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w.w.w.raffaellocortina.

it
Prefazione
INDICE

IX

1.
Visioni della visione
1

2. La luce

3. L'occhio
21

35

4. Il cervello
97

5. Vedere la luminosità
123

6. Vedere il movimento
143

7. Vedere i colori
177

199

249

283

353
Titolo originale Eye and Brain
© 1998 R.L. Gregory Published by arrangement with Oxford University Press

Traduzione di Alberta Rebaglia

ISBN 978-88-7078-527-2 1998 Raffaello Cortina Editore


Milano, via Rossini 4

Prima edizione: 1998


8. Imparare a vedere

9. Le realtà dell'arte

10. Illusioni

11. Riflessioni

Bibliografia ragionata

Indice analitico

VII
373

391
OCCHIO E CERVELLO

COSA SEGNALANO I NERVI? SOLAMENTE QUALITÀ SPECIFICHE

Il padre fondatore della moderna fisiologia, Johannes Mül- ler (1801-1858), propose una
legge fondamentale del sistema nervoso: le fibre nervose sono in grado di segnalare un solo genere
di qualità. Nota come la legge delle Energie Specifiche (o meglio, legge delle Qualità), essa
costituisce la chiave per comprendere come attraverso la selezione naturale i sistemi sensoriali,
come gli occhi o le orecchie, siano stati progettati per rispondere alle complesse caratteristiche
degli oggetti, compresi i movimenti e i colori.
Tutte le innervazioni sensoriali sono sostanzialmente iden- tiche,
e convogliano segnali con i medesimi potenziali
d'azio- ne – anche se possono dare origine a sensazioni differenti di luminosità, sofferenza, peso,
eccitazione, suono... e molto di più. Ciò che esperiamo dipende dalla regione cerebrale cui
l'innervazione è connessa, ragione per cui, se i nervi ottici fos- sero collegati all'area corticale dell'udito,
noi sentiremmo la luce! Le innervazioni che segnalano i colori sono identiche fra loro; e quindi:
attraverso quale meccanismo siamo in grado di vedere discriminatamente i colori? Questa facoltà
deriva dal fatto che ogni radiazione luminosa di lunghezza d'onda mag- giore, intermedia e più
corta stimola differenti collegamenti neurali del cervello, secondo un meccanismo che verrà de- scritto nel
cap. 7 (si veda la fig. 7.3). Per osservare il movi- mento vi sono circuiti che convertono i complessi
movimenti che si presentano agli occhi nelle usuali, semplici sequenze di impulsi dei potenziali
d'azione, i quali - provenendo dai cir- cuiti di rilevamento del movimento segnalano direzioni e velocità
di movimento di oggetti, o dell'osservatore. Per com- prendere e dare un senso al movimento, così
come a ogni al- tro segnale di origine sensoriale, può risultare necessario l'in- tervento di
processi cerebrali di più alto livello, talvolta di ti- po cognitivo (basati sulla conoscenza). Ci
soffermeremo a osservare questi aspetti con maggior dettaglio, analizzando prima la visione del moto e
poi quella cromatica.

142

6
VEDERE IL MOVIMENTO

Per tutti gli esseri viventi, a eccezione dei più semplici, ri- levare il movimento è essenziale alla
sopravvivenza. Oggetti in movimento potrebbero rivelarsi pericolosi predatori, o possi- bili prede,
oppure potenziali compagni. In ogni caso, richie- dono qualche reazione, mentre gli oggetti fermi
possono ve- nire tranquillamente trascurati. Anzi, solamente occhi appar- tenenti a un livello
evolutivo piuttosto avanzato sono in grado di produrre segnali visivi in assenza di movimento.
Conservato nel nostro stesso apparato oculare possiamo scoprire qualche aspetto del lungo
sviluppo evolutivo del si- stema visivo, che parte dalle creature più semplici per giun- gere fino a noi.
I bordi della nostra retina sono sensibili soltanto al movi- mento, come si può controllare chiedendo a qualcuno
di agi- tare un oggetto al limite del nostro campo visivo, dove sol- tanto i bordi della retina sono
stimolati: il movimento viene colto, ma risulta impossibile identificare di quale oggetto si tratti, né se ne ha
una visione cromatica; quando il movimen- to si ferma, l'oggetto diviene invisibile. Questa è
l'esperienza più vicina alla visione primitiva che ci sia dato provare. Ancor più primitivo è il bordo
estremo della retina: quando viene eccitato da un movimento non abbiamo nessun tipo di sti-
molazione sensoriale, tuttavia si origina un riflesso che ci in- duce a portare l'oggetto in movimento al
centro della nostra area visuale, mettendo in gioco la zona foveale - molto evo- luta - per giungere alla sua
identificazione.

143
OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

Occhi come i nostri, dotati di mobilità rispetto al capo, forniscono due tipi di informazioni sul
movimento. Quando rimangono fermi, l'immagine dell'oggetto in movimento si sposta
attraversando in sequenza molti recettori, e i segnali di movimento giungono dalle retine. Quando
invece gli occhi seguono l'oggetto in movimento, le corrispondenti immagini sulle retine
rimangono per lo più stazionarie e non possono quindi segnalare alcun movimento, seppure
questo sia perce- pito da noi; ciò si verifica anche in assenza di uno sfondo che possa modificare
l'immagine sulla retina man mano che gli occhi si muovono. Questo effetto può essere rivelato con un
piccolo esperimento. In una stanza buia, chiedete a qualcuno di agitare lentamente una debole
lampada a torcia da un lato all'altro e seguitela con gli occhi: vedrete la luce spostarsi, an- che se
sulle retine non vi è alcuna immagine in movimen- to. Evidentemente, la rotazione degli occhi rispetto al
capo è in grado di fornire la percezione di un oggetto in movimento anche in assenza di segnalazioni
di movimento provenienti dalle retine. E questo è possibile in quanto i segnali di rota- zione
degli occhi vengono indirizzati al cervello (con un mec- canismo inaspettato, come si vedrà in seguito).
Per rilevare i movimenti esistono quindi due sistemi visivi essenzialmente differenti: il sistema
immagine-retina e quello occhio-capo (fig. 6.1).

IL MOVIMENTO IMMAGINE-RETINA

Una registrazione dell'attività elettrica generata dal sistema oculare rivela che vi sono diversi tipi di
recettori, quasi tutti in grado di segnalare solamente i cambiamenti di illuminazio- ne; di essi, pochissimi
sono in grado di generare impulsi in pre- senza di un segnale luminoso continuo e costante. Alcuni re-
cettori segnalano quando una luce viene accesa, altri quando viene spenta; mentre altri ancora
ne segnalano sia l'accendersi sia lo spegnersi. Questi recettori sono denominati rispettiva- mente
"on", "off" e "on-off". Sembra che quei recettori che ri-

144
(a)
(b)

Figura 6.1. Due sistemi per la percezione del movimento. (a) Il sistema im- magine-retina: l'immagine di un oggetto in
movimento si muove lungo la retina quando gli occhi sono fermi, fornendo informazioni sul moto me- diante una
successione di stimolazioni dei recettori lungo il suo cammi- no. (b) Il sistema occhio-capo: quando l'occhio segue un
oggetto in movi- mento, l'immagine rimane stazionaria sulla retina, ma noi continuiamo a percepire il movimento, il quale
viene segnalato dai comandi necessari per muovere gli occhi. Talvolta i due sistemi possono trovarsi in disaccordo e
fornire illusioni paradossali di movimento.

spondono solamente alle variazioni di illuminazione siano i re- sponsabili della segnalazione di
movimento, e che gli occhi sia- no tutti essenzialmente dei rivelatori di movimento.
Inserendo elettrodi negli occhi di una rana, si è osservato che l'analisi dell'attività dei recettori
per segnalare il movi- mento ha luogo proprio nella retina. Horace Barlow, del- l'Università di
Cambridge, scoprì nella retina della rana dei

145
OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

"riconoscitori retinici di insetti", che stimolano un riflesso condizionato per la cattura al volo con la lingua, i
quali sono più veloci dei segnali elaborati dal cervello. In un articolo del 1959, simpaticamente
intitolato “Ciò che gli occhi di una ra- na dicono al cervello di una rana", J.Y. Lettvin, del Massa-
chusetts Institute of Technology, e alcuni suoi colleghi de- scrissero questi "riconoscitori di
caratteristiche". Essi scopri-
rono:

1) fibre sensibili soltanto a contorni ben definiti;


2) fibre sensibili soltanto a cambiamenti nella distribuzione
della luce;
3) fibre sensibili soltanto a un generale affievolirsi dell'illumi- namento, come quello causato
dall'ombra di un uccello predatore.

La scoperta fisiologica secondo cui il movimento è specifi- camente codificato come una serie di
segnali neurali presenti nella retina, o nelle aree di proiezione visiva del cervello, è im- portante sotto
molti aspetti. In particolare, essa mostra che per avere la sensazione della velocità non occorre far
uso di un orologio, o stimare un intervallo di tempo; anche se tal- volta si ritiene che i sistemi
neurali che consentono di perce- pire la velocità debbano fare riferimento a qualche tipo di orologio
biologico interno. Questa convinzione deriva dal fat- to che la velocità (v) è definita in fisica dal tempo
(†) che un corpo impiega per portarsi a una data distanza (d), (v d/t). Ma il tachimetro sull'automobile
non è associato ad al- cun genere di orologio; sebbene un orologio sia certamente necessario per tarare
inizialmente questo tipo di strumento, esso · una volta tarato - fornirà indicazioni sulla velocità sen- za dover più
ricorrere a una misurazione di tempo. Una si- tuazione analoga è evidente per gli occhi: l'immagine che
si sposta lungo la retina stimola, in successione, i recettori lun- il suo tragitto, e quanto più
velocemente l'immagine si spo- go sta (fino a un limite superiore) tanto maggiore sarà il segnale di
velocità da essa generato; senza necessità di un orolo- gio. Per quanto l'analogia con altri rivelatori
di velocità, come
i tachimetri, mostri che la velocità potrebbe essere percepita

146
senza compiere misurazioni di tempo, tuttavia essa non forni- sce alcuna indicazione precisa su come
funziona il sistema di visione del movimento. Un modello dettagliato è stato pro- posto per l'occhio
composto delle mosche, e questo è alla ba- se di un sistema in uso sugli aeroplani per rivelarne gli
spo- stamenti provocati dal vento: un rivelatore di movimento che l'evoluzione biologica ha sviluppato
milioni di anni fa e che ora, grazie all'elettronica, si è scoperto risultare utile per un'applicazione
tecnologica; un bell'esempio di bioingegne- ria volta tanto al passato quanto al futuro. L'occhio umano
possiede meccanismi differenti per cogliere il movimento molto lento o quello veloce; come pure per
percepire i movi- menti di maggiore o minore ampiezza di punti appartenenti a strutture
organizzate, oppure disposti casualmente. E questo permette di conferire un senso alla concezione
ingegneristica dei processi fisiologici. È una strana concezione quella secon- do cui noi
non saremmo che dispositivi ingegneristici; ma l'a- spetto più profondo della questione consiste nello
stabilire se questa impostazione possa correttamente venire estesa fino a investire il cervello e la
mente. Il filosofo Gilbert Ryle, di Oxford, ebbe a parlare, in un suo libro famoso, del "Fanta- sma
nella macchina”. È davvero possibile rovesciare il pro- blema, e interrogarci sulla macchina nel
fantasma?

IL MOVIMENTO OCCHIO-CAPO

Il sistema neurale che fornisce la percezione del movimen- to in seguito allo scorrere dell'immagine
sulla retina è assai di- verso da quello che rileva il movimento sulla base della rota- zione degli occhi
rispetto al capo. Il fatto che l'occhio si sta muovendo è segnalato in qualche modo al cervello e
utilizza- to per
indicare i movimenti di oggetti esterni. Questo può es- sere mostrato con l'esperimento della torcia
elettrica in movi- mento descritto poc'anzi, giacché in quella situazione non vi è sostanzialmente
alcuno spostamento sulla retina e tuttavia il movimento viene percepito (fig. 6.1(b)).

147
OCCHIO E CERVELLO

Il meccanismo più ovvio di segnalazione del movimento occhio-capo potrebbe trarre origine dai
muscoli ocula- ri: quando questi vengono contratti, dei segnali potrebbero essere rinviati verso il
cervello, al fine di fornire indicazioni sul movimento degli occhi e quindi sul movimento degli og- getti
che vengono seguiti dagli occhi stessi. Questa sarebbe la soluzione semplice e corretta dal punto
di vista di un inge- gnere, ma è effetivamente la soluzione adottata dalla Natu- ra? La risposta si
trova analizzando quella che potrebbe ap- parire una questione del tutto differente.

PERCHÉ IL MONDO RIMANE FERMO QUANDO MUOVIAMO GLI OCCHI?

Ogniqualvolta muoviamo gli occhi, le immagini retiniche scorrono sui recettori, e tuttavia noi non
abbiamo alcuna sen- sazione di movimento: in genere, il mondo non ci gira intor- no quando
spostiamo lo sguardo; cosa che si verifica invece allorché a ruotare è una cinepresa o una
telecamera.
Abbiamo precisato come vi siano due sistemi neurali dedi- cati a segnalare il movimento: i sistemi
immagine-retina e quelli occhio-capo. Sembra che in occasione dei normali mo- vimenti oculari questi
segnali si inibiscano vicendevolmente, per dare stabilità al mondo visivo. Questo aspetto è stato stu-
diato sia dal fisiologo Sir Charles Sherrington (1857-1952), che fece molto per dipanare il problema
dei riflessi spinali, sia da Helmholtz (fig. 6.2); ma le loro opinioni in proposito di- vergevano,
specialmente sul modo in cui il sistema occhio-ca- po trasmette la propria informazione sul movimento. La
teo- ria di Sherrington è nota come teoria dell'influsso, mentre quella di Helmholtz come teoria
dell'efflusso (fig. 6.3). Sher- rington riteneva che i segnali provenienti dai muscoli oculari fossero inviati
al cervello in occasione dei movimenti degli oc- chi, con lo scopo di cancellare i segnali di movimento
pro- dotti dalla retina. Ma, dal momento che i segnali provenienti dai muscoli oculari avrebbero un
tempo di trasmissione mag-

148
Figura 6.2. Hermann von Helmholtz (1821-1894) – fisiologo, fisico, psico- logo, filosofo - è la figura di maggior spicco
negli studi sperimentali sulla visione. La sua Ottica fisiologica è il fondamento di questa disciplina.

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OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

giore di quello dei segnali retinici, sarebbe conseguente aspet- tarsi sensazioni di moto violento e
fastidioso prima che i se- gnali di influsso giungano al cervello per inibire i segnali del sistema
immagine-retina.
Helmholtz sosteneva un'idea molto diversa. Riteneva che i segnali di movimento retinici non venissero
cancellati da se- gnali “centripeti” generati dai muscoli oculari, bensì da se- gnali "centrifughi"
emessi dal cervello per ordinare agli occhi di muoversi.
La questione può essere risolta con esperimenti piuttosto semplici, che ognuno di noi può eseguire
personalmen- te. Provate a spingere delicatamente un occhio con un dito, tenendo l'altro
chiuso ponendovi sopra una mano: quando l'occhio viene ruotato passivamente in questo modo,
si vede il mondo girare intorno, nella direzione opposta rispetto al movimento di rotazione
impresso all'occhio. Evidentemente, la stabilizzazione non si mantiene per i movimenti oculari pas-
sivi, sebbene essa funzioni correttamente per quanto riguarda i normali movimenti oculari
volontari; poiché il mondo ester- no si muove nella direzione opposta rispetto al verso della ro-
tazione passiva del bulbo oculare, risulta evidente che il siste- ma immagine-retina rimane attivo, mentre è
quello occhio-ca- po a essere inibito. Ma per quale ragione il sistema occhio-capo dovrebbe lavorare
solamente per i movimenti oculari volontari, e non per quelli passivi? Secondo Sherring- ton, i
muscoli degli occhi inviano i loro segnali attraverso re- cettori di contrazione con le stesse modalità
con le quali è no- to che analoghi recettori di contrazione forniscono al cervel- lo segnali di
retroazione [feedback] provenienti dai muscoli che muovono gli arti. Tuttavia, per quanto i sei
muscoli ocu- lari possiedano dei recettori di contrazione, il sistema oc- chio-capo non funziona in
quel modo. Come si è detto, i re- cettori di contrazione invierebbero i loro segnali con un ritar- do
eccessivo per cancellare quelli del sistema immagine-retina senza che si vengano a ingenerare
effetti sgradevoli; inoltre, essi sono scarsamente accurati.
Noi siamo in grado di fermare tutti i segnali di movimen-

150
to retinici e vedere cosa accade in corrispondenza dei movi- menti attivi o passivi degli occhi. E
questo può essere fatto facilmente fissando per lungo tempo una sorgente luminosa molto
brillante (o un flash fotografico), in modo da creare un'immagine postuma – equivalente a una
registrazione fo- tografica sulla retina - che si muoverà esattamente con l'oc- chio, quindi senza
fornire alcun segnale di movimento del si- stema immagine-retina. Se si osserva l'immagine
postuma nell'oscurità (per evitare ogni riflesso di sfondo), si può con- statare che, qualora
l'occhio venga premuto con un dito per generare rotazioni passive, l'immagine postuma non si
muo- ve: si tratta di una prova molto convincente contro la teoria dell'influsso, poiché abbiamo segnali
dai recettori di contra- zione muscolare, ma questi non producono alcuna sensazio- ne di movimento.
Tuttavia, se muoviamo gli occhi volontariamente, mentre osserviamo l'immagine postuma nell'oscurità,
vediamo che questa si muove in concomitanza con il movimento degli oc- chi. La spiegazione
fornita da Helmholtz per questo fenome- no consiste nel ritenere che, in tal caso, non sono interessati
i segnali provenienti dai muscoli oculari, bensì i comandi invia- ti per muovere gli occhi. Questa
interpretazione suggerisce che tali segnali di comando per il movimento degli occhi sia- no
monitorati da un circuito interno (fig. 6.3), allo scopo di cancellare i segnali del tipo
immagine-retina: quando questi sono assenti (per esempio, allorché si osserva un'immagine
postuma nell'oscurità) il mondo ruota in connessione con i movimenti oculari, poiché i segnali di
comando non vengono annullati nell'interazione con quelli di movimento retini- co. Movimenti
passivi dell'occhio non generano alcuna sensa- zione di movimento dell'immagine postuma, in
quanto in ta- li circostanze nessuno dei due sistemi produce un segnale di movimento.
Nei casi clinici, pazienti che hanno problemi ai muscoli oculari, o al loro innervamento, vedono il mondo
esterno ruo- tare ogniqualvolta tentano di muovere gli occhi - ed esso si muove nel verso in cui lo
sguardo avrebbe voluto dirigersi. La

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OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

segnali dei muscoli oculari


segnali ai muscoli oculari

segnali retinici di movimento

TEORIA DELL'INFLUSSO

segnali ai muscoli oculari


TEORIA DELL'EFFLUSSO
analizzatore cerebrale

analizzatore cerebrale

Figura 6.3. Perché il mondo rimane stabile quando muoviamo gli oc- chi? La teoria del flusso entrante ipotizza
che i segnali di movimento pro- venienti dalle retine (sistema immagine-retina) siano cancellati dai segnali
connessi con i recettori di contrazione dei muscoli oculari. La teoria del flusso uscente ipotizza invece che i segnali di
movimento retinici siano can- cellati dai segnali efferenti di comando del movimento degli occhi (sistema
occhio-capo), mediante un anello interno di monitoraggio. Le evidenze sperimentali sono in favore di quest'ultima
teoria.

è impedito dal curaro, il veleno che gli


stessa cosa accade se il corretto funzionamento dei muscoli oculari
indigeni del Sud America usano per le loro frecce, e che blocca l'invio dei segnali neurali ai
muscoli. Il fisico austriaco Ernst Mach (1838-1916) ottenne un risultato analogo applicandosi del
mastice sulle palpebre, per impedire i movimenti del globo oculare (un procedimento da
non ripetere!).
Il sistema occhio-capo, quindi, non funziona rivelando gli effettivi movimenti degli
occhi, bensì basandosi sugli ordini

152

di movimento che questi ricevono; e funziona anche quando gli occhi non obbediscono a
tali comandi. È sorprendente che tali segnali di comando possano essere all'origine
di una per- cezione di movimento: in genere, noi pensiamo che queste percezioni giungano sempre
dagli occhi, e non da un centro di controllo collocato all'interno del cervello.
Ma per quale ragione si è sviluppato un sistema tanto pe- culiare? La cosa risulta ancor più
sorprendente quando sco- priamo che vi sono effettivamente dei recettori nei muscoli oculari.
Sembra che un sistema centripeto o a retroazione sa- rebbe troppo lento: il segnale che dovrebbe
ritornare al cer- vello per cancellare i segnali di movimento retinici giunge- rebbe troppo tardi. Infatti,
poiché i segnali provenienti dalla retina devono viaggiare più a lungo per raggiungere il cervel- lo, il
segnale di comando potrebbe arrivare troppo presto agli occhi. Evidentemente, esso viene
ritardato per compensare il piccolo, inevitabile ritardo retinico (il tempo d'azione retini- co),
cosicché non arriva prima del segnale di movimento pro- veniente dalla retina. Tutto ciò può
essere puntualmente os- servato nel movimento dell'immagine postuma, con movi- menti volontari
dell'occhio. Ogni volta che l'occhio viene mosso, l'immagine postuma impiega un po' di tempo per ri-
posizionarsi. Si potrebbe immaginare un sistema più sorpren- dente?

Il caso della luce vagante

Potreste essere interessati a effettuare il seguente esperi- mento. L'apparato è costituito da una
sorgente luminosa de- bole (per esempio, un LED) posta all'estremità di una sala completamente
oscura. Se osservate la luce per un periodo superiore a qualche secondo, essa si metterà a
vagare tutt'in- torno, in un curioso modo erratico, talvolta precipitandosi in una direzione e talaltra
oscillando dolcemente avanti e indie- tro. I suoi movimenti possono sembrare paradossali: si direb- be
spostarsi, eppure non cambia la sua posizione.

153
OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

Il fenomeno della luce vagante è noto come fenomeno au- tocinetico, ed è stato oggetto di una
gran quantità di discus- sioni e di lavori sperimentali. Per spiegarlo è stata avanzata una dozzina
di teorie, e gli psicologi lo hanno utilizzato come indicatore di suggestionabilità e di interazione
di gruppo. Le spiegazioni proposte sono straordinariamente differenti.
Una prima teoria consiste nel ritenere che in queste condi- zioni possono essere intraviste
minuscole particelle che si muovono immerse nell'umor acqueo, di fronte al cristalli- no. Quindi,
secondo quanto sostiene questa ipotesi sembra che a muoversi sia il punto luminoso e non le
particelle, pro- prio come la luna sembra guizzare nel cielo notturno quando le nubi sono
sospinte dal vento. Questo tipo di "movimento indotto" verrà discusso più avanti (p. 165). Risulta
peraltro as- sai evidente che l'effetto autocinetico non può essere ascritto a questo fenomeno: i movimenti
si verificano in direzioni non correlate con il vagare delle particelle negli occhi (le quali pos- sono
essere rese più evidenti mediante un'illuminazione obli- qua), e in ogni caso le particelle non sono in
genere visibili.
Una teoria assai diversa, sostenuta da alcuni oftalmologi, è che gli occhi non possono mantenere la
direzione di sguardo costantemente fissa su un punto luminoso osservato in condi- zioni di
oscurità, per cui è il movimento oculare a causare gli spostamenti sulla retina
dell'immagine, cosicché la sorgente puntiforme sembra in movimento. Questa ipotesi fu
sostan- zialmente confutata quando, nel 1928, Guilford e Dallenbach fotografarono gli occhi di
alcuni soggetti che stavano seguen- do il punto luminoso, e riportarono i movimenti
osservati: al- lorché la descrizione dei movimenti attribuiti al punto lumi- noso venne confrontata
con la sequenza delle fotografie che documentava gli spostamenti oculari, non si trovò
alcun tipo di correlazione. Inoltre, in quelle condizioni i movimenti de- gli occhi risultarono
molto contenuti, mentre i movimenti au- tocinetici possono essere decisamente ampi.
Sembra che sto esperimento sia passato largamente sotto silenzio.
que-

I tentativi di spiegare il fenomeno delle luci vaganti nell'o- scurità partono, in genere, dal
presupposto che qualcosa ef-

154

fettivamente si muova: le particelle nell'umore acqueo, gli oc- chi stessi o qualche tipo di
sistema di riferimento generato nel cervello. Quest'ultima ipotesi ha costituito una parte signifi-
cativa della teoria della percezione sostenuta dagli psicologi della Gestalt, i quali attribuivano
grande importanza all'effet- to della luce vagante. Kurt Koffka nel suo famoso libro Prin- cipi di
psicologia della forma, del 1935, così scrive:

I movimenti autocinetici costituiscono la dimostrazione più notevole dell'esistenza e dell'incidenza funzionale del sistema
di riferimento spaziale generalizzato, ma l'influenza di tale si- stema pervade tutta la nostra esperienza.

L'argomentazione è fondata? Personalmente ritengo che essa contenga un errore essenziale.


Quello che è vero per il mondo degli oggetti osservati non vale necessariamente per gli errori di
osservazione, ovvero per le illusioni. È importan- te cogliere la differenza. Ogni organo
sensoriale può fornire una falsa informazione: una pressione sugli occhi ci fa scor- gere lampi
di luce nell'oscurità; e la stimolazione elettrica di qualsiasi terminazione nervosa sensoriale produce
esattamen- te la medesima percezione normalmente fornita da quel sen- so (si veda p. 142).
Se vi è una segnalazione erronea, dovuta a qualche tipo di disturbo neurale, dobbiamo aspettarci di
percepire un movi- mento, sebbene nulla, in realtà, si stia muovendo. Questa si- tuazione è abbastanza
comune nel caso di strumenti costruiti dall'uomo: il tachimetro di un'automobile può fermarsi a una lettura,
diciamo, di 50 metri al secondo, e indicare questo va- lore di velocità anche se l'auto sta ferma, chiusa
in garage. Analogamente, una pressione sugli occhi ci fa vedere la luce anche quando questa non
c'è.
È vero che tutti i movimenti effettivi degli oggetti sono re- lativi, e che possiamo soltanto
parlarne o misurarli in relazio- ne con altri oggetti. Questa constatazione, che costituisce in-
discutibilmente la base della teoria della relatività speciale di Einstein, fu posta in evidenza
duecento anni prima dall'irlan-

155
OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

dese George Berkeley, allorché contestò un punto dei Princi- pia (1687) di Newton:

Se qualsiasi luogo è relativo, allora ogni movimento è relativo [...]. Il moto non può essere compreso senza
determinarne la direzione, che a sua volta non può essere compresa se non in relazione con il nostro corpo o
quello di qualcun altro. Su, giù, destra, sinistra, tutte le direzioni e i luoghi sono basati su qualche relazione ed
è necessario far riferimento a un altro corpo, distinto da quello in movimento [...] per cui il movi- mento è
per sua natura relativo.
Se quindi supponiamo che ogni cosa sia annullata a eccezio- ne di un unico globo, sarebbe impossibile
immaginarne un qualsiasi movimento.

Molti di coloro che hanno scritto sulla percezione sono partiti dall'ipotesi che se nulla si muove - né
gli occhi, né le particelle all'interno del globo oculare, né altro – è impossi- bile percepire anche
movimenti illusori, come, per esempio, il punto luminoso nell'oscurità. La luce vagante è
stata perciò considerata come rappresentativa di una situazione analoga a quella del globo di
Berkeley, dove viene annullato tutto al- l'infuori del globo stesso; ma di fatto si tratta di cose assai
dif- ferenti.

L'errore risiede nel supporre che false valutazioni del mo- vimento – o illusioni di movimento - richiedano
que si muova qualcosa relativamente a qualcos'altro; mentre esse possono derivare
che comun-
semplicemente da un disturbo, o da una perdita di taratura dello strumento di misura, sia esso il
tachimetro oppure l'occhio. Dobbiamo quindi ricercare il ti- po di disturbo o di perdita della
taratura del sistema visivo che è alla base del fenomeno della luce vagante. Per fare ciò,
produrremo degli ampi e sistematici movimenti illusori del punto luminoso manipolando
deliberatamente il sistema oc- chio-capo.
Se una persona guarda intensamente in una direzione qualsiasi per parecchi secondi, e quindi
riporta gli occhi nel- la loro usuale posizione centrale, osservando frattanto nell'o-

156
scurità una debole sorgente luminosa puntiforme, normal- mente vedrà la luce spostarsi
velocemente nella direzione in cui era stato tenuto lo sguardo. Qualche volta essa si muove nella
direzione opposta, ma assai raramente in un'altra dire- zione qualsiasi. Quando i muscoli oculari
sono affaticati in modo asimmetrico il movimento illusorio può perdurare per parecchi minuti (fig.
6.4). Ora, l'affaticamento dei muscoli

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LO
5

5
6
13
LO

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-

Figura 6.4. Questi istogrammi "a orologio" mostrano come una luce de- bole e puntiforme - vista nell'oscurità dopo
aver tenuti fissi gli occhi in quattro direzioni differenti, per trenta secondi ogni volta – sembri appa- rentemente
muoversi. Le frecce indicano la direzione nella quale gli occhi sono stati mantenuti fissi; le aree colorate in scuro indicano il
movimento illusorio durante i primi 30 secondi, mentre quelle colorate in chiaro si ri- feriscono ai 30 secondi
successivi. I numeri danno la durata in secondi del movimento illusorio in ciascuna direzione durante i primi due minuti suc-
cessivi all'aver mantenuto fisso lo sguardo.

157
OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

oculari richiede segnali anomali di comando per mantenere lo sguardo fisso sulla sorgente luminosa
stazionaria; ma questi sono del tutto analoghi ai segnali che usualmente muovono gli occhi
allorché devono seguire un oggetto in movimen- to. Pertanto, quando qualche muscolo oculare è
affaticato, noi percepiamo un movimento anche se né gli occhi né l'im- magine sulle retine sono
effettivamente in movimento. I co- muni movimenti vaganti, caratteristici dell'effetto autocineti- co,
sembrano dovuti a segnali di comando che mantengono lo sguardo fisso malgrado le piccole
fluttuazioni spontanee nel- l'efficienza dei muscoli oculari, le quali tenderebbero a spo- stare
lievemente l'orientamento degli occhi: il moto apparen- te della sorgente luminosa posta nell'oscurità
non è dovuto al movimento oculare, ma ai segnali di correzione applicati al fi- ne di prevenire tali
possibili movimenti.
Possiamo ora domandarci: se i segnali di correzione fanno muovere il punto luminoso
nell'oscurità, perché essi, in con- dizioni normali, non ingenerano un'instabilità visiva di tutti gli
oggetti del mondo esterno? Perché il mondo appare in ge- nere stabile? Non c'è una risposta
certa a questo interrogati- vo. Può darsi che in presenza di estesi campi visivi i segnali di disturbo
vengano ignorati, in quanto il cervello presuppone che oggetti di grandi dimensioni siano stabili, a
meno che non vi sia una chiara evidenza del contrario. Si tratta di una con- seguenza dell'effetto del
"movimento indotto" (p. 165). Ma, prima di occuparci di questo, dobbiamo considerare il fatto che
talvolta il mondo esterno ci appare effettivamente insta- bile.

Il caso del mondo vagante

Il mondo sembra girarci intorno quando siamo molto affa- ticati, o quando siamo sotto gli effetti
meno piacevoli dell'al- col. Questo fenomeno è stato descritto dall'arguto scrittore irlandese Richard
Brinsley Sheridan. Dopo un party, gli ami- ci lo accompagnarono davanti al portone di casa,
in Berkeley

158
Square, e ivi lo lasciarono; voltandosi, videro che stava anco- ra fermo nel medesimo punto:
"Perché non entri?” gli grida- rono. "Sto aspettando che la porta passi di nuovo, e allora
l'attraverserò con un salto!" rispose Sheridan.
Come ciò si colleghi con il fenomeno della luce vagante non è del tutto chiaro. Può darsi che il sistema di
comando dei moti oculari sia momentaneamente disturbato, oppure può darsi che l'alcol provochi una
riduzione del significato at- tribuito al mondo esterno, per cui i segnali erronei normal- mente
trascurati vengono presi in considerazione. Proprio co- me quando, stanchi o ubriachi, cadiamo in
preda di fantasie e paure irrazionali, allo stesso modo potremmo essere domi- nati da piccoli errori
del sistema nervoso, che, in genere, so- no scartati in quanto insignificanti. Se così fosse, ci si dovreb-
be attendere che i malati di schizofrenia soffrano di una in- stabilità del loro mondo visivo; ma non sono a
conoscenza di evidenze al proposito.

L'effetto cascata

Abbiamo rilevato che i movimenti illusori del punto lumi- noso osservato nell'oscurità sono dovuti a
piccoli disturbi del sistema occhio-capo; potremmo pertanto attenderci di trova- re fenomeni illusori
riguardanti il movimento dovuti a distur- bi del sistema immagine-retina. E in effetti ve ne sono. Può
sembrare che regioni diverse del campo visivo si muovano in direzioni differenti e con differenti
velocità; e gli effetti illu- sori che ne conseguono sono bizzarri e talvolta paradossali, giacché è
possibile osservare un movimento senza cambiare posizione.
Questo noto disturbo del sistema immagine-retina fu de- scritto già da Aristotele, il quale, subito
dopo aver osservato una cascata, ebbe l'impressione che le sponde del fiume ap- parentemente
si muovessero. Ed è questa la ragione per cui l'effetto prende il nome di effetto cascata, anche se esso
viene prodotto da qualsiasi movimento continuo, compresa l'e-

159
OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO
Effetti postumi generati da una tavola rotante
Un effetto postumo di rotazione si produce guardando fissamen- te per circa mezzo minuto l'asse centrale del
piatto di un giradi- schi in funzione. Se il piatto viene fermato improvvisamente, sembrerà che questo continui a
girare, ma in direzione opposta. Porre in rotazione l'immagine di una spirale (fig. 6.5) produce ef- fetti illusori di
espansione o contrazione, i quali si trasferiscono anche ad altri oggetti, per esempio al volto di una persona. Poi-
ché aree diverse subiscono effetti differenti (che possono essere sia rotazioni sia cambiamenti di dimensioni), l'effetto dovrà
esse- re retinico, e riguardare il sistema immagine-retina.
spansione o la contrazione. L'effetto postumo è sempre direzione opposta rispetto allo stimolo che
l'ha prodotto.
nella

Questo si può anche constatare seguendo con gli occhi un nastro composto da molte strisce e messo
in movimento: ritor- nando rapidamente con gli occhi al punto iniziale (con le luci spente), seguendo
nuovamente il movimento e ripetendo più volte questa procedura (fig. 6.6). In tal modo si prova una
sen- sazione di movimento in una direzione utilizzando il sistema occhio-capo, ma non quello immagine-retina.
Quando il movi- mento del nastro viene fermato, dopo una visione prolungata che comporta i
movimenti oculari descritti, non si notano ap- prezzabili effetti conseguenti. Pertanto, possiamo
imputare l'effetto cascata (per lo meno, quasi interamente) all'adatta- mento del sistema
immagine-retina. Solo questo potrebbe dar luogo a fenomeni illusori di espansione o contrazione.
Per quale motivo si verifichi l'adattamento ai movimenti retinici è un problema interessante. Dal
lavoro di Hubel e Wiesel abbiamo visto che il movimento viene colto attraverso

Figura 6.5. Quando la spirale viene ruotata lentamente, sembra contrarsi o espandersi, a seconda della direzione di
rotazione. Quando il movimento si ferma, sembra che la spirale continui a muoversi, ma in senso opposto ri- spetto allo
stimolo precedente. L'illusione di una espansione o contrazione dell'immagine è un paradosso, in quanto la
spirale non appare cambiar di- mensione.

160
Figura 6.6. L'effetto cascata. Si può percepire il movimento delle strisce sia tenendo gli occhi fermi (con un punto
stazionario su cui fissare lo sguardo) sia seguendone con gli occhi il movimento. Nel primo caso viene stimolato il sistema
immagine-retina, mentre nel secondo caso è il sistema occhio-ca- po, e non la retina, a segnalare il movimento. Vi è un
effetto postumo an- che per il sistema occhio-capo? Esso è certamente molto minore di quello che concerne il sistema
immagine-retina, anzi probabilmente è assente.

161
OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

canali neurali separati, e che canali diversi indicano differen- ti direzioni di movimento (fig.
4.8). È sensato ammettere che qualcuno di questi canali divenga "affaticato" a causa della
stimolazione prolungata, e che questa situazione sbilanci il si- stema, generando un
movimento illusorio nella direzione op- posta; questo, d'altronde, può avere una sua utilità,
consen- tendo di tarare nuovamente il sistema.
Rimane da chiarire se il processo di adattamento abbia luo- go nella retina, oppure nel cervello.
La retina può sembrare un apparato eccessivamente semplice per ospitare un proces- so tanto
complesso, ma è molto difficile negare l'esistenza di una qualche forma di adattamento a livello
retinico, almeno come concausa. Si potrebbe pensare (e numerosi tra gli spe- rimentatori che
meglio hanno indagato l'argomento lo hanno pensato) che la questione possa venire
risolta fissando lo sti- molo in movimento con un occhio solo e tenendo l'altro co- perto, e quindi osservando
se si verifica un effetto postumo allorché si guarda l'oggetto fermo con l'occhio che in prece-
denza non aveva ricevuto alcuno stimolo: la risposta è che l'effetto si verifica, e con un'intensità
dimezzata. Ma ciò non mostra in modo conclusivo che l'adattamento ha luogo nel cervello, poiché è
possibile che l'occhio precedentemente sti- molato continui a inviare segnali di movimento
anche dopo essere stato chiuso, e che questi siano “proiettati” nel campo visivo dell'occhio non
stimolato. Questo è perfettamente pos- sibile, poiché non si sa quale occhio sia attivo; anche se si ten- de
a credere, spesso erroneamente, che sia impegnato nella vi- sione l'occhio che è aperto. (Per
evitare il problema si do- vrebbe far uso dell'effetto di "cecità da pressione", in modo tale da
bloccare i segnali provenienti dall'occhio stimolato - ma premere l'occhio per impedire
l'afflusso di sangue alla re- tina è estremamente pericoloso; non fatelo assolutamente!)
Come abbiamo detto, se si esamina con attenzione l'effet- to conseguente prodotto dalla rotazione della
spirale si vede che il movimento illusorio è paradossale - per esempio, la spi- rale si espande
senza aumentare la propria dimensione (fig. 6.5). Per cui essa cambia senza però modificarsi; il
che sa-

162
rebbe impossibile per gli oggetti fisici, ma non dobbiamo di- menticare che quanto vale per gli
oggetti fisici può non esse- re vero per la percezione che ne abbiamo: possiamo avere esperienza
anche di cose che sono logicamente impossibi- li. Nel caso degli effetti conseguenti del movimento,
dove si verifica un'espansione senza cambiamento di dimensione, possiamo supporre che il
fenomeno sia dovuto al fatto che ve- locità e posizione sono segnalate mediante canali neurali
sepa- rati; e quando uno di questi è alterato, risulterà in disaccordo con i segnali trasmessi dall'altro. Il
cervello viene a trovarsi nella posizione di un giudice che deve prendere una decisio- ne su prove
conflittuali basandosi sulle dichiarazioni dei te- stimoni: quando vengono accettate due storie
incompatibili, il giudice incappa in un paradosso. Il sistema percettivo è co- stituito da molti canali,
e quindi da molte fonti di informa- zione, ed è per questo che il cervello deve operare come un
giudice: talvolta respingendo il contenuto dei canali e le cor- rispondenti fonti di informazione,
talaltra accettando segnali incompatibili, ovvero informazioni conflittuali. In quest'ulti- mo caso
sperimentiamo un paradosso. Non dovremmo quin- di essere troppo sorpresi del fatto che possa
risultare impos- sibile descrivere illusioni e allucinazioni in termini di espe- rienze normali.

RELATIVITÀ DEL MOVIMENTO

per la percezione del movimento, basati sia sulla


Finora abbiamo considerato i meccanismi fondamentali
stimolazione della retina da parte di immagini in movimento sia sul mec- canismo di inseguimento
oculare di oggetti in movimento. Vi sono, tuttavia, ancora molte considerazioni da svolgere a pro-
posito della percezione del movimento. Ogniqualvolta è in presenza di un movimento, il cervello deve
decidere che cosa si stia effettivamente muovendo e cosa sia fermo. Sebbene, come abbiamo visto, sia
ingannevole supporre che il movi- mento illusorio comporti necessariamente qualche movimen-

163
OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

to effettivo, resta comunque vero che ogni movimento reale è relativo; e pertanto è sempre
necessaria una decisione per sta- bilire che cosa si stia muovendo. Un esempio banale si ha ogni
volta che - camminando, usando l'automobile o volan- do cambiamo la nostra posizione:
normalmente sappiamo se il movimento che osserviamo è dovuto al nostro stesso mo- to, oppure se a
muoversi siano gli oggetti che ci circonda- no; anche i casi più palesi richiedono comunque che
si stabi- lisca qual è la fonte del movimento. Talvolta ci si decide per l'alternativa sbagliata, e
ciò provoca errori che possono esse- re particolarmente pericolosi, in quanto la percezione del
mo- vimento è di importanza primaria per la sopravvivenza. E questo è vero tanto per noi, che
viviamo in una situazione di civiltà avanzata, quanto lo è stato sempre, fin dalle primitive
condizioni in cui occhio e cervello si sono evoluti.
La maggior parte della ricerca sulla percezione è stata compiuta mantenendo l'osservatore fermo, e
spesso chieden- dogli di guardare dentro dispositivi che gli mostravano lampi di luce o figure. Ma
la percezione quotidiana avviene mentre l'osservatore si muove liberamente, entro un mondo dove
un certo numero di oggetti circostanti è anch'esso in movimen- to, come quando si guida un'auto in
mezzo al traffico. Poter studiare sperimentalmente simili condizioni della vita quoti- diana comporta
grosse difficoltà tecniche; ma vale la
pena
di tentare, poiché i risultati sono importanti per la guida strada- le, il volo, e anche per le imprese
spaziali. Gli astronauti
per vengono addestrati, mediante simulatori fortemente realistici, a esprimere giudizi su velocità,
dimensione e distanza degli oggetti; e lo stesso vale anche per i piloti. I simulatori visivi so- no
importanti per l'allenamento al volo e alle attività spaziali, come pure per gli aspetti più semplici
della guida di un auto- veicolo; ma essi non riproducono la realtà in modo perfetto, per cui le abilità
acquisite con il loro impiego di rado risulta- no completamente adeguate alle condizioni reali. Nei
mo- menti difficili, tali differenze possono rivelarsi sotto forma di cattive abitudini contratte dal
soggetto addestrato: si ha un “transfer negativo" prodotto dal simulatore.

164

Come abbiamo detto, è sempre necessario prendere una decisione per stabilire cosa si stia
effettivamente muoven- do. Se l'osservatore sta camminando, o sta correndo, solo ra- ramente possono
verificarsi dei problemi, poiché riceve dagli arti una quantità di informazioni che gli segnalano il
proprio movimento in relazione al terreno. Ma quando egli si trova su un'automobile o su un
aeroplano la situazione è assai diversa, dal momento che i suoi piedi non sono appoggiati sul
terreno e gli occhi sono l'unica sua fonte di informazione; salvo du- rante le accelerazioni (o le
decelerazioni o i cambiamenti di direzione) allorché gli organi dell'equilibrio situati nell'orec- chio medio
sono in grado di fornirgli qualche ulteriore, per quanto spesso ingannevole, informazione.

Movimento indotto

Il fenomeno noto come movimento indotto fu studiato dal fisiologo della Gestalt Karl Duncker. Egli
concepì delle situa- zioni sperimentali al fine di mostrare che, in presenza di un movimento
relativo, noi solitamente vediamo l'oggetto più grande restare fermo e il più piccolo muoversi. Così
tendiamo a vedere la luna – piccola - correre nel cielo, anche se sono le nuvole - grandi - che le si
muovono attorno. Questo tipo di fenomeni non può essere mostrato facilmente all'interno di una
stanza, ma ci si può riuscire proiettando una piccola mac- chia luminosa su un grande schermo
mobile (fig. 6.7): quan- do lo schermo è in movimento, ciò che è visto muoversi è la piccola macchia
luminosa, la quale in realtà è stazionaria.
Si può notare che, in effetti, se gli occhi ruotano, abbiamo a disposizione qualche informazione su
cosa si stia muoven- do, ma un segnale del sistema occhio-capo non sempre è suf- ficiente per
sciogliere i dubbi. Questa considerazione è rile- vante ritornando al curioso interrogativo sul
perché il mondo che vediamo intorno a noi non ruota insieme al movimento degli occhi, mentre ciò avviene
allorché è una telecamera a eseguire una carrellata circolare su una scena (p. 148).

165
OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

lo schermo si muove
la macchia luminosa è immobile

REALTÀ
lo schermo appare immobile

la macchia luminosa appare in movimento

APPARENZA

Figura 6.7. Movimento indotto. Una piccola chiazza luminosa viene proiettata su di un grande schermo, che viene
quindi spostato: questo in- duce la sensazione apparente che la chiazza luminosa stazionaria si muova
nella direzione opposta.

Sembra piuttosto evidente che il cervello scommette sul fatto che siano gli oggetti piccoli a
muoversi, dal momento che quelli grandi (come gli alberi o le case) sono stazionari; e una
supposizione erronea può dar luogo a un fastidio o a un pericolo, come quando, per esempio, si
guida un'automobile: "È il mio freno a mano che è guasto, o è quell'idiota lì davanti che sta
tornando indietro?". La risposta è importante!

MOVIMENTO E DISTANZA

Quando ci muoviamo, per esempio, a destra, gli oggetti vi- cini si muovono in direzione
opposta al nostro movimento - ovvero a sinistra - mentre quelli distanti sembrano muoversi
insieme a noi, anch'essi verso destra. Si tratta del fenomeno di parallasse dinamica, e la sua
spiegazione è piuttosto sempli- ce. L'effetto è identico a quello che regola la visione stereo-

166
scopica, dovuta alle due immagini leggermente differenti ge- nerate da ciascuno dei due occhi, e
certamente (come Brian Rogers, dell'Università di Oxford, ha posto in evidenza) la percezione di
profondità stereoscopica può essersi sviluppata a partire dalla parallasse dinamica – che è essa
stessa una va- lida introduzione alla percezione della profondità. Per quan- to la geometria
del fenomeno della parallasse dinamica sia semplice, ne derivano effetti visivi sorprendentemente sottili.
Quando, di notte, osserviamo la luna mentre stiamo viag- giando in automobile, la vediamo
muoversi apparentemente nella nostra stessa direzione, piuttosto lentamente. A una ve-
locità di 50 km all'ora, la luna può sembrare muoversi a circa 10 km all'ora: la vediamo muoversi
più lentamente di noi, ep- pure essa ci sta sempre di fronte - ancora un paradosso!
La luna è talmente distante che possiamo considerare che essa si trovi all'infinito e che dunque, man
mano che l'auto- mobile procede, l'angolo sotto cui la osserviamo rimanga co- stante. Pertanto,
diversamente dagli altri oggetti vicini, essa non muta la propria posizione, nonostante il nostro
movi- mento; e tuttavia, dal punto di vista della nostra percezione la luna si trova a una distanza
di sole poche centinaia di me- tri. Deriviamo questa valutazione dalla sua dimensione appa- rente:
essa sottende un arco di circa 0,5°, e pertanto sembra avere la dimensione all'incirca di un'arancia che si trovi a
qualche centinaio di metri di distanza. Quindi, muovendoci non lasciamo la luna dietro di noi in quanto
essa è talmente distante che l'angolo sotto cui la osserviamo non cambia mai, e pur tuttavia non ci
appare così lontana. Il solo modo che il nostro apparato percettivo ha a disposizione per conciliare
queste due istanze è quello di "assumere" che la luna si stia muovendo con l'automobile: la sua
velocità apparente è det- tata dalla sua distanza apparente. Se modifichiamo tale di-
stanza (osservandola attraverso dei prismi convergenti per modificare la convergenza oculare)
essa sembrerà muoversi con una differente velocità.
Un effetto particolarmente interessante, e a questo stretta- mente correlato, può essere osservato
proiettando immagini

167
OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

stereo su uno schermo (con dei filtri polarizzanti incrociati o delle lenti rosso-verdi). Quando
l'osservatore muove il capo da una parte all'altra, la scena stereo sembra ruotare, così da seguire
ogni movimento dell'osservatore, malgrado essa ri- manga fissa sullo schermo. Pertanto, una
proiezione stereo- scopica di un corridoio ruota in modo tale che apparente- mente la sezione
frontale del corridoio si sposta con l'osser- vatore: questo movimento apparente è l'opposto di quello
che si osserverebbe se la scena fosse reale, e avessimo di fron- te un vero corridoio. C'è di più: se le
due immagini stereo- scopiche sono state riprese in modo tale da coincidere in di- stanza al termine del
corridoio, questo non ruoterà, ma tra- slerà egualmente per tutta la sua lunghezza; se invece le immagini
stereo sono realizzate in modo da coincidere in prossimità della metà del corridoio (cosicché si abbiano disu-
guaglianze di segno opposto per le sezioni frontali e termina- li), il corridoio sembrerà ruotare
attorno al punto di disugua- glianza nulla, sempre in relazione ai movimenti dell'osserva-
tore.

Gli esperimenti sulle proiezioni stereoscopiche sono al- quanto rivelatori, poiché la scena è piatta e
giace su uno schermo; per cui, anche se la si vede in prospettiva, non vi è alcun effetto fisico di
parallasse dinamica. Normalmente il mondo esterno ruota attorno al punto di fissazione oculare,
nella direzione opposta rispetto a quella del movimento del- l'osservatore (come si può chiaramente
osservare viaggiando in treno). Ma quando si osservano immagini piatte in pro- spettiva stereoscopica
accade il contrario: esse sembrano ruo- tare con i movimenti dell'osservatore, attorno al punto di
con- vergenza oculare, dove la disparità è azzerata - punto defini- to dalla separazione della
coppia di immagini stereo sullo schermo. Sono effetti che vale la pena indagare. Poiché que- sti
movimenti illusori sono in direzione opposta rispetto al normale effetto di parallasse dinamica, ciò
che stiamo osser- vando sono proprio le compensazioni di tale effetto. Queste considerazioni valgono
anche per le normali figure osservate, realisticamente, in prospettiva.

168
MOVIMENTI DI SOGGETTI VIVENTI

Allo psicologo svedese Gunner Johansson dobbiamo alcuni esperimenti estremamente significativi che
mostrano come un'informazione alquanto esigua sia sufficiente per vedere es- seri umani o animali in
movimento. Se, in una stanza buia, si di- spongono piccole sorgenti
luminose in corrispondenza degli
snodi delle braccia e delle gambe di una persona, questa risul- ta completamente invisibile
fintanto che non si muove (fig. 6.8): il movimento farà sì che le luci siano immediatamen- te viste come una
sagoma umana, e piccole differenze nei mo- vimenti renderanno persino possibile identificare se si
tratti di un uomo o di una donna. Questo processo, che non funziona bene per oggetti poco
familiari, fornisce i risultati migliori quando si tratta di forme viventi, specialmente esseri umani.
La capacità di riconoscere amici e nemici è stata sempre molto importante per la sopravvivenza
e, probabilmente, in particolar modo di notte e quando le persone o gli animali so- no parzialmente
nascosti. Per questo sono necessarie così po- che informazioni in presenza di segnali di movimento; e
quanto più è scontato di quale oggetto si tratti, tanto minore è l'informazione richiesta per
riconoscerlo. Questa è una evi- denza estremamente incisiva dell'importante principio della
percezione, in base al quale noi siamo in grado di vedere più di quanto ci passi dinanzi agli
occhi.

MOVIMENTO NEL CINEMATOGRAFO

E IN TELEVISIONE

Tutti i sistemi sensoriali possono essere tratti in ingan- no. Forse, il caso più eclatante è costituito dal
cinematografo e dalla televisione: questi dispositivi presentano una serie di immagini ferme, ma
quello che noi osserviamo è un'azione continua. Tale fenomeno si basa su due principi visivi distin- ti
(anche se spesso confusi): la persistenza della visione e il fe- nomeno “phỉ”.

169
VEDERE IL MOVIMENTO
Figura 6.8. Quando le luci fissate alle giunture delle braccia e delle gambe si muovono, si percepisce immediatamente
che si tratta di due persone (Johansson, 1975, © 1975 Scientific American, Inc., tutti i diritti riservati).

170
Persistenza della visione
>

Questo fenomeno consiste semplicemente nell'incapacità della retina di segnalare rapidi


cambiamenti dell'intensità lu- minosa. Una sorgente che emetta impulsi luminosi a una fre- quenza
superiore a circa 50 lampi al secondo appare stabi- le; per sorgenti particolarmente brillanti
questa frequenza cri- tica di fusione può raggiungere i 100 e più impulsi al secondo. Il
cinematografo presenta 24 immagini al secondo, ma l'im- piego di un otturatore a tre lamelle porta la
velocità di sfar- fallio a 72 impulsi per secondo - tre per ciascuna immagi- ne. La televisione (secondo lo
standard inglese) utilizza 25 im- magini rinnovate al secondo, ciascuna presentata due volte per
portare la velocità di sfarfallio a 50 impulsi al secon- do; per ridurre l'effetto dello sfarfallio si utilizza
una “scan- sione interallacciata", in cui le sezioni orizzontali di ciascuna immagine sono costruite con una
scansione per bande di li- nee, anziché in modo continuo su tutto lo schermo. Ciono- nostante, lo sfarfallio
della televisione può essere fastidioso; ed è potenzialmente pericoloso per chi soffre di epilessia,
in- fatti è impiegato per evocarne i sintomi in fase di diagnosi del- la malattia. Lo sfarfallio può
inoltre rappresentare un perico- lo, se si guida lungo un filare di alberi con il sole basso sull'o-
rizzonte. Anche quando si atterra con un elicottero in condizioni tropicali le pale del rotore producono un
violento sfarfallio della luce, che può risultare pericoloso. Gli "strobo- scopi” impiegati nelle
discoteche possono ingenerare analo- ghi disturbi: e dovrebbero probabilmente essere evitati. (Co- me
pure dovrebbero ovviamente essere evitati gli alti livelli sonori, capaci di produrre perdite
permanenti dell'udito. I sensi sono troppo preziosi per abusarne e danneggiarli, quan- do non è
necessario.)
Lo sfarfallio a bassa frequenza produce effetti molto dan- nosi sugli osservatori normali, e non solo
su coloro che pre- sentano una predisposizione alle crisi epilettiche. Quando i lampi di luce si
susseguono a una frequenza tra i cinque e i die- ci per secondo, si possono vedere dei colori brillanti e
delle fi-

171
OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

gure ferme o in movimento che acquistano uno straordinario risalto. L'origine di questo fenomeno
non è chiara, ma proba- bilmente deriva da un disturbo diretto del sistema visivo cere- brale, sovraccaricato dalle
massicce e ripetute stimolazioni ge- nerate dall'attività retinica. Le sequenze sono talmente varie che risulta
difficile inferirne alcunché circa i sistemi cerebrali che sono stati disturbati: si tratta comunque di un'esperienza
che può risultare spiacevole, e causare mal di capo e nausea.

Il movimento "phi"

L'altro principio fondamentale su cui è basato il cinemato- grafo è il movimento apparente,


noto come fenomeno "phi". Esso viene normalmente studiato in laboratorio con un dispositivo
molto semplice, costituito da due sorgenti lumi- nose programmate in modo tale che non appena
una delle due luci si spegne l'altra si accende, in sequenza. Ciò che si vede -- quando la distanza
tra le luci e l'intervallo di tempo tra i loro impulsi sono stati regolati opportunamente – è una sor-
gente di luce singola, che apparentemente si muove tra le po- sizioni occupate dalle due
sorgenti. Gli psicologi della Gestalt ipotizzarono che questo movimento apparente, attraverso
l'intervallo di separazione tra le sorgenti, fosse dovuto a una carica elettrica che oscilla attraverso il
cervello, per dare la sensazione del movimento e riempire le discontinuità tra gli impulsi. Dal
momento che, all'inizio del secolo, gli psicologi della Gestalt ritenevano che il fenomeno phi rivelasse
questo basilare processo, esso venne profondamente indagato. Oggi qualsiasi studioso
autorevole considererebbe probabilmente il punto di vista gestaltico sostanzialmente scorretto.
È sufficiente il concetto secondo cui il sistema immagine-re- tina presenta una buona tolleranza alle
discontinuità per spie- gare il movimento phi. Infatti, il processo visivo ha bisogno di un certo
grado di tolleranza per far fronte a tutti i tipi di ina- deguatezze che si possono presentare (una
situazione simile a quella costituita dall'abbinamento tra la chiave e la toppa della

172
ta forma, e una certa tolleranza è essenziale,
serratura: la chiave non deve avere esattamente una determina-
altrimenti qualsia- si piccola alterazione della forma della toppa o della stessa chia- ve impedirebbe il
funzionamento della serratura). Questo uso della tolleranza è un principio fondamentale
dell'ingegneria.
Gli oggetti in movimento possono temporaneamente scom- parire, come quando un animale in corsa è
nascosto momenta- neamente da un albero; ma per l'osservatore è utile vederlo co- me un movimento
continuo dello stesso oggetto. Il sistema im- magine-retina tollera queste discontinuità, purché i salti
nello spazio e nel tempo non siano troppo grandi. Per una fortunata conseguenza, tale tolleranza
spaziale e temporale rende i di- spositivi cinematografici e televisivi economicamente possibili.

VEDERE LE CAUSE

L'importanza di relazioni regolari e codificate per la perce- zione è stata studiata sperimentalmente da
Albert Michotte all'Università di Lovanio, in Belgio. Per molti anni egli ha esa- minato la percezione
visiva dei processi causali, muovendo macchie di colore aventi differenti velocità e differenti tempi di
ritardo – utilizzando l'apparato mostrato nella fig. 6.9. Egli faceva in modo che una delle macchie colorate si
avvicinassea un'altra, talvolta toccandola; a quel punto essa si allontana- va, generalmente dopo un
piccolo ritardo. Mediante oppor- tune combinazioni di velocità e ritardi, si veniva a creare una forte
sensazione che la prima macchia di colore avesse urtato la seconda sospingendola in modo
causale, analogamente a quanto avviene per oggetti che interagiscano nel mondo fisi- co, quali le
palle da biliardo, anche se in questo caso non si trattava che di macchie di colore. Michotte riteneva che ve- dere i
processi come successioni di cause ed effetti sia un comportamento innato; ma questa è un'affermazione
difficile da confermare, poiché potrebbe essere esito di un apprendi- mento dovuto ad anni di
osservazione del modo in cui gli og- getti interagiscono.

173
OCCHIO E CERVELLO
VEDERE IL MOVIMENTO

fessura d'osservazione
disco rotante

Figura 6.9. L'apparecchio di Michotte per scoprire le regole della perce- zione della causalità. Una chiazza colorata si
muove in direzione di un'al- tra, la quale dopo un ritardo controllato si allontana. Questo evento appa- re una successione
causale se i ritardi e le velocità approssimano quelli ti- pici delle interazioni tra oggetti. (Esperimenti di questo
tipo possono oggi venire eseguiti in modo molto più semplice con l'ausilio della computer graphics.)

In maniera analoga, si vedono successioni causali anche in un film a disegni animati, sebbene
in questo caso gli oggetti siano delle astrazioni. Qui diventano interessanti le situazioni in cui le
interazioni causali sono inadeguate alla nostra cono- scenza degli oggetti, e indubbiamente una
percentuale signi- ficativa della comicità dei cartoni animati risiede nel disac- cordo che si manifesta tra
regole causali e significato degli og- getti. Anche in questo caso, l'analisi della percezione ci pone di
fronte a una copiosa mescolanza di regole (sintattiche) e di significati (semantici). I cartoni
costituiscono un mezzo idea-
174
le sia per divertirsi sia per studiare tanto gli aspetti di base quanto quelli più sofisticati
dell'attività visiva.
Per quanto Michotte fosse incline a considerare innata la visione delle cause, dal momento che i
soggetti ai quali face- va compiere osservazioni mostravano un accordo generale (anche se vi erano
difficoltà di interpretazione a causa delle differenze nelle loro descrizioni verbali), noi tutti ci
confron- tiamo per lo più con il medesimo tipo di oggetti, per cui po- trebbe essere
un'esperienza universalmente condivisa a gene- rare una simile percezione delle cause: l'esistenza
di un ac- cordo tra gli osservatori, quando si tratta di situazioni ordinarie, non è in grado di
distinguere tra conoscenza inna- ta e conoscenza appresa mediante l'esperienza; e questa ri-
mane pertanto una questione assai difficile da risolvere. Espe- rimenti svolti con oggetti
artificiali, servendosi di giochi elet- tronici e tecniche di realtà virtuale, potrebbero fornire nuovi
elementi per dirimere questa vecchia controversia.
Comunque sia, le relazioni causali indagate nella scienza sono spesso assai differenti da quelle che ci
appaiono osser- vativamente, dal momento che in quel caso le "frecce" che in- dicano le cause
dei fenomeni devono essere specificate da modelli concettuali. Vi è una differenza importante tra le
ipo- tesi percettive e quelle concettuali. La notte segue il giorno, ma nessuno dei due è causa
dell'altro: abbiamo bisogno del modello mentale della rotazione della Terra per “vedere”
concettualmente la causa.

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