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PERCEZIONE E
DELL’ATTENZIONE
Capitolo 1)
IL METODO SPERIMENTALE
Metodo sperimentale = per studiare i processi cognitivi in maniera sistematica, controllata e
replicabile controlliamo il fenomeno, facciamo previsioni e comprendiamo il fenomeno attraverso la
replicabilità.
Variabile = proprietà di un evento reale che può essere misurata; misurazione = sistema per
assegnare un valore ad una variabile.
La variabile può essere :
a. Indipendente (VI): quella che decido di modificare, manipolare e controllare per
vedere se ha effetto sulla variabile dipendente.
b. Dipendente (VD) che viene scelta con una misura dell’effetto della variabile
indipendente.
Gli esperimenti che si eseguono per verificare le ipotesi della nostra osservazione legano le due
variabili.
Le Procedure statistiche ci dicono se eventuali differenze sono dovute al caso o sono legate
alla variabile indipendente.
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Tecniche sperimentali (negli esperimenti) :
Capitolo 2)
b. Un sistema visivo che recepisce tali variazioni e le trasforma in segnali comprensibili al cervello;
Ciò che vediamo non corrisponde perfettamente al mondo fisico, anche perché il nostro sistema
visivo percepisce solo una ristretta gamma di energia elettromagnetica (400-700 nanometri: non
vediamo infatti i raggi ultravioletti ad es.). La percezione umana non ricrea esattamente la realtà
esterna ma crea un tipo di rappresentazione secondo alcuni principi, che ci permettono di
interagire in maniera efficace con l’ambiente esterno (anche se in alcuni casi funzionano male, es.
illusioni). I principi possono essere legati ad aspetti strutturali e fisiologici (ossia le caratteristiche
del sistema visivo), o ad aspetti funzionali (ossia caratteristiche non legate alla visiologia, es.
esperienze passate).
Principi strutturali-fisiologici :
La via più utilizzata dal nostro sistema visivo per la visione è la via genicolo-striata: è formata
dall’occhio, dalle vie di connessione (una delle quali passa dal genicolo laterale) e varie parti del
cervello (la prima che si incontra è la corteccia occipitale, definita visivo-primaria, ed è striata).
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modifica appiattendosi o ingrandendosi in funzione della distanza degli
oggetti per mantenerli a fuoco = processo di accomodazione).
Grazie a queste trasformazioni l’immagine può essere letta dal cervello, la struttura
responsabile della trasduzione dell’immagine è la retina, che si trova nella parte
posteriore dell’occhio. Essa contiene due tipi di fotorecettori (cellule), con diverse
funzioni e diverse distribuzioni spaziali nella retina, che permettono la prima
formazione e la trasduzione dell’immagine in segnali elettrici: coni e bastoncelli (per
funzionare hanno bisogno di sangue).
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Coni Bastoncelli
All’interno dell’occhio si distinguono tre tipi di coni (corti, medi e lunghi) che quando
vengono stimolati rispondono con valori bassi, medi o alti nello spettro.
Attraverso le loro varie combinazioni percepiamo i colori.
Acuità visiva
Grado di risoluzione e dettaglio nella rappresentazione dell’informazione visiva.
È il più piccolo angolo visivo sotteso da un ciclo del reticolo (ripetizione di strisce bianco e
nere) che è possibile percepire. Questo angolo visivo si forma sulla retina in funzione
dell’oggetto che stiamo osservando, passando per il centro del cristallino. La visione foveale è
quella che possiede la massima acuità, poiché nella fovea sono concentrati i coni, che
permettono un’ottima risoluzione dei dettagli.
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In funzione delle caratteristiche dei fotorecettori e del modo in cui si connettono con altri
neuroni, fanno sì che il sistema visivo abbia più o meno livelli di acuità visiva.
Una volta che il segnale visivo arriva ai coni e ai bastoncelli, viene poi portato ad altri neuroni e
infine raggiunge il cervello. Ciò che determina il tipo di dettaglio (e anche le variazioni di
luminosità) è l’interazione tra coni, bastoncelli e gli altri neuroni. Il modo in cui i fotorecettori
si connettono alle cellule gangliari, determina il fatto che i coni abbiano un’alta acuità e una
bassa sensibilità, e i bastoncelli una bassa acuità ma un’alta sensibilità.
L’informazione esce dall’occhio per raggiungere il cervello attraverso gli assoni delle cellule
gangliari che formano il nervo ottico. Il punto esatto in cui l’informazione lascia la retina è il
disco ottico. È un punto vuoto, privo di fotorecettori e neuroni: infatti, se l’informazione cade in
questo punto non viene codificata, e si verifica il fenomeno della MACCHIA CIECA
I due nervi ottici (sinistro e destro) lasciano l’occhio e si incrociano nel chiasma ottico.
L’informazione passa poi nel tratto ottico, attraversa il nucleo ottico, arriva al nucleo
genicolato laterale e infine alla corteccia visiva primaria (nel lobo occipitale, corteccia striata),
l’ultima tappa della via genicolo-striata, che restituisce una forma di rappresentazione, una
percezione.
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Area visiva primaria (V1) o corteccia striata:
Essa è la parte del cervello alla quale arrivano per prima le informazioni visive e dove avviene
l’elaborazione delle caratteristiche base di uno stimolo visivo (es. orientamento, luminosità…).
Caratteristiche ed informazioni varie:
a. È localizzata nel lobo occipitale;
b. Presenta una selettività delle risposte:
I neuroni rispondo a particolari caratteristiche dello stimolo (es. alcuni rispondo ad
orientamenti verticali, altri orizzontali, altri al colore, ecc.);
c. Ha un’organizzazione spaziotopica:
Corrispondenza tra disposizione spaziale degli elementi nel campo visivo e porzioni di
corteccia che li analizzano, e corrispondenza anche tra lesioni nelle vie di connessione
e deficit specifici nel campo visivo.
d. L’area maggiormente rappresentata è quella della fovea (più acuità), la quale occupa appunto
la maggior parte dell’area V1.
e. I campi visivi sono molto piccoli, ossia contengono una quantità di dettaglio per porzioni
molto piccole dello spazio esterno.
f. ha luogo la completa lateralizzazione dell’informazione;
tutte le informazioni provenienti dal campo visivo di sx di ogni occhio, sono
elaborate nell’emisfero dx (controlaterale), e viceversa per il campo visivo dx.
Il sistema visivo è organizzato in maniera gerarchica: l’informazione, infatti, dalla corteccia visiva
primaria viene mandata in altre aree secondarie (extra-striate) e in aree associative (dove vengono
integrate informazioni provenienti da modalità sensoriali differenti).
Le aree di ordine superiore codificano aspetti sempre più complessi di uno stimolo e porzioni sempre
più grandi del campo visivo: ciò fa sì che, dal punto di vista spaziale, si perda la precisione
nell’elaborazione dell’informazione, ma dal punto di vista delle caratteristiche permette di
assemblare sempre più elementi.
Dall’area V1 dipartono due vie principali:
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b. Area visiva dorsale :
verso le aree parietali → dove vengono codificate informazioni relative allo spazio, al tipo di
approccio nei confronti di un oggetto, ecc.
Capitolo 3)
LA CONSAPEVOLEZZA
Consapevolezza:
Ci sono due evidenze principali a favore del fatto che l’informazione consapevole si crea solo quando
c’è un ritorno indietro dell’elaborazione visiva (dalle aree anteriori del cervello all’area visiva
primaria):
Mascheramento visivo:
Esistono altre vie, oltre alla genicolo- striata, per l’analisi dell’informazione visiva, scoperte
grazie a pazienti con sindromi neuropsicologiche.
Una di queste è Il BLINDSGIHT (visione cieca), causata da una lesione in una 1 zona
dell’area V1 (malfunzionamento delle informazioni visive) che rende le persone cieche in
zone particolari del campo visivo. Tuttavia, se queste persone vengono stimolate a dire se
stanno vedendo o meno uno stimolo (con caratteristiche di base, es. se si muove su o giù),
esse riescono a percepire lo stimolo, pur essendo nella zona cieca.
Questo dimostra l’esistenza di altre vie visive in grado di connettersi con le aree visive di
ordine superiore, dando luogo a una forma rudimentale di visione, ossia non nel dettaglio e
senza consapevolezza della stimolazione.
Studi con fMRI hanno registrato l’attività del cervello durante le allucinazioni e durante la
presentazione di stimoli visivi.
Nel primo caso si nota un’attivazione del lobo occipitale coerente col tipo di oggetto
dell’allucinazione (es. giro fusiforme per le facce), ed è un esempio di come una
rappresentazione si può creare esclusivamente da un’attività endogena (proveniente dal
cervello stesso).
Nel secondo caso si nota una minore attivazione delle aree extra-striate durante la stimolazione
visiva a seguito di un’iperattivazione precedente la stimolazione. La situazione con stimolo è
più o meno identica alla situazione di riposo, nella quale, in questi pazienti, si sovrattivano
costantemente le aree visive che possono provocare apputo allucinazioni.
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Capitolo 4)
Insieme dei criteri funzionali che la percezione utilizza per governare in maniera
ordinata la rappresentazione del mondo esterno.
La rappresentazione della realtà esterna non è univocamente legata a un solo oggetto esterno.
Le proiezioni sulla retina circa la forma di un oggetto non permettono di identificarlo in modo
univoco: questo è il problema dell’indeterminazione dell’informazione ottica, ossia una
particolare immagine (informazione ottica) può essere associata a molti oggetti fisici.
Si può verificare anche il problema inverso, ossia una stessa immagine sulla retina può essere
associata a un numero potenzialmente infinito di oggetti.
La percezione visiva (rappresentazione retinica) cambia a seconda del punto di vista.
Tale problema viene risolto dal sistema visivo/percettivo attraverso l’applicazione di alcune
regole e preferenze, che gli permettono di rappresentare il mondo esterno in maniera semplice
ed efficiente.
Si distinguono due classi di principi, criteri funzionali, grazie ai quali la percezione interpreta
il dato sensoriale e fornisce rappresentazioni della realtà:
a. ASIMMETRIE PERCETTIVE
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Asimmetrie percettive
Notiamo infatti più facilmente una linea obliqua in mezzo a tante linee verticali,
che una verticale in mezzo a tante oblique.
Studi dimostrano che la preferenza per le configurazioni verticali/orizzontali è
presente anche in bambini di 12 mesi seppur in forma semplificata.
Abbiamo una lieve preferenza per tutto ciò che sta nel campo visivo di sinistra (gli
oggetti vengono ritenuti più grandi, luminosi, ecc.)
Questo fenomeno viene definito “pseudo-neglect” (il neglect, invece, è una patologia
in cui, solitamente dopo una lesione a destra, si tende a non vedere e a trascurare
tutto ciò che sta a sinistra del campo visivo).
Studi con misure elettrofisiologiche mostrano una preferenza precoce, ossia già a
100 ms dalla presentazione della stimolazione.
Si nota una maggiore attivazione degli elettrodi di destra, poiché l’emisfero destro
del cervello elabora tutto ciò che sta a sinistra (contolateralità del cervello).
Queste asimmetrie strutturano in maniera abbastanza forte il tipo di percezione che abbiamo.
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Fattori di organizzazione percettiva
Permettono al sistema visivo di unire elementi fisicamente disconnessi in unità percettive che
hanno senso in quanto tali.
• Somiglianza:
• Chiusura:
• Destino comune:
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• Buona forma:
Tanto più una serie di elementi sono simmetrici, omogenei e coesi, tanto più
sono percepiti come unità.
Nel compito vengono presentate tre lettere, un target centrale e due distrattori a lato
(“fiancheggiatori”). I soggetti devono premere due tasti a seconda della lettera centrale
(es. un tasto per B e F, un altro per Z e L), e a seconda delle lettere si distinguono tre
situazioni: incompatibile (i due distrattori sono associati alla risposta opposta al target,
es. B è centrale e Z sono i distrattori); neutra (i distrattori non sono associati ad alcuna
risposta, es. N); e compatibile (i distrattori sono associati alla stessa risposta del target,
es. B target, F distrattori).
a. Vicinanza spaziale:
Attività neurale:
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extra- striate), quell’area che si attiva quando vediamo oggetti visivi, forme. Si
è scoperto che quest’area si attiva maggiormente quando vediamo due oggetti
simili, e non solo per caratteristiche di base, ma anche per le relazioni esistenti tra
gli oggetti. La somiglianza attiva quindi in maniera preferenziale l’area del
cervello che solitamente risponde per gli oggetti.
Figure ambigue:
Sono situazioni in cui non ci sono caratteristiche che fanno sì che una delle due
superfici prevalga sull’altra: il margine non viene associato a una delle due aree
(perché ad esempio sono simmetriche), ma alternativamente a entrambe. Sono definite
percezioni bistabili, poiché il margine salta alternativamente da un’immagine all’altra.
Evidenze sperimentali:
Articolazione figura/sfondo:
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Misure comportamentali (Driver e Baylis, 1996):
Viene presentata un’immagine intera, in cui si distingue una figura scura da uno sfondo bianco
(A), che successivamente viene scomposta in due elementi separati (B). Il compito dei soggetti
è accoppiare un elemento di B con la configurazione A. L’oggetto scuro in A è più piccolo e
quindi dà l’impressione di essere figura e non sfondo.
A B oppure
Quando veniva presentato un solo elemento di B (ciò che era percepito come o figura o
sfondo) e veniva chiesto ai soggetti se tale elemento avesse margine uguale o diverso rispetto
alla configurazione A, si è visto che i soggetti erano più veloci nel rispondere se il compito
riguardava la figura. Questo significa che tutto ciò che è percepito come figura è elaborato
meglio.
È stato fatto lo stesso esperimento coi pazienti con neglect: vengono presentate due
configurazioni, e successivamente solo un margine e viene chiesto loro se il margine era stato
presentato anche prima.
Le prestazioni sono nettamente migliori in A, poiché il margine presentato è nel campo visivo di sinistra
ma a destra dell’oggetto bianco (che viene visto come figura), mentre in B il margine è a sinistra della
figura, quindi nella zona cieca dei neglect.
Anche nei pazienti con neglect, quindi, la configurazione figura/sfondo è intatta, e il tipo di
rappresentazione sx/dx non è strettamente legato alle coordinate egocentriche (la loro sx e la loro dx) ma
può anche essere legato alle coordinate dell’oggetto a cui stanno prestando attenzione (allocentriche). Se
infatti la figura bianca è il centro della loro attenzione, essi stabiliscono le coordinate sx/dx in base a tale
oggetto, ed è per questo che in B le prestazioni sono peggiori (il margine non lo vedono perché è a sx).
Presentazione di una figura ambigua (con due percetti alternati) ai soggetti dell’esperimento,
a cui era chiesto di riportare di volta in volta cosa stavano vedendo. Registrando l’attivazione
delle aree occipitali extra-striate e parietali (dell’elaborazione visiva), si è notato che
l’attività neurale cambia ogni volta in cui cambia il percetto. Tali cambiamenti dell’attività
cerebrale sono prettamente endogeni, ossia legati a caratteristiche interne.
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Sistema percettivo e sviluppo:
La psicologia dello sviluppo cerca di capire quali siano i meccanismi di funzionamento della
percezione negli infanti e nei bambini.
Paradigma di familiarizzazione-novità:
Più i bambini sono familiarizzati con un oggetto, meno tempo lo guardano; quando un oggetto
è nuovo (interessante) il tempo di fissazione è maggiore.
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Capitolo 5)
Psicofisica:
Primo modo in cui si è cercato di utilizzare l’approccio sperimentale per studiare la
percezione, i meccanismi percettivi. La psicofisica è parte delle neuroscienze
cognitive, che cerca di capire qual è la relazione tra le stimolazioni esterne e le loro
variazioni (fisico) e le percezioni (psico) evocate da tali stimolazioni.
Misure di soglia:
si distinguono due misure di soglia in psicofisica:
1. Soglia assoluta:
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Oltre al metodo degli stimoli costanti, la psicofisica utilizza altri metodi per ricavare misure di soglia:
Metodi adattivi:
Si mantiene fissa una certa percentuale di accuratezza del soggetto (es. 75% di
risposte corrette) e si manipola l’intensità degli stimoli di modo che la prestazione del
soggetto rimanga sempre intorno al valore di soglia.
Un esempio è il metodo staircase:
Aumentando il numero di prove si ha bisogno di intensità minori, perché il sistema
percettivo diventa più abile nel percepire stimoli che prima non percepiva.
Esempio: se in una stanza con una candela ne aggiungo una, noto la differenza;
ma se nella stanza ci sono 100 candele, una in più non fa la differenza.
Legge di Fechner:
Aggiungendo la minima quantità di intensità necessaria per notare una differenza tra
due stimoli (calcolata con la legge di Weber) la sensazione evocata dal nostro sistema
percettivo di qualcosa che è cambiato è sempre la stessa (sia con 10+0,1 candele, che
con 100+10). Le sensazioni di differenza sono le stesse pur essendo le variazioni di
intensità fisica diverse. La grandezza della sensazione evocata da uno stimolo è
proporzionale al numero della soglia differenziale sopra la soglia assoluta, e la
relazione tra la forza della sensazione e l’intensità dello stimolo è logaritmica.
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Si parla solitamente di legge di Weber-Fechner, perché le osservazioni sono collegate.
Evidenze sperimentali:
L’attenzione è in grado di modificare l’apparenza degli oggetti?
Nell’esperimento vengono presentati due elementi, e il compito è quello di riportare quale dei
due abbia maggior contrasto. Si è notato che se la nostra attenzione è orientata nella zona dove
apparirà lo stimolo di confronto, tale elemento viene percepito come più contrastato.
L’attenzione incrementa quindi la percezione di contrasto dello stimolo di confronto: serve un
valore di intensità fisica più basso per percepire lo stimolo di confronto come uguale a quello
standard.
l’osservatore deve riferire la rilevazione del segnale anche quando non è sicuro (è
forzato a rispondere). Come conseguenza si abbassa la stima di soglia: il soggetto
dirà più volte “sì”.
La teoria della detezione del segnale (TDS) cerca di ovviare a questi problemi. Essa permette di
ottenere una misura di sensibilità del sistema percettivo non influenzata dall’atteggiamento
dell’osservatore.
Per calcolare la soglia sensoriale prende in considerazione due elementi:
a. La presenza di uno stimolo di intensità diversa da zero (che produce sempre un certo grado di
risposta sensoriale): segnale;
b. L’assenza totale di stimolazione: rumore.
La soglia sensoriale:
Quel valore fisico di uno stimolo che fa sì che ci sia una risposta da parte del sistema
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sensoriale: rappresenta quanto effettivamente il mio sistema percettivo funziona bene.
La soglia di risposta:
Dà una stima dell’atteggiamento, del criterio (bias) che un soggetto decide di mettere
in atto circa la risposta sulla presenza o assenza del segnale: è il criterio adottato dal
soggetto nei confronti di una stimolazione fisica.
Nella TDS ci devono essere situazioni in cui il segnale è presente (segnale) e altre in cui è assente
(rumore), e per ogni prova, l’osservatore deve decidere se il segnale c’è o non c’è (risposta binaria).
Si vengono così a creare 4 categorie di risposta:
Risposta
Segnale Sì No
Presente Successo Omissione
Assente Falso allarme Rifiuto corretto
d’ viene calcolato in base alla differenza tra successi e falsi allarmi: è l’indice di quanto il
sistema percettivo riesce a distinguere tra segnale e rumore. Dipende dall’intensità fisica del
segnale e dalla sensibilità dell’apparato recettore.
Il criterio dipende invece dalle aspettative, motivazioni e istruzioni: è ciò che ci porta ad
avere un certo tipo di atteggiamento a prescindere dalla stimolazione fisica.
Le distribuzioni del segnale e del rumore vengono poi rappresentate come due curve, la cui
distanza è d’: tanto più le curve sono separate, tanto più il sistema percettivo distingue bene
tra segnale e rumore. Il criterio di risposta viene invece rappresentato come una linea
verticale che separa le risposte sì/no: a seconda di dov’è la linea, si capisce se la persona sta
adottando un criterio liberale (a sx, aumentano successi e falsi allarmi), conservativo (dx) o
neutro (al centro).
I rifiuti corretti vengono rappresentati nella curva della distribuzione del rumore a sinistra del
criterio (risposta no), e le omissioni, invece, nell’intersecazione delle due curve.
Con risposta sì (a destra), i successi sono rappresentati nella distribuzione del segnale, mentre
i falsi allarmi nell’intersecazione delle curve.
Queste due indici danno due misure indipendenti: l’una non influenza l’altra.
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La TDS permette quindi di distinguere quante volte diciamo sì perché il nostro sistema
percettivo funziona bene, o perché abbiamo adottato un criterio liberale.
La proporzione tra successi e falsi allarmi viene rappresentato anche nella curva ROC
(receiver operating characteristics), la quale consente di rappresentare le prestazioni a livello
del singolo soggetto. Se le due proporzioni sono uguali (la linea è una diagonale) significa
che non c’è sensibilità;
Più la funzione è inarcata vs sinistra, tanto più c’è sensibilità.
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Capitolo 6)
Nonostante ci siano variazioni dello stimolo prossimale (proiezione sulla retina) in funzione
della grandezza, distanza, ecc., le costanze percettive fanno sì che il percetto rimanga lo stesso.
Le costanze percettive fanno parte dei principi di funzionamento percettivo, legati al concetto
di invarianza dell’informazione percepita: sono tipicamente presenti per oggetti ad alta
familiarità e in situazioni con altri indizi contestuali.
1. Costanza di grandezza:
Un oggetto mantiene le proprie dimensioni nonostante variazioni della proiezione
retinica. L’esperienza permette al sistema percettivo di mantenere percezioni coerenti.
Data una serie di indizi ambientali e la familiarità con gli oggetti presenti
nell’ambiente, le immagini retiniche piccole fanno percepire gli oggetti come distanti,
quelle grandi come vicini. Due rappresentazioni retiniche diverse dello stesso oggetto,
ci danno informazioni circa la distanza tra noi e l’oggetto (funziona bene fino a 2-2,5
metri).
Ci sono situazioni in cui l’applicazione errata di questi principi può portare a percezioni
illusorie.
Illusioni:
Fenomeni spiegabili attraverso alcuni principi percettivi che si verificano in
soggetti sani e che permettono di capire il funzionamento del sistema percettivo.
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quindi la proiezione retinica è uguale a quella della luna sopra di noi, più
vicina e quindi più piccola).
2. Costanza di forma:
Nonostante un oggetto visto da diversi punti di vista abbia forme
completamente diverse, percepiamo l’oggetto sempre come lo stesso.
3. Costanza di colore:
Evidenze sperimentali:
Nel 1976 è stato fatto un esperimento (da McCann) in cui venivano presentati
due quadrati con diversa illuminazione e quindi percepiti come di diverso
colore. Nonostante variazioni della fonte luminosa, i due oggetti venivano
percepiti sempre uguali, pur essendo i colori diversi in termini fisici.
Percezione di profondità:
Meccanismo con cui vediamo il mondo tridimensionale a partire da stimoli bidimensionali
(percezioni sulla retina in 2D).
a. Accomodazione:
a. Sovrapposizione o occlusione:
Un oggetto che si sovrappone o nasconde parzialmente un altro viene
percepito come più vicino. È un indizio di profondità non metrico, ossia dà
informazioni circa l’ordine relativo degli oggetti ma non della loro
distanza.
b. Grandezza relativa:
In una successione di oggetti simili, quelli più piccoli sono percepiti come
più distanti rispetto a quelli più grandi.
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Gli oggetti nella parte più alta del campo visivo sono percepiti come
più lontani (es. nuvole), questo grazie all’esperienza. Nel cielo sopra
all’orizzonte, invece, è il contrario.
Altezza e grandezza relativa sono indizi metrici relativi, ossia danno una stima
dell’ordine e una distanza relativa tra due oggetti (ma non assoluta).
d. Grandezza familiare:
Conoscendo la dimensione tipica di un elemento, si può stimarne la distanza
sulla base della dimensione percepita. È un indizio metrico assoluto, perché
permette di stimare informazioni metriche più precise, fornendo
un’informazione quantificabile sulla distanza nella terza dimensione.
e. Prospettiva lineare:
f. Gradiente di tessitura:
g. Prospettiva aerea
Gli oggetti più lontani vengono percepiti come più rarefatti, meno distinti.
Questo perché si sa che la luce si disperde nell’atmosfera, e quindi tanto più si
disperde, tanto più stiamo guardando porzioni grandi di atmosfera, e tanto più
gli oggetti lontani appaiono sfocati.
Tutti questi fattori possono diventare artificiosi utilizzando e combinando alcuni indizi di
profondità. Un esempio sono i mystery spot, ossia luoghi reali in cui sembra che le leggi
della fisica non siano rispettate.
Evidenze sperimentali:
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riportare se, e in quale direzione, una delle due superfici è inclinata.
Si è visto dai risultati che, senza la linea d’orizzonte (indizi contestuali) e con
entrambe le superfici inclinate nella stessa direzione, una viene percepita
erroneamente in salita mentre l’altra in discesa.
a. Parallasse di movimento:
Sono indizi legati al movimento attivo dell’osservatore o a quello passivo,
ossia tutti gli oggetti intorno si muovono. Gli oggetti più lontani sembrano
muoversi più lentamente di quelli vicini, hanno uno spostamento spaziale
minore (es. quando siamo sul treno): ciò permette di stabilire le distanze tra
noi e ciò che osserviamo.
Evidenze sperimentali:
a. Sviluppo della costanza di grandezza (Bower, 1966):
Condizionando i bambini a un determinato elemento (es. un quadrato di
30 cm a 1m di distanza) e poi presentandogliene tre diversi (es. di 30 o 90
cm e a 1 o 3m di distanza), si è notato che anch’essi presentano una
costanza di grandezza (a 6 mesi), poiché preferiscono il quadrato di 30
cm a 3m di distanza, come quello a cui si erano abituati, solo posto più
lontano e quindi con un’immagine retinica diversa.
c. Held e Hein (1963): interazione motoria con l’ambiente per lo sviluppo della
percezione di profondità:
Flusso ottico:
Quando ci muoviamo in una direzione, tutti gli
oggetti statici sembrano muoversi in direzione
opposta alla nostra, e sembrano convergere nel
fuoco d’espansione. Questa caratteristica ci
permette di avere una percezione corretta e
coerente dell’ambiente esterno, senza
reinterpretare l’informazione.
Parallasse di movimento:
3) Informazione invariante:
Gradiente di tessitura:
Rapporto di orizzonte:
Concetto di affordance:
Disponibilità di un oggetto a subire una determinata azione (es.
sedia a sedersi), che si viene a creare con l’esperienza
(movimento attivo, esplorazione motoria). La struttura
dell’assetto ottico permette di avere informazioni circa le azioni
che possono essere compiute in relazione a un oggetto. È legato
all’idea che tutto ciò che il sistema percettivo ha bisogno di
sapere è già presente all’esterno.
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Evidenze sperimentali
Gibson (1962), tatto passivo e attivo:
Il movimento (della mano o degli oggetti) è importante per la
discriminazione tattile, e per la nostra percezione. Nell’esperimento
venivano presentate sulla mano del soggetto una serie di forme, e il
compito era di identificarle. In un caso l’oggetto era posto sulla mano
(condizione passiva), nell’altro poteva essere esplorato con le dita
(attiva).
In quest’ultima condizione si è visto che i soggetti avevano una
maggiore accuratezza nell’identificazione. In un altro esperimento gli
oggetti erano fermi (condizione statica) o in rotazione (di movimento):
in quest’ultima l’abilità di riconoscere la forma era maggiore.
• La conoscenza del modo di utilizzo degli oggetti potrebbe essere appresa tramite
esperienza e non essere intrinsecamente veicolata dagli oggetti.
• Non spiega l’esistenza delle illusioni, ossia errori percettivi che non dovremmo
commettere se l’informazione dell’assetto ottico fosse sufficiente per una
rappresentazione percettiva non ambigua. Infatti tali illusioni si formano in
presenza di ambiguità dell’ambiente esterno.
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Esempio: stanza di Ames:
Si basano sulle conoscenze di alto livello (accumulate ad es. tramite esperienza) che
guidano la formazione del percetto, intesa come interpretazione dell’informazione
sensoriale. Un esempio sono i meccanismi di consapevolezza, poiché la percezione
consapevole ha luogo quando l’informazione torna indietro (le aree di alto livello
riattivano quelle sensoriali e di elaborazione).
È detta anche guidata dai concetti, poiché sono le conoscenze a priori che determinano la
percezione.
Movimento biologico:
Evidenze sperimentali
Dai risultati emerse che tali aree si attivano con un preciso ordine temporale:
si attiva prima la corteccia orbito-frontale (attivazione dall’alto vs il basso,
meccanismi top-down). L’idea è che dalle aree visivo-primarie vengano
mandate informazioni che attivano le cortecce anteriori, le quali rinviano
l’informazione alle aree visivo posteriori che danno luogo al percetto. È
un’evidenza che le conoscenze a priori (nelle aree anteriori) guidano
l’attivazione delle aree posteriori e quindi la rappresentazione finale
dell’oggetto.
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Si distingue un approccio intermedio tra l’approccio bottom-up e quello top-down:
Esso rende conto della percezione come fosse un prodotto tra alcuni aspetti top-down
(legati alle conoscenze a priori) e altri bottom-up (legati a ciò che è presente nella
realtà esterna), e permette di fare previsioni su qual è il percetto più probabile, in
funzione delle conoscenze a priori e della verosomiglianza dell’informazione.
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Capitolo 8)
RICONOSCIMENTO DI OGGETTI
Una volta che l’informazione arriva all’area visiva primaria (V1) può seguire due vie
funzionalmente distinte per percepire e riconoscere gli oggetti.
Millner e Goodale sostennero che le due vie fossero anatomicamente e funzionalmente distinte e
che analizzassero le stesse caratteristiche degli oggetti (forma, dimensione, posizione) ma per
differenti scopi:
VIA VENTRALE:
Serve per la percezione consapevole dell’oggetto va dal lobo occipitale alle aree infero-
temporali.
VIA DORSALE:
Serve per guidare l’azione verso l’oggetto, ma NON è consapevole va dal lobo occipitale alle
aree parietali posteriori.
Questi processi sono flessibili, poiché riusciamo a riconoscere più oggetti come
appartenenti alla stessa categoria nonostante varino molto gli attributi fisici
(grandezza, forma, inclinazione, ecc.), e veloci, ossia avvengono intorno ai 150ms
dopo lo stimolo.
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Evidenze sperimentali (Thorne et al. (1996)):
Veniva presentata un’immagine per 20ms, e il compito era di riportare se in
tale immagine fosse presente un animale, mentre veniva registrata la risposta
elettrica del cervello tramite EEG. Si è visto che in 150ms il cervello riesce a
distinguere se è presente o meno un animale.
Si distinguono due approcci teorici del riconoscimento di oggetti, un modello basato sulla
struttura e uno sul punto di vista:
a. Modello strutturale:
Modelli basati sulla struttura.
Il riconoscimento degli oggetti è un processo in cui il sistema visivo, nonostante le
variazioni delle immagini retiniche, ricostruisce sempre la stessa rappresentazione
dell’oggetto (descrizione strutturale), facendo riferimento allo stesso modello o
prototipo di oggetto.
Tale descrizione strutturale (basata sulle caratteristiche visive) è poi confrontata con
le descrizioni esistenti nel nostro sistema semantico. Quella che corrisponde meglio
alla nostra descrizione viene poi utilizzata per riuscire a dire che oggetto è.
I principali modelli strutturali:
• Modello di Marr (1982):
34
Elaborazione di caratteristiche più sofisticate (es. profondità).
Le rappresentazioni riguardano solo le parti visibili dell’oggetto e
cambia in funzione del punto di vista (è centrata
sull’osservatore);
Queste informazioni vengono confrontate col sistema semantico, per dare luogo
al vero e proprio riconoscimento.
Questo modello è compatibile col funzionamento del sistema visivo a livello
fisiologico: passa da stadi semplici (elaborazione di caratteristiche base) a
quelli più complessi.
• Modello di Biederman (1987):
parte dal modello di Marr e specifica in dettaglio alcuni aspetti legati
all’assemblamento di componenti, il quale dà luogo alla descrizione
strutturale. Secondo Biederman esistono degli elementi di base (geoni) che
formano una sorta di alfabeto di componenti visive che il cervello assembla in
modo diverso per dar luogo a un numero potenzialmente infinito di oggetti
(esistenti e non).
Input vengono estratte
caratteristiche di base
37
La sindrome opposta, legata a un danneggiamento della via dorsale, è
definita atassia ottica: i pazienti non sanno pianificare azioni verso gli
oggetti e non sanno localizzarli nello spazio, ma li sanno tuttavia
riconoscere.
a. Agnosia appercettiva:
Legata ai primi stadi di elaborazione dell’oggetto.
I pazienti hanno un’incapacità nel riconoscere la struttura
percettiva dell’oggetto. Non sanno rappresentarsi la forma
globale dell’oggetto, individuare configurazioni figura-sfondo,
copiare oggetti o riconoscerli visivamente visti da prospettive
inusuali.
b. Agnosia associativa:
38
Oggetti multisensoriali:
39
grandezza di un oggetto con stimolazione uni- o multisensoriale.
Ai soggetti venivano presentati informazioni visive e/o tattili di coppie
di oggetti di diversa grandezza, e in più era aggiunto un rumore.
Il compito era di dire quale dei due oggetti (uno di controllo e uno che
varia) fosse più grande.
Si è visto che nella condizione unimodale (no rumore) la soglia di
discriminazione visiva è molto più bassa di quella tattile. In condizione
multimodale, in assenza di rumore, il sistema percettivo si affida alla
modalità visiva, in presenza di rumore a quella tattile.
La modalità visiva è più affidabile di quella tattile solo se associata a
un rumore nullo o quasi. La modalità più affidabile nel discriminare i
due stimoli è l’informazione multisensoriale più il rumore. La
percezione utilizza quindi le due modalità sensoriali in maniera
flessibile: tanto più il rumore aumenta, tanto più si affida alla modalità
tattile (in assenza di rumore a quella visiva).
Capitolo 9)
RICONOSCIMENTO DI VOLTI
I volti sono una classe di oggetti particolarmente rilevanti per l’essere umano, perché siamo
costantemente esposti a volti umani e perché sono fondamentali per le interazioni sociali. È stato
proposto un modello teorico da Bruce e Young (1986), che presenta somiglianze coi modelli di
riconoscimento degli oggetti:
Effetto inversione:
La prestazione a compiti diversi è peggiore quando i volti vengono
presentati con orientamento invertito, rispetto al loro orientamento
canonico. Questo effetto si manifesta in maniera specifica per i volti, a
differenza di altri oggetti.
Nell’esperimento venivano presentati ad ogni prova due elementi (uno
dritto e uno rovescio) e il compito era di dire se fossero gli stessi
oppure no. Quando gli elementi erano volti, la prestazione era molto
bassa (rispetto a quando erano animali o oggetti). Essendo che i volti
vengono elaborati in maniera olistica (globale), quando li vediamo
invertiti dobbiamo ricorrere alla scomposizione per parti
(scomposizione “forzata”).
Effetto composizione:
Evidenze comportamentali:
Diamond e Carey (1986): Effetto inversione:
Venivano presentati volti umani e di cani ad esperti di cani e non. Si è
visto che l’effetto inversione per i volti è presente anche negli esperti
per i volti dei cani, e ciò è a supporto dell’idea che la specificità dei
volti sia legata all’esperienza. Questo studio, tuttavia, non è mai stato
replicato. Si è visto invece che l’effetto inversione, parte-tutto e
composizione sono sempre presenti per i volti ma non per altri oggetti
o animali di cui i partecipanti sono esperti: gli effetti sono ridotti o
42
assenti.
La percezione dei volti veicola informazioni di tipo emozionale, ed è molto importante
per le interazioni sociali. Il concetto di attraenza (simmetria) è associato a effetti
sociali, e la simmetria di un volto a una maggiore piacevolezza. Persone considerate
attraenti ricevono voti e stipendi più alti e vengono considerate più intelligenti.
Effetto priming:
Un elemento irrilevante per il compito da fare ha comunque un effetto
di facilitazione sull’elaborazione di un elemento del compito.
L’associazione semantica tra due elementi facilita l’elaborazione dello
stimolo anche se irrilevante col compito.
Evidenza sperimentale:
Venivano presentate facce a diversi livelli di attraenza per
13ms (capovolte o dritte, elemento distraente da ignorare), e
successivamente veniva presentata una parola target che il
soggetto doveva identificare come positiva o negativa. Se il
volto presentato era canonico e attraente, si verificava l’effetto
priming (di facilitazione) e i soggetti identificavano i target
con parole positive.
43
Capitolo 10)
RICONOSCIMENTO DI MOVIMENTO BIOLOGICO
Gli esseri umani sono molto bravi nel riconoscere azioni biologiche, ossia azioni prodotte da
altri esseri umani. Diversi studi dimostrano che il riconoscimento del movimento biologico è
molto efficiente: dal movimento di configurazioni di punti luminosi disposti come un essere
umano (point- light animation, movimento apparente), riusciamo a distinguere se a
“camminare” è un uomo o una donna, se corre o cammina piano, e distinguiamo il peso di un
oggetto in azioni che simulano il sollevamento.
La percezione del movimento biologico è speciale e legata a meccanismi neurali e funzionali
distinti. Come per i volti, si verifica l’effetto inversione: se il movimento è rovesciato è molto
più difficile riconoscerlo, se non addirittura impossibile.
La percezione segue regole legate alla struttura del corpo umano, più che alla economicità: nel
movimento apparente percepiamo solitamente la traiettoria più breve (economicità); mentre in
quello biologico percepiamo la traiettoria secondo la plausibilità biologica del movimento.
Evidenze sperimentali:
Studi fMRI:
Si nota una maggiore attivazione di un’area specifica del lobo
temporale, ossia il solco temporale superiore, per il
movimento biologico (relazioni correlazionali).
44
Studi TMS (relazioni causali):
Capitolo 11)
b. Attenzione DIVISA:
Un’altra distinzione è legata al tipo di informazione che guida la selezione attentiva: i meccanismi di
selezione possono infatti essere interni o esterni.
45
a. Attenzione ESTERNA:
Meccanismi attentivi che hanno a che fare con dimensioni fisiche
dell’informazione (caratteristiche, disposizioni spaziali, ecc.). Sono
meccanismi bottom-up, poiché la selezione è guidata dal fatto che nel
mondo esterno ci siano informazioni fisicamente più salienti. È guidata dagli
stimoli (informazione fisica).
b. Attenzione INTERNA:
Caratteristiche
fisiche dell’input
sensoriale
46
Significato
dell’informazion D
e che vediamo e
c
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47
Problema del LOCUS DELLA SELEZIONE:
SELEZIONE PRECOCE:
La selezione dell’informazione rilevante avviene durante i primi stadi di
elaborazione degli stimoli. Delle informazioni irrilevanti vengono elaborate solo le
caratteristiche fisiche rudimentali.
Evidenze sperimentali:
Neisser (1976):
I soggetti dovevano seguire gli avvenimenti relativi a una delle due serie di
immagini sovrapposte. Anche qui i soggetti NON sono in grado di riportare
nulla dell’altra sequenza di immagini.
48
SPERLING: partial report superiority (vantaggio del resoconto parziale):
I soggetti erano molto più bravi a riportare le lettere o numeri nel resoconto
parziale: tale effetto però diminuisce molto rapidamente con l’aumento
dell’intervallo temporale tra la presentazione della configurazione e quella del
suono. Oltre i 300ms la prestazione è identica a quella del resoconto completo.
Esiste un magazzino di memoria a breve durata di 200ms (memoria iconica):
presentando il segnale acustico oltre 200-300ms l’informazione scompare e
non riusciamo più a recuperarla. Recuperiamo solo quello che recupereremo
anche senza indizi (segnale acustico). Ciò è a dimostrazione del fatto che c’è
una prima analisi dettagliata di tutti gli stimoli, ma un’elaborazione
approfondita solo per gli stimoli che rimangono più a lungo in memoria.
49
SELEZIONE TARDIVA:
Tutte le informazioni raggiugono un certo grado di elaborazione, arrivando fino a
livello semantico. L’attenzione opera solo per una corretta selezione della risposta.
Evidenze sperimentali:
Effetto STROOP:
Priming negativo:
Altri studi mettono in luce la presenza sia di selezione precoce che tardiva (studi
ERP): quando vengono presentate due stimolazioni diverse alle due orecchie, se il
soggetto deve prestare attenzione a uno dei due canali l’effetto è precoce (50-100ms),
mentre se, all’interno dello stesso, deve rispondere a un solo tipo di stimolazione,
l’effetto è tardivo (250-300ms).
È stata teorizzata una nuova ipotesi intermedia tra quella precoce e quella tardiva:
51
Evidenze comportamentali, effetto flanker e carico percettivo:
Il compito consiste nell’identificazione di una determinata lettera nella
configurazione centrale, ignorando i fiancheggiatori (compatibili o
incompatibili). Quando i distrattori sono tutti uguali, il carico è basso,
se sono tutti diversi, invece, è alto. L’effetto di interferenza dei
distrattori incongruenti è presente solo per basso carico (selezione
tardiva), poiché i distrattori vengono elaborati. L’effetto flanker non è
dovuto a un generale aumento della difficoltà del compito, ma solo al
carico percettivo che esso richiede. Infatti, più il compito è difficile,
più l’effetto si verifica solo per alto carico.
Invecchiamento e ipotesi del carico percettivo:
Sia anziani che bambini hanno una stessa efficienza dei
giovani nei meccanismi di selezione precoce (alto carico),
mentre nelle situazioni di selezione tardiva (basso carico)
l’effetto di interferenza è nettamente maggiore. I due tipi di
selezione (precoce o tardiva) si modificano quindi in funzione
dell’età: mentre i meccanismi di selezione precoce sembrano
essere funzionali fin dai primi anni di età e resistono
all’invecchiamento, quelli tardivi richiedono stadi più avanzati
di sviluppo e decadono prima (last in, first out).
Evidenze con neuroimmagini (studi fMRI):
Venivano registrate le attivazioni dell’area MT-V5 (per gli stimoli in
movimento). Il compito era quello di giudicare delle parole:
determinarne o il carattere (basso carico), o il numero di sillabe (alto
carico). Sullo sfondo apparivano poi distrattori in movimento. Si è
visto che l’area MT-V5 è attiva solo con basso carico e stimoli in
movimento; se il carico è alto, il fatto che gli stimoli si muovano viene
ignorato.
Studi ERP evidenziano effetti precoci (dopo 50ms dalla presentazione
dello stimolo) solo con alto carico. Veniva utilizzato il paradigma del
suggerimento spaziale: una freccia segnala la posizione di comparsa del
target (A o H) e il compito è quello di identificare tale lettera.
Attenzione focalizzata = come opera?
L’attenzione deve selezionare le informazioni rilevanti da poter essere
poi elaborate, poiché i processi cognitivi possiedono una limitata
risorsa di analisi simultanea.
52
Evidenze neurofisiologiche (su animali):
53
Capitolo 12)
L’attenzione si muove nello spazio come un fascio di luce, esplorando con diverso
grado di dettaglio gli elementi presenti.
b. Zoomlens (gradiente):
Gradiente:
• Periferico:
Aspetto 3
55
Contenuto informativo del clue = predittività, ossia probabilità che
indichi il lato del target. Il clue può essere altamente predittivo (90%)
o non predittivo (50%). I clue simbolici centrali funzionano solo se
predittivi, così da motivare il soggetto a spostare l’attenzione dove
indicato (per avere effetto di validità); mentre quelli salienti periferici
non richiedono predittività: poiché attirano sempre l’attenzione, l’effetto
di validità si verifica sempre.
Aspetto 4
Tutti questi aspetti chiave del paradigma di Posner permettono di distinguere due
fattori che governano l’orientamento dell’attenzione:
<
56
esplorare in modo automatico altre posizioni oltre a quella nella quale è stata
momentaneamente catturata.
Evidenze di psicofisica:
L’attenzione è in grado di modificare l’apparenza degli oggetti?
Utilizzando il paradigma del suggerimento spaziale, al soggetto era chiesto di
riportare l’elemento con maggior contrasto. Diverse erano le condizioni
sperimentali: l’attenzione poteva essere rivolta allo stimolo test, a quello
standard o poteva essere al centro. L’intervallo tra clue e target poteva poi
essere breve (120ms) o lungo (500ms). Si è visto che con intervallo breve
(orientamento esogeno) l’attenzione è in grado di modificare il punto di
eguaglianza soggettivo: serve un minor contrasto per dire che ST è uguale allo
SS. Nell’intervallo lungo (orientamento endogeno) l’effetto scompare.
L’attenzione è quindi in grado di potenziare alcune caratteristiche fisiche
di uno stimolo solo per orientamento esogeno.
57
Il punto di massima risoluzione del dettaglio (acuità visiva) si trova nella zona che stiamo
fissando, quando l’informazione cade nel centro della retina (fovea); le situazioni
d’ambiguità, infatti, si verificano nella visione periferica. Sono stati fatti studi per
verificare se i meccanismi di selezione attentiva agiscano anche quando c’è il massimo
dettaglio di acuità visiva, ossia nella foveola (parte centrale della fovea). Si è visto che
l’effetto di validità (prove valide maggiori di quelle invalide) è presente anche nel caso di
stimolazione centrale (oltre a stimoli periferici), quando l’attenzione è modificata nella
foveola.
Queste sono evidenze del fatto che l’attenzione può muoversi nello spazio.
Attenzione e caratteristiche:
L’attenzione seleziona delle informazioni in base alle caratteristiche presenti in una
porzione dello spazio.
Evidenze sperimentali:
Sono stati condotti studi basati sull’attenzione per caratteristiche (features), che
prevedevano due compiti:
Uno centrale:
(comparazione orientamento target 1 e 2)
Uno periferico:
(rilevare la presenza di una griglia periferica, il cui
orientamento era irrilevante).
58
Studi EEG con stimolazioni periodiche dimostrano la presenza di un
meccanismo di sincronizzazione del sistema visivo: se viene presentato uno
stimolo visivo con caratteristiche ripetute a una certa periodicità, la risposta
del cervello si sincronizza alla frequenza dello stimolo. Ciò è denominato
SSVEP (steady state visual evoked potential), ossia potenziale evocato visivo
che si ripete in maniera stabile.
Utilizzando questa tecnica, sono stati condotti degli studi, in cui gli elementi
venivano presentati sovrapposti (distrattori e target occupano la stessa
posizione spaziale) ma con diversa periodicità. Il compito era quello di
riportare il movimento degli stimoli attesi: si è visto che la sincronizzazione
variava in funzione di quale fosse lo stimolo atteso.
L’attenzione può quindi operare in funzione delle caratteristiche anche quando lo spazio
è ridotto o annullato.
Duncan (1984):
Baylis e Driver:
Alcuni studi guardano la selettività di alcune aree del cervello per stimoli specifici.
Nell’esperimento venivano presentate due categorie di stimoli spazialmente sovrapposte:
un edificio (area parettocampale dei posti, PPA), e un volto (area fusiforme delle facce,
FFA).
I soggetti dovevano prestare attenzione a uno dei due stimoli, o a quello in movimento.
L’attivazione per lo stimolo preferito (es. FFA per le facce) si modifica in funzione che
questo sia lo stimolo rilevante (attivazione maggiore) o meno (attivazione ridotta).
Anche questa è un’evidenza che l’attenzione seleziona basandosi sugli oggetti come unità
(anche se sovrapposti).
59
Egly, Driver e Rafal (1994), paradigma del suggerimento spaziale:
Tre prove:
Prove valide
• Prospettiva space-based:
• Prospettiva object-based:
b. Ipotesi amodale:
60
Evidenze dell’ipotesi amodale
Effetto “cocktail-party” multisensoriale:
Il compito è quello di seguire uno dei due messaggi acustici per un successivo
compito di rievocazione e in aggiunta è presentato un messaggio visivo
irrilevante per il compito (senza senso, uguale a quello acustico rilevante o a
quello irrilevante). La prestazione è più accurata se il messaggio visivo è
identico a quello acustico rilevante, e l’effetto è più forte se i messaggi
provengono dalla stessa posizione spaziale.
Questo effetto è spiegato dall’ipotesi amodale, che integra le varie informazioni.
61
Capitolo 13)
LA RICERCA VISIVA
L’oggetto della nostra ricerca, il target (elemento rilevante), è sempre immerso in un ambiente
complesso in cui ci sono molti distrattori (irrilevanti).
L’attenzione è cruciale nelle ricerche visive. Il paradigma della ricerca visiva consiste nel
rilevare, localizzare e identificare un particolare stimolo (target) presentato insieme a un certo
numero di altri stimoli (distrattori). La VD misurata è la velocità di risposta (TR).
Ciò che caratterizza l’efficienza della ricerca è la pendenza della funzione (search slope): è
piatta per le ricerche efficieni (fino a 5ms), mentre è curva in quelle inefficienti (oltre 15ms) in
funzione della difficoltà.
La teoria dell’integrazione delle caratteristiche (feature integration theory, FIT, Treisman
1980) individua il ruolo dell’attenzione nei compiti di ricerca visiva. Nelle prime fasi di
analisi dell’informazione, il sistema visivo scompone l’oggetto in varie parti per analizzarle
separatamente (es. il colore viene analizzato dall’area V4, e il movimento dalla V5),
funzionando in parallelo.
Secondo il modello FIT, quindi, le caratteristiche fisiche elementari sono analizzate da moduli
in parallelo (mappe di caratteristiche). Successivamente interviene l’attenzione per
congiungere tutte le varie caratteristiche e percepire l’oggetto nella sua totalità (problema del
binding, legame).
1. Scena visiva
62
(
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)
63
Si distinguono quindi due processi:
b. Meccanismi paralleli:
Le mappe di caratteristiche (analizzatori precoci) analizzano
simultaneamente tutte le informazioni presenti, le varie caratteristiche
degli oggetti (processi pre-attentivi);
c. Meccanismi seriali:
64
Il modello FIT, tuttavia, NON è in grado di spiegare alcuni fenomeni:
a. Esistono ricerche più facili o difficili anche per le ricerche di caratteristiche uniche.
A causa delle asimmetrie percettive, ad esempio, siamo più veloci nel rilevare una
linea obliqua in mezzo a tante verticali, che una verticale in mezzo a tante oblique,
nonostante entrambe possiedono una caratteristica unica: questo perché abbiamo una
preferenza per le configurazioni verticali. Esistono quindi gradi di efficienza
variabili anche per le feature search.
b. A volte le conjunction search danno funzioni piatte, tipiche delle feature search.
Studi più recenti hanno permesso di distinguere due tipi di feature maps:
Top-down = i livelli di attivazione per una caratteristica sono determinati dalle
conoscenze a priori (endogene);
Bottom-up = si basano sulle caratteristiche esogene.
c. La rilevazione di un elemento unico non è necessariamente pre-attentiva:
Ciò si può spiegare assumendo che tale elemento catturi l’attenzione e che quindi sia sempre
esplorato per primo.
La ricerca visiva di oggetti reali in scene reali è tipicamente basata su congiunzioni di caratteristiche
già note. Infatti spesso sono molto efficienti perché si basano su conoscenze pregresse.
La ricerca in questo caso è definita ricerca guidata (guided search):
Oltre alle feature maps bottom-up (attivate da caratteristiche salienti degli elementi), esistono
mappe top-down che elaborano caratteristiche (o congiunzioni delle stesse) di oggetti familiari o
noti. Queste conoscenze guidano la ricerca e ci permettono di trovare il target in modo efficiente.
Inoltre, quando ci viene chiesto di trovare un determinato elemento e successivamente ci viene
presentata una scena con svariati altri oggetti, troviamo subito l’elemento richiesto (situazioni
artificiose).
Nelle scene di vita quotidiana, gioca un ruolo importante il contesto e le conoscenze a priori sulla
probabilità di occorrenza di determinati oggetti con determinate caratteristiche in tale contesto (es.
troviamo molto facilmente un rubinetto in cucina anche se semi-nascosto).
Studi EEG:
Nei compiti di ricerca visiva, la risposta del cervello alla comparsa di un target in mezzo ai
distrattori, è lateralizzata, ossia c’è una differenza tra le aree controlaterali e quelle ipsilaterali
alla posizione del target. La risposta avviene intorno ai 200ms nelle aree posteriori (parietali e
inferoposteriori).
Evidenze reali: Caso dei radiologi e della rilevazione di un potenziale nodulo pericoloso.
I radiologi sono molto bravi nel rilevare un’anomalia in una radiografia presentata solo per
500ms, e la loro prestazione migliora con il training.
65
Uno studio su agenti della sicurezza in aeroporto ha evidenziato il fenomeno dell’effetto
prevalenza:
Se viene presentato un target con bassa probabilità di occorrenza, la probabilità di
rilevarlo successivamente si abbassa.
Nell’esperimento il compito era quello di rilevare una categoria di oggetti con bassa
(1%) o alta (50%) probabilità.
Nel primo caso la probabilità di NON trovare l’elemento era maggiore.
Tale effetto si può comunque modificare attraverso il training: se da bassa, la
probabilità diventa di colpo alta e poi si riabbassa, gli oggetti vengono rilevati di più.
Ciò che cambia è infatti il criterio (teoria della detezione del segnale), da conservativo
a liberale (anche se non si è sicuri, si tende a dire sì).
66
Capitolo 14)
ATTENZIONE E NUMEROSITA’
Tipicamente il sistema attentivo deve tener traccia, memorizzare e identificare più oggetti
rilevanti simultaneamente. Ma quante cose l’attenzione può selezionare simultaneamente?
Il cervello/mente è sensibile alle numerosità degli oggetti presentati nella scena.
Ipotesi del senso per il numero:
Esistono meccanismi deputati all’elaborazione della numerosità degli oggetti
perché la numerosità è una proprietà di base (caratteristica primaria)
dell’ambiente. Il senso per il numero è l’abilità di percepire, manipolare e
comprendere le numerosità.
Evidenze sperimentali su adulti:
Effetto illusorio delle immagini postume (aftereffects):
I neuroni che codificano per le caratteristiche di base di un elemento (anche
per le numerosità) sono soggetti ad adattamento, e smettono di rispondere.
Sottoposti poi a una configurazione neutra rispondono in maniera opposta.
Nell’esperimento, nella fase di adattamento, il soggetto veniva abituato a una
configurazione di 400 pallini (adaptor). Lo stimolo test presentava un numero
variabile di pallini, e quello standard (elemento probe) ne aveva 30 (punto di
eguaglianza soggettivo nella funzione psicometrica).
Il compito del soggetto era quello di identificare se lo SS aveva più o meno
pallini dello ST. Nella situazione di controllo senza adattamento, i soggetti
erano bravi nel compito, e il PES era esattamente a 30. A seguito di un
adattamento a tanti pallini, invece, il PES tende a spostarsi vs destra, perché si
sottostima: si ha bisogno di 100 pallini del test per dire che sono uguali ai 30
del probe. Questa è una prima evidenza del fatto che il sistema percettivo è
sensibile alle numerosità, le quali vengono codificate come le altre
caratteristiche primarie di un elemento.
Evidenze con attivazioni neurali, paradigma di abituazione e adattamento:
Lo stimolo standard (adattamento) presenta 16 pallini (o 32) che possono essere
grandi, piccoli, sparsi, raggruppati. Lo stimolo deviante (raro), per cui i soggetti
devono dire che è cambiato qualcosa, varia da 8 a 32 pallini.
Nel mentre si registra l’attività dell’area solco intraparietale superiore, che risponde in
maniera preferenziale alle numerosità e in maniera ordinata alle variazioni. Si è visto
che l’attivazione diminuisce se viene presentata al soggetto la stessa numerosità alla
quale si era abituato, e aumenta tanto più le numerosità sono diverse.
Il solco intraparietale superiore (IPS) presenta un’organizzazione spazio-topica
(distribuzione spaziale) delle numerosità. Neuroni specifici rispondono in maniera
preferenziale in funzione della numerosità presentata, e tanto più le numerosità sono
piccole, tanto più occupano porzioni di IPS grandi (pseudo-forma di magnificazione
67
corticale).
Paradigma di condizionamento-familiarizzazione:
68
Conclusioni:
a. Esiste un senso per le numerosità, sia a livello comportamentale che neurale
(elaborazione differenziale), con meccanismi simili a quelli per le caratteristiche
di base.
Esatte :basate sulla necessità di individuare/isolare singoli elementi nella scena. Ciò
è tanto più faticoso, tanto più elementi sono presenti.
Effetto del subitizing:
Quando si ha la necessità di individuare in maniera esatta la numerosità degli elementi
della scena, si verifica un limite nell’abilità di estrarli. Tale abilità è infatti efficiente,
veloce e senza errori, solo per 3-4 elementi massimo contemporaneamente. Questo
effetto si basa sul concetto di individuazione, ossia l’abilità di rappresentare che un
elemento di un gruppo ha caratteristiche specifiche ed è distinto dagli altri.
Rappresentiamo in maniera isolata ciò che ci serve da quello che non ci serve, e
all’interno di ciò, separiamo i singoli elementi per enumerarli (individuazione a più
stadi).
I primi studi definivano il subitizing e l’individuazione come fenomeni pre-attentivi.
Presentando gli elementi da enumerare con più distrattori, si possono verificare due
situazioni:
a. Se i target possiedono una caratteristica unica, il numero dei distrattori non
influenza il compito di enumerazione tra uno e quattro elementi (funzione
quasi piatta) ricerca efficiente e pre-attentiva (per la FIT). Tuttavia non è
detto che non sia coinvolta l’attenzione.
69
Evidenze sperimentali:
Paradigma di doppio compito:
70
Capitolo 15)
Attenzione divisa:
Risposta richiesta:
b. Arousal:
72
I soggetti dovevano svolgere quattro compiti
diversi in termini di difficoltà: il compito più
difficile creava maggior interferenza per
l’esecuzione degli altri tre (che peggioravano).
Ciò è evidenza del fatto che esiste un unico
elaboratore centrale con risorse di analisi
limitate che vengono spostate al compito più
difficile.
c. Pratica:
Migliora la prestazione a compiti che
inizialmente sono difficilmente eseguibili
insieme (es. conversare alla guida). Uno dei
due compiti diviene automatico e non
richiede più risorse, o perché si formano
nuove strategie per minimizzare
l’interferenza, o perché la quantità di risorse
richieste da un compito si riduce
progressivamente.
73
Processi automatici vs processi controllati
Un processo diviene automatico attraverso la pratica, e si distingue da quello
controllato per tre dimensioni:
Evidenze:
Cue periferico nel paradigma del suggerimento spaziale:
Elemento saliente che cattura l’attenzione (effetto di
validità).
74
Capitolo 16)
ATTENZIONE E CONSAPEVOLEZZA
Consapevolezza:
Insieme di meccanismi che permette di riportare in maniera manifesta che stiamo
percependo qualcosa.
La selezione attentiva è collegata intrinsecamente a due processi/aspetti:
Effetti positivi (benefici) per l’informazione selezionata: più accuratezza e/o velocità.
Effetti negativi (costi) per ciò che non viene selezionato: crea interferenza.
Esistono alcuni contesti in cui la mancata selezione attentiva si dimostra in maniera eclatante:
Sono situazioni in cui si verificano fenomeni di cecità funzionale o virtuale per un evento
visivo in condizioni di stimolazione sopra soglia e di normale funzionamento delle aree
sensoriali deputate alla visione (area V1).
a. Contesto neuropsicologico:
Patologie legate alla mancanza di attenzione = neglect, estinzione,
simultanagnosia.
b. Contesto sperimentale su soggetti sani:
inattentional blindness, attentional blink, change blindness.
b. Compiti di barrage:
c. Copia di modelli:
Pseudo-neglect:
fenomeno simile nei soggetti sani, ossia una forma di asimmetria percettiva che
porta ad avere una preferenza per lo spazio visivo di sx.
ESTINZIONE
È la sindrome che segue la fase acuta del neglect, l’ultimo stadio. I pazienti con
estinzione non hanno problemi a elaborare stimoli presentati singolarmente (sia a dx
che sx), ma quando vengono presentati simultaneamente (doppia stimolazione), gli
stimoli di sx vengono estinti (come nel neglect). Questa sindrome spiega come i
meccanismi attentivi siano basati su coordinate spaziali.
Evidenze di estinzione basata sugli oggetti, Mattingley et al. (1997)
Il compito è rilevare la presenza di una barra, presentata in un caso come dietro
77
un parallelepipedo, in un altro come spezzata in due elementi singoli. I soggetti
hanno migliori prestazioni nel primo caso, poiché considerano la barra come un
unico elemento, a differenza del secondo caso (dove estinguono la parte sx). È
un’evidenza che l’attenzione può essere basata sugli oggetti e non solo sullo
spazio.
Estinzione multisensoriale
Il neglect e l’estinzione possono presentarsi in diverse modalità
sensoriali. I meccanismi di selezione attentiva seguono regole simili
per ogni modalità. Ci possono essere pazienti con estinzione visuo-
tattili: se gli stimoli delle due diverse modalità sono presentati
assieme, i pazienti estinguono prevalentemente quello di sx e quello
tattile. Ciò è evidenza del fatto che le diverse modalità sensoriali
interagiscono nella costruzione di un percetto unico.
SIMULTANAGNOSIA
È uno dei sintomi della sindrome di Balint, che presenta tre deficit complessivi:
a. Atassia ottica:
b. Aprassia oculomotoria:
c. Simultanagnosia:
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identificare se sovrapposti (ne riportano uno alla volta).
Evidenze comportamentali:
In compiti in cui viene chiesto quanti colori vedono, i pazienti li sanno
riportare solo se sono uniti tra di loro in modo misto (colori misti). Se sono
posizionati in modo casuale o uniti tra loro in modo singolo non li
riconoscono.
In compiti in cui viene chiesto di dire quale tra due barre è la più alta, i
pazienti riescono nel compito solo se tali barre sono unite tra loro.
I pazienti con simultanagnosia presentano anch’essi il fenomeno delle
congiunzioni illusorie, ma anche nel caso in cui gli oggetti rimangono visibili,
perché ciò che manca sono i meccanismi che uniscono l’informazione. Permane
anche l’effetto del subitizing nei compiti di enumerazione, ma il limite si
abbassa a due.
INATTENTIONAL BLINDNESS
È la mancata percezione di alcuni stimoli (spesso salienti), che si verifica in soggetti
sani, dovuta al fatto che la nostra attenzione è orientata su altro. Un esperimento
famoso con cui è stato dimostrato è l’esperimento del Gorilla: mentre due squadre di
ragazzi vestiti di nero o di bianco si scambiano due palloni tra di loro, viene chiesto di
contare quanti passaggi fanno i ragazzi di bianco. Nel mentre passa un gorilla (nero) e,
poiché siamo concentrati sui “bianchi”, non vediamo il gorilla, e perdiamo
l’informazione pur essendo saliente.
CHANGE BLINDNESS
È l’incapacità di percepire consapevolmente un cambiamento (scomparsa/sostituzione
di un elemento, cambiamento colore, ecc.) nella scena che si sta osservando, quando
contemporaneamente al cambiamento sono aggiunti degli elementi di disturbo. Tali
segnali di disturbo (es. disallineamento della cornice), togliendo tutto ciò che è legato
alla componente esogena, impediscono all’attenzione di allocarsi nella zona del
cambiamento, il quale viene percepito con difficoltà o non percepito affatto.
Ci sono due aspetti cruciali di come percepiamo un cambiamento in situazioni
senza eventi di disturbo:
a. Priorità degli elementi:
L’allocazione dell’attenzione nel campo visivo è guidata
dall’interazione dei fattori bottom-up e top-down:
Orientamenti top-down (volontari, endogeni):
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Si viene così a creare una lista di priorità, poiché ci sono elementi
con maggior livelli di attivazione (primi nella lista, ad alta
priorità), che vengono percepiti consapevolmente ed
accuratamente, e altri con minor livello (ultimi).
Evidenze sperimentali:
Evidenze:
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Soggetti nella situazione di controllo dovevano riportare solo il secondo target,
mentre in quella sperimentale anche il primo. Ciò che cambiava tra le varie
prove era l’intervallo temporale tra la presentazione di T1 e T2, e la VD che
veniva misurata era l’accuratezza della risposta (soprattutto per T2). Si è visto
che gli individui non sanno identificare consapevolmente il secondo target se
presentato in una finestra temporale di circa 200-500ms dopo il primo.
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selezione non riescono a escludere tutto ciò che non è T1.
Secondo l’ipotesi del consolidamento, invece, ciò si verifica a
causa del fenomeno del raggruppamento percettivo: T2 viene
considerato come parte di un unico oggetto con T1, e viene
quindi elaborato.
Capitolo 16)
Alcuni stimoli, anche se non elaborati in maniera attentiva e quindi non riportati
consapevolmente, sono comunque elaborati.
Fenomeni sia in soggetti sani che in pazienti con deficit attentivi dimostrano che può
esserci elaborazione di informazioni anche senza attenzione e consapevolezza (come
la maggior parte delle elaborazioni del nostro cervello).
Evidenze:
Relazione attenzione-consapevolezza:
Capitolo 17)
Nella maggior parte delle ricerche di attenzione e percezione la prestazione del singolo non è
interessante, perché viene visto come parte di un gruppo per poter poi fare inferenze sulla
popolazione. Ma esistono differenze individuali significative legate alle abilità
percettive/attentive?
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Differenze legate all’invecchiamento (> 65 anni)
L’invecchiamento veniva associato a un declino generale delle funzioni cognitive e dei
processi mentali; tuttavia, oggi non c’è più quest’unico pensiero. Gli anziani hanno
l’abilità di usare in maniera flessibile le proprie risorse cognitive, per cercare di
compensare eventuali deficit del loro funzionamento cognitivo.
Un aspetto negativo legato all’invecchiamento è il declino del fenomeno di
accomodazione a livello sensoriale (visivo), ossia aumenta la densità del cristallino e
quindi si riduce la sua capacità di ridimensionarsi a seconda della distanza di un
oggetto che si sta osservando. Inoltre, si verifica anche un’opacità e riduzione del
diametro della pupilla. La rappresentazione iniziale dell’input visivo è così più
rumorosa e meno dettagliata negli anziani.
Evidenze:
Compiti legati al fenomeno di iperacuità, misurata sia in giovani (alta
risoluzione del dettaglio) che anziani, in situazioni isolate e di mascheramento
(con diversi livelli temporali). Le differenze tra i due gruppi con intervallo
lungo non sono così grandi (prestazione anziani buona); più l’intervallo è
breve, però, più la prestazione degli anziani decade. Ciò evidenzia il fatto che i
cambiamenti a livello fisiologico/fisico dovuti all’invecchiamento non sono
sempre associati a decadimento percettivo o attentivo.
Il peggioramento non copre tutte le abilità visive degli anziani. In compiti con
informazioni rilevanti e non (meccanismo attentivo) gli anziani non hanno
problemi a potenziare l’informazione rilevante, ma hanno difficoltà a inibire quella
irrilevante (deficit di soppressione dell’informazione distraente). Il peggioramento
è quindi selettivo e non generale (non tutti peggiorano uguale).
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prestazione molto buona, a livello dei giovani.
È stata così proposta l’ipotesi della compensazione neurale = la difficoltà del compito
modifica le attivazioni neurali, ipo- o iperattivando, e di conseguenza anche la
prestazione del compito.
Altri studi si sono concentrati sulle basi cerebrali (diverse strutture neurali):
Differenze culturali
Il pensiero analitico è legato al concetto che esista una cosa più importante delle
altre (gli occidentali prestano attenzione a oggetti cruciali o agli obiettivi
rispetto questi oggetti), mentre quello olistico tiene più conto della relazione tra
gli elementi (gli orientali prestano attenzione a tutto l’ambiente).
In un compito (tipicamente per bambini) veniva chiesto di associare un
elemento (es. mucca) a uno degli altri due (es. gallina o erba). L’associazione è
determinata fortemente da caratteristiche analitiche o olistiche: infatti, gli
occidentali la associano alla gallina sulla base dell’appartenenza
categoriale/concettuale; mentre gli orientali all’erba, sulla base del contesto,
delle relazioni funzionali e della familiarità.
Capitolo 18)
PLASTICITA’ E STIMOLAZIONE DELLE ABILITA’ VISIVE
Plasticità cerebrale
È presente durante tutta la vita di un individuo, ma è massima nel periodo critico, ossia nei
primi mesi di vita. La plasticità è evidente soprattutto in pazienti con vari tipi di lesione: il loro
cervello riesce a riorganizzarsi e sostuire funzioni cognitive di aree danneggiate con altre aree
di funzioni cognitive (fenomeni di compensazione e riorganizzazione). Le aree che perdono il
loro scopo (es. aree dedicate all’elaborazione visiva nei ciechi) vengono riutilizzate per
potenziare le funzioni sensoriali rimaste (es. tattile).
Evidenze, nei soggetti sani.
MaGuire et al. (2008):
Le dimensioni dell’ippocampo sono più grandi nei taxisti esperti che nelle altre persone.
Ciò evidenzia come il cervello si può riorganizzare in maniera flessibile potenziando
strutturalmente aree importanti (es. per il lavoro).
Anche gli anziani potenziando alcune aree, in certe situazioni, riescono a compensare e ad
avere prestazioni efficienti. Utilizzano le loro risorse cognitive in maniera flessibile.
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È possibile potenziare il fenomeno di plasticità e le nostre abilità percettive/attentive
attraverso tre classi di stimolazioni:
a. Stimolazione comportamentale (training cognitivo):
Consiste nel ripetere per un certo periodo un compito sperimentale e verificare poi un
eventuale miglioramento nello stesso compito o simili (che utilizzano le stesse
risorse cognitive).
c. Stimolazione farmacologica
Condizione di controllo :
Motivazione/effetto placebo:
Durata:
Generalizzazione (transfer):
Ci sono quindi diversi modi per aumentare la plasticità, che fanno riferimento
all’esecuzione di un compito per un certo periodo di tempo o alla stimolazione
(interferendo o potenziando) di alcune aree del cervello (tecniche di
neurostimolazione, non invasive, temporanee e limitate a una zona).
Capitolo 19)
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L’utilizzo di videogiochi (soprattutto d’azione) incrementa le nostre abilità attentive e
percettive, ma quanto sono generalizzabili tali miglioramenti?
Sensory substitution
Sono dei meccanismi, dei dispositivi, per ottimizzare le funzioni percettive in persone con
danni o deficit, permettendo di codificare le informazioni per la modalità mancante in
informazioni codificabili dalle altre modalità.
È simile al concetto di plasticità, ossia l’abilità del nostro cervello di usare altri sensi per
ricevere informazioni dall’esterno sopperendo alle mancanze di una modalità sensoriale.
È presente durante tutta la vita di un individuo e evidente nelle persone con lesioni cerebrali, le
quali, attraverso una riorganizzazione cerebrale e funzionale, utilizzano altre aree del cervello
per potenziare i sensi rimasti rispetto a quello perso (es. sostituzione sensoriale per i non
vedenti con il tatto, o per i sordi con la vista).
Un esempio di sensory substitution è stato ideato per i ciechi, che permette di codificare le
informazioni visive in informazioni sonore o tattili. Una telecamera registra le informazioni
visive e un dispositivo le trasforma in stimolazioni tattili attraverso uno stimolatore
posizionato sulla lingua.
Evidenze per capire se è fattibile utilizzare questi dispositivi per sostituire il senso mancante:
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Segond et al. (2005): dall’esperimento si è visto che soggetti sani bendati, che
dovevano controllare il movimento di un robot in un labirinto tramite
informazioni tattili sulla pelle, erano molto bravi nel compito. Con la pratica
imparavano a codificare le informazioni tattili.
Serve per studiare le migliori forme di connessione fra cervello (meccanismi cognitivi) e
macchina (dispositivi esterni).
Viene misurata l’attività mentale e utilizzata in tempo reale per controllare o eseguire
determinate azioni nei confronti di alcuni dispositivi (es. protesi, sedia a rotelle) o per
modulare o modificare l’insieme delle proprie attivazioni neurali.
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Il compito deve quindi essere facile, senza sforzo e che produca risposte
cognitive e attivazioni neurali specifiche, facilmente codificabili attraverso
algoritmi.
Scrittura di parole:
2. Durante l’esecuzione del compito viene registrata l’attività del cervello, che viene
poi codificata da un classificatore. Le misurazioni possono essere invasive
(elettrodi nel cervello) o non invasive (elettrodi sullo scalpo).
Esse possono avere diverse risoluzioni spaziali (abilità di andare nel dettaglio circa
le aree neurali che si attivano) e risoluzioni temporali (risoluzione del dettaglio nel
decorso temporale dell’attivazione neurale).
a) Misure invasive :
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Ottima risoluzione temporale e buona risoluzione spaziale;
4. Dopo che il segnale viene classificato, si crea l’output (il prodotto finale),
ossia un’informazione che viene trasmessa a un computer o un dispositivo
fisico (es. protesi).
La maggior parte delle applicazioni della BCI sono state studiate per pazienti con varie forme di
paralisi (degli arti o della parola), e vengono definiti dispositivi prostetici. Tuttavia, oggi
l’interesse è quello, non di creare macchine, ma di riuscire a riutilizzare i propri arti paralizzati:
elettrodi nel cervello inviano segnali elettrici a una macchina, la quale invia impulsi agli arti per
muoverli. Ci sono poi applicazioni anche per soggetti sani, es. forme di comunicazione sociale e
interazione, di sistemi di navigazione, o neurofeedback per il controllo degli stati emotivi.
Questa interfaccia funziona anche a distanza: è stato fatto lo stesso esperimento con
due ratti in due stati diversi.
Nell’uomo è stato fatto solo uno studio (2013): un individuo giocava a un videogioco
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mentre gli veniva registrata l’attività elettrica (EEG) che veniva inviata attraverso
TMS a un altro individuo in un’altra stanza. Quest’ultimo compiva una determinata
azione a seconda della stimolazione che riceveva.
Limiti BCI:
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