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PSICOLOGIA DELLA

PERCEZIONE E
DELL’ATTENZIONE
Capitolo 1)

IL METODO SPERIMENTALE
Metodo sperimentale = per studiare i processi cognitivi in maniera sistematica, controllata e
replicabile controlliamo il fenomeno, facciamo previsioni e comprendiamo il fenomeno attraverso la
replicabilità.

Variabile = proprietà di un evento reale che può essere misurata; misurazione = sistema per
assegnare un valore ad una variabile.
La variabile può essere :
a. Indipendente (VI): quella che decido di modificare, manipolare e controllare per
vedere se ha effetto sulla variabile dipendente.
b. Dipendente (VD) che viene scelta con una misura dell’effetto della variabile
indipendente.
Gli esperimenti che si eseguono per verificare le ipotesi della nostra osservazione legano le due
variabili.

Metodo sperimentale = un approccio per studiare i meccanismi percettivi e attentivi.

Le Procedure statistiche ci dicono se eventuali differenze sono dovute al caso o sono legate
alla variabile indipendente.

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Tecniche sperimentali (negli esperimenti) :

1) Tecniche comportamentali = osservano/misurano il comportamento manifesto delle


persone in risposta a stimolazioni. Le misure più utilizzate (VD) sono il tempo di reazione
(velocità), l’accuratezza e la frequenza della risposta. Si distinguono due classi importanti:
a. Psicofisica: studia in maniera sistematica le conseguenze della stimolazione
fisica (misure di soglia sensoriale);
b. Cronometria: misura la latenza temporale tra la presentazione dello stimolo
e l’emissione della risposta (tempo di reazione).
Gli effettori utilizzati per misurare il comportamento sono diversi, e possono essere ad
esempio la mano o i movimenti oculari.

2) Tecniche neuropsicologiche = il soggetto in questo caso è un paziente con lesioni


cerebrali selettive. Queste tecniche studiano le conseguenze delle lesioni per capire il ruolo
di alcune aree del cervello nell’implementazione di una funzione.

3) Tecniche di neuroimmagine = viene misurata l’attività neurale associata allo


svolgimento di una particolare attività cognitiva.
a. Risonanza magnetica funzionale (fMRI o RMF): vengono registrate mappe
“dinamiche” dell’attività del cervello durante l’esecuzione di un compito, e viene
rilevato come varia l’attività del cervello nelle diverse aree. Questa tecnica ha un
problema di risoluzione temporale di 5-6 secondi (non registra perfettamente le
variazioni nel tempo dell’attività neurale, dovuta a cambiamenti di ossigenazione
e flusso sanguigno) ma ha una ottima risoluzione spaziale (localizza
perfettamente le aree che si attivano).Si basa sul campo magnetico.
b. Elettroencefalografia (EEG): tecnica non invasiva che registra l’attività elettrica dei
neuroni in pochi millisecondi (ottima risoluzione temporale, 1-2 ms) ma non localizza
con precisione quali sono le aree del cervello che si attivano (problema di risoluzione
spaziale).Registrazione attività elettrica
c. Magnetoencefalografia (MEG): utilizza campi magnetici associati all’attività
elettrica dei neuroni, per avere una migliore risoluzione sia spaziale sia temporale.

4) Tecniche di neurostimolazione (stimolazione cerebrale) = stimolano il cervello,


interferendo col suo normale funzionamento per vedere come tale interferenza possa
modificare l’esecuzione di un compito.
a. Stimolazione magnetica transcranica (TMS): agisce attraverso una stimolazione
magnetica durante lo svolgimento di un’attività cognitiva, per verificare le eventuali
differenze nella prestazione del compito. Questa tecnica provoca un’interferenza
reversibile e non invasiva dell’attività neurale di una determinata area cerebrale. Il suo
principale vantaggio è che essa stabilisce ruoli “causali”, nessi causa-effetto, perché
interferisce sul funzionamento di una specifica area per verificare eventuali effetti nel
comportamento. A volte tale stimolazione viene comparata con una sham (di
controllo), la quale non interferisce con l’attività neurale.
b. Stimolazione tramite corrente diretta transcranica (tDCS): attraverso due
elettrodi posti sullo scalpo, provoca modifiche reversibili nell’attività del cervello
tramite passaggi di corrente elettrica a bassa tensione.
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c. Simulazioni neurali: utilizzano dei software che, dato un determinato
compito, permettono di simulare e capire come funziona il cervello.

Capitolo 2)

LA PERCEZIONE NELLA MODALITA’ VISIVA

Per vedere abbiamo bisogno di:

a. Una stimolazione o variazione esterna (es. illuminazione)

b. Un sistema visivo che recepisce tali variazioni e le trasforma in segnali comprensibili al cervello;

c. Un percepto: una rappresentazione percettiva di quello che abbiamo visto.

Ciò che vediamo non corrisponde perfettamente al mondo fisico, anche perché il nostro sistema
visivo percepisce solo una ristretta gamma di energia elettromagnetica (400-700 nanometri: non
vediamo infatti i raggi ultravioletti ad es.). La percezione umana non ricrea esattamente la realtà
esterna ma crea un tipo di rappresentazione secondo alcuni principi, che ci permettono di
interagire in maniera efficace con l’ambiente esterno (anche se in alcuni casi funzionano male, es.
illusioni). I principi possono essere legati ad aspetti strutturali e fisiologici (ossia le caratteristiche
del sistema visivo), o ad aspetti funzionali (ossia caratteristiche non legate alla visiologia, es.
esperienze passate).

Principi strutturali-fisiologici :

La via più utilizzata dal nostro sistema visivo per la visione è la via genicolo-striata: è formata
dall’occhio, dalle vie di connessione (una delle quali passa dal genicolo laterale) e varie parti del
cervello (la prima che si incontra è la corteccia occipitale, definita visivo-primaria, ed è striata).

Occhio = ha due funzioni principali:

1. Ricezione dell’informazione dall’esterno e formazione dell’immagine (rappresentazione)

Coinvolge tre strutture principali:

a. Cornea: parte trasparente anteriore che permette il passaggio di luce e


non contiene vasi sanguigni

b. Pupilla: apertura circolare, foro, che si modifica di diametro in funzione


dell’intensità di luce presente nell’ambiente;

c. Cristallino: lente biconvessa, ossia formata da due parti convesse, che si

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modifica appiattendosi o ingrandendosi in funzione della distanza degli
oggetti per mantenerli a fuoco = processo di accomodazione).

2. Trasformazione delle rappresentazioni in segnali elettrici per il cervello

Grazie a queste trasformazioni l’immagine può essere letta dal cervello, la struttura
responsabile della trasduzione dell’immagine è la retina, che si trova nella parte
posteriore dell’occhio. Essa contiene due tipi di fotorecettori (cellule), con diverse
funzioni e diverse distribuzioni spaziali nella retina, che permettono la prima
formazione e la trasduzione dell’immagine in segnali elettrici: coni e bastoncelli (per
funzionare hanno bisogno di sangue).

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Coni Bastoncelli

7 milioni circa Molto numerosi (più di 100 milioni)

Deputati alla visione diurna Ci permettono di vedere la notte


(visione fotopica) (visione scotopica)

Poco sensibili a variazioni di illuminazione Molto sensibili alle variazioni di illuminazione

Alta acuità visiva (ottima risoluzione Bassa acuità visiva


dei dettagli)

Codificano i colori Codificano immagini bianco/nere

Principalmente localizzati nella fovea Non ci sono nella fovea


(il centro dell’occhio) (si trovano in periferia)

Spettro di sensibilità per la luce

All’interno dell’occhio si distinguono tre tipi di coni (corti, medi e lunghi) che quando
vengono stimolati rispondono con valori bassi, medi o alti nello spettro.
Attraverso le loro varie combinazioni percepiamo i colori.

Acuità visiva
Grado di risoluzione e dettaglio nella rappresentazione dell’informazione visiva.
È il più piccolo angolo visivo sotteso da un ciclo del reticolo (ripetizione di strisce bianco e
nere) che è possibile percepire. Questo angolo visivo si forma sulla retina in funzione
dell’oggetto che stiamo osservando, passando per il centro del cristallino. La visione foveale è
quella che possiede la massima acuità, poiché nella fovea sono concentrati i coni, che
permettono un’ottima risoluzione dei dettagli.

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In funzione delle caratteristiche dei fotorecettori e del modo in cui si connettono con altri
neuroni, fanno sì che il sistema visivo abbia più o meno livelli di acuità visiva.

I Fotorecettori trasmettono informazioni a diversi altri neuroni.

Una volta che il segnale visivo arriva ai coni e ai bastoncelli, viene poi portato ad altri neuroni e
infine raggiunge il cervello. Ciò che determina il tipo di dettaglio (e anche le variazioni di
luminosità) è l’interazione tra coni, bastoncelli e gli altri neuroni. Il modo in cui i fotorecettori
si connettono alle cellule gangliari, determina il fatto che i coni abbiano un’alta acuità e una
bassa sensibilità, e i bastoncelli una bassa acuità ma un’alta sensibilità.

Il meccanismo di convergenza è il meccanismo col quale i fotorecettori si connettono ai


neuroni. Poiché tanti bastoncelli si connettono a una sola cellula gangliare, l’acuità è bassa,
perché la qualità dell’informazione viene persa, mentre la quantità è tanta (alta sensibilità). I
bastoncelli hanno quindi un’alta convergenza. I coni, invece, si connettono a uno a uno con le
cellule gangliari: questo favorisce un’alta qualità (acuità) ma una bassa quantità (sensibilità alle
variazioni di illuminazione). I coni hanno quindi una bassa convergenza.

Esiste un’organizzazione spaziotopica, ossia una corrispondenza spaziale tra le porzioni


dell’ambiente esterno e le porzioni a livello retinico (e di corteccia visiva) che codificano per
quel determinato spazio. Ciò permette di fare precise previsioni rispetto alle possibili lesioni.
Sulla retina le informazioni relative a un oggetto sono proiettate secondo una precisa
corrispondenza spaziale: le immagini sono proiettate capovolte.

L’informazione esce dall’occhio per raggiungere il cervello attraverso gli assoni delle cellule
gangliari che formano il nervo ottico. Il punto esatto in cui l’informazione lascia la retina è il
disco ottico. È un punto vuoto, privo di fotorecettori e neuroni: infatti, se l’informazione cade in
questo punto non viene codificata, e si verifica il fenomeno della MACCHIA CIECA

I due nervi ottici (sinistro e destro) lasciano l’occhio e si incrociano nel chiasma ottico.
L’informazione passa poi nel tratto ottico, attraversa il nucleo ottico, arriva al nucleo
genicolato laterale e infine alla corteccia visiva primaria (nel lobo occipitale, corteccia striata),
l’ultima tappa della via genicolo-striata, che restituisce una forma di rappresentazione, una
percezione.
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Area visiva primaria (V1) o corteccia striata:
Essa è la parte del cervello alla quale arrivano per prima le informazioni visive e dove avviene
l’elaborazione delle caratteristiche base di uno stimolo visivo (es. orientamento, luminosità…).
Caratteristiche ed informazioni varie:
a. È localizzata nel lobo occipitale;
b. Presenta una selettività delle risposte:
I neuroni rispondo a particolari caratteristiche dello stimolo (es. alcuni rispondo ad
orientamenti verticali, altri orizzontali, altri al colore, ecc.);
c. Ha un’organizzazione spaziotopica:
Corrispondenza tra disposizione spaziale degli elementi nel campo visivo e porzioni di
corteccia che li analizzano, e corrispondenza anche tra lesioni nelle vie di connessione
e deficit specifici nel campo visivo.
d. L’area maggiormente rappresentata è quella della fovea (più acuità), la quale occupa appunto
la maggior parte dell’area V1.
e. I campi visivi sono molto piccoli, ossia contengono una quantità di dettaglio per porzioni
molto piccole dello spazio esterno.
f. ha luogo la completa lateralizzazione dell’informazione;
tutte le informazioni provenienti dal campo visivo di sx di ogni occhio, sono
elaborate nell’emisfero dx (controlaterale), e viceversa per il campo visivo dx.

Campo recettivo del neurone :

Porzione di campo visivo esterno codificato da un determinato neurone. Varia in


funzione del fatto che i neuroni si trovino ai primi stadi di elaborazione visiva o agli
ultimi (campo più grande).

Il sistema visivo è organizzato in maniera gerarchica: l’informazione, infatti, dalla corteccia visiva
primaria viene mandata in altre aree secondarie (extra-striate) e in aree associative (dove vengono
integrate informazioni provenienti da modalità sensoriali differenti).
Le aree di ordine superiore codificano aspetti sempre più complessi di uno stimolo e porzioni sempre
più grandi del campo visivo: ciò fa sì che, dal punto di vista spaziale, si perda la precisione
nell’elaborazione dell’informazione, ma dal punto di vista delle caratteristiche permette di
assemblare sempre più elementi.
Dall’area V1 dipartono due vie principali:

a. Area visiva ventrale :


verso le aree temporali inferiori → deputata al riconoscimento di oggetti;

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b. Area visiva dorsale :

verso le aree parietali → dove vengono codificate informazioni relative allo spazio, al tipo di
approccio nei confronti di un oggetto, ecc.

Capitolo 3)

LA CONSAPEVOLEZZA

Consapevolezza:

Possibilità di un essere percepente di riconoscere e riportare che sta percependo qualcosa.

Il sistema visivo possiede un’organizzazione gerarchica:


L’informazione passa dagli stadi minori a quelli più elevati, viene “portata in avanti” verso le
parti anteriori del cervello. Il meccanismo di consapevolezza avviene quando l’informazione,
dalle aree posteriori, torna a quelle anteriori (informazione feed-forward).
Nel cervello esistono infatti delle interazioni ricorrenti che elaborano l’informazione:
Qualsiasi stimolazione visiva raggiunge l’area visiva primaria in circa 40 ms; in 60 ms
l’informazione viene mandata in avanti e dai 100 in poi torna indietro. Queste interazioni
sono fondamentali per avere consapevolezza di uno stimolo (dopo 100-150 ms).

Ci sono due evidenze principali a favore del fatto che l’informazione consapevole si crea solo quando
c’è un ritorno indietro dell’elaborazione visiva (dalle aree anteriori del cervello all’area visiva
primaria):

Mascheramento visivo:

Procedure attraverso cui si cerca di rendere invisibile un’informazione (tecnica


comportamentale). Ad esempio, presentando un’immagine e subito dopo presentandone un’altra
che coincida spazialmente, viene mascherata la prima immagine: in questi compiti di
mascheramento solitamente viene chiesto ai soggetti se riescono a rilevare l’oggetto mascherato.

Un esempio di queste procedure è il MASCHERAMENTO PER SOSTITUZIONE di oggetto:


L’oggetto che si intende mascherare non viene coperto fisicamente, ma viene
circondato da uno o più oggetti, che rendono difficile l’identificazione dell’oggetto
mascherato al centro. Si crea questo fenomeno perché c’è una discordanza (mismatch)
tra l’informazione nuova che viene portata in avanti (con gli oggetti che mascherano
l’oggetto di interesse), e quella vecchia che sta tornando indietro (l’oggetto non ancora
mascherato da identificare). Quest’ultima si perde o è più difficile identificare, ed è a
favore del fatto che l’informazione che torna indietro è fondamentale per avere
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consapevolezza (interazioni ricorrenti).
Sono stati fatti studi anche con la TMS interferendo con l’attivazione dell’area V1, per cercare di
capire qual è la tempistica per cui l’interferenza fa sì che noi perdiamo la consapevolezza della
stimolazione visiva. Si è visto che solamente se si interferisce nel momento in cui l’informazione
torna indietro (100-150 ms) si perde la consapevolezza dell’informazione (in linea con l’ipotesi
delle interazioni ricorrenti).

Modalità di elaborazione dell’informazione visiva:

Esistono altre vie, oltre alla genicolo- striata, per l’analisi dell’informazione visiva, scoperte
grazie a pazienti con sindromi neuropsicologiche.

Una di queste è Il BLINDSGIHT (visione cieca), causata da una lesione in una 1 zona
dell’area V1 (malfunzionamento delle informazioni visive) che rende le persone cieche in
zone particolari del campo visivo. Tuttavia, se queste persone vengono stimolate a dire se
stanno vedendo o meno uno stimolo (con caratteristiche di base, es. se si muove su o giù),
esse riescono a percepire lo stimolo, pur essendo nella zona cieca.
Questo dimostra l’esistenza di altre vie visive in grado di connettersi con le aree visive di
ordine superiore, dando luogo a una forma rudimentale di visione, ossia non nel dettaglio e
senza consapevolezza della stimolazione.

Un’altra sindrome presa in considerazione è la sindrome di Charles Bonnet, legata


all’eccessiva distorsione di visione per qualcosa, ossia ad allucinazioni. Persone anziane con
problemi di visione periferica (malfunzionamento dell’occhio, es. degenerazione maculare,
ossia è cieco tutto quello che sta attorno al punto di fissazione) soffrono di allucinazioni visive
in presenza di normale funziomento mentale. Ciò è causato da malfunzionamenti di
iperattivazione della corteccia visiva primaria.

Studi con fMRI hanno registrato l’attività del cervello durante le allucinazioni e durante la
presentazione di stimoli visivi.

Nel primo caso si nota un’attivazione del lobo occipitale coerente col tipo di oggetto
dell’allucinazione (es. giro fusiforme per le facce), ed è un esempio di come una
rappresentazione si può creare esclusivamente da un’attività endogena (proveniente dal
cervello stesso).

Nel secondo caso si nota una minore attivazione delle aree extra-striate durante la stimolazione
visiva a seguito di un’iperattivazione precedente la stimolazione. La situazione con stimolo è
più o meno identica alla situazione di riposo, nella quale, in questi pazienti, si sovrattivano
costantemente le aree visive che possono provocare apputo allucinazioni.

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Capitolo 4)

FATTORI DI ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA

Meccanismi di organizzazione percettiva:


Fattori iniziali che portano alla percezione, ossia ad una rappresentazione della realtà
esterna (non sempre fedele, poiché le informazioni della realtà a volte sono ambigue)
secondo alcuni PRINCIPI:

Insieme dei criteri funzionali che la percezione utilizza per governare in maniera
ordinata la rappresentazione del mondo esterno.
La rappresentazione della realtà esterna non è univocamente legata a un solo oggetto esterno.
Le proiezioni sulla retina circa la forma di un oggetto non permettono di identificarlo in modo
univoco: questo è il problema dell’indeterminazione dell’informazione ottica, ossia una
particolare immagine (informazione ottica) può essere associata a molti oggetti fisici.
Si può verificare anche il problema inverso, ossia una stessa immagine sulla retina può essere
associata a un numero potenzialmente infinito di oggetti.
La percezione visiva (rappresentazione retinica) cambia a seconda del punto di vista.
Tale problema viene risolto dal sistema visivo/percettivo attraverso l’applicazione di alcune
regole e preferenze, che gli permettono di rappresentare il mondo esterno in maniera semplice
ed efficiente.

Si distinguono due classi di principi, criteri funzionali, grazie ai quali la percezione interpreta
il dato sensoriale e fornisce rappresentazioni della realtà:

a. ASIMMETRIE PERCETTIVE

b. FATTORI DI ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA.

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Asimmetrie percettive

a. Preferenza per le configurazioni VERTICALI/ORIZZONTALI

Lo spazio visivo viene percepito ed organizzato intorno agli assi di riferimento


verticale e orizzontale (piuttosto che obliquo).

Notiamo infatti più facilmente una linea obliqua in mezzo a tante linee verticali,
che una verticale in mezzo a tante oblique.
Studi dimostrano che la preferenza per le configurazioni verticali/orizzontali è
presente anche in bambini di 12 mesi seppur in forma semplificata.

b. Preferenze in funzione della POLARITÀ

Preferiamo oggetti orientati in modo “canonico” (dritto) rispetto a quelli “non


canonici” (rovesciati).
Questa preferenza è dovuta all’esperienza perché siamo circondati da oggetti orientati
canonicamente. Nei paradigmi di ricerca visiva, tutto ciò che devia dalla polarità
preferita risulta più facilmente localizzabile: è più facile vedere un’immagine storta
tra le tante dritte, che il contrario (cambia tuttavia anche in funzione del numero di
oggetti).

c. Preferenza per L’ASSE SINISTRA/DESTRA

Abbiamo una lieve preferenza per tutto ciò che sta nel campo visivo di sinistra (gli
oggetti vengono ritenuti più grandi, luminosi, ecc.)
Questo fenomeno viene definito “pseudo-neglect” (il neglect, invece, è una patologia
in cui, solitamente dopo una lesione a destra, si tende a non vedere e a trascurare
tutto ciò che sta a sinistra del campo visivo).
Studi con misure elettrofisiologiche mostrano una preferenza precoce, ossia già a
100 ms dalla presentazione della stimolazione.
Si nota una maggiore attivazione degli elettrodi di destra, poiché l’emisfero destro
del cervello elabora tutto ciò che sta a sinistra (contolateralità del cervello).

Queste asimmetrie strutturano in maniera abbastanza forte il tipo di percezione che abbiamo.

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Fattori di organizzazione percettiva

Psicologia della Gestalt


Tali fattori, di cui possiamo misurarne gli effetti sui meccanismi percettivi-attentivi, possono
essere divisi in due insiemi di processi/effetti che permettono di organizzare le percezioni:

a. FATTORI DI RAGGRUPPAMENTO PERCETTIVO,

b. FATTORI DI SEGREGAZIONE PERCETTIVA.

a. Fattori di raggruppamento percettivo:

Permettono al sistema visivo di unire elementi fisicamente disconnessi in unità percettive che
hanno senso in quanto tali.

• Vicinanza o prossimità spaziale:


Gli elementi vicini spazialmente tendono ad essere raggruppati e ad
essere percepiti come parte di un unico oggetto.

• Somiglianza:

Elementi tra loro simili tendono ad essere raggruppati e a formare


percettivamente una sola unità. I fattori più forti sono la forma e
il colore.

• Chiusura:

Le forme tendono ad essere percepite come delimitate da un margine


continuo, anche quando ci sono interruzioni di tale continuità, poiché il
sistema percettivo tende a percepire parti mancanti dell’informazione.

• Destino comune:

gli elementi che si muovono nella stessa direzione tendono ad essere


raggruppati e percepiti come un unico elemento.

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• Buona forma:

Tanto più una serie di elementi sono simmetrici, omogenei e coesi, tanto più
sono percepiti come unità.

Queste percezioni avvengono anche a livello uditivo, e si basano sul tempo.

Evidenze sperimentali (attraverso metodo sperimentale):

Paradigma di Flanker (Eriksen e Eriksen, 1974):

Nel compito vengono presentate tre lettere, un target centrale e due distrattori a lato
(“fiancheggiatori”). I soggetti devono premere due tasti a seconda della lettera centrale
(es. un tasto per B e F, un altro per Z e L), e a seconda delle lettere si distinguono tre
situazioni: incompatibile (i due distrattori sono associati alla risposta opposta al target,
es. B è centrale e Z sono i distrattori); neutra (i distrattori non sono associati ad alcuna
risposta, es. N); e compatibile (i distrattori sono associati alla stessa risposta del target,
es. B target, F distrattori).

Si è visto che la situazione incompatibile causa maggiore interferenza nella risposta.


Sono state date due possibili interpretazioni secondo i fattori di raggruppamento
percettivo:

a. Vicinanza spaziale:

Quando i distrattori incompatibili sono vicini al target, i tre


elementi tendono ad essere raggruppati e a causare maggiore
interferenza e un rallentamento nella risposta (se sono lontani
l’interferenza diminuisce);

b. Somiglianza (raggruppamento per colore):

Se i distrattori incompatibili sono dello stesso colore del target,


interferiscono maggiormente con la categorizzazione rallentando la
risposta.

Attività neurale:

Studio sul principio della somiglianza (Op de Beck et al., 2008):

Ai soggetti dell’esperimento, mentre venivano mostrate delle immagini non


esistenti ma simili per una certa caratteristica, veniva registrata l’attività del
cervello tramite fMRI, per verificare l’effetto comportamentale a livello di
risposte manifeste. Il loro compito era quello di giudicare la somiglianza tra
due elementi non familiari per prova, e nel mentre veniva registrata l’attività di
un’area particolare, la LOC (Lateral Occipital Complex, parte delle aree visive

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extra- striate), quell’area che si attiva quando vediamo oggetti visivi, forme. Si
è scoperto che quest’area si attiva maggiormente quando vediamo due oggetti
simili, e non solo per caratteristiche di base, ma anche per le relazioni esistenti tra
gli oggetti. La somiglianza attiva quindi in maniera preferenziale l’area del
cervello che solitamente risponde per gli oggetti.

Studio sul principio della simmetria:

I soggetti dovevano guardare passivamente alcune configurazioni o rispondere


circa il loro grado di simmetria, mentre veniva registrata tramite fMRI
l’attivazione delle aree posteriori extra-striate (visive secondarie) deputate
all’elaborazione dell’informazione visiva.
Dai risultati emerse che tali aree si attivano maggiormente nella visione di
configurazioni simmetriche.

Esperimento sulle scimmie (Sasaki et al., 2005):


Si è visto che le attivazioni cerebrali sono simili a quelle degli umani: le aree
visive secondarie hanno una preferenza per le configurazioni simmetriche, e il
grado di attivazione varia in funzione del grado di simmetria (correlazione tra
percezione soggettiva della simmetria e attivazione cerebrale).
Si può quindi concludere che il raggruppamento percettivo ha effetti sui
meccanismi percettivi (risposte, comportamenti manifesti e attivazioni neurali) sia
di uomini che di animali.

b. Fattori di segregazione percettiva :


Processi che permettono alle unità di essere elaborate come configurazioni figura/sfondo: gli
elementi vengono segregati, isolati, e alcuni di loro vengono visti come prioritari (figura) rispetto
ad altri (sfondo).
 Articolazione figura/sfondo:
Il margine che separa due aree, viene solitamente percepito come appartenente a
una sola area, la quale diventa la figura; la superficie senza margine viene invece
considerata come sfondo. Di solito la superficie più piccola, simmetrica e
parallela viene considerata come figura rispetto a uno sfondo.

 Figure ambigue:

Sono situazioni in cui non ci sono caratteristiche che fanno sì che una delle due
superfici prevalga sull’altra: il margine non viene associato a una delle due aree
(perché ad esempio sono simmetriche), ma alternativamente a entrambe. Sono definite
percezioni bistabili, poiché il margine salta alternativamente da un’immagine all’altra.

Evidenze sperimentali:
Articolazione figura/sfondo:

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Misure comportamentali (Driver e Baylis, 1996):

Viene presentata un’immagine intera, in cui si distingue una figura scura da uno sfondo bianco
(A), che successivamente viene scomposta in due elementi separati (B). Il compito dei soggetti
è accoppiare un elemento di B con la configurazione A. L’oggetto scuro in A è più piccolo e
quindi dà l’impressione di essere figura e non sfondo.

A B oppure

Quando veniva presentato un solo elemento di B (ciò che era percepito come o figura o
sfondo) e veniva chiesto ai soggetti se tale elemento avesse margine uguale o diverso rispetto
alla configurazione A, si è visto che i soggetti erano più veloci nel rispondere se il compito
riguardava la figura. Questo significa che tutto ciò che è percepito come figura è elaborato
meglio.

È stato fatto lo stesso esperimento coi pazienti con neglect: vengono presentate due
configurazioni, e successivamente solo un margine e viene chiesto loro se il margine era stato
presentato anche prima.

Le prestazioni sono nettamente migliori in A, poiché il margine presentato è nel campo visivo di sinistra
ma a destra dell’oggetto bianco (che viene visto come figura), mentre in B il margine è a sinistra della
figura, quindi nella zona cieca dei neglect.
Anche nei pazienti con neglect, quindi, la configurazione figura/sfondo è intatta, e il tipo di
rappresentazione sx/dx non è strettamente legato alle coordinate egocentriche (la loro sx e la loro dx) ma
può anche essere legato alle coordinate dell’oggetto a cui stanno prestando attenzione (allocentriche). Se
infatti la figura bianca è il centro della loro attenzione, essi stabiliscono le coordinate sx/dx in base a tale
oggetto, ed è per questo che in B le prestazioni sono peggiori (il margine non lo vedono perché è a sx).

Si distinguono quindi due tipi di neglect:

• con coordinate egocentriche


• con coordinate allocentriche.
Figure ambigue:
Attivazioni neurali (Kleinschmidt et al., 1998):

Presentazione di una figura ambigua (con due percetti alternati) ai soggetti dell’esperimento,
a cui era chiesto di riportare di volta in volta cosa stavano vedendo. Registrando l’attivazione
delle aree occipitali extra-striate e parietali (dell’elaborazione visiva), si è notato che
l’attività neurale cambia ogni volta in cui cambia il percetto. Tali cambiamenti dell’attività
cerebrale sono prettamente endogeni, ossia legati a caratteristiche interne.

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Sistema percettivo e sviluppo:
La psicologia dello sviluppo cerca di capire quali siano i meccanismi di funzionamento della
percezione negli infanti e nei bambini.

Paradigma di familiarizzazione-novità:
Più i bambini sono familiarizzati con un oggetto, meno tempo lo guardano; quando un oggetto
è nuovo (interessante) il tempo di fissazione è maggiore.

Nel paradigma si distinguono due fasi:


Fase di familiarizzazione:
I bambini sono esposti ripetutamente a uno stimolo.
Fase test:
Si verifica quanto i bambini hanno raggiunto familiarità con lo stimolo attraverso la
misurazione del tempo di fissazione oculare.

QUINN E BATT (2006):


I fattori DI RAGGRUPPAMENTO PERCETTIVO sono presenti anche nei primi mesi di vita (3-4 e
7-8 mesi)?

Ai bambini vengono presentati diversi tipi di configurazioni di oggetti verticali o orizzontali


(stimoli iniziali) raggruppabili per somiglianza (colore o forma).
Quando nella fase test venivano presentati oggetti con stesso orientamento a cui si erano
familiarizzati, raggruppati per colore, si è notato che i bambini preferivano le configurazioni con
diverso orientamento, a prescindere dal tipo di elementi che appariva nella configurazione.
Ciò significa che anche i bambini più piccoli hanno assimilato il principio della somiglianza per
colore.
Se però il raggruppamento riguardava la somiglianza per forma, i bambini più piccoli (di 3-4
mesi) non mostravano preferenze per la configurazione familiare o nuova.
Quindi solo i bambini dai 7 mesi mostrano l’effetto di familiarizzazione vs novità.
Le tendenze di raggruppamento percettivo sono presenti anche nei primi mesi di vita, ma NON si
sviluppano tutte nello stesso momento.

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Capitolo 5)

PSICOFISICA: MISURE DI SENSIBILITA’

Psicofisica:
Primo modo in cui si è cercato di utilizzare l’approccio sperimentale per studiare la
percezione, i meccanismi percettivi. La psicofisica è parte delle neuroscienze
cognitive, che cerca di capire qual è la relazione tra le stimolazioni esterne e le loro
variazioni (fisico) e le percezioni (psico) evocate da tali stimolazioni.

Misure di soglia:
si distinguono due misure di soglia in psicofisica:

1. Soglia assoluta:

Valore minimo di intensità di uno stimolo che riusciamo a percepire.


Uno dei metodi con cui la psicofisica testa le soglie è il metodo degli stimoli costanti:
Vengono presentati uno alla volta degli stimoli di diversa intensità (non rilevabili o altamente
rilevabili) e in ordine casuale, e si chiede al soggetto di riportare per ognuno degli stimoli se lo
percepisce o meno (risposta binaria).
La relazione ordinata tra le diverse intensità dello stimolo e le conseguenti percezioni da parte
dell’osservatore, sono poi rappresentate graficamente nella funzione psicometrica.
Per convenzione, la soglia assoluta è il valore dello stimolo che l’osservatore rileva il 50%
delle volte.
Nella funzione psicometrica ideale, ad ogni valore di intensità dello stimolo
corrisponde sempre una sola sensazione.
Ma nella realtà non è così: ripetendo la presentazione degli stimoli, i soggetti non
daranno mai la stessa risposta.
Ci sono alcuni valori, vicino alla soglia, in cui la percezione oscilla (a volte si
percepisce lo stimolo, altre volte no): la forma più reale della funzione è quindi
sigmoide.
16
2. Soglia differenziale:

La differenza minima tra due stimolazioni che riusciamo a percepire.


È la minima variazione dello stimolo di confronto (Sc, che varia in modo casuale la
propria intensità) che permette di rilevare che è diverso dallo stimolo standard (Ss o
stimolo test, che rimane sempre della stessa intensità) il 50% delle volte. Al soggetto
vengono presentati per ogni prova due stimoli a coppia, e il compito è quello di
rispondere se lo Sc è maggiore di intensità rispetto allo Ss (risposta binaria sì/no).
Anche in questo caso, le relazioni tra i livelli di intensità dello stimolo di confronto e
le conseguenti percezioni da parte dell’osservatore della diversa intensità rispetto allo
stimolo standard, sono riportate nella funzione psicometrica.
Punto Di Eguaglianza Soggettivo:
Il valore che corrisponde al 50% delle volte in cui lo Sc viene percepito come diverso
dallo Ss, è il valore che deve avere lo Sc per essere giudicato uguale allo Ss.
Non è il valore fisico rilevato dal soggetto, ma quel valore che deve avere lo Sc per
essere percepito come uguale allo Ss.

La differenza rilevata il 50% delle volte sopra e sotto il punto di eguaglianza


soggettivo (PES), è definita valore di soglia differenziale, e si calcola così:

Il risultato che ne consegue, è il valore


Δ I = ( valore 75 %−valore 25 %) che si deve aggiungere a uno stimolo per
2
percepirlo come DIVERSO dall’ultimo.

17
Oltre al metodo degli stimoli costanti, la psicofisica utilizza altri metodi per ricavare misure di soglia:

 Metodo dei limiti:


Gli stimoli sono presentati in modo ordinato per intensità (ascendente o discendente)
e il soggetto deve sempre riportare per ogni stimolo se lo percepisce o meno.
Il valore di soglia, in questo caso, è la media delle due serie ordinate.

 Metodo degli aggiustamenti:

In questo caso è il soggetto, non più lo sperimentatore, a regolare l’intensità dello


stimolo fino a quando è in grado di percepirne la presenza (per le serie ascendenti)
o l’assenza (per quelle discendenti).

 Metodi adattivi:

Si mantiene fissa una certa percentuale di accuratezza del soggetto (es. 75% di
risposte corrette) e si manipola l’intensità degli stimoli di modo che la prestazione del
soggetto rimanga sempre intorno al valore di soglia.
Un esempio è il metodo staircase:
Aumentando il numero di prove si ha bisogno di intensità minori, perché il sistema
percettivo diventa più abile nel percepire stimoli che prima non percepiva.

LEGGI DI WEBER E DI FECHNER


Legge di Weber:
La quantità di variazione di uno stimolo (di confronto) perché ne rilevi la differenza
rispetto a uno stimolo iniziale (standard) dipende dall’intensità dello stimolo di
partenza (cioè è proporzionale allo stimolo standard).

Se l’intensità di partenza è bassa, allora bastano piccole variazioni per percepire


differenze; ma se è alta, avremo bisogno di tante variazioni.

Esempio: se in una stanza con una candela ne aggiungo una, noto la differenza;
ma se nella stanza ci sono 100 candele, una in più non fa la differenza.

Legge di Fechner:

Aggiungendo la minima quantità di intensità necessaria per notare una differenza tra
due stimoli (calcolata con la legge di Weber) la sensazione evocata dal nostro sistema
percettivo di qualcosa che è cambiato è sempre la stessa (sia con 10+0,1 candele, che
con 100+10). Le sensazioni di differenza sono le stesse pur essendo le variazioni di
intensità fisica diverse. La grandezza della sensazione evocata da uno stimolo è
proporzionale al numero della soglia differenziale sopra la soglia assoluta, e la
relazione tra la forza della sensazione e l’intensità dello stimolo è logaritmica.

18
Si parla solitamente di legge di Weber-Fechner, perché le osservazioni sono collegate.

Evidenze sperimentali:
L’attenzione è in grado di modificare l’apparenza degli oggetti?

Nell’esperimento vengono presentati due elementi, e il compito è quello di riportare quale dei
due abbia maggior contrasto. Si è notato che se la nostra attenzione è orientata nella zona dove
apparirà lo stimolo di confronto, tale elemento viene percepito come più contrastato.
L’attenzione incrementa quindi la percezione di contrasto dello stimolo di confronto: serve un
valore di intensità fisica più basso per percepire lo stimolo di confronto come uguale a quello
standard.

Teoria della detezione del segnale:


Approccio metodologico per cercare di capire come funziona il sistema percettivo e come si
possa distinguere la reazione dell’apparato percettivo da altri aspetti che intervengono nella
percezione degli stimoli. Il principale svantaggio delle tecniche per le stime di soglia è che esse
prevedono che, per ogni stimolo, l’osservatore lo rilevi o no, pur quando non è sicuro di
percepire qualcosa (grado di incertezza) ma è comunque forzato a rispondere. Tali tecniche,
inoltre, non considerano che le istruzioni o motivazioni del soggetto possono modificare i
risultati.

Istruzioni conservative (a cui segue un atteggiamento del soggetto conservativo):


All’osservatore viene detto di riportare la presenza del segnale solo quando è sicuro.
Ciò ha come conseguenza un aumento delle stime di soglia assolute: l’osservatore dirà
più volte “non percepisco il segnale”.

Istruzioni liberali (atteggiamento liberale):

l’osservatore deve riferire la rilevazione del segnale anche quando non è sicuro (è
forzato a rispondere). Come conseguenza si abbassa la stima di soglia: il soggetto
dirà più volte “sì”.
La teoria della detezione del segnale (TDS) cerca di ovviare a questi problemi. Essa permette di
ottenere una misura di sensibilità del sistema percettivo non influenzata dall’atteggiamento
dell’osservatore.
Per calcolare la soglia sensoriale prende in considerazione due elementi:
a. La presenza di uno stimolo di intensità diversa da zero (che produce sempre un certo grado di
risposta sensoriale): segnale;
b. L’assenza totale di stimolazione: rumore.

La TDS distingue la soglia sensoriale da quella di risposta.

La soglia sensoriale:

Quel valore fisico di uno stimolo che fa sì che ci sia una risposta da parte del sistema
19
sensoriale: rappresenta quanto effettivamente il mio sistema percettivo funziona bene.

La soglia di risposta:

Dà una stima dell’atteggiamento, del criterio (bias) che un soggetto decide di mettere
in atto circa la risposta sulla presenza o assenza del segnale: è il criterio adottato dal
soggetto nei confronti di una stimolazione fisica.

Queste due soglie vengono misurate da due indici numerici:

d’ (d primo) misura della sensibilità del sistema

criterio (c) misura del criterio o bias di risposta.

Nella TDS ci devono essere situazioni in cui il segnale è presente (segnale) e altre in cui è assente
(rumore), e per ogni prova, l’osservatore deve decidere se il segnale c’è o non c’è (risposta binaria).
Si vengono così a creare 4 categorie di risposta:

Risposta
Segnale Sì No
Presente Successo Omissione
Assente Falso allarme Rifiuto corretto

d’ viene calcolato in base alla differenza tra successi e falsi allarmi: è l’indice di quanto il
sistema percettivo riesce a distinguere tra segnale e rumore. Dipende dall’intensità fisica del
segnale e dalla sensibilità dell’apparato recettore.

Il criterio dipende invece dalle aspettative, motivazioni e istruzioni: è ciò che ci porta ad
avere un certo tipo di atteggiamento a prescindere dalla stimolazione fisica.
Le distribuzioni del segnale e del rumore vengono poi rappresentate come due curve, la cui
distanza è d’: tanto più le curve sono separate, tanto più il sistema percettivo distingue bene
tra segnale e rumore. Il criterio di risposta viene invece rappresentato come una linea
verticale che separa le risposte sì/no: a seconda di dov’è la linea, si capisce se la persona sta
adottando un criterio liberale (a sx, aumentano successi e falsi allarmi), conservativo (dx) o
neutro (al centro).
I rifiuti corretti vengono rappresentati nella curva della distribuzione del rumore a sinistra del
criterio (risposta no), e le omissioni, invece, nell’intersecazione delle due curve.
Con risposta sì (a destra), i successi sono rappresentati nella distribuzione del segnale, mentre
i falsi allarmi nell’intersecazione delle curve.
Queste due indici danno due misure indipendenti: l’una non influenza l’altra.
20
La TDS permette quindi di distinguere quante volte diciamo sì perché il nostro sistema
percettivo funziona bene, o perché abbiamo adottato un criterio liberale.
La proporzione tra successi e falsi allarmi viene rappresentato anche nella curva ROC
(receiver operating characteristics), la quale consente di rappresentare le prestazioni a livello
del singolo soggetto. Se le due proporzioni sono uguali (la linea è una diagonale) significa
che non c’è sensibilità;
Più la funzione è inarcata vs sinistra, tanto più c’è sensibilità.

Psicofisica comparata = utilizzo di modelli animali

Gli animali seguono procedure di condizionamento (fase di apprendimento non verbale).


Il condizionamento classico prevede uno stimolo neutro associato a uno stimolo per cui la
risposta è incondizionata (ossia naturale per l’animale).
Una volta appresa l’associazione stimolo neutro- stimolo incondizionato, viene utilizzato il
primo come stimolo d’interesse (diventato condizionato), ad esempio per stimare la soglia
assoluta.

Nel condizionamento operante, invece, l’animale associa un comportamento vs uno stimolo


neutro a una situazione di ricompensa (es. stimolo rosso a cibo).
Dopo l’associazione, anche questo stimolo viene utilizzato come stimolo d’interesse, ad
esempio per calcolare la soglia differenziale.

21
Capitolo 6)

COSTANZE PERCETTIVE E PERCEZIONE DI PROFONDITA’


Costanze percettive:
Principi funzionali della percezione, apprese grazie all’esperienza e utilizzate dal sistema
percettivo per organizzare o rappresentare l’informazione in modo coerente.
Sono delle tendenze del nostro sistema percettivo a mantenere fenomenicamente immutate le
caratteristiche dell’oggetto (grandezza, colore, forma,…), nonostante le continue variazioni
delle registrazioni sensoriali.

Nonostante ci siano variazioni dello stimolo prossimale (proiezione sulla retina) in funzione
della grandezza, distanza, ecc., le costanze percettive fanno sì che il percetto rimanga lo stesso.
Le costanze percettive fanno parte dei principi di funzionamento percettivo, legati al concetto
di invarianza dell’informazione percepita: sono tipicamente presenti per oggetti ad alta
familiarità e in situazioni con altri indizi contestuali.
1. Costanza di grandezza:
Un oggetto mantiene le proprie dimensioni nonostante variazioni della proiezione
retinica. L’esperienza permette al sistema percettivo di mantenere percezioni coerenti.
Data una serie di indizi ambientali e la familiarità con gli oggetti presenti
nell’ambiente, le immagini retiniche piccole fanno percepire gli oggetti come distanti,
quelle grandi come vicini. Due rappresentazioni retiniche diverse dello stesso oggetto,
ci danno informazioni circa la distanza tra noi e l’oggetto (funziona bene fino a 2-2,5
metri).
Ci sono situazioni in cui l’applicazione errata di questi principi può portare a percezioni
illusorie.

Illusioni:
Fenomeni spiegabili attraverso alcuni principi percettivi che si verificano in
soggetti sani e che permettono di capire il funzionamento del sistema percettivo.

Es.: ILLUSIONE DELLA LUNA:


All’orizzonte la luna sembra più grande rispetto a quando è in mezzo al
cielo. Questo perché quando è sopra di noi, non abbiamo riferimenti che
ci permettono di stimarne la distanza; quando è all’orizzonte, invece,
abbiamo la linea d’orizzonte, la prospettiva lineare e il punto di fuga ad
esempio. Le due lune nelle due situazioni sono alla stessa distanza da noi,
hanno la stessa grandezza e quindi l’immagine retinica deve essere la
stessa: tuttavia, il sistema percettivo fa un’assunzione sbagliata.
Assumiamo che la luna all’orizzonte è più lontana (poiché abbiamo indizi
contestuali che ci permettono di stimare ciò), ma, siccome la proiezine
retinica è la stessa di quando è in mezzo al cielo, reinterpretiamo il tutto
come se la luna all’orizzonte fosse più grande (è più lontana e più grande,

22
quindi la proiezione retinica è uguale a quella della luna sopra di noi, più
vicina e quindi più piccola).

2. Costanza di forma:
Nonostante un oggetto visto da diversi punti di vista abbia forme
completamente diverse, percepiamo l’oggetto sempre come lo stesso.

3. Costanza di colore:

Percepiamo l’associazione oggetto-colore come costante, nonostante variazioni di


illuminazione. Ciò avviene anche per oggetti non familiari.

Evidenze sperimentali:
Nel 1976 è stato fatto un esperimento (da McCann) in cui venivano presentati
due quadrati con diversa illuminazione e quindi percepiti come di diverso
colore. Nonostante variazioni della fonte luminosa, i due oggetti venivano
percepiti sempre uguali, pur essendo i colori diversi in termini fisici.

La profondità è la terza dimensione del sistema visivo legata alla distanza.

Percezione di profondità:
Meccanismo con cui vediamo il mondo tridimensionale a partire da stimoli bidimensionali
(percezioni sulla retina in 2D).

Il sistema percettivo utilizza degli indizi di profondità che sono:

a. INDIZI BINOCULARI (derivano dall’interazione dei due occhi).

• Meccanismo di convergenza o divergenza:

Gli occhi ruotano verso l’interno convergendo o verso


l’esterno divergendo (attraverso muscoli oculomotori), in
funzione della distanza degli oggetti osservati, per metterli a
fuoco. Ciò che permette di stimare la distanza fra noi e un
oggetto, è l’angolo che si viene a formare a seguito della
rotazione: più è grande, più un oggetto è vicino.

• Disparità binoculare (o retinica):

Sono le differenze tra le immagini provenienti dai due occhi.


Tale disparità è alla base della stereopsi, ossia l’abilità del
cervello di fondere le due proiezioni retiniche per formare
un’unica rappresentazione. L’informazione derivante dalla
23
disparità binoculare, inoltre, permette al cervello di
ricostruire la terza dimensione, utilizzando la distanza fra le
due immagini retiniche. Minore è la differenza, più gli oggetti
sono lontani.

• Fenomeno di soppressione binoculare:

Una delle due immagini retiniche prevale sull’altra e diventa


dominante, mentre l’altra viene soppressa. La soppressione, la
disparità e la stereopsi si verificano solo negli uomini e negli
animali con visione binoculare “frontale” (occhi posti
frontalmente tipici dei predatori). Gli occhi frontali permettono
infatti una maggiore accuratezza nella localizzazione degli
oggetti, determinandone la distanza, mentre gli occhi laterali
(tipici delle prede) permettono una maggiore visione periferica
e una maggiore sensibilità per il movimento.

Sono entrambi indizi primari, ossia strettamente legati agli


aspetti della fisiologia del sistema visivo (non dipendono
dall’esperienza o dall’apprendimento).

b. INDIZI MONOCULARI:(derivano da un occhio solo):

a. Accomodazione:

Proprietà del cristallino di modificarsi in funzione della distanza degli


oggetti per metterli a fuoco: si appiattisce per gli oggetti distanti, e si
ingrandisce per quelli vicini. Anche questo è un indizio primario perché non
deriva dall’esperienza; è tuttavia debole perché ha una buona stima fino a 5
metri e fino ai 30 anni, poi decade (si tende a perdere in vecchiaia).
Si distinguono anche alcuni indizi secondari (o pittorici), che derivano dall’esperienza e
dipendono dalla natura dell’immagine, che sono:

a. Sovrapposizione o occlusione:
Un oggetto che si sovrappone o nasconde parzialmente un altro viene
percepito come più vicino. È un indizio di profondità non metrico, ossia dà
informazioni circa l’ordine relativo degli oggetti ma non della loro
distanza.

b. Grandezza relativa:

In una successione di oggetti simili, quelli più piccoli sono percepiti come
più distanti rispetto a quelli più grandi.

c. Elevazione (o altezza relativa):

24
Gli oggetti nella parte più alta del campo visivo sono percepiti come
più lontani (es. nuvole), questo grazie all’esperienza. Nel cielo sopra
all’orizzonte, invece, è il contrario.

Altezza e grandezza relativa sono indizi metrici relativi, ossia danno una stima
dell’ordine e una distanza relativa tra due oggetti (ma non assoluta).

d. Grandezza familiare:
Conoscendo la dimensione tipica di un elemento, si può stimarne la distanza
sulla base della dimensione percepita. È un indizio metrico assoluto, perché
permette di stimare informazioni metriche più precise, fornendo
un’informazione quantificabile sulla distanza nella terza dimensione.

e. Prospettiva lineare:

Linee parallele sembrano convergere su un solo punto (punto di fuga) più si


allontanano dall’osservatore. Questo è il modo più semplice per rappresentare
la distanza nella pittura, e può essere utilizzata per dar luogo ad anaformismi
(immagini bidimensionali distorte), ossia dipinti per terra che, se guardati da
una certa prospettiva, sembrano tridimensionali.

f. Gradiente di tessitura:

Le variazioni della tessitura di una superficie danno un senso di profondità.


Più aumenta la distanza dall’osservatore, più la tessitura si infittisce (es.
strada).

g. Prospettiva aerea

Gli oggetti più lontani vengono percepiti come più rarefatti, meno distinti.
Questo perché si sa che la luce si disperde nell’atmosfera, e quindi tanto più si
disperde, tanto più stiamo guardando porzioni grandi di atmosfera, e tanto più
gli oggetti lontani appaiono sfocati.

Tutti questi fattori possono diventare artificiosi utilizzando e combinando alcuni indizi di
profondità. Un esempio sono i mystery spot, ossia luoghi reali in cui sembra che le leggi
della fisica non siano rispettate.

Evidenze sperimentali:

Il soggetto vede due superfici attraverso un foro che cambiano di inclinazione, e


in cui può essere presente o meno la linea d’orizzonte. Il compito è quello di

25
riportare se, e in quale direzione, una delle due superfici è inclinata.
Si è visto dai risultati che, senza la linea d’orizzonte (indizi contestuali) e con
entrambe le superfici inclinate nella stessa direzione, una viene percepita
erroneamente in salita mentre l’altra in discesa.

a. Parallasse di movimento:
Sono indizi legati al movimento attivo dell’osservatore o a quello passivo,
ossia tutti gli oggetti intorno si muovono. Gli oggetti più lontani sembrano
muoversi più lentamente di quelli vicini, hanno uno spostamento spaziale
minore (es. quando siamo sul treno): ciò permette di stabilire le distanze tra
noi e ciò che osserviamo.
Evidenze sperimentali:
a. Sviluppo della costanza di grandezza (Bower, 1966):
Condizionando i bambini a un determinato elemento (es. un quadrato di
30 cm a 1m di distanza) e poi presentandogliene tre diversi (es. di 30 o 90
cm e a 1 o 3m di distanza), si è notato che anch’essi presentano una
costanza di grandezza (a 6 mesi), poiché preferiscono il quadrato di 30
cm a 3m di distanza, come quello a cui si erano abituati, solo posto più
lontano e quindi con un’immagine retinica diversa.

b. Gibson e Walk (1960), percezione di profondità:


Bambini vengono posti su una superficie per metà trasparente (sensazione
di vuoto), e metà no. Si è visto che appena raggiungono il “precipizio” si
fermano: questo vuol dire che percepiscono la profondità già a 6 mesi
(succede anche con gli animali).

c. Held e Hein (1963): interazione motoria con l’ambiente per lo sviluppo della
percezione di profondità:

Venivano posti dei gatti su di un’”arena” che li fa girare: in alcuni casi


potevano muoversi, in altri no (rotazione passiva). Quando venivano poi
sottoposti al test del precipizio, solo i gatti con rotazione attiva
mostravano di percepire la profondità, e quindi si fermavano. Questo vuol
dire che la profondità è legata all’esperienza, e dipende dall’interazione
attiva che si ha con l’ambiente.

d. Mascalzoni et al. (2009): percezione 3D negli animali utilizzando indizi


pittorici 2D:

Nella fase di imprinting, il pulcino appena nato viene accompagnato da


un oggetto 3D (l’oggetto di imprinting è quello che il pulcino segue,
solitamente la mamma), e nella fase test viene messo in un box, in cui
vengono proiettate delle ombre statiche o in movimento (o dell’oggetto di
imprinting o di un altro oggetto). Si è notato che i pulcini seguono
l’oggetto di imprinting con l’ombra in movimento: animali di pochi
giorni, quindi, sanno riconoscere oggetti familiari sulla base di indizi di
profondità.
26
Capitolo 7)
TEORIE DELLA PERCEZIONE VISIVA

In ogni processo cognitivo (anche percettivo), si distinguono due tipi di interpretazione


dei dati sensoriali per formare le rappresentazioni visive: bottom-up e top-down.
 TEORIE BOTTOM-UP (DAL BASSO VS L’ALTO):
Interpretano la percezione come un meccanismo che si basa sulle caratteristiche fisiche
dello stimolo; l’informazione passa dagli stadi sensoriali a quelli cognitivi (più
complessi) che portano infine al percetto.
Un esempio di un meccanismo che funziona in questo modo è il sistema visivo stesso:
parte dall’elaborazione di caratteristiche di base, per poi passare a stadi sempre più
complessi. È detta anche data-driven (guidata dai dati) perché ciò che determina la
percezione sono le caratteristiche sensoriali.

a. Teoria della percezione diretta (Gibson):


Basata sull’informazione e non sulla sensazione:
Tutte le informazioni presenti nel mondo esterno non hanno bisogno
di interpretazione, ma vengono solamente registrate dal sistema
percettivo. Tutte le caratteristiche di uno stimolo sono già presenti
nel mondo esterno e il compito del sistema visivo è solamente quello
di rilevarle. L’approccio di Gibson è pragmatico, pratico, e distingue
tre aspetti fondamentali che portano alla percezione:
1) Assetto ottico:
Struttura della configurazione luminosa rispetto a un
punto di vista del soggetto percepente. È la
distribuzione della luce nell’ambiente e non
l’immagine retinica a determinare la percezione. I
cambiamenti nella struttura dei raggi luminosi degli
oggetti sono determinanti nella loro percezione
durante i movimenti dell’osservatore.

2) Movimento dell’osservatore o degli oggetti attorno:

Le percezioni avvengono mentre ci muoviamo


nell’ambiente: le modifiche dell’assetto ottico che
si verificano durante il movimento sono
27
fondamentali per la percezione.

Flusso ottico:
Quando ci muoviamo in una direzione, tutti gli
oggetti statici sembrano muoversi in direzione
opposta alla nostra, e sembrano convergere nel
fuoco d’espansione. Questa caratteristica ci
permette di avere una percezione corretta e
coerente dell’ambiente esterno, senza
reinterpretare l’informazione.

Parallasse di movimento:

Ci permette di stimare la distanza tra noi e gli oggetti.

3) Informazione invariante:

Ciò che rimane costante (informazioni fisiche)


nonostante il nostro movimento. È diverso dalla
costanza percettiva, ossia l’abilità del sistema
percettivo di mantenere il percetto stabile nonostante
variazioni fisiche nell’ambiente.

Gradiente di tessitura:

Due oggetti della stessa grandezza occupano la


stessa unità di tessitura a prescindere dalla
distanza dall’osservatore.

Rapporto di orizzonte:

Se due oggetti hanno lo stesso rapporto


d’orizzonte (ossia il rapporto tra la parte sopra
e quella sotto la linea d’orizzonte) allora sono
della stessa dimensione. Tale rapporto ci dà
informazioni circa la grandezza degli oggetti.

Sono tutte informazioni presenti nell’ambiente che non hanno


bisogno di reinterpretazione. Ci portano ad avere una percezione che
è semplicemente rilevazione di ciò che sta all’esterno in modo
coerente.

Concetto di affordance:
Disponibilità di un oggetto a subire una determinata azione (es.
sedia a sedersi), che si viene a creare con l’esperienza
(movimento attivo, esplorazione motoria). La struttura
dell’assetto ottico permette di avere informazioni circa le azioni
che possono essere compiute in relazione a un oggetto. È legato
all’idea che tutto ciò che il sistema percettivo ha bisogno di
sapere è già presente all’esterno.
28
Evidenze sperimentali
Gibson (1962), tatto passivo e attivo:
Il movimento (della mano o degli oggetti) è importante per la
discriminazione tattile, e per la nostra percezione. Nell’esperimento
venivano presentate sulla mano del soggetto una serie di forme, e il
compito era di identificarle. In un caso l’oggetto era posto sulla mano
(condizione passiva), nell’altro poteva essere esplorato con le dita
(attiva).
In quest’ultima condizione si è visto che i soggetti avevano una
maggiore accuratezza nell’identificazione. In un altro esperimento gli
oggetti erano fermi (condizione statica) o in rotazione (di movimento):
in quest’ultima l’abilità di riconoscere la forma era maggiore.

Greene e Oliva (2009):

Individuano tre tipi di proprietà globali della scena (assetto ottico):


strutturali (es. grado di apertura di un ambiente), costanti (es.
temperatura) e funzionali (es. possibilità di nascondersi). Nel compito
venivano presentate delle immagini per pochi millisecondi, con
diverse proprietà globali: per ciascun blocco di prove, solo una era
l’immagine target, ossia quella che i soggetti dovevano rilevare. Ciò
che variava era il grado di somiglianza distrattori-target rispetto alle
proprietà globali. Si è visto che quando i distrattori erano compatibili col
target, la prestazione peggiorava.
Ciò che scoprirono grazie all’esperimento, è che la
categorizzazione di una scena avviene anche in funzione delle
proprietà globali e non solo sulla base di caratteristiche locali o
singoli elementi.

Critiche alla teoria di Gibson:

• La conoscenza del modo di utilizzo degli oggetti potrebbe essere appresa tramite
esperienza e non essere intrinsecamente veicolata dagli oggetti.

• Non spiega l’esistenza delle illusioni, ossia errori percettivi che non dovremmo
commettere se l’informazione dell’assetto ottico fosse sufficiente per una
rappresentazione percettiva non ambigua. Infatti tali illusioni si formano in
presenza di ambiguità dell’ambiente esterno.
29
Esempio: stanza di Ames:

In una stanza trapezoidale percepiamo una persona molto grande in un lato e


una molto piccola nell’altro. Questo perché assumiamo che la stanza sia
rettangolare e che le due persone siano alla stessa distanza da noi, e quindi una
è più grande dell’altra.

 TEORIE TOP-DOWN (DALL’ALTO VS IL BASSO):

Si basano sulle conoscenze di alto livello (accumulate ad es. tramite esperienza) che
guidano la formazione del percetto, intesa come interpretazione dell’informazione
sensoriale. Un esempio sono i meccanismi di consapevolezza, poiché la percezione
consapevole ha luogo quando l’informazione torna indietro (le aree di alto livello
riattivano quelle sensoriali e di elaborazione).

È detta anche guidata dai concetti, poiché sono le conoscenze a priori che determinano la
percezione.

Teoria della percezione indiretta (Gregory):


Basata sull’interpretazione del dato percettivo , i meccanismi percettivi
sono tentativi più o meno corretti di interpretare il dato sensoriale. Essendo
l’ambiente esterno pieno d’ambiguità, il sistema percettivo costruisce una
rappresentazione del percetto migliore. Gregory sostiene che i meccanismi
percettivi siano un’insieme di ipotesi su come può funzionare il mondo
esterno (formate grazie all’informazione a priori). Il suo approccio è
costruttivista, poiché assume che il cervello costruisca il percetto in base
alla migliore ipotesi possibile in un dato momento.
Il suo approccio è supportato dall’esistenza delle illusioni.
Alcuni esempi possono essere:
 Cubo di Necker:
Si percepisce un’alternanza di orientamento del cubo a
seconda di dove lo guardiamo. In assenza di contesto, la
nostra percezione oscilla tra due interpretazioni egualmente
probabili (cubo su un piano orizzontale o appeso): abbiamo
creato due ipotesi percettive ma nessuna prevale sull’altra.

 Illusione della maschera di Gregory:

Sembra ci siano due maschere in una. Percepiamo la parte


concava della maschera come una faccia convessa, perché
abbiamo sempre visto facce convesse: le conoscenze a priori
30
determinano la percezione.

 Movimento biologico:

Se una configurazione di punti luminosi statici inizia a


muoversi come un uomo che cammina, noi lo percepiamo
come tale.

La percezione è un meccansimo fortemente interpretativo.

Evidenze sperimentali

A livello di elaborazione cerebrale esse dimostrano come l’attivazione delle


aree legate a meccanismi di alto livello, siano fondamentali per il
riconoscimento degli oggetti.

I soggetti dovevano identificare delle immagini presentate a basse o alte


frequenze spaziali, e nel mentre veniva registrata l’attività del cervello
(attraverso magnetoencefalografia), dell’area posteriore del giro fusiforme
(analisi di medio livello dell’informazione visiva) e dell’area della corteccia
orbito-frontale (meccanismi di alto livello).

Dai risultati emerse che tali aree si attivano con un preciso ordine temporale:
si attiva prima la corteccia orbito-frontale (attivazione dall’alto vs il basso,
meccanismi top-down). L’idea è che dalle aree visivo-primarie vengano
mandate informazioni che attivano le cortecce anteriori, le quali rinviano
l’informazione alle aree visivo posteriori che danno luogo al percetto. È
un’evidenza che le conoscenze a priori (nelle aree anteriori) guidano
l’attivazione delle aree posteriori e quindi la rappresentazione finale
dell’oggetto.

Critiche alla teoria di GREGORY:

 Esistono illusioni che permangono nonostante l’osservatore realizzi l’errore


percettivo: NON tutte le ipotesi percettive quindi sono modificabili
dall’esperienza.

 Non sempre le ipotesi percettive sono la miglior interpretazione possibile.

31
Si distingue un approccio intermedio tra l’approccio bottom-up e quello top-down:

L’approccio BAYNESIANO alla percezione:

Esso rende conto della percezione come fosse un prodotto tra alcuni aspetti top-down
(legati alle conoscenze a priori) e altri bottom-up (legati a ciò che è presente nella
realtà esterna), e permette di fare previsioni su qual è il percetto più probabile, in
funzione delle conoscenze a priori e della verosomiglianza dell’informazione.

Secondo questo approccio, la probabilità che si verifichi una determinata


interpretazione dato quello che sto osservando, è data dalla probabilità a priori di tale
evento (conoscenze che abbiamo) moltiplicata per la probabilità che sia vera
(verosomiglianza dell’informazione). Quest’ultima dipende dall’informazione
proveniente dalla scena, divisa per la probabilità che si verifichi ciò che sto osservando.
La percezione è quindi un meccanismo flessibile che, in funzione dell’informazione
che ha (a priori o verosimile), modifica la propria rappresentazione, il percetto finale.

Evidenze sperimentali, Adams et al. (2004):


A seconda di dov’è l’illuminazione (dall’alto o dal basso), noi percepiamo gli
oggetti come concavi o convessi. Nell’esperimento i soggetti dovevano
giudicare una figura come concava o convessa: se veniva fatto fare loro un
training (informazione visiva e tattile con luce inclinata, che potevano essere
congruenti o meno), la stima dell’inclinazione della luce variava a seconda di
com’era il training, di come erano stati abituati. Finito il training veniva
presentata solo l’informazione visiva: si è visto che l’informazione tattile
modifica la percezione e sovrasta la conoscenza a priori.

32
Capitolo 8)

RICONOSCIMENTO DI OGGETTI

Una volta che l’informazione arriva all’area visiva primaria (V1) può seguire due vie
funzionalmente distinte per percepire e riconoscere gli oggetti.

Millner e Goodale sostennero che le due vie fossero anatomicamente e funzionalmente distinte e
che analizzassero le stesse caratteristiche degli oggetti (forma, dimensione, posizione) ma per
differenti scopi:
 VIA VENTRALE:
Serve per la percezione consapevole dell’oggetto va dal lobo occipitale alle aree infero-
temporali.

 VIA DORSALE:

Serve per guidare l’azione verso l’oggetto, ma NON è consapevole va dal lobo occipitale alle
aree parietali posteriori.

a. Elaborazione per il riconoscimento: via VENTRALE


Riconoscere un oggetto significa classificarlo in gruppi ordinati di elementi.
I processi di riconoscimento permettono di recuperare il significato e la funzione
dell’oggetto, e prevedono due passaggi:

a. rappresentazione percettiva dell’oggetto (gli attributi visivi)

b. rappresentazione semantica (il riconoscimento vero e proprio).

Questi processi sono flessibili, poiché riusciamo a riconoscere più oggetti come
appartenenti alla stessa categoria nonostante varino molto gli attributi fisici
(grandezza, forma, inclinazione, ecc.), e veloci, ossia avvengono intorno ai 150ms
dopo lo stimolo.

33
Evidenze sperimentali (Thorne et al. (1996)):
Veniva presentata un’immagine per 20ms, e il compito era di riportare se in
tale immagine fosse presente un animale, mentre veniva registrata la risposta
elettrica del cervello tramite EEG. Si è visto che in 150ms il cervello riesce a
distinguere se è presente o meno un animale.
Si distinguono due approcci teorici del riconoscimento di oggetti, un modello basato sulla
struttura e uno sul punto di vista:

a. Modello strutturale:
Modelli basati sulla struttura.
Il riconoscimento degli oggetti è un processo in cui il sistema visivo, nonostante le
variazioni delle immagini retiniche, ricostruisce sempre la stessa rappresentazione
dell’oggetto (descrizione strutturale), facendo riferimento allo stesso modello o
prototipo di oggetto.
Tale descrizione strutturale (basata sulle caratteristiche visive) è poi confrontata con
le descrizioni esistenti nel nostro sistema semantico. Quella che corrisponde meglio
alla nostra descrizione viene poi utilizzata per riuscire a dire che oggetto è.
I principali modelli strutturali:
• Modello di Marr (1982):

Il riconoscimento dell’oggetto parte dall’analisi delle caratteristiche più


semplici per poi arrivare a quelle più complesse e finire con la vera e propria
costruzione 3D. È un modello bottom-up, un’analisi dal basso vs l’alto che
procede in modo gerarchico.

Primal sketch 3D model Semantic = Riconoscimento


Input
sketch representation system

Si distinguono tre stadi, che permettono di passare da una rappresentazione


centrata sull’osservatore a una centrata sull’oggetto:
 Abbozzo primario:
Sono elaborate le caratteristiche di base (es. orientamento,
contrasto, lunghezza).
Le rappresentazioni dipendono dal punto di vista
dell’osservatore;

 Abbozzo a due dimensioni e mezzo:

34
Elaborazione di caratteristiche più sofisticate (es. profondità).
Le rappresentazioni riguardano solo le parti visibili dell’oggetto e
cambia in funzione del punto di vista (è centrata
sull’osservatore);

 Rappresentazione del modello a tre dimensioni:

Si costruiscono i volumi, la cui combinazione dà luogo alla


descrizione strutturale completa. Questo stadio è invariante per tutti gli
oggetti; la rappresentazione è oggetto-centrica (centrata
sull’oggetto) e sono percepite le caratteristiche tridimensionali e
rappresentate le parti non visibili dell’oggetto.

Queste informazioni vengono confrontate col sistema semantico, per dare luogo
al vero e proprio riconoscimento.
Questo modello è compatibile col funzionamento del sistema visivo a livello
fisiologico: passa da stadi semplici (elaborazione di caratteristiche base) a
quelli più complessi.
• Modello di Biederman (1987):
parte dal modello di Marr e specifica in dettaglio alcuni aspetti legati
all’assemblamento di componenti, il quale dà luogo alla descrizione
strutturale. Secondo Biederman esistono degli elementi di base (geoni) che
formano una sorta di alfabeto di componenti visive che il cervello assembla in
modo diverso per dar luogo a un numero potenzialmente infinito di oggetti
(esistenti e non).
Input vengono estratte
caratteristiche di base

Estrazione dei Il modello di Biederman presenta anche


contorni passaggi all’indietro (top-down) oltre a
quelli bottom-up e specifica in maniera
Rilevazione delle proprietà dettagliata il numero dei componenti
non accidentali (alfabeto dei geoni).

Determinazione La formazione dei geoni si basa sulle


componenti (geoni) caratteristiche della scena, ossia sulle
proprietà non accidentali (un insieme di
informazioni che permettono di fare
Confronto con rappresentazioni
previsioni veritiere su qual è la struttura a cui
in memoria queste proiezioni sono legate. Sono proprietà
della proiezione retinica diagnostiche della
Identificazione oggetto struttura proiettata)

Le proprietà non accidentali non cambiano, e permettono di costruire i


geoni (quelli che assemblandosi danno luogo agli oggetti). Sono delle
informazioni critiche ricavabili da superfici visibili che difficilmente sono
conseguenza casuale data dal punto di vista dell’osservatore. Un esempio
è la collinearità di punti e linee, curvilinearità, simmetria, parallelismo e
vertici.
35
Evidenza sperimentale:
Caso degli oggetti degradati.
Nell’esperimento venivano presentati degli oggetti degradati del 25%,
45% o 65% nelle proprietà non accidentali (es. vertici) o altri
elementi. Tanto più è cancellata l’informazione nei punti delle
proprietà non accidentali, tanto più è difficile riconoscere gli oggetti.
Quando le proprietà non accidentali sono intatte, gli oggetti sono
recuperabili.
Anche questo modello è bottom-up: i meccanismi di riconoscimento degli
oggetti partono da una rappresentazione basilare dell’elemento a un
assemblamento di informazioni più complesse.

Critiche ai modelli strutturalisti:


• Non specificano in maniera dettagliata il riconoscimento degli
elementi all’interno della stessa categoria;
• Non danno rilievo all’importanza del contesto;
• Si applicano difficilmente a oggetti non scomponibili (es. nuvole);
• NON è sempre vero che il processo di riconoscimento è
indipendente dal punto di vista dell’osservatore.
Punto di partenza dell’approccio opposto.
b. Modelli basati sul punto di vista:

Non c’è sempre un’unica rappresentazione di un oggetto, infatti il punto di vista


dell’osservatore può avere un peso nel processo di ricostruzione e riconoscimento.
Quest’ultimo processo è frutto del confronto tra sagome percettive immagazzinate in
memoria e lo stimolo esterno. È un processo olistico (globale): non c’è
assemblamento di caratteristiche ma confronto di ciò che sto vedendo con
rappresentazioni dello stesso oggetto che ho in memoria. Non è necessaria una
ricostruzione 3D dell’oggetto, poiché l’informazione 2D è sufficiente per il
riconoscimento. I principali modelli sono quello di Tarr e Poggio.

Sono state date due interpretazioni circa il riconoscimento degli oggetti:

 La rappresentazione può essere recuperata attraverso rotazioni mentali


dell’immagine input fino alla rappresentazione prototipica (il punto di vista da cui
osserviamo è rilevante);

 Gli oggetti sono riconosciuti tramite interpolazione tra le rappresentazioni


immagazzinate degli oggetti. Abbiamo tante rappresentazioni di un oggetto
(sagome percettive) che fanno riferimento a come appare l’oggetto da diversi punti
di vista. Il processo di riconoscimento consiste quindi nel confronto tra le sagome
36
immagazzinate e ciò che vedo.
Per ogni oggetto abbiamo in memoria SEI varianti strutturali in funzione della sua
posizione (nei modelli strutturali gli elementi erano limitati), che ci permettono una
maggiore efficienza.

Evidenze sperimentali per cui il punto di vista è fondamentale:

 I soggetti dovevano apprendere un elemento per poi riconoscerlo nella fase


test, tra tanti elementi simili, diversi, o di diversa posizione ma uguali. Il
riconoscimento è migliore quando l’orientamento dell’oggetto è simile a
quello della fase di apprendimento. Tanto più è distante, tanto più è
difficile. Si può inoltre migliorare con la pratica: tramite l’apprendimento è
possibile che il punto di vista diventi sempre meno importante (pur
essendo fondamentale).

 Fang e He (2005): percezione di volti:

Si basa su alcuni effetti illusori definiti aftereffects (effetti postumi):


alcuni neuroni (quelli che codificano caratteristiche di base) sono soggetti
ad adattamento, ossia se stimolati in modo costante smetteranno di
rispondere.
Ciò fa sì che, quando viene ripresentata la stessa informazione, il neurone
risponderà in maniera opposta (ad es. se è stato adattato al bianco,
risponderà alla stessa stimolazione col nero).
Sono legati all’adattamento neurale, ossia la percezione illusoria che
segue l’adattamento.
È stato fatto un esperimento per verificare se succede anche per i volti, e
se il punto di vista è fondamentale. Nella fase di apprendimento, i
soggetti venivano adattati a un volto con un determinato orientamento, e
nella fase test ne veniva presentato un altro e veniva chiesto di riportarne
l’orientamento. Quando i soggetti non venivano adattati (fase di
controllo) riportavano l’orientamento giusto. Se invece erano stati
adattati, c’era la tendenza a percepire la faccia test come orientata in
maniera opposta a quella dell’adattamento (aftereffect).
Ciò fa concludere che la rappresentazione degli oggetti include
informazioni che dipendono dal punto di vista dell’osservatore.

La sindrome legata al riconoscimento di oggetti viene definita agnosia


visiva: è un disturbo tipicamente associato a lesioni di aree posteriori del
cervello per fenomeni di asfissia cerebrale, che causa la perdita di
identificare oggetti visivi. Le agnosie visive sono una classe di disturbi nel
riconoscimento di oggetti presentati nella modalità visiva, in assenza di
deficit sensoriali, di memoria e di intelligenza.
I pazienti non riescono a descrivere gli oggetti ma sanno come si usano: ciò
è un’evidenza della dissociazione tra via ventrale (riconoscimento oggetti),
quella danneggiata, e via dorsale (azione vs oggetti).

37
La sindrome opposta, legata a un danneggiamento della via dorsale, è
definita atassia ottica: i pazienti non sanno pianificare azioni verso gli
oggetti e non sanno localizzarli nello spazio, ma li sanno tuttavia
riconoscere.

Le agnosie visive si dividono in due classi:

a. Agnosia appercettiva:
Legata ai primi stadi di elaborazione dell’oggetto.
I pazienti hanno un’incapacità nel riconoscere la struttura
percettiva dell’oggetto. Non sanno rappresentarsi la forma
globale dell’oggetto, individuare configurazioni figura-sfondo,
copiare oggetti o riconoscerli visivamente visti da prospettive
inusuali.

b. Agnosia associativa:

Incapacità di identificare l’oggetto nella modalità visiva, ma


capacità di creare la struttura percettiva (assenza di deficit
percettivi). Il deficit è legato agli ultimi stadi di elaborazione. I
pazienti hanno una rappresentazione nella norma della forma
globale degli oggetti, delle configurazioni figura-sfondo, sanno
copiare gli oggetti, ma non sono in grado di identificarli se
presentati nella modalità visiva.

TEST per riconoscere e diagnosticare le AGNOSIE:

 Test delle figure sovrapposte (di Ghent):


Vengono presentate diverse immagini sovrapposte e il
soggetto deve identificare gli oggetti singoli.
Gli appercettivi sono incapaci di individuare i vari
elementi sovrapposti seguendone il contorno. Quelli
più gravi, di solito individuano un solo elemento.
Gli associativi distinguono i vari elementi ma non sanno
identificarli né denominarli.

 Test delle prospettive inusuali:

vengono presentati oggetti singoli o a coppie da


prospetti ve inusuali, e i soggetti devono dire se sono
gli stessi o no.
Gli appercettivi sono incapaci nel compito.
Gli associativi riescono nel compito.

38
Oggetti multisensoriali:

Le informazioni relative a un oggetto di solito arrivano da più modalità


sensoriali.

L’informazione che arriva dagli organi di senso può essere interpretata in


modi diversi e può dar luogo a situazioni di ambiguità. L’interazione tra i vari
sensi può invece portare a disambiguazione multisensoriale: se uno stimolo
proveniente dalla modalità visiva è ambiguo, uno stimolo proveniente da
quella acustica può disambiguare e portare a una sola interpretazione (es.
motion-bounce illusion).

Ci sono due ipotesi sull’interazione tra i sensi, se entrambe le modalità hanno


lo stesso livello di ambiguità:

a. Ipotesi della dominanza sensoriale:


Una modalità sensoriale prevale sulle altre, portando a
interpretazioni percettive prevalentemente legate a quella
modalità (solitamente visiva).
Es.: illusione della mano di gomma: una mano è nascosta alla
vista, mentre l’altra è posizionata su di un tavolo vicino a una
mano di gomma (posizionata come se fosse la nostra). Quella
di gomma e quella nascosta sono stimolate allo stesso modo,
fino a portare la persona a percepire la mano di gomma come
se fosse la sua. In questo caso vengono unite informazioni
tattili e visive, la quale prevale fino a provocare un percetto
illusorio.

b. Ipotesi della modalità più appropriata:

Si basa sull’approccio baynesiano, e sostiene che i segnali


delle diverse modalità sono sempre “fusi”, ma con differente
peso in funzione della loro affidabilità. La percezione di un
oggetto multisensoriale, quindi, è la somma delle
interpretazioni unisensoriali pesate per la loro
verosomiglianza.

Evidenza sperimentale, Ernst e Banks (2002):


Esperimento di psicofisica (soglia differenziale), sulla percezione di

39
grandezza di un oggetto con stimolazione uni- o multisensoriale.
Ai soggetti venivano presentati informazioni visive e/o tattili di coppie
di oggetti di diversa grandezza, e in più era aggiunto un rumore.
Il compito era di dire quale dei due oggetti (uno di controllo e uno che
varia) fosse più grande.
Si è visto che nella condizione unimodale (no rumore) la soglia di
discriminazione visiva è molto più bassa di quella tattile. In condizione
multimodale, in assenza di rumore, il sistema percettivo si affida alla
modalità visiva, in presenza di rumore a quella tattile.
La modalità visiva è più affidabile di quella tattile solo se associata a
un rumore nullo o quasi. La modalità più affidabile nel discriminare i
due stimoli è l’informazione multisensoriale più il rumore. La
percezione utilizza quindi le due modalità sensoriali in maniera
flessibile: tanto più il rumore aumenta, tanto più si affida alla modalità
tattile (in assenza di rumore a quella visiva).

Capitolo 9)

RICONOSCIMENTO DI VOLTI

I volti sono una classe di oggetti particolarmente rilevanti per l’essere umano, perché siamo
costantemente esposti a volti umani e perché sono fondamentali per le interazioni sociali. È stato
proposto un modello teorico da Bruce e Young (1986), che presenta somiglianze coi modelli di
riconoscimento degli oggetti:

Le fasi di questo modello sono 3:


1. Prima fase: il volto è rappresentato in funzione del punto di vista dell’osservatore, e
vengono analizzate le caratteristiche della sua struttura.
2. Seconda fase: unità di riconoscimento di facce, dove sono contenute le
informazioni strutturali di volti conosciuti.
3. Terza fase: nodi di identità personali, dov’è rappresentata la parte semantica del
volto. Viene operato un confronto con le informazioni circa gli aspetti personali
degli individui che permettono di recuperare il nome del volto.
C’è una distinzione tra l’elaborazione di volti familiari (codifica strutturale, unità di
riconoscimento facce, nodi di identità personali, generazione nome) e elaborazione di volti
non familiari (codifica strutturale, analisi espressione, linguaggio facciale, elaborazione
visiva diretta): il volto è percepito come un’unica unità e non un insieme di parti.
Sono state associate aree cerebrali (parti posteriori del sistema visivo) ai vari passaggi di
elaborazione dei volti.
Si distinguono due ipotesi sul riconoscimento di volti:

a) IPOTESI DELLA SPECIFICITÀ DEL DOMINIO:


40
I volti vengono elaborati in maniera specifica, unica e diversa dagli altri oggetti in
generale, hanno processi cognitivi e neurali specifici. Vengono elaborati in maniera
olistica/configurale (vengono percepiti nella loro totalità), a differenza degli altri
oggetti per cui facciamo una scomposizione delle diverse parti.
Evidenze comportamentali:

Effetto inversione:
La prestazione a compiti diversi è peggiore quando i volti vengono
presentati con orientamento invertito, rispetto al loro orientamento
canonico. Questo effetto si manifesta in maniera specifica per i volti, a
differenza di altri oggetti.
Nell’esperimento venivano presentati ad ogni prova due elementi (uno
dritto e uno rovescio) e il compito era di dire se fossero gli stessi
oppure no. Quando gli elementi erano volti, la prestazione era molto
bassa (rispetto a quando erano animali o oggetti). Essendo che i volti
vengono elaborati in maniera olistica (globale), quando li vediamo
invertiti dobbiamo ricorrere alla scomposizione per parti
(scomposizione “forzata”).

L’elaborazione olistica può portare ad effetti illusori.


Esempio: illusione della Thatcher:
Se viene presentato un volto capovolto NON siamo bravi a
rilevarne eventuali anomalie (es. bocca rovesciata), rispetto a
quando è presentato in modo canonico.
Effetto parte-tutto:

L’abilità di memorizzare le parti di un volto è maggiore se tali


parti vengono presentate nell’intera faccia rispetto a quando
vengono presentate isolatamente.

Effetto composizione:

L’abilità di riconoscere metà volto, è migliore se tale metà è


disallineata con un’altra metà faccia (di un’altra persona), rispetto a
quando le due facce sono allineate, poiché quest’ultime le percepiamo
come un’unità.
Evidenze di attivazione neurale (studi con fMRI):
vedere un volto umano attiva un’area specifica della corteccia extra-striata
(porzione del giro fusiforme), denominata area fusiforme delle facce (non
attiva per altri oggetti o animali).
Evidenze neurofisiologiche (elettrofisiologiche, studi con EEG, che permette di
avere una buona visione del decorso temporale dell’attivazione neurale):
Aree posteriori destre rispondono in maniera preferenziale e in modo veloce
(170 ms) per i volti, rispetto ad altri oggetti. Sono stati fatti studi anche su
scimmie, che mostrano una selettività per la presentazione di volti umani,
oltre che di scimmie. Anche i neonati mostrano una preferenza innata per
41
configurazioni, anche schematiche, simili a volti.
Utilizzando il paradigma dell’abituazione si va a vedere se il bambino mostra
segni di interesse, ossia se torna a fissare l’immagine precedente
(dell’abituazione). Si è visto che se l’oggetto è nuovo e simile a una faccia, il
bambino lo guarda per più tempo. È stato fatto anche un esperimento con
scimmie appena nate che venivano deprivate del volto dello sperimentatore:
dopo mesi, scimmie che non avevano mai visto il volto dello sperimentatore,
rispondevano in maniera preferenziale allo stimolo volti (componente innata).
Evidenze neuropsicologiche
Il disturbo associato alla cecità per le facce è definito prosopagnosia:
Esso è un disturbo selettivo del riconoscimento dell’identità di un volto
conosciuto, a seguito di un trauma, come ictus o tumore, nelle aree
posteriori o unilaterali destre, nel giro fusiforme. I pazienti non
riconoscono le persone dal volto, ma da altri indizi (postura, voce, ecc.), e
non hanno problemi a riconoscere altri oggetti. Può essere anche
congenita, ossia si nasce col problema di riconoscimento di volti (2% della
popolazione), e può avere diversi livelli: la maggior parte delle persone
non si accorge di avere questo problema, perché hanno imparato
automaticamente a riconoscere le persone da altri indizi. L’attivazione
neurale è tuttavia identica a chi non soffre di prosopagnosia.

Evidenze della stimolazione cerebrale (studi TMS, tecniche di neurostimolazione):


Nell’esperimento venivano presentati diversi oggetti e nel mentre venivano
stimolate tre aree differenti:
occipitale destra
occipitale laterale
extrastriata destra (quella che si attiva per le parti del corpo).
Si è visto che solo l’interferenza con l’area occipitale dx provoca un
peggioramento nel riconoscimento di volti (evidenza causale).
b) IPOTESI DELL’ESPERIENZA:
I volti non hanno meccanismi neurali specifici, ma siamo più bravi nell’identificarli
perché siamo esposti molto più a volti che ad altri oggetti. Alcune evidenze mostrano
che alcuni effetti legati alle facce possono essere appresi e dipendono dal grado di
esperienza con un particolare oggetto (familiarità per i volti).

Evidenze comportamentali:
Diamond e Carey (1986): Effetto inversione:
Venivano presentati volti umani e di cani ad esperti di cani e non. Si è
visto che l’effetto inversione per i volti è presente anche negli esperti
per i volti dei cani, e ciò è a supporto dell’idea che la specificità dei
volti sia legata all’esperienza. Questo studio, tuttavia, non è mai stato
replicato. Si è visto invece che l’effetto inversione, parte-tutto e
composizione sono sempre presenti per i volti ma non per altri oggetti
o animali di cui i partecipanti sono esperti: gli effetti sono ridotti o
42
assenti.
La percezione dei volti veicola informazioni di tipo emozionale, ed è molto importante
per le interazioni sociali. Il concetto di attraenza (simmetria) è associato a effetti
sociali, e la simmetria di un volto a una maggiore piacevolezza. Persone considerate
attraenti ricevono voti e stipendi più alti e vengono considerate più intelligenti.

Evidenza sperimentale, Olson e Marshuetz (2005):


Nell’esperimento venivano presentati volti mascherati a diversi livelli di
attraenza per pochi millisecondi, e il compito era quello di indovinare
l’attraenza del volto. I soggetti indovinano superando il caso, sanno distinguere
facce attraenti da quelle non attraenti, e ciò dimostra che il meccanismo di
rilevazione dell’attraenza è molto rapido.
Ciò può avere anche effetti positivi sull’elaborazione di una serie di parole.

Effetto priming:
Un elemento irrilevante per il compito da fare ha comunque un effetto
di facilitazione sull’elaborazione di un elemento del compito.
L’associazione semantica tra due elementi facilita l’elaborazione dello
stimolo anche se irrilevante col compito.
Evidenza sperimentale:
Venivano presentate facce a diversi livelli di attraenza per
13ms (capovolte o dritte, elemento distraente da ignorare), e
successivamente veniva presentata una parola target che il
soggetto doveva identificare come positiva o negativa. Se il
volto presentato era canonico e attraente, si verificava l’effetto
priming (di facilitazione) e i soggetti identificavano i target
con parole positive.

43
Capitolo 10)
RICONOSCIMENTO DI MOVIMENTO BIOLOGICO

Gli esseri umani sono molto bravi nel riconoscere azioni biologiche, ossia azioni prodotte da
altri esseri umani. Diversi studi dimostrano che il riconoscimento del movimento biologico è
molto efficiente: dal movimento di configurazioni di punti luminosi disposti come un essere
umano (point- light animation, movimento apparente), riusciamo a distinguere se a
“camminare” è un uomo o una donna, se corre o cammina piano, e distinguiamo il peso di un
oggetto in azioni che simulano il sollevamento.
La percezione del movimento biologico è speciale e legata a meccanismi neurali e funzionali
distinti. Come per i volti, si verifica l’effetto inversione: se il movimento è rovesciato è molto
più difficile riconoscerlo, se non addirittura impossibile.
La percezione segue regole legate alla struttura del corpo umano, più che alla economicità: nel
movimento apparente percepiamo solitamente la traiettoria più breve (economicità); mentre in
quello biologico percepiamo la traiettoria secondo la plausibilità biologica del movimento.

Evidenze sperimentali:
 Studi fMRI:
Si nota una maggiore attivazione di un’area specifica del lobo
temporale, ossia il solco temporale superiore, per il
movimento biologico (relazioni correlazionali).

44
 Studi TMS (relazioni causali):

Nell’esperimento venivano presentate simulazioni di


movimento biologico e nel frattempo si interferiva in diverse
aree (come il solco temporale superiore, o l’area MT-V5, quella
che risponde per gli stimoli in movimento). Solo interferendo
nell’area del solco temporale superiore si provocava una
difficoltà nella discriminazione del movimento biologico
(orientato in modo canonico). L’area MT-V5 è invece attivata
dal movimento in generale e il disturbo associato è definito
acinetopsia (cecità al movimento): i pazienti perdono la
percezione dei movimenti circostanti (vedono il mondo a scatti)
ma percepiscono perfettamente il movimento biologico.

 Studi con bambini

Essi hanno pochi mesi o poche ore di vita e dimostrano che


la percezione del movimento biologico orientato
canonicamente è innata o molto precoce.

Capitolo 11)

ATTENZIONE: IL LOCUS DELLA SELEZIONE

L’Attenzione è l’insieme di meccanismi che permettono al sistema cognitivo di selezionare le


informazioni rilevanti in un dato momento, tralasciando il resto (concetto di selettività).
Siamo costantemente sommersi da informazioni provenienti da varie modalità sensoriali, in cui
dobbiamo concentrarci sul nostro obiettivo tralasciando il resto. Sarebbe vantaggioso riuscire ad
elaborare tutte le informazioni circostanti, ma è un processo molto dispendioso e lento. Essendo
le risorse di analisi del nostro cervello limitate, è necessario che entri in gioco l’attenzione per
selezionare solo le informazioni importanti, che saranno poi elaborate da pochi neuroni
massimamente attivi.
L’attenzione si divide in due meccanismi selettivi principali (per tutte le modalità sensoriali):
a. Attenzione FOCALIZZATA:

Situazioni in cui sono presenti almeno due informazioni, di cui una


sola è rilevante.

b. Attenzione DIVISA:

Situazione con almeno due informazioni, entrambe rilevanti.

Un’altra distinzione è legata al tipo di informazione che guida la selezione attentiva: i meccanismi di
selezione possono infatti essere interni o esterni.
45
a. Attenzione ESTERNA:
Meccanismi attentivi che hanno a che fare con dimensioni fisiche
dell’informazione (caratteristiche, disposizioni spaziali, ecc.). Sono
meccanismi bottom-up, poiché la selezione è guidata dal fatto che nel
mondo esterno ci siano informazioni fisicamente più salienti. È guidata dagli
stimoli (informazione fisica).

b. Attenzione INTERNA:

Essa è un approccio top-down che sostiene la selezione dell’informazione in


funzione dell’esperienza passata, delle attivazioni che abbiamo e delle
risposte o regole che abbiamo imparato, legati a meccanismi di memoria a
breve o lungo termine. È guidata dagli obiettivi.

ATTENZIONE FOCALIZZATA = quando opera?

Elaborazione Elaborazione Selezione


Input percettiva Output
semantica risposta

Caratteristiche
fisiche dell’input
sensoriale

46
Significato
dell’informazion D
e che vediamo e
c
i
d
o

c
o
m
e

r
e
a
g
i
r
e

n
e
i

c
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n
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n
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i

d
e
l
l

i
n
p
u
t

47
Problema del LOCUS DELLA SELEZIONE:

A quale livello opera la selezione attentiva? La selezione dell’informazione rilevante da


quella irrilevante può essere precoce (nel momento di elaborazione delle caratteristiche
percettive dello stimolo) o tardiva (nel momento dell’esecuzione della risposta).

SELEZIONE PRECOCE:
La selezione dell’informazione rilevante avviene durante i primi stadi di
elaborazione degli stimoli. Delle informazioni irrilevanti vengono elaborate solo le
caratteristiche fisiche rudimentali.

Evidenze sperimentali:

Cherry (1953),paradigma dell’ascolto dicotico:

Vengono presentati due messaggi diversi alle due orecchie simultaneamente, e


si chiede al soggetto di ripetere uno dei due messaggi o di concentrarsi solo su
uno dei due per poi ripeterlo successivamente (compito di shadowing,
ripetizione). Dai risultati dell’esperimento si è visto che i soggetti sono molto
bravi nel concentrarsi sul messaggio rilevante, però non sono in grado di
riportare nulla di quello irrilevante (tranne caratteristiche elementari);

Neisser (1976):

Il compito è quello di leggere il testo di un certo colore tra righe di colore


alternato. Come per l’ascolto dicotico, i soggetti ricordano il testo letto ma
non ricordano nulla di quello che dovevano ignorare.

Neisser e Becklen (1975):

I soggetti dovevano seguire gli avvenimenti relativi a una delle due serie di
immagini sovrapposte. Anche qui i soggetti NON sono in grado di riportare
nulla dell’altra sequenza di immagini.

Broadbent (1958), teoria del filtro precoce:

Egli sostiene che l’elaborazione delle caratteristiche elementari (es. colore o


timbro per i suoni) avviene in parallelo per tutti gli stimoli. La possibilità di
elaborare in maniera più approfondita l’informazione, dipende però da quanto
la manteniamo in memoria: solo quelle mantenute a lungo possono essere
elaborate. La codifica semantica e l’elaborazione di caratteristiche percettive
più complesse avvengono solo per gli stimoli rilevanti.

48
SPERLING: partial report superiority (vantaggio del resoconto parziale):

Veniva presentata una rapida serie di configurazioni di lettere o numeri, e i


soggetti dovevano svolgere uno tra due compiti:

a. Resoconto completo = dovevano riportare quanti più elementi si


ricordavano;
b. Resoconto parziale = prima, simultaneamente o dopo la
comparsa della configurazione, veniva presentato un suono che, a
seconda della frequenza, indicava la riga da riportare (es. tono
alto, riga alta).

I soggetti erano molto più bravi a riportare le lettere o numeri nel resoconto
parziale: tale effetto però diminuisce molto rapidamente con l’aumento
dell’intervallo temporale tra la presentazione della configurazione e quella del
suono. Oltre i 300ms la prestazione è identica a quella del resoconto completo.
Esiste un magazzino di memoria a breve durata di 200ms (memoria iconica):
presentando il segnale acustico oltre 200-300ms l’informazione scompare e
non riusciamo più a recuperarla. Recuperiamo solo quello che recupereremo
anche senza indizi (segnale acustico). Ciò è a dimostrazione del fatto che c’è
una prima analisi dettagliata di tutti gli stimoli, ma un’elaborazione
approfondita solo per gli stimoli che rimangono più a lungo in memoria.

Evidenze di attivazioni cerebrali (studi fMRI):


Il soggetto doveva prestare attenzione a una delle due stimolazioni,
che potevano essere a dx o sx del punto di fissazione, e nel mentre
veniva misurata l’attività del cervello nell’area visiva primaria (prime
aree di attivazione nell’elaborazione visiva). Si è visto che se gli
stimoli rilevanti sono a destra, si attivano le aree V1 di sinistra (e
viceversa), questo perché i due emisferi elaborano le informazioni del
campo visivo controlaterale. L’area V1 è una delle prime aree corticali
che elabora il segnale visivo, evidenza che la selezione è precoce.

Evidenze (studi ERP, potenziali evocati):


I soggetti devono prestare attenzione o alla parte dx o a quella sx del
campo visivo e vengono presentate informazioni o nel campo atteso o
in quello distraente. L’effetto tra l’informazione rilevante e quella
irrilevante è molto precoce e presente già a 50ms. L’informazione
irrilevante viene quindi tralasciata fin da subito.

49
SELEZIONE TARDIVA:
Tutte le informazioni raggiugono un certo grado di elaborazione, arrivando fino a
livello semantico. L’attenzione opera solo per una corretta selezione della risposta.

Evidenze sperimentali:

Moray (1959), ascolto dicotico e compito di shadowing.

Con lo stesso paradigma utilizzato per la selezione precoce si è dimostrato


che ci sono situazioni in cui tutte le informazioni vengono elaborate fino al
livello di estrazione del significato. Venivano presentati due messaggi
simultanei alle due orecchie: il messaggio da ignorare poteva presentare la
frase “Puoi fermarti qui”, oppure poteva aggiungere il nome e il cognome
del partecipante. Dai risultati emerse che i partecipanti smisero di ripetere
maggiormente quando veniva detto il loro nome e cognome. Ciò dimostra
che il messaggio irrilevante viene comunque elaborato.

McKay (1973), ascolto dicotico e parole chiave.

Durante l’ascolto dicotico, nel messaggio da ignorare venivano presentate


delle parole che disambiguavano il significato del messaggio rilevante (es. se
in quello rilevante veniva detto “massa”, in quello irrilevante poteva venir
detto “folla” o “gravità”). Successivamente i soggetti dovevano rispondere a
delle domande: l’interpretazione del messaggio rilevante era concorde col
significato della parola del messaggio irrilevante. Quindi, l’elaborazione
semantica avviene per tutti gli stimoli e non è legata esclusivamente a stimoli
salienti (es. il proprio nome).

Coorten e Wood, ascolto dicotico e riflesso psicogalvanico:

Variazione della resistenza elettrica che si misura sulla pelle, tipicamente


associato allo stato di stress della persona: è la variazione del sudore della
pelle. Prima dell’esperimento veniva condizionato il riflesso psicogalvanico
alla presentazione di determinate parole mediante somministrazione di piccole
scosse (fase di condizionamento). Nella fase dell’ascolto dicotico, venivano
presentate tre parole nel messaggio da ignorare: una condizionata (es. Roma),
una semanticamente associata (es. Mantova), e una neutra (es. tazza). I risultati
mostrano che, sia la parola condizionata che quella associata, sono in grado di
elicitare il riflesso psicogalvanico, pur essendo presentate nel messaggio da
ignorare.

Effetto STROOP:

Il compito è quello di leggere il colore con cui sono scritte le parole


ignorandone il significato. Nelle situazioni incongruenti (es. c’è scritto “rosso”
in blu, e i soggetti devono leggere blu) si crea un effetto di interferenza: i tempi
di reazione sono molto maggiori. Questo effetto dimostra che la lettura e
l’estrazione del significato di una parola (sia rilevante che irrilevante) sono
50
automatici. Ciò dimostra che solo quando dobbiamo rispondere filtriamo
l’informazione rilevante (che richiede un maggior TR).
Effetto FLANKER:

Viene presentato un target centrale (rilevante) e due fiancheggiatori


(distrattori). I tempi di reazione sono maggiori nella situazione incompatibile
(i distrattori sono associati alla risposta opposta al target). Poiché
l’interferenza è imputabile allo stadio di selezione della risposta, tale effetto è
evidenza della selezione tardiva (estraggo il significato di tutti gli elementi).

Priming negativo:

Ad ogni prova vengono presentate due immagini sovrapposte (una sola


rilevante) di diverso colore o tratteggio. La relazione semantica tra le due in
momenti successivi può creare effetti di interferenza. L’esperimento si divide
in due prove, e il compito è quello di denominare il più rapidamente possibile
l’oggetto rilevante. Se nella prima prova lo stimolo da ignorare è associato
semanticamente al target della seconda prova (es. gatto e cane), la
denominazione è più lenta. Il priming negativo indica che gli stimoli irrilevanti
sono comunque elaborati fino all’estrazione del significato.
Evidenze (studi ERP), paradigma del periodo psicologico refrattario:
Ad ogni prova vengono presentati due target a intervalli variabili fra di
loro. Si è visto che la risposta varia in funzione dell’intervallo tra i due
elementi: più è corto, più i TR sono brevi (risposta al secondo stimolo
rallentata). Questo rallentamento è un effetto tardivo che si verifica
intorno ai 400ms dalla presentazione dello stimolo.

Altri studi mettono in luce la presenza sia di selezione precoce che tardiva (studi
ERP): quando vengono presentate due stimolazioni diverse alle due orecchie, se il
soggetto deve prestare attenzione a uno dei due canali l’effetto è precoce (50-100ms),
mentre se, all’interno dello stesso, deve rispondere a un solo tipo di stimolazione,
l’effetto è tardivo (250-300ms).
È stata teorizzata una nuova ipotesi intermedia tra quella precoce e quella tardiva:

IPOTESI DEL CARICO PERCETTIVO :

I meccanismi attentivi sono selettivi ma flessibili: la selezione può avvenire a livello


precoce o a livello tardivo in funzione del carico percettivo imposto. Se è basso la
selezione è tardiva, perché ho risorse sufficienti per elaborare sia il target che i
distrattori. Se è alto la selezione è precoce: tutte le risorse sono dedicate
all’elaborazione del target, e i distrattori così non vengono elaborati.

51
Evidenze comportamentali, effetto flanker e carico percettivo:
Il compito consiste nell’identificazione di una determinata lettera nella
configurazione centrale, ignorando i fiancheggiatori (compatibili o
incompatibili). Quando i distrattori sono tutti uguali, il carico è basso,
se sono tutti diversi, invece, è alto. L’effetto di interferenza dei
distrattori incongruenti è presente solo per basso carico (selezione
tardiva), poiché i distrattori vengono elaborati. L’effetto flanker non è
dovuto a un generale aumento della difficoltà del compito, ma solo al
carico percettivo che esso richiede. Infatti, più il compito è difficile,
più l’effetto si verifica solo per alto carico.
Invecchiamento e ipotesi del carico percettivo:
Sia anziani che bambini hanno una stessa efficienza dei
giovani nei meccanismi di selezione precoce (alto carico),
mentre nelle situazioni di selezione tardiva (basso carico)
l’effetto di interferenza è nettamente maggiore. I due tipi di
selezione (precoce o tardiva) si modificano quindi in funzione
dell’età: mentre i meccanismi di selezione precoce sembrano
essere funzionali fin dai primi anni di età e resistono
all’invecchiamento, quelli tardivi richiedono stadi più avanzati
di sviluppo e decadono prima (last in, first out).
Evidenze con neuroimmagini (studi fMRI):
Venivano registrate le attivazioni dell’area MT-V5 (per gli stimoli in
movimento). Il compito era quello di giudicare delle parole:
determinarne o il carattere (basso carico), o il numero di sillabe (alto
carico). Sullo sfondo apparivano poi distrattori in movimento. Si è
visto che l’area MT-V5 è attiva solo con basso carico e stimoli in
movimento; se il carico è alto, il fatto che gli stimoli si muovano viene
ignorato.
Studi ERP evidenziano effetti precoci (dopo 50ms dalla presentazione
dello stimolo) solo con alto carico. Veniva utilizzato il paradigma del
suggerimento spaziale: una freccia segnala la posizione di comparsa del
target (A o H) e il compito è quello di identificare tale lettera.
Attenzione focalizzata = come opera?
L’attenzione deve selezionare le informazioni rilevanti da poter essere
poi elaborate, poiché i processi cognitivi possiedono una limitata
risorsa di analisi simultanea.

L’attenzione può operare potenziando i target e lasciando inalterate le


altre informazioni. Ciò si verifica in presenza di pochi distrattori.

52
Evidenze neurofisiologiche (su animali):

Le risposte dei neuroni nelle aree visive delle scimmie


evidenziano come la modulazione da parte dell’attenzione
(prestare o meno attenzione a qualcosa) sia potenziamento dello
stimolo rilevante.
Sugli uomini si è visto come l’attenzione possa potenziare l’intensità
fisica di uno stimolo (psicofisica), attraverso il paradigma del
suggerimento spaziale.
Il soggetto doveva prestare attenzione o alla zona dove compariva lo
stimolo standard o a quella dove appariva lo stimolo test, e doveva
riportare l’elemento con maggior contrasto. Prima degli stimoli
compariva un indizio per uno dei due (in grado di spostare
l’attenzione).
Il fatto di prestare attenzione alla zona dove comparirà lo stimolo test,
fa percepire il contrasto come più elevato. L’attenzione modifica
quindi il punto di eguaglianza soggettiva: serve un contrasto più
piccolo per dire che ST è uguale allo SS.

L’attenzione può operare su ciò che non è rilevante, sopprimendo i


distrattori e lasciando inalterato il target. Ciò si verifica in presenza
di tanti distrattori.

Evidenze sperimentali (su animali):

Le scimmie dovevano ricordarsi una prima stimolazione per


discriminarla da una presentata successivamente (compito di
confronto ritardato). Nell’esperimento venivano presentati due
stimoli (atteso e distrattore) nel campo recettivo di alcuni
neuroni: uno era efficace, ossia uno stimolo per cui il neurone
risponde in maniera preferenziale per alcune caratteristiche;
l’altro invece NON era efficace.

In alcuni casi lo stimolo efficace coincideva con quello atteso


(ossia quello a cui il soggetto doveva prestare attenzione).
Veniva poi misurata la frequenza di scarica del neurone (più
scarica, più elabora): quando lo stimolo atteso è anche quello
efficace, si verifica un aumento della risposta; quando invece è
quello inefficace, si verifica una soppressione della risposta
(attivazione ridotta, soppressione distrattori).

53
Capitolo 12)

LE UNITA’ DELLA SELEZIONE ATTENTIVA: SPAZIO,


CARATTERISTICHE E OGGETTI

Si distinguono due tipi di meccanismi di selezione delle informazioni rilevanti, uno


basato sullo spazio e uno sugli oggetti, e una posizione intermedia tra le due:
a. Space-based view:
è lo spazio l’unità primaria di selezione dell’attenzione. Viene selezionata solo una
certa porzione di spazio.
b. Object-based view:
Le porzioni dello spazio vengono selezionate perché contengono oggetti rilevanti in
quel momento.

Attenzione basata sullo spazio:


è possibile selezionare porzioni di spazio e muovere l’attenzione in esso senza movimenti oculari?
Ci sono due spiegazioni dei meccanismi di selezione attentiva nello spazio:
a. Spotlight =

L’attenzione si muove nello spazio come un fascio di luce, esplorando con diverso
grado di dettaglio gli elementi presenti.

b. Zoomlens (gradiente):

L’attenzione non cambia inquadratura, ma ingrandisce o rimpicciolisce


una data porzione dello spazio rilevante in quel momento.
Viene utilizzato il paradigma del suggerimento spaziale (o spatial cueing di Posner):
Il compito è quello di rilevare la presenza del target o riconoscere alcune caratteristiche in uno
dei due lati della scena senza muovere gli occhi. Prima del target appare un clue (indizio) che
indica con una certa probabilità il lato di comparsa del target.
Si vengono così a creare tre tipi di prove:
Prove valide, in cui l’indizio (es. una freccia) indica il lato di comparsa del target;
Prove invalide, in cui indica la posizione opposta;
Prove neutre in cui non dà indicazioni.
Si misura poi l’effetto di validità, ossia la velocità con cui i soggetti rispondono alla
presentazione del target: i TR sono più veloci nelle prove valide. Nelle prove neutre, si
54
verificano benefici per le prove valide e costi per quelle invalide.

Ci sono alcuni aspetti cruciali da tenere in considerazione:


Aspetto 1:
Quando la relazione spaziale tra indizio (clue) e bersaglio (target) è identica, si
verifica l’effetto di validità (TR più veloci nelle prove valide e rallentamento in
quelle invalide). Ci sono due possibili spiegazioni:
 Spotlight:

Il meccanismo attentivo deve muoversi verso una determinata


porzione del campo visivo; ancorarsi in tale punto; e infine
disancorarsi per un successivo movimento. Nelle situazioni di
invalidità l’attenzione deve spostarsi da dove si era ancorata
(segnalato dal clue) a dove è comparso il target, ed è per questo
che i TR sono più alti.

 Gradiente:

Il gradiente dell’attenzione è massimo nel punto in cui si sta


prestando attenzione (risorse di analisi massime) e minore in
periferia. Nelle prove invalide le risorse sono meno
efficienti tanto da provocare un rallentamento nella risposta.
Aspetto 2:

Tipo di indizio e posizione:


• Centrale:

Gli indizi sono elementi simbolici, che richiedono una


certa interpretazione circa il tipo d’informazione che
danno sulla posizione del target (es. freccia); i soggetti
sono informati della relazione clue-target.

• Periferico:

Gli indizi sono salienti, fisicamente forti (es.


accensione luce, comparsa improvvisa di un
oggetto), e il soggetto non ha bisogno di
istruzione sul significato del clue. Il segnale
improvviso è in grado di attirare l’attenzione,
pur non essendo informativo circa la posizione
del target.

Aspetto 3

55
Contenuto informativo del clue = predittività, ossia probabilità che
indichi il lato del target. Il clue può essere altamente predittivo (90%)
o non predittivo (50%). I clue simbolici centrali funzionano solo se
predittivi, così da motivare il soggetto a spostare l’attenzione dove
indicato (per avere effetto di validità); mentre quelli salienti periferici
non richiedono predittività: poiché attirano sempre l’attenzione, l’effetto
di validità si verifica sempre.

Aspetto 4

Intervallo temporale tra la comparsa del cue e del target (SOA =


stimulus onset asynchrony, ossia sintonia dell’accensione degli
stimoli). I cue simbolici centrali devono essere predittivi e funzionano
creando l’effetto di validità solo con intervalli lunghi (oltre 300ms); i cue
salienti periferici funzionano con SOA brevi (100-200ms).

Tutti questi aspetti chiave del paradigma di Posner permettono di distinguere due
fattori che governano l’orientamento dell’attenzione:

<

Attenzione endogena (volontaria o interna) Attenzione esogena (automatica o esterna)


È guidata da fattori interni: fa riferimento a È guidata dalle caratteristiche fisiche del
conoscenze pregresse, istruzioni, obiettivi, mondo esterno (salienza)
aspettative
Orientamento lento: spostamento volontario Orientamento veloce (100ms): spostamento
dell’attenzione non volontario dell’attenzione
È legato a conoscenze pregresse Non è modificato dalle conoscenze pregresse
(interpretazione del segnale, es. freccia) (no interpretazione del cue, es. quadrato che
cambia colore)
È legato fortemente alla predittività Avviene a prescindere dalla predittività del clue
Può essere interrotto da un altro evento Non può essere interrotto

Evidenze sperimentali, Muller e Rabbitt (1989):

Decorsi temporali diversi :

All’aumentare dell’intervallo tra cue e target si perde l’effetto di validità e si


verifica l’inibizione di ritorno , cioè le prove valide diventano più lente di
quelle invalide (con intervallo > 200ms).

Questo effetto è esclusivamente legato all’orientamento automatico


dell’attenzione (esogeno). È un meccanismo funzionalmente adattivo (e
automatico) per il sistema cognitivo: per intervalli troppo lunghi, la presenza
del segnale fisico non è più considerato, per consentire all’attenzione di

56
esplorare in modo automatico altre posizioni oltre a quella nella quale è stata
momentaneamente catturata.

È presente anche nei bambini e in alcuni animali.

Evidenze di psicofisica:
L’attenzione è in grado di modificare l’apparenza degli oggetti?
Utilizzando il paradigma del suggerimento spaziale, al soggetto era chiesto di
riportare l’elemento con maggior contrasto. Diverse erano le condizioni
sperimentali: l’attenzione poteva essere rivolta allo stimolo test, a quello
standard o poteva essere al centro. L’intervallo tra clue e target poteva poi
essere breve (120ms) o lungo (500ms). Si è visto che con intervallo breve
(orientamento esogeno) l’attenzione è in grado di modificare il punto di
eguaglianza soggettivo: serve un minor contrasto per dire che ST è uguale allo
SS. Nell’intervallo lungo (orientamento endogeno) l’effetto scompare.
L’attenzione è quindi in grado di potenziare alcune caratteristiche fisiche
di uno stimolo solo per orientamento esogeno.

Evidenze di attivazioni cerebrali:


Si distinguono due sistemi frontoparietali per il controllo dell’attenzione:

 L’attenzione endogena segue la via


dorsale;
 L’attenzione esogena segue la via Due meccanismi indipendenti sia in
ventrale. termini anatomici che funzionali

57
Il punto di massima risoluzione del dettaglio (acuità visiva) si trova nella zona che stiamo
fissando, quando l’informazione cade nel centro della retina (fovea); le situazioni
d’ambiguità, infatti, si verificano nella visione periferica. Sono stati fatti studi per
verificare se i meccanismi di selezione attentiva agiscano anche quando c’è il massimo
dettaglio di acuità visiva, ossia nella foveola (parte centrale della fovea). Si è visto che
l’effetto di validità (prove valide maggiori di quelle invalide) è presente anche nel caso di
stimolazione centrale (oltre a stimoli periferici), quando l’attenzione è modificata nella
foveola.
Queste sono evidenze del fatto che l’attenzione può muoversi nello spazio.

Attenzione e caratteristiche:
L’attenzione seleziona delle informazioni in base alle caratteristiche presenti in una
porzione dello spazio.
Evidenze sperimentali:
Sono stati condotti studi basati sull’attenzione per caratteristiche (features), che
prevedevano due compiti:
Uno centrale:
(comparazione orientamento target 1 e 2)
Uno periferico:
(rilevare la presenza di una griglia periferica, il cui
orientamento era irrilevante).

Si è visto che la caratteristica della griglia influenza l’esecuzione del compito: i


soggetti sono più bravi se la griglia ha lo stesso orientamento del target.
Ciò significa che se l’elemento distraente possiede la caratteristica attesa, la sua
elaborazione è facilitata.
In altri studi venivano presentati due elementi simultaneamente (che si
muovono), e il soggetto doveva prestare attenzione solo a uno dei due e
ignorare l’altro.
Nel mentre veniva registrata l’attivazione cerebrale tramite fMRI del lato non
atteso (distraente): le aree visive associate al movimento (MT-V5) variavano in
funzione che gli stimoli da ignorare avessero o meno la stessa caratteristica del
target. L’attivazione era massima se la caratteristica era identica, se no veniva
soppressa. Ciò dimostra che, anche quando gli stimoli distraenti sono presentati
simultaneamente a quelli attesi, vengono elaborati se possiedono la stessa
caratteristica.

58
Studi EEG con stimolazioni periodiche dimostrano la presenza di un
meccanismo di sincronizzazione del sistema visivo: se viene presentato uno
stimolo visivo con caratteristiche ripetute a una certa periodicità, la risposta
del cervello si sincronizza alla frequenza dello stimolo. Ciò è denominato
SSVEP (steady state visual evoked potential), ossia potenziale evocato visivo
che si ripete in maniera stabile.
Utilizzando questa tecnica, sono stati condotti degli studi, in cui gli elementi
venivano presentati sovrapposti (distrattori e target occupano la stessa
posizione spaziale) ma con diversa periodicità. Il compito era quello di
riportare il movimento degli stimoli attesi: si è visto che la sincronizzazione
variava in funzione di quale fosse lo stimolo atteso.
L’attenzione può quindi operare in funzione delle caratteristiche anche quando lo spazio
è ridotto o annullato.

Attenzione basata sugli oggetti:


Selezione attentiva può operare nella porzione di spazio in cui sono presentati gli oggetti.
Evidenze comportamentali e di attivazione neurale:

Duncan (1984):

Ad ogni prova venivano presentati due oggetti (rettangolo e linea)


nella stessa posizione spaziale, che variavano solo per piccole
caratteristiche. Il compito era quello di riportare uno o due attributi
dello stesso oggetto (accuratezza identica), o due attributi dei due
oggetti: in quest’ultimo caso l’accuratezza peggiorava notevolmente.
Questo è evidenza del fatto che l’attenzione seleziona solo un oggetto
per volta: se ci sono più oggetti si verifica un rallentamento e una
minor efficienza nella risposta.

Baylis e Driver:

Effetto flanker e somiglianza distrattori-target. La somiglianza per


colore dei distrattori e target aumenta l’interferenza (l’effetto flanker)
a causa del fenomeno del raggruppamento percettivo. L’attenzione in
questo caso è quindi object-based (si orienta verso unità percettive)
perché la posizione spaziale è invariata.

Alcuni studi guardano la selettività di alcune aree del cervello per stimoli specifici.
Nell’esperimento venivano presentate due categorie di stimoli spazialmente sovrapposte:
un edificio (area parettocampale dei posti, PPA), e un volto (area fusiforme delle facce,
FFA).
I soggetti dovevano prestare attenzione a uno dei due stimoli, o a quello in movimento.
L’attivazione per lo stimolo preferito (es. FFA per le facce) si modifica in funzione che
questo sia lo stimolo rilevante (attivazione maggiore) o meno (attivazione ridotta).

Anche questa è un’evidenza che l’attenzione seleziona basandosi sugli oggetti come unità
(anche se sovrapposti).

59
Egly, Driver e Rafal (1994), paradigma del suggerimento spaziale:
Tre prove:

Prove valide

Indizio segnala la posizione del target;

Prove invalide-stesso oggetto:

target non compare nella posizione dell’indizio ma


nello stesso oggetto;

Prove invalide-diverso oggetto

Il target appare nell’oggetto opposto al clue ma alla


stessa distanza spaziale.

Il compito era quello di riportare la presenza del rettangolo scuro.

• Prospettiva space-based:

I TR nelle prove invalide dovrebbero essere più lenti


poiché non c’è coincidenza spaziale indizio-target;

• Prospettiva object-based:

I TR dovrebbero essere più lenti solo nelle prove


invalide- diverso oggetto, perché non si verifica un
costo nello stesso oggetto.

Si è visto che entrambe le componenti hanno lo stesso peso nell’orientare


l’attenzione, che opera quindi in maniera flessibile.

Attenzione spaziale multi-sensoriale


Due ipotesi di come si integrano le varie modalità sensoriali nei meccanismi di selezione attentiva:
a. Ipotesi della selezione modalità-specifica:
La selezione delle informazioni è diversa per le varie modalità sensoriali
(indipendenza).

b. Ipotesi amodale:

La selezione si basa sulla rappresentazione integrata delle informazioni


provenienti dalle varie modalità sensoriali (un solo meccanismo
attentivo).

60
Evidenze dell’ipotesi amodale
Effetto “cocktail-party” multisensoriale:
Il compito è quello di seguire uno dei due messaggi acustici per un successivo
compito di rievocazione e in aggiunta è presentato un messaggio visivo
irrilevante per il compito (senza senso, uguale a quello acustico rilevante o a
quello irrilevante). La prestazione è più accurata se il messaggio visivo è
identico a quello acustico rilevante, e l’effetto è più forte se i messaggi
provengono dalla stessa posizione spaziale.
Questo effetto è spiegato dall’ipotesi amodale, che integra le varie informazioni.

Altro studio utilizzando il paradigma del suggerimento spaziale:


Venivano presentate informazioni sia nella modalità acustica che in quella
visiva, e il compito era quello di riportare la posizione di una sola delle due.
Prima del target appariva un indizio che segnalava la comparsa del tono, ma
era irrilevante per il segnale visivo (dissociazione di predittività).
La prestazione era tuttavia migliore per il segnale visivo quando compariva
nel lato atteso del segnale acustico.
I meccanismi attentivi, quindi, si creano un’unica rappresentazione che
considera tutte le informazioni delle diverse modalità sensoriali.

61
Capitolo 13)

LA RICERCA VISIVA

L’oggetto della nostra ricerca, il target (elemento rilevante), è sempre immerso in un ambiente
complesso in cui ci sono molti distrattori (irrilevanti).

L’attenzione è cruciale nelle ricerche visive. Il paradigma della ricerca visiva consiste nel
rilevare, localizzare e identificare un particolare stimolo (target) presentato insieme a un certo
numero di altri stimoli (distrattori). La VD misurata è la velocità di risposta (TR).

Due sono i fattori cruciali nella ricerca:


a. Numerosità dei distrattori (tanti o pochi);
b. Caratteristica del target (unica o uguale ai distrattori).
Quando il target possiede una caratteristica unica, la numerosità dei distrattori non dà effetto
(non influenza i TR): la ricerca è efficiente e viene definita ricerca di caratteristiche (features
search).

Se il target condivide caratteristiche coi distrattori, invece, la velocità di ricerca rallenta in


funzione della numerosità dei distrattori: la ricerca è inefficiente ed è definita ricerca di
congiunzioni di caratteristiche (conjunction search).

Ciò che caratterizza l’efficienza della ricerca è la pendenza della funzione (search slope): è
piatta per le ricerche efficieni (fino a 5ms), mentre è curva in quelle inefficienti (oltre 15ms) in
funzione della difficoltà.
La teoria dell’integrazione delle caratteristiche (feature integration theory, FIT, Treisman
1980) individua il ruolo dell’attenzione nei compiti di ricerca visiva. Nelle prime fasi di
analisi dell’informazione, il sistema visivo scompone l’oggetto in varie parti per analizzarle
separatamente (es. il colore viene analizzato dall’area V4, e il movimento dalla V5),
funzionando in parallelo.
Secondo il modello FIT, quindi, le caratteristiche fisiche elementari sono analizzate da moduli
in parallelo (mappe di caratteristiche). Successivamente interviene l’attenzione per
congiungere tutte le varie caratteristiche e percepire l’oggetto nella sua totalità (problema del
binding, legame).

L’attenzione opera in modo seriale (sequenziale):

Percezione oggetto Riconoscimento


Fuoco
dell’attenzione
3. Mappa “master” delle posizioni
spaziali (caratteristiche congiunte)

2. Mappe delle caratteristiche


forma colore
(feature maps) = ogni dimensione
viene analizzata separatamente

1. Scena visiva
62
(
c
o
n
f
i
g
u
r
a
z
i
o
n
e

d
i

s
t
i
m
o
l
i
)

63
Si distinguono quindi due processi:
b. Meccanismi paralleli:
Le mappe di caratteristiche (analizzatori precoci) analizzano
simultaneamente tutte le informazioni presenti, le varie caratteristiche
degli oggetti (processi pre-attentivi);

c. Meccanismi seriali:

Quando finisce il primo processo, interviene l’attenzione che funziona


in maniera seriale (no simultaneo). Una volta che tutte le caratteristiche
dell’oggetto sono state scomposte ed analizzate, l’attenzione le riunisce
in un percetto. L’analisi attentiva è però lenta, poiché procede elemento
per elemento.

Le mappe di caratteristiche funzionano come dei rilevatori di discontinuità, ossia segnalano se


esiste un elemento “unico”. Ogni elemento ha un livello locale di attivazione, in funzione di
quanto è diverso dagli altri.
Nelle ricerche di caratteristiche una mappa si attiva appena rileva una discontinuità, ossia un
elemento unico, il target: le ricerche sono quindi efficienti, e non dipendono dal numero dei
distrattori poiché rilevano il picco di attivazione.
Nelle ricerche di congiunzioni di caratteristiche non c’è un elemento unico con una sola
caratteristica. Il target condivide alcune caratteristiche coi distrattori, ed è per questo che non
viene rilevato dalle feature maps (no picchi diversi di attivazione). È necessario, in questo
caso, che intervenga l’attenzione, per analizzare serialmente elemento per elemento: congiunge
tutte le caratteristiche degli analizzatori precoci fino a trovare il target.
La ricerca è quindi inefficiente (a vari livelli di efficienza) perché è sequenziale, lenta, e
dipende dal numero dei distrattori. La ricerca dell’attenzione è a volte auto-terminante, ossia si
ferma una volta rilevato il target. Tuttavia, ci sono situazioni in cui il target è presente, altre in
cui è assente, quindi è necessario esplorare tutti gli elementi.
Il modello FIT spiega anche il fenomeno delle congiunzioni illusorie: se ci viene mostrata
un’informazione (es. numeri di colori diversi) molto velocemente e per poco tempo, i soggetti
sono bravi nel riportare numeri e colori separatamente, ma tendono a congiungerli in modo
errato. Questo perché senza l’attenzione le caratteristiche vengono elaborate in maniera
indipendente e non vengono congiunte. Ciò dimostra l’esistenza degli analizzatori precoci e
del successivo intervento dei meccanismi attentivi.

64
Il modello FIT, tuttavia, NON è in grado di spiegare alcuni fenomeni:
a. Esistono ricerche più facili o difficili anche per le ricerche di caratteristiche uniche.

A causa delle asimmetrie percettive, ad esempio, siamo più veloci nel rilevare una
linea obliqua in mezzo a tante verticali, che una verticale in mezzo a tante oblique,
nonostante entrambe possiedono una caratteristica unica: questo perché abbiamo una
preferenza per le configurazioni verticali. Esistono quindi gradi di efficienza
variabili anche per le feature search.

b. A volte le conjunction search danno funzioni piatte, tipiche delle feature search.
Studi più recenti hanno permesso di distinguere due tipi di feature maps:
 Top-down = i livelli di attivazione per una caratteristica sono determinati dalle
conoscenze a priori (endogene);
 Bottom-up = si basano sulle caratteristiche esogene.

c. La rilevazione di un elemento unico non è necessariamente pre-attentiva:

Ciò si può spiegare assumendo che tale elemento catturi l’attenzione e che quindi sia sempre
esplorato per primo.

La ricerca visiva di oggetti reali in scene reali è tipicamente basata su congiunzioni di caratteristiche
già note. Infatti spesso sono molto efficienti perché si basano su conoscenze pregresse.
La ricerca in questo caso è definita ricerca guidata (guided search):
Oltre alle feature maps bottom-up (attivate da caratteristiche salienti degli elementi), esistono
mappe top-down che elaborano caratteristiche (o congiunzioni delle stesse) di oggetti familiari o
noti. Queste conoscenze guidano la ricerca e ci permettono di trovare il target in modo efficiente.
Inoltre, quando ci viene chiesto di trovare un determinato elemento e successivamente ci viene
presentata una scena con svariati altri oggetti, troviamo subito l’elemento richiesto (situazioni
artificiose).
Nelle scene di vita quotidiana, gioca un ruolo importante il contesto e le conoscenze a priori sulla
probabilità di occorrenza di determinati oggetti con determinate caratteristiche in tale contesto (es.
troviamo molto facilmente un rubinetto in cucina anche se semi-nascosto).
Studi EEG:
Nei compiti di ricerca visiva, la risposta del cervello alla comparsa di un target in mezzo ai
distrattori, è lateralizzata, ossia c’è una differenza tra le aree controlaterali e quelle ipsilaterali
alla posizione del target. La risposta avviene intorno ai 200ms nelle aree posteriori (parietali e
inferoposteriori).

Evidenze reali: Caso dei radiologi e della rilevazione di un potenziale nodulo pericoloso.

I radiologi sono molto bravi nel rilevare un’anomalia in una radiografia presentata solo per
500ms, e la loro prestazione migliora con il training.

65
Uno studio su agenti della sicurezza in aeroporto ha evidenziato il fenomeno dell’effetto
prevalenza:
Se viene presentato un target con bassa probabilità di occorrenza, la probabilità di
rilevarlo successivamente si abbassa.
Nell’esperimento il compito era quello di rilevare una categoria di oggetti con bassa
(1%) o alta (50%) probabilità.
Nel primo caso la probabilità di NON trovare l’elemento era maggiore.
Tale effetto si può comunque modificare attraverso il training: se da bassa, la
probabilità diventa di colpo alta e poi si riabbassa, gli oggetti vengono rilevati di più.
Ciò che cambia è infatti il criterio (teoria della detezione del segnale), da conservativo
a liberale (anche se non si è sicuri, si tende a dire sì).

66
Capitolo 14)

ATTENZIONE E NUMEROSITA’

Tipicamente il sistema attentivo deve tener traccia, memorizzare e identificare più oggetti
rilevanti simultaneamente. Ma quante cose l’attenzione può selezionare simultaneamente?
Il cervello/mente è sensibile alle numerosità degli oggetti presentati nella scena.
Ipotesi del senso per il numero:
Esistono meccanismi deputati all’elaborazione della numerosità degli oggetti
perché la numerosità è una proprietà di base (caratteristica primaria)
dell’ambiente. Il senso per il numero è l’abilità di percepire, manipolare e
comprendere le numerosità.
Evidenze sperimentali su adulti:
Effetto illusorio delle immagini postume (aftereffects):
I neuroni che codificano per le caratteristiche di base di un elemento (anche
per le numerosità) sono soggetti ad adattamento, e smettono di rispondere.
Sottoposti poi a una configurazione neutra rispondono in maniera opposta.
Nell’esperimento, nella fase di adattamento, il soggetto veniva abituato a una
configurazione di 400 pallini (adaptor). Lo stimolo test presentava un numero
variabile di pallini, e quello standard (elemento probe) ne aveva 30 (punto di
eguaglianza soggettivo nella funzione psicometrica).
Il compito del soggetto era quello di identificare se lo SS aveva più o meno
pallini dello ST. Nella situazione di controllo senza adattamento, i soggetti
erano bravi nel compito, e il PES era esattamente a 30. A seguito di un
adattamento a tanti pallini, invece, il PES tende a spostarsi vs destra, perché si
sottostima: si ha bisogno di 100 pallini del test per dire che sono uguali ai 30
del probe. Questa è una prima evidenza del fatto che il sistema percettivo è
sensibile alle numerosità, le quali vengono codificate come le altre
caratteristiche primarie di un elemento.
Evidenze con attivazioni neurali, paradigma di abituazione e adattamento:
Lo stimolo standard (adattamento) presenta 16 pallini (o 32) che possono essere
grandi, piccoli, sparsi, raggruppati. Lo stimolo deviante (raro), per cui i soggetti
devono dire che è cambiato qualcosa, varia da 8 a 32 pallini.
Nel mentre si registra l’attività dell’area solco intraparietale superiore, che risponde in
maniera preferenziale alle numerosità e in maniera ordinata alle variazioni. Si è visto
che l’attivazione diminuisce se viene presentata al soggetto la stessa numerosità alla
quale si era abituato, e aumenta tanto più le numerosità sono diverse.
Il solco intraparietale superiore (IPS) presenta un’organizzazione spazio-topica
(distribuzione spaziale) delle numerosità. Neuroni specifici rispondono in maniera
preferenziale in funzione della numerosità presentata, e tanto più le numerosità sono
piccole, tanto più occupano porzioni di IPS grandi (pseudo-forma di magnificazione
67
corticale).

Evidenze sperimentali su bambini:


Paradigma del preferential looking:

Tanto più qualcosa è nuovo, tanto più la guardano.


Nell’esperimento il bambino veniva adattato a una certa numerosità; lo ST
poteva avere la stessa o una diversa (il doppio o la metà) numerosità. Si è visto
che i bambini di 6 mesi smettono di guardare per la stessa numerosità, mentre
per quelle diverse tornano a guardare, poiché le hanno percepite come diverse.
I bambini sanno quindi discriminare le numerosità, ma solo per rapporti 1:2
(es. 8-16): tale sensibilità non è quindi del tutto sviluppata a 6 mesi.

Paradigma di condizionamento-familiarizzazione:

Tanto più riconoscono qualcosa di familiare, tanto più la guardano.


I neonati di 12-72 ore venivano familiarizzati con dei suoni diversi aventi lo
stesso numero di sillabe, e venivano successivamente testati con immagini
visive, che potevano presentare lo stesso o un diverso numero di elementi (es.
3 sillabe nel suono e 3 o 8 elementi). I bambini tendono a guardare di più le
numerosità familiari ma solo se il rapporto è grande, es 1:3. Ci sono quindi
forme di discriminazione delle numerosità multisensoriali molto precoci, che
sembrano basarsi su rappresentazioni amodali (integrano le diverse
informazioni sensoriali).

Evidenze sperimentali su animali:

Scimmie allo stato libero:

Lo sperimentatore inseriva e toglieva della frutta da alcune scatole, oppure la


inseriva e toglieva due elementi, oppure introduceva due elementi, li toglieva e
ne rimetteva dentro solo uno di nascosto. In questa ultima situazione, il tempo
di ricerca della scimmia all’interno della scatola è nettamente maggiore,
perché si ricordava che i pezzi di cibo erano due. Ciò evidenzia che anche le
scimmie sanno discriminare piccole numerosità.

Studi di neurofisiologia, con elettrodi nel cervello per vedere come


rispondono le diverse aree alla stimolazione:
Guardando le attivazioni dell’area IPS e della corteccia pre-frontale, si è visto
che le risposte dei neuroni sono selettive per le numerosità presentate.

Tecnica di imprinting su pulcini appena nati:

Se l’oggetto di imprinting è formato da due elementi, si nota che i pulcini


sanno discriminare tra due e tre.

68
Conclusioni:
a. Esiste un senso per le numerosità, sia a livello comportamentale che neurale
(elaborazione differenziale), con meccanismi simili a quelli per le caratteristiche
di base.

b. Sembra essere innato o acquisito precocemente, pur richiedendo tuttavia ulteriori


processi di maturazione.

c. È universale o comunque condiviso con molti animali.

Attenzione e percezione esatta di numerosità


Le computazioni possono essere di due tipi:
 Approssimate: basate su meccanismi di stima.

 Esatte :basate sulla necessità di individuare/isolare singoli elementi nella scena. Ciò
è tanto più faticoso, tanto più elementi sono presenti.
Effetto del subitizing:
Quando si ha la necessità di individuare in maniera esatta la numerosità degli elementi
della scena, si verifica un limite nell’abilità di estrarli. Tale abilità è infatti efficiente,
veloce e senza errori, solo per 3-4 elementi massimo contemporaneamente. Questo
effetto si basa sul concetto di individuazione, ossia l’abilità di rappresentare che un
elemento di un gruppo ha caratteristiche specifiche ed è distinto dagli altri.
Rappresentiamo in maniera isolata ciò che ci serve da quello che non ci serve, e
all’interno di ciò, separiamo i singoli elementi per enumerarli (individuazione a più
stadi).
I primi studi definivano il subitizing e l’individuazione come fenomeni pre-attentivi.
Presentando gli elementi da enumerare con più distrattori, si possono verificare due
situazioni:
a. Se i target possiedono una caratteristica unica, il numero dei distrattori non
influenza il compito di enumerazione tra uno e quattro elementi (funzione
quasi piatta) ricerca efficiente e pre-attentiva (per la FIT). Tuttavia non è
detto che non sia coinvolta l’attenzione.

b. Se i target condividono almeno una caratteristica coi distrattori


(congiunzione di caratteristiche), l’effetto del subitizing scompare
(pendenza della funzione aumenta): il numero dei distrattori influenza il
compito (1-4 elementi) porta ad una ricerca inefficiente e che richiede
attenzione (FIT).
Ricerche più recenti sottolineano il legame subitizing-attenzione.

69
Evidenze sperimentali:
Paradigma di doppio compito:

Legato al carico del compito. I soggetti devono rilevare se nella


stimolazione centrale è presente una determinata caratteristica
(carico basso) o una congiunzione colore-spazio (carico alto), e in
un compito secondario devono enumerare gli elementi. Secondo
l’ipotesi del carico percettivo, nei compiti difficili utilizziamo tutte
le risorse attentive disponibili per il target, mentre nei compiti facili ne
utilizziamo alcune anche per i distrattori. Se il subitizing non fosse
legato all’attenzione, il limite di enumerazione dovrebbe esserci
sempre, a prescindere dal fatto che il compito primario abbia basso o
alto carico. I risultati furono però diversi: l’effetto del subitizing
(efficiente enumerazione solo per 1-3 elementi) è presente solo per il
compito singolo di enumerazione, mentre in quello doppio (soprattutto
per alto carico) l’effetto sparisce (c’è meno accuratezza nelle risposte).
Le variazioni di attenzione, quindi, modulano l’elaborazione di
numerosità.

Studi EEG (Mazza e Caramazza, 2011):

La risposta neurale aumenta in ampiezza con l’aumento delle


numerosità target. Fino a 2/3 elementi è in linea col fenomeno del
subitizing, oltre 3/4 si ferma (asintoto della risposta) e l’efficienza di
elaborazione si perde.
Queste sono evidenze che i meccanismi di selezione dell’informazione (attentivi) sono alla
base del fenomeno del subitizing: l’attenzione seleziona simultaneamente un massimo di 3-4
elementi.

70
Capitolo 15)

ATTENZIONE DIVISA E PROCESSI AUTOMATICI/CONTROLLATI

Attenzione divisa:

Quando ci sono due o più informazioni rilevanti, che richiedono un’elaborazione


simultanea.

Misura di interferenza (nelle ricerche):

Costo che si verifica nell’esecuzione di un compito. In due compiti diversi, è il


costo che ci permette di inferire se i due compiti condividono o meno una
risorsa in comune: tanto più la condividono, tanto più è l’interferenza.
Evidenze sperimentali, Sperling e Melchner (1978):
Il compito è quello di rilevare la presenza di un numero nella configurazione
più grande, o in quella più piccola o in entrambe. L’interferenza si verifica
solo in quest’ultima situazione.
In un esperimento di simulazione di guida, il compito era quello di rilevare la
presenza di un semaforo mentre si sta conversando al cellulare. Parlare al
telefono, sia tendendolo in mano che con gli auricolari, crea sempre
interferenza (più della radio).

Dimensioni fondamentali dell’attenzione divisa:


a. SOMIGLIANZA DEL COMPITO:

Legata alla modalità sensoriale degli stimoli o al tipo di risposta.

Modalità sensoriale degli stimoli:

La prestazione in diversi compiti è peggiore se gli stimoli


provengono dalla stessa modalità sensoriale (più
interferenza).

Evidenze, Treisman e Davies (1973):


I soggetti dovevano rilevare una sequenza di lettere e
un nome di un animale, presentati in modalità visiva
o acustica. Se la modalità era la stessa, la prestazione
peggiorava. Questa è un’evidenza del fatto che
esistono meccanismi attentivi separati per le diverse
modalità (non sempre vero).

Risposta richiesta:

La prestazione è peggiore quando gli effettori della risposta


71
sono della stessa modalità (es. con le mani).

Evidenze, McLeod (1977):


I soggetti dovevano seguire stimoli in movimento e
identificare un suono; se la risposta a entrambi era
ad esempio manuale, il costo era maggiore e la
prestazione decadeva.
b. DIFFICOLTÀ DEL COMPITO:

La complessità degli stimoli provoca maggiore interferenza.

Evidenze, Sullivan (1976):

Compito di shadowing (ripetere un messaggio acustico).


Venivano presentati due messaggi rilevanti alle due
orecchie: i soggetti dovevano ripetere il primo e
riportare parole chiave del secondo. Tanto più il primo
messaggio era complesso, tanto minore era la
prestazione per il secondo.
Una prima ipotesi che spiega come possa funzionare l’attenzione divisa è il concetto di
risorse multiple:
Ogni modalità sensoriale possiede risorse distinte e meccanismi di elaborazione
indipendenti. Se, infatti, i compiti fanno riferimento alla stessa modalità
sensoriale o allo stesso tipo di risposta, c’è maggiore interferenza poiché il
sistema di risorse è lo stesso.
La maggior parte delle ricerche fa riferimento a un’altra ipotesi:
La teoria della risorsa centrale:
Esiste un solo elaboratore centrale con una quantità limitata di
risorse di analisi, che deve decidere dove dedicare tali risorse,
in funzione di almeno due aspetti:
a. Carico dei compiti:
Se il carico è basso, è possibile eseguire i due
compiti senza interferenza; se è alto, invece, i
due compiti eccedono la quantità di risorse
disponibili causando maggiore interferenza.

b. Arousal:

Livello di attivazione. Un alto stato di


attivazione (stato di eccitazione), può
aumentare lievemente la quantità di risorse da
allocare simultaneamente nell’esecuzione dei
compiti; una bassa attivazione, al contrario,
non aumenta le risorse e causa più
interferenza nei due compiti.
Evidenze sperimentali, Bourke et al. (1996):

72
I soggetti dovevano svolgere quattro compiti
diversi in termini di difficoltà: il compito più
difficile creava maggior interferenza per
l’esecuzione degli altri tre (che peggioravano).
Ciò è evidenza del fatto che esiste un unico
elaboratore centrale con risorse di analisi
limitate che vengono spostate al compito più
difficile.

Il momento in cui si crea interferenza viene


definito periodo di refrattarietà psicologica
(PRP).
È un paradigma che ipotizza la selezione
attentiva come tardiva (negli stadi di selezione
della risposta), e consiste nel rallentamento di
un’azione verso uno stimolo, quando questo è
presentato subito dopo un primo stimolo per cui
è richiesto di agire. È tipicamente associato ai
paradigmi in cui vengono presentati due target
in successione, che richiedono due risposte
diverse. Tanto più l’intervallo tra i due è breve,
tanto più il compito al secondo stimolo rallenta
(TR più lenti). Lo stadio di selezione della
risposta viene sempre eseguito in maniera
seriale: se viene presentato un secondo stimolo
mentre sta avvenendo la risposta ad uno stimolo
precedente, il sistema cognitivo mette in attesa
il secondo fino a che non si conclude la risposta
al primo.

c. Pratica:
Migliora la prestazione a compiti che
inizialmente sono difficilmente eseguibili
insieme (es. conversare alla guida). Uno dei
due compiti diviene automatico e non
richiede più risorse, o perché si formano
nuove strategie per minimizzare
l’interferenza, o perché la quantità di risorse
richieste da un compito si riduce
progressivamente.

Evidenze, Spelke et al. (1976):

I soggetti dovevano scrivere sotto dettatura e


allo stesso tempo leggere. Dopo mesi di
pratica i due compiti vengono eseguiti
facilmente insieme.

73
Processi automatici vs processi controllati
Un processo diviene automatico attraverso la pratica, e si distingue da quello
controllato per tre dimensioni:

Velocità (sono più rapidi),

Quantità di risorse cognitive (NON richiedono risorse)

Resistenza alla soppressione (Non si possono interrompere (balistici) ).

Un caso di processo automatico è l’orientamento esogeno:

Elementi che presentano discontinuità fisiche, infatti, sono in grado di


orientare l’attenzione a prescindere dalla volontà del soggetto.

Evidenze:
 Cue periferico nel paradigma del suggerimento spaziale:
Elemento saliente che cattura l’attenzione (effetto di
validità).

 Feature search nei compiti di ricerca visiva:

Il target possiede una caratteristica unica fisicamente


saliente.

 Ruolo dei segnali transienti nel fenomeno del “change blindness”:

Variazione improvvisa del segnale fisico.

74
Capitolo 16)

ATTENZIONE E CONSAPEVOLEZZA

Consapevolezza:
Insieme di meccanismi che permette di riportare in maniera manifesta che stiamo
percependo qualcosa.
La selezione attentiva è collegata intrinsecamente a due processi/aspetti:
 Effetti positivi (benefici) per l’informazione selezionata: più accuratezza e/o velocità.

 Effetti negativi (costi) per ciò che non viene selezionato: crea interferenza.

Esistono alcuni contesti in cui la mancata selezione attentiva si dimostra in maniera eclatante:
Sono situazioni in cui si verificano fenomeni di cecità funzionale o virtuale per un evento
visivo in condizioni di stimolazione sopra soglia e di normale funzionamento delle aree
sensoriali deputate alla visione (area V1).
a. Contesto neuropsicologico:
Patologie legate alla mancanza di attenzione = neglect, estinzione,
simultanagnosia.
b. Contesto sperimentale su soggetti sani:
inattentional blindness, attentional blink, change blindness.

NEGLECT (negligenza spaziale unilaterale)


È un deficit di attenzione che solitamente si verifica in seguito a lesioni unilaterali nel
lobo parietale inferiore destro (può coinvolgere tuttavia anche altre aree, come le zone
frontali), a seguito delle quali i pazienti non sono più in grado di elaborare (e non ne
sono nemmeno consapevoli) tutto ciò che si trova nella parte controlesionale, ossia la
sinistra. La causa principale del neglect è un ictus che solitamente si verifica a destra, e
può essere accompagnato da emiplegia, ossia incapacità di muovere la parte sinistra
del corpo.
75
a. Compiti di bisezione di linee:
Indicare la metà delle linee. I neglect la segnano a destra.

b. Compiti di barrage:

Barrare tutte le linee che si vedono. I neglect barrano solo le linee


del campo visivo di destra.

c. Copia di modelli:

Ricopiano le figure tralasciando la parte sinistra.

Nei pazienti funziona bene la componente volontaria (endogena) dell’attenzione, ma


non quella esogena:
Se gli viene detto di prestare attenzione a sinistra, loro vedono ciò che prima non
vedevano.
In effetti, le aree parietali sono importanti per i meccanismi attentivi e in particolare
per quelli legati ad orientamenti stimulus-driven, ossia esogeni basati sulle
caratteristiche fisiche degli stimoli, quelli che mancano ai neglect.
La componente endogena si trova nella via dorsale, mentre quella esogena
(deficitaria) nella via ventrale. Ci sono due ipotesi sul perché solitamente il neglect
segue a lesioni nel lobo parietale destro (e meno nel sinistro):

a. L’emisfero destro controlla sia lo spazio controlaterale che quello


ipsilaterale, mentre quello sinistro solo quello controlaterale (destro).
Se si verifica una lesione a sinistra, quindi, l’emisfero destro, che è
rimasto sano, riesce a controllare e vedere sia lo spazio destro che
quello sinistro; se la lesione, invece, avviene nel destro, la parte sinistra
non viene più percepita, perché l’emisfero sinistro sano controlla solo
quella destra.

b. Non c’è un’asimmetria nei due emisferi, ma un’ipoattivazione in quello


leso e una iperattivazione in quello sano. Quando sono entrambi sani,
essi competono per le risorse limitate e si inibiscono a vicenda.
Una lesione in un emisfero, invece, provoca ipoattivazione dello stesso,
ma anche iperattivazione dell’altro, a causa della mancanza di
inibizioni reciproche. La maggior frequenza del neglect per il lato
sinistro, secondo questa ipotesi, è dovuta al fatto che l’iperattivazione
generata dall’emisfero sinistro (per lo spazio destro) è più forte.

Sono stati fatti studi di stimolazione cerebrale, creando un’interferenza e una


ipoattivazione dell’emisfero sano (sx). Disattivandolo temporaneamente con TMS, si
verifica una diminuzione del neglect e quindi una migliore elaborazione dello spazio sx
(si riduce il bias vs destra).
Il neglect può essere basato su spazio o su oggetti:
a. BASATO SULLO SPAZIO
76
Indagato attraverso il paradigma del suggerimento spaziale.
Il costo per le prove invalide controlaterali (cue nell’emisfero
ipsilaterale, e target in quello controlaterale) è maggiore di quello delle
prove invalide ipsilaterali, e ciò fa pensare che il deficit sia legato
all’operazione di disancoraggio dei meccanismi attentivi. I meccanismi
di orientamento dell’attenzione, quindi, funzionano anche nei neglect
sulla base delle coordinate spaziali, pur essendo il disancoraggio più
danneggiato.

b. BASATO SUGLI OGGETTI:

In compiti di confronto contorni, tipicamente i soggetti sani sono più


bravi quando il margine è visto come appartenente alla figura
piuttosto che allo sfondo. I pazienti con neglect hanno prestazioni
migliori quando il margine è nel campo visivo di sx, ma alla dx
dell’oggetto, che il contrario. L’attenzione non si basa quindi solo su
coordinate spaziali ma anche oggettuali.
Evidenze: ipotesi del carico percettivo:
Effetto flanker
I soggetti dovevano discriminare una lettera centrale con un
distrattore periferico da ignorare, che poteva avere basso
(pallino) o alto carico (altra lettera) percettivo. Si è visto che se
il distrattore è incompatibile con la risposta del target, il costo
è elevato: l’interferenza si verifica solo in situazioni di basso
carico. Anche nei neglect, quindi, l’elaborazione dei distrattori
dipende dalla quantità di risorse disponibili.

Pseudo-neglect:
fenomeno simile nei soggetti sani, ossia una forma di asimmetria percettiva che
porta ad avere una preferenza per lo spazio visivo di sx.

ESTINZIONE

È la sindrome che segue la fase acuta del neglect, l’ultimo stadio. I pazienti con
estinzione non hanno problemi a elaborare stimoli presentati singolarmente (sia a dx
che sx), ma quando vengono presentati simultaneamente (doppia stimolazione), gli
stimoli di sx vengono estinti (come nel neglect). Questa sindrome spiega come i
meccanismi attentivi siano basati su coordinate spaziali.
Evidenze di estinzione basata sugli oggetti, Mattingley et al. (1997)
Il compito è rilevare la presenza di una barra, presentata in un caso come dietro
77
un parallelepipedo, in un altro come spezzata in due elementi singoli. I soggetti
hanno migliori prestazioni nel primo caso, poiché considerano la barra come un
unico elemento, a differenza del secondo caso (dove estinguono la parte sx). È
un’evidenza che l’attenzione può essere basata sugli oggetti e non solo sullo
spazio.
Estinzione multisensoriale
Il neglect e l’estinzione possono presentarsi in diverse modalità
sensoriali. I meccanismi di selezione attentiva seguono regole simili
per ogni modalità. Ci possono essere pazienti con estinzione visuo-
tattili: se gli stimoli delle due diverse modalità sono presentati
assieme, i pazienti estinguono prevalentemente quello di sx e quello
tattile. Ciò è evidenza del fatto che le diverse modalità sensoriali
interagiscono nella costruzione di un percetto unico.

Pseudo-estinzione tattile in soggetti sani:


Il compito è quello di riportare il lato di stimolazione tattile. Quando viene
presentato sia a dx che sx la prestazione decade: l’estinzione, tuttavia, NON è
per uno specifico lato. La pseudo-estinzione può essere anche crossmodale, in
situazioni di stimoli uditivi-visivi.
Evidenze, effetto Colavita (1974):
Vengono presentati stimoli visivi e acustici e il soggetto deve riportare
cosa sta percependo. In situazione di stimolazione doppia l’efficienza è
minore, e spesso viene riportata più volte la luce del suono, poiché la
modalità visiva guida la rappresentazione del percetto (nella maggior
parte dei casi).

SIMULTANAGNOSIA
È uno dei sintomi della sindrome di Balint, che presenta tre deficit complessivi:
a. Atassia ottica:

Impossibilità di raggiungere o indicare un oggetto nello spazio sulla base di


informazioni visive (via dorsale).

b. Aprassia oculomotoria:

Fissità dello sguardo, ossia incapacità di dirigere lo sguardo vs oggetti


nello spazio.

c. Simultanagnosia:

Incapacità di identificare oggetti visivi se presentati più di uno alla volta.

Segue solitamente a una lesione bilaterale con coinvolgimento della corteccia


parietale posteriore e occipitale laterale. I pazienti non hanno difficoltà nel
riconoscere oggetti se presentati sequenzialmente uno dietro l’altro, ma non li sanno

78
identificare se sovrapposti (ne riportano uno alla volta).
Evidenze comportamentali:
In compiti in cui viene chiesto quanti colori vedono, i pazienti li sanno
riportare solo se sono uniti tra di loro in modo misto (colori misti). Se sono
posizionati in modo casuale o uniti tra loro in modo singolo non li
riconoscono.

In compiti in cui viene chiesto di dire quale tra due barre è la più alta, i
pazienti riescono nel compito solo se tali barre sono unite tra loro.
I pazienti con simultanagnosia presentano anch’essi il fenomeno delle
congiunzioni illusorie, ma anche nel caso in cui gli oggetti rimangono visibili,
perché ciò che manca sono i meccanismi che uniscono l’informazione. Permane
anche l’effetto del subitizing nei compiti di enumerazione, ma il limite si
abbassa a due.
INATTENTIONAL BLINDNESS
È la mancata percezione di alcuni stimoli (spesso salienti), che si verifica in soggetti
sani, dovuta al fatto che la nostra attenzione è orientata su altro. Un esperimento
famoso con cui è stato dimostrato è l’esperimento del Gorilla: mentre due squadre di
ragazzi vestiti di nero o di bianco si scambiano due palloni tra di loro, viene chiesto di
contare quanti passaggi fanno i ragazzi di bianco. Nel mentre passa un gorilla (nero) e,
poiché siamo concentrati sui “bianchi”, non vediamo il gorilla, e perdiamo
l’informazione pur essendo saliente.
CHANGE BLINDNESS
È l’incapacità di percepire consapevolmente un cambiamento (scomparsa/sostituzione
di un elemento, cambiamento colore, ecc.) nella scena che si sta osservando, quando
contemporaneamente al cambiamento sono aggiunti degli elementi di disturbo. Tali
segnali di disturbo (es. disallineamento della cornice), togliendo tutto ciò che è legato
alla componente esogena, impediscono all’attenzione di allocarsi nella zona del
cambiamento, il quale viene percepito con difficoltà o non percepito affatto.
Ci sono due aspetti cruciali di come percepiamo un cambiamento in situazioni
senza eventi di disturbo:
a. Priorità degli elementi:
L’allocazione dell’attenzione nel campo visivo è guidata
dall’interazione dei fattori bottom-up e top-down:
 Orientamenti top-down (volontari, endogeni):

La selezione attentiva è guidata da conoscenze già acquisite


(aspettative, istruzioni, ecc.).
Il controllo dell’attenzione è volontario.

 Orientamenti bottom-up (automatici, esogeni):

La selezione attentiva è guidata da elementi unici, secondo il


concetto di salienza percettiva. Il controllo dell’attenzione è
quindi automatico.

79
Si viene così a creare una lista di priorità, poiché ci sono elementi
con maggior livelli di attivazione (primi nella lista, ad alta
priorità), che vengono percepiti consapevolmente ed
accuratamente, e altri con minor livello (ultimi).

b. Ruolo dei transienti visivi (segnali fisici legati al cambiamento):

Sono forme di discontinuità fisica improvvisa che creano una risposta


neurale transiente, che fanno sì che l’attenzione venga diretta nella
zona del cambiamento improvviso, e venga così rilevato.

Il cambiamento di un oggetto ad alta priorità viene esplorato per primo


dall’attenzione e, comparando la scena con ciò che si aveva in
memoria, fa sì che il cambiamento venga rilevato.

Se a cambiare è un oggetto a bassa priorità, è più difficile identificarlo.


Il transiente orienta quindi l’attenzione nella zona del cambiamento, che viene
rilevato. Gli eventi di disturbo, tuttavia, attenuano tale transiente, e fanno in
modo che l’attenzione non venga diretta nella zona della modifica e non la
rilevi.
Nella change blindness NON si rileva subito il cambiamento se sono
presenti eventi di disturbo, poiché attenuano il transiente visivo, a
meno che non si stabiliscano delle priorità. L’osservatore è istruito a
cercare il cambiamento, e a tal fine esplora in modo seriale la scena
(vincolato da fattori bottom-up e top-down e dalla capacità di
mantenimento dell’informazione in memoria). Senza attenzione,
inoltre, non c’è percezione consapevole del cambiamento.
Ci possono essere diversi modi per produrre change blindness,
attenuando o mascherando il transiente visivo, e impedendo la
corretta allocazione dell’attenzione: flicker (accensione e
spegnimento dell’immagine, grazie all’interposizione di uno schermo
vuoto (blank) tra l’immagine originale e quella modificata);
cambiamenti graduali; tagli di film (cambiamenti che avvengono
quando la telecamera non inquadra la zona di interesse);
ammiccamenti (dell’occhio); mudsplashes; saccade-contingent
(movimento frequente dell’occhio per portare la zona d’interesse a
coincidere con la fovea (saccadico)).
Si distinguono due componenti legate alla CB:
80
Distrazione : Ossia la presenza di un segnale fisico di disturbo
Consolidamento : Poiché dobbiamo consolidare il
cambiamento per metterlo in memoria e rilevarlo in seguito,
tramite la comparazione tra elementi.
Ciò è possibile solo per gli elementi selezionati e consolidati nella
memoria a breve termine, che è a capacità limitata di 4-5 elementi.

Evidenze sperimentali:

• Rensink et al. (1997), ruolo dell’orientamento endogeno


dell’attenzione.
La velocità di rilevazione del cambiamento di oggetti
centrali è maggiore rispetto a quelli periferici/marginali
(in situazioni di assenza di indizio). Veniva utilizzata la
tecnica del flicker con cambiamenti in oggetti centrali o
marginali, e con orientamento endogeno dell’attenzione
o meno (indizi verbali prima delle prove). Si è visto che
l’indizio riduce la CB, a prescindere dal grado di
interesse dell’oggetto.

• Scholl (2000), ruolo dell’orientamento esogeno.

Un elemento saliente compariva nella scena appena


prima del cambiamento, ma non dava indizi sulla
sua posizione. Se però il cambiamento era vicino
all’elemento saliente era più facile individuarlo.
Anche gli indizi esogeni riducono la CB.

• Mazza et al. (2005), l’attenzione è orientata consapevolmente


vs oggetti del foreground

Il cambiamento poteva avvenire in foreground,


background, o non avvenire, e le prove potevano essere
di default (senza indizi), divisa (istruzione di dov’è il
cambiamento) e focalizzata (o fore- o background). Dai
risultati emerse che la rilevazione corretta del
cambiamento avveniva solo per gli elementi in primo
piano, mentre per quelli dello sfondo serviva un indizio.
81
Evidenze di attivazione neurale, studi fMRI

I soggetti dovevano rilevare una specifica lettera e dei


cambiamenti negli stimoli laterali (volti e luoghi). Quando il
cambiamento avveniva in un volto, le attivazioni cerebrali
erano simili a quelle dei circuiti attentivi.
La sua rilevazione aumentava l’attività della corteccia
parietale e frontale e le regioni delle aree visive extra-striate
specifiche per le categorie di elementi presentati (e importanti
per la consapevolezza).

Evidenze elettrofisiologiche, Mazza et al. (2005)


I soggetti dovevano rilevare un cambiamento in una delle facce
laterali. In corrispondenza della rilevazione del cambiamento si
nota una maggiore attivazione (200-300ms) delle aree
posteriori controlaterali, rispetto a quelle ipsilaterali
(attivazione differenziale). Ciò è un’evidenza del ruolo
dell’attenzione nella percezione consapevole del cambiamento.
ATTENTIONAL BLINK

È il fenomeno della selezione attentiva di elementi rilevanti presentati sequenzialmente


nel tempo (dimensione temporale). Il paradigma utilizzato viene chiamato rapid serial
visual presentation, ossia presentazione visiva seriale rapida (RSVP), e consiste nella
presentazione di una serie di elementi (es. numeri e lettere) nella medesima posizione
spaziale, in successione e per breve periodo. Quando il compito richiede di individuare
un solo elemento target, i soggetti sono bravi nell’eseguirlo (anche con presentazione
veloce).
Per studiare l’attentional blink viene utilizzato l’RSVP modificato: i target sono due e
in successione (compito più difficile). Se l’intervallo tra la presentazione dei due
target è tra i 200 e i 500ms, i soggetti non riescono a identificare consapevolmente il
secondo target (cecità funzionale).
L’ammiccamento attentivo è quindi l’incapacità di identificare consapevolmente
uno stimolo, se presentato subito dopo (tra 200 e 500ms) un primo stimolo da
identificare.

Evidenze:

82
Soggetti nella situazione di controllo dovevano riportare solo il secondo target,
mentre in quella sperimentale anche il primo. Ciò che cambiava tra le varie
prove era l’intervallo temporale tra la presentazione di T1 e T2, e la VD che
veniva misurata era l’accuratezza della risposta (soprattutto per T2). Si è visto
che gli individui non sanno identificare consapevolmente il secondo target se
presentato in una finestra temporale di circa 200-500ms dopo il primo.

Ci sono due interpretazioni principali dell’AB, che fanno riferimento ai due


modi di concepire la selezione attentiva, ossia precoce (ai primi stadi di
elaborazione dell’informazione) o tardiva (agli ultimi stadi di risposta):

a. Interpretazione del cancello attentivo (selezione precoce)


Quando compare il primo stimolo si verifica un meccanismo di
potenziamento per l’informazione legata ad esso (che è
rilevante e deve essere isolata dai distrattori): il “cancello
attentivo” si apre per T1 e si chiude subito dopo (T2 non viene
elaborato). Quando finisce l’elaborazione di T1, il cancello si
riapre e viene quindi elaborato anche T2. La ridotta
elaborazione iniziale di T2 è dovuta al fatto che l’attenzione
filtra gli stimoli successivi a T1 per elaborarlo in maniera
approfondita.

b. Interpretazione del consolidamento(selezione tardiva):

L’elaborazione avviene in parallelo per tutti gli stimoli, fino


allo stadio del consolidamento, che funziona in maniera
seriale, e in cui c’è la piena identificazione dell’elemento.
Finché questo stadio non si conclude, non possono essere
consolidate altre informazioni. Se T2 compare subito dopo T1
viene elaborato, ma non riesce ad oltrepassare lo stadio del
consolidamento e quindi l’identificazione.

Tuttavia, se T2 compare appena dopo T1, entro 100ms,


l’identificazione è buona.
Questo fenomeno è chiamato del lag-one sparing, ossia
risparmio della prima posizione, in cui non si verifica l’AB.
Secondo l’ipotesi del cancello attentivo questo si verifica perché
il cancello non si è ancora chiuso, e quindi i meccanismi di

83
selezione non riescono a escludere tutto ciò che non è T1.
Secondo l’ipotesi del consolidamento, invece, ciò si verifica a
causa del fenomeno del raggruppamento percettivo: T2 viene
considerato come parte di un unico oggetto con T1, e viene
quindi elaborato.

Capitolo 16)

ELABORAZIONE IN ASSENZA DI CONSAPEVOLEZZA

Elaborazione non consapevole:

Alcuni stimoli, anche se non elaborati in maniera attentiva e quindi non riportati
consapevolmente, sono comunque elaborati.

Fenomeni sia in soggetti sani che in pazienti con deficit attentivi dimostrano che può
esserci elaborazione di informazioni anche senza attenzione e consapevolezza (come
la maggior parte delle elaborazioni del nostro cervello).

Esempi di patologie attentive, a cui consegue assenza di consapevolezza per


una categoria di elementi o per una porzione dello spazio:

1) Ci sono evidenze che anche i neglect elaborano implicitamente informazioni del


lato di cui non riportano consapevolezza:

In un esperimento venivano presentate due immagini di due case, di cui una


presentava del fuoco nel lato neglectto, ossia il sinistro. I pazienti le
descrivevano come uguali e, se venivano forzati, la maggior parte di loro
diceva di voler preferire vivere nella casa senza fiamme. Questa è
un’evidenza che c’è elaborazione anche del lato sx a livello non consapevole.
84
Nei paradigmi di priming vengono presentate due immagini, e il compito è
quello di discriminare ciò che si vede nel lato dx. L’informazione del lato sx
(non consapevole) poteva poi essere uguale, associata semanticamente o non
correlata con quella del lato dx. Anche i neglect mostrano effetti legati
all’associazione semantica tra gli oggetti, infatti sono più lenti nel rispondere
quando nel lato sx è presentata l’immagine non correlata.

2) Nei pazienti con estinzione (remissione del neglect)

Lo stimolo di sx viene estinto solo se presentato simultaneamente con uno di dx.


Presentando ai pazienti due ovali, uno nel lato dx (vuoto) e uno in quello sx
(con due occhi e una bocca così da sembrare un volto), e guardando le
attivazioni neurali (fMRI), si è visto che, pur essendo il volto estinto, le aree
specifiche per i volti si attivano.

3) I pazienti con blindsight:

A seguito di lesioni in V1, essi non sono consapevoli di vedere ma,


se forzati, mostrano il fenomeno della visione cieca (forma
rudimentale di visione), ossia elaborano stimoli visivi presentati
nelle zone cieche del campo visivo.

Evidenze coi paradigmi di suggerimento spaziale mostrano effetti


di validità (prestazioni migliori per i target nelle zone valide) per la
parte del campo visiva cieca.

4) I pazienti con prosopagnosia (faceblindness):

A seguito di lesioni nelle aree infero-temporali non riconoscono un volto


familiare.

Evidenze, Bauer et al. (1984):

Il compito consisteva nell’associare un nome ad un volto (famoso o


familiare) mentre veniva misurata la risposta psicogalvanica (risposta
da conduttanza cutanea, che aumenta il sudore della pelle). Pur non
riconoscendo i volti, se viene presentato un volto e il nome corretto, la
risposta psicogalvanica dei soggetti aumentava, a dimostrazione del
fatto che c’è una sorta di elaborazione implicita, dissociata dalla
consapevolezza di uno stimolo.

Ci sono evidenze di elaborazione implicita anche nei soggetti sani:


85
a) Nell’effetto flanker, stimoli o caratteristiche non rilevanti (non attese)
producono effetti sull’elaborazione di stimoli rilevanti. I distrattori
simili agli stimoli, infatti, rallentano la risposta al target.

b) Nel priming semantico vengono presentate due informazioni di cui una


rilevante e una distraente. Quest’ultima, anche se mascherata e quindi
non consapevole, quando associata semanticamente col target, ne
facilita l’elaborazione.

Evidenze:

Priming semantico con parole mascherate (a contenuto emotivo


positivo o negativo). Se l’elemento distraente è visibile ha effetto
sull’elaborazione del target, ma solo se è negativo e non positivo.
Quando invece è mascherato, l’effetto di facilitazione si verifica
solo per il distraente positivo.

Studi con oggetti mascherati:

Il segnale di disturbo era in movimento e il mascheramento veniva


creato con delle apposite lenti 3D. Con la tecnica del continuos
flash suppression (variante della rivalità binoculare) viene
presentato un elemento e in sovrapposizione un rumore in
movimento. Nonostante gli oggetti venivano mascherati, i soggetti
presentavano un effetto di priming in risposta al target (non se gli
oggetti erano animali).

c) Nell’attentional blink venivano presentati tre target, di cui il secondo, tale


da elicitare l’AB , poteva essere associato o meno al terzo. Quando erano
associati la risposta del soggetto per T3 era più veloce.

d) Nel priming motorio (a livello di esecuzione della risposta con


mascheramento visivo degli stimoli) il compito era di dire, rispondendo
manualmente, se il target fosse maggiore o minore di una certa quantità.
Prima della sua comparsa appariva una parola numero mascherata, che
elicitava l’effetto priming (di facilitazione) quando era congruente.
Guardando le attivazioni neurali, inoltre, si è visto che le aree centrali
deputate alla programmazione di un atto motorio degli arti controlaterali si
attivano.

Studi di Psicologia Sociale mettono in evidenza come stimoli emotivamente salienti


(immagini di nudo) orientino i meccanismi attentivi anche se mascherati. Attraverso il
paradigma del suggerimento spaziale veniva presentato un cue (uomo o donna nudi) a
uno dei due lati dello schermo, dove appariva un target, per il quale bisognava dire se
fosse orientato a dx o sx. Guardando l’effetto di validità, gli uomini etero presentavano
86
un effetto di facilitazione per il genere opposto (donne nude) e un costo per lo stesso
genero; le donne etero, invece, presentavano solo una facilitazione per il genere
opposto. Maschi e femmine omo, al contrario, avevano facilitazione per lo stesso genere.
Ci sono quindi effetti diversi in funzione del fatto che gli stimoli vengano elaborati
come positivi o negativi, effetti che però scompaiono quando il cue è visibile.

Relazione attenzione-consapevolezza:

L’attenzione è possibile sia il prerequisito necessario per avere fenomeni di


consapevolezza, o è possibile serva per poter riportare in modo manifesto che
siamo consapevoli di qualcosa; ma non è necessaria per avere consapevolezza
e per elaborare informazioni. Tuttavia, la consapevolezza serve
nell’interazione con le altre persone (aspetto sociale) e per inibire gli
atteggiamenti, comportamenti e azioni automatiche (automatismi) non
appropriati in un dato momento.

Capitolo 17)

DIFFERENZE INDIVIDUALI E ABILITA’ VISIVE

Nella maggior parte delle ricerche di attenzione e percezione la prestazione del singolo non è
interessante, perché viene visto come parte di un gruppo per poter poi fare inferenze sulla
popolazione. Ma esistono differenze individuali significative legate alle abilità
percettive/attentive?

Differenze tra i sessi


In compiti di abilità visive/spaziali veniva chiesto di allineare la linea in verticale
trascurando l’orientamento del rettangolo che sta attorno (rod and frame test), o di
rappresentare il livello dell’acqua in vari bicchieri inclinati. I risultati non mostrano
una differenza sostanziale tra maschi e femmine, tranne nei compiti di rotazione
mentale di oggetti (abbinare un oggetto memorizzato con una delle alternative
presentate successivamente), in cui i maschi hanno prestazioni migliori. I compiti
tuttavia non sono facili, e infatti anche la prestazione maschile è intorno al 50%. Sono
state date diverse interpretazioni, tra cui la più plausibile fa riferimento all’ipotesi
biologica: il livello di testosterone (alto nei maschi) aiuta a orientarsi e navigare
nell’ambiente, ed è per questo che i maschi hanno maggiori abilità visuo-spaziali. Al
contrario, maschi con alti livelli di androgeni hanno deficit nella prestazione, mentre le
femmine con bassi livelli hanno prestazioni più simili ai maschi di controllo.

87
Differenze legate all’invecchiamento (> 65 anni)
L’invecchiamento veniva associato a un declino generale delle funzioni cognitive e dei
processi mentali; tuttavia, oggi non c’è più quest’unico pensiero. Gli anziani hanno
l’abilità di usare in maniera flessibile le proprie risorse cognitive, per cercare di
compensare eventuali deficit del loro funzionamento cognitivo.
Un aspetto negativo legato all’invecchiamento è il declino del fenomeno di
accomodazione a livello sensoriale (visivo), ossia aumenta la densità del cristallino e
quindi si riduce la sua capacità di ridimensionarsi a seconda della distanza di un
oggetto che si sta osservando. Inoltre, si verifica anche un’opacità e riduzione del
diametro della pupilla. La rappresentazione iniziale dell’input visivo è così più
rumorosa e meno dettagliata negli anziani.

Evidenze:
Compiti legati al fenomeno di iperacuità, misurata sia in giovani (alta
risoluzione del dettaglio) che anziani, in situazioni isolate e di mascheramento
(con diversi livelli temporali). Le differenze tra i due gruppi con intervallo
lungo non sono così grandi (prestazione anziani buona); più l’intervallo è
breve, però, più la prestazione degli anziani decade. Ciò evidenzia il fatto che i
cambiamenti a livello fisiologico/fisico dovuti all’invecchiamento non sono
sempre associati a decadimento percettivo o attentivo.

Il peggioramento non copre tutte le abilità visive degli anziani. In compiti con
informazioni rilevanti e non (meccanismo attentivo) gli anziani non hanno
problemi a potenziare l’informazione rilevante, ma hanno difficoltà a inibire quella
irrilevante (deficit di soppressione dell’informazione distraente). Il peggioramento
è quindi selettivo e non generale (non tutti peggiorano uguale).

In un esperimento veniva chiesto ai soggetti di focalizzarsi su una data


categoria di elementi (tra elementi rilevanti e non), o di guardarli
passivamente, e nel mentre si registrava la velocità di risposta (EEG), ossia la
prima risposta del sistema visivo (P1, intorno ai 100ms post-stimolo). Nella
prima situazione, i giovani potenziano l’informazione rilevante e sopprimono
quella irrilevante (aumento risposta P1); negli anziani invece viene solo
potenziata quella rilevante.

Grazie alla fMRI venivano presentate informazioni sovrapposte, di cui


una sola era rilevante (o situazione con visione passiva). Anche in questo
caso gli anziani presentano solo potenziamento dell’informazione
rilevante, a differenza dei giovani.

Non sempre si verifica un peggioramento nelle prestazioni degli anziani: ci sono


evidenze di fenomeni di plasticità e compensazione. Guardando le attivazioni neurali,
gli anziani presentano solitamente ipoattivazione di alcune aree (minore attivazione),
ma in alcuni casi si verifica un’iperattivazione, sia a livello di attivazione emisferica
che all’interno dello stesso emisfero. Questa iperattivazione è associata a una

88
prestazione molto buona, a livello dei giovani.
È stata così proposta l’ipotesi della compensazione neurale = la difficoltà del compito
modifica le attivazioni neurali, ipo- o iperattivando, e di conseguenza anche la
prestazione del compito.

a. Se la difficoltà è bassa gli anziani iperattivano alcune aree, e la loro


prestazione è simile a quella dei giovani;

b. Se è alta, invece, si verifica un’ipoattivazione, e la prestazione decade (risorse


limitate).

Il modello di compensazione neurale o l’utilizzo di circuiti neurali legati alla


compensazione (CRUNCH) predice fenomeni di ipo- o iperattivazione, e come questo
influenzi la prestazione.

Evidenza EEG (Mazza et al.):


Il compito dei soggetti era quello di rilevare quanti elementi rossi vedevano,
in situazioni semplici (è presente solo il target) o difficili (anche distrattori).
Guardando le attivazioni EEG (risposta associata ai meccanismi
dell’informazione rilevante) si nota un’iperattivazione delle aree posteriori
(dopo 200ms, compensazione neurale precoce delle aree visive extra-striate)
nel primo compito, che fa sì che la prestazione sia buona, mentre
un’ipoattivazione nel secondo, con conseguente crollo nella prestazione.
Queste sono evidenze legate ad aspetti biologici: l’avanzare dell’età può modificare
l’elaborazione dell’informazione nei meccanismi delle vie visive. Gli anziani, tuttavia,
utilizzano strategie e fenomeni compensatori, che presentano però un limite e un
successivo declino della prestazione (solo per quei compiti in cui l’informazione
irrilevante deve essere soppressa).
Differenze legate alla pratica

Quanto può modificare le abilità visive di base?


Un noto esperimento è quello degli artisti visivi e della costanza di forma
(Thouless, 1930). I soggetti erano pittori o non pittori, e il loro compito era
quello di abbinare un oggetto (tazza) ad una serie di alternative di elementi
ellittici di diversa circolarità. I soggetti non pittori, secondo i principi delle
costanze percettive (ossia la costanza di forma, per cui il sistema visivo crea
sempre una rappresentazione costante nonostante i cambiamenti di dimensione
89
a seconda del punto di vista) tendono a rappresentarsi il buco della tazza più o
meno in modo circolare e sempre nello stesso modo (pur variando i punti di
vista). La loro tendenza è definita tendenza alla regressione vs un oggetto
reale. Si è visto, tuttavia, che i pittori non presentano questa costanza e questa
regressione: attraverso la pratica, hanno imparato a rappresentarsi gli oggetti
come fisicamente sono (per essere più fedeli possibili) e non come appaiono al
nostro cervello.

Altri studi si sono concentrati sulle basi cerebrali (diverse strutture neurali):

McGuire et al., le dimensioni dell’ippocampo (associato a compiti di memoria


e navigazione spaziale) nei taxisti: la grandezza dell’ippocampo correla
positivamente col grado di esperienza dei taxisti. Questo evidenzia che la
pratica modifica il funzionamento del cervello (grado di attivazione) e anche il
livello strutturale/fisico di alcune aree.

Differenze culturali

In uno studio si è cercato di indagare se il linguaggio esprimente i diversi


colori, influenzi la percezione stessa dei colori. I soggetti appartenevano a
diverse culture: chi aveva 11 nomi per esprimere i colori di base, e chi ne aveva
soltanto due (colori caldi e freddi). In un compito di memorizzazione e
successiva discriminazione tra due colori, si è visto che le prestazioni dei due
gruppi erano identiche: non ci sono quindi differenze legate alla cultura.

Altre ricerche di tipo antropologico si sono concentrate sulle illusioni. Si è


visto che la suscettibilità alle illusioni dipende fortemente da fattori culturali,
ossia dal grado di esperienza con gli oggetti dell’ambiente che ci circonda.
Infatti, gli occidentali sono più suscettibili alle illusioni in cui gli angoli delle
frecce ricordano gli angoli delle stanze e la loro distanza (concetto di profondità);
mentre nelle culture non occidentali sono più presenti quelle illusioni che fanno
riferimento a linee verticali che ricordano la forma di una capanna.
Altri studi contrastano le eventuali differenze legate alle culture, e distinguono
due tipi di pensiero:
Il pensiero analitico (occidentale):
Si basa sull’oggetto e sulla sua importanza per spiegare il mondo (a
prescindere dalle altre informazioni e dalle loro relazioni);
90
(orientale):
Basato sul contesto e sulle relazioni tra gli oggetti.

Il pensiero analitico è legato al concetto che esista una cosa più importante delle
altre (gli occidentali prestano attenzione a oggetti cruciali o agli obiettivi
rispetto questi oggetti), mentre quello olistico tiene più conto della relazione tra
gli elementi (gli orientali prestano attenzione a tutto l’ambiente).
In un compito (tipicamente per bambini) veniva chiesto di associare un
elemento (es. mucca) a uno degli altri due (es. gallina o erba). L’associazione è
determinata fortemente da caratteristiche analitiche o olistiche: infatti, gli
occidentali la associano alla gallina sulla base dell’appartenenza
categoriale/concettuale; mentre gli orientali all’erba, sulla base del contesto,
delle relazioni funzionali e della familiarità.

In un altro compito bisognava associare un elemento target (fiore) a uno di due


gruppi. Gli americani lo associano secondo l’appartenenza categoriale e
seguendo una regola (hanno tutti lo stesso gambo); gli asiatici lo associano
secondo la familiarità (hanno quasi tutti gli stessi petali); e gli asiatici che
vivono in America una via di mezzo.

Chua et al. (2005):

Memorizzare elementi in primo piano per un successivo compito.


Quando lo sfondo dell’immagine nella fase di apprendimento è uguale
a quella della fase test, le prestazioni dei due gruppi (orientali e
occidentali) sono simili. Quando però lo sfondo cambia, i cinesi
peggiorano nel compito. Guardando le fissazioni oculari, si è poi visto
che essi danno più importanza allo sfondo, al contesto.
La cultura, quindi, plasma fortemente il modo in cui classifichiamo
gli oggetti e modificano le priorità con cui sono elaborati gli
elementi in una scena (stili percettivi diversi).
Hedden et al. (2008), stili attentivi:
Il compito poteva essere assoluto (riportare se la linea verticale fosse
uguale o no a quella della prova precedente) o relativo (se la
proporzione linea- quandrato fosse uguale a quella precente).
Registrando le attivazioni neurali si vede che le reti coinvolte
nell’orientamento dell’attenzione (aree fronto-parietali) variano per
americani e asiatici. Le loro prestazioni sono peggiori nei compiti non
culturalmente preferiti, ossia quello assoluto per gli asiatici, e quello
relativo per gli americani.
Si è cercato poi di capire se a livello di attivazioni cerebrali ci possano essere
91
delle vere impronte neurali, ossia caratteristiche di funzionamento del cervello,
specifiche per ogni individuo.

In uno studio venivano analizzati i profili delle attivazioni neurali (fMRI) di


alcuni soggetti in situazioni di riposo o mentre venivano eseguiti dei compiti,
per capire se si possano isolare profili di connettività di riposo che permettano
poi di riconoscere come gli individui eseguiranno i vari compiti. I risultati
furono in linea con le aspettative: è possibile distinguere i soggetti in funzione
della peculiarità delle loro connessioni tra le aree a riposo, e capire come
verrano eseguiti compiti coinvolgenti le aree fronto-parietali.

Capitolo 18)
PLASTICITA’ E STIMOLAZIONE DELLE ABILITA’ VISIVE

Plasticità cerebrale

Abilità del cervello di riorganizzarsi sia in termini strutturali che funzionali.

È presente durante tutta la vita di un individuo, ma è massima nel periodo critico, ossia nei
primi mesi di vita. La plasticità è evidente soprattutto in pazienti con vari tipi di lesione: il loro
cervello riesce a riorganizzarsi e sostuire funzioni cognitive di aree danneggiate con altre aree
di funzioni cognitive (fenomeni di compensazione e riorganizzazione). Le aree che perdono il
loro scopo (es. aree dedicate all’elaborazione visiva nei ciechi) vengono riutilizzate per
potenziare le funzioni sensoriali rimaste (es. tattile).
Evidenze, nei soggetti sani.
MaGuire et al. (2008):
Le dimensioni dell’ippocampo sono più grandi nei taxisti esperti che nelle altre persone.
Ciò evidenzia come il cervello si può riorganizzare in maniera flessibile potenziando
strutturalmente aree importanti (es. per il lavoro).
Anche gli anziani potenziando alcune aree, in certe situazioni, riescono a compensare e ad
avere prestazioni efficienti. Utilizzano le loro risorse cognitive in maniera flessibile.
92
È possibile potenziare il fenomeno di plasticità e le nostre abilità percettive/attentive
attraverso tre classi di stimolazioni:
a. Stimolazione comportamentale (training cognitivo):
Consiste nel ripetere per un certo periodo un compito sperimentale e verificare poi un
eventuale miglioramento nello stesso compito o simili (che utilizzano le stesse
risorse cognitive).

• Perceptual learning (apprendimento percettivo)

Forma semplice, implicita e automatica di apprendimento, che si


forma con un training e un successivo tempo per consolidare
l’informazione in memoria.
Evidenze:
Compito di discriminazione di una lettera centrale e dell’orientamento
di alcuni elementi periferici in condizioni di mascheramento.
Un’informazione irrilevante a diversi intervalli di tempo (sempre nella
stessa posizione) mascherava il display. Tanto più si diventa bravi nel
compito, tanto più l’intervallo dovrà essere breve per riuscire ad avere
mascheramento. Il miglioramento permane anche dopo due anni.

Questo apprendimento è stato studiato attraverso tecniche di


neurostimolazione (studi fMRI), e si è visto che è un effetto abbastanza
precoce a livello dell’area V1 (primo stadio di elaborazione).
Non è generalizzato a tutto il campo visivo, ma è legato solo a quella
porzione di spazio in cui compare l’informazione in modo costante, ed
è presente solo per l’occhio che viene stimolato. Attraverso EEG si è
visto che è precoce anche in termini di attivazioni nel tempo (intorno ai
50-100ms). È quindi un effetto di basso livello e poco generalizzabile.

• Allenamenti percettivi in gruppi particolari (situazioni pratiche).


Evidenze:
Giocatori professionisti di baseball svolgevano un training di
più sessioni di compiti percettivi di basso livello, e venivano
poi misurate alcune abilità legate all’acuità visiva, in fase pre- e
post-training; un altro gruppo non svolgeva il training.
Si è visto che anche in questi soggetti altamente funzionali
(ossia possiedono capacità percettive mediamente più alte) c’è
un miglioramento dovuto al training, visibile anche in compiti
di contrasto alle frequenze spaziali.

Inoltre, questo miglioramento è generalizzabile anche in situazioni della vita


quotidiana.
93
• Videogiochi (soprattutto d’azione)

I giocatori hanno prestazioni migliori ad esempio nei compiti di


attentional blink (ammiccamento che fa perdere la consapevolezza di
uno stimolo se presentato dopo 200-500ms da un primo stimolo).
Evidenze negli anziani:

Alcuni svolgevano un training (con videogioco semplice o


complesso), mentre altri no. Veniva misurata l’abilità,
l’accuratezza e l’efficienza nell’esecuzione di codici visivi e
l’attivazione neurale (EEG), attraverso test di abilità percettive
e memoria visiva. Dopo alcuni mesi, i soggetti che non
facevano training non mostrarono miglioramento, quelli che
giocavano al videogioco singolo lo mostravano dopo un mese
ma non dopo sei, mentre in quelli col gioco complesso il
progresso permaneva anche dopo sei.

Nei compiti di memoria, invece, gli anziani del gruppo senza


training mantenevano i loro problemi nel sopprimere
l’informazione distraente, mentre chi giocava al gioco
complesso migliorava. Con l’EEG, in quest’ultimo gruppo, si
è vista una maggiore attivazione delle aree frontali, legate
all’implementazione di strategie o situazioni in cui c’è
maggior controllo dell’elaborazione cognitiva.

b. Stimolazione cerebrale (tecniche di neurostimolazione):


Oltre alla stimolazione comportamentale in cui viene allenato il soggetto attraverso
il training, vengono stimolate alcune aree del cervello che si pensa siano implicate
in determinati compiti. Viene poi verificato se ci sono miglioramenti.

Le stimolazioni avvengono in modo non invasivo, modificando il normale


funzionamento dei neuroni e quindi anche la prestazione comportamentale. Si
distinguono due tipi di stimolazione:

• Magnetica = TMS (stimolazione magnetica transcranica);

• Elettrica = tES (stimolazione elettrica transcranica):

Essa causa interferenze mediante corrente elettrica di bassa ampiezza e


si distingue in tre sottotipi: tDCS (stimolazione transcranica a corrente
diretta); tACS (a corrente alternata, ossia utilizza una frequenza fissa); e
tRNS (random noise, a diverse frequenze di ampiezza).
Evidenze:
94
Vengono utilizzate ad esempio nei pazienti con neglect, stimolando l’emisfero
sano per ridurre il deficit. Sono state utilizzate anche nei soggetti sani per
ridurre lo pseudo-neglect (asimmetria percettiva). In un compito veniva chiesto
ai soggetti di indicare quale metà immagine contenesse più bianco o più nero.
Se veniva stimolata la corteccia parietale sx l’effetto si riduce (con tES, non
però nell’emisfero dx). Sono stati fatti studi anche riguardanti il fenomeno del
decremento di vigilanza (l’abilità di selezionare un’informazione protratta per
lungo tempo), ossia una prestazione peggiore dopo 10 minuti dal compito
(meno accuratezza e velocità). Venivano stimolate le aree frontali o dopo 10
minuti dall’inizio, o dopo 30 (e un gruppo sham non stimolato).
Chi riceveva stimolazione manteneva un alto livello di vigilanza. Sono stati
fatti studi anche legati all’invecchiamento, stimolando le aree parietali che
elaborano le quantità (sia giovani che anziani), dopo un training di 5 giorni.
Dai risultati emerse che solo chi riceveva stimolazione migliorava nel compito.
Suddividendo le prove congruenti da quelle incongruenti, si è visto che i
giovani migliorano nelle prime (integrazione di informazioni), mentre gli
anziani nelle seconde (inibizione distraenti).

c. Stimolazione farmacologica

Utilizzo di droghe e farmaci per migliorare le abilità cognitive.

Ci sono alcuni aspetti importanti da tenere in considerazione nel valutare le diverse


stimolazioni:

 Condizione di controllo :

Deve esserci un gruppo di controllo da confrontare col gruppo


sperimentale, perché può essere che quest’ultimo migliori le proprie abilità
solo per effetto dell’esperienza.

 Motivazione/effetto placebo:

Può darsi che le aspettative e la motivazione implementino le abilità del


95
soggetto.

 Durata:

Quanto deve durare l’effetto del miglioramento?

 Generalizzazione (transfer):

Quanto il miglioramento può essere estendibile ad altri compiti o situazioni?

Ci sono quindi diversi modi per aumentare la plasticità, che fanno riferimento
all’esecuzione di un compito per un certo periodo di tempo o alla stimolazione
(interferendo o potenziando) di alcune aree del cervello (tecniche di
neurostimolazione, non invasive, temporanee e limitate a una zona).

Capitolo 19)

INTERAZIONI UOMO-COMPUTER E MECCANISMI PERCETTIVI

Human Brain Interface (HCI):

Permette di capire come funzionano le interazioni uomo-macchina attraverso una


prospettiva multidisciplinare. Ci sono tre aspetti da tenere in considerazione:
• Economia :
Produrre e valutare dispositivi esterni (software e hardware) che
siano di facile utilizzo per le persone.

• Produrre e valutare dispositivi che possano migliorare le


prestazioni in soggetti sani e in soggetti affetti da deficit.

• Valutare l’impatto di queste nuove tecnologie sulle nostre abilità cognitive.


Videogiochi e abilità cognitive

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L’utilizzo di videogiochi (soprattutto d’azione) incrementa le nostre abilità attentive e
percettive, ma quanto sono generalizzabili tali miglioramenti?

Evidenze, Greene e Bauelier (2003):


I soggetti erano divisi in giocatori esperti e non esperti, e venivano valutati attraverso
due paradigmi. L’effetto flanker (interferenza di un distrattore incompatibile col target
quando si deve dare una risposta a quest’ultimo), suddiviso in situazioni congruenti e
incongruenti (target e distrattori elicitano due risposte differenti), se associato al carico
percettivo è presente nei compiti facili ma non in quelli difficili. La selezione è precoce
per carico alto, poiché tutte le risorse sono dedicate al target e i distrattori quindi non
interferiscono, mentre è tardiva per carico basso, poiché viene elaborato anche il
distrattore. In questo studio, si è visto che l’effetto flanker permane anche nei compiti
difficili (alto carico) solo per i giocatori esperti. Il fatto che le loro abilità percettive e
attentive siano più grandi, fa sì che l’effetto di interferenza permanga anche per carichi
alti (effetto negativo).
L’attentional blink (incapacità di identificare il secondo target se compare tra 200-
500ms dopo un primo target) è tipicamente associato ad ammiccamento percettivo, per
cui l’elaborazione del primo target impedisce un’efficiente elaborazione per il secondo
e la capacità quindi di riportarlo consapevolmente.
Nello studio si è visto che nei giocatori esperti l’identificazione di T2 era maggiore, ed
era minore la finestra temporale in cui si verifica solitamente l’AB (effetto positivo).

Sensory substitution
Sono dei meccanismi, dei dispositivi, per ottimizzare le funzioni percettive in persone con
danni o deficit, permettendo di codificare le informazioni per la modalità mancante in
informazioni codificabili dalle altre modalità.

È simile al concetto di plasticità, ossia l’abilità del nostro cervello di usare altri sensi per
ricevere informazioni dall’esterno sopperendo alle mancanze di una modalità sensoriale.
È presente durante tutta la vita di un individuo e evidente nelle persone con lesioni cerebrali, le
quali, attraverso una riorganizzazione cerebrale e funzionale, utilizzano altre aree del cervello
per potenziare i sensi rimasti rispetto a quello perso (es. sostituzione sensoriale per i non
vedenti con il tatto, o per i sordi con la vista).
Un esempio di sensory substitution è stato ideato per i ciechi, che permette di codificare le
informazioni visive in informazioni sonore o tattili. Una telecamera registra le informazioni
visive e un dispositivo le trasforma in stimolazioni tattili attraverso uno stimolatore
posizionato sulla lingua.

Evidenze per capire se è fattibile utilizzare questi dispositivi per sostituire il senso mancante:

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Segond et al. (2005): dall’esperimento si è visto che soggetti sani bendati, che
dovevano controllare il movimento di un robot in un labirinto tramite
informazioni tattili sulla pelle, erano molto bravi nel compito. Con la pratica
imparavano a codificare le informazioni tattili.

Ranier et al. (2005): presentavano delle illusioni che venivano codificate in


informazioni uditive a soggetti sani bendati e a soggetti ciechi dalla nascita.
L’illusione è presente solo per i soggetti vedenti; quelli ciechi non vengono
ingannati.

Striem-Amit et al. (2012): ai soggetti, divisi in persone vedenti e persone


cieche congenite, venivano presentati vari oggetti (tra cui lettere) con
sostituzione acustica. Si è visto che entrambi i gruppi attivano le medesime
aree legate al linguaggio, ossia quelle specifiche per l’elaborazione di lettere
(area occipitale).

Questi dispositivi tuttavia hanno dei limiti:


▪ Sono legate a forme di azione volontaria del soggetto e richiedono parecchia pratica.

▪ Sono meglio definibili come dispositivi di potenziamento delle modalità sensoriali.

▪ Funzionano solo sotto forte controllo volontario (altissima motivazione della


persona): questo è un limite perché solitamente nel sistema cognitivo la maggior parte
delle operazioni percettive avvengono in modo automatico.

Brain-Computer Interface (BCI)

Serve per studiare le migliori forme di connessione fra cervello (meccanismi cognitivi) e
macchina (dispositivi esterni).

Viene misurata l’attività mentale e utilizzata in tempo reale per controllare o eseguire
determinate azioni nei confronti di alcuni dispositivi (es. protesi, sedia a rotelle) o per
modulare o modificare l’insieme delle proprie attivazioni neurali.

La BCI, per classificare le attività mentali e neurali in modo da produrre un effetto su un


particolare strumento, segue passaggi standard (ciclo della BCI):

1. Deve esserci innanzitutto un partecipante/individuo a cui viene data una


stimolazione specifica (un compito) che eliciti una determinata risposta cerebrale
(attività neurale) che possa essere codificata in maniera bottom-up (automatica) e
poi essere trasformata in azioni concrete.

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Il compito deve quindi essere facile, senza sforzo e che produca risposte
cognitive e attivazioni neurali specifiche, facilmente codificabili attraverso
algoritmi.

 Compito di suggerimento spaziale:


Un indizio indica con alta probabilità dove poi comparirà un target, e i
soggetti devono prestare attenzione alla posizione indicata dal cue.
Una particolare attivazione neurale (EEG) predice dove il soggetto sta
prestando attenzione.

 Scrittura di parole:

I soggetti pensano lettera per lettera (guardando delle lettere scritte


sul computer) a una certa parola che verrà poi riprodotta da alcuni
algoritmi. Esso si basa su un paradigma che fa riferimento a una
specifica risposta elettrica del cervello, legata a caratteristiche
salienti o elementi rari che appaiono nella scena (P300).

 Compito di immaginazione motoria (neurofeedback):

Persone o animali vengono motivate a eseguire una determinata


azione. Quando infatti programmiamo un’azione, una risposta del
cervello viene prodotta nelle zone motorie (che programmano
l’effettivo movimento), che viene rilevata da EEG.

2. Durante l’esecuzione del compito viene registrata l’attività del cervello, che viene
poi codificata da un classificatore. Le misurazioni possono essere invasive
(elettrodi nel cervello) o non invasive (elettrodi sullo scalpo).

Esse possono avere diverse risoluzioni spaziali (abilità di andare nel dettaglio circa
le aree neurali che si attivano) e risoluzioni temporali (risoluzione del dettaglio nel
decorso temporale dell’attivazione neurale).

La metodica ideale dovrebbe essere non invasiva, e con ottima risoluzione


temporale e spaziale.

a) Misure invasive :

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Ottima risoluzione temporale e buona risoluzione spaziale;

b) Misure non invasive:

Buona risoluzione temporale e scarsa spaziale o viceversa. Le più utilizzate


sono l’elettroencefalografia (EEG) e la magnetoencefalografia (MEG),
che hanno un’ottima risoluzione temporale, e la risonanza magnetica
funzionale (fMRI), con alta definizione spaziale.
L’EEG misura l’attività elettrica di popolazioni neuronali in concomitanza
di un particolare evento (es. suono). Si distinguono due principali misure
dell’attività elettrica associate a eventi di interesse: le risposte indotte, ossia
sincronizzazione o desincronizzazione di ritmi EEG (sequenze di
oscillazioni del cervello) associate all’evento; e le risposte evocate, che
rappresentano l’attività media ancorata temporalmente alla presentazione
dell’evento.
3. Una volta acquisito, il segnale viene potenziato attraverso varie analisi e
successivamente vengono estratte le caratteristiche di interesse tramite dei
classificatori, che permettono di identificare lo stato cerebrale in un dato
momento. I classificatori devono essere sensibili e veloci, per operare stime on-
line e adattarsi ai cambiamenti delle attivazioni cerebrali. Gli allenamenti della
BCI sono training molto lunghi.

4. Dopo che il segnale viene classificato, si crea l’output (il prodotto finale),
ossia un’informazione che viene trasmessa a un computer o un dispositivo
fisico (es. protesi).

La maggior parte delle applicazioni della BCI sono state studiate per pazienti con varie forme di
paralisi (degli arti o della parola), e vengono definiti dispositivi prostetici. Tuttavia, oggi
l’interesse è quello, non di creare macchine, ma di riuscire a riutilizzare i propri arti paralizzati:
elettrodi nel cervello inviano segnali elettrici a una macchina, la quale invia impulsi agli arti per
muoverli. Ci sono poi applicazioni anche per soggetti sani, es. forme di comunicazione sociale e
interazione, di sistemi di navigazione, o neurofeedback per il controllo degli stati emotivi.

Brain to Brain Interface


Sviluppo della BCI = interazione cervello-cervello.
Evidenze:
È stato fatto un esperimento con due ratti. Un ratto encoder doveva fare delle azioni
specifiche per ricevere del cibo; nel mentre veniva registrata la sua attività elettrica e
inviata ad un ratto decoder attraverso microstimolazione intracorticale (ICMS), e se
eseguiva le azioni dell’encoder riceveva cibo. Si è visto che quando il decoder non
riceve microstimolazione, la sua prestazione è uguale al caso; quando invece la
riceve è superiore (codifica l’attivazione cerebrale dell’encoder e l’utilizza per la
ricompensa).

Questa interfaccia funziona anche a distanza: è stato fatto lo stesso esperimento con
due ratti in due stati diversi.

Nell’uomo è stato fatto solo uno studio (2013): un individuo giocava a un videogioco
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mentre gli veniva registrata l’attività elettrica (EEG) che veniva inviata attraverso
TMS a un altro individuo in un’altra stanza. Quest’ultimo compiva una determinata
azione a seconda della stimolazione che riceveva.

Limiti BCI:

Le attivazioni neurali sono complesse, difficili da codificare e il segnale registrato


debole e soggetto a interferenze. Inoltre c’è una grande variabilità nei risultati che si
ottengono, anche all’interno delle singole sessioni sperimentali.
La BCI richiede poi un costante controllo delle operazioni mentali, e serve una grande
motivazione.

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