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CAPITOLO 1

METODI DELLE NEUROSCIENZE

Micheal Gazzaniga e George Miller hanno coniato il termine “neuroscienze cognitive”, uno spazio di lavoro
nel quale potessero confluire gli studi più riduzionistici sulle funzioni mentali (neurofisiologica
neurobiologia) con la psicologia.
Esistono principalmente 2 approcci neuroscientifici per lo studio delle funzioni cognitive:
 Approccio delle alterazioni cerebrali
 Approccio del neuro-monitoraggio.

-Approccio delle alterazioni cerebrali


Correlazioni anatomo-cliniche: se la lesione di un’area o di un sistema cerebrale danneggia una funzione
cognitiva è probabile che la regione lesa sia coinvolta in modo cruciale nella prestazione di tale funzione.
La combinazione dell’informazione all’interno di un gruppo di soggetti aiuta a localizzare le regioni cerebrali
alla base di un deficit cognitivo.
Un limite importante di questo approccio è che il danno cerebrale è il risultato di molti fattori che non sono
controllati dallo sperimentatore.
Inoltre, può verificarsi diaschisi: in caso di lesione cerebrale anche altre aree del cervello, innervate
dall’area danneggiata, potrebbero (a causa della perdita del segnale in entrata) cessare di funzionare
normalmente.
Un esempio di correlazioni anatomo-cliniche è lo studio di alterazioni imposte da ictus con il quale si cerca
di correlare i sintomi e i comportamenti di un paziente (cognizione) durante la sua vita con la localizzazione
di lesioni cerebrali scoperte durante l'autopsia.
In questo caso, sebbene le lesioni causate da un ictus possano essere relativamente localizzate, esse
rispettano i confini vascolari e non sono ristrette a regioni cerebrali funzionali, di conseguenza una singola
lesione può avere effetti su più funzioni cognitive.

Manipolazione farmacologica: coinvolgono la trasmissione dei segnali tra neuroni attraverso la liberazione
di molecole di neurotrasmettitori a livello delle sinapsi. Infatti, molte sostanze interferiscono con questi
processi o li contrastano e possono modificare quindi le funzioni cognitive.
Le sostanze che si legano ai recettori e li attivano in modo simile al neurotrasmettitore sono dette agonisti;
mentre quelle che si legano ai recettori e li bloccano sono chiamati antagonisti.
Esempi di agonisti sono:
 La cocaina che attiva i recettori della dopamina, i quali rivestono un ruolo importante nella
valutazione delle ricompense
 La nicotina che colpisce la neurotrasmissione mediata dall’acetilcolina, importante per l’umore,
l’attenzione e la memoria.
Uno svantaggio di questa tecnica è la relativa mancanza di specificità degli effetti del farmaco.
Da uno studio è emerso che nelle persone morte di overdose di eroina, quando i decessi si verificavano con
dosi che avrebbero dovuto sopportare, nel 50% dei casi la persona si trovava in un contesto in cui non
faceva abitualmente uso della sostanza. Questo è spiegato dal condizionamento classico di Pavlov, infatti
anche nei consumatori abituali di eroina c’è un apprendimento contestuale. Loro ne fanno uso in un certo
luogo e l’organismo, perciò, è preparato all’arrivo della sostanza ma quando c’è un contesto diverso
l’organismo non è pronto a ricevere la sostanza e va in overdose.

Stimolazione intracranica: i cui fondatori sono Charles Sherrington e David Ferrier, si tratta di una
stimolazione diretta che viene utilizzata soprattutto in ambito chirurgico. Il soggetto è sveglio ed ha il
cervello scoperto, ne vengono stimolate elettricamente le aree e quindi si possono osservare le reazioni del
paziente in modo diretto.

Stimolazione magnetica transcranica (TMS): viene generato un forte campo magnetico transitorio su una
regione del cuoio capelluto, facendo passare una corrente elettrica intensa che varia rapidamente
attraverso un insieme di bobine.
È un approccio meno invasivo che può essere utilizzato anche per compromettere l’elaborazione cognitiva
nei soggetti normali, infatti, in base al tipo di stimolazione vi sono diversi effetti:
 Stimolazione forte = “lesione” reversibile circoscritta
 Stimolazione minore = facilitazione dell’attivazione nell’area sottostante.
La TMS rappresenta degli svantaggi:
 Tende ad influenzare un'area relativamente grande
 Può essere applicata efficacemente a regioni del cervello relativamente superficiali
 Possono verificarsi stimolazioni concorrenti dello scalpo e dei muscoli del capo che possono portare
a spasmi.

Stimolazione transcranica a corrente diretta (tDCS): consiste nell’applicare una corrente elettrica costante e
a bassa ampiezza sul cuoio capelluto attraverso un dispositivo che consiste in due elettrodi: uno viene
posizionato sopra l'area di interesse da stimolare, mentre l'altro altrove per completare il circuito.
Comprende 2 tipi di stimolazione:
 Stimolazione anodica (positiva) = incrementa l'eccitabilità corticale dell'area stimolata
 Stimolazione catodica (negativa) = decrementa l'eccitabilità.

-Approccio del neuro-monitoraggio (neuro-imaging)


Iniziato negli anni ’60-’70, è un approccio che ricostruisce immagini del cervello in situazioni di non-
sofferenza, per cui anche di soggetti sani.

Tomografia assiale computerizzata (TAC): utilizza un tubo ai raggi X mobile che viene ruotato attorno alla
testa del paziente, si ottengono informazioni di densità da molteplici angolazioni.
Il problema è che può essere utilizzata per indagare le caratteristiche più strutturali ma non può essere
associata a paradigmi comportamentali.

Risonanza magnetica strutturale (MRI): sfrutta le proprietà fisiche dell’acqua (H2O), che compone la
maggior parte del cervello. Infatti, gli atomi di idrogeno (H) contenuti nell’acqua (H2O) presente nel corpo
umano sono generalmente orientati in maniera casuale ma, in presenza di un campo magnetico, i protoni
assorbono onde radio facendo sì che gli atomi si allineano generando una magnetizzazione.
Il ritorno all’equilibrio della magnetizzazione provoca un rilascio di energia che costituisce il segnale di
risonanza e diviene possibile ottenere immagini relative alle caratteristiche di alcuni tessuti presenti
all’interno del cervello.
Le caratteristiche di densità protonica e degli altri tessuti sono diverse per materia grigia, materia bianca,
fluido dei ventricoli e altri tessuti nervosi.
Questa tecnica presenta vari vantaggi:
 Non è invasiva
 Le immagini sono di una risoluzione estremamente elevata
 Gli scanner possono essere utilizzati per generare immagini che sono sensibili a molti aspetti diversi
della struttura cerebrale.
Elettroencefalografia (EEG): registrazioni (completamente non invasive) che misurano le onde cerebrali
elettriche rilevate tramite più elettrodi a livello del cuoio capelluto.
Il segnale EEG non riflette il potenziale d’azione della scarica tipicamente misurata nelle registrazioni ad
unità singole, ma deriva dalla somma dei potenziali d’azione di campo dendritici di gruppi di neuroni.
Quindi le fluttuazioni dei potenziali di campo riflettono l’elaborazione integrativa dei grandi neuroni
corticali piuttosto che la scarica output della singola cellula.
Le fluttuazioni del voltaggio di ciascun elettrodo vengono immesse negli amplificatori differenziali che
aumentano le differenze di voltaggio, l'output dell'amplificatore è poi digitalizzato e registrato per l'analisi
successiva.
Principali bande di frequenza in condizioni normali (non situazioni di patologia):
 Delta = <4 Hz (se ritrovata con il soggetto sveglio, possono esserci problemi)
 Theta = 4-8 Hz (se ritrovata con il soggetto sveglio, possono esserci problemi)
 Alfa = 8-12 Hz (solitamente ritrovata in soggetti svegli e rilassati)
 Beta = 12-15 Hz
 Gamma = 25-70 Hz (tipicamente associata a livello funzionale ai processi attentivi)
 Gamma alta = 70-150 Hz (tipicamente associata a livello funzionale ai processi attentivi)
L’EEG possiede presenta vari vantaggi:
 Buona risoluzione temporale
 Il segnale progressivo EEG è utile per valutare lo stato generale del cervello;
Tuttavia, presenta anche lo svantaggio di non essere correlata nel tempo ad alcun particolare evento o
processo cognitivo.
I potenziali correlati ad eventi (ERP) sono piccole fluttuazioni di voltaggio in un EEG in progressione,
innescate da eventi sensoriali o cognitivi. Una volta ottenuti i risultati dell’EEG si fa una media sincronizzata,
ossia si prendono queste fluttuazioni sincronizzate con le apparizioni di un evento e ne viene fatta la media.

Magnetoencefalografia (MEG): è la controparte magnetica dell’EEG. La differenza principale è che la MEG


misura i campi magnetici prodotti dai flussi di corrente innescati dalla depolarizzazione negli alberi
dendritici e non dalle fluttuazioni di voltaggio associate (come l’EEG).
Lo svantaggio è che la MEG è sensibile principalmente all’attività neuronale negli avvallamenti corticali o
solchi ed è relativamente insensibile all’attività nei giri.

Con le prossime 2 tecniche di neuro-imaging inizia a subentrare la mappatura funzionale cerebrale, con
l’associazione fra attività del cervello e processi cognitivi.

Tomografia a emissioni di positroni (PET): si iniettano molecole di acqua marcate radioattivamente con
isotopi instabili nel flusso sanguigno di una persona (per questo è considerata una pratica invasiva), le
molecole si diffondono nelle aree più attive del cervello in risposta a un determinato paradigma
comportamentale, così i raggi gamma che risultano dal decadimento degli isotopi instabili possono essere
rilevati dalla PET. L’assunto principale è che, se un aumento del flusso sanguigno è un indicatore dell’attività
funzionale del cervello, allora si può osservare quali zone sono più attive e innescate dall’attività cognitiva.
In altre parole: è possibile vedere cosa fa il cervello in tempo reale.
Con la PET la risoluzione spaziale migliora rispetto all’EEG, infatti si può vedere quale zona precisa è attiva,
mentre a livello temporale è peggiore perché ha bisogno di aspettare il segnale, cioè che la radioattività
decada e ci mette qualche minuto. Inoltre, il meccanismo della PET è rumoroso e creare interferenze.

Risonanza magnetica funzionale (fMRI): tecnica basata sulle variazioni del segnale BOLD (Blood Oxygen
Level Dependent Signal), il quale dipendente dai livelli di ossigenazione del sangue.
Nello specifico, le aree cerebrali attive (impegnate in compiti cognitivi) presentano richieste metaboliche
più alte, quindi richiedono più ossigeno e un maggiore flusso sanguigno locale rispetto alle aree
relativamente inattive.
Quando aumenta il flusso sanguigno nella zona più attiva, tuttavia, non si ha un paragonabile aumento di
ossigeno.
Ciò accadde perché nel flusso sanguigno, oltre all’ossiemoglobina (emoglobina che trasporta ossigeno), è
presente anche la desossiemoglobina (emoglobina senza ossigeno).
Esse emettono segnali di risonanza magnetica diversi tra loro.
Nelle aree attive, dato che richiedono ossigeno, vi è un aumento dell’ossiemoglobina e una diminuzione
nella concentrazione di desossiemoglobina e questo cambiamento viene rilevato grazie alla fMRI.
Ad esempio, quando afferriamo qualcosa con la mano sinistra, elaborando le immagini di Risonanza
Magnetica funzionale si osserva un’attivazione nelle aree motorie.
La fMRI ha una localizzazione spaziale migliore della PET, non utilizza sonde radioattive e ha migliore
risoluzione temporale, difatti consente disegni correlati a eventi: la risposta fMRI a un singolo evento ha
inizio 1-2 secondi dopo, ha un picco dopo 5-6 secondi e ritorna alla linea di base dopo 12-15 secondi.

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