Sei sulla pagina 1di 8

LA PERCEZIONE DELLO SPAZIO

Gli studiosi hanno scoperto che abbiamo un sistema per elaborare le informazioni che provengono da uno
spazio prossimo e un sistema diverso per elaborare le informazioni che provando da uno spazio più
lontano.
Ci sono delle cellule nel nostro sistema che rispondono contemporaneamente sia a informazioni tattili che
visive, a patto che siano contenute in un certo volume, detto “peripersonale” (cioè molto vicino
all’individuo), al di fuori di quello spazio, la stessa cellula non risponde più.

Altre cellule rispondo preferibilmente a stimoli che provengono da uno spazio più lontano. Esse presentano
una risposta quando lo stimolo è nel campo visivo (se si guarda in direzione dello stimolo) e se è all’interno
del campo recettivo della cellula (un cono visuo-tattile, ovvero risponde sia a percezioni sia tattili che
visive), al contrario non hanno risposta se lo stimolo è presente nel campo visivo ma al di fuori del campo
recettivo della cellula. Stranamente però presentano una risposta se lo stimolo non si trova nel campo
visivo (ovvero si sta guardando altrove), ma si trova nel campo recettivo della cellula, ovviamente se non
rientra nè nel campo visivo, nè nel campo recettivo della cellula, essa non da risposta.

I due tipi di cellule che abbiamo analizzato fino ad ora si chiamano “cellule bimodali”, ovvero non
rispondono soltanto ad una modalità (come per esempio le cellule cromatiche che rispondo esclusivamente
alle lunghezze d’onda), ma rispondo sia a stimolazioni sia tattili che visive.

Quelle riguardanti lo spazio peripersonale si trovano in una zona detta “F4” che si trova nel lobo frontale,
mentre quelle che riguardano lo spazio extrapersonale si trovano sempre nel lobo frontale ma leggermente
più in alto, in una zona chiamata “frontal eye field”.
(Le immagini e le informazioni riportate fino ad ora riguardano esperimenti svolti sul cervello delle
scimmie).

Coordinate di riferimento
Esperimento

Le immagini che si trovano tutte attorno venivano mostrate singolarmente e le domande a cui il soggetto
doveva rispondere erano “quale secchio (blu o verde) è più vicino a te?” (Viewer centred, spazio centrato
sull’osservatore), “quale secchio è più vicino alla palla rossa?” (Object centred, centrato sull’oggetto) e
“quale secchio è più vicino all’ingresso frontale?” tenendo conto però che non sempre l’ingresso frontale
era rappresentato e quindi bisognava immaginare la struttura complessiva presente nell’immagine centrale
(Landmark centred, un punto nello spazio a prescindere dall’oggetto e non sempre presente nelle
rappresentazioni).

Si è così scoperto che il cervello presenta tre aree diverse per le tre osservazioni, tutte però con prevalenza
nell’emisfero cerebrale destro, più specializzato nell’elaborazione dello spazio e all’interno del lobo
occipito-parietale.
LA PERCEZIONE DELLA PROFONDITÀ
Le nostre retine sono piatte, quindi come si fa a percepire la profondità come una proprietà diretta?
Ci sono degli indizi di profondità, alcuni “monoculari” e altri “binoculari”.

INDIZI FISIOLOGICI
Accomodazione: riguarda il cristallino, una sorta di lente la cui funzione è quella di far convergere e di
focalizzare sulla retina le informazioni che provengono dallo spazio circostante. Quando l’informazione
proviene da lontano la curvatura del cristallino è inferiore, cioè serve minor potere di convergenza, mentre
quando l’oggetto è vicino c’è bisogno di un maggior potere di convergenza perché i raggi visivi
tenderebbero ad allargarsi di più e quindi serve un lavoro maggiore per far convergere il ventaglio di stimoli
luminosi su un singolo punto della retina per fare sì che l’oggetto sia messo bene a fuoco.

Convergenza: riguarda il fatto che abbiamo due occhi, che quando devono fissare un oggetto lontano
tendono ad essere più paralleli tra di loro, mentre quando devono osservare un oggetto vicino per metterlo
a fuoco devono sempre più convergere.

(Queste due nozioni non sono molto importanti per la percezione della profondità)
Molto più importante è la disparità retinica (come un’informazione bidimensionale può essere tradotta in
una rappresentazione tridimensionale): il sistema visivo usa una sorta di algoritmo e trasforma una
dimensione in un’altra, attraverso una corrispondenza precisa tra l’informazione che riguarda la
dimensione bidimensionale e la traduzione nella dimensione tridimensionale. Ciascun occhio percepisce
l’immagine da una prospettiva leggermente diversa. Mettendo che gli occhi hanno un punto di fissazione
frontale, c’è una sorta di ellisse di posizioni nello spazio in base alle quali si dice che le proiezioni retiniche
cadono in punti corrispondenti delle due retine. I punti sono corrispondenti nelle due retine (il punto
segnato dal rosso per esempio è lo stesso che segnano entrambe le retine) e quindi NON SI SDOPPIANO,
non vediamo immagini sdoppiate, ma vediamo un oggetto unico.
Se però prendiamo in considerazione oggetti che si trovano al di fuori della linea ellittica immaginata
precedentemente, allora abbiamo lo sdoppiamento dell’immagine e questo è l’indice che l’occhio usa per
tradurlo in indice di prospettiva.
Per esempio se prendiamo un oggetto che si trova di fronte, la proiezione nell’occhio destro cadrà alla
destra del punto di fissazione, mentre nell’occhio sinistro alla sua sinistra, al contrario di un oggetto che si
trova nella linea ellittica (il puntino verde) la cui proiezione cade alla destra del punto di fissazione in
entrambi gli occhi.

Test rapido:
Mettete l’indice di una mano davanti all’indice dell’altra e guardate alternatamente prima uno e poi l’altro,
guardando quello più lontano, quello più vicino si sdoppierà e viceversa.

La distanza tra i due oggetti che si sdoppiano è direttamente proporzionale alla distanza nello spazio
tridimensionale, quindi l’idea è che il sistema visivo usi questa disparità retinica per convertirla in un indice
di profondità.

Allora si può ingannare l’occhio e creare la profondità anche laddove non c’è.

Un sistema è quello dello stereoscopio, esso è composto da due specchi a 90°, davanti c’è un pannello con
due buchi dove si possono mettere gli occhi e quando si mettono gli occhi nei buchi in sostanza davanti si
hanno due specchi che indirizzano la vista. Alla fine delle feritoie ci sono due immagini dello stesso oggetto
prese dalla stessa prospettiva da cui lo guarderebbero rispettivamente l’occhio destro e l’occhio sinistro.
(Queste due immagini possono essere riprodotte a casa prendendo una macchinetta fotografica e
fotografando un oggetto quanto più in prospettiva, spostandola poi di circa 6,5/7 cm, la distanza più o
meno tra i due occhi e scattando un’altra foto della scena. Bisogna far in modo allora che l’occhio destro
percepisca solo l’immagine scattata della scena più a destra e che l’occhio sinistro percepisca solo quella
più a sinistra). Appena messi gli occhi nello stereoscopio si vedrà un singolo oggetto posto davanti
proiettato nello spazio tridimensionalmente, quindi come se esso fosse effettivamente presente nello
spazio e non in una foto.

Un altro sistema è quello della Rivalità binoculare: stessa cosa di prima ma anziché limitarsi a scattare la
foto, si mette davanti alla macchinetta un filtro che blocchi tutte le lunghezze d’onda lunghe e brevi, quindi
una parte dell’immagine sarà dominante sul rosso e una sul blu, dopodiché senza stereoscopio, bisogna
usare invece un paio di occhialetti con una lente rossa e una blu. Sovrapponiamo le due immagini entrambe
filtrate delle lunghezze d’onda e il risultato con gli occhiali sarà che ognuna delle lenti filtrerà una parte
dell’immagine, cioè farà passare soltanto l’altra (il rosso filtra bene le lunghezze d’onda corte e il blu filtra
bene le lunghezze d’onda blu). Quindi l’occhio destro vedrà una sola cosa e l’occhio sinistro vedrà una sola
cosa opposta al destro. Quando questo succede si ricrea la terza dimensione.

INDIZI PITTORICI (tutti indizi bidimensionali che possono essere ricreati con un pennello o un disegno)
Possiamo percepire la prospettiva anche con un occhio solo
Occlusione parziale:

Se io vedo una figura come questa tendo ad interpretarla come un cerchio sul fondo e un quadrato davanti,
coprendo gli spazi inesistenti.
Grandezza relativa: gli oggetti in primo piano tendono ad essere più grandi di quelli sullo sfondo.
Prospettiva lineare: le linee proiettate all’infinito tendono a convergere.

Gradiente di tessitura: in una superficie fatta dello stesso tipo di elementi, in primo piano vediamo ben
differenziati gli oggetti, la tessitura sullo sfondo invece tende a diventare un aggregato indistinguibile.

Prospettiva aerea: sullo sfondo montagne ecc tendono ad assumere una colorazione vagamente bluastra.

Ombreggiatura: un disegno a due dimensioni risulta tridimensionale solo attraverso una L di un grigio scuro
tendente al nero che noi interpretiamo come ombra, che farà dunque sembrare gli oggetti più in rilievo.
Flusso ottico: oggetti che si muovono in linea dritta tendiamo a percepirli come se ci muovessimo noi in
profondità nello schermo.

(questa è pensata come una gif)


Parallasse del movimento:

se mi sposto dal punto A al punto B e sullo sfondo ho 3 oggetti, quando sono nel punto A l’oggetto posto
nel mezzo occlude parzialmente la visione del quadrato blu, se mi sposto nel punto B quello stesso oggetto
occluderà la visione del quadrato rosso.
Siccome il movimento avviene dinamicamente senza intervalli, questo è un grande indizio di profondità. Per
esempio quando viaggiamo in macchina o in treno, se guardiamo un albero fisso, gli oggetti tra l’albero e
noi si spostano molto rapidamente in direzione contraria a noi, mentre tutto quello che sta oltre l’albero si
sposta con noi.

(Le immagini successive sono pensate come gif che muovendosi conferiscono grande sensazione di
profondità)
La logica applicata per verificare le predizioni conseguenti alle ipotesi sulla disparità retinica, valgono allo
stesso modo per verificare il ruolo degli indizi pittorici. Se è vero che il nostro giudizio sulle distanze
dipende da tali indizi, manipolandoli opportunamente bisognerebbe indurre il sistema visivo in errore.
Esempi:

Se misuriamo i due orchi in realtà hanno la stessa dimensione, l’effetto è dovuto al fatto che il gradiente di
tessitura e gli indizi pittorici e geometrici danno l’impressione che uno sia nettamente più grande dell’altro.

La camera distorta (stanza di Ames)


Una stanza che sembra perfettamente rettangolare, in realtà è trapezoidale e quindi una parete è molto
più vicina all’osservatore, se ci entrano dentro due persone alte uguali, una sembrerà un gigante e l’altra un
nano.

L’illusione della luna


Quando la luna è all’orizzonte sembra molto più grande di quando è allo zenit

Quando la luna è all’orizzonte ho una serie di indizi pittorici che più o meno mi danno una stima di dove
potrebbe essere posizionata la luna, quando invece è allo zenit è in uno spazio quasi vuoto, senza indizi
pittorici e quindi senza oggetti che intercorrono. Certamente la distanza della luna non varia e quindi
l’immagine retinica che produce la luna all’orizzonte è perfettamente uguale alla grandezza dell’immagine
retinica che produce allo zenit.
A parità di immagine retinica, un oggetto risulta essere idealmente più grande se io lo colloco più lontano
(ci vuole un oggetto più grande per riprodurre la stessa immagine retinica) e idealmente più piccolo se lo
colloco più vicino, perché le immagini seguono la grandezza del cono retinico che nella foto sopra è
tratteggiato.
Quindi l’idea è che per qualche ragione, forse per gli indizi pittorici, l’algoritmo del sistema visivo colloca la
luna più lontana e a quel punto si vede più grande.

Potrebbero piacerti anche