se questo danneggia sentimenti di qualcuno?“

La distinzione non verte sul fatto che uno sia un problema corretto, mentre l’altro un falso problema
oppure un problema posto male, la natura delle due tipologie di problemi è intrinsecamente diversa: nella
tipologia dei problemi ben definiti sembra esserci una certezza di pervenire ad una soluzione univoca (o che
comunque esista una soluzione univoca), inoltre sembra anche possibile delimitare in modo abbastanza
chiaro gli ambiti all’interno dei quali cercare la risposta, questa categoria si presta maggiormente ad
innescare processi di soluzione meccanici, ovvero caratterizzati da una sequenza successiva di passaggi e
operazioni. Queste caratteristiche sono invece assenti nei problemi mal definiti, o comunque non li
caratterizzano, per converso questa categoria richiede strategie più estemporanee ed originali.

La distinzione tra strategie “meccaniche” e “creative” è un po’ grossolana, si possono dare caratterizzazioni
migliori in un elenco di principali strategie per risolvere i problemi
-Prove ed errori
-Analogie
-Scoperta di regole
-Creatività

La strategia basata su prove ed errori accompagna qualunque tipo di approccio ad un problema, a meno
che la soluzione non sia ovvia ed immediatamente disponibile.

La strategia basata sulle analogie


“Quanti supermercati alimentari esistono nella tua città?“
Nel tentativo di rispondere alla domanda, di solito si tende a cercare di raffigurare quanti supermercati si
trovano nel proprio quartiere, una volta ricavata una stima grossolana di questo, si tende a provare a
moltiplicare il numero ottenuto per il numero di quartieri della città.
Questo modo di ragionare rappresenta la procedura per analogia: dal conteggio dei supermercati del
proprio quartiere, a quelli dell’intera città.

Esperimento
Ai soggetti veniva presentato questo problema: “problema del tumore maligno allo stomaco da debellare
attraverso l’utilizzo di radiazioni. Si potrebbe intervenire attraverso l’utilizzo di un raggio laser di alta
intensità, che distruggerebbe il tumore ma anche i tessuti sani circostanti.
Tuttavia però, l’utilizzo di un raggio di minore intensità preserverebbe tessuti sani circostanti, ma non
avrebbe alcun effetto sul tumore. Come risolvere il problema?”
La maggior parte dei soggetti non era in grado di proporre la corretta soluzione.

Proviamo quindi ad analizzare se è un’analogia potrebbe aiutare


Ai soggetti veniva presentato il cosiddetto “problema della fortezza”: “un dittatore vive in una fortezza
apparentemente inespugnabile. Tutti gli stretti sentieri del villaggio convergono su di essa. Un ribelle sa che
con il suo esercito riuscirebbe ad espugnare la fortezza, ma il dittatore ha disseminato lungo le strade di
accesso, delle mine che permettono il transito solo a piccoli gruppi di persone. Se l’esercito ribelle provasse
ad assaltare la fortezza da una di quelle strade, salterebbe sicuramente in aria. Il capo dei ribelli decide
dunque di dividere il suo esercito in piccoli gruppi, ciascuno dei quali converge verso la fortezza da ciascuna
delle stradine, in questo modo l’esercito ribelle arriva integro alla fortezza e la conquista”.

Questo esempio, presentato prima del problema del tumore delle radiazioni, aiutava i soggetti a risolverlo?
Nella maggioranza dei casi no: sapreste immaginare come mai?

La rappresentazione mentale di uno stomaco e dei raggi laser è molto diversa da quella di una fortezza,
delle strade che vi convergono e di un esercito. Hanno forme molto diverse tra loro.

Il fatto che una mera esposizione ad un’analogia non aiuti nella soluzione del problema principale,
evidenzia il fatto che il pensiero non è solo costituito da associazioni mentali passive.

Proviamo allora con un altro esempio


A due diversi gruppi venivano presentate due varianti del cosiddetto “problema della lampadina”.
La prima variante era: “una lampadina molto costosa perché emette quantità di luce controllata, non
funziona perché si è rotto il filamento interno. Essendo completamente sigillata, potrebbe essere riparata
dall’esterno facendo fondere le estremità del filamento tramite un raggio laser. Il raggio laser ad alta
intensità romperebbe il vetro della lampadina, mentre ad intensità inferiore non fonderebbe il filamento”.
Veniva poi presentata la soluzione del problema, che consisteva nel posizionare vari raggi laser a bassa
intensità intorno alla lampadina, facendo in modo che essi convergessero sul filamento.
Subito dopo veniva presentato il problema del tumore delle radiazioni.

La seconda variante invece era: “una lampadina molto costosa perché emette quantità di luce controllata,
non funziona perché si è rotto il filamento interno. Essendo completamente sigillata, potrebbe essere
riparata dall’esterno facendo fondere le estremità del filamento tramite un raggio laser. I raggi laser
disponibili emettevano solo fasci a bassa intensità, ciascuno dei quali insufficiente per fondere il filamento“
Di nuovo veniva presentata una soluzione identica alla precedente e subito dopo il problema del tumore.

Quale tra le due versioni del problema della lampadina aiutava i soggetti a risolvere il problema del tumore?
Soltanto la prima versione, ma perché?
Essa preserva la struttura del problema del tumore (laser intenso che danneggerebbe il vetro circostante),
mentre nella seconda variante il problema era inverso (raggio poco intenso che non riuscirebbe a fondere il
filamento).

Dunque non solo la forma, ma anche la struttura delle analogie deve essere simile per aiutare nella
comprensione e soluzione dei problemi.

La strategia basata sulla scoperta di regole


Come nell’approccio ai sillogismi ipotetici, lo studio che ha influenzato in modo marcato questo ambito di
ricerca, è stato ideato e condotto da Peter Wason
Il paradigma dell’esperimento è molto semplice
Ai soggetti veniva presentata la seguente sequenza numerica: “scopri la regola della serie numerica 2-4-6”
Il loro compito consisteva nell’individuare la regola che aveva ispirato la sequenza e per farlo potevano
generare altre triplette di numeri, che fossero state compatibili con la regola che stavano ipotizzando in
quel momento, ricevendo dallo sperimentatore conferma, nel caso in cui la tripletta fosse stata compatibile
con la regola dell’esperimento, oppure un feedback negativo, nel caso in cui la tripletta non fosse stata
compatibile con essa.
Dopo un certo numero di verifiche effettuate in questo modo, quando i soggetti ritenevano di aver
accumulato evidenze sufficienti a formulare una proposta di soluzione definitiva, potevano esplicitarla allo
sperimentatore, il quale naturalmente poteva rispondere in modo affermativo o negativo.
In alcune varianti l’esperimento poteva concludersi qui, in altre l’esperimento poteva proseguire, nel caso
in cui il soggetto doveva ricominciare da capo valutando ipotesi diverse.
In questo modo è possibile evidenziare quali sono le strategie che utilizzano i soggetti per arrivare a
scoprire la regola sottostante alla sequenza di numeri presentata.

Si è potuto così evidenziare che la strategia che più frequentemente viene messa in atto è quella che è stata
definita “strategia della conferma“, che consiste nei seguenti passaggi:
1)Si assume che l’ipotesi da cui si parte sia corretta
2)Si certa una tripletta di numeri che sia coerente con l’ipotesi
3)Si valuta se il responso ricevuto dallo sperimentatore sia positivo o negativo
Se il feedback è positivo, allora l’ipotesi potrebbe essere interpretata come corretta (lo diventa senz’altro
dopo un certo numero di conferme) e si produce di conseguenza un’altra tripletta che rispetti quella regola.
Se il feedback è negativo, bisogna modificare la regola o trovarne un’altra, ma procedendo nello stesso
modo: generata un’ipotesi si producono triplette compatibili con essa e se il feedback è positivo, si
continua nella stessa direzione.

Esempio
1)Numeri crescenti aggiungendo 2
2)8-10-12
Feedback: si
Si può andare avanti indefinitamente cercando conferme l’ipotesi
2)100-102-104
1026-1028-1030
Poiché i feedback continuerebbero ad essere positivi, si potrebbe essere indotti a concludere che la regola
sia stata individuata

Feedback: no
Si cerca di modificare o trovare una nuova ipotesi
1)Il secondo numero è il doppio del primo ed il terzo è la somma dei primi due
2)12-24-36
100-200-300
800-1600-2400
Feedback: si
Dopo un certo numero di conferme si formula la regola immaginata, ma la risposta dello sperimentatore
potrebbe essere negativa.
Questo significa che, mentre tutte le triplette sono compatibili con la regola, essa non coincide con quella
corretta.

Una possibile alternativa per risolvere il problema potrebbe consistere nella cosiddetta “strategia
controfattuale“, che consiste in questo:
1)Assumere che l’ipotesi da cui si parte sia sbagliata
2)Si cerca un’ipotesi alternativa
3)Si genera una tripletta compatibile con la seconda ipotesi
4)Si valuta il feedback
Se il responso dovesse essere positivo, si capirebbe fin da subito che la prima ipotesi era sbagliata, senza
necessità di sottoporla a ridondanti prove, ma si capirebbe anche che la seconda ipotesi potrebbe essere
plausibile.
Si ritorna dunque al primo passaggio:
1)Si assume che la seconda ipotesi sia errata
2)Si cerca una nuova ipotesi
3)Si generano triplette compatibili con quest’ultima alternativa
In caso di feedback positivo, si escluderebbe subito l’ipotesi precedente

Se invece la prima risposta dello sperimentatore dovesse essere negativa, si potrebbe dedurre che la prima
ipotesi generata sia plausibile e si procede nuovamente in modo analogo.

Esempio
1)Numeri crescenti aggiungendo 2
Assumo che sia sbagliata
2)Ipotesi alternativa: numeri crescenti, moltiplicati per 2 (1x2; 2x2; 3x2)
3)18-20-22 (9x2; 10x2; 11x2)
Feedback: si
In un singolo passaggio abbiamo appreso che l’ipotesi da cui abbiamo iniziato la verifica era sbagliata.
1)Assumo che la seconda ipotesi sia sbagliata
2)Ipotesi alternativa (ipotesi più generica): numeri pari crescenti
3)30-80-120
Feedback: si
Di nuovo in un singolo passaggio abbiamo appreso che l’ipotesi con cui abbiamo iniziato l’attuale verifica
era sbagliata.
1)Numeri pari crescenti assumo che sia sbagliata
2)Ipotesi alternativa: numeri dispari (facciamo finta di non accorgerci che non possa essere associata alla
sequenza di partenza)
3)15-25-57
Feedback: si
E si continua sempre allo stesso modo.

Analogie e differenze tra strategia della conferma e strategia controfattuale:


La seconda cerca in partenza di falsificare l’ipotesi iniziale, generando fin dal primo momento un’ipotesi
alternativa. Analoga alla strategia della conferma è però la produzione di triplette che corrispondano
all’ultima ipotesi fatta.
Un’ultima alternativa (ed anche quella più corretta) è quella della “strategia di disconferma o
falsificazione”, la quale coglie gli elementi positivi della strategia controfattuale, senza però contaminarla
con residui di strategia della conferma. Si procede in questo modo:
1)Si assume che la prima ipotesi sia corretta
2)Si genera una tripletta incoerente con l’ipotesi (senza però preoccuparsi di generare fin da subito
un’ipotesi aderente alla tripletta)
3)Si valuta il feedback
Se la risposta è negativa, allora l’ipotesi potrebbe essere vera e si potrebbe proporla allo sperimentatore o
continuare a testarla con altre triplette incoerenti.
Se la risposta è positiva, fin da subito sappiamo che l’ipotesi è errata, in tal caso si genera una nuova ipotesi
e la si prova con triplette incoerenti.

Esempio
1)Numeri crescenti aggiungendo 2
Assumo che sia corretta
2)Generi direttamente una tripletta che possa confutarla, senza preoccuparmi di farla corrispondere a
qualche specifica ipotesi
4-8-16
Feedback: si
1)Si genera un’altra ipotesi
Numeri pari, assumo che sia corretta
2)Genero una tripletta incoerente
15-25-73
Feedback: si
Ora sappiamo che non si tratta né di numeri pari né di numeri dispari
1)Numeri crescenti
2)40-35-20
Feedback: no

Ora dunque, quale è la vera regola sottostante la tripletta creata da Wason?


Effettivamente la regola era fatta apposta per trarre in inganno tutti, essendo la più generica e banale di
tutte quelle immaginabili, per l’appunto, semplicemente numeri crescenti.

La strategia della falsificazione corrisponde al Modus Tollens e troviamo di nuovo ora una conferma del
fatto che nella quotidianità gli individui non abbiano famigliarità con questo modo e dunque non tendano
ad adottarlo spontaneamente.
La strategia della falsificazione, oltre che essere la più corretta, è anche quella che ci fa risparmiare più
tempo rispetto alle altre. Evita, come la strategia delle conferme, la ridondanza, ma rispetto alla strategia
confrofattuale, evita anche la necessità di individuare in anticipo un’ipotesi alternativa a quella generata,
tentando poi di confermarla.

I soggetti solitamente tentano di creare un compromesso tra la strategia di conferma e quella


controfattuale. Di volta in volta cambiano le possibili ipotesi, ma la tripletta che ne consegue tende sempre
a confermarla, non a falsificarla.
A volte però vengono generate triplette che possono essere interpretate sia come conferma diretta
dell’ipotesi pensata, sia come verifica di un’ipotesi alternativa: per esempio l’ipotesi “qualsiasi numero”
può portare a generare una tripletta come “2-3-4”, la quale è compatibile sia con l’ipotesi “qualsiasi
numero”, che anche con l’ipotesi “qualsiasi numero in ordine crescente”. Un altro esempio potrebbe essere
l’ipotesi “qualsiasi ordine”, che potrebbe portare a generare una tripletta come “4-3-2”, che potrebbe
essere compatibile sia con “qualsiasi ordine” che con “ordine decrescente”.
Gli individui hanno la tendenza a cercare conferme alle proprie ipotesi, invece che falsificazioni. Tuttavia
questo non rende inutili o superficiali gli studi scientifici, poiché molte volte ipotesi generate inizialmente
possono essere estremamente generiche e potrebbe essere utile trovare delle possibili conferme ad esse,
anzi, trovare delle possibili conferme può aiutare lo sperimentatore a conoscere meglio l’ipotesi, capirne le
sue implicazioni e renderla più definita, in questo senso, un’ipotesi più definita è un migliore spunto da cui
partire, rispetto ad un’ipotesi più generica.
Ad ogni modo, nella valutazione di un’ipotesi scientifica, è molto più affidabile una teoria che nel tempo ha
resistito a tutti i possibili tentativi di falsificazione, rispetto ad una teoria che nel tempo ha ricevuto solo
tentativi di conferma.

I casi di cui abbiamo parlato finora sono più compatibili con le strategie di soluzione “meccaniche“
(tenendo bene a mente che questa è una distinzione grossolana), vediamo dunque ora le strategie che
richiedono soluzioni creative
Originariamente questa strategia è stata studiata più approfonditamente dagli psicologi della Gestalt, che
avevano coniato l’espressione “pensiero produttivo“ per caratterizzare questo tipo di processo.

Uno dei concetti chiave è quello di “ristrutturazione del campo“


Esperimento della “doppia corda”
Il soggetto è in una stanza dove dal soffitto prendono due corde, tra loro distanziate in modo che sia
impossibile tenerle entrambe nelle due mani semplicemente distanziando le braccia.
Come riuscire a farlo?
Nella stanza sono presenti anche una sedia e qualche altro oggetto casuale. All’inizio il soggetto procederà
per prove ed errori, proverà a prendere una corda cercando di avvicinarsi più possibile all’altra, proverà a
salire sulla sedia, ecc, ma ciò che caratterizza peculiarmente il pensiero produttivo e connota in modo
evidente il concetto di ristrutturazione del campo, è che la soluzione arriva all’improvviso e consiste
nell’improvvisa comprensione che la soluzione si consegue cambiando completamente la prospettiva dalla
quale gli oggetti ordinari presenti nella stanza possono essere inquadrati. Ad esempio, nella prospettiva
ordinaria, un martello serve per battere e piantare i chiodi nel muro, ma all’improvviso ci si rende conto che
lo stesso martello può svolgere nella situazione attuale un ruolo del tutto diverso, ad esempio quello di un
peso che, attaccato ad una delle due corde, può farla oscillare con movimento pendolare, in modo che il
soggetto possa afferrarla con una mano, mentre con l’altra aveva già affermato l’altra corda.

L’altro concetto essenziale è quello di “insight”, una sorta di illuminazione interna che rappresenta la
metafora di una lampadina che si accende all’improvviso e permette immediatamente di fare chiarezza
sulle cose.

Esempio

Un rettangolo è inscritto in un quadrante di cerchio come mostrato in figura. Determinate con esattezza la
lunghezza della diagonale AC, sapendo che il cerchio ha raggio unitario.
In questo caso in cosa consiste l’improvvisa illuminazione?
Nel realizzare che la diagonale AC del rettangolo inscritto è esattamente uguale alla diagonale BD, poiché
essa corrisponde al raggio del cerchio, ecco che il problema fornisce esso stesso la sua soluzione.
Esempio

A Knut vengono dati tre pezzi di una catena, ognuno di questi pezzi è formato da tre anelli. Il compito è di
unire insieme gli anelli in una singola catena, sapendo che Knut ha a disposizione soltanto 15 centesimi. Per
aprire un anello il costo è di 2 centesimi, per chiudere l’anello aperto il costo è di 3 centesimi.
Cosa dovrebbe fare Knut?

Soluzione:

La creatività del pensiero produttivo non si basa però solo sulla percezione visiva e geometrica, molte
battute sarcastiche all’interno del linguaggio sono date proprio da questo tipo di pensiero.

Esempio
“Cosa pensi del sesso prima del matrimonio?”
“Che mi fa arrivare tardi alla cerimonia”
Woody Allen

L’esempio fa sorridere perché si prende gioco delle nostre aspettative: la prima frase ci induce a pensare ad
una certa problematica, mentre la seconda ci mostra maliziosamente un’interpretazione del tutto diversa.

Questo conferma dunque che la creatività non si applica solo ad una modalità percettiva, ma anche a
contesti diversi, come quello linguistico.

Flessibilità ed interscambio tra strategie e tipi di problemi: il problema di chi mente e chi dice la verità
Queste strategie possono modificarsi nel corso del tempo in base alla pratica e alle conoscenze del
soggetto.

Esempio
Chi tra gli indiziati dice la verità?

Tommaso: “Anna ha mentito quando ha detto che sono stato io“


Bernardo: “Anna ha commesso il reato“
Giovanni: “io non l’ho commesso”
Anna: “l’ha commesso Tommaso“

Solo uno dice la verità, ma come fare per scoprirlo?


Prima strategia: considerare vera una frase qualunque e procedere di conseguenza sistematicamente,
ovvero considerare di volta in volta vera una sola frase e false tutte le altre.

Si considera vera la frase di Anna e si inizia ad indicare come false le altre a partire dall’alto: Tommaso dice
una bugia, Tommaso è il colpevole. Bernardo dice una bugia, Anna è innocente. Giovanni dice una bugia, è
lui il colpevole. Anna dice la verità, è Tommaso il colpevole.
L’enigma non è stato risolto perché risultano due colpevoli.

Si considera vera la frase di Giovanni: Tommaso dice una bugia, Tommaso è il colpevole. Bernardo dice una
bugia, Anna è innocente. Giovanni dice la verità, Giovanni è innocente. Anna dice una bugia, Tommaso è
innocente.
Anche questa volta l’enigma non è risolto, Tommaso è sia innocente che colpevole.

Si considera vera la frase di Bernardo: Tommaso dice una bugia, Tommaso è colpevole. Bernardo dice la
verità, Anna è colpevole. Giovanni dice una bugia, Giovanni è il colpevole. Anna dice una bugia, Tommaso è
innocente.
Di nuovo, Tommaso risulta sia colpevole che innocente e risultano colpevoli anche Anna e Giovanni.

Si considera vera la frase di Tommaso: Tommaso dice la verità, Tommaso è innocente. Bernardo dice una
bugia, Anna è innocente. Giovanni dice una bugia, Giovanni è il colpevole. Anna dice una bugia, Tommaso è
innocente.
Questa è la soluzione, ad essere colpevole è Giovanni.

Seconda strategia: considerare un indiziato qualunque colpevole e valutare la veridicità delle affermazioni
di conseguenza

Tommaso presunto colpevole: Tommaso dice una bugia. Bernardo dice una bugia. Giovanni ed Anna dicono
la verità.
Non si è individuato il colpevole.

Bernardo presunto colpevole: Tommaso dice la verità. Bernardo dice una bugia. Giovanni dice la verità.
Anna dice una bugia.
Non si è individuato il colpevole.

E così via per i seguenti...

Terza strategia: identificare le incongruenze semantiche (se due affermazioni si contraddicono, una deve
essere vera e l’altra falsa)

Tommaso e Anna si contraddicono a vicenda, prendiamo per vera l’affermazione di Anna, tutti gli altri
dicono una bugia: Tommaso dice una bugia, Tommaso è il colpevole. Bernardo dice una bugia, Anna è
innocente. Giovanni dice una bugia, è lui il colpevole. Anna dice la verità, è Tommaso il colpevole.
L’enigma non è stato risolto perché risultano due colpevoli.

Prendiamo per vera l’affermazione di Tommaso: Tommaso dice la verità, Tommaso è innocente. Bernardo
dice una bugia, Anna è innocente. Giovanni dice una bugia, Giovanni è il colpevole. Anna dice una bugia,
Tommaso è innocente.
Questa è la soluzione, ad essere colpevole è Giovanni.
Quest’ultima è in pratica una variante più efficace del primo metodo: nella scelta di una frase da cui partire
non si procede a caso ma individuando una contraddizione, che riduce il numero di alternative da testare (in
base al principio di contraddizione).

Il tipo di procedura che si adotta non è dettata esclusivamente dal problema (ad esempio se si tratta di un
problema ben definito o mal definito), altri fattori che influiscono sono le esperienze pregresse e le
competenze dell’individuo. Nel caso preso in considerazione ad esempio, è chiaro che il terzo percorso
necessita di conoscenze di base logica.

Riassumendo: in genere, quando non si ha esperienza con un tipo di problema, si procede in modo
meccanico, un passo alla volta, se non altro per capire di cosa si tratti. Quelli più esperti (o più “portati“
verso quel tipo di dimensione) strutturano lo spazio del problema in modo più coerente e sistematico.
Questo mostra come la facoltà del “pensare“ interagisca con l’organizzazione delle conoscenze pregresse.
Quanto detto si collega direttamente alla capacità di “rappresentare“ un problema, che costituisce una
sorta di minimo comune denominatore nel percorso verso la soluzione dei problemi, dato che si applica sia
alle strategie “meccaniche“ che a quelle “creative“.
Nel caso dei problemi “ben definiti”, il contributo della creatività riguarda soprattutto la scelta del tipo di
strategia o rappresentazione da adottare. Nel caso dei problemi “mal definiti”, il contributo della creatività
riguarda più direttamente il reperimento della soluzione finale.

La differenziazione delle varie componenti è utile a comprenderne le caratteristiche, ma nella quotidianità


tutte queste componenti è facile che si sovrappongano.

Esempio
un monaco eremita parte all’alba del giorno uno, per raggiungere un monastero sulla sommità di una salita.
Raggiunge la vetta alle 18 dello stesso giorno, giusto in tempo per dedicarsi alla pratica della meditazione
davanti al tramonto. Il resto della notte viene trascorsa a riposare nel monastero. All’alba del giorno
successivo, esattamente alla stessa ora in cui era partito il giorno precedente, il monaco si rimette in
viaggio per tornare al suo eremo. In questo caso il percorso sarà in discesa e quindi il viaggio di ritorno
dovrebbe essere un po’ più breve.
Volendo si possono rappresentare i due percorsi attraverso una rappresentazione grafica

C’è un luogo, lungo il percorso, in cui il monaco è stato nello stesso istante in entrambi i giorni?
In prima istanza questo problema sembrerebbe avere tutte le caratteristiche di un problema “ben definito“.
Ci si immagina subito di dover calcolare il rapporto tra la distanza percorsa e la velocità dell’andatura. In
realtà nessuna di queste informazioni è fornita nel problema e dunque esse non possono entrare in gioco.
Prima o poi ci si rende conto che deve cambiare la prospettiva dalla quale visualizziamo il problema.
Chi risolve il problema lo risolve probabilmente in un momento di insight.
La rappresentazione grafica può essere utile, infatti sovrapponendo i diagrammi otteniamo
inequivocabilmente la risposta che ci veniva richiesta.
Formulare giudizi
A differenza del problem solving, identificato come struttura verticale, la formulazione di giudizi potrebbe
essere vista come una struttura orizzontale, in cui vengono ponderati i pro e i contro di una determinata
situazione.
La formulazione di giudizi richiede l’attribuzione di uno specifico valore ad un particolare oggetto, fatto o
evento. Giudicare implica la capacità di inserire l’elemento da valutare in un contesto di riferimento più
ampio che conferisca a quel particolare elemento un valore specifico. Curiosamente, a dispetto del fatto
che molti testi non dedichino uno specifico capitolo a questo argomento, si tratta di uno dei temi legati al
pensiero che ha prodotto risultati più interessanti dal punto di vista dell’individuazione dei possibili
substrati neurali.
Il filone di ricerca che ha maggiormente contribuito alla scoperta di queste caratteristiche, è quello che
riguarda gli studi sul “giudizio morale“.

L’esempio più utilizzato è quello del “problema del carrello“

1)Prima versione (figura 2)


Si chiede al soggetto di immaginare una situazione in cui lui si trova collocato su una passerella, dalla quale
può osservare un treno in avvicinamento sul binario. Accanto a lui c’è un uomo molto corpulento,
appoggiato sul parapetto della stessa passerella. Voltandosi dall’altra parte il soggetto si rende conto che
sul binario del treno vi sono cinque operai in pausa dal lavoro, probabilmente distratti. In una frazione di
secondo il soggetto realizza che sta per accadere una tragedia: il treno viaggia ad una velocità troppo
sostenuta per pensare che possa fermarsi in tempo ed i cinque operai sono completamente ignari del
pericolo. Nello stesso istante il soggetto realizza che l’unico modo per fermare la folle corsa del treno
sarebbe quello di spingere giù dalla passerella l’uomo corpulento: cadendo sul binario la sua stazza
riuscirebbe a fermare la corsa del treno.
La domanda che ora veniva posta al soggetto era: “nel tentativo di salvare la vita di cinque uomini, riterresti
morale spingere l’uomo giù dalla passerella?“
Come si vede dei dati riportati nell’immagine, la percentuale di persone che rispondevano
affermativamente era molto bassa.

2)Seconda versione (figura 1)


Il treno viaggia sullo stesso binario dove sono collocati gli stessi cinque operai, il soggetto però in questo
caso deve immaginare di trovarsi vicino ad uno scambio ferroviario, azionando il quale, il treno potrebbe
essere deviato su un binario secondario, dove si trova un altro ignaro operaio, anche lui in pausa.
“Giudicheresti morale azionare lo scambio, sacrificando una persona per salvarne cinque?“
In questo caso la percentuale di risposte affermative è molto più elevata.
3)Terza versione (figura 3)
La differenza dalla versione precedente è che il binario secondario si ricollegherebbe a quello primario, sul
secondario però si troverebbe un uomo corpulento in grado di fermare la corsa del treno e permettere agli
altri operai di mettersi in salvo.
“Giudicheresti morale azionare lo scambio, sacrificando una persona per salvarne cinque?“

4)Quarta e ultima versione (figura 4)


Sul binario secondario è collocato un grosso masso che sicuramente bloccherebbe la corsa del treno, su di
esso però è poggiato ignaro l’uomo corpulento che sta riposando.
“Giudicheresti morale azionare lo scambio, sacrificando una persona per salvarne cinque?“

Anche in questi ultimi due casi possiamo osservare la percentuale di risposte affermative dalle immagini.
La cosa curiosa è che, mentre nelle prime due versioni i soggetti sono in grado di giustificare le loro scelte, in
molti casi questo non accade nel confronto tra la terza e la quarta versione.

Questi esempi di studi sui “giudizi morali“ indicano che, nel caso della passerella, pochissime persone
scelgono di spingere l’uomo giù per salvare la vita dei cinque operai, ma se si tratta di operare la stessa
scelta attraverso l’azionamento di una leva, la percentuale di persone che ritiene lecito sacrificare una vita
per salvarne cinque, aumenta nettamente.
Nelle ultime due versioni la percentuale di persone che ritiene sia lecito sacrificare questa vita, aumenta se
l’uomo è appoggiato ad un masso, eppure molti individui non sono in grado di giustificare esplicitamente la
loro scelta.

Fattori che possono determinare e giustificare un giudizio morale:


1)Coinvolgimento personale (non è lecito provocare direttamente un danno ad un altro individuo)
Questa regola spiega il fatto che la maggioranza degli individui non ritenga lecito spingere l’uomo giù dalla
passerella, anche se questo salverebbe la vita di altre cinque persone, poiché richiederebbe un
coinvolgimento personale.
2)Nocumento intenzionale (non è lecito provocare intenzionalmente un danno ad un altro individuo)
Questa regola spiega perché alcuni dubitino anche di fronte alla possibilità di azionare lo scambio, in base al
principio per il quale bisognerebbe evitare di provocare intenzionalmente un danno ad un altro individuo.
3)Conseguenze indirette (è opportuno evitare che le nostre azioni arrechino danno al prossimo anche in
modo indiretto ed involontario)
Questa regola è molto più sottile rispetto alle altre due e spiegherebbe il motivo per cui molti individui
preferiscono azionare lo scambio quando sul binario secondario vi è un masso, rispetto a quando su di esso
vi è l’uomo corpulento, anche se in entrambi i casi il risultato sarebbe lo stesso, sacrificare una vita per
salvarne altre cinque.
Quando si aziona la leva per indirizzare il treno sul binario con l’uomo corpulento, si sta infrangendo la
seconda regola (quella del nocumento intenzionale), mentre quando si aziona la leva per dirigere il treno
contro la roccia, si sta infrangendo la terza regola, che però è meno grave rispetto alla seconda. Gli individui
si comportano in modo coerente con questa gradazione, ma il dato interessante è che spesso lo fanno
senza rendersi conto del loro grado di giudizio.

-Gli individui variano tra loro rispetto a ciò che ritengono lecito individualmente. Alcuni sarebbero disposti a
gettare giù dalla passerella l’uomo corpulento, altri non sarebbero disposti ad intervenire in nessuno dei
casi.
Cosa avviene nel cervello di chi opera l’una o l’altra scelta?

-Il fatto che non tutti sono in grado di giustificare le proprie scelte, introduce la distinzione tra processi
espliciti e processi impliciti.

Per comprendere meglio le implicazioni a livello neurale riguardo gli studi sui giudizi morali, conviene
partire da un famoso caso, avvenuto nel secolo scorso e ristudiato recentemente da Antonio Damasio ed i
suoi collaboratori.

L’incredibile caso di Phineas Gage


Phineas Gage lavorava nelle ferrovie (questa è solo una coincidenza, non vi è nessun rapporto diretto tra
questo caso ed il problema del carrello) e verso la metà dell’ottocento era impegnato nella costruzione di
una strada ferrata, quando una carica di esplosivo accidentalmente innescata, causò il lancio di una sbarra
metallica. L’individuo ha perso così l’occhio sinistro, ciò è dipeso dal fatto che la sbarra ha attraversato il
cranio di Phineas in questo modo

Sembra che la sbarra abbia distrutto quella parte del cervello anteriore denominata “corteccia prefrontale
ventromediale”.
Il fatto che l’uomo sia sopravvissuto all’incidente può essere considerato quasi un miracolo, sta di fatto che
questo ha permesso agli studiosi di ritornare sul caso per individuare e classificare i comportamenti di
Phineas dopo l’incidente, in relazione ai distretti neurali compromessi.
A dispetto della compromissione neurale, i comportamenti dell’uomo erano assolutamente singolari:
invece che una marcata perdita di una qualche funzione cognitiva ben definita, come sarebbe potuto
accadere nella compromissione del linguaggio o della memoria, egli sembrava mostrare un’alterazione
nella capacità di gestire e graduare il comportamento in risposta a contesti sociali. Egli era sostanzialmente
diventato inaffidabile nella capacità di tener fede agli impegni. Ciò lo costrinse a cambiare molti lavori,
anche perché, a causa dell’assenza di deficit conclamati, molti pensavano che egli fosse un simulatore e che
adducesse come scusa delle sue inadempienze l’incidente avvenuto.

Damasio e i colleghi avevano ritenuto che la corteccia ventromediale potesse essere coinvolta nella
regolazione di alcuni comportamenti sociali, in particolare quelli legati alla valutazione delle conseguenze di
alcune azioni.

Cosa è dunque stato osservato e scoperto in riferimento al problema del carrello?


Quei pochi soggetti che ritengono lecito spingere l’uomo giù dalla passerella, registrano un’inibizione della
corteccia prefrontale ventromediale (VMPFC), abbinata ad una concomitante attivazione della corteccia
prefrontale dorsolaterale (DLPFC). Questo andamento sembra coerente con quanto osservato riguardo
l’azione della corteccia prefrontale ventromediale: la conseguenza di spingere l’uomo giù dalla passerella
potrebbe essere associata a possibili rimorsi o sensi di colpa, ma se la corteccia prefrontale ventromediale
interviene nella nostra capacità di riconoscere le conseguenze delle nostre azioni, una sua disattivazione
potrebbe spiegare un minor scrupolo da parte dei soggetti che decidono di spingere l’uomo. Allo stesso
tempo la corteccia prefrontale dorsolaterale è un’area deputata al ragionamento razionale, una sua
attivazione dunque potrebbe farci ritenere che la stima razionale di sacrificare un uomo per salvarne cinque
potrebbe intervenire nella risoluzione del dilemma.

Il profilo neurale di coloro che non ritengono lecito spingere l’uomo tende a mostrare un andamento
inverso: mentre si attiva la corteccia prefrontale ventromediale, quella dorsolaterale tende ad inibirsi.

DLPFC

VMPFC

Nei soggetti che decidono di azionare la leva dello scambio si registra una marcata attivazione
dell’amigdala, collegata al sistema limbico e coinvolta nell’elaborazione e reazione a stimoli a valenza
emozionale, con particolare riferimento ad emozioni negative. L’attivazione di un’area si abbina alla
disattivazione di un’altra, in questo caso la corteccia prefrontale mediale (MPFC).
Nuovamente si mostra una relazione tra un distretto neurale predisposto all’attivazione emozionale delle
nostre azioni e un distretto neurale che sembra maggiormente adibito a valutazioni di tipo razionale.
Sembra infatti evidente che alla base di questi dilemmi vi siano componenti sia di natura prettamente
aritmetica, che di natura emozionale.
MPFC

Amigdala

I soggetti che sembrano rimanere indecisi ed incerti di fronte al dilemma, mostrano un coinvolgimento
particolare della corteccia cingolata, ma questo dato è marginale per gli aspetti che stiamo studiando.

Giro del Cingolo

Il comportamento dei soggetti che decidono di spingere la persona sembra ragionevolmente coerente con
il profilo neurale sottostante: maggiore attivazione di un distretto neurale presumibilmente coinvolto nella
valutazione razionale dello scenario, abbinata ad una minore attivazione di un distretto invece coinvolto
nella valutazione emozionale di un certo comportamento.
Un analogo “interfacciamento“ sembra riproporsi anche nella versione del dilemma in cui si può agire sulla
leva dello scambio ferroviario.
Un possibile quesito interessante a questo proposito concerne la possibile differenza tra le aree prefrontali
rilevate nelle due versioni del dilemma: se la corteccia prefrontale mediale e la corteccia prefrontale
dorsolaterale contribuiscono entrambe alla componente razionale del dilemma legata al vantaggio sociale
di salvare cinque vite al prezzo di una, cosa giustificherebbe il diverso coinvolgimento delle due aree nelle
due versioni del dilemma?

In ogni caso, più problematico o interessante (a seconda delle prospettive), risulta il quadro interpretativo
della versione del dilemma dove si può agire sulla leva dello scambio.
Quando si aziona lo scambio si osserva un’attivazione dell’amigdala ed una concomitante inibizione della
corteccia mediale prefrontale. Quindi come va interpretato questo dato? L’attivazione dell’amigdala
suggerirebbe un coinvolgimento emotivo da parte del soggetto che adotta questa soluzione (come a dire
“lo faccio anche se mi dispiace“). Presentata così, la scelta dovrebbe essere interpretata come una scelta
basata su una strategia completamente razionale: ma allora come interpretare l’inibizione della corteccia
mediale prefrontale?
Allora si potrebbe dire: l’inibizione di un’area frontale in concomitanza con l’attivazione dell’amigdala
suggerisce che la scelta di azionare lo scambio avviene su base puramente emotiva o irrazionale.
Ma questa soluzione appare convincente?
I soggetti sembrano consapevoli delle ragioni per le quali decidono di azionare lo scambio. Inoltre il caso più
coinvolgente dal punto di vista emotivo sembra essere quello della passerella, non quello dello scambio.
Le domande che più interessano gli studiosi sono queste:
Quando bisogna formulare giudizi che riguardano l’etica, ovvero ciò che è bene e ciò che è male, prevale
una componente emotiva o razionale nella valutazione della situazione?
È possibile o giustificato ritenere che in un contesto così importante e delicato della nostra vita, i nostri
giudizi potrebbero essere basati su processi preminentemente irrazionali, emotivi e impliciti?
Ciò che rappresenta il nostro vissuto emozionale, deve essere considerato parte della nostra cognizione e dei
nostri processi razionali o costituisce invece un percorso separato, parallelo e indipendente?

Il gruppo di Damasio ha studiato approfonditamente la corteccia ventromediale allo scopo di


comprenderne la funzione, a questo proposito è stato sviluppato un compito specificatamente studiato,
noto come l’IOWA Gambling Task.

4 mazzi di carte da 40 carte ciascuno.


Per ogni carta di ciascun mazzo c’è una vincita certa e una possibile perdita, la vincita è costante, mentre la
perdita varia di entità e di frequenza.
Due mazzi sono definiti “buoni“, mentre gli altri due sono definiti “cattivi“.
Il compito dei soggetti consiste nel cercare di vincere la somma più ingente possibile, il gioco si interrompe
dopo 100 estrazioni.
Nei due mazzi buoni alla fine si vincono €250, mentre in quelli cattivi si perdono €250. Nei mazzi buoni le
vincite sono piccole e poco appariscenti, mentre in quelli cattivi le vincite sono più ingenti, ma le perdite più
cospicue.

I due mazzi buoni sono così costituiti: ogni carta voltata comporta una vincita di €50, corrispondente ad una
vincita di €500 ogni 10 carte voltate. In uno dei mazzi buoni alla frequenza di 1 ogni 10 carte, c’è una carta
in cui, accanto alla vincita, è associata anche una perdita unica da €250. Nel secondo mazzo buono alla
frequenza di 1 carta ogni 2, accanto alla vincita può essere abbinata anche una perdita di entità variabile da
€25 a €75. In entrambi i mazzi, in media ogni 10 carte si vincono €500 e si perdono €250, con un guadagno
medio complessivo di €250.

I due mazzi cattivi sono invece costituiti così: ogni carta voltata comporta una vincita di €100, ovvero €1000
ogni 10 carte voltate. In uno dei mazzi cattivi, alla frequenza di 1 ogni 10 carte, c’è una carta in cui, accanto
alla vincita, è associata una perdita unica da €1250. Il secondo mazzo cattivo, alla frequenza di 1 carta ogni
2, accanto alla vincita può essere abbinata anche una perdita di entità variabile da €150 a €350. In entrambi
i mazzi, in media ogni 10 carte si vincono €1000 e si perdono €1250, con una perdita media complessiva di
€250.
Queste sono le risposte del gruppo di controllo e del gruppo di coloro che presentano lesioni alla corteccia
prefrontale ventromediale.

I soggetti normali mostrano una prevalenza iniziale per i mazzi cattivi, i quali attirano di più per via delle
loro vincite apparentemente più ingenti, ma già tra la ventesima e la quarantesima estrazione, l’andamento
si rovescia e i soggetti mostrano una preferenza per i mazzi buoni, che si mantiene fino alla fine.
Per converso, i soggetti con lesioni non riescono a modificare il loro comportamento a seguito delle
conseguenze negative delle loro scelte, essi dunque continuano a perseverare nella scelta dei mazzi cattivi,
attratti dalla frequenza delle vincite, ma senza la capacità di compensare questo con il confuto delle perdite
più ingenti, ma anche più occasionali.

Queste sono le risposte autonomiche dei due gruppi sperimentali, in particolare veniva registrata la
risposta di conduttanza cutanea (variazione delle caratteristiche elettriche della pelle, come la variazione
della sudorazione), che precedeva ogni scelta di carta.

Mentre nei soggetti normali (barre grigie) è evidente che la risposta autonomica, normalmente associata ad
attivazione e allarme, è molto più elevava in associazione a scelte all’interno dei mazzi cattivi, tale
modulazione era del tutto assente nei soggetti con compromissioni alla corteccia prefrontale
ventromediale (barre nere).
Questo grafico mostra la modulazione della risposta autonomica in funzione del tempo, ovvero del numero
di carte scelte.

Nei soggetti normali all’inizio dell’esperimento la risposta autonomica appare incondizionata, tuttavia nel
momento in cui iniziano ad invertire la loro preferenza (da mazzi cattivi a mazzi buoni) le risposte
anticipatorie iniziano a divenire più intense in corrispondenza delle scelte relative ai mazzi cattivi, questa
fase viene definita “Pre-Hunch” (hunch = indizio) e si tratta di una fase in cui i soggetti non hanno ancora
sviluppato una consapevolezza esplicita relativa all’andamento del gioco e alla natura dei mazzi. Si tratta di
una fase del gioco in cui gli indizi sono ancora variabili e instabili e in cui nei soggetti prevale un sentimento
di incertezza.
Questi dati sono stati interpretati nel seguente modo: il ruolo della corteccia prefrontale ventromediale
sarebbe quello di segnalare fin dall’inizio le conseguenze negative delle proprie azioni. Quando ancora il
soggetto non è in grado a livello esplicito di formulare un’ipotesi sulla natura dei mazzi e del gioco, la
corteccia prefrontale ventromediale ha già preso nota dell’entità delle prime conseguenze negative,
segnalando prontamente quelle più intense.
Tale capacità sarebbe naturalmente assente nei soggetti in cui la corteccia prefrontale ventromediale
risulta compromessa.
Per questa funzione di segnalazione delle conseguenze delle proprie azioni, il gruppo di Damasio ha
denominato con il termine “marcatore somatico“ la corteccia prefrontale ventromediale.
Studi successivi hanno mostrato il suo possibile coinvolgimento anche in problematiche legate a varie
forme di dipendenza, ad esempio dal gioco d’azzardo.

Ci si potrebbe dunque ora chiedere se alla base dei concetti di bene di male ci sia qualcosa di appartenente
alla nostra biologia. Nuovamente, un modo per constatare ciò è dimostrare se esistono differenze culturali,
questa volta rispetto a dilemmi che riguardano la dimensione etica e morale.

Esperimento
Vengono messi a confronto studenti maschi occidentali, con studenti maschi medio orientali.
Questo era il quesito al quale dovevano rispondere: “la vostra nave è affondata. Siete sull’oceano con
vostra madre, vostra moglie/marito e vostro figlio. Siete stremati e feriti e non ci sono a disposizione
dispositivi di galleggiamento; in queste condizioni purtroppo vi rendete conto che potete salvare solamente
una persona dall’annegamento. Chi salvereste e perché?”

Studenti occidentali:
Salvare la moglie (50%), salvare il figlio (45%), salvare la madre (5%).
Motivazione: nei confronti della propria moglie si è assunto un impegno; con la propria moglie in fondo sarà
possibile avere un altro figlio; la madre è anziana e non si aspetterebbe di essere salvata in quel contesto.
Studenti medio orientali:
Salvare la madre (85%), salvare il figlio (8%), salvare la moglie (7%).
Motivazione: abbiamo solamente una madre; infondo sarà possibile trovare un’altra moglie; infondo
potrebbe essere possibile avere un altro figlio.

Questi dati sembrano indicare una marcata influenza culturale e quindi un rilevante ruolo della cultura nei
confronti della valutazione del tipo di scelta che viene adottata, però è bene aggiungere che il tema rimane
aperto e tuttora è oggetto di dibattito.

Prendere decisioni
Il ruolo del “Sistema 1” (processi automatici o impliciti)
Sembra che i nostri processi decisionali siano ispirati da un tipo di pensiero immediato, vantaggioso perché
ci porta a prendere decisioni in tempi relativamente rapidi, ma spesso impreciso. Si è detto che questo
modo di procedere individui delle scorciatoie, utilizzate dal nostro processo decisionale per permetterci di
operare in modo dinamico nella realtà quotidiana. Tali scorciatoie vengono definite anche “Euristiche” (dal
greco εὑρίσκω, “trovare/scoprire”). Poiché di Euristiche ne sono state trovate molte, ci limitiamo ad
elencare le più importanti e a trattarle più dettagliatamente nel prosieguo:
-...della Disponibilità...
-...della Rappresentatività...
-Il problema del calcolo della Probabilità di Base
-Effetto Frame (Inquadramento Rigido)
-Teoria del Prospetto
-Considerazione del Gruppo di Controllo
-Valutazione della Causalità
-Fallacia dello Scommettitore
-Il Dilemma di Monty Hall

Trattando l’argomento del ragionamento è stata introdotta la distinzione tra pensiero proposizionale e
pensiero visivo. Affrontando successivamente lo studio del problem solving, è stata evidenziata la presenza
di strategie di soluzione basate su procedimenti per “prove ed errori“ (sistematici) e procedimenti di tipo
creativo (più estemporanei). Gli esempi riportati, relativi allo studio dei giudizi morali e della “fisica
ingenua“, alludono alla possibilità che le procedure seguite per giungere a qualche conclusione non sempre
siano di natura completamente esplicita. Sembra possibile differenziare processi di pensiero di natura
esplicita e consapevole da processi di pensiero che avverrebbero in modo inconsapevole o inconscio. Di
fatto, molti autori sostengono l’esistenza di due principali processi di pensiero: il sistema 1, basato
sull’applicazione immediata ed automatica di regole ed inferenze costituite dalle nostre conoscenze
pregresse e il sistema 2, che coinvolge invece le risorse razionali esplicite.

Esperimento
Esempio di come un processo di pensiero implicito potrebbe essere direttamente evidenziato in un
progetto empirico.
Ai soggetti venivano proposte delle descrizioni di automobili, relative ad un elenco di caratteristiche. I
ricercatori erano intenzionati a studiare l’incidenza sulle risposte dei soggetti a due diversi tipi di
descrizione, da una parte descrizioni che, a giudizio dei ricercatori, individuavano “auto di qualità” (non
disponevano di optional di natura superflua, mentre mostravano caratteristiche legate alla tenuta stradale,
ai bassi consumi, ecc), dall’altra “auto accessoriate”, ma di bassa qualità (vi erano tutti gli optional effimeri,
mentre risultavano scadenti la sensibilità del cambio, l’impatto ecologico degli scarichi, ecc).
A un gruppo di soggetti veniva chiesto un giudizio immediato, mentre l’altro eseguiva per cinque minuti un
compito impegnativo, una sorta di “interferenza retroattiva“, ad esempio contare all’indietro partendo da
un numero e sottraendo progressivamente una certa cifra, per esempio 3. Questo secondo gruppo
effettuava giudizi successivi più oculati, ovvero tendeva a scegliere con maggiore frequenza auto di qualità,
rispetto alle auto accessoriate. L’idea in questo caso è che, mentre il giudizio immediato è basato sul
tentativo di analizzare esplicitamente gli elementi da valutare, nel giudizio ritardato con compito
interferente i processi espliciti non hanno modo di entrare in azione, essendo impegnati nel compito
interferente, quindi il pensiero continuerebbe a valutare gli elementi a disposizione in modo solo ed
esclusivamente implicito.

Si potrebbe obiettare che manca qualcosa a questo esperimento per essere considerato in modo esclusivo
una prova a favore della distinzione (non solo quantitativa, ma anche qualitativa) tra un pensiero
consapevole (dispendioso e poco efficace) ed un pensiero inconscio, lento ed accurato. Ovvero, per
sostenere che il giudizio implicito sia più efficiente di quello esplicito, avrebbe dovuto essere considerata
anche una condizione in cui per cinque minuti il soggetto avesse avuto la possibilità di pensare
esplicitamente alla scelta che doveva effettuare. Il compito fatto invece mostra che la risposta immediata,
più che essere una risposta esplicita, È una risposta casuale: non c’è stata la possibilità di elaborare il
materiale. Forse non è così che dovrebbe essere individuato il ragionamento esplicito razionale.
Un altro aspetto un po’ ambiguo relativo all’interpretazione dei risultati sperimentali è che sembrerebbe,
un po’ paradossalmente, che gli elementi che attraggono più direttamente il sistema razionale siano quelli
legati alle caratteristiche più superficiali e meno importanti, questo però sembra quasi contraddittorio, dal
momento che sembrerebbe evidente che, dove ci lasciamo attrarre e sviare dagli elementi appariscenti e
non di sostanza, è proprio nei casi in cui manca la possibilità di una riflessione più profonda.
A parte queste considerazioni però l’esempio mostra come si potrebbe provare ad esplorare
empiricamente la presenza di processi di pensiero impliciti.

L’Euristica
Per euristica si intende quel processo che ci porta a trovare o scoprire elementi o indizi che possano
contribuire a farci prendere una decisione.

-Euristica della Disponibilità


In inglese sono di più le parole che iniziano con la lettera “K“ (esempio: “Kiss“) o quelle che hanno la stessa
lettera in terza posizione (esempio: “lake“)?
Qualora fossimo portati a rispondere la prima, ci sbaglieremmo: mentre in prima posizione possono essere
computate solo le parole che iniziano con quella lettera, la stessa lettera può apparire in posizioni
successive (e quindi anche nella terza) nelle parole che iniziano con qualunque lettera e quindi a campione
risulterebbero di più.
Naturalmente però è molto più semplice ed immediato generare parole che inizino con una lettera, rispetto
ad esempi di parole in cui quella lettera compaia in terza posizione.

Il numero dei decessi dovuti ad omicidi è superiore o inferiore al numero dei decessi causati da suicidi?
Le risposte dei soggetti sono influenzate dalla quantità di notizie portate dai media.

Tendiamo dunque a decidere in base alle informazioni che abbiamo più facilmente a disposizione nel
momento in cui veniamo posti di fronte ad una o più alternative.

-Euristica della Rappresentatività


Il vostro professore di psicologia ha un amico, anche lui professore, che ama scrivere poesie, è piuttosto
timido e basso di statura. Di quale settore di studi si occupa: letteratura cinese o psicologia?
Tenderemmo a propendere per uno studioso di letteratura cinese.
Un docente nuota in piscina durante ogni pausa pranzo. In più, ama giocare a tennis; se ha un antagonista
gioca anche in pieno inverno se il campo è ripulito dalla neve. Di quale disciplina accademica si occupa il
docente, medicina dello sport o psicologia?
Tenderemmo a pensare più facilmente che si tratti di un docente che si occupa di medicina dello sport.

L’euristica della rappresentatività in se stessa non è particolarmente sorprendente, in assenza di altri


elementi, perché mai non bisognerebbe tener conto della corrispondenza tra la descrizione ed una tipologia
standard?
La cosa interessante è che tale euristica si impone anche in presenza di elementi descrittivi che dovrebbero
indurci a modificare la nostra scelta più immediata, come indica l’euristica successiva.

-Il problema del calcolo della Probabilità di Base


Gli studiosi hanno riscontrato una tendenza ad ignorare la probabilità di base, anche quando essa viene
esplicitamente fornita.

Esempio
Viene esplicitamente indicato che la popolazione a cui si fa riferimento è costituita per il 70% da avvocati e
per il rimanente 30% da ingegneri (negli esempi le percentuali potrebbero tranquillamente essere
invertite).

Ritratto 1: Jack non mostra alcun interesse per le questioni politiche e passa il suo tempo libero in lavori di
falegnameria domestica.
I soggetti tendono ad identificarlo come ingegnere, nonostante la probabilità di base degli avvocati sia
nettamente superiore.

Ritratto 2: Dick è un uomo di grande abilità e promette di avere veramente successo.


In questo caso la descrizione non propenderebbe né per un ritratto né per l’altro, eppure nemmeno in
questo caso i soggetti tengono conto della probabilità di base. Poiché le descrizioni sono neutre essi
tendono a basarsi solo ed esclusivamente sul contenuto delle descrizioni, se questo indica un’analoga
probabilità, i soggetti tenderanno a tenere conto solo di questa.
Dovrebbe invece essere più facile comprendere che, se le descrizioni non privilegiano nessun profilo, più
probabilmente, a parità di condizione, da quella popolazione possa essere pescato per caso un avvocato.

Ecco come ci si dovrebbe comportare per procedere correttamente


Fattori da prendere in considerazione (in base a quanto proposto dalla formula o teorema di Thomas Bayes,
che si applica al calcolo delle probabilità):
1)Probabilità che una persona scelta a caso sia un ingegnere (probabilità di base)
2)Probabilità che un ingegnere mostri il profilo indicato
3)Probabilità di base che una persona scelta a caso sia un avvocato
4)Probabilità che un avvocato mostri il profilo indicato
Calcolo: (1x2) : [(1x2) + (3x4)], ovvero la probabilità che un ingegnere selezionato dal campione mostri il
profilo indicato, diviso la probabilità che qualsiasi persona (ingegnere o avvocato) selezionata dallo stesso
campione mostri quello stesso profilo.

Per quali ragioni, in situazioni di questo tipo, non adottiamo la strategia indicata?
La prima evidente ragione è che il calcolo non è semplice ed immediato.
Una seconda ragione è che normalmente non disponiamo delle informazioni che ci permettano di attribuire
correttamente pesi e valori alle variabili in gioco. Per questa ragione non sviluppiamo con sistematicità
questa pratica, che invece potremmo imparare ad usare con costanza.
Esempio didattico: Il problema del taxi
In una certa sera, in un certo paese, è accaduto un evento che ha coinvolto un taxi. Nel tentativo di
indagare viene trovato un testimone dell’accaduto. Come detto, il fatto era accaduto di sera, quindi in
condizioni di visibilità non ottimali, soprattutto per quanto riguarda la percezione dei colori.
È necessario accertarsi dell’affidabilità del testimone, come procedere?
Bisogna sottoporlo ad un test di accuratezza percettiva in condizioni analoghe a quelle osservate la sera in
cui il fatto è avvenuto.
Immaginiamo che dopo questa verifica viene fuori che il testimone è accurato all’80%.
Il testimone aveva dichiarato con chiarezza che il taxi coinvolto era un taxi blu.
Qual’è la probabilità che il Taxi fosse veramente blu?
Sembra abbastanza evidente rispondere che la probabilità sia uguale all’accuratezza del testimone, ovvero
80%, però sappiamo che questa stima è piuttosto grossolana e corre il rischio di essere anche
marcatamente errata.
Quella che dobbiamo includere nel nostro ragionamento è la probabilità di base, che in questo caso è
disponibile, essendo le attività dei taxi monitorate e registrate dalle loro rispettive compagnie.
Veniamo così ad apprendere che la sera dell’accaduto la percentuale di taxi blu in circolazione era dell’85%,
il restante 15% indica la percentuale di taxi verdi in circolazione quella sera.

Calcolo delle probabilità condizionali:


(0.85 x 0.80) : [(0.85 x 0.80) + (0.15 x 0.20)] = 0.68 : (0.68 + 0.03) = 0.96

La probabilità che il taxi fosse blu è effettivamente molto elevata, addirittura superiore al valore
inizialmente proposto.

Cosa sarebbe accaduto però se quella stessa sera, in quelle stesse condizioni, il testimone avesse dischiarato
di aver visto un taxi verde?
(0.15 x 0.80) : [(0.15 x 0.80) + (0.20 x 0.85)] = 0.12 : (0.12 x 0.17) = 0.41
Questa è l’evidenza che emerge dalla nostra tendenza a non considerare la probabilità di base: quando la
frequenza potenziale di occorrenza di un certo evento è bassa, il margine d’errore nel calcolarne la
probabilità diventa davvero considerevole. Nel caso specifico, la probabilità che un taxi percepito come
verde fosse davvero un taxi verde è solo del 41%, nonostante l’affidabilità del testimone resti dell’80%.

Consideriamo un esempio che si applica ad un contesto clinico, evidenziando quanto la probabilità di base
sia essenziale per non commettere errori in ambito medico e quindi anche psicologico
Problema: un paziente si sottopone ad un test per la diagnosi della malattia X. Anche se si tratta di una
malattia piuttosto rara, con un’incidenza sulla popolazione stimata intorno allo 0,01%, il paziente ed il suo
medico curante ritengono appropriato effettuare un accertamento.
Il test ha una specificità dell’80% (20 falsi negativi) ed una sensibilità del 90% (10 falsi positivi).
Sfortunatamente per il paziente, l’esito del test risulta essere positivo.

Qual è la probabilità che il paziente sia affetto dalla malattia X?

Componenti da considerare per risolvere correttamente il problema


-p(M/T): probabilità che un soggetto risultato positivo al test abbia effettivamente contratto la malattia.
Per determinare questo dovremmo prendere in considerazione vari altri indici.
-p(T+/M): specificità del test (probabilità che un esito positivo al test individui un soggetto effettivamente
malato).
-p(M): probabilità di base relativa alla malattia, a cui la specificità del test va rapportata.
-p(T+/S): sensibilità del test (probabilità che un esito positivo il test corrisponda ad un soggetto in realtà
sano).
-p(S): probabilità di base relativa all’assenza della malattia, a cui la sensibilità al test va rapportata.

Gli indici di sensibilità e specificità si ricavano in una fase preliminare in cui il test viene sottoposto a
controlli e validazioni su soggetti sani e soggetti malati.

Svolgimento
P(M/T+)= p(T+/M) x p(M)
p(T+/M) x p(M) + p(T+/S) x p(S)

Richiamiamo gli esempi fatti in precedenza per evidenziare che questo calcolo si applica a tutte le situazioni
di questo tipo
La specificità del test per esempio equivale alla probabilità che i praticanti di una certa professione sia
individuati dalla descrizione di quella professione, oppure alla probabilità che un taxi di un certo colore sia
percepito di quel colore dal testimone.
La probabilità di base che un paziente sia malato equivale per esempio alla probabilità che un individuo
preso a caso dalla popolazione sia un praticante di quella professione, oppure alla probabilità che un taxi
preso a caso quel giorno sia del colore indicato.
La sensibilità del test equivale per esempio alla probabilità che la descrizione fornita selezioni anche
individui appartenenti ad altre professioni, oppure alla possibilità che un taxi verde venga in realtà
percepito come blu.
La probabilità di base che un paziente sia sano equivale alla probabilità che una persona presa a caso tra la
popolazione sia un avvocato, oppure alla probabilità di un taxi in circolazione un certo giorno sia verde.

Tornando al caso clinico, attribuiamo agli indici i loro valori


P(M/T+)= 0.80 x 0.01 = 0.08 = 0.07
0.80 x 0.01 + 0.10 x 0.99 0.107

Il commento verte su due considerazioni:


1)Errori come questi possono avere conseguenze nefaste: individui sani a cui viene erroneamente
diagnosticata una malattia grave possono subire scompensi psicologici devastanti, fino al punto estremo di
togliersi la vita.
2)La probabilità di commettere un errore grave è tanto maggiore quanto più la probabilità di base di un
certo evento è bassa. Sapere questo è utile per poter capire in quali casi bisogna fare particolare
attenzione.

-Effetto Frame (Inquadramento Rigido)


Esempio
Se di un certo intervento chirurgico si dice che comporta una mortalità media del 7% entro i cinque anni
successivi all’operazione, i medici saranno restii a raccomandarlo ai loro pazienti, mentre se si dice loro che
si registra una sopravvivenza media del 93% cinque anni dopo l’operazione, saranno assai più disposti a
raccomandarlo.

L’effetto frame in sostanza vincola il modo in cui noi tendiamo ad interpretare un fenomeno, ad alcune
nostre attitudini o atteggiamenti mentali preesistenti.
Un esempio di queste nostre predisposizioni mentali è stato evidenziato nella cosiddetta “teoria del
prospetto“, proposta originariamente da Amos Tversky e Daniel Kahneman. Grazie a questi ed altri studi
sulle euristiche, a Daniel Kahneman, marito di Anne Treisman, venne dato il premio Nobel per l’economia
nel 2002. Nonostante Kahneman sia uno psicologo soprattutto impegnato nello studio dei processi
attenzionali e decisionali, le conseguenze della sua teoria riguardano direttamente le strategie che adotta
l’individuo quando si tratta di decidere se accettare o meno di correre un certo rischio e questo si è rivelato
di grande impatto nel tentativo di interpretare gli andamenti dei mercati economici.

Teoria del prospetto

L’asse verticale rappresenta il valore che gli individui assegnano ad un certo evento, mentre l’asse
orizzontale indica la quantità di guadagno (a destra) o perdita (a sinistra).
Individuato un certo guadagno si può verificare che valore i soggetti partecipanti all’esperimento assegnano
soggettivamente a quel guadagno.
A questo punto gli sperimentatori proponevano ai soggetti scenari in cui venivano immaginate delle perdite
di quantità identiche a quelle che precedentemente erano state indicate come guadagni.
Come mostra chiaramente il grafico, il valore attribuito ai soggetti a queste quantità, interpretate come
perdite, risultava molto maggiore rispetto al valore associato alle stesse quantità, interpretate come
guadagni.

Applicazioni in campo economico


Nel linguaggio ordinario il concetto di “rischio“ è legato ad un’azione (vendere, comprare…) Mentre il
rifiuto del rischio è associato alla conservazione dello status quo. Questo potrebbe generare ambiguità
nell’applicazione della teoria del prospetto alle scelte in ambito economico.
Immaginiamo di aver acquistato delle azioni, che in un certo periodo mostrano un andamento positivo.
Sappiamo che il mercato azionario è pieno di fruttuazioni, ma la teoria del prospetto suggerisce anche che
gli individui danno meno valore ai guadagni rispetto alle perdite. La teoria del prospetto suggerisce che, di
fronte ai guadagni, l’individuo è meno disposto ad accettare di correre rischio.

Il rischio corrisponde alla tendenza a continuare a scommettere su quell’azione, nella speranza che possa
far guadagnare di più.
La teoria del prospetto indica che, in presenza di guadagni, gli individui non sono disposti ad accettare di
correre rischi, dunque tendono ad accontentarsi e a consolidare subito il guadagno acquisito.
Dunque, per consolidare il guadagno, il passo seguente corrisponde a vendere l’azione, nel momento in cui
ci ha fatto guadagnare qualcosa.
Evitare il rischio equivale a fare qualcosa, ovvero vendere l’azione.

Cosa prevede la teoria riguardo le perdite?


La teoria del prospetto suggerisce che, per evitare una possibile perdita, gli individui sono disposti ad
accettare maggiori rischi.

Accettare il rischio in questo caso significa conservare l’investimento, nella speranza che possa recuperare.
Contrariamente al significato che comunemente si attribuisce al termine “accettare il rischio”, in questa
prospettiva equivale ad astenersi dal compiere qualunque azione.
Conservare un investimento significa in sostanza non fare nulla, ovvero lasciare tutto come sta.

La ragione naturalmente è semplice da comprendere: vendere equivarrebbe a sancire la perdita.


Continuare a “puntare“ su un investimento in perdita, equivale a correre una dose maggiore di rischio.

La teoria del prospetto propone che noi siamo più sensibili alle perdite rispetto ai guadagni, questo implica
che per evitare la possibilità di perdere o comunque ridurla, siamo disposti a rischiare di più. Abbiamo visto
però che in alcuni casi, contrariamente al senso comune, questa tendenza a rischiare di più può equivalere
a non compiere alcuna azione, mentre viceversa, quando si vuole evitare il rischio, come nel caso dei
guadagni, in realtà si agisce e si compiono azioni.

Esempio classico che illustra come la teoria del prospetto è stata originariamente studiata
Ai soggetti venivano proposti scenari di questo genere: “Immaginate che in Italia ci stiamo preparando ad
affrontare una malattia che causerà il decesso di 600 persone. Se verrà adottato il programma A verranno
salvate 200 persone. Se verrà adottato il programma B, c’è 1/3 di probabilità che 600 persone verranno
salvati e 2/3 di probabilità che non si salvi nessuno”
Da come il problema viene presentato si evidenzia un guadagno certo (200 persone) ed un guadagno
maggiore (600 persone) ma “rischioso” (30% di probabilità).
La teoria del prospetto assume in caso di guadagno che gli individui siano restii ad affrontare i rischi.

Seconda versione: “immaginate che in Italia ci stiamo preparando ad affrontare una malattia che causerà il
decesso di 600 persone. Se verrà adottato il programma C, moriranno 400 persone. Se sarà adottato il
programma D, ci sarà 1/3 di probabilità che non muoia nessuno e 2/3 di probabilità che muoiano 600
persone”
In questo caso l’enfasi cade sull’entità di una perdita certa.
Tuttavia bisogna sottolineare che, a dispetto delle formulazioni diverse, le alternative A e B sono identiche
alle alternative C e D. Eppure nel primo caso la maggioranza dei soggetti optava per l’opzione A, guadagno
certo invece di un guadagno maggiore ma incerto, mentre nel secondo caso optava per l’opzione D,
accettando il rischio di una perdita maggiore pur di cercare di ridurre una perdita certa.
La teoria del prospetto suggerisce che in caso di perdite, gli individui siano maggiormente propensi ad
assumersi dei rischi nel tentativo di ridurle e/o evitarle.

L’effetto frame si integra molto bene con lo studio della teoria del prospetto, mostrando come la loro
combinazione permetta di studiare e possibilmente spiegare, comportamenti di una certa complessità.
Sembra chiaro infatti che alcune attitudini e predisposizioni implicite, che la teoria del prospetto attribuisce
alla mente degli individui, vengano esplicitamente evidenziate in un contesto in cui le scelte dei soggetti
sembrano interpretabili in relazione al modo in cui alcuni scenari vengono loro descritti.

Si è detto che la teoria del prospetto suggerisca che le persone siano meno inclini ad accettare le perdite e
che di conseguenza siano disponibili a rischiare di più per evitarle e che questo, almeno in alcuni casi,
equivale a non agire per conservare lo stato di fatto.
Perché quando le azioni perdono, accettare il rischio equivale a conservarle (ovvero non venderle), mentre in
questo caso accettare il rischio equivale a cambiare il programma (ovvero sceglierne un altro)?
L’opzione C è “statica“: conservarla non comporta alcuna prospettiva di riduzione della perdita. Al
contrario, il mercato azionario è estremamente volatile e cangiante: conservare un titolo
momentaneamente in perdita può comportare la possibilità di ridurre tale perdita in futuro.
Comprendere un modello o un concetto teorico significa saperlo applicare in modo flessibile in situazioni
diverse. Gli esempi servono per imparare un concetto, ma poi non bisogna commettere l’errore di vincolare
il contenuto del modello teorico allo schema letterale di un singolo esempio, poiché quel particolare
schema letterale potrebbe ben rappresentare il modello teorico in quel caso, ma non in un altro.

Interpretazione delle situazioni di vita reale secondo la teoria del prospetto


1)John Pryke, 59enne tifoso del Leicester, aveva puntato 20 sterline sulla vittoria della sua squadra: esito
quotato 5000 a 1.
A 9 giornate dalla fine, il Leicester era imprevedibilmente primo in classifica: se tale situazione si fosse
confermata fino alla fine, Pryke avrebbe potuto vincere l’equivalente di circa €130.000. L’agenzia presso la
quale Pryke aveva effettuato la puntata, offre a Pryke la possibilità di rinunciare alla sua puntata incassando
subito, in cambio, l’equivalente di poco meno di €40.000.

Quale altra variabile potrebbe influenzare la scelta?


-Condizioni economiche di partenza dello scommettitore: una cosa è immaginare un uomo già ricco di suo,
un’altra è immaginare un individuo in difficoltà economiche.

Il signor Pryke ha accettato l’offerta dell’agenzia e ha incassato poco meno di €40.000.

Alla fine il campionato fu vinto proprio dal Leicester.

2)Promozione lanciata da una nota catena di negozi


Smart Point Card: con 500 punti guadagni €10 di buono shopping. Con 1200 punti guadagni €25 di buono
shopping (+€3 di buono shopping). Con 2200 punti guadagni €50 di buono shopping (+€8 di buono
shopping).

Seppure vi è un incremento del guadagno al crescere della spesa effettuata, quest’ultima è troppo
consistente (perdite) per giustificare l’investimento nel piccolo guadagno.

Vediamo altri tre Bias Cognitivi (o “fallacie” in italiano), ovvero forme di distorsione del pensiero che,
procedendo attraverso euristiche e scorciatoie, possono indurci in ragionamenti (e dunque decisioni) errati o
quantomeno imprecisi

-Considerazione del gruppo di controllo


Così come gli individui tendono ad omettere dai loro ragionamenti la probabilità di base, così spesso si
osserva lo stesso tipo di omissione anche per quanto concerne il riferimento al gruppo di controllo.

Esempio
Il 79% delle persone affette da una particolare malattia si ristabilisce entro un mese dopo l’assunzione di un
determinato farmaco.
Saremmo tentati di concludere che il farmaco sia efficace, siamo sicuri di poterlo fare?
No, non possiamo concludere che il farmaco sia efficace, almeno fino a quando non avremo confrontato i
dati del nostro campione con un altro campione, affetto dalla stessa malattia ma non trattato con il
farmaco. Una volta effettuato questo controllo potremmo scoprire che le persone guariscono da sole, con
la stessa percentuale. Evidentemente in questo caso non sarebbe il farmaco la causa della loro guarigione.
-Valutazione della Causalità
Difficoltà a comprendere quale combinazione di eventi possa causare con maggiore probabilità un certo
effetto, ovvero una certa conseguenza.

Esempio
1)Nel corso del 2012 ci sarà una forte inondazione in California in cui annegheranno più di 1000 persone
2)Nel corso del 2012 ci sarà un terremoto in California che provocherà una forte inondazione in cui
annegheranno più di 1000 persone.

Quale tra i due eventi è più probabile, quello causato dall’inondazione o quello causato dal terremoto a cui
segue la successiva inondazione?
Le persone tendono a rispondere che l’inondazione conseguente al terremoto sia lo scenario più probabile.
L’uomo è un cercatore naturale di cause, il nostro tentativo di interpretare e comprendere la realtà
circostante è vincolato alla nostra capacità di individuare legami causali tra avvenimenti diversi.
L’inondazione causata da un terremoto crea un percorso causale meglio definito, che in qualche modo ci dà
la sensazione di afferrarlo, immaginarlo e individuarlo meglio.
Poiché vi è un chiaro nesso causale tra terremoto inondazione, gli individui ritengono che questo scenario
sia più probabile. Così facendo però non si accorgono che stanno violando in modo palese una regola molto
chiara: essa sancisce che la congiunzione causale tra due eventi non può mai essere più probabile
dell’occorrenza del singolo evento.
Nel caso specifico l’inondazione può essere provocata anche da cause diverse rispetto al terremoto, quindi
la sua probabilità di occorrenza deve essere necessariamente maggiore di quella esclusivamente congiunta
o vincolata alla precedente occorrenza di un terremoto.

-Fallacia dello scommettitore


Può produrre conseguenze nefaste in caso di individui affetti da dipendenza dal gioco d’azzardo.

Esempio
Ecco tre possibili combinazioni di lancio di una moneta (T=Testa; C=Croce)
1)TTTTCCC
2)CTTCTCC
3)CCCCCCC
Quale tra queste tre combinazioni potrebbe essere la più probabile?
Anche se può sembrare strano, le tre combinazioni hanno tutte e tre la stessa probabilità di occorrenza.
Quello che ci induce in errore è l’impressione dominante che la sequenza centrale, ovvero la numero 2, si
avvicini meglio a quella che noi ci rappresentiamo come una distribuzione casuale di eventi e che quindi
possiamo considerare genericamente come più probabile.
Ma il problema è che riferendoci alla seconda sequenza, noi non ci stiamo riferendo in modo aspecifico ad
una qualunque alternanza di occorrenze tra testa e croce, noi ci stiamo riferendo proprio a quella
particolare specifica sequenza.
È facile osservare che la probabilità che, ad esempio, al terzo lancio possa uscire una croce, è
assolutamente identica nella prima, nella seconda e nella terza successione, a sua volta la probabilità che al
quinto lancio esca una testa, è assolutamente identica per ciascuna delle tre successioni. La differenza tra
noi e le monete è che noi manteniamo il ricordo delle estrazioni precedenti e quindi, di nuovo, tendiamo a
concatenarle causalmente tra loro, essendo indotti a predire che, “se prima è uscita una testa ora con più
probabilità dovrebbe uscire una croce”. La moneta però non conserva la nostra stessa memoria e quindi dal
suo punto di vista ogni lancio ha sempre un’equivalente probabilità di occorrenza di qualunque esito.
Se uno volesse ripetere per centinaia di volte le stesse successioni di sette lanci consecutivi di moneta,
scoprirebbe che la probabilità di occorrenza di ciascuna delle tre specifiche successioni, risulterebbe essere
esattamente la stessa.
Conseguenza della fallacia dello scommettitore: la “fallacia della mano calda”
Per certi versi potrebbe sembrare l’opposto della fallacia dello scommettitore, poiché si verifica nel caso in
cui, Il ripetersi casuale dello stesso evento, può indurci a ritenere che quell’evento continuerà a ripetersi.
Ad esempio puntare su rosso perché è uscito già tre volte.
Per estensione, il fenomeno potrebbe applicarsi alla sensazione che il giocatore d’azzardo sia “in giornata”
e che quindi sia in grado di indovinare ad ogni tentativo successivo.
Infatti il nome del fenomeno deriva dai casi in cui un giocatore di basket, evidentemente in forma, riesce a
fare canestro consecutivamente molte volte di seguito.
Come appare evidente a prima vista, risulta un fenomeno opposto alla fallacia dello scommettitore, lì vi è la
convinzione che gli eventi tendano ad alternarsi, mentre nella mano calda a ripetersi.
Ma è ovvio che entrambi i fenomeni traggano origine dallo stesso Bias Cognitivo, legato alla convinzione
che eventi successivi casuali possano modificare la loro probabilità di occorrenza, in funzione di una sorta di
memoria storica degli eventi precedenti.

La curiosità nei confronti della realtà esterna


Nonostante tutto ciò che abbiamo detto finora, in particolare riguardo le ultime due fallacie, non si può
escludere a priori che gli esseri umani in alcune circostanze siano in grado di prevedere eventi successivi, o
comunque che vi siano degli accadimenti del tutto esterni e separati dai Bias Cognitivi.
Qualunque scienziato o ricercatore curioso della natura, dovrebbe avere la mente priva di qualunque
pregiudizio e dovrebbe sentirsi libero di esplorare la realtà da ogni prospettiva intelligibile.
Quello che deve essere chiaro, è che una mente aperta anche verso l’imponderabile, non dovrebbe mai
pretendere di poterlo affermare, prima di aver prodotto evidenze comparabili a quelle che ci inducono a
dubitarne.

Nella fallacia dello scommettitore l’errore consiste nel considerare “dipendenti“ eventi che invece non lo
sono (l’esito di un lancio non dipende dall’esito dei lanci precedenti).
Ma può verificarsi anche l’errore opposto (ovviamente non stiamo facendo riferimento alla mano calda).
Mentre nella fallacia dello scommettitore creiamo legami fittizi tra esiti che sono indipendenti, a volte
invece tendiamo ad ignorare legami che invece esistono, ma che ci appaiono invisibili.

L’esempio più emblematico e divertente di questo, è rappresentato dal cosiddetto “dilemma di Monty Hall”
Il dilemma, che trae origine dal soprannome di un conduttore di un noto gioco a premi televisivo
americano, da cui è derivato ad esempio il nostro “affari tuoi“, consiste in questo:
Il partecipante deve scegliere tra tre opzioni, possono essere tre porte, oppure tre scatole, tre carte, ecc.
Solo una di queste alternative presenta un premio.
Prima di procedere all’apertura delle porte, scatole o carte, il conduttore mostra al partecipante cosa è
contenuto in una delle due opzioni che lui non ha scelto.
Trattandosi di due opzioni, sicuramente almeno una delle due non contiene il premio. Il conduttore, che
naturalmente sa dove è contenuto il premio, mostra quella vuota, o con un contenuto beffardo, che
sicuramente non è il premio ambito.
Prima di scoprire cosa c’è dietro le due opzioni rimaste, il conduttore chiede al partecipante se desidera
modificare la scelta fatta originariamente.
La stragrande maggioranza delle persone non comprende quale vantaggio potrebbe esserci a cambiare la
propria scelta, anzi alcuni potrebbero pensare che il conduttore stia cercando di trarli in inganno, perché
magari a quel punto lui sa che il partecipante aveva effettuato la scelta giusta e dunque per rimediare cerca
di indurlo a cambiare idea.
Il ragionamento che abbastanza invariabilmente fanno tutti, è il seguente:
Dopo che una delle tre è stata aperta, le alternative a disposizione hanno esattamente la stessa probabilità
di essere quella vincente o quella perdente. La scelta è stata fatta in modo del tutto casuale e altrettanto
accadrebbe ora, dunque non vi è alcuna ragione di cambiare la propria scelta, ci sarà sempre un 50% di
probabilità di vincere e un 50% di probabilità di perdere.
Il ragionamento appare ineccepibile, ma è errato.
In questo caso, contrariamente a quanto accade nella fallacia dello scommettitore, ci stiamo perdendo
qualcosa tra il prima e il dopo.

Spiegazione: nella prima fase del gioco ciascuna delle tre opzioni ha 1/3 della probabilità di essere quella
giusta.
Quello che noi non cogliamo è che, rispetto alla scelta del partecipante operata in quella fase, la
distribuzione delle probabilità dovrebbe essere più adeguatamente riformulata, dopo che il presentatore
ha mostrato il contenuto di una delle due alternative non scelte dal partecipante.
La distribuzione iniziale della probabilità è del 33% per la scelta del partecipante e del 66% per le due
alternative non selezionate (33% a ciascuna delle due alternative).
Ma dopo che il conduttore ha mostrato il contenuto di una delle due alternative non selezionate, queste,
che prima erano due, ora diventano una sola. Dunque il 66% di probabilità complessiva delle due
alternative non selezionate, ora confluisce tutta su quella rimasta.
Cambiare scelta adesso, significa guadagnare il 66% di probabilità di avere l’opzione giusta. Mantenere la
scelta iniziale, significa avere solo il 33% di probabilità di vincere il premio.

È possibile condurre personalmente un esperimento pratico sulle predizioni del modello, iniziando a
giocare con delle semplici carte, ripetendo il gioco per 10 o 20 volte, prendendo nota ogni volta dell’esito
che comporta il cambio o il mantenimento della scelta originale.

Infine si possono seguire dettagliatamente i vari passaggi del gioco in questo schema riassuntivo

I segnalini celesti sono due per mostrare, nello sviluppo del gioco, cosa accade se si cambia scelta o si
conferma quella iniziale.
“Keep” indica la scelta di tenere la prima porta e “Swap” indica il cambio di scelta.
Per chiudere il percorso nel pensiero facciamo un ultimo esempio, relativo alle nuvole e ai momenti in cui,
guardandole, abbiamo l’impressione di vedere delle forme precise
Ovviamente non ci sono oggetti o persone nelle nuvole, ma solo raggruppamenti casuali e momentanei di
molecole di vapore, ma noi siamo cercatori di significati.
Possiamo comprendere la realtà solo se riusciamo a tradurla o immaginarla come una serie di eventi
concatenati tra loro da relazioni di tipo causale.
La nostra propensione a cercare cause e significati è talmente radicata, che a volte ci può sembrare di
trovarne anche dove non ce ne sono. Anche quando questo accade però, a volte siamo capaci di trasformare
l’errore in un gioco o in un viaggio con la fantasia.

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