Sbobine2.0
AA 2019/2020
NEUROLOGIA
PROF. G. SICILIANO, PROF. F. SARTUCCI
Sbobine2.0
NEUROFISIOLOGIA CLINICA
STORIA DELLA NEUROFISIOLOGIA CLINICA
La storia della Neurofisiologia Clinica è iniziata in un periodo in cui l’applicazione dell’elettricità sul corpo
umano si effettuava in modo empirico per curare i disturbi mentali. Il primo lavoro scientifico presente in
letteratura sull’argomento è una tesi del 1749 dal titolo “Dissertatio medica. De hemiplegia per
electricitatem curanda”, ovvero “La cura dell’emiplegia con l’elettricità”. Desahies, il giovane medico che
scrisse questa tesi, vide che, dando degli stimoli elettrici agli arti emiplegici, questi si muovevano.
In seguito, vi furono degli esperimenti effettuati da Giovanni Aldini, il nipote di Galvani, con l’elettroshock,
effettuato con la pila di Volta come generatore di carica elettrica. Questo era, in un’epoca in cui non
esistevano psicofarmaci, l’unico presidio terapeutico per i pazienti con disturbi psicomotori e psichiatrici
maggiori.
La Neurofisiologia Clinica inizia però con Luigi Galvani, un anatomico e chirurgo che, con dei noti esperimenti
sulla rana (che, in passato, venivano effettuati come esercitazione dagli studenti di Medicina), individuò il
ruolo dell’elettricità alla base della funzionalità dei tessuti eccitabili.
Galvani era solito appendere le zampe posteriori di rana (recise in corrispondenza del midollo spinale,
lasciando penzolare i nervi sciatici) alla ringhiera di metallo di un terrazzo, collegate tramite dei cavi metallici
tesi in alto. Sorprendentemente, le zampe si muovevano.
Questi esperimenti causarono dei dissidi con Volta, che, presso l’ateneo di Pavia, aveva costruito la pila e
sosteneva che l’esperimento di Galvani copiasse il funzionamento della sua invenzione.
Si dice che non fu Galvani, ma la sua cameriera a scoprire l’esperimento: mentre si preparava a servire a una
cena delle rane fresche su un vassoio di metallo, alcune le caddero per terra, nel raccoglierle, si accorse che
le gambe delle rane saltellavano per terra (era il metallo che conduceva una stimolazione nei nervi dei
muscoli posteriori della rana, determinandone la contrazione).
Un fisiologo francese confermò le osservazioni di Galvani mediante un esperimento sulla contrazione
muscolare che sfruttava un rudimentale galvanometro, che registrava delle variazioni di potenziale durante
i movimenti della mano immersa in un bicchiere d’acqua.
Richard Calton scoprì l’EEG e, senza accorgersene, i potenziali evocati. Con degli esperimenti sul coniglio,
scoprì che la corteccia dell’animale, aveva un’attività elettrica pulsatile, che cessava con la morte. Il decesso
corrisponde infatti alla cessazione dell’attività elettrica cerebrale, non all’arresto cardiaco.
Questo fu l’inizio della Frenologia, disciplina che studiava la localizzazione topografica delle funzioni
cerebrali. Le sperimentazioni venivano effettuate soprattutto sul cervello del cane: dando, per esempio, uno
stimolo luminoso agli occhi, si attivavano elettricamente alcune aree specifiche, diverse da quelle reclutate
dagli stimoli acustici. Toccando la zampetta dell’animale, si osservano delle deflessioni del tracciato, ovvero
dei potenziali evocati, espressione di una modificazione dell’attività bioelettrica della corteccia post-
rolandica controlaterale. Il fenomeno, all’epoca, venne considerato un artefatto, mentre oggi i potenziali
evocati sono utilizzati come esame di valutazione funzionale del sistema nervoso centrale.
Sempre sul cane, venne registrata la prima crisi epilettica, condizione a cui alcune razze, come il barboncino,
sono particolarmente soggette. A un certo punto, sul tracciato compare un’attività caotica, che corrisponde
alla convulsione dell’animale.
La scoperta fondamentale fu che la crisi epilettica è un’attività bioelettrica disordinata, quindi una patologia
del sistema nervoso centrale. Questa consapevolezza costituì una rivoluzione, dato che, prima, l’epilettico
era ritenuto posseduto dal demonio. Alcuni esempi sono il bambino posseduto dallo spirito immondo
descritto nei Vangeli e le molte personalità illustri che soffrivano d’epilessia, tra cui Giulio Cesare, che faceva
fuggire i presenti durante le sue crisi di grande male, Alessandro Magno, Dostoevskij, Napoleone.
Sempre nel cane, fu scoperta l’organizzazione dei toni nella cortezza temporale.
Hans Berger, uno psichiatra tedesco, fu il primo a registrare l’EEG, con un solo elettrodo, sullo scalpo del
figlio. Nella prima pubblicazione, che risale al 1929, in cui descrisse l’EEG, ebbe un’onestà scientifica rara,
ringraziando Carlton e riconoscendone il ruolo nella scoperta.
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SEMEIOTICA STRUMENTALE
ELETTROENCEFALOGRAFIA
È stata la prima metodica strumentale nella storia della Neurologia
e nella Psichiatria, la più utilizzata fino all’inizio degli anni ’80,
quando sono comparse le metodiche di neuroimaging.
A destra è riportato uno schema molto vecchio, che descrive i
componenti fondamentali della metodica: si pongono degli
elettrodi sullo scalpo, collegati a un sistema di amplificazione, che
carica il segnale dell’attività elettrica corticale e lo indirizza al CAD.
I dati si possono stampare su carta, vedere sul monitor,
sull’oscilloscopio, si possono archiviare su un dispositivo
magnetico, si possono vedere su smartphone e tablet. Oggi
esistono dei dispositivi che consentono di registrare l’EEG anche a
casa.
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L’ampiezza delle onde dipende dal numero di neuroni che scaricano in maniera sincrona: l’onda è tanto più
ampia all’aumentare della sincronicità (es. epilessia).
EEG PATOLOGICI
Dal punto di vista concettuale, le anomalie elettroencefalografiche possono essere raggruppate in tre grosse
categorie: epilettiformi, encefalopatiche, da lesioni cerebrali.
A seguire sono riportati alcuni esempi di alterazioni EEGgrafiche.
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Nella crisi tonico clonica generalizzata (grande male), non sempre è possibili collocare elettrodi e registrare
l’EEG a causa dei movimenti tonico-clonici generalizzati. Questo EEG è stato registrato durante il sonno.
In alcuni soggetti epilettici, sono presenti anomalie anche al di fuori delle crisi, scariche epilettiformi
intercritiche, caratterizzate da complessi punta-onda o polipunta-onda. La diagnosi si effettua
somministrando antiepilettici e verificando se le alterazioni EEG spariscono.
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Il professore mostra video di crisi parziale complessa, crisi parziale motoria, crisi frontale.
• Crisi parziale complessa: il paziente diventa confuso, non risponde, manifesta automatismi bucco-
linguali, che si propagano al braccio, con movimenti di tipo masturbatorio. L’EEG è la prova che si
tratta di un disturbo di natura comiziale, altrimenti potrebbe trattarsi di un disturbo
psichiatrico/psicogenico, che non ha la positività EEG.
• Crisi parziale motoria: sono presenti tremori, piccole scosse, clonie, EEG con punte.
• Crisi frontale o versiva: il paziente si gira, con atteggiamento da schermidore, non risponde, compare
la versione degli occhi. Risponde al contatto.
Individuare l’origine della crisi è importante per stabilire il trattamento.
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RALLENTAMENTO GENERALIZZATO
Tutto il tracciato a sinistra è costituito da onde delta, si tratta di un soggetto in coma, in questo caso da
encefalite. L’EEG è molto sensibile alle patologie infiammatorie infettive del SNC.
Il secondo EEG (a destra) è di un paziente con demenza di tipo Alzheimer. Bisogna tenere conto che
nell’anziano l’EEG rallenta fisiologicamente (alfa intorno a 8 Hz). Si registra un’attività lenta, focale. È
conservata la reazione d’arresto all’apertura degli occhi.
RALLENTAMENTO FOCALE
L’EEG in basso mostra un’attività lenta focale nelle
regioni anteriori di sinistra, con focolaio di onde delta
dal lobo frontale, in un paziente con astrocitoma (che
andrà sicuramente incontro a crisi epilettica).
TRACCIATO IPSARITMICO
Tipico degli spasmi infettivi. È un tracciato patologico
che, se non trattato, può lasciare un’encefalopatia
epilettica grave, con gravi deficit cognitivi e
comportamentali.
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ONDE TRIFASICHE
Hanno diversi significati. Per esempio, possono
presentarsi in un paziente in coma con emorragia
sub-aracnoidea, in insufficienza renale, ma le più
importanti sono le onde trifasiche diffuse tipiche
di encefalopatia porto-sistemica (coma epatico).
BURST SUPPRESSION
Tracciato caratterizzato da “scoppi” di attività
RI ASSUM ENDO…
alternati a “burst suppressoion” in cui l’attività cessa
per poi riprendere. Sono tipici di traumi cranici,
coma barbiturico (in passato l’EEG era usato per
RI ASSUM ENDO…
dosare il barbiturico per indurre il coma, quando le
Activity
pause tra attività elettrica duravano 5 s il Activity
sedativo
era sufficiente). Questo tracciato è stato registrato
in un paziente dopo arresto cardiaco.
UM ENDO…
RIASSUMENDO
Le immagini che seguono schematizzano le principali onde esaminate: punta-onda, polipunta-onda, onde
trifasiche, burst-suppression.
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POLIGRAFO
Consente di registrare, oltre all’EEG, altre attività, come l’attività muscolare e il respiro. È utile soprattutto
per lo studio del sonno.
Il sonno attraversa più stadi:
• Stadio 1: l’attività alfa inizia a scomparire
• Stadio 2: comparsa di pattern tipici: fusi del sonno e complessi K. Attività teta.
• Stadio 3 e 4: attività delta.
• Stadio REM: da rapid eye movements, tracciato simile a quello della veglia. È la fase del sogno: se si
risveglia il soggetto in questa fase, questo sta sempre sognando.
Il sonno è oggi oggetto di molte indagini, un aspetto particolarmente studiato è il ruolo regolatore degli
ormoni, molti dei quali hanno un andamento circadiano.
Un’altra problematica di grande interesse (anche per motivi economici) è il sonno non ristorativo: il prodotto
farmaceutico deve alterare il meno possibile la struttura del sonno.
ELETTROMIOGRAFIA
È una metodica che consiste nella registrazione dell’attività
elettrica di singole unità motorie, in cui riveste grande
importanza lo spessore professionale dell’operatore che la
esegue.
Viene usato l’ago-elettrodo concentrico coassiale,
introdotto negli anni ’20 da due fisiologi inglesi, Bronk e
Brown. Esistono anche altri aghi particolari, che consentono
di registrare l’attività di singole fibre muscolari (SFEMG), ma
sono appannaggio nei neurofisiologi con maggiore abilità
professionale.
L’unità motoria è costituita da un motoneurone, dalla sua radice, dall’assone, dalle diramazioni terminali e
dalle fibre muscolari da esso innervato. Se si inserisce un ago-elettrodo, e arriva un potenziale d’azione, prima
viene registrata l’attività delle fibre vicine alla punta dell’ago, poi quella delle fibre più lontane.
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DANNO MIOPATICO
Nell’immagine sono schematizzate alcuni tipi di danno
miopatico: mentre nel muscolo normale le fibrocellule sono
omogenee, distribuite uniformemente, nel muscolo
miopatico sono presenti fibre grosse, che rappresentano un
tentativo di rigenerazione. A seconda di dove si inserisce
l’ago, si registrano aspetti diversi.
DANNO NEUROGENO
Nel danno neurogeno, alcune fibre perdono
l’innervazione, sono “off”, e danno origine a un’attività
scoordinata da denervazione: il muscolo fibrilla. Con il
passare del tempo, alcune fibre muscolari vengono
reinnervate da fibre nervose limitrofe.
ELETTRONEUROGRAFIA
Lo studio della velocità di conduzione del nervo serve per verificarne l’integrità e, in caso di lesione,
identificare se questa è focale, diffusa, localizzata o in molteplici distretti (polineuropatia, es. p. diabetica).
I nervi sono i fili elettrici dell’organismo, per esaminarne il funzionamento occorre metterli in funzione, non
è sufficiente una Rx o RM con cui all’apparenza il nervo può essere intatto, ma aver subito un danno
funzionale. Il danno può essere secondario a una stiratura, o una compressione tale da causare ischemia,
situazioni piuttosto frequenti in corso di interventi chirurgici.
È possibile studiare separatamente la velocità di conduzione nelle fibre motorie e in quelle sensitive.
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Se la scarica viene data al gomito, la scarica di potenziale comparirà più tardi, dovendo percorrere un tratto
più lungo (8 ms). Noti lo spazio e il tempo, si può calcolare la velocità di conduzione del nervo (spazio/tempo),
per l’arto superiore il valore normale è di 60 m/s, per l’arto inferiore è intorno a 40 m/s.
RIFLESSO H E ONDE F
La tecnica sopra descritta consente di analizzare solo la parte più distale dei tronchi nervosi. Volendo studiare
la conduzione nelle porzioni più prossimali dei tronchi, si evocano due risposte: riflesso H e onde F.
Il riflesso H compare, nell’adulto, principalmente stimolando il muscolo soleo o i muscoli flessori del carpo,
mentre nel bambino piccolo, le cui vie corticali non sono mature, è presente a tutti i livelli.
Stimolando un nervo, l’impulso va dalla periferia al centro (senso ortodromico), trasmesso dalle fibre
afferenti Ia (propriocettive), passa dalle radici posteriori, e si instaura un riflesso monosinaptico, il cui braccio
efferente è rappresentato dai motoneuroni alfa. Il riflesso dura circa 30 ms.
Il riflesso H, quindi, viene evocato per esplorare la radice, e può subire delle alterazioni:
• aumenta in presenza di spasticità,
• scompare in presenza di ernia discale (in particolare, l’ernia a livello di S1 determina la scomparsa
del riflesso achilleo, di cui il riflesso H ne rappresenta l’equivalente elettrofisiologico).
• Scompare se si fa una sezione delle radici posteriori (sensitive) dei nervi.
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• Rallenta nelle poliradicolopatie. Es. nella Guillain Barré la latenza del riflesso aumenta, l’ampiezza si
riduce. L’EMG è il primo esame a mostrare un’alterazione, la diagnosi si fa con l’onda H e le onde F,
che esplorano le radici, colpite dall’infiammazione molto prima che il paziente manifesti la
dissociazione albumino-citologica, ovvero un aumento delle proteine nel liquido spinale
(proteinorrachia) non associata ad aumento delle cellule (pleiocitosi).
Le onde F (da foot, perché originariamente venivano derivate dai piccoli muscoli del piede) sono il risultato
dell’eccitazione antidromica di un ridotto numero di motoneuroni, attivati da uno stimolo elettrico
somministrato sul tronco nervoso. La stimolazione di un nervo motorio determina impulsi che viaggiano sia
in direzione antidromica (verso il motoneurone alfa) che ortodromica (verso i terminali nervosi). Il risultato
di una stimolazione di un nervo motorio comporta quindi:
• Risposta M, contrazione muscolare indotta dalla conduzione ortodromica
• Onda F, contrazione muscolare con latenza ritardata rispetto alla risposta M, indotta dalla
stimolazione antidromica del motoneurone alfa. L’onda F è in alcuni casi alterata (assente o ritardata)
in presenza di una patologia prossimale del sistema nervoso periferico, come una radicolopatia.
FIBRE AUTONOMICHE
Stimolando le fibre autonomiche simpatico-cutanee, ottengo una
variazione della sudorazione delle mani, che dimostra la presenza di
tali fibre.
Nella neuropatia diabetica, le alterazioni a carico di queste fibre
sono una spia importante, dato che la loro comparsa precede quella
dei disturbi vasomotori.
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RIFLESSO CORNEALE
Si stimola la cornea con cotone bagnato collegato con un piccolo stimolatore elettrico. È importante
effettuarlo per verificare lo stato di morte. È un riflesso nocicettivo puro, in quanto nella cornea ci sono solo
terminazioni nocicettive.
RIFLESSO MASSETERINO
È un riflesso propriocettivo, evocato con un colpo sul mento, tenuto tra le dita.
I riflessi trigeminali sono trattati in maniera più approfondita nel capitolo sulla semeiotica dei nervi cranici.
POTENZIALI EVOCATI
I potenziali evocati sono risposte elettriche del sistema nervoso elicitate da stimolazioni di vario tipo. Quindi,
al contrario dell’EEG, non si registra l’attività elettrica spontanea, bensì quella evocata. Comprendono:
• Potenziali evocati uditivi (BAEP)
• Potenziali evocati visivi (VEP)
• Potenziali evocati somato-sensoriali (SEP)
• Potenziali evocati motori.
• Potenziali emessi
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BAEP NORMALE
BAEP IN NEURINOMA
Il complesso delle onde IV e V è molto
ritardato a causa della presenza del
neurinoma, che compromette la
trasmissione del n. acustico e causa
una grande sofferenza del tronco
encefalico. Si tratta di un tracciato
utile per la valutazione chirurgica.
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La neurite ottica è un’infiammazione del nervo ottico, spesso la prima fase delle malattie demielinizzanti.
Nella fase acuta, si ha una riduzione delle risposte al movimento della mano (hand moving), sia all’ERG, che
ai VEP. Dopo un mese, l’acuità visiva è recuperata, ma la l’alterazione della latenza permane. Inoltre, nella
neurite ottica è compromessa soprattutto la visione del colore.
Nel glaucoma i VEP sono utili per valutare l’efficacia del trattamento farmacologico. Se si alterano i VEP
bisogna intervenire chirurgicamente, perché rappresenta l’evoluzione verso lo scompenso.
ELETTRORETINOGRAMMA
Si può registrare il potenziale che origina direttamente all’interno della
retina (i VEP infatti registrano solo la conduzione a partire dal nervo
ottico). L’ERG può essere condotto con due modalità:
• da flash, si ottiene una risposta massiva della retina, poco
specifica.
• da pattern (scoperta pisana, fatta dai i prof. Moruzzi e Maffei),
consente di ottenere una risposta più specifica. Questo esame
valuta la risposta che corrisponde all’attivazione delle cellule
gangliari della retina, che sono quelle da cui origina il n. ottico.
La degenerazione di queste cellule comporta danno visivo senza
possibilità di recupero.
IL COLORE
A differenza di quello di molti animali, il sistema visivo umano consente la visione del colore, che è
compromessa in alcune patologie, una su tutte la discromatopsia congenita. Le cellule che consentono la
visione del colore sono i coni rossi, verdi e blu.
Il sistema visivo è composto da tre vie:
• Una per la luminanza (magnocellulare)
• Una per il colore (parvocellulare)
• Una, più rudimentale, per il giallo e il blu (koniocellulare)
Con degli stimoli particolari, è possibile effettuare indagini neurofisiologiche in cui si attivano selettivamente
solo la via magnocellulare, parvicellulare o koniocellulare.
Questo consente di integrare la diagnosi di alcune patologie, per esempio, nella sclerosi multipla, in cui le
risposte per il colore nell’occhio colpito da neurite retrobulbare si alterano precocemente.
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La PESS agli arti superiori è un esame utile anche nella valutazione della
prognosi di condizioni in cui si ha una grave alterazione funzionale del SNC, come nel caso del coma post
anossico (in cui si vede scomparire la componente N20).
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PESS E PEM servono per la valutazione funzionale del midollo, per la prognosi post-intervento. Es. se in un
pz paraplegico, dopo un mese dall’intervento, non si ottengono prove di trasmissione motoria o sensitiva, il
pz rimane paraplegico a vita.
Inoltre, oltre ai fenomeni eccitatori, si possono studiare anche i fenomeni inibitori e questo è importante per
vedere l’effetto dei farmaci sulla corteccia. Es. si danno al pz antiepilettici, che reprimono l’attività corticale,
poi si studia se si ha una diminuzione dell’eccitabilità alla stimolazione magnetica.
5) POTENZIALI EMESSI
I potenziali evento-correlati (ERPs) comprendono due tipi di potenziali: quelli evocati e quelli emessi. I
potenziali evocati derivano da uno stimolo, quelli potenziali emessi, invece, sono potenziali che sono prodotti
dal cervello ed esprimono le attività mentali endogene.
Il CNV (contingent negative variation) è il primo segnale emesso rilevato. Nello studio grazie a cui è stato
identificato, l’operatore mandava con un click dei flashes al soggetto, e il soggetto, appena li rilevava, doveva
interromperli premendo un pulsante. Quindi è stato dato un compito motorio al soggetto. Si è visto che,
quando l’operatore faceva il click, si registrava nel soggetto una variazione del potenziale frontale corticale
prima ancora che partisse la luce: questa fu chiamata CNV.
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NOTA: Per coscienza si intende il contenuto, la consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante. Essere vigile
non vuol dire essere cosciente; nel coma vegetativo il pz è vigile (respira, si nutre), ma non è cosciente.
Per la valutazione dello stato di coscienza del pz si eseguono i potenziali elettrocorrelati; questo è
fondamentale anche ai fini riabilitativi perché un pz con un possibile recupero intraprenderà la riabilitazione,
un pz senza questa possibilità no.
TECNICHE DI BACK-AVERAGING
Si possono studiare anche gli eventi corticali emessi con metodi di “averaging all’indietro”, che mostrano
cosa succede al cervello prima del movimento volontario (corteccia frontale controlaterale). Questo è il
potenziale premotorio (altro tipo di potenziale evento-correlato) con cui si programma il movimento. Lo
studio di questi potenziali ha importanza soprattutto nei disturbi motori come il Parkinson.
Esempi di utilizzo
Se un soggetto muove un arto, l’attività elettrica non è solo da un lato, ma
su tutti e due gli emisferi, questo significa che il pattern motorio non
funziona a compartimenti stagni.
Una delle applicazioni principali è nello studio del mioclono, per valutare se
esso origina a livello corticale, del tronco o spinale (importante da definire
perché hanno trattamenti diversi). Nell’ambito delle mioclonie, soprattutto
in neurologia pediatrica, si valuta il tempo motorio tra l’attività elettrica
centrale e quella periferica (nell’immagine, rappresentate rispettivamente
dal punto A e B).
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• Neuroradiologia interventistica
• Urologia (monitoraggio del pudendo → impotenza)
• Chirurgia dell’epilessia (per identificare i foci)
• Anestesiologia
• Vie acustiche (fossa cranica posteriore)
• Vie sensitive (PESS degli arti superiori e inferiori)
• Vie motorie (PEM e EMG)
Per vedere se c’è un’alterazione a un certo livello, va stimolata quella zona e poi si osserva se la risposta
prodotta è normale o no.
MAGNETOENCEFALOGRAFIA (MEG)
Era diffusa in molti paesi per localizzare con precisione certe aree cerebrali. Ora è più sviluppata nei paesi
del Nord e nel Giappone, a causa dei costi elevati e delle difficoltà operative. In Italia esistono poche sedi che
praticano questa tecnica. Sono registrati piccoli campi magnetici legati alla depolarizzazione delle cellule
neuronali.
PLASTICITÀ CEREBRALE
La plasticità cerebrale (omeostatica) è la capacità del cervello di adattarsi a certe condizioni o di compensare.
Infatti, i meccanismi della plasticità entrano in gioco a seguito di danni cerebrali e stanno alla base dei
processi di recupero funzionale (riorganizzazione della funzione della sede originaria, spostamento di una
funzione in una nuova area cerebrale, sostituzione del deficit con l’apprendimento di strategie
comportamentali).
Le fasi della plasticità sinaptica sono:
• sprouting (arborizzazione dei neuroni adiaventi);
• rigenerazione assonale (completa ricrescita dei neuroni danneggiati);
• ipersensibilità postsinaptica (aumenta l’accuratezza della trasmissione sinaptica);
• svelamento di sinapsi latenti.
TECNICHE DI NEUROSTIMOLAZIONE
I neurofisiologi hanno cercato di indirizzare questa plasticità, usando principi di stimolazione di vario tipo.
Le principali tecniche di neurostimolazione di superficie (non invasive) sono:
• stimolazione magnetica ripetitiva (TMS). Si temeva che fosse epilettogena, ma non lo è (sono
metodiche che se usate correttamente non hanno rischi);
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Esiste anche una tecnica di stimolazione cerebellare che riduce il dolore in certe condizioni, come nel dolore
da arto fantasma.
C’è molta applicazione della neuromodulazione di superficie. Oggi viene usata la DCS nello strabismo (non
c’è nessuna alterazione morfologica rilevabile con la RM, si tratta di un disturbo funzionale). Dando una
stimolazione con DCS, questi pz recuperano una parte dell’acuità visiva.
Inoltre, la neuromodulazione di superficie viene usata anche come doping (perché non lascia traccia).
È stato fatto uno studio sulla neuromodulazione in cui “si fanno passare” pensieri tra i cervelli di due persone:
il soggetto A doveva colpire un bersaglio sul monitor, contemporaneamente veniva registrata l’attività
encefalografica e questa veniva trasmessa al soggetto B, posto a km di distanza. Si è visto che il soggetto B
faceva gli stessi movimenti di A: questa è vista come una possibilità di apprendimento, a dimostrazione che
la neurofisiologia clinica è alla base della robotica e neuroscienze.
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Immagini (nell’ordine). 1. Carotide interna (CI) normale, 2. Stenosi CI, 3. Occlusione CI.
DOPPLER TRANSCRANICO
Gli ultrasuoni non passano l’osso, tuttavia con il doppler trans-cranico è possibile vedere ciò che accade nel
cranio, grazie alla presenza di alcune “finestre”: il forame ottico, la squama del temporale (che è molto
sottile) e il forame suboccipitale (mettendo la sonda dal basso si possono vedere i rami della basilare).
Con questa tecnica, si possono indagare:
• Eventi emodinamici: stenosi intracraniche, circoli di compenso, riserva vasomotoria.
• Eventi embolici: stenosi carotidea, cardioembolia, embolia paradossa.
Inoltre, il doppler trans-cranico è un esame utile in caso di angioplastica, stenting e endoarterectomia.
Esempi di utilizzo
• Occlusione e ricanalizzazione dell’arteria basilare. È un
fenomeno che si verifica soprattutto nei giovani e se non
scoperto precocemente è incompatibile con la vita.
Questa condizione spesso viene sotto-diagnosticata
perché con la TC non si vede. Nei casi diagnosticati, si fa
fibrinolisi locoregionale con un catetere che disostruisce;
bisogna però fare attenzione alla pratica interventistica
perché nelle ischemie il cervello diventa più molle e
l’utilizzo del catetere può aggravare la situazione
(immagine a lato: in alto si ha l’occlusione, in basso la
ricanalizzazione).
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• Valutazione grado della stenosi: il grado varia in base alla velocità del flusso e alla morfologia della
stenosi stessa, infatti alcune placche placche embolizzano di più di altre.
I vasi stenotici sono allargati con un palloncino e supportati da stent, che se posizionato
correttamente, risolve la stenosi. Tuttavia, a volte accade che alcuni stent si richiudano. Quindi una
volta posizionato lo stent, usando l’ecodoppler, si vede se funziona o no. Oggi gli stent sono fatti
medicalizzati, ci sono materiali che dovrebbero impedire il verificarsi della trombosi.
• Sono-trombolisi: gli ultrasuoni possono aiutare a frammentare il trombo, tuttavia c’è il rischio che la
corrente porti emboli al di sopra.
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NEUROEPIDEMIOLOGIA
DIAGNOSI NEUROLOGICA
La diagnosi in neurologia consiste nel ricercare:
1. Sede. La sede si indaga attraverso:
o L’analisi dei segni (piramidali, extrapiramidali, cerebellari, sensitivi ecc.);
o La topografia, cioè la distribuzione del deficit (prossimale, distale, monolaterale, bilaterale).
2. Natura. La natura si indaga attraverso:
o L’analisi dei sintomi (deficit di forza, deficit di sensibilità, disfonia, disfagia, deficit del visus,
diplopia, ipoacusia, vertigini, confusione, deficit mnestico, afasia);
o La cronopatologia, cioè lo sviluppo della patologia: esordio (acuto – min/h, subacuto – giorni,
cronico – settimane), decorso (stazionario, ricorrente, intermittente, progressivo), esito.
Oggi la semeiotica è quasi del tutto trascurata, spesso si preferisce ricorrere alle indagini strumentali, anche
se talora le immagini possono essere interpretate in modo sbagliato. Es. un pz non muove il braccio sx, la TC
e RM evidenziano una lesione a sx: non c’è corrispondenza perché la lesione dovrebbe essere a dx.
Guardando anche i riflessi si vede che il pz ha anche iporeflessia, questo a riprova che aveva una paralisi del
plesso brachiale causata da un ematoma. Quindi l’imaging deve giustificare il quadro clinico. È vero che le
indagini strumentali sono utili (medicina difensiva), però non si deve fare un eccessivo ricorso ad esse.
Anche i sintomi vanno analizzati bene e si deve vedere se tornano col quadro clinico (talvolta possono non
essere associati ed essere fuorvianti nella diagnosi).
NEUROEPIDEMIOLOGIA
La neuroepidemiologia è quella branca dell’epidemiologia che studia le malattie del sistema nervoso. Studia
disturbi che sono caratterizzati da diagnosi difficoltosa (spesso non si hanno test diagnostici specifici) e talora
incerta classificazione. È una disciplina necessaria per una razionale pianificazione dei servizi e degli
investimenti sanitari e dà rilevanti contributi alle ipotesi eziologiche.
Si basa su tre tipi di studio: descrittivi, analitici e sperimentali.
STUDI DESCRITTIVI
Gli studi descrittivi sono i più importanti, quantificano la frequenza della malattia in rapporto a fattori
individuali, spaziali e temporali. Si basa su:
• definizione della popolazione da indagare. Lo studio del campione prevede una definizione
temporale e spaziale (quest’ultima intesa in termini di collettività o di confini geografici). Oggi si fa
riferimento soprattutto ai territori regionali, in quanto la sanità ha connotati regionali e alcune
malattie sono differenti tra le varie regioni;
• definizione della malattia di interesse;
• calcolo dei tassi
o tasso di prevalenza della malattia Z nel tempo T = numero di casi con malattia Z nel tempo T
/ popolazione totale al tempo T x 100.000
o tasso di incidenza della malattia Z per anno Y = numero di casi esorditi nell’anno Y /
(popolazione all’inizio dell’anno Y + popolazione alla fine dell’anno)/2 x 100.000
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Sbobine 2.0
STUDI ANALITICI
Si distinguono due tipi di studi:
• Studi di coorte. Il vantaggio è che forniscono dati diretti e quindi validi e attendibili; tuttavia sono
studi difficili da praticare in neurologia perché le malattie spesso sono poco frequenti o rare.
• Studi caso-controllo. Impiegano un gruppo di controllo costruito associando ad ogni caso un
individuo simile (per età, sesso, luogo di residenza, tipo di lavoro, scolarità). Il vantaggio è che può
essere impiegato per lo studio di piccoli gruppi di individui (es SLA o SM).
Rischio relativo
RR = tasso di incidenza della malattia nel gruppo degli esposti / tasso di incidenza nel gruppo dei non esposti.
Risultati di studio
La stima del rischio o dell’effetto del trattamento/fattore è data dall’intervallo di confidenza (CI 95%) che
dice in quale range può collocarsi il vero valore nella popolazione generale: la stima è tanto più precisa quanto
più il range del CI è stretto.
La forza dell’associazione tra esposizione ed è esito è data dal RR.
• Valori > 1 indicano un incremento del rischio associato con l’esposizione
• Valori < 1 indicano una riduzione del rischio
Es. livello di rischio nell’Alzheimer: soggetti con più bassa scolarità hanno un maggiore rischio di sviluppare
Alzheimer.
La stima del rischio viene valutata anche in termini di distribuzione geografica. Es. la distribuzione mondiale
della SM è diversa in base alle diverse latitudini: ci sono alcune aree in cui la malattia non esiste (paesi meno
sviluppati) a dimostrazione che alcuni fattori ambientali, ancora non ben identificati, giocano un certo ruolo.
Odds Ratio
Negli studi caso controllo, in assenza del totale degli esposti, non si può usare il RR; si utilizza invece l’Odds
Ratio, rapporto tra le probabilità dell’evento negli esposti (casi) e nei controlli. OR = a x d / b x c.
Es. Studio in cui si vede la correlazione tra Alzheimer e trauma cranico. L’OR è più elevato nei soggetti con
trauma cranico con perdita di coscienza. La malattia di Alzheimer comunque è sempre più frequente nei
soggetti che hanno avuto un trauma cranico, rispetto a quelli che non l’hanno avuto. Un esempio sono i
pugili, che vanno incontro a traumi cranici (KO, trauma cranico con perdita coscienza < 10 sec): tutti i pugili
sono diventati anche dementi, si parla di demenza post traumatica.
STUDI SPERIMANTALI
Valutano una relazione di causa effetto: si introduce in un gruppo il fattore del quale si desidera valutare gli
effetti. Si usano clinical trials soprattutto per lo studio di farmaci sperimentali.
Le fasi cliniche dello sviluppo di un nuovo farmaco sono:
• Fase 1 (su volontari sani): si studiano tollerabilità e cinetica;
• Fase 2: si studiano efficacia e tollerabilità, si ricerca la dose terapeutica;
• Fase 3: si studiano efficacia e tollerabilità, si ricerca la collocazione terapeutica;
• Fase 4: si studia la tollerabilità.
I trials clinici servono al produttore per ottenere la registrazione, ai finanziatori dello studio per ottenere la
rimborsabilità, alle autorità regolatorie per autorizzare l’impiego del farmaco, al medico per poter utilizzare
il farmaco, al pz per avere altre chance, all’ambito medico in senso lato per avere evidenze scientifiche.
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Sbobine 2.0
Medicina basata sull’evidenza: consiste in metanalisi fatte da persone indipendenti (non coinvolte
direttamente), che vedono l’efficacia di certi farmaci o procedure terapeutiche. Molte pratiche terapeutiche
si sono rivelate inefficaci e talora dannose per i soggetti stessi. Es. in caso di carotide interna chiusa, si faceva
un bypass dall’esterna all’interna (rivascolarizzazione): questa è una pratica che è andata avanti anni, ma che
è dannosa perché spesso determinava complicanze emorragiche con morte dei pz più precoce.
Gli studi devono essere randomizzati e controllati, ma spesso la randomizzazione non viene fatta.
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Sbobine 2.0
Le lezioni saranno svolte da diversi professori tra cui i principali sono il prof. Siciliano, coordinatore del corso, prof. Sartucci, prof. Chisari per la parte
di ribilitazione e prof. Perrini, neurochirurgo. L’orario delle lezioni con gli argomenti che verranno trattati di volta i volta si può trovare online.
L’esame è scritto e costituito da 20 domande a crocette più un argomento a risposta aperta, l’orale è facoltativo. Il 6 dicembre sarà possibile fare una
prova in tinere sugli argomenti di semeiotica neurologica clinica e strumentale, vale ¼ del voto totale.
SEMEIOTICA NEUROLOGICA
Il SN dell’uomo è il più sofisticato ed evoluto, presenta un livello di complessità maggiore rispetto alle altre
specie e le diverse aree cerebrali sono deputate a funzioni diverse, ciò è molto utile in clinica perchè si
riscontra una corrispondenza topografica tra segni/sintomi e localizzazione della lesione: questo permette
di formulare un sospetto clinico che verrà poi confermato con specifiche indagini, evitando di sottoporre il
pz ad esami inutili e spesso molto costosi. Ad esempio se un pz lamenta cefalea sappiamo già che presenta
una patologia centrale che potrà essere indagata con una TC cerebrale o un EEG; viceversa un pz che riporta
dolore sciatalgico (dolore irradiato posteriormente sia a livello della coscia che della gamba) avrà
probabilmente una radicolopatia a livello di S1.
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Sbobine 2.0
LINGUAGGIO
AFASIA
La fasia (come anche la gnosia) fa parte delle funzioni simboliche, funzioni superiori accomunate dal fatto
che permettono l’interazione con gli altri individui tramite l’utilizzo di codici di realizzazione e di
interpretazione. I disturbi vengono indicati col termine afasia, di cui esistono vari tipi:
• Fluente - non fluente
• Motoria - sensoriale
• Espressiva - comprensiva
Il disturbo varia quindi a seconda che sia coinvolta l’area di Broca nel lobo frontale o l’area di Wernicke nella
prima circonvoluzione temporale nell’emisfero dominante. Esistono anche l’afasia di conduzione, in cui la
lesione coinvolge il collegamento tra due aree, o le cosiddette afasie globali, in cui entrambe le aree sono
lesionate.
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Sbobine 2.0
L'afasia globale è la forma più severa di afasia, con grave compromissione di tutte le funzioni del linguaggio
(fluenza, denominazione, ripetizione, comprensione, lettura, scrittura). E' per lo più dovuta a infarto
dell'arteria cerebrale media, e si associa ad altri deficit neurologici, in base ai territori colpiti.
Un'afasia globale transitoria si può avere nei primi giorni post-ictus poiché l'edema cerebrale rende non
funzionanti ampie aree corticali. Quando l'edema regredisce l'afasia evolve di solito verso una forma
semplice.
AFASIE FLUENTI
Le afasie fluenti sono:
• Afasia sensoriale o di Wernicke
• Afasia di conduzione
• Afasia transcorticale sensoriale
• Afasia amnestica
L'afasia di Wernicke si caratterizza per compromissione sia delle capacità recettive che espressive. Dal punto
di vista recettivo l'afasico di Wernicke non è in grado di comprendere il linguaggio, per cui non eseguirà
ordini e non sarà in grado di nominare gli oggetti (perché sa dare loro un nome,non perché non riesce a
dire il loro nome come nell'afasia di Broca). Allo stesso modo il soggetto non comprenderà il linguaggio
scritto. Dal punto di vista espressivo questo soggetto ha un eloquio fluente e abbondante, ma caratterizzato
da errori fonetici (neologismi, passe-partout, parafasie fonetiche) che possono dare luogo a un vero e proprio
gergo (gergoafasia ). Allo stesso modo il soggetto non sarà in grado di trasformare il proprio pensiero in
parole scritte.
L'afasico di Wernicke, al contarlo di quello di Broca, non è consapevole del proprio deficit ed è privo di
capacità critica. Pertanto in questo caso avremo un soggetto che capisce male e ripete altrettanto male:
l'afasico di Wernicke in ultima analisi non riesce a trasformare il pensiero in linguaggio e il linguaggio in
pensieri e concetti.
Nell'afasia di conduzione viene leso il fascicolo arcuato, per cui saranno compromesse soprattutto la
ripetizione e la denominazione.
Nell'afasia transcorticale sensoriale viene leso il giro angolare parietale sinistro (area 39), un'area associativa
terziaria. In questa lesione si ha compromissione della comprensione e del linguaggio spontaneo, associati a
disturbi visivi e aprassia ideomotoria.
Nell'afasia amnestica sono lese le aree 37 e 39 (aree associative terziarie); il paziente non riesce a rievocare
il nome degli oggetti pur mostrando di riconoscerli.
DISARTRIA
In questo caso il soggetto non ha difficoltà nell’utilizzo o nella comprensione del codice ma nell’articolazione
delle parole. Le cause possono essere diverse:
• Lesione cerebellare, caratterizzata da un marcato scandimento sillabico poichè manca la capacita di
eseguire il movimeno in modo fluido e armonico;
• Lesione bilaterale del primo motoneurone;
• Lesione del secondo motoneurone (VII, X, XII nervo cranico);
• Lesione extrapiramidale, sistema motorio che opera in parallelo al piramidale, assicura il tono
muscolare basale e l’armonizzazione dei movimenti volontari, costituito da varie strutture come
nuclei della base, nucleo rosso, sostanza nera del Sommering. Alla base del morbo di Parkinson vi è
una lesione di questo sistema, in particolare la degenerazione dei neuroni dopaminergici della
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Sbobine 2.0
DISFONIA
Può essere dovuta a una lesione del n. Ricorrente ma anche di natura centrale, infatti il pz con Parkinson può
presentare ipofonia fino a diventare quasi afono.
FUNZIONE MOTORIA
La forza muscolare è l’aspetto più elementare e si può valutare tramite seplici manovre. Ad esempio per gli
arti superiori si chiede al pz di assumere la posizione di Mingazzini o la variante sensibilizzata (rispettivamente
prima e seconda immagine) e di mantenerla il più possibile, quindi contro gravità. In condizioni normali il
soggetto abbassa le braccia dopo un certo tempo per affaticamento fisiologico, in caso di alterazioni si
verificherà la caduta immediata dell’arto o della mano con flessione del polso.
Un’altra tecnica prevede lo svolgimento di prove contro resistenza, quindi contro una forza maggiore della
gravità, che sarà varabile a seconda delle caratteristiche dell’operatore.
Per rendere più oggettive le valutazioni e monitorare eventuali cambiamenti in follow up si usano delle scale
semiquantitative, come la scala mrc (medical research council) che permette di assegnare un punteggio da
0 a 5. Le alterazioni della forza muscolare riguardano:
• Paresi, diminuzione della forza;
• Plegia, assenza di movimento a carico di:
o Un arto (monoplegia);
o Arti inferiori (paraplegia);
o Un lato del corpo (emiplegia, controlaterale alla lesione centrale);
o Tutti i quattro arti (tetraplegia).
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Sbobine 2.0
• Lesione del secondo motoneurone: ipostenia flaccida, ipotonia, ipotrofia muscolare, iporeflessia
osteotendinea. [trofismo muscolare: valutazione del volume muscolare con ispezione, palpazione e
misura della circonferenza di un gruppo muscolare]
• Miopatia: ipostenia prevalentemente prossimale, ipotonia, ipotrofia, iporeflessia osteotendinea.
• Lesione della giunzione neuromuscolare: faticabilità, tono normale o ridotto, riflessi normali.
MOVIMENTI INVOLONTARI
Alcuni di essi sono fisiologici (ad esempio il mioclono durante il sonno o il tremore emozionale), altri
patologici:
• Tremore, oscillazione ritmica dovuta a contrazione alternante di agonisti e antagonisti, tipico delle
lesioni extrapiramidali;
• Mioclono, contrazioni muscolari rapide e brevi che possono determinare lo spostamento di un
segmento corporeo, tipico di cune epilessie;
• Fascicolazioni, contrazioni di singole unità motorie dovute a impulsi anomali generati dal
motoneurone o dal suo assone;
• Movimenti coreici, improvvisi, imprevedibili, di tipo fasico; si verificano nelle lesioni del nucleo
caudato;
• Movimenti atetosici, lenti, tentacolari, subcontinui, soprattutto distali; si verificano nelle lesioni del
putamen;
• Movimenti ballici, violenti, fasici; presenti nelle lesioni del nucleo subtalamico;
• Distonie, contrazioni lente e sostenute che impongono l’alterazione della postura di un segmento
corporeo (ad esempio il torcicollo spasmodico).
FATICA MUSCOLARE
Con fatica muscolare si intende una situazione in cui il soggetto non è più in grado di mantenere livelli
contrattili di forza muscolare nel tempo durante una contrazione prolungata o ripetuta. Questo importante
concetto temporale consente di distinguerla dal deficit o dalla debolezza muscolare, che sono indipendenti
dal tempo. Esistono diverse patologie caratterizzate dall’insorgenza di fatica muscolare come:
• Miastenia gravis, che colpisce la placca neuromuscolare. Si ha precoce affaticabilità tale che da una
situazione normale al mattino, si arriva a ptosi palpebrale e voce fioca alla sera;
• Miopatie metaboliche, in cui un certo numero di cellule non è in grado di usare le fonti energetiche
che consentono la sintesi di ATP. Tra queste rientra la malattia di McArdle, in cui si ha un deficit di
miofosforilasi con incapacità di usare il glicogeno.
Il fenomeno viene valutato in base a due parametri, forza muscolare e segnale elettromiografico, i quali si
deteriorano nel tempo. Questo avviene in maniera fisiologica entro certi limiti, ma se supera certi livelli
risulterà essere patologico.
Da un punto di vista molecolare e cellulari, si possono osservare:
• Alterazione dell’eccitabilità del sarcolemma, dell’accoppiamento elettromeccanico e del ricorso alle
fonti d’energia;
• Situazioni in cui questi meccanismi sono conservati ma per un processo distrofico le fibre muscolari
sono ridotte in numero o in volume;
• Processi che colpiscono il tessuto interstiziale, come vasculiti o infiammazioni muscolari.
È importante quindi risalire alle possibili cause di fronte ad un evento clinicamente misurabile. Per fare ciò
sono presenti diversi test che consentono di obiettivare il sintomo riferito dal paziente.
• Spettroscopia del fosforo, che consente di valutare la concentrazione di ATP o creatin-fosfato.
• Test dell’acido lattico, molto più semplice, in cui si chiede al paziente di contrarre, in condizioni di
anaerobiosi e in maniera massimale e intermittente, i muscoli flessori dell’avambraccio per un
minuto. In questo modo, oltre a forza muscolare e segnale elettromiografico, viene valutata la
produzione di acido lattico, che parte da un certo valore e ritorna ai livelli basali dopo 10-20 minuti:
o In caso di patologia mitocondriale la produzione aumenta in maniera eccessiva;
o In caso di malattia di McArdle non viene più prodotto.
• Dosaggio delle CPK, importante biomarcatore di danno muscolare.
• Elettromiografia.
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Sbobine 2.0
SENSIBILITÀ
La sensibilità rappresenta uno dei cardini dell’esame obiettivo neurologico. È importante distinguere due
aspetti importanti:
• Sensibilità soggettiva: sensazioni non correlabili a stimoli. Si riferiscono a sensazioni spontanee
inusuali ed a contenuto qualitativamente e quantitativamente abnorme quali parestesie, dolore,
prurito, definibili come “sintomi sensitivi positivi”;
• Sensibilità oggettiva: normali sensazioni che sono riconosciute o percepite come derivanti da stimoli.
Viene valutata con un approccio che tenga in considerazione le modalità della sensibilità generale e
le vie che possono essere interessate;
Queste due varianti si ritrovano contemporaneamente all’interno della stessa patologia (ad esempio nella
cefalea, la cui diagnosi si basa sulle caratteristiche qualitative del dolore).
Possiamo inoltre distinguere la sensibilità in base al livello di elaborazione che essa rchiede:
• Sensibilità elementare
o Superficiale o esterocettiva
Tattile;
Termica;
Dolorifica superficiale.
o Profonda o propriocettiva
Cinestesica (di movimento);
Barestesica (di pressione);
Pallestesia (capacità di percepire una vibrazione);
Batiestesia (di posizione);
Dolorifica profonda.
• Sensibilità complessa
o Topoestesia;
o Grafoestesia, capacità di riconoscere dei simboli;
o Stereognosia, capacità di riconoscere la tridimensionalità di uno stimolo.
Queste modalità di interpretazione di stimoli hanno bisogno di un apparato recettoriale, di un sistema di
trasduzione del segnale che possa generare l’impulso elettrico, di vie periferiche di trasmissione verso il SNC
e dell’elaborazione a livello soprasegmentario e corticale. In un paziente in cui sono alterate sia le sensibilità
elementari che quelle complesse, si avrà una patologia a livello corticale nelle aree responsabili
dell’elaborazione sensitiva (sindrome parietale)
Ciò che viene riferito dal paziente dev’essere poi riportato con una terminologia specifica:
• Disestesia, sensazione spiacevole o anche dolorosa abnorme che colora parestesie spontanee o
evocate. Si tratta di un dolore strano mai provato prima, a scossa elettrica, a punta di spillo, urente;
• Iperestesia, aumentata sensibilità ad uno stimolo per diminuzione della soglia o per aumentata
risposta allo stesso;
• Iperalgesia, percezione sproporzionata in eccesso di uno stimolo doloroso;
• Allodinia, percezione di dolore per stimoli normalmente non dolorosi, specie tattili. Si tratta di un
errore nell’identificazione della qualità dello stimolo;
• Alloestesia, percezione di dolore superficiale in un’area normoestesica differente da quella
ipoestesica stimolata. Se assume carattere controlaterale viene definita allochiria;
• Iperpatia, sindrome caratterizzata da abnorme e ritardata reazione dolorosa ad uno stimolo, con
aumento della soglia percettiva, dolore con forte connotato psicoaffettivo.
Interpretare in maniera corretta un segno neurologico può essere utile per collegare una serie di dati clinici
alla sede anatomica del processo patologico alla base del disturbo.
Si parla quindi di:
• Ipoestesia, quando si ha un deficit parziale della sensibilità generale;
• Anestesia, quando si ha un deficit completo della sensibilità generale;
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DERMATOMERI
I dermatomeri rappresentano la distribuzione metamerica a livello cutaneo e la successiva ridistribuzione
secondo l’anatomia dei tronchi nervosi periferici. Una sintomatologia sensitiva che si localizza a livello di
una determinata regione consente di risalire alla sede coinvolta e di conseguenza alla patologia.
Alcuni esempi sono:
• Distribuzione radicolare tipica della lombosciatalgia, con sintomatologia dolorosa lungo la superficie
posteriore dell’arto inferiore con distribuzione prossimo-caudale;
• Distribuzione tronculare tipico di una neuropatia periferica, con disturbo parestesico delle mani o dei
piedi;
• Lesione delle proiezioni sensitive centrali (es talamo o lobo parietale), con interessamento
dell’emilato opposto;
• Lesione midollare, con alterazione nei distretti distali a livello lesionale.
RIFLESSI
Con riflesso si intende un’attività neurologica che si configura in risposta ad uno stimolo esterno. Si tratta
di una risposta che riconosce una connessione neuronale di varia configurazione. Si distinguono:
• Riflessi osteotendinei, più semplici, vengono rilevati con il martelletto. Sono basati su archi diastaltici
bineuronali, in cui un neurone afferente propriocettivo va ad innervare il fuso neuromuscolare o
l’apparato tendineo del Golgi e un neurone efferente motorio si articola con un motoneurone alfa a
livello midollare. Sono presenti una serie di meccanismi di controllo, come i motoneuroni gamma,
interneuroni o sistemi soprasegmentari discendenti, che facilitano o ostacolano l’innesco del riflesso;
• Riflessi complessi, con un arco diastaltico che può raggiungere anche aree sottocorticali o corticali.
Le alterazioni dei riflessi possono manifestarsi come:
• Ipo-/areflessia, con riduzione o abolizione del riflesso, tipica dell’interessamento del sistema nervoso
periferico;
• Iperreflessia, con accentuazione del riflesso, tipica delle patologie piramidali.
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Sbobine 2.0
Riflessi osteotendinei
I riflessi propriocettivi si ottengono stimolando la distensione del fuso neuromuscolare e quindi inducendo
una risposta motoria del segmento. Si tratta si riflessi monosinaptici che consentono di valutare il neurone
afferente sensitivo e il neurone efferente motorio. Ne è un esempio il riflesso tricipitale: si percuote con il
martelletto il tendine distale del tricipite brachiale subito prossimalmente al gomito. Si osserva la contrazione
del tricipite, con estensione dell’arto. Si
valutano le radici di C6-C7 (soprattutto) del
nervo radiale. In caso di radiculopatie o
distrofia fascio-scapolo-omerale si osserva la
mancanza del riflesso, mentre in caso di
patologie piramidali si osserverà iperreflessia.
COORDINAZIONE MOTORIA
L’esame della coordinazione motoria va a valutare principalmente l’integrazione cerebellare di input sensitivi
al fine di produrre output motori. L’alterazione di queste capacità può portare a:
• Dismetria, alterata regolazione della forma muscolare;
• Asinergia, alterazione nella sequenza temporale del movimento;
• Atassia, disturbo della coordinazione della marcia;
• Astasia, disturbo della coordinazione nella stazione eretta;
• Adiadococinesia, disturbo di coordinazione nei movimenti alternati.
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Sbobine 2.0
FUNZIONI SUPERIORI
Le funzioni cognitive rappresentano una delle prerogative svolte dalle componenti funzionalmente più
elevate del SNC, le strutture corticali encefaliche, che attraverso connessioni funzionali mettono in
comunicazione le diverse aree del SNC per esplicare tali funzioni cognitive. Nonostante la loro complessità, è
importante considerare queste funzioni in relazione a un principio localizzatorio morfo-funzionale, in
quanto un determinato disturbo è indicativo di una patologia che altera il funzionamento di una specifica
area corticale. Modelli di funzionamento cognitivo derivanti dalla neuropsicologia comportamentale
sperimentale trovano infatti applicazione in neurologia clinica, il che da una parte facilita la diagnosi, dall’altra
suggerisce il percorso neuroriabilitativo più idoneo. Quindi, valutare un assetto cognitivo tramite appositi
test neuropsicologici è importante per verificare l’esistenza di alterazioni e interpretarle nella maniera più
utile dal punto di vista diagnostico e di trattamento.
La valutazione neuropsicologica dà informazioni su capacità dell’individuo che rivestono un ruolo importante
nella vita quotidiana, che includono:
• Capacità cognitive in senso stretto (afasia, prassia, gnosia, memoria);
• Comportamento, inteso come modalità tramite cui l’individuo si interfaccia con l’ambiente e i propri
simili;
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Sbobine 2.0
amiloide, che si accumula negli spazi interneuronali causando sofferenza e morte dei
neuroni. Il precursore del beta-amiloide, APP (amyloid precursor protein), è codificato dal
cromosoma 21, ed è dunque logico che pazienti affetti da sindrome di Down abbiano un
aumentato rischio di demenza. Nel corso della vita il paziente Down può dunque incorrere in
un processo di decadimento cognitivo che si sovrappone al difetto di sviluppo cerebrale, non
consentendo il raggiungimento di un normale livello di funzioni cognitive.
2. INQUADRAMENTO DEL DEFICIT COGNITIVO PREVALENTE
Non è semplice, poichè il SNC funziona in maniera olistica, mantenendo istante per istante una fitta
rete di connessioni neuronali, soprattutto nelle aree corticali destinate alle funzioni superiori.
Tuttavia bisogna sforzarsi di capire qual è tra le varie aree cognitive il disturbo prevalente, perchè
sulla base di ciò è possibile ipotizzare la localizzazione della lesione.
3. FORMULAZIONE DI IPOTESI SULLA POSSIBILE LOCALIZZAZIONE FUNZIONALE DEL DEFICIT
4. IMPOSTAZIONE DELLA TERAPIA
Sulla base dell’ipotesi localizzatoria si può impostare una strategia terapeutica che si avvalga delle
conoscenze fisiopatologiche proprie del disturbo evidenziato.
Esempio. In un paziente con afasia espressiva imposterò un trattamento basato sulla letteratura, per
sopperire in qualche modo alla funzione alterata sfruttando la plasticità del SNC.
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Sbobine 2.0
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Sbobine 2.0
Fig. Il paziente affetto da eminegligenza spaziale unilaterale non è capace di copiare gli oggetti presenti
nell’emicampo spaziale sinistro. Anche nel disegno spontaneo, concentra i dettagli nell’area destra della
rappresentazione.
APRASSIA
Disturbi di programmazione e organizzazione del movimento, che diviene inadeguato al compimento di
un’azione volontaria finalizzata.
[di seguito parte integrata da SR, a lezione ha detto che la distinzione delle aprassie è molto sottile e non sarà
utile ai fini dell’esame, ma HEY MEDICINA È UNA BELLA MONTAGNA RUSSA]
Caratteristiche comuni delle aprassie sono:
• La possibilità di compiere un gesto spontaneamente, ma non su comando (dissociazione
automatico-volontaria)
• Capacità di eseguire un movimento solo nel suo contesto, ma non al di fuori esso.
Le aprassie si generano quando uno di questi centri o collegamenti viene leso. Si riconoscono quindi:
• Lesioni dell'area 39-40 di sinistraAprassia ideativa
• Lesioni del fascicolo arciforme o della via callosa di collegamentoAprassia ideomotoria
• Lesioni dell'area premotoria 6-8Aprassia motoria
• Lesioni dell'area 39-40 di destraAprassia costruttiva
L'aprassia ideativa (lesione dell'area 39-40 di sinistra) è caratterizzata dall'incapacità di eseguire movimenti
finalizzati secondo una successione precisa. Ad esempio, se chiedessimo di accendere una sigaretta,
l'aprassico ideativo è in grado di avvicinarla alle labbra, di aprire la scatola di fiammiferi, di estrarne uno, di
accenderlo; tuttavia egli non è in grado di eseguire questi singoli movimenti nell'opportuna successione, per
cui si porterà alla bocca il fiammifero, o sfregherà la sigaretta contro la scatola dei fiammiferi. La lesione
dell'area 39-40 di sinistra porta quindi ad un deficit del progetto ideativo dell'azione, con la conseguenza che
resta possibile eseguire i singoli schemi motori che compongono il progetto motorio, ma non il progetto in
toto.
L'aprassia ideomotoria (lesione del fascicolo arciforme) è caratterizzata dall'incapacità del soggetto di
controllare l'attuazione di un movimento, malgrado l'integrità del progetto ideativo motorio. Il soggetto
affetto da aprassia ideomotoria non utilizza in modo inappropriato gli oggetti, né presenta errori
nell'organizzazione seriale del movimento, ma commette errori nella tempistica, nella sequenza e
nell'organizzazione spaziale del movimento. Se chiediamo a questo soggetto di allargare le dita della mano,
egli potrà rispondere con un movimento simile ma errato, come la flessione delle dita o la chiusura a pugno.
Può essere presente dissociazione automatico-volontaria , per cui il soggetto è in grado di eseguire
correttamente movimenti spontanei.
Se la lesione è a carico del solo fascicolo arciforme di sinistra ci sarà aprassia ideomotoria bilaterale. Se,
come spesso accade, la lesione si accompagna a danno alle aree motorie di sinistra, avremo paralisi a destra
e l'aprassia ideomotoria sarà evidente solo a sinistra.
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Sbobine 2.0
Se viene colpita la via callosa che connette le aree premotorie di sinistra con quelle di destra, si avrà aprassia
ideomotoria solo a sinistra.
L'aprassia motoria (lesione delle aree premotorie 6-8 di sinistra) è caratterizzata da un deficit nella precisione
e destrezza nei movimenti della mano controlaterale, venendo a mancare lo stimolo "finale" che dalle aree
premotorie giunge all'area motoria I.
L'aprassia costruttiva (lesione dell'area 39-40 di destra) è caratterizzata dall'incapacità di cogliere le relazioni
spaziali fra gli oggetti, cosa che rende il paziente incapace di costruire figure tridimensionali mediante
elementi giustapposti. Dal punto di vista pratico si esplica spesso come un'aprassia di abbigliamento: il
paziente non riesce a vestirsi per l'incapacità di orientare gli abiti nello spazio. E' usuale anche l'eminegligenza
spaziale sinistra: l'area 39-40 di destra infatti svolge un ruolo fondamentale nella percezione visuo-spaziale
(ed è infatti coinvolta anche nelle agnosie).
MEMORIA
I disturbi mnesici rappresentano un elemento importantissimo nella valutazione di disturbi cognitivi poichè
la memoria mette in gioco una serie di funzioni neurobiologiche che si svolgono a livello dei circuiti neuronali
attraverso la costituzione di nuove sinapsi, il consolidamento di circuiti ed engrammi, e il richiamo di
informazioni immagazzinate anche a distanza di tempo nel momento in cui servono per esplicare le proprie
funzioni superiori, anche attività di ideazione, giudizio, critica. È una funzione di base che permea in maniera
spesso inconsapevole le nostre attività relazionali. Sintomi amnesici sono spesso l’elemento d’esordio delle
patologie neurologiche, soprattutto della demenza di Alzheimer. Nelle prime fasi di malattia non è un
sintomo facilmente rilevabile: ognuno può avere disturbi di memoria (es. “Dove ho lasciato le chiavi della
macchina?”), ma se il disturbo peggiora in maniera patologica allora bisogna prestargli attenzione e seguire
il paziente, che potrà nel corso degli anni sviluppare una demenza.
Esistono diversi tipi di memoria:
• Memoria a breve termine; [da SR] quantità di informazione che si riesce a conservare in un certo
periodo di tempo. Normalmente ha capacità limitata (circa 6 elementi) e durata limitata (30sec-
qualche minuto). A seconda della modalità sensoriale impiegata si distinguono:
o Memoria a breve termine uditivo-verbale;
o Memoria a breve termine visuo-verbale;
o Memoria a breve termine visuo-spaziale;
o Memoria di lavoro (working memory): l'informazione, mentre sulla base di essa operazioni
cognitive.
• Memoria a lungo termine; in cui l’informazione è conservata tramite l’immagazzinamento della
traccia mnestica:
o Consapevole o esplicita:
Episodica, ritenzione di eventi giornalieri significativi;
Semantica (legata ad esperienze linguistiche);
Dichiarativa, capacità di rievocare fatti ed eventi.
o Inconsapevole o implicita:
Procedurale, non è tipica della nostra specie, esiste infatti anche in animali inferiori
nella piramide biologica.
Le sindromi amnesiche possono coinvolgere diversi aspetti:
• Difficoltà ad apprendere nuove informazioni (non si ritengono esperienze vissute quotidianamente
durante la propria esistenza)
• Difficoltà a ricordare il contenuto di episodi (anche autobiografici) che avevamo immagazzinato
39
Sbobine 2.0
• Deficit di memoria prospettica (cioè quello che siamo in grado di organizzare attraverso le nostre
esperienze in funzione di attività future)
• Memoria a breve termine conservata (vs medio e lungo termine)
La memoria a lungo termine è un processo complesso che si esplora con test specifici (es. spesso l’esame
richiede l’apprendimento di un raccontino che il paziente è invitato a memorizzare e poi riprodurre, oppure
la ripetizione di una lista di parole).
AGNOSIA
Disturbo di riconoscimento, riguarda le nostre capacità sensoriali e recettive, come tale va contestualizzato
a nostri canali di informazione.
• Agnosia visiva: Il disturbo di riconoscimento riguardare informazioni canalizzate dalla vista (e a sua
volta può avere varianti ancora più selettive – identificazione oggetti, riconoscimento luoghi,
riconoscimento volti (prosopagnosia))
• Agnosia uditiva: L’incapacità di identificare suoni o rumori pur in situazione in cui informazioni
arrivano correttamente in area di proiezione primaria di vie uditive.
• Agnosia tattile
• Agnosia dello schema corporeo
AGNOSIE VISIVE
Le agnosie visive sono caratterizzate dall'incapacità di accedere alle informazioni semantiche attraverso la
sola modalità visiva. Questa incapacità può essere dovuta a:
• Deficit percettivo corticale (agnosia appercettiva)vasta comprormssione corticale occipito-
temporale;
• Deficit dell'attivazione della conoscenza semantica e di riconoscimento dello stimolo (agnosia
associativa)compromissione della corteccia temporale anteriore.
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Sbobine 2.0
Agnosia spaziale
L'agnosia spaziale è l'alterazione dell'esplorazione, della percezione e della memoria della disposizione degli
oggetti nello spazio.
Si riconoscono tre forme:
• Disturbi visuo-spaziali percettivi: caratterizzati da deficit dell'attenzione visiva periferica. Il soggetto,
a fronte di una normale oculomozione, è in grado di focalizzare la sua attenzione visiva solo sulla
zona di fissazione maculare. Il campo periferico è completamente ignorato. Questi disturbi sono
associati a lesioni parieto-occipitali superiori bilaterali.
• Disturbi visuo-spaziali mnestici: caratterizzati da perdita della memoria topografica con
conseguente disorientamento spaziale del paziente. Sono associati a lesioni parieto-occipitali destre.
• Negligenza spaziale unilaterale (controlesional emispatial neglect): è caratterizzata dall'incapacità di
riconoscere stimoli posti controlateralmente ad una lesione emisferica, solitamente del lobo
parietale inferiore (aree 39-40) di destra. In questo caso il deficit riguarda sia lo spazio corporeo che
extracorporeo e nella sua più comune espressione comprende:
o Inattenzione per l'emicampo visivo sinistro
o Negligenza motoria degli arti di sinistra
o Disattenzione tattile e uditiva per stimoli provenienti da sinistra
o Emisomatoagnosia (mancato riconoscimento di una metà del proprio corpo)
o Nosoagnosia (mancata consapevolezza) di un'eventuale emiparesi sinistra associata
AGNOSIA TATTILE
E' un disturbo del riconoscimento degli oggetti attraverso il tatto, in assenza di deficit sensitivi.
Se ne riconoscono due forme, a seconda che sia danneggiata l'area somestesica I (3, 1, 2) o l'area somestesica
secondaria (5, 7).
• Agnosia appercettiva (da lesione dell'area 3, 1, 2)deficit del processo d'identificazione primaria;
il paziente non è in grado di percepire le caratteristiche fisiche elementari dell'oggetto.
• Agnosia associativa (da lesione dell'area 5, 7)deficit del processo di identificazione secondaria
(confronto della percezione attuale con la memoria); il soggetto non è in grado di riconoscere
l'oggetto, pur potendolo descrivere dal punto di vista fisico.
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Sbobine 2.0
FUNZIONI ESECUTIVE
Insieme dei processi che operano la programmazione, la regolazione e il monitoraggio del comportamento
con cui l’individuo si propone di raggiungere una determinata finalità. Ci si sposta verso una sfera di funzioni
essenzialmente motorie, realizzative (a differenza dei disturbi agnosici legati ai canali di informazione). Non
si tratta di aprassia, di difficoltà di eseguire, programmare un determinato movimento, bensì di una funzione
ancora più complessa nella quale oltre agli atti motori si include una prestazione comportamentale che
richiede integrità dei nostri meccanismi legati a volontà, autodeterminazione e regolazione delle nostre
funzioni.
Nelle funzioni esecutive un ruolo importante è assunto dal lobo frontale, perché opera una serie di controlli
sui nostri atti motori, che vengono regolati nell’applicazione nei diversi contesti relazionali e sociali. Nel lobo
frontale, in questo caso aree prefrontali, si hanno dei sistemi di facilitazione e attivazione di queste funzioni
esecutive e sistemi che invece hanno controllo inibitorio a seconda delle aree considerate, ed è dal bilancio
tra queste due aree che si realizzano le funzioni che caratterizzano le nostre attività esecutive.
Il lobo prefrontale regola le funzioni esecutive con tutta una serie di funzioni coinvolte:
• Attenzione
• Memoria di lavoro
• Apprendimento di strategie
• Flessibilità del comportamento
• Pensiero astratto e categorizzazione
• Inibizione e autocontrollo
• Giudizio e razionalità
Si tratta di elementi facilmente distinguibili, spesso intersecati, che messi insieme controllano e ottimizzano
le funzioni esecutive.
ATTENZIONE
È uno degli aspetti elementari nelle funzioni cognitive dell’individuo, può essere di diversi tipi e quindi
esaminata secondo criteri sperimentali di volta in volta diversi:
• Selettiva (inibisce il rumore di fondo e focalizzare canali recettivi su determinato scopo,
concentrando l’attenzione)
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Sbobine 2.0
MEMORIA DI LAVORO
Importante funzione controllata da lobo frontale, controllo dell’informazione che viene elaborata momento
per momento. Alcuni items del mini mental state examination sono correlati proprio a questa funzione.
La programmazione comportamentale è un altro elemento importante nei disturbi frontali, il suo deficit può
caratterizzare alcune forme di demenza come le demenze frontali. Prevede disturbi come
• L’inerzia, più tipica della sindrome dorso-laterale,
• La disinibizione nella sindrome orbito-frontale;
• Perseverazioni,
• Disturbi di utilizzazione e nella pianificazione, rilevati nella demenza frontale, modello di disturbo
cognitivo dell’anziano. La demenza frontale è diversa dalla demenza di Alzheimer, in cui la
manifestazione di disturbo cognitivo è legata a diverse aree in cui il processo patologico determina
alterazioni tipiche di malattia. Nella demenza di Alzheimer le aree posteriori, in particolare occipitali
e temporali, sono le più colpite, e infatti la perdita di capacità mnesiche è uno dei primi sintomi; nelle
demenze frontali o frontotemporali i primi interessati sono i lobi frontali con disturbi che magari
lasciano intatta la memoria ma determinano alterazione delle funzioni esecutive (disinibizione,
disturbo movimenti, pianificazione) che caratterizza inizialmente questa patologia.
[N.B.: Il professore non ha trattato gli altri punti sulle funzioni del lobo prefrontale]
Vi sono test molto semplici per valutare le funzioni frontali:
• Test di Wisconsin (“wisconsin card sorting test”, consente di individuare somiglianze tra stimoli o
test molto semplici di esecuzione geometrica che sono sotto controllo di funzioni esecutive)
• Test della Torre di Londra
Nella valutazione del paziente neurologico è importante operare un inquadramento delle funzioni cognitive
tramite il collezionamento di dati anamnestici e la valutazione del paziente, ma successivamente possiamo
avvalerci di test specifici che permettono di dettagliare il disturbo e rapportare le alterazioni cognitive ad una
determinata lesione o almeno localizzazione lesionale della patologia.
DOMANDA: Nel momento in cui si ha una demenza di grado lieve è possibile ottenere tramite riabilitazione un recupero parziale
delle funzioni o si può solo evitare che la demenza peggiori?
RISPOSTA: La demenza rientra tra le malattie il più delle volte neurodegenerative. Ci sono vari tipi di demenza, però nelle forme più
frequenti si parla di malattie degenerative, di cui per definizione non conosciamo il fattore scatenante. V’è dunque carenza di
chiarezza sui meccanismi alla base dei processi degenerativi, che sono per lo più apoptotici e indipendenti da fattori esterni che
possano causare una necrosi cellulare. Alcuni neuroni, per motivi ancora sconosciuti, durante la vita dell’individuo esauriscono il
proprio ciclo vitale, potremmo definire la neurodegenerazione come un processo di “invecchiamento cellulare precoce”. Non
conoscendo la patologia, allo stato attuale delle conoscenze non siamo in grado di arrestare il corso della malattia, ma le terapie
attuali si propongono di rallentarne il decorso. Per cui, se siamo in grado di rilevare, attraverso questo approccio semeiologico ma
anche attraverso tecniche odierne più avanzate (es. PET cerebrale con marcatori – nell’Alzheimer è possibile evidenziare l’amiloide
cerebrale) possiamo in pazienti con disturbi minimi avere una diagnosi precoce (mind cognitive impairment, declino cognitivo lieve
ma che col proseguire del tempo potrebbe sfociare in una demenzain questo caso le terapie che abbiamo possono o si propongono
di rallentare il processo). Se da una parte la possibilità di fare diagnosi è molto più fine, dall’altra la capacità di trattamento è
purtroppo ancora limitata.
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Sbobine 2.0
Lezione 2_03.10.2019
NERVI CRANICI
NERVO OLFATTORIO (I)
ANATOMIA
Dall’epitelio olfattorio nelle cavità nasali, partono fibre che raggiungono il bulbo olfattorio, di qui attraverso
la stria olfattoria raggiungono la corteccia del giro ippocampale e l’uncus dell’ippocampo (area olfattiva
primaria). Sono presenti numerose connessioni con strutture sottocorticali.
ANAMNESI
Bisogna indagare:
• Stile di vita: esposizioni a fumo, inquinanti ambientali,
• Patologie correlabili con l’insorgenza del sintomo: malattie del naso e dei seni paranasali, malattie
neurologiche neurovegetative, disturbi metabolici
• Assunzione di farmaci
• Modalità di insorgenza, durata e andamento temporale della sintomatologia
• Valutare eventuali alterazioni del gusto, poiché i disturbi olfattivi condizionano alla lunga anche la
sensibilità gustativa
ESAMI DIAGNOSTICI
Gli esami soggettivi possono non essere sufficienti e quindi è necessario una valutazione oggettiva, mediante:
• Valutazione olfattometrica tramite stimolazione olfattiva;
La stimolazione comporta l’annusamento del vapore emanato da soluzioni con concentrazioni scalari
di una sostanza odorosa attraverso entrambe le narici o una narice per volta (otturando l’altra con
nastro adesivo). Il secondo metodo (unirinale) è molto più lento ma anche più preciso, e comunque
indispensabile per localizzare un deficit olfattivo unilaterale. Si può evitare una contaminazione
trigeminale mediante l’utilizzo di odoranti puri. Valuta:
o Identificazione della soglia olfattiva.
o Identificazione degli odori
o Discriminazione degli odori e
o Memoria degli odori
• UPSIT: test standardizzato con 7 pennarelli con diversi odori. Utilizzato tipicamente nel Parkinson per
la valutazione del sintomi premotori. Implica la scelta forzata di un nome fra quattro suggeriti per
ciascun stimolo olfattivo;
• Indagini elettrofisiologiche
o Elettroolfattogramma: spesso presenta molti artefatti dati dalla mucosa olfattiva ma è molto
efficace;
o Potenziali chemiosensoriali elettro-correlati;
o Elettroencefalogramma correlato a sintomi olfattivi. La risposta olfattiva determina un arresto
del ritmo alfa, il dato è quindi aspecifico ma può essere utile correlato alle altre indagini in caso
di dubbio diagnostico.
AGENTI EZIOLOGICI
Si rifanno a:
• Patologie del neuroepitelio: inalazione di irritanti, infezioni virali, Ipovitaminosi B e D,
endocrinopatie;
• Cause centrali: traumi cranici diretti e indiretti per contraccolpo occipitale, lesioni occupanti spazio
quali meningiomi (della doccia olfattiva, soprasellari, della piccola ala dello sfenoide), tumori
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Sbobine 2.0
infiltranti come i gliomi, malattie neurodegenerative (soprattutto Parkinson nella valutazione dei
sintomi premotori), emorragia subaracnoidea, interventi neurochirurgici;
• Patologie genetiche: S di Kallman, S di Turner.
Una riduzione unilaterale dell’olfatto può riscontrarsi tipicamente in patologie espansive della fossa cranica
anteriore come nella sindrome di Foster-Kennedy o nell’epilessia (anche se più tipicamente abbiamo
paraosmie). In questi casi sono fondamentali i test olfattometrici per via monorinale.
Ano/iposmie di enrtambi le narici suggeriscono invece lesioni bilaterali della cavita nasale o malattie
neurodegenerative.
ALTERAZIONI DELL’OLFATTO
• Iperosmia: abnorme aumento della percezione olfattiva verso gli odori in genere. Contraddistingue
essenzialmente le crisi più violente di emicrania (ove si associa a nausea ed a vomito) e le meningiti
acute;
• Parosmie: percezioni spontanee di odori inusuali, non riferibili ad alcun odore noto, che compaiono
in assenza di stimoli odorosi. Consistono nella percezione, spesso a carattere accessuale e di breve
durata, di odori forti e mal definibili a parole dal paziente. Se associate o seguite da una breve,
parziale compromissione della coscienza, configurano le cosiddette crisi epilettiche olfattive;
• Disturbi psico-olfattivi: allucinazioni olfattive, percezioni spontanee altamente realistiche di odori
esistenti ben noti, contraddistinte dall’assenza di una stimolazione odorosa. Possono avere
genesi epilettica o rappresentare frammenti psicosensoriali proiettati dal paziente su sé stesso o
all’esterno, nell’ambito di un delirio di riferimento sensitivo o di una psicosi dissociativa.
CLINICA
In base alla sede del deficit il deficit sarà diverso:
• La lesione del nervo ottico riguarda solo il lato interessato;
• La lesione del chiasma riguarda solo la parte esterna del campo visivo di entrambi gli occhi
• Dal tratto ottico entrambi gli occhi perdono lo stesso lato di campo visivo (il controlaterale rispetto
alla lesione)
Il campo visivo è valutato da sistemi computerizzati ma si può valutare anche a letto del malato: a distanza
dall’esaminatore di circa un metro, si copre un occhio del paziente e l’esaminatore sposta la mano tra se e il
malato. Il soggetto deve segnalare il momento in cui percepisce lo stimolo immediatamente. Si tratta di un
metodo molto pratico che può valutare il deficit e ipotizzarne le cause anche in relazioni ai sintomi di
accompagnamento.
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Sbobine 2.0
o Paracentrali, per patologie della retina perimaculare. In caso di edema della papilla ottica
può anche verificarsi ingrandimento della macchia cieca;
o Centrocecali, se occupano la parte centrale e occupano la macchia cieca. Di solito riguarda
le lesioni ischemiche del nervo ottico;
o Periferici, per patologie focali della retina;
o Concentrico, in cui il campo visivo appare concentricamente ristretto, tipico della retinite
pigmentosa;
o Altitudinale se occupa la metà superiore o inferiore del campo visivo.
• Emianopsie: deficit bilaterali o unilaterali dovuti a lesioni chiasmatiche o sovrachiamsatiche. Più tipici
delle lesioni corticali, a livello delle radiazioni ottiche si parla invece di quadrantopsia. Il deficit può
essere eteronimo (indicando le metà temporali o nasali) o omonimo (indicando una delle due metà
del campo visivo). Un’altra suddivisione indica il disturbo come congruo o incongruo a seconda che
sia ugualmente esteso nei due occhi oppure asimmetrico.
PUPILLE
La motilità della pupilla è consentita da:
• Muscolo dilatatore della pupilla, innervato dal simpatico cervicale;
• Muscolo costrittore della pupilla, innervato dal III ne;
• Muscolo ciliare, innervato dal III ne.
Le pupille normali sono circolari e di pari diametro (ca 2-5mm), ovvero isocicliche e isocoriche. Alterazione
di questi parametri determinano:
• Anisociclia pupillare: in situazioni patologiche quali postumi di lesioni infiammatorie dell’iride, tabe
dorsale, paralisi progressiva, o anche alterazioni congenite. Il contorno della pupilla può̀ presentare
forme diverse;
• Anisocoria pupillare: la variazione unilaterale di diametro può̀ dipendere sia da una irritazione che
da un deficit delle vie deputate alla motilità̀ pupillare. È opportuno tuttavia sottolineare che circa il
20% della popolazione può̀ presentare una lieve anisocoria in cui, peraltro, la differenza tra i due
diametri pupillari resta costante nelle varie condizioni di illuminazione e le reazioni pupillari alla luce
e all’accomodazione-convergenza sono normali. In questi casi si parla di anisocoria essenziale.
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Sbobine 2.0
prima un oggetto a distanza e successivamente un punto della finestra, posto che siano il più possibile
sulla stessa linea di sguardo. La visione da vicino comporta un restringimento della pupilla. In sintesi
questo riflesso comporta una triplice reazione (convergenza degli assi oculari, accomodazione e
miosi) la cui insorgenza presuppone una attivazione delle aree striate e peristriate ad opera delle
afferenze visive, cui fa seguito una risposta corticifuga diretta alla regione pretettale.
• Riflesso cilio-spinale: è provocato da stimoli dolorosi nella parte superiore del corpo e consiste in
una lieve midriasi dovuta ad una inibizione del nucleo di Edinger-Westphal, ma soprattutto ad una
attivazione del centro cilio-spinale di Budge.
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Sbobine 2.0
via afferente del riflesso fotomotore, risparmiando le vie discendenti dalla corteccia responsabili
dell’accomodazione.
• Pupilla tonica di Adie: compare in età giovanile, di solito nel sesso femminile, quasi sempre da un
lato solo. La pupilla appare midriatica a normale illuminazione e non risponde alla luce; dopo
prolungata esposizione a luce intensa può mostrare una lieve riduzione di calibro. Reagisce invece
all’accomodazione con una miosi intensa, ma la risposta è lenta, tonica e persistente. In circa la metà
dei casi i riflessi achillei e rotulei sono assenti. La causa è ignota ma la condizione è benigna. Pupille
toniche bilaterali possono essere associate a polineuropatie di varia natura (diabetiche, infettive,
etc.).
OCULOMOZIONE ESTRINSECA
La motilità oculare estrinseca è governata da 3 paia di nervi cranici
• Nervo oculomotore (III), che innerva i mm retti interno (adduzione), superiore (elevazione), inferiore
(abbassamento), obliquo inferiore (extrarotazione);
• Nervo trocleare (IV), che innerva il muscolo obliquo superiore (intrarotazione);
• Nervo abducente (VI), che innerva il muscolo retto esterno (abduzione).
I muscoli oculomotori non possono essere contratti singolarmente in quanto l’azione di ciascun muscolo è
inscindibilmente coordinata con quella di altri muscoli ad opera di sistemi oculomotori sopranucleari. Ne
consegue che il contributo dei singoli muscoli alla motilità dei globi oculari può essere estrapolato solo
indirettamente sulla base del deficit:
• Strabismo paralitico: deviazione del globo oculare nello sguardo diretto, dovuta alla prevalenza del
muscolo antagonista;
• Limitazione (o addirittura abolizione) del movimento dell’occhio nella direzione del muscolo
agonista;
• Diplopia (a causa del disallineamento dei globi oculari), in cui l’immagine di un oggetto cadrà in punti
non corrispondenti della retina. Nell’occhio paretico l’immagine cade al di fuori della fovea per cui,
venendo a mancare la fusione delle immagini, l’oggetto apparirà̀ sdoppiato. In tal caso, per attenuare
la diplopia, il soggetto tende istintivamente a deviare il capo nella direzione di azione del muscolo
paretico. Le due immagini possono essere situate su un piano orizzontale, verticale o obliquo. Se la
diplopia è orizzontale i muscoli paretici possono essere solo due (il retto laterale o il retto mediale),
se la diplopia è verticale o obliqua è interessato almeno uno degli altri 4 muscoli. Si definisce
immagine vera quella percepita dall’occhio sano e immagine falsa quella percepita dall’ occhio
paretico. L’immagine falsa si distingue dall’immagine vera in quanto, non essendo proiettata sulla
fovea, presenta contorni meno nitidi. La diplopia è caratteristica dei disturbi della motilità̀ oculare
elementare (lesioni dei muscoli o dei nervi oculomotori), non si verifica nei disturbi della motilità̀
oculare coniugata (lesione dei sistemi oculomotori sopranucleari).
EZIOLOGIA
In acuto, in assenza di sintomi di accompagnamento, è difficile riconoscere la causa di una lesione isolata dei
nervi oculomotori (neuropatica, nucleare o sopranucleare). Le cause della paralisi dei nervi oculomotori sono
numerose e possono essere localizzate in varie sedi:
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Sbobine 2.0
• A livello del tronco encefalico, per lesione dei nuclei oculomotori e/o del tratto intrassiale del nervo
possono a causa di tumori, infiammazioni, infarti. Spesso sono dovute a sindromi alterne (sindromi
alterne di Weber o di Millard-Gubler), quindi esiste anche un’emiplegia controlaterale;
• Davanti al tronco, a causa di tumori, aneurismi della basilare, meningiti croniche della base
(sarcoidosi, carcinomatosi);
• Nel seno cavernoso e nella fessura sfenoidale superiore, le cui lesioni più comuni sono i tumori e gli
aneurismi.
Inoltre, nelle persone anziane, paralisi isolate di nervi oculomotori (soprattutto del III) sono spesso causate
da ischemia dei tronchi nervosi su base aterosclerotica o diabetica.
Le sindromi da paralisi combinate dei muscoli oculomotori possono dipendere sia da patologie dei nervi che
da patologie dei muscoli (miopatia distiroidea, distrofie muscolari, patologie mitocondriali ecc.), sono quasi
sempre unilaterali e le cause non sono diverse da quelle che possono dare paralisi isolate. Es. La Sindrome di
Tolosa-Hunt è una tipologia di oftalmoplegia dolorosa, che esordisce in modo acuto, tende a regredire
spontaneamente o con terapia cortisonica, ma può recidivare omo- o controlateralmente. È sostenuta da un
processo infiammatorio granulomatoso aspecifico localizzato nel seno cavernoso e nell’avventizia della
carotide; se lo stesso processo si localizza nell’orbita, si realizza il cosiddetto pseudotumor orbitae con
oftalmoplegia dolorosa ed esoftalmo marcato.
[Miopatia distiroidea. È la causa più comune di diplopia cronica nell’età media e senile. L’ipertiroidismo produce alterazioni dei muscoli extraoculari,
che vanno incontro a retrazione fibrotica: ne consegue una limitazione della rotazione oculare nella direzione opposta a quella del muscolo retratto,
che può simulare una paresi del muscolo antagonista. Tutti i muscoli estrinseci dei due occhi possono essere colpiti in varie combinazioni, realizzando
oftalmoplegie complesse, non riconducibili a lesioni dei nervi oculomotori. All’oftalmoplegia si associano segni evocatori di ipertiroidismo a livello
oculare: esoftalmo, retrazione della palpebra superiore che non segue l’occhio nello sguardo verso il basso (Segno di Graefe), edema palpebrale,
iperemia congiuntivale nei punti di inserzione dei muscoli oculomotori.]
NERVO OCULOMOTORE NERVO TROCLEARE NERVO ABDUCENTE
• Oftalmoplegia diabetica (con • Traumi cranici (la paresi può • Diabete;
frequente risparmio della essere bilaterale); • Sindrome da ipertensione
componente intrinseca); • Diabete (specie negli anziani); endocranica;
• Lesioni nucleari: infarti, • Infarti mesencefalici; • Sindromi pontine (infarto,
malattie demielinizzanti, • Patologia del seno cavernoso tumore, malattie
tumori e/o fessura orbitale demielinizzanti) e, meno
• Lesioni delle fibre frequentemente, sindromi
intraparenchimali: infarti dell’angolo ponto-
(sindromi alterne cerebellare;
mesencefaliche) e raramente • Tumori della fossa media
tumori; (tumori);
• Lesioni a livello • Sindromi del seno cavernoso
interpeduncolare: aneurismi, e della fessura orbitale
traumi, meningiti, emorragie superiore;
subaracnoidee; • Sindromi del clivus (tumori
• Lesioni a livello del seno nasofaringei).
cavernoso: aneurismi, tumori
(meningiomi, tumori
extrasellari, metastasi);
• Lesioni a livello dell’orbita.
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LESIONE NUCLEARE
Il disturbo della sensibilità, soprattutto termica, riguarda la faccia con una disposizione concentrica. In base
alla sede della lesione la perdita di sensibilità si localizza:
• Alla fronte per lesioni della porzione caudale e della radice discendente;
• Alla regione temporale e alle palpebre per lesioni della porzione più rostrale del nucleo;
• Al naso e alla guancia per lesione della porzione più anteriore nucleo.
Le cause più comuni di lesione sono: siringobulbia, trombosi dell’arteria cerebellare posteroinferiore, tumori
del tronco encefalico
Branca oftalmica
La lesione della branca oftalmica comporta:
• Anestesia di fronte, occhio, palpebra superiore, mucosa dei seni frontali e del naso (salvo la parte
laterale in corrispondenza della narice);
• Perdita del riflesso oculocardiaco;
• Secrezione lacrimale conservata;
• Assenza dei riflessi corneale e di ammiccamento con conseguente cheratite paralitica e fotofobia
(DD con patologie primitivamente oculari e malattie neurologiche quali emicrania, meningiti,
emorragia subaracnoidea).
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Branca mascellare
Lesioni a carico di questa branca comportano anestesia di cute della guancia e del labbro superiore, parte
della regione temporale, palpebra inferiore, cute della porzione laterale del naso in corrispondenza della
narice, parte della mucosa del naso, radici dentali superiori, nasofaringe, seno mascellare, palato molle,
tonsille e mucosa del palato.
Branca mandibolare
In questo caso si ha anestesia di parte della cute, della mucosa della guancia e del labbro inferiore, parte
superiore della cute dell’orecchio e della cute del meato acustico, membrana timpanica, parotide, parte
temporale inferiore della cute del capo, due terzi anteriori della lingua, radici dentali inferiori.
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individuate in anni 1980, che hanno la loro causa in alterazioni della piccola molecola circolare di DNA
presente all’interno dei mitocondri, che si sa da biologia classica essere risultato di processo evolutivo di
simbiosi tra proto-batterio e cellule eucariote, sodalizio che ha assicurato alla cellula eucariote un perfetto
sistema di utilizzo dell’ossigeno grazie al materiale genetico mitocondriale codificante per le proteine usate
nel processo di fosforilazione ossidativa. Una caratteristica peculiare delle malattie ereditarie causate da
mutazioni nel genoma mitocondriale è che hanno introdotto una nuova modalità di trasmissione ereditaria
rispetto alle classiche malattie genetiche(AD, AR, X-linked), che è quella mitocondriale: i mitocondri vengono
trasmessi alla prole tramite la cellula uovo, si tratta dunque di ereditarietà matrilineare ma non legata al
cromosoma X.
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Sbobine 2.0
La manifestazione può essere più o meno suggestiva a seconda dell’area coinvolta: tanto più selettiva sarà la
funzione di un’area corticale e tato più eloquente sarà la sintomatologia in caso di lesione. Inoltre la stessa
lesione si manifesta non sempre in maniera identica in soggetti diversi a causa di diversi fattori (età,
background culturale, personalità ecc.). In particolare le aree che più risentono dell’inter individualità sono
le aree frontali, deputate a funzioni molto complesse
SINDROME PREMOTORIA
In questo caso la sintomatologia è più sfumata perché l’area colpita è l’area 6, area collegata a numerose
strutture corticali e sottocorticali.
La sintomatologia di questa sindrome riguarderà:
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Sbobine 2.0
• Disturbi della motilità oculare, nel caso in cui venga colpita l’area frontale oculo-cefalogira. Nella
pratica clinica questa manifestazione è molto rilevante. In caso di lesione ischemica il sintomo
sarà deficitario è il pz avrà paralisi controlaterale rispetto alla lesione e una deviazione coniugata
dello sguardo indirizzata verso il lato della lesione (’guarda la lesione’). In caso di epilessia il sintomo
sarà di tipo irritativo: le regioni coinvolte saranno le stesse del primo caso, ovvero sempre
controlaterali, ma lo sguardo sarà rivolto verso il lato opposto.
Nella pratica clinica la direzione dello sguardo sarà molto importante: l’epilessia si manifesta
inizialmente con una crisi tonico-clonica controlaterale (crisi jacksoniana) cui segue una paralisi post-
critica. In un pz che arriva in PS in condizioni di paralisi sarà necessario fare diagnosi differenziale: nel
caso in cui lo sguardo sia diretto verso l’emisoma paralizzato il sospetto diagnostico propenderà più
per una paralisi di origine epilettica, in caso contrario si tratterà di una paralisi di natura ischemica.
• Disturbi della motilità riflessa e del tono muscolare. Il tono muscolare risulta aumentato (ipertonia
plastica), così come sono esagerate le risposte in flessione (grasping), si può liberare il riflesso di
succhiamento (evocato dalla percussione del lato superiore del labbro in seguito a cui esso viene protruso, fonte online). Altre
manifestazioni sono perseverazione motoria (incapacità di porre termine ai movimenti quando richiesto o ad un momento
predeterminato) e ecoprassia (imitazione spontanea di movimenti osservati). Questi segni sono più frequenti nelle forme
SINDORME PRFRONTALE
Sono ancora più sfumate e colpiscono le regioni più anteriori della corteccia, deputate allo svolgimento delle
funzioni più complesse dell’organismo. Questo è il motivo per cui si rendono più evidenti in lesioni di tipo
cronico (es demenze frontali). Manifestandosi con disturbi di natura comportamentale o psichica, vanno in
DD con patologie psichiatriche (che non riconoscono un substrato organico come causa). Queste sindromi
vengono classificate sulla base della sede della lesione:
- SINDROME DORSO-LATERALE: disturbo delle funzioni esecutive
- SINDROME MEDIALE: apatia, abulia, inerzia
- SINDROME ORBITO-FRONTALE: iperattività, irascibilità, incostanza, volubilità, perdita dell’attenzione
Questi sintomi caratterizzano le demenze frontali e precedono i deficit mnesici, sintomo tipico nel pz di lunga
data.
SINDROME PARIETALE
In genere si manifesta con alterazione della percezione dello spazio: la lesione rende insufficiente i
meccanismi attentivi per la percezione dell’emispazio e dell’emisoma controlaterale. Poiché queste
funzioni sono lateralizzate nell’emisfero di destra, quest’ultimo è il più frequentemente colpito. La
sintomatologia d’esordio è rappresentata quindi da negligenza spaziale o emidisattenzione visiva
controlaterale (a sinistra). Compare inoltre il fenomeno dell’estinzione: il paziente non riconosce gli stimoli
somministrati all’emisoma di sinistra. In caso di coinvolgimento della circonvoluzione parietale inferiore o del
giro sopramarginale inferiore la sindrome si presenta con un importante deficit del linguaggio, l’afasia di
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Sbobine 2.0
Wernicke: a differenza dell’afasia motoria, si tratta di una afasia fluente ma con una comprensione ridotta in
misura variabile, da gradi lievi (non si riesce a nominare gli oggetti o vengono nominate parole passpartout)
fino all’alessia pura. Si parla di ‘insalata di parole’: il paziente è in grado di articolare le parole ma il linguaggio
è privo di senso.
Nel caso di coinvolgimento dell’emisfero non dominante i deficit sono principalmente di natura vis spaziale,
con aprassia tipicamente costruttiva (disturbo delle attività di costruzione, composizione e disegno, in cui la forma spaziale del prodotto non è
adeguata).
SINDROME TEMPORALE
Le funzioni del lobo temporale sono numerose: udito, linguaggio, equilibrio, comportamentale, psichica e
vegetativa. Le sindromi temporali più frequentemente osservate sono dovute all’epilessia, motivo per il
quale la sintomatologia è di natura irritativa. Queste lesioni si manifestano quindi con:
• Allucinazioni uditive, olfattive e gustative;
• Crisi di panico, con stato di paura e di ansia, in caso di coinvolgimento ippocampale;
• Emianopsia omonima controlaterale per lesioni della radiazioni ottica fino a allucinazioni visive
complesse
• Disturbi neurovegetativi: aura epigastrica (nausea a livello epigastrico), automatismi buccali
aumento, deviazioni delle condotte sessuali fino a crisi vegetative
• Disturbi psichici: disturbi mnesici e cognitivi (tipici della malattia di Alzheimer)
SINDORME OCCIPITALE
Le aree occipitali sono deputate alla percezioni visiva, quini la sintomatologia è data da:
• Emianopsia controlaterale omonima in caso di lesioni distruttive, fino alla cecità corticale in caso di
distruzione di entrambi i lobi;
• Allucinazioni in caso di lesioni irritative, più frequenti a destra.
SINDROME TALAMICA
Il talamo è una struttura sottocorticale pari deputata alla regolazione delle funzioni motorie, sensitive e
neurovegetative. Inoltre regola l’attività elettrico-cerebrale e la coscienza. Lesioni talamiche quindi si
manifestano con numerosi disturbi:
• Della sensibilità, con ipoestesia e iperpatia controlaterale (sindrome di djerine-roussy o lesioni
ischemiche acute)
• Dello schema corporeo, con anosognosia (incapacità del paziente di riconoscere e riferire di avere un deficit neurologico, avviene
anche nelle sindromi parietali)
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Sbobine 2.0
mortale del circolo anteriore, per ragioni anatomiche: le due arterie vertebrali confluiscono infatti nell’arteria
basilare, che fornirà il sangue a entrambi gli emisferi posteriori. Inoltre in termini di tempistiche di intervento,
l’ictus posteriore può essere trattato fino a 12 ore dall’esordio dei sintomi, nel caso di lesioni del circolo
anteriore non si può più trattare il pz dopo le 6 ore]
SINDROME DI WEBER
Chiamata anche sindrome mesencefalica ventrale. Interessa le fibre del III nervo cranico e le vie cortico-
spinali, manifestandosi quindi con paralisi omolaterale del III nervo cranico e emiplegia o emiparesi
controlaterale.
SINDROME DI BENEDICKT
Si tratta di una sindrome mesencefalica che, rispetto alla prima, coinvolge anche il nucleo rosso e le fibre
cerebello-talamiche. Alla sintomatologia precedente si aggiunge quindi tremore controlaterale.
SINDROME DI PARINAUD
È difficile da osservare in acuto, più tipica di patologie infiammatorie demielinizzanti o neoplastiche a carico
della lamina quadrigemina (chiamata anche sindrome mesencefalica dorsale). Si caratterizza per paralisi dei
movimenti di verticalità dello sguardo.
SINDROME DI RAYMOND
Sindrome pontina. Colpisce nuovamente il VI nervo cranico: oltre alla paralisi del retto esterno è presente
anche emiplegia e tremore controlaterale. [Non ho trovato il motivo dell’emiplegia, su internet ho trovato la sindrome di
Chestan Raymond che ricorda la sindrome di Foville, una sindrome chiamata solo di Raymond non esiste quindi non so che cosa dire
bacioni]
SINDROME DI FOVILLE
Colpisce le fibre del VI e VII nervo cranico, il fascicolo longitudinale mediale, il lemnisco mediale e il peduncolo
cerebellare medio, manifestandosi quindi con:
• Paralisi omolaterale di VI e VII nervo cranico
• Paralisi dei movimenti coniugati dello sguardo laterale (fascicolo longitudinale mediale)
• Emianestesia termodolorifica controlaterale
• Atassia
SINDROME DI WALLEMBERG
Chiamata anche sindrome bulbare. Si manifesta omolateralmente con ipoestesia facciale termodolorifica,
paralisi dell’emivelo, dell’emifaringe e dei muscoli laringei, atassia e sindrome di bernard-
horner. Controlateralmente è presente ipoestesia termodolorifica dell’emisoma.
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Sbobine 2.0
SINDROMI CEREBELLARI
La clinica cerebellare è spesso sfumata e le manifestazioni tipiche riguardano disturbi dell’equilibrio quali
atassia e dismetria. Il sintomo classico è l’instabilità muscolare, associata spesso a disturbi vegetativi quali
nausea e vomito (DD con le sindromi vestibolari). Altro sintomo spesso presente è la vertigine oggettiva. [La
vertigine può essere soggettiva (il pz si sente girare rispetto all’ambiente) o oggettiva (l’ambiente gira intorno
al pz) a seconda che sia rispettivamente di natura vestibolare o cerebellare]
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Sbobine 2.0
SIRINGOMIELIA
Consiste nella presenza di cisti ripiene di liquido all’interno del midollo. Sono spesso forme congenite, in
minor percentuale dovute invece a traumi o a tumori intramidollari. La sintomatologia caratteristica è la
dissociazione siringomielica: la sensibilità termodolorifica è assente mentre quella tattile e profonda è
conservata.
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Sbobine 2.0
SINDROMI DEMENZIALI
Sindrome caratterizzata da un progressivo deterioramento delle funzioni intellettive (rispetto a quello
precedentemente acquisito) tale da interferire con le normali attività occupazionali e sociali. Tale
sintomatologia si verifica in pazienti con un disturbo minimo o assente della coscienza e della percezione.
Per declino delle funzioni intellettive/cognitive si intende deficit di:
Memoria
Linguaggio
Prassia
Gnosia
Capacità critica e di astrazione:
• Declino delle capacità intellettive e cognitive.
Inoltre per arrivare alla diagnosi di demenza è necessario escludere disturbi dello stato di coscienza (DD con
il coma) e della percezione (DD con la schizofrenia).
Le demenze più comuni sono quelle causate dall'Alzheimer, di origine vascolare e miste (in cui coesistono
Alzheimer e vasculopatia). A seguire, più rare, ci sono infezioni del sistema nervoso, la corea di Huntington,
la sclerosi multipla e le encefaliti.
Le demenze sono un problema emergente soprattutto nei paesi in via di sviluppo dove l'incidenza sta
crescendo e continuerà ad aumentare.
CLASSIFICAZIONE
Le demenze possono essere classificate in
Primarie o degenerative
o Corticali: malattie di Alzheimer, malattia fronto‐temporale e malattia di Pick;
o Sottocorticali: demenze a corpi di Lewy, Parkinson‐demenza, corea di Huntington, paralisi
sopranucleare progressiva, degenerazione cortico‐basale.
Secondarie:
o Demenza vascolare ischemica;
o Disturbi endocrini e metabolici: ipotiroidismo, encefalopatia porto‐sistemica, IRC;
o Malattie metaboliche ereditarie;
o Malattie infettive e infiammatorie del SNC: meningiti/encefaliti, encefalite da HIV, SM,
leucoencefalopatia multifocale progressiva (JC);
o Stati carenziali (Vitamina B6 o B12, tiaminam di korsakoff) ;
o Sostanze tossiche (alcol, metalli pesanti come piombo o litio, farmaci);
o Processi espansivi intracranici (tumori o ematomi occulti)
o Idrocefalo normoteso,
o Disturbi del sonno
o Malattie psichiatriche
Una volta identificato lo stato denmenziale è necessario risalire all’eziologia e valutarne quindi la potenziale
reversibilità: nel 13% dei casi di decadimento cognitivo sono presenti condizioni trattabili. Chiaramente si fa
riferimento alle cause secondary, che quindi riconoscono un agente eziologico; le più comuni sono:
depressione, disordini metabolici, infezioni SNC, lesioni strutturali, idrocefalo normoteso, intossicazione da
farmaci.
L’iter diagnostico della demenza deve sempre prevedere:
Esami del sangue;
Carenze vitaminiche;
Positività ad HIV;
TC (importante escludere una demenza paraneoplastica).
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Sbobine 2.0
MALATTIA DI ALZHEIMER
EPIDEMIOLOGIA
La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza (60% dei casi). Il suo impatto epidemiologico è
devastante, anche e soprattutto in relazione all'aumento dell'età media della popolazione. Alcuni dati che
rendono un'idea delle proporzioni epidemiologiche di questa patologia:
• Si stima che ad oggi la prevalenza globale dell'AD sia di circa 17 milioni di persone nel mondo.
In Italia si stima una cifra attorno ai 450.000;
• La prevalenza è di circa il 25‐35% nei soggetti con età >80;
• Passati i 65 anni si assiste ad un raddoppiamento della percentuale dei malati ogni 1O anni;
• Ad oggi vi è una crescita di incidenza di 120 affetti ogni 100.000 all’anno.
L'età di insorgenza è tipicamente avanzata. Tuttavia è possibile riconoscere:
• Forme ad esordio precoce (< 65 anni): trasmissione AD, legata a mutazioni di specifici geni;
• Forme familiari ad esordio tardivo in cui la componente genetica predispone allo sviluppo della
patologia;
• Forme sporadiche, le più comuni.
EZIOLOGIA
L'eziologia dell'AD è complessa, multifattoriale e non nota, sicuramente intervengono fattori di natura
genetica ed ambientale. Soltanto alcuni fra quest’ultimi sono considerabili fattori causali, la maggior
parte sono per lo più fattori di rischio.
Fattori genetici
Una piccola percentuale di AD ha esordio precoce e si trasmette con modalità autosomica dominante. In
queste forme possono essere mutati tre geni:
• APP: proteina precursore dell'amiloide;
• PSEN1 e PSEN2: presenilina 1 e 2, cofattori enzimatici dell'enzima secretasi.
Nella maggior parte dei casi non è identificabile un singolo gene. Tuttavia, sia nelle forme sporadiche che
in quelle familiari, è stato identificato un polimorfismo presente con maggior frequenza, nel gene che
codifica per la APO‐E: ne esistono 3 forme alleliche (E2, E3 e E4), e i soggetti eterozigoti per E4 hanno
rischio 3 volte maggiore di sviluppare AD; i soggetti omozigoti per E4 hanno un rischio 15 volte maggiore.
Fattori ambientali
Sono tutti da considerare come fattori di rischio. Quelli riconosciuti sono:
• Età;
• Sesso femminile;
• Traumi cranici pregressi;
• Storia familiare di demenza (non necessariamente AD);
• Basso livello di scolarità;
• Storia familiare di sindrome di Down;
• Patologie tiroidee.
CLINICA
Alla base della sintomatologia clinica c'è il deficit colinergico in seguito a una perdita progressiva dei neuroni
colinergici con conseguente:
Declino cognitivo, primo sintomo ad esoridire:
o Perdita di memoria,
o Disorientamento spaziale e temporale,
o Afasia,
o Aprassia,
o Agnosia,
o Difficoltà delle funzioni esecutive.
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Sbobine 2.0
Disturbo del comportamento:
o Oscillazioni dell'umore,
o Alterazioni della personalità,
o Psicosi,
o Agitazione,
o Wandering,
o Sintomi neurovegetativi.
La patologia è suddivisibile in fasi che ne descrivono il decorso:
1. Esordio. Spesso subdolo e insidioso, difficilmente è possibile fare una diagnosi precoce. Segni
indicativi possono essere il calo degli interessi, indifferenza e deficit della memoria a breve termine,
con il pz che fa spesso affidamento ai familiari, ai calendari e dimenticano spesso le cose, addirittura
dimenticano di aver dimenticato qualcosa. In questa fase la patologia entra in DD con disturbi
dell’umore: fattoi a favore di quest’ultimi sono l’insorgenza rapida, l’associazione a sintomi sensitivi
(l’AD risparmia la corteccia sensitivo‐motoria), fluttuazione della sintomatologia, possibilità di
diagnosi ex‐adiuvantibus (risponde agli antidepressivi);
2. Progressione. Inizia a manifestare i disturbi legati alla degenerazione delle specifiche aree corticali:
afasia, negligenza spaziale e temporale, giudizio compromesso, disturbi del contenuto del pensiero
(con idee di tipo persecutorio). Il pz è comunque in grado di svolgere le semplici attività quotidiane.
3. Fase avanzata. La memoria è compromessa anche nella sua componente remota, le funzioni
cognitive sono gravemente deficitarie, con l pz che non riesce a distinguere i familiari, è disorientato,
completamente avulso dall’ambiente circostante. Ai disturbi del pensiero si accompagnano
allucinazioni. La degenerazione corticale in questa fase è tale da slatentizzare i riflessi primitivi (di
prensione, di succhiamento) e compaiono sintomi extrapiramidali. Il paziente è costretto a letto e
necessita di assistenza continua, la morte incorre per decadimento generale.
ANATOMIA PATOLOGICA
A livello macroscopico è possibile vedere atrofia cerebrale corticale, preponderante nelle circonvoluzioni
temporali (ippocampo e regioni para‐ippocampali) nelle fasi iniziali per poi estendersi marcatamente e
simmetricamente a tutti i lobi. Normalmente corteccia occipitale, sensitivo‐motoria primaria, cervelletto e
gangli della base e tronco encefalico sono risparmiati.
All’istologia si riconosce:
Deposizione extracellulare di aggregati di beta amiloide, i quali si organizzano in placche senili.
La P‐amiloide è un frammento peptidico che origina dal processing della proteina transmembranaria APP
(la quale sembra modulare la funzionalità e la integrità delle sinapsi). Questa attività di processing è svolta
dall'enzima secretasi, insieme ai sui cofattori PSEN1 e PSEN2. Normalmente il taglio proteolitico avviene
all'interno del dominio della proteina in maniera tale che non si generi il frammento P‐A patologico (P è il
foglietto della struttura terziaria) o, qualora si generasse in piccole quantità, alcuni sistemi provvedano
alla sua clearance. Da qui ne deriva che qualsiasi modificazione fenotipica a carico di APP, PSEN 1 e 2 o
proteine necessarie alla clearance di P‐A (un ruolo importante è svolto da APO‐E, che nella variante E4 è
in grado di interagire con P‐A e rallentarne l’eliminazione) sia in grado di favorire la generazione di
frammenti con capacità amiloidogeniche. L’amiloidogenicità di P‐A è data dalla sua insolubilità in ambiente
extracellulare.
Inclusioni intraneuronali costituiti da proteina tau iperfosforilata. È un processo che avverrebbe
secondariamente, non essendo di causare da solo le manifestazioni cliniche. Tau è una proteina
intracellulare associata ai microtubuli, che gioca un ruolo determinante nel mantenimento della
struttura e delle funzioni del citoscheletro dei neuroni. L’iperfosforilazione ne determina un distacco
dai microtubuli e la formazione di grovigli neurofibrillari.
Angiopatia amiloidea: deposito di amiloide anche nelle pareti delle arteriole cerebrali e meningee
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Sbobine 2.0
DIAGNOSI
Ad oggi la diagnosi di AD resta prettamente clinica e neuropsicologica. I criteri utilizzati sono quelli dell’ARDRA
(Alzheimer Desease e Related Disorder Association) e suddividono la diagnosi in probabile, possibile e
certa.
Malattia di Alzheimer PROBABILE
o Demenza stabilita dall'esame clinico e documentata da scale di valutazione che indagano
alcuni aspetti del comportamento (MMSE) o da esami simili e con la conferma di tali risultati
deficitari ad altri test neuropsicologici.
o Deficit di 2 o più aree cognitive quali, ad esempio, il linguaggio, il ragionamento, la capacità
di giudizio eccetera.
o Peggioramento progressivo della memoria e di altre funzioni cognitive
o Assenza di disturbi di coscienza (ad es. obnubilamento, coma)
o Esordio tra i 40 e i 90 anni, più spesso dopo i 65
o Assenza di altre patologie organiche potenzialmente responsabili di demenza
[Non affrontate.
La diagnosi AD probabile è supportata da:
Deterioramento progressivo di funzioni cognitive specifiche quali il linguaggio (afasia), la gestualità (aprassia), la percezione
(agnosia)
Compromissione delle attività quotidiane ed alterate caratteristiche di ‐comportamento.
Familiarità positiva per analoghi disturbi, soprattutto se confermati neuropatologicamente.
Risultati di test strumentali ed esami di laboratorio quali, ad esempio:
o Tracciato EEG normale e/o con aumento aspecifico dell'attività cerebrale lenta
o Atrofia cerebrale visibile attraverso una TC e che peggiora visibilmente quando si effettuano ulteriori esami a distanza
di tempo l'uno dall'altro
o Assenza di infezioni nel liquor cerebrospinale.
La diagnosi di AD probabile è resa incerta da:
Esordio improvviso
Presenza si segni focali (deficit motori, parestesie, deficit visivi)
Presenza di crisi epilettiche
Malattia di Alzheimer POSSIBILE
Presenza confermata di altra malattia neurologica che potrebbe dare demenza, ma che non è
considerata responsabile.
Malattia di Alzheimer CERTA
o Rispettati i criteri clinici per AD probabile
o Biopsia positiva]
L'iter diagnostico inizia con esami di routine (e.o. neurologico e indagini di laboratorio) per poi proseguire
con indagini mirate (test HIV, radiografia torace, test neuropsicologici, neuroimaging, puntura lombare) e
infine indagini strumentali specifiche come la TC o la SPECT (più per sperimentale che per la diagnosi) e
indagini genetiche.
TC e/o RMN cranio‐encefalo vengono sempre eseguiti in diagnostica per escludere lesioni strutturali come
ematoma sottodurale, tumori, idrocefalo normoteso, lesioni ischemiche.
TERAPIA
La terapia comprende:
Terapia dei disturbi cognitivi: si tratta della terapia colinergica con inibitori delle aceticolinesterasi, il
cui scopo è quello di aumentare la disponibilità di Ach post‐sinaptica inibitori della colinesterasi,
Terapia dei disturbi comportamentali in caso di comparsa di disturbi psicotici: i faramci più utilizzati
sono gli antipsicotici atipici, che limitano anche le reazioni extrapiramidali; in questo senso hanno le
benzodiazepine hanno uso limitato;
Terapia dei disturbi depressivi; Nelle prime fasi di malattia, la consapevolezza del deficit di memoria,
dell'evoluzione e della prognosi della malattia possono condurre allo sviluppo di episodi depressivi.
La somministrazione di antidepressivi è in quest'ottica importante per migliorare la qualità della vita
del paziente
Le possibili terapie eziologiche si sono rilevate ad oggi fallimentari.
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Sbobine 2.0
DEMENZE FRONTOTEMPORALI
Sono tutte accomunate dalla degenerazione corticale a carico dei lobi frontale e temporale anteriore, con
sintomi relativi all'interessamento di queste aree.
Più di quanto non sia possibile fare per l'AD (che è quasi sempre sporadica a parte rari casi a
trasmissione genetica), nelle FTD è spesso possibile individuare una storia familiare positiva per
demenza, disturbi psichiatrici o parkinsonismo. Su questa base sono stati ricercati i geni coinvolti e
quelli più rilevanti sono risultati essere quelli che codificano per la proteina Tau e la progranulina.
Rappresentano il 25% delle demenze presenili, sono un insieme di patologie che comprendono:
Malattia di Pick, in cui si riconoscono istologicamente rarefazione neuronale e i corpi di Pick,
inclusioni proteiche intracitoplasmatiche;
Afasia progressiva primaria;
Demenza frontale associata a malattia del motoneurone.
Queste demenze si manifestano generalmente con disturbi della personalità e del linguaggio, esordendo in
modo subdolo per poi peggiorare progressivamente.
Come visto per l’AD la diagnosi è prettamente clinica e le indagini strumentali sono necessarie al fine di
escludere altre forme di demenza e lesioni strutturali.
La terapia ha lo scopo di controllare i sintomi comportamentali e affettivi, mediante l’uso di antipsicotici
atipici e SSRI. Non essendo implicato il sistema colinergico, non risponde agli anti‐colinesterasi.
DEMENZA A CORPY DI LEWY
È ancora discusso se si tratti di una malattia autonoma o di una variante della malattia di Alzheimer.
Clinicamente è caratterizzata da allucinazioni visive, segni di Parkinsonismo, deficit cognitivo ad andamento
fluttuante.
Molti pazienti rispondono meglio di quelli affetti da AD agli inibitori della colinesterasi.
L'elemento diagnostico fondamentale è la presenza dei corpi di Lewy, inclusioni eosinofile
intracitoplasmatiche formate dall'accumulo di una proteina fibrillare (alfa‐sinucleina).
DEMENZE VASCOLARI
Le cause vascolari rappresentano la seconda causa di demenze (dopo l'AD) e la prima fra le forme
secondarie.
In generale i pazienti dementi vascolari non sono pazienti omogenei: la clinica dipende ovviamente dalla
sede in cui la lesione vascolare si è realizzata.
Per determinare un quadro di demenza è tuttavia necessario che siano intaccate aree significative
per le funzioni cognitive, sia corticali (porzioni inferiori dei lobi temporali, le porzioni orbito frontali),
sia sottocorticali (talamo, sostanza bianca sovratentoriale, caudato).
È importante inquadrare correttamente una demenza di tipo vascolare differenziandola da una
degenerativa. Gli elementi che depongono a favore di una causa vascolare sono:
Esordio improvviso o entro tre mesi da un ictus;
Deterioramento "a gradini”;
Decorso fluttuante;
Presenza di segni neurologici focali (ad es. da interessamento di un'area motoria primaria);
Anamnesi positiva per encefalopatia vascolare (ictus pregresso, non sfociato in demenza);
Conferme imaging (TC, RM, doppler dei vasi cerebro afferenti).
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Sbobine 2.0
MALATTIE DA PRIONI
Il prione è un agente biologico infettivo non convenzionale in quanto non si trasmette secondo le modalità
dei tipici organismi infettivi: è una proteina, non ha acidi nucleici e non ha un apparato che permette di
innescare una replicazione e trasmissione da una cellula all’altra. La trasmissione del prione avviene con un
meccanismo di diffusione. Inoltre, ha la capacità di integrarsi nella cellula sfruttando l’apparato di trascrizione
nucleare della stessa e altri meccanismi, in questo modo produce il danno. Questo è il primo motivo per
capire i meccanismi alla base della demenza prionica. Un altro motivo è l’alterazione neuropatologica, che
consiste una degenerazione spongiforme (encefalopatie spongiformi, per la presenza di vacuoli
intracitoplasmatici che conferiscono un aspetto spugnoso).
Perusini scoprì la demenza da prioni. Il prione però è un agente labile ai comuni metodi di disinfezione.
CLASSIFICAZIONE
Si tratta di malattie rare, caratterizzate da periodi di incubazione lunghi cui segue una demenza rapidamente
progressiva che porta a morte il pz nell’arco di pochi mesi. La diagnosi dev’essere tempestina.
La patologia associata a prioni si può realizzare per meccanismi esogeni o endogeni e si classifica in:
Sporadica (85% casi): in cui si ha conversione della proteina fisiologica in una proteina diffusiva op‐
pure si ha mutazione somatica del gene;
Genetica o familiare (10% casi): causata dalla mutazione (nella porzione centrale) della proteina prio‐
nica, fisiologicamente presente nelle nostre cellule neuronali (ha la funzione di stabilizzare la mem‐
brana). Esempi sono la FFI o rari casi della CJD;
Forme acquisite: variante di CJD o “variante mucca pazza”. Si realizza per un meccanismo simil‐in‐
fettivo, in cui si ha salto di specie.
Le forme più note sono:
Kuru; forma descritta negli anni ‘50, che colpiva gli indigeni della Nuova Guinea. Questi soggetti
contraevano questa malattia devestante ingerendo carni umane;
Malattia di Creutzfeldt‐Jakob (encefalopatia spongiforme): nello stadio prodromico si presentano
sintomi aspecifici con durata da poche settimane ad alcuni mesi come perdita di peso, malessere
generale, insonnia, disequilibrio, atassia, cefalea. Poi si manifestano precoce alterazione delle
funzioni mnesiche associate ad alterazione della personalità, aggressività, alterazioni
comportamentali con possibile perdita della parola e della comunicazione, successivamente
comparsa di disturbi motori interessanti sia il sistema piramidale che l'extrapiramidale. Diagnostica è
la comparsa di mioclonia. Si tratta di una patologia quasi esclusivamente a forma sporadica.
o Malattia di Creutzfeldt‐Jacob variante. Alla fine degli anni ’90 si scoprì la variante acquisita
(“mucca pazza”), causata dall’ingestione di carni bovine provenienti da allevamenti infetti e
dall’assorbimento dell’agente trasmissibile, il prione (esogeno), che operò il salto di specie da
bovini a umani. Questo causò un’epidemia di casi di encefalopatia spongiforme che colpì
soprattutto soggetti giovani. Il risultato fu un quadro di allarme globale, in cui si bloccò l’arrivo e
il consumo di queste carni (provenienti soprattutto dall’Inghilterra) per alcuni anni;
Insonnia fatale familiare. Il pz perde la capacità di dormire, fino al decesso. Fu descritta in Italia da
un gruppo di neurofisiopatologi esperti del sonno. Condivide con la CJD il quadro anatomopatologico
(encefalopatia spongiforme), tuttavia non è sporadica, ma familiare perché è causata dalla
mutazione della proteina prionica endogena;
Malattia di Gerstmann‐Straussler‐Schenker;
Inoltre, ci sono analoghe forme che riproducono la malattia umana anche negli animali (bovini, ovini
e caprini).
In tutte queste patologie la proteina prionica PrP con funzione fisiologica ignota, dopo aver subito mutazioni,
si accumula a livello intraneuronale con formazione di placche.
Nelle forme sporadiche di malattie da prioni si verifica solamente una modificazione della conformazione
tridimensionale della proteina.
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Sbobine 2.0
MALATTIA DI CREUTZFELDT‐JAKOB
ISTOPATOLOGIA
È una patologia che colpisce soprattutto la sostanza grigia a livello encefalico sia corticale che sottocorticale
(talamo e NN della base). Insieme alla presenza dei vacuoli tipici della encefalopatia spongiforme, si può
ritrovare anche la presenza di amiloide (conseguenza aspecifica della malattia) e di depositi di proteina prio‐
nica anomala (DD. con le placche senili).
CLINCA
Il quadro clinico è quello della demenza. L’esordio però è sfumato, si tratta di soggetti che lentamente mani‐
festano disturbi dell’umore (sindrome depressiva, confusionale) e disturbi comportamentali. Talora la mo‐
dalità d’esordio è così sfumata che rende difficile la diagnosi (Es il pz si può mettere di fronte a un muro e
osservarlo in modo fisso, senza nessun tipo di motivazione, per una alterata percezione dello spazio circo‐
stante).
DIAGNOSI
Gli accertamenti permettono di arrivare alla diagnosi sono:
RM: permette di localizzare lesioni cerebrali (strutture con densità diversa sono il corrispettivo delle
alterazioni spongiformi);
EEG: utile ad indagare manifestazioni motorie peculiari, le mioclonie (discinesie epilettogene tipiche
della CJD, sono piccole contrazioni che colpiscono soprattutto gli arti superiori). È un encefalo‐
gramma molto disaggregato che, nella fase avanzata della malattia, mostra un’attività di fondo molto
ridotta; essa viene sostituita da scariche periodiche che sono alla base del mioclono;
Esame del liquor: dosaggio della proteina di danno neuronale, la proteina 14‐3‐3, contenuta nei neu‐
roni e costitutiva dell’apparato sottomembranario (sotto‐neurolemma). Questa proteina si riversa
nel liquor in caso di distruzione cellulare come nella CJD. Non è un esame specifico, in quanto può
essere alterato anche in forme di demenza non spongiforme; in ogni caso, nelle demenze prioniche
è un indice molto sensibile.
La diagnosi di certezza è anatomopatologica: si rileva nel tessuto cerebrale la proteina prionica alterata,
indipendentemente dalla causa. Inoltre, se il quadro è genetico, l’esame del DNA consente di rilevare le mu‐
tazioni del gene responsabili della proteina alterata.
TERAPIA E PROGNOSI
Non esistono terapie risolutive, si possono fare terapie sintomatiche per i sintomi comportamentali o le mio‐
clonie, ma in ogni caso la prognosi è molto infausta.
In conclusione, le encefalopatie spongiformi sono forme rare e in questo gruppo di malattie esistono sia forme
legate a un meccanismo di trasmissione dell’agente infettivo non convenzionale, il prione (forma acquisita),
sia forme dovute a cause genetiche, accomunate dalla mutazione della proteina prionica fisiologicamente
presente nella cellula, può così trasmettersi (forma familiare) o meno (forma sporadica). Dal punto di vista
clinico, la forma più emblematica è la CJD sporadica. Vi è l’obbligo di dichiararla sebbene sia molto rara.
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Sbobine 2.0
ENCEFALOPATIE VASCOLARI
ICTUS (STROKE)
Quadro clinico a eziologia vascolare non traumatica, caratterizzato dall'esordio improvviso di deficit
neurologici focali o diffusi di durata superiore alle 24 ore, con esito anche letale.
Nell'80% dei casi è di natura ischemica, nel restante 20% è emorragico (15% emorragia cerebrale, 5%
emorragia subaracnoidea).
A differenza dell’ictus, il TIA (transient ischemic attack) è caratterizzato da improvvisa comparsa di segni e/o
sintomi riferibili a deficit focale cerebrale o visivo, senza interessamento della coscienza, attribuibile ad
insufficiente apporto di sangue (eziologia quindi esclusivamente ischemica), di durata inferiore alle 24 ore.
Si può escludere la diagnosi di TIA in caso di perdita di coscienza, vertigini, amnesia globale transitoria, astenia
generalizzata, stato confusionale perché i sintomi caratteristici devono essere focali.
EPIDEMIOLOGIA
In Italia l'ictus rappresenta la prima causa di disabilità, seconda causa di demenza e la terza causa di morte
(dopo patologie CV e neoplasie). La prevalenza e l'incidenza aumentano nell'età avanzata. Ogni anno si
verificano in Italia circa 194.000 ictus, di cui 1'80% sono nuovi episodi e il 20% recidive. Il rischio cumulativo
di recidiva nei 5 anni successivi ad un ictus o ad un TIA è del 25% circa.
FISIOPATOLOGIA
Il SNC, nonstante rappresenti soltanto il 2% del peso corporeo totale, riceve il 15% della gittata cardiaca. Il
metabolismo neuronale non prevede altri substrati energetici fuorché glucosio, motivo per cui l’apporto deve
essere continuo e costante. Quando questo diminuisce improvvisamente si verifica lo stroke, ovvero un
danno cerebrale irreversibile. Il livello critico di perfusione è circa 12 ml/100g/min per un danno reversibile,
mentre si arriva a 8ml/100g/min per un danno irreversibile. Grazie a meccanismi di autoregolazione
cerebrale, il flusso ematico cerebrale (FEC) resta costante entro un range molto ampio di variazioni di
pressione arteriosa sistemica.
Il flusso ematico è il risultato del rapporto tra pressione di perfusione e resistenze vascolari.
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Sbobine 2.0
L’autoregolazione si basa prevalentemente sulla modificazione delle resistenze vasali mediante fattori del
metabolismo e fattori neuro-endocrini:
• CO2 – elemento di maggior rilevanza, induce una vasodilatazione nelle zone con un maggior
metabolismo. Per verificare la capacità di autoregolazione si può richiedere al paziente di inalare CO2
o restare semplicemente in apnea.
• NO – è un vasodilatatore
• Ortostimpatico – mantiene il tono vasale.
Quando si riduce il flusso ematico entrano in gioco i circoli collaterali: in seguito a una graduale occlusione, i
vasi hanno il tempo di dilatarsi; si formano spesso a livello del poligono di Willis, oppure attraverso le arterie
suboccipitali, o tra la carotide interna e la carotide esterna attraverso l'arteria oftalmica.
CLASSIFICAZIONE EZIOLOGICA
Nel quadro di stroke (ictus) rientrano due grandi gruppi eziologici:
• ictus su base ischemica (80%)
o Aterosclerosico (30-50%)
▪ Insufficienza emodinamica a valle della placca
▪ Liberazione di trombo-emboli
o Lacunare (arterie penetranti)
o Cardio-embolico (FA, valvulopatia, etc).
o Cause indeterminate e rare
• Ictus emorragico (20%)
o Emorragia sub-aracnoidea
o Emorragia cerebrale intraparenchimale.
ICTUS ISCHEMICO
La causa ischemica è alla base del 75-80% dei casi di ictus. All'interno di questo gruppo si differenziano vari
meccanismi patogenetici in base al tipo di vaso interessato. È quindi utile suddividere i vasi del circolo
cerebrale in tre gruppi:
• Grossi vasi – arterie carotidi interne e aa. vertebrali sono interessate dall'aterosclerosi.
• Arterie circonferenziali - rami che si dipartono direttamente dai grossi vasi, e sono adagiati sulla
superficie degli emisferi e nelle circonvoluzioni. Ne sono un esempio:
o Arteria oftalmica, corioidea anteriore, cerebrale media e anteriore (rami della carotide);
o Arteria cerebrale posteriore e arterie cerebellari (PICA – ramo della vertebrale, e AICA- ramo
dell’a. basilare) – derivano dal circolo vertebro-basilare. Questi vasi sono interessati da emboli
provenienti dal cuore (ictus cardioembolico), o da placche aterosclerotiche dei grossi vasi).
• Arterie penetranti - piccoli rami terminali che originano dalle circonferenziali. Sono interessate da
una degenerazione che ne provoca l'obliterazione (ictus lacunare).
ICTUS ATEROSCLEROTICO
L’ictus aterosclerotico deriva dall'occlusione o da una grave stenosi di un vaso di calibro maggiore. La
diminuzione del flusso può derivare da un'insufficienza emodinamica a valle della placca o dalla liberazione
di trombo-emboli. La sede più frequente della trombosi è in corrispondenza delle biforcazioni dove il flusso
diventa turbolento e favorisce la formazione di placche. La placca riduce il diametro del vaso, ma ciò, in
condizioni basali, non provocherebbe ischemia grazie alla presenza dei circoli collaterali e
all'autoregolazione.
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Sbobine 2.0
La placca può però complicarsi con la formazione di trombi, che possono provocare ischemia in due modi:
• si frammentano dando origine a emboli che occludono i vasi a valle (embolia arterio-arteriosa);
in questo caso i vasi embolizzati sono le arterie circonferenziali, come la cerebrale media.
• occludono completamente il vaso, determinando ischemia di tutto il distretto a valle. In questo caso
sono coinvolte le grosse arterie sede della placca.
L'andamento clinico sarà caratteristico, con TIA prodromici, provocati da piccoli emboli che vengono
disgregati, e progressione intermittente e discontinua delle disfunzioni neurologiche (evoluzione a
"gradini").
La stenosi del vaso cerebro-afferente è diagnosticata con l’eco-color-doppler. L’angiografia è un esame
di secondo livello, necessario per la programmazione di un intervento di endoarterectomia.
ICTUS CARDIOEMBOLICO
Nell’ictus cardioembolico è necessario identificare almeno una fonte emboligena cardiaca.
Le fonti ad alto rischio sono:
• valvole meccaniche
• stenosi mitralica con FA
• FA (esclusa la FA isolata che è a rischio medio)
• Trombosi auricola sx
• IMA recente (< 4 settimane)
• Cardiomiopatia dilatativa
• Acinesia segmentaria ventricolo sinistro
• Mixoma atriale
• Endocardite infettiva.
Invece, fonti emboligene a medio rischio sono: prolasso valvola mitralica, calcificazioni annulus mitralico,
stenosi mitralica senza FA, turbolenza atriale sinistra, aneurisma setto interatriale, forame ovale pervio, flutter
atriale, FA isolata, valvole cardiache biosintetiche, scompenso cardiaco congestizio, IMA pregresso (> 4
settimane), ipocinesia segmentaria del ventricolo sinistro.
Gli aspetti clinici e neuroradiologici sono sovrapponibili a quelli descritti per l'aterosclerosi delle arterie di
grosso calibro, quindi è necessario escludere fonti aterosclerotiche di embolismo o trombosi.
Spesso si evidenziano precedenti TIA o stroke in più territori vascolari.
Rispetto all'ictus aterosclerotico il tratto tipico è l'esordio a "ciel sereno", caratterizzato da perdita di
coscienza, che spesso si realizza durante sforzo fisico.
Le conseguenze sono gravi, perché i trombi che si formano nel cuore sono grossi ed essendo causati da stasi
e moto turbolento sono trombi rossi, più duri e meno friabili dei trombi piastrinici.
ICTUS LACUNARE
Sono interessate le arterie di piccolo calibro, piccoli vasi penetranti provenienti dai grossi vasi superficiali.
L’occlusione è su base degenerativa, ed è causata da microateromi o lipoialinosi. L'ipertensione, il diabete e
il fumo sono fattori di rischio importanti.
L’infarto lacunare si caratterizza per l’assenza di coinvolgimento corticale, che caratterizza invece gli ictus
aterosclerotici e cardio-embolici. Le arterie penetranti, infatti, non irrorano aree corticali, ma strutture
sottocorticali. I sintomi clinici comprendono:
• emiparesi motoria pura – lesione della capsula interna
• emisindrome sensitiva pura – lesione del talamo postero-laterale
• emisindrome sensori-motoria
• emisindrome atassica
• disartria
• emicorea/emiballismo.
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Sbobine 2.0
La diagnosi prevede:
• Esclusione di aterosclerosi dei vasi cerebro-afferenti e di fonti emboligene.
• Esecuzione di TC che mostra un quadro tipico, caratterizzato da zone ipodense a livello
sottocorticale in corrispondenza delle aree ischemiche.
QUADRI CLINICI
Le manifestazioni dell'ictus ischemico dipendono dal vaso interessato e, conseguentemente, dall'area
corticale ischemica. In generale può essere colpito l’emisfero dominante o non dominante:
• Stroke emisfero dominante: emiparesi dx, ipoestesia dx, emianopsia dx, deficit sguardo coniugato
verso dx, disartria, afasia, difficoltà nella scrittura, lettura e calcolo.
• Stroke emisferico non dominante i sintomi a carico del lato sinistro sono simili, ma non ci sono le
turbe del linguaggio. Si aggiungono disorientamento spaziale ed estinzione stimoli sul lato sx.
TIA:
• oculare: cecità monoculare transitoria omolaterale alla carotide occlusa per ischemia dell'occhio
dovuta all'irrorazione da parte dell'arteria oftalmica
• emisferico: emiparesi, emisindrome sensitiva, afasia isolata (se interessato l’emisfero dominante),
emi-inattezione (se interessato l’emisfero non dominante).
Ictus:
• oculare
• emisferico
Sindrome oculo piramidale o locked in: il paziente è cosciente e sveglio, ma non può muoversi o comunicare
a causa della completa paralisi dei muscoli volontari. È il risultato di un ictus a livello del tronco encefalico,
nella parte ventrale corrispondente ai fasci piramidali.
Il trombo proveniente dall’arteria carotide, ma anche dal cuore, può disgregarsi e dare luogo a emboli che
occludono l’arteria cerebrale media (ACM) o anteriore (ACA).
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Sbobine 2.0
Stroke nel territorio dell'arteria cerebrale media (70% degli ictus ischemici)
L’ ACM irrora la faccia convessa (laterale) degli emisferi cerebrali.
Si presenta con:
• deficit motori contro laterali – sono compromessi i muscoli della
faccia, del cingolo e arto superiore; l’arto inferiore del lato paretico è
mobilizzabile poiché la sua rappresentazione è a livello della faccia
mediale dell’area motoria di pertinenza dell’ACA.
• emianestesia,
• emianopsia laterale omonima - perdita del campo visivo controlaterale alla lesione
• deviazione di capo e occhi dal lato della lesione (gli occhi “sfuggono” dall’arto plegico). Questo
atteggiamento è dovuto a lesioni dell’area 8, deputata ai movimenti oculari di lateralità. Ognuna
guida i movimenti verso il lato opposto, perciò se è lesa l’area 8 destra, avremo gli occhi che guardano
a destra.
Oltre questi avremo sintomi specifici a seconda dell’emisfero coinvolto:
• Emisfero dominante (di solito il sinistro)
o Afasia motoria, per l'interessamento dell'area di Broca (lobo frontale)
o Afasia sensitiva, per l'interessamento dell'area di Wernicke (lobo temporale).
o Sindrome di Gerstmann, dovuta a lesioni del lobo parietale inferiore, caratterizzata da acalculia,
agrafia, agnosia digitale, disorientamento dx e sx.
o Aprassia ideativa: le aree 39-40 sinistre sono deputate all’organizzazione sequenziale dei singoli
movimenti elementari.
• Emisfero non dominante (destro):
o Agnosia spaziale controlaterale, deriva da lesioni del lobo parietale destro.
o Emisomatoagnosia agnosia dello schema corporeo che coinvolge tutto il lato sinistro; è
provocata da lesioni dell’area 39 e 40 di destra. Quindi, se si associa a lesione ishcemica delle
aree motorie, si configura un quadro "spaventoso" in cui il paziente non solo non è in grado di
muovere la metà sinistra del corpo, ma non è in grado di percepire il proprio deficit (nosoagnosia)
poiché non concepisce l'esistenza di quella parte di corpo che non riesce a muovere (sindrome
di Anton-Babinsky).
Stroke nel territorio dell'arteria cerebrale anteriore (5% degli ictus ischemici)
L’ACA irrora la faccia mediale degli emisferi e la parte mediale della faccia inferiore (orbitaria) del lobo frontale.
I suoi rami irrorano l’ipotalamo, il corpo calloso e parti del lobo limbico. Una sua occlusione comporta:
• Paresi del piede e della gamba controlaterale
• Deficit sensitivi a carico dell’arto inferiore
• Disturbi comportamentali (abulia, rallentamento, inerzia, mancanza di
spontaneità
• Comparsa di riflessi patologici
• Aprassia degli arti e marcia
• Incontinenza urinaria
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Sbobine 2.0
• amnesia
• sintomatologia labirintica.
L’occlusione completa dell’a. basilare è fatale.
CLINICA
Il primo step diagnostico è senza dubbio rappresentato dalla valutazione neurologica. Si deve sospettare
l'ictus ischemico quando i deficit neurologici focali appaiono improvvisamente. Nella fase iniziale i sintomi
possono oscillare, ma nelle 24 ore progrediscono. In fase acuta si possono avere: alterazioni della coscienza,
crisi convulsive (più comuni nell'ictus emorragico), afasia, disartria, ipostenia arti, deficit coordinazione o
ipoestesia, atassia, disturbo dell'equilibrio, perdita del visus mono o bi-oculare o in una parte del campo visivo,
vertigini, diplopia, perdita unilaterale dell'udito, nausea, vomito, cefalea, fotofobia.
LABORATORIO
Nel caso di sospetto ictus si valuta: emocromo, glicemia, elettroliti, creatininemia, azotemia, indici della
coagulazione, EGA (può rilevare un’ipossiemia come causa della riduzione della coscienza). L’esame
tossicologico e del liquor sono effettuati solo in determinate circostanze.
ESAMI RADIOLOGICI
• TC senza MDC: è l’esame d’elezione, utile anche per distinguere un ictus emorragico da quello
ischemico. Mentre in caso di emorragia il quadro radiologico è molto più eclatante, spesso nelle
prime 6 h i segni di ictus ischemico sono scarsi o assenti. L'esame va perciò ripetuto dopo qualche
ora e può mostrare zone di iperdensità dell’arteria cerebrale media.
• ECG, eco-color-doppler TSA (tronchi sovra-aortici), eco-color-doppler TCD (trans-cranico), ed
ecocardiogramma sono impiegati per ricercare la patologia sottostante.
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Sbobine 2.0
In caso di stenosi carotidea si può intervenire anche con l'endoarteriectomia carotidea, in particolare
solo se la stenosi è sintomatica e ≥70%, o asintomatica e ≥60%.
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Sbobine 2.0
STROKE EMORRAGICO
Rappresenta solo il 20% dei casi totali di ictus, di cui il 15% è rappresentato da emorragie intraparenchimali
e il 5% da emorragia sub-aracnoidea (ESA).
EMORRAGIE INTRA-PARENCHIMALI
La sede dell’emorragia intraparenchimale può essere tipica o atipica.
La causa principale è l’ipertensione arteriosa, tanto che si parla di emorragia cerebrale ipertensiva. Il regime
pressorio determina indebolimento della parete, che va incontro a microdilatazioni aneurismatiche che
possono rompersi. La rottura si realizza tipicamente in relazione a crisi ipertensive. Dopo la rottura il
sanguinamento può durare per un periodo di tempo variabile da 30 minuti a qualche ora.
L'emorragia in sede atipica è caratterizzata da versamento ematico intraparenchimale circoscritto a livello
della sostanza bianca sottocorticale dei lobi temporali, frontali, occipitale, parietale o temporale. Il quadro
è molto diverso a secondo della sede dell'ematoma, e della sua estensione. Avremo tipicamente deficit
dipendenti dalle funzioni dell'emisfero coinvolto (vedi semeiotica).
Non sono correlate all’ipertensione, bensì spesso a malformazioni vascolari di competenza del neurochirurgo
(angiomi, fistole durali tra un ramo arterioso meningeo e un seno venoso o con una vena cerebrale, angiopatia
amiloide). Altre possibili cause sono patologie ematologiche che alterano l'emostasi in senso emorragico
(piastrinopenie gravi, deficit quantitativi - es. per cirrosi-, e qualitativi - es. per mutazioni- dei fattori della
coagulazione). Possono essere un effetto avverso di terapie anti-coagulanti (es eparina e warfarin). Alcuni
tumori, dotati di una vascolarizzazione alterata, e l’abuso di sostanze possono determinare un’emorragia.
CLINICA
Facendo riferimento all’eziologia aneurismatica, le manifestazioni cliniche sono da dividersi in segni e sintomi
dovuti all’aneurisma, e segni e sintomi dovuti alla loro rottura.
• Sintomi pre-rottura: di solito l’aneurisma è asintomatico. Se molto voluminoso può provocare un
effetto massa comprimendo le strutture vicine, ad esempio:
o Chiasma → disturbi visivi
o Nervo oculomotore → anisocoria, strabismo
o Peduncolo ipofisario → alterazioni endocrinologiche
o Trigemino → algia facciale
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Sbobine 2.0
ICTUS MIDOLLARE
La vascolarizzazione è garantita da due arterie spinali posteriori, che irrorano le colonne posteriori, un'arteria
spinale anteriore, che irrora i 2/3 anteriori del midollo spinale.
L'ictus midollare è una patologia molto rara che colpisce praticamente sempre l'arteria spinale anteriore o
un'arteria di cui essa è tributaria (es. L’a. di Adamkiewicz).
CLINICA
L'infarto midollare dell'arteria spinale anteriore si manifesta con un tipico quadro:
• deficit motorio con spasticità e iperreflessia (inizialmente è possibile la condizione di shock spinale
con flaccidità e areflessia);
• deficit sensitivo dissociato con perdita della sensibilità termica e dolorifica (per interruzione dei fasci
spino-talamici) e mantenimento della sensibilità epicritica (tattile e propriocettiva, perché i cordoni
posteriori sono irrorati dall'arteria posteriore);
• dolore acuto al livello del rachide, localizzato o diffuso.
L'esordio della sintomatologia è tipicamente progressivo, al contrario dell'ictus cerebrale emisferico.
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Sbobine 2.0
• Siringomielia
Patologia malformativa del midollo, in cui si presenta una cavità cistica intramidollare
(siringomielica), ovvero una dilatazione del canale ependimale. La cavità siringomielica con il
tempo può ingrandirsi e schiacciare il midollo. Il quadro clinico è caratteristico:
o deficit sensibilità termo-dolorifica al livello della siringomielia (i dermatomeri superiori e inferiori
hanno normale sensibilità)
o conservazione della sensibilità epicritica
o possibile interessamento motorio se sono interessate le vie piramidali.
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Sbobine 2.0
EPILESSIA
DEFINIZIONI
CRISI EPILETTICA: manifestazione clinica dovuta alla scarica abnorme di un gruppo di neuroni cerebrali, che
deve sempre comprendere delle cellule corticali. Esistono anche crisi epilettiche scatenate da neuroni in sede
atopica sottocorticale, anche in sede tronco-encefalica. La crisi epilettica è dovuta a un’alterazione
dell’attività bioelettrica cerebrale normale.
Esistono diversi tipi di crisi epilettica:
In base all’eziologia:
• Criptogenetica: la causa è ignota;
• Secondaria: sintomatica, come un tumore.
In base alla modalità di presentazione rispetto a una lesione:
• Acuta: insorge subito dopo un insulto;
• Tardiva: anche detta crisi sintomatica remota. Sono crisi decorse in soggetti con storia di danno non
recente del SNC. Per esempio, in individui che da bambini hanno subito un trauma cranico (es. una
lesione contusivo-emorragica del lobo frontale) e dopo decenni sviluppano l’epilessia. Con le
indagini, si individuano esiti cicatriziali molto importanti del trauma pregresso. Analogamente può
accadere in caso di encefalite in età infantile.
In base allo stimolo provocativo:
• Provocata: con farmaci e stimolazione cerebrale. È una crisi che si manifesta in stretta relazione
temporale e causale con un evento dannoso per il sistema nervoso, che può essere metabolico,
tossico, traumatico (con formazione di ematoma);
• Non provocata: crisi spontanea, non dovuta a cause note o a insulti metabolici sistemici. Sono
comprese in questa categoria le crisi caratterizzate da abnorme sensibilità a stimoli esterni (es. crisi
fotoconvulsive in seguito a visione di cartoni animati, causa di migliaia di ricoveri urgenti negli anni
‘90).
EPILESSIA: sindrome caratterizzata da crisi epilettiche ricorrenti, una crisi isolata può comparire anche in un
soggetto normale.
Nel caso in cui si verifichino più crisi nello stesso giorno (magari in seguito all’assunzione di alcol o farmaci)
si parla comunque di una singola crisi. Una sola crisi non è un’indicazione a trattare il soggetto, si interviene
solo in caso di ricorrenza, che ci autorizza a parlare di epilessia vera e propria. Dopo il trattamento il 70%
circa delle forme di epilessia vanno in remissione, con scomparsa delle crisi. Talvolta, soprattutto in caso di
cessazione della terapia, possono esservi ricadute.
L’attività elettrica anomala è caratterizzata dall’occorrenza transitoria di una serie di sintomi o segni
dipendenti dalla sede dove questa si verifica:
• Sede occipitale: sintomi visivi;
• Giro precentrale: disturbi motori;
• Giro postcentrale: sintomi sensitivi.
Molti personaggi famosi del passato e del presente sono stati colpiti da epilessia: Giulio Cesare, Napoleone,
Pietro il Grande, Alessandro Magno. Sono vissuti con l’epilessia senza gravi conseguenze, pur senza terapie
disponibile. Oggi, la patologia viene trattata, soprattutto per evitare lesioni durante la crisi, tuttavia, una volta
scatenatasi, questa giunge al termine una volta che i neuroni esauriscono la loro energia, con un periodo di
inibizione che segue l’eccitazione.
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Sbobine 2.0
EPIDEMIOLOGIA
L’incidenza dell’epilessia nella popolazione generale si avvicina all’1%, con alcune differenze geografiche.
La patologia è più frequente in bambini e adolescenti, in particolare, le forme genetiche prevalgono nei
bambini, dato che si manifestano nell’infanzia.
Le crisi convulsive (incidenza: 130/100’000/anno) sono quelle legate a maggior rischio di morte, soprattutto
a causa di lesioni durante la crisi. Una particolare categoria sono le convulsioni febbrili, che compaiono nel
bambino piccolo (nel 2% della popolazione), in risposta all’aumento della temperatura, uno stimolo abnorme
per il sistema nervoso. Queste non devono indurre a supporre che il bambino in futuro svilupperà epilessia.
La mortalità nell’epilessia sintomatica è legata alla causa che la produce (es. glioblastoma, un tumore
cerebrale con prognosi infausta), più che all’epilessia di per sé.
C’è un rischio di morte improvvisa, legata soprattutto ad asistolie. La SUDEP (Sudden Unexected Death in
Epilepsy) è un evento molto raro che si verifica soprattutto in pazienti con epilessia nel lobo temporale. È
legata a un’aritmia cardiogena neurologica, ovvero un’asistolia con collasso e caduta, che, se il paziente non
viene prontamente rianimato, porta alla morte.
EZIOLOGIA
• Genetica (ereditaria):
o Solo epilessia;
o Epilessia con altre manifestazioni neurologiche;
• Acquisita:
o Trauma;
o Vasculopatia (encefalopatia vascolare);
o Infezione (encefalite, di cui la crisi epilettica è il sintomo principale);
o Neoplasia;
o Malattie degenerative;
o Intossicazione;
o Malattie metaboliche;
• Congenita (presenti dalla nascita, spesso ereditarie, talvolta acquisite):
o Displasia/disgenesia corticale;
o Tumori cerebrali;
o Malformazioni vascolari;
o Lesioni prenatali (es. ipossia fetale).
CLASSIFICAZIONE
Le classificazioni sono costantemente oggetto di continua revisione, in particolare, la ILAE (International
League Against Epilepsy) effettua un aggiornamento ogni anno. Tuttavia, i criteri generali necessari da un
punto di vista operativo per la clinica, sono quelli enunciati già nella classificazione sottostante.
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Sbobine 2.0
o Crisi generalizzate:
o Crisi tipo assenza;
o Crisi miocloniche;
o Crisi toniche;
o Crisi tonico-cloniche;
o Crisi atoniche;
o Crisi non classificabili: una buona percentuale delle epilessie vengono genericamente diagnosticate
come “sindrome comiziale”.
Esistono anche classificazioni basate su aspetti clinici, altre sull’EEG.
FATTORI DI RISCHIO
Diversi sono i fattori che possono precipitare la crisi. Tra questi:
• Stress;
• Privazione di sonno e affaticamento, il fattore più importante. Si utilizza questo fattore anche per la
diagnosi, registrando l’EEG dopo un periodo di provazione di sonno, per slatentizzare le punte tipiche
dell’epilessia;
• Cambiamento del ciclo sonno/veglia;
• Abuso o deprivazione di alcol: quando si ricovera un paziente alcolista cronico, è opportuno ridurre
progressivamente le dosi di alcol, senza eliminarlo del tutto dall’inizio;
• Alterazioni metaboliche;
• Fattori tossici: come le droghe;
• Farmaci: soprattutto antibiotici, ipoglicemizzanti, antiaritmici, ormoni, antidepressivi (soprattutto i
vecchi triciclici usati a forti dosi) e antipsicotici, stimolanti, anestetici, oppioidi;
• Ciclo mestruale: epilessia catameniale, spesso le crisi avvengono durante la fase premestruale.
NB Il RISCHIO DI RECIDIVA di una prima crisi epilettica non provocata è elevato in caso di presenza di:
• Lesioni cerebrali;
• Atipie EEG;
• Crisi focale;
• Familiarità.
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Sbobine 2.0
EEG DINAMICO
Per conoscere il numero di crisi che compaiono in un soggetto, o per verificare che abbia effettivamente
crisi, esiste la metodica dell’EEG dinamico (impropriamente chiamato holter), che utilizza piccoli registratori
(o anche smartphone o orologi), collegati a uno o due elettrodi. Un’importante applicazione è la verifica
dell’efficacia di un farmaco antiepilettico.
TIPOLOGIE DI EPILESSIA
EPILESSIA TONICO-CLONICA GENERALIZZATA: “GRANDE MALE”
È la crisi epilettica più nota e rappresentata. Il soggetto emette un urlo, cade al suolo con gli occhi
arrovesciati, irrigidito, cianotico in volto con la bava alla bocca, presentando successivamente contrazioni
brusche ai quattro arti, cui segue un periodo di sopore e malessere generalizzato. La cianosi, un dato spesso
notato dagli spettatori, è importante per la diagnosi differenziale con la crisi vago vagale, in cui il soggetto
appare pallido. Può esservi morsicatura della lingua: per evitarla, è possibile tentare di inserire un fazzoletto,
ma non bisogna aprire la bocca del paziente, per evitare di essere morsi. Non bisogna mai immobilizzare il
soggetto per il rischio di fratture, si cerca di proteggerlo perché non si faccia male. Si pone il paziente su un
fianco, se vi è eccessiva produzione di saliva, e si aspetta che la crisi cessi. È inutile chiamare un’ambulanza,
in quanto il soggetto arriva al Pronto Soccorso a crisi terminata. A questo punto, il paziente è soporoso, l’EEG
mostra uno stato di rallentamento dovuto all’esaurimento metabolico delle cellule neuronali.
La crisi dura in tutto 5-10 minuti, la descrizione appena fatta è riconducibile a 3 fasi:
• Fase tonica: contrazione intensa e generalizzata dei muscoli degli arti, del rachide, del torace, del
volto, con apnea e quindi cianosi;
• Fase clonica: scosse muscolari brusche, generalizzate, sincrone, prima ravvicinate, poi distanziate;
• Fase risolutiva: post-critico, ipotonia generalizzata e ripresa del respiro.
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Sbobine 2.0
SINDROME DI WEST
È un’encefalopatia epilettica che compare nel primo anno di vita. È caratterizzata dai “tic di Salaam”: flessioni
brusche, ripetute, che si accompagnano a un arresto dello sviluppo psicomotorio, con alto rischio di ritardo
mentale.
Caratteristiche degli spasmi: il movimento è più lento e coordinato di una scossa mioclonica, più breve di una
crisi tonica. L’intensità del fenomeno è variabile: talora lo spasmo è quasi impercettibile, limitandosi, per
esempio, a una smorfia facciale o a un sollevamento delle spalle. Nel corso di una serie di spasmi, si osserva
spesso un aumento dell’intensità del fenomeno e una progressiva estensione della contrazione a tutto il
83
Sbobine 2.0
corpo. Tra uno spasmo e l’altro, il bambino ha un ripristino della partecipazione e, spesso, piange. In un
giorno, possono presentarsi 2-3 serie di spasmi, ciascuna della durata di alcuni minuti.
Tracciato EEG: costantemente alterato, evidenzia una successione di onde lente e punte di grande ampiezza
(ipsiaritmia), che accompagnano gli spasmi.
Esistono diverse forme:
• Forma criptogenetica: la TC e la RM sono normali, gli spasmi interessano tutto il corpo
simmetricamente e non vi sono segni focali. Questi casi possono avere un’ottima prognosi;
• Forme sintomatiche: correlate a cause genetiche, sindromi cromosomiche, come la S. di Down,
malformazioni cerebrali, come la sclerosi tuberosa, sofferenza anossica ischemica durante il parto o,
infine, a patologie encefaliche post-natali.
In queste forme, gli spasmi hanno generalmente caratteristiche che le distinguono dal caso
precedente: possono essere più prolungati, con maggiore componente tonica, possono
accompagnarsi segni focali (es. deviazione dello sguardo da un lato);
• Rare crisi parziali semplici: generalmente a semeiologia motoria, indipendenti o in stretta
associazione con gli spasmi.
SINDROME DI LENNOX-GASTAULT
È una grave encefalopatia epilettica, caratterizzata da crisi acinetiche, con caduta a terra e da un grave
decadimento cognitivo. È caratterizzata dallo sviluppo di crisi toniche associate a crisi atoniche e assenze
atipiche.
Insorge tra i 2 e i 6 anni, può essere l’evoluzione della sindrome di West e, come quest’ultima, può essere
criptogenetica o sintomatica.
EEG: comparsa su un tracciato di fondo anormalmente lento, di scariche prolungate punte-onda in cui la
punta è lenta, quindi diversa dalla punta rapida delle assenze nel “piccolo male”.
DIAGNOSI DI EPILESSIA
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ALGORITMO DIAGNOSTICO
Si esegue l’EEG, classificando, se possibile, le crisi in parziali e generalizzate:
• Crisi parziali: vengono approfondite sempre con indagini strumentali;
• Crisi generalizzate: le indagini strumentali sono eseguite solo se il paziente ha più di 25 anni o se non
si tratta di una sindrome generalizzata idiopatica.
TERAPIA DELL’EPILESSIA
QUANDO INIZIARE LA TERAPIA FARMACOLOGICA
1ª crisi: quasi mai. Sarebbe maggiore il danno dato dai farmaci che il beneficio apportato.
2ª crisi: limitatamente agli adulti e ai casi con diagnosi pressoché definita.
Crisi successive: nei bambini.
In passato, i Neurochirurghi prescrivevano la terapia antiepilettica ai pazienti che avevano subito trauma
cranico per prevenire un’eventuale crisi. Si tratta di un approccio scorretto, oggi abolito.
Anche nei bambini, il professore raccomanda cautela nella prescrizione di farmaci, comunque tossici, a
soggetti con crisi molto distanziate tra loro, nonostante l’insistenza dei genitori.
Nelle crisi da fattori metabolici, si tratta l’epilessia solo se non si riesce a correggere il fattore metabolico.
Per esempio, nell’intossicazione acuta da farmaco, l’approccio migliore è la correzione del dosaggio.
Non è sempre semplice stabilire quando iniziare il trattamento. In genere, si tenta di ricorrere a una
monoterapia, in passato si sceglievano spesso associazioni di farmaci (per esempio la Metinal Idantoina,
ovvero barbiturico associato a Idantoina). Utilizzando un farmaco solo si riduce la tossicità, si possono
attribuire con certezza eventuali effetti collaterali.
FARMACI ANTIEPILETTICI
Profilo dell’antiepilettico ideale:
• Abolisce del tutto le crisi;
• È efficace in tutti i tipi di crisi;
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REAZIONI AVVERSE
• Idiosincrasiche: anemia aplastica, insufficienza epatica acuta, sindrome di Stevens-Johnson;
• Dose-dipendenti.
La carbamazepina può dare iponatriemia ed eruzioni cutanee, che possono anche portare al ricovero.
STATO EPILETTICO
Lo stato epilettico è un’urgenza in cui le crisi subentranti sono talmente vicine da non consentire un
recupero della coscienza tra l’una e l’altra. Porta quindi a una condizione di coma, con elevato rischio di
mortalità. Il protocollo terapeutico prevede, innanzitutto, la somministrazione di Benzodiazepine per ev, poi,
se la condizione non si risolve, Fenitoina, Fenobarbital e Midazolam o Profonol. Si tratta di trattamenti che
devono essere effettuati in terapia intensiva, con paziente intubato e ventilato meccanicamente. Lo stato di
male è una condizione che porta a danno cerebrale ingravescente, quindi deve essere interrotto. Per
esempio, nel coma post anossico, che si verifica in pazienti rianimati, spesso si osserva uno stato mioclonico
continuo, di durata anche di mesi.
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STIMOLAZIONE VAGALE
Si posiziona uno stimolatore intorno al Vago, con riduzione delle crisi intorno
al 50%, il che costituisce un importante miglioramento per pazienti con crisi
molto frequenti. La procedura causa disfonia.
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MALATTIA DI PARKINSON
La malattia di Parkinson è una malattia idiopatica, su base degenerativa. Il quadro clinico presenta:
• Esordio insidioso solitamente unilaterale
• Decorso cronico progressivo
• Triade di sintomi: bradicinesia (lentezza nei movimenti), rigidità, tremore a riposo
• Disturbi di accompagnamento: alterazioni posturali e sintomi non motori
EPIDEMIOLOGIA
Prevalenza: 84-270 individui per 100.000
Incidenza: 5-25 individui per 100.000 nel mondo
Esordio: Tra i 60 e 70 anni
Raro prima dei 30
Più colpiti i maschi che le femmine
Incidenza e prevalenza aumentano con l’età (M/F=1.5)
Fattori di rischio
• Età
• Etnia caucasica
• Familiarità. L'approccio genetico molecolare ha permesse di identificare 5 geni
inequivocabilmente causativi di MP, due a trasmissione AD (a-sinucleina e dardaina) e tre a
trasmissione AR, tutti codificanti per la parkina.
• Esposizioni ambientali a erbicidi e pesticidi, metalli pesanti, droghe
• Fattori dietetici, il consumo di cibi ad alto contenuto di fattori anti-ossidanti (VitE e VitC) è
considerato protettivo;
• Infezioni virali (vi fu un aumento di incidenza di casi di Parkinson in seguito alla pandemia di
encefalite post-spagnola). Ad oggi nessun agente virale è stato dimostrato come causatio della
malattia;
• Eventi stressanti
ANATOMIA PATOLOGICA
Un riscontro patologico caratteristico si osserva in una sezione del
mesencefalo nei pazienti affetti dalla malattia, in cui la sostanza nera
scompare. È infatti presente una progressiva perdita della sostanza nera,
le cui cellule hanno un mediatore dopaminergico che si porta ai nuclei della
base ed esercita un effetto inibitore sulla corteccia (vd. figura a lato).
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CLINICA
Sappiamo che, nella MP, la degenerazione non interessa esclusivamente le strutture dopaminergiche
mesencefaliche (principali responsabili delle manifestazioni motorie parkinsoniane), ma anche i nuclei
autonomici periferici, i nuclei motori dorsali del vago, il bulbo olfattorio, la corteccia somato-sensitiva e
la neocorteccia; di conseguenza il fenotipo clinico comprende anche una serie di sintomi non motori,
purtroppo aspecifici e spesso insufficienti per una diagnosi precoce.
Stadio pre-motorio
Spesso precedono e si accompagnano alla sintomatologia motoria. In base alla gravità e alla sede di
degenerazione extra-mesencefalica avremo:
• Disturbi del SNA
o Disturbi GI: Ipersalivazione, disfagia (con rischio di polmonite ab ingestis), eruttazioni,
discomfort addominale, nausea e perdita di peso per ritardo di svuotamento gastrico
(può influenzare anche la risposta al trattamento orale con L-DOPA), stipsi per
alterazione della motilità colica (con rischio volvolo, megacolon, perforazioni), tenesmo
per disfunzione ano-rettale;
o Disturbi CV: ipotensione ortostatica e bradicardia, eritromegalia e fenomendo di
Raynaud
o Disturbi urinari: nicturia, pollachuria, incontinenza urinaria, difficoltà minzionale;
o Disturbi della sfera sessuale: disfunzione erettile, perdità dell’eiaculazione e delle
erezioni notturne
o Disturbi oculari: lacrimazione eccessiva/xeroftalmia, disturbi pupillari.
• Disturbi del sonno. Si accentuano con l’aggravamento delle condizioni di malattia e
contribuiscono significativamente alla qualità di vita del pz; non è un’alterazione solo
quantitativa (insonnia o ipersonnia) ma anche qualitativa (parasonnie REM e NREM). I disturbi
più frequentemente riscontarti sono:
o Insonnia iniziale e di mantenimento. La frammentazione del sonno è favorita da
numerosi fattori come disturbi urinari (nicturia), disturbo ansioso-depressivo, disturbi
sensitivo-motori (distonie, restless leg syndrome, ovvero parestesie molto intense degli
arti inferiori che compaiono e intensificano la notte), disturbi respiratori (OSAS)
o Parasonnie REM/NREM: allucinazioni visive, sogni vividi, incubi, sonniloquio, REM
behaviour disorder (parasonnia REM caratterizzata da bruschi movimenti di aggressione
o difesa e somniloquio), risvegli confusionali (in genere tipici delle fasi avanzate della
malattia e associati a decadimento cognitivo globale).
o Eccessiva sonnolena diurna: le parasonnie precedentemente indicate, il trattamento
farmacologico e la depressione possono contribuire a questo disturbo, che può
presentarsi continuo nelle 24h oppure con attacchi acuti di sonno.
• Disturbi di sensibilità: da intorpidimento fino a vere e proprie parestesie, iporeflessia
osteotendinea, accetuata dalla rigidità motoria
• Iposmia
• Disturbi dell’umore: apatia, ansia, depressione
• Alterazioni cognitive; si andrà da deficit inizialmente subdoli fino a una demenza franca. Il
disturbo interessa:
o Funzioni esecutive;
o Memoria, soprattutto nel recupero delle informazioni immagazzinate (retrieval) e nella
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DIAGNOSI DI MP
Solo l’esame neuropatologico è in grado di fornire una diagnosi di certezza in base al riscontro di
specifiche alterazioni:
• Deplezione neuronale e gliosi nella sostanza nera
• Presenza di corpi di Lewy
• Assenza di segni degenerativi in altre strutture
Questo tipo di diagnosi chiaramente non è applicabile al soggetto in vita, motivo per il quale la diagnosi
è prettamente clinica.
Non sono disponibili marcatori biologici specifici o test standardizzati, la diagnosi di MP idiopatica si
basa dunque sull’osservazione della presenza e progressione di sintomi e segni clinici.
CRITERI DIAGNOSTICI
I criteri diagnostici prevedono che ci sia una malattia possibile nelle fasi iniziali, che quando i segni
aumentano diventa probabile e poi definita.
Malattia possibile
• Presenza di almeno due segni tra: tremore a riposo, bradicinesia, rigidità, esordio asimmetrico
• Assenza di segni atipici (con durata di malattia inferiore a 3 anni)
• Presenza di buona risposta a levodopa o dopamino-agonisti
La diagnosi in questi casi risulta quasi scontata, ricopre un ruolo fondamentale la risposta alla
levodopa che rappresenta un test di conferma diagnostica.
Malattia probabile
• Presenza di almeno tre segni tra: tremore a riposo, bradicinesia, rigidità, esordio asimmetrico
• Assenza di segni atipici (con durata di malattia superiore a 3 anni)
• Documentata e persistente risposta terapeutica a levodopa o dopamino-agonisti
Malattia definita o conclamata
• Rispetta tutti i criteri della diagnosi possibile
• Conferma istopatologica
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Quando si effettuano esami diagnostici di questo tipo per studiare i parkinsonismi, bisogna
considerare che:
• Non forniscono immagini specifiche della MP
• Consentono il riscontro di assottigliamento della pars compacta della sostanza nera (T2*) che
è quella che degenera nella malattia di Parkinson
• Devono considerarsi indagini di ‘routine', al fine di escludere Parkinsonismi secondari o quadri
patologici che possono simulare il Parkinson. Un quadro tipico può essere l’idrocefalo oppure un
meningioma frontale che va a comprimere l’area supplementare motoria.
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TEST NEUROPSICOLOGICI
Hanno molta importanza, servono per valutare la corteccia e l’eventuale presenza di demenza. I
Parkinsoniani negli stati finali diventano dementi. Si parla di demenza sottocorticale che coinvolge i nuclei
della base.
INDAGINI STRUMENTALI
TEST AUTONOMICI
• Riflessi cardio-vascolari
• Test urodinamici: dato il coinvolgimento del nucleo di Onuf, in passato si utilizzava fare un
test elettromiografico sullo sfintere anale che risultava denervato, veniva quindi considerato
come un test sicuro ed affidabile per la diagnosi. Oggi per diagnosi di certezza si investiga
l’atrofia del nervo vago, visualizzabile tramite ecografia in maniera facile e veloce. È infatti
ormai accertato che la malattia Parkinsoniana ha inizio sicuramente dal nucleo motorio
dorsale del vago, solo dopo coinvolge la sostanza nera.
• Risposte simpatico-cutanee
• Valutazione olfattiva mediante test di identificazione di odori a scelte multiple
• Fluoroscopia per i disturbi di deglutizione e svuotamento gastrico
Tali test si utilizzano in quanto c’è un coinvolgimento del sistema nervoso vegetativo. Tuttavia,
l’asepcificità dei sintomi non offre la possibilità di utilizzare routinariamente dei test nella pratica clinica,
per mancanza di sensibilità e specificità affidabili.
NEUROFISIOLOGIA
• Segni EMG di denervazione sfinteriale
• Alterazione della conduzione motoria centrale
• Alterazioni ‘startle reactions’
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• Alterazioni componente N30 dei SEP (per più di vent’anni è stato pubblicizzato come il gold
standard per il Parkinson, il che non è vero: è molto più semplice eseguire la ricerca del
fenomeno-abitudine dell’RTF (riflesso trigemino faciale), ammiccamento degli occhi che a un
certo punto scompare. Tale fenomeno non è presente nelle malattie extra-piramidali, il che
consente la diagnosi differenziale.
TRATTAMENTO SINTOMATICO
L’introduzione della levodopa nella terapia del
Parkinson si deve a O. Hornykiewicz and W.
Birkmayer. Al momento della diagnosi, la terapia
inizia con i dopaminoagonisti e successivamente
prosegue con la levodopa. Questo perché la durata
della dopa è di 10-15 anni e se il Parkinson viene
diagnosticato a 50 anni e si inizia subito con la dopa,
una volta raggiunti i 60 gli effetti saranno minimi.
Nel momento in cui si inizia la levodopa si ha il
periodo migliore, detto “luna di miele”, ma poi
iniziano a insorgere le complicanze:
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paradossalmente, infatti, la L-dopa favorisce la degenerazione dei neuroni nigrostriatali. I benefici della dopa
sono evidenti, i pazienti camminano, corrono, c’è un miglioramento delle prestazioni sessuali e questo li
induce a una maggiore assunzione (oltre la dose prescritta). Tra gli effetti collaterali della dopa vi sono
movimenti coreici, ipercinesie. Inoltre all’inizio della terapia la singola pasticca di dopa ha una lunga
durata, che però diventa via via sempre più corta, quindi mantenere una concentrazione costante nel
sangue diventa difficile. Se all’inizio la durata è di 4-5 ore, alla fine si ha una durata di 1-2 ore, per cui le dosi
devo essere prese più volte nell’arco della giornata; il paziente va subito in “off” (incapacità di compiere
movimenti fluidi, bradicinesia) e le fasi di “on” sono quasi sempre associate a discinesie.
Come risorsa finale, quando la terapia farmacologica non è più efficace, v’è la deep brain stimulation.
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Per quanto riguarda i parkinsonismi da tossici un caso eclatante fu quello dell’MPTP, tossina
identificata da due giovani biochimici americani tossicodipendenti che tentarono di sintetizzare in
laboratorio la meperidina per risparmiare soldi. I due giovani dopo essersi iniettati la sostanza
diventarono parkinsoniani a 22-23 anni. In seguito si suicidarono per la gravità della condizione.
L’MPTP viene utilizzato come modello sperimentale per indurre la malattia in topi o scimmie, così
da poter testare nuovi farmaci.
I parkinsonismi possono derivare anche da tossine come l’ossido di carbonio, agenti tossici usati
in agricoltura, o il manganese.
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Le ipercinesie risultano da una disibinizione del talamo, che in genere controlla la partenza degli impulsi dalla
corteccia (per questo, in caso di degenerazione della sostanza nera, v’è una forte influenza sull’attività
corticale).
TREMORE
Il tremore è la più comune forma di movimento involontario patologico. La prima reazione dei pazienti con
tremore è la paura di avere la malattia di Parkinson, ma non è sempre così. Si tratta di un movimento
involontario ritmico, oscillatorio e afinalistico che risulta dalla contrazione alternata di muscoli agonisti e
antagonisti. Proprio l’alternanza di contrazione muscolare lo distingue dal clono. È importante distinguere in
clinica un tremore fisiologico, che può essere presente nel soggetto nella fase di veglia e in alcune fasi del
sonno, dal tremore patologico, causato quindi da alterazioni neurologiche e presente solo nello stato di
veglia. Inoltre il tremore può essere distinto in:
• Tremore semplice (interessa un singolo gruppo di muscoli e i corrispettivi muscoli antagonisti) o
tremore composto (interessa parecchi gruppi di muscoli, il risultato saranno movimenti più
complessi)
• Monolaterale o bilaterale
• Lento (es. morbo di Parkinson) o rapido (es. tremore essenziale)
• Ritmico o aritmico
• Costante o intermittente
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Un’altra classificazione si basa sul momento in cui compare il tremore: si distinguono tremore posturale, a
riposo e d’azione.
(Esistono in realtà decine di classificazioni del tremore, che però non verranno trattate in questa sede.)
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TREMORE ESSENZIALE
Il più diffuso fra i movimenti involontari patologici, nonché tra i tremori posturali. Quando rappresenta un
disturbo neurologico in numerosi membri di uno stesso nucleo familiare viene indicato come tremore
familiare/ereditario (trasmissione AD). È un tremore a scosse rapide, interessa principalmente gli arti
superiori ma anche la testa e si manifesta tipicamente quando il soggetto cerca di mantenere gli arti in
posizione statica. Nonostante la tendenza a classificarlo come benigno, peggiora la qualità della vita del
paziente, rendendo difficoltose attività come mangiare, bere, scrivere. Assomiglia al tremore parkinsoniano in quanto
presente a riposo, ma si evidenzia anche durante il movimento ed il mantenimento di posture fisse
Il trattamento prevede in genere l’uso di betabloccanti e benzodiazepine che causano però sonnolenza,
effetto collaterale accettabile dato il cambiamento impressionante nelle capacità motorie dell’individuo
dopo la somministrazione.
TREMORE PARKINSONIANO
Atteggiamento flessorio del corpo e delle gambe, tremore a riposo che scompre nel sonno. È sintomo
d’esordio della malattia di Parkinson, seppur un terzo dei pazienti affetti non lo presenti. V’è una grande
difficoltà ad iniziare la camminata, seguita da episodi di festinazione, in cui il paziente accelera
improvvisamente, come se rincorresse il baricentro del proprio corpo. Il tremore si riduce quando il paziente
si muove.
TREMORE CEREBELLARE
È un tremore intenzionale, che compare durante i movimenti volontari (si ha durante l’esecuzione di
movimenti complessi, ampi, che richiedono precisione) sempre associato ad atassia. Compare nelle fasi
iniziali del movimento e si accentua man mano che si raggiunge la mira (chiamato anche tremore terminale).
Il movimento volontario appare a scatti e discontinuo. Tale tremore si può avere anche nella fonazione: la
parola non è più fluida bensì scandita, come nel recitare versi.
Si testa con la prova indice-naso, o indice fronte-naso-mento: il tremore compare all’inizio del movimento e
peggiora man mano che il soggetto si avvicina alla punta del naso). Per gli arti inferiori si esplora con la prova
tallone-ginocchio, oppure facendo scorrere il tallone sulla cresta tibiale anteriore dal basso verso l’alto o
viceversa: il paziente affetto da tremore cerebellare, invece di strusciare linearmente il tallone, va incontro a
oscillazioni.
TREMORE RUBRALE
Dato da lesione del nucleo rosso, atassia con tremore dal lato opposto del corpo. È un tremore ampio, lento,
ritmico, presente a riposo e accentuato dal movimento volontario. Il tremore è evidente in esperimenti su
animali ma la sua presenza nella patologia umana non è dimostrata.
TREMORE DA IPERTIROIDISMO
È simile al tremore emotivo dei soggetti ansiosi. Si caratterizza per scosse fini alle dita e alle mani quando
protese. Si osserva nel mantenimento di una postura.
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MOVIMENTI COREICI
Còrea o ballo di san Vito. Si tratta di ipercinesie involontarie, irregolari, afinalistiche, brusche ed esplosive,
rapide e imprevedibili; insorge su uno stato di ipotonia ed interferisce con l'atto motorio finalizzato,
disturbandolo. Coinvolgono soprattutto i territori a maggior rappresentazione corticale (lingua e mano) ma
interessa qualsiasi parte del corpo quindi anche collo, muscoli mimici, tronco e arti:
• Faccia: smorfie brusche (grimaces) e disordinate, caratterizzate da contrazioni irregolari, rapide e sporadiche che
insorgono su un volto atonico. La mimica è povera.
• Lingua: brusche protrusioni linguali, movimenti di suzione, voce monotona con esitazioni e silenzi (disartria esplosiva).
• Spalla: innalzamenti bruschi del moncone della spalla.
• Tronco: movimenti "ancheggianti" e flesso-estensioni del bacino.
• Arti: gesticolazione concitata, flesso-estensioni delle dita e talora, cadute per bruschi cedimenti degli arti inferiori. La
deambulazione, a volte barcollante come quella degli ubriachi, assomiglia ad una danza grottesca, dove le ipercinesie degli
arti superiori parassitano l'andatura.
Presenti a riposo, interferiscono con vita quotidiana (i pazienti affetti non riescono a svolgere attività
quotidiane come vestirsi e mangiare).
EZIOPATOGNESEI
Si tratta di manifestazioni cliniche dovute a una lesione dei nuclei della base, in particolare da atrofia del
nucleo caudato, ben visibile alla TC (la testa del nucleo caudato scompare).
Ci sono tante diverse forme di sindromi coreiche:
• Ereditarie (es. malattia di Huntington)
• Autoimmuni (es. corea reumatica di Sydenham)
• Tumorali
• Vascolari
• Infettive (es. AIDS)
• Metaboliche
• Tossiche (da Alcool, CO)
• Farmaci (neurolettici, antiparkinsoniani somministrati in dosi eccessive il paziente da
bradicinetico diventa ipercinetico)
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COREA DI HUNTINGTON
È la demenza più grave che si possa avere. È una malattia autosomica dominante (non salta generazioni) a
localizzazione del braccio corto del cromosoma 4. È un dramma per via dell’alta familiarità e della clinica
molto aggressiva, essendo l’età d’esordio 30-50 anni non è infrequente il suicidio nei figli di pazienti affetti
dopo i 20 anni. La prevalenza è di 5-10/100.000. E’ una malattia mortale per la quale non c’è nessuna cura
efficace.
La patologia è data dall’espansione delle triplette CAG nel gene codificante per l’Huntingtina con
conseguente poliglutamminazione della proteina, con atrofia del neostriato e successivamente della
corteccia cerebrale (atrofia cortico-striatale), con marcata perdita neuronale e gliosi. L’espansione delle
triplette tende ad aumentare di generazione in generazione, anticipando l’esordio della patologia.
Il test genetico per questa malattia è molto comune. Esistono anche casi sporadici, con alleli “intermedi”
suscettibili di mutazioni o patologici a ridotta penetranza.
(N.b.: Ci sono pazienti parkinsoniani che a forza di stimolazione farmacologica eccessiva diventano poi coreici)
CLINICA
La degenerazione striatale, prevalentemente a carico del putamen, fa sì che venga meno l'inibizione sul GPe che è libero di inibire il
nucleo subtalamico di Luys, che venendo soppresso, non è in grado di stimolare i nuclei efferenti: viene meno il braccio inibitorio
di questi ultimi sui nuclei talamici con ipereccitazione corticale.
• Sindrome psichica, con sindrome demenziale grave e psicosi in 10-15 anni. È l’elemento più costante
del quadro, con iniziali disturbi del comportamento (irritabilità, aggressività anche esplosiva)
accompagnati poi da alterazioni della sfera affettiva (mutamenti rapidi d’umore, reazioni affettive
sproporzionate e disturbi di tipo nevrotico-depressivo). La prevalenza del quadro psichico in alcuni
pz rende difficile la diagnosi differenziale con quadri psichiatrici. Aspetto costante è il
deterioramento mentale con difetti di attenzione e di concentrazione, perdita delle capacità di
critica e di giudizio;
• Sindrome neurologica:
o Movimenti involontari a carico della bocca (smorfie), AASS e AAII (piccole scosse alle dita
delle mani con movimenti di flesso-estensione e divaricazione), difficoltà nel linguaggio,
deglutizione (tendono a dimagrire molto velocemente per la scarsa assunzione di cibo e si
ammalano spesso di polmonite ab ingestis), attività quotidiane e nella deambulazione;
o Movimenti distonici che aumentano progressivamente di intensità: contrazioni muscolari
lente e sostenute a carico di volto (aprassia della mimica, co difficoltà a fischiare, gonfiare le
gote muovere la lingua), collo, tronco e arti (macrografia irregolare);
o Rigidità extrapiramidale;
o Bradicinesia e acinesia;
Storia clinica
1. Il paziente conduce una vita pressoché autonoma, presente aspetti psichici come impulsività e
aggressività;
2. Accentuazione dei disturbi del movimento, completa manifestazione di quadro cognitivo e psichico;
3. Paziente totamente dipendente per tutte le sue funzioni, exitus. Frequente è il suicidio.
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MOVIMENTI ATETOSICI
Movimenti involontari lenti, vermicolari, aritmici, continui e protratti nel tempo, di modesta ampiezza e
finalistici. Predominano alle estremità, in particolare distalmente, agli arti superiori: si caratterizzano dal
seguirsi di flessioni, estensioni, abduzioni, supinazioni e pronazioni delle estremità (ricordano i movimenti
striscianti dei tentacoli del polipo, e vengono per questo definiti “tentacolari”). Questi movimenti sono
spesso accentuati dalle emozioni forti e dagli sforzi mentali e fisici, scompaiono nel sonno. Alle volte ci può
essere accentuazione di movimenti coreici e atetosici.
Sono dovuti soprattutto a lesioni del putamen e sono spesso lesioni asfittiche, molto comuni negli spastici,
nelle encefalopatie perinatali anossischemiche. Molto spesso si vedono anche in seguito alle rianimazioni:
molti pazienti che hanno avuto coma postanossico – se sopravvivono e sono contattabili – sviluppano spesso
dei quadri di movimenti atetosici.
MOVIMENTI BALLICI
Movimenti ad energia violenta. Sono improvvisi, rapidi, aritmici, di notevole ampiezza e cospicua energia
potenziale (“lancio degli arti”). Riguardano in genere un emisoma (si parla anche di emiballismo), nella sua
muscolatura prossimale. L’esordio può essere acuto o insidioso. Sono dovuti soprattutto a emorragie del
nucleo subtalamico il quale non eccita più i nuclei efferenti deputati all’inibizione dell’output motorio
corticale; sono encefalomalacìe. Talvolta possono essere causati da malattie infiammatorie. Nel trattamento
con tetrabenazina i movimenti ballici si riducono molto, ma non scompaiono mai.
SPASMI
Contrazioni involontarie su base organica che coinvolgono uno o più muscoli (spesso di pertinenza di un
singolo nervo), per un periodo di tempo variabile, non associati a dolore. Si distinguono in:
• Clonici: inizio rapido, durata breve, ripetitivi;
• Tonici: prolungati e continui.
Sono dovuti a lesioni del SNP di natura irritativa su muscoli o nervi (si hanno spasmi soprattutto quando i
nervi ricrescono in seguito ad una lesione). Tra i più comuni v’è lo spasmo del faciale, sequela comune delle
paralisi del faciale o di tumori o processi infiammatori nel suo territorio d’innervazione. Non va confuso con
il tic: nello spasmo del faciale si contrae tutto l’emivolto insieme, mentre il tic è parcellare e si può sopprimere
con la volontà. Se lo spasmo è solo del muscolo orbicolare, bilateralmente, si parla di blefarospasmo: il
paziente ha la necessità impellente di tenere gli occhi chiusi. Il coinvolgimento di più muscoli è tipico della
sindrome di Meige: apertura forzata della mandibola, retrazione delle labbra, spasmo del platisma e
protrusione della lingua; in alcuni casi la mandibola si serra e vi è contrazione labiale.
Il trattamento è con tossina botulinica, che impedisce la liberazione di acetilcolina a livello presinaptico.
Presenta però degli svantaggi, in quanto dura solo 3 mesi e può diffondere ad altri muscoli (es. faringe,
causando disfagia).
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Sbobine 2.0
Spasmi muscolari o crampi possono essere associati a insufficienza vascolare, affaticamento, anossia,
alcalosi, deficit di Ca++ o Mg++, squilibrio di Na+ e K+, infezioni, farmaci, esposizione a freddo, alcune malattie
muscolari (es. Mc Ardle, glicogenosi e mioglobinuria parossistica notturna).
TIC
Movimenti improvvisi, rapidi, stereotipati, inizialmente finalistici ma in seguito sganciati da finalità. Possono
essere soppressi con uno sforzo di volontà salvo poi ricomparire non appena l’attenzione viene distolta.
L’eziologia è tipicamente psicogena ma a volte ci può essere una causa organica data dal coinvolgimento del
sistema dopaminergico sotto-corticale.
Esistono vari tipi di tic:
1- Gestuali semplici: brevi e irregolari contrazioni muscolari di isolati segmenti corporei (palpebre,
mm faciali, collo e spalle);
2- Gestuali complessi: movimenti coordinati che coinvolgono in modo sinergistico numerosi gruppi
muscolari (saltare, lanciare ecc.);
3- Vocali semplici: urlare grugnire ecc.
4- Vocali complessi: ecoprassia, ecolalia, coproprassia, coprolalia.
MIOCLONIE
Movimento involontario, estremamente rapido (< 300 msec) e improvviso, espressione di una breve
contrazione muscolare che può interessare un singolo muscolo, solo una parte o un gruppo di muscoli. Più
frequente a carico di estremità e tronco.
Gli scatti mioclonici sono determinati da un’improvvisa contrazione muscolare (mioclono positivo), talora da
una repentina inibizione del tono muscolare (mioclono negativo, l’asterixis viene considerato da molti autori
un mioclono negativo). Esiste anche mioclono oscillatorio. Si presentano sia a riposo che durante attività,
vengono attivate da stimoli emozionali, tattili, visivi, uditivi. Si presentano al momento di andare a letto ma
scompaiono durante il sonno. Si manifestano più frequentemente agli arti, dove predominano a livello dei
flessori, e al volto, ma possono presentarsi ovunque; in genere non producono lo spostamento di segmenti
corporei o comunque non determinano mai la genesi di un movimento.
107
Sbobine 2.0
Quando prolungate per molto tempo e non trattate, le mioclonie portano a un decadimento cerebrale
enorme, ogni volta che scaricano tanto potentemente alcuni neuroni muoiono per esaurimento di energia
(sono infatti presenti nell’epilessia)
Classificazione semeiologica
• Distribuzione spaziale: focali, segmentali, multifocali, generalizzate;
• Temporale: intermittenti o permanenti, ritmiche o aritmiche, sincrone o asincrone;
• Modalità di comparsa: spontanee, riflesse stimolodipendenti, d’azione o intenzione.
Classificazione eziologica
• Fisiologiche: in soggetti normali (scatti ipnici, da ansia, da esercizio, da singhiozzo);
• Essenziali: ad etiologia ignota e senza altri segni neurologici associati (ereditario o sporadico);
• Epilettiche: epilessie miocloniche infantili, epilessia familiare mioclonica benigna, epilessia
mioclonica progressiva;
• Sintomatiche: espressione di encefalopatia diffusa o focale, a carattere progressivo o statico (mal
da accumulo, degenerazioni spino-cerebellari, mal degenerative dei gangli della base, encefalopatie
mitocondriali, metaboliche, tossiche, virali e demenze).
Le mioclonie palpebrali sono piuttosto frequenti nei pazienti epilettici. Piuttosto caratteristico è il mioclono
palatale, nel quale il palato molle è soggetto a contrazioni ritmiche, che producono uno schiocco che disturba
il sonno del paziente stesso (un po’ come il tinnitus). Tale sintomo va indagato, poichè spesso è causato da
lesioni demielinizzanti del tronco dell’encefalo, o gliomi infiltranti del tronco dell’encefalo.
DISCINESIE
Movimenti involontari, rapidi, aritmici, di aspetto simile ai movimenti coreici ma da questi distinguibili per
l’andamento ripetitivo e stereotipato, che colpiscono la muscolatura del volto e in particolare la regione
buccolinguale (movimenti di protrusione della lingua, suzione, masticazione, smorfie talora grottesche). Si
distinguono in:
• Parossistiche: senza causa apparente; possono essere sporadiche o familari, sintomatiche (es
Sclerosi a placche) o idiopatiche;
• Tardive: Per lo più iatrogene come in terapia cronica con neurolettici (discinesie bucco-linguali,
rotazione di capo e occhi, oscillazioni del tronco). Sono date da iperattività funzionale nigro-striatale,
successiva all’ipersensibilità dei recettori dopaminergici indotta dalla terapia. Possono insorgere
anche in terapia cronica con levodopa in pz affetti da malattia di Parkinson.
DISTONIE
Movimenti lenti, bizzarri, di tipo grottesco, con carattere ondulante imputabili a contrazioni involontarie e
sostenute che culminano in contorcimento o rotazione (sembra che il corpo si avviti lungo il suo asse
maggiore). L’esordio è per lo più distale e focale, con alterazione compito-specifica (es. piede in flessione e
inversione plantare), nella maggior parte dei soggetti rimane limitato ma è possibile una sua
estensione segmentale fino a una forma generalizzata nei casi più gravi, con estensione al tronco e al lato
opposto. Il fenomeno distonico si esaurisce nel sonno, mentre durante la veglia può acuirsi in modo
subentrante e comparire anche nel movimento volontario.
La distonia più comune è il torcicollo, ci sono però anche forme sistemiche e maligne che vengono accentuate
da situazioni di stress, emotività, fatica.
108
Sbobine 2.0
CLASSIFICAZIONE
Le distonie si classificano sulla base di:
• Età di insorgenza:
o Precoce (<26anni);
o Tardivo (>26 anni);
Incide significativamente sulla prognosi;
• Distribuzione topografica:
o Focali (palpebre, bocca, laringe, collo),
o Segmentali (cranio-cervicali),
o Generalizzate;
Possono essere compito-specifiche (quando ad esempio musicisti che eseguono movimenti molto rapidi
si “inceppa” la mano) o aspecifiche;
• Eziologia:
• Primarie (sporadiche/idiopatiche o familiari), a loro volta distinguibili in base alla distribuzione
topografica, possono essere associate a tremore. Le più frequenti sono quelle focali (blefarospasmo,
torcicollo spasmodico, crampo dello scrivano ecc.), nelle forme generalizzata va ricordata la distonia
musculorum deformans, una malattia ereditaria AD il cui segno tipico è la disbasia lordotica
(raddrizzamenti intermittenti durante la marcia, denominata Marcia a dromedario);
• Secondarie, a malattie neurologiche, psichiatriche, metaboliche, familiari, associate a parkinsonismo
o a terapia con neuroletticiacute distonie reaction (DD con tetanismo per le forme cranio-
cervicali).
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Sbobine 2.0
SCLEROSI MULTIPLA
La sclerosi multipla è una malattia infiammatoria cronica demielinizzante del SNC, caratterizzata da
placche sclerotiche disseminate casualmente nella sostanza bianca dell’encefalo e del midollo spinale e da
variabilità dei sintomi, proprio per la casualità delle placche.
È stata descritta per la prima volta da Charcot e Vulpian nel 1866. È una malattia che colpisce il giovane
adulto (picco a 30 aa), prevale nel sesso femminile (3:1). Ha un’alta prevalenza nel N-America e N-Europa,
bassa nelle zone tropicali, in Italia ha prevalenza intermedia, anche se in alcune zone (Sardegna) ha un tasso
elevato.
In particolare, colpisce la mielina che nel sistema nervoso periferico è costituita dalle cellule di Schwann,
mentre nel sistema nervoso centrale è formata dalle cellule della nevroglia, in particolare dagli
oligodendrociti. Questa differenza spiega la selettività di interessamento della sostanza bianca del SNC.
È una malattia infiammatoria di natura autoimmune con numerosi meccanismi ipotizzati di cui non si
conosce bene la causa; il meccanismo conosciuto è quello dell’infiammazione che determina la rottura
della barriera emato-encefalica a causa dell’intervento di cellule T, macrofagi e cascata di citochine
infiammatorie.
se queste popolazioni si trasferissero da zone dove l’incidenza è estremamente bassa a zone dove
3rd ed. London: Churchill Livingstone 1998.
l’incidenza è molto più alta, si avrebbe un aumento di incidenza indipendentemente dal fattore genetico.
FATTORI DI RISCHIO
Benchè la patogenesi sia più o meno conosciuta, i fattori eziologici restano in dubbio. Ad oggi, sembra che
alla base della malattia vi sia una serie di fattori ambientali che agirebbero su una predisposizione genetica,
soprattutto nell’adolescenza.
Fattori esogeni ipotizzati come scatenanti della SM:
• Infezioni:
o Morbillo;
o Parotite epidemica;
o Rosolia;
o Mononucleosi infettiva (EBV).
• Virus:
o Retrovirus associato alla sclerosi multipla (MSRV);
o HHV-6.
• Traumi:
o Traumi elettrici;
o Coesistenza con l’artrosi cervicale;
o Parto: la gravidanza è un momento di tolleranza immunologica nella donna, ma il parto può
scatenare il primo attacco di SM nelle donne giovani (causa rivelatrice anche di altre
malattie autoimmuni).
110
Sbobine 2.0
Fattori genetici:
• In un parente di primo grado con SM, il rischio assoluto di SM è 20-40 volte quello della
popolazione generale (rischio assoluto < 5%);
• Nei gemelli monozigoti, la concordanza per la SM è più elevata (31%) che nei gemelli eterozigoti
(5%);
• La presenza dell’allele HDL-DR2 aumenta il rischio di SM.
Il fatto che ci siano fattori genetici è tangibile dal fatto che l’incidenza è particolarmente alta in alcune aree
geografiche isolate come la Sardegna, probabilmente dovuto anche al fatto che ci sono numerosi
matrimoni tra consanguinei.
Modello patogenetico
Nella SM si realizza un attacco autoimmune verso specifiche proteine dell’oligodendroglia. L’ipotesi è che
sia abbia una mancata eliminazione a livello timico di T autoreattivi, in seguito questi sono attivati da un
fattore esterno, passano la BEE determinandovi nel passaggio un danno che ne compromette
l’impermeabilità. Una volta nel SNC i cloni Th1 organizzano la risposta infiammatoria che coinvolge anche i
linfociti B.
Danno assonale
Bisogna sottolineare che nella SM non è coinvolta solo la mielina ma anche l’assone, il cui danno si realizza
precocemente. È proprio il danno assonale ad essere il substrato anatomo-patologico dell’irreversibilità dei
sintomi neurologici. Il danno assonale non è conseguenza di un attacco autoimmune specifico, ma è una
conseguenza della demielinizzazione: se la mielina, che invia segnali neurotrofici all’assone, viene meno, la
conduzione dell’impulso è deficitaria. Questo altera l’equilibrio elettrolitico intracellulare, conducendo
all’apoptosi. Questo spiega come il danno assonale si possa realizzare anche in sedi in cui non è presente
flogosi attiva: quindi, l’evoluzione della malattia non è limitata alle fasi acute, perché il danno assonale si
realizza anche in zone in cui non c’è attività di malattia.
ANATOMIA PATOLOGICA
- Le lesioni elementari della SM sono placche multifocali di demielinizzazione nella sostanza
bianca del SNC (non del SNP).
- Nel contesto della lesione attiva si ritrova un infiltrato di linfociti CD4 Th1, macrofagi
(contenenti prodotti di degradazione della mielina) e plasmacellule.
- A seguito della degenerazione mielinica si innesca una reazione gliale, che conferisce alla placca
l'aspetto di una area cicatriziale.
PATTERN DI DEMIELINIZZAZIONE
Nonostante si riconosca un meccanismo patogenetico comune, si riconoscono 4 pattern diversi di
demielinizzazione, che correlano con andamenti clinici diversi; in base a ciò si suddividono i pz alcuni
sottogruppi clinici, accumunati dallo stesso pattern di demielinizzazione.
111
Sbobine 2.0
• Pattern I -demielinizzazione sostenuta da linfociti T e macrofagi attivati, con scarso ruolo dei
fattori umorali (IgG e complemento); è quello più tipico.
Si riscontra nelle forme recidivanti-remittenti o secondariamente progressiva.
• Pattern II -demieilinizzazione sostenuta principalmente da fattori umorali, come confermato
dalla presenza di abbondanti IgG e complemento sulla superficie delle fibre. Si ritrovano anche
macrofagi.
Si riscontra nelle forme iperacute, con grandi placche pseudo-tumorali che non rispondono alla
terapia coriticosteroidea (ma alla plasmaferesi, confermando il ruolo delle IgG1!).
• Pattern III – il ruolo del sistema immunitario sembra meno rilevante; la demielinizzazione è
dovuta ad un danno primitivo degli oligodendrociti che ne conduce all'apoptosi
(oligodendropatia distale, tipo dying back). Un quadro istopatologico analogo si rinviene nella
demielinizzazione indotta da virus (leucoencefalopatia multifocale progressiva); potrebbero
essere coinvolti virus anche in questo tipo di SM.
• Pattern IV - simile al pattern III; la degenerazione mielinica è sempre imputabile ad un danno
primitivo degli oligodendrociti che sembra riconoscere difetti metabolici.
I pattern III e IV si riscontrano nella SM primariamente progressiva.
Il pattern di demielinizzazione è eterogeneo fra i diversi pazienti, ma è omogeneo nello stesso paziente.
erns di
mielinizzazione
SEGNI E SINTOMI
La clinica è eterogenea, per questo è imprevedibile. I sintomi si manifestano come attacchi. Si definisce
attacco/poussé un disturbo neurologico (definito anamnesticamente o obiettivato) della durata di almeno
24 h, in assenza di febbre, infezioni, altre malattie intercorrenti; anche episodi parossistici che si
susseguono per più di 24 h costituiscono una poussé (es., tics dolorosi trigeminali). Due attacchi successivi
per essere tali devono essere separati da un periodo di almeno 30 gg (disturbi neurologici coinvolgenti
112
Sbobine 2.0
anche sedi diverse che si presentino a distanza di tempo inferiore ai 30 gg devono considerarsi spettro di
un’unica riacutizzazione).
I sintomi derivano dall’interessamento delle fibre mieliniche del SNC come deficit visivi, cerebellari,
sensitivi e piramidali (variabilità trasversale), non si presentano mai sintomi da un’alterazione dei nervi
periferici! Quando termina l’attacco, la sintomatologia regredisce e si ha recupero funzionale. Tra un
attacco e l’altro la patologia può progredire o restare stabile (variabilità longitudinale).
L’esordio in genere consiste nella CIS (sindrome clinicamente isolata); insorge in soggetti giovani, privi di
comorbidità, e si presenta in modo acuto (allarmante). La modalità di presentazione della CIS è variabile,
tende a presentarsi con una sola lesione e quindi con sintomi isolati:
• Segni e sintomi delle vie lunghe;
• Neurite ottica (22%) → uno dei sintomi preferenziali con cui si manifesta la CIS. È una condizione
legata al coinvolgimento del n. ottico. Le caratteristiche cliniche sono:
▪ Perdita del visus unilaterale nelle porzioni centrali (vede appannato) a causa
dell’alterazione del tratto papillo-maculare che si realizza in 10 gg, con scotoma centrale
all’esame del campo visivo,
▪ Dolore retroorbitario, che peggiora coi movimenti del bulbo oculare,
▪ L’esame del fundus oculi non registra anomalie (non interessa la papilla),
▪ Ridotta sensibilità cromatica,
▪ Anomalie dei PEV: aumento della latenza dell’onda PIOO (dovuto al ritardo di conduzione
per la degenerazione mielinica), con forma conservata,
▪ Risposta ai corticosteroidi ev ad alte dosi.
• Mielopatia: interessamento del midollo spinale (mielite acuta data da una placca a livello della
sostanza bianca midollare). Si manifesta con:
▪ Sindrome di Brown-Sequard incompleta (colpisce un’emisezione di midollo, cordone di dx
o di sx),
▪ Segno di Lhermitte: molto caratteristico, ma non specifico (si ritrova anche nella
spondiloartrosi). Il pz riferisce la sensazione di scossa elettrica sulla schiena, scatenata da
movimenti di flesso estensione del rachide cervicale (in epoca pre imaging il trigger era un
bagno caldo). Indica danno cervicale o a livello dei cordoni posteriori,
▪ Turbe sfinteriche vescicali (5%) e/o rettali: questo può causare ritenzione urinaria e
infezioni urinarie frequenti (cistiti) nelle donne.
▪ Sostenuta da lesioni RM suggestive.
• Sindromi tronco-encefaliche: dovute all’interessamento della porzione intra assiale dei nervi
cranici. Esempi:
▪ Oftalmoplegia internucleare: la forma centrale è quella caratteristica della SM, in cui sono
lesi i circuiti centrali per l’organizzazione dei movimenti coniugati che risultano alterati (non
sono alterati i nervi nel loro decorso, né i muscoli oculari, come invece accade nella forma
periferica). Talora si ha diplopia (deficit isolati del III, IV o VI),
▪ Nevralgia del trigemino: molto comune
▪ Paralisi periferica del faciale: spesso associata ad alterazioni della sensibilità dell’emivolto,
molto comune se la placca è tra il nucleo del faciale e la cisterna dell’angolo
pontocerebellare (se bilaterale pensare alla borrelia),
▪ Sindromi da paralisi multiple dei nervi cranici (es S. del seno cavernoso, s. di Gradenigo, s.
del forame ovale).
▪ Sindrome da coinvolgimento dei nuclei troncoencefalici (romboencefalite di Bickerstaff);
Se poi la malattia si converte a SM clinicamente manifesta si avranno una serie di attacchi che si
manifestano con altri sintomi, a causa del coinvolgimento di altri sistemi:
• Funzioni piramidali: il sistema piramidale è sempre interessato nella SM. Le manifestazioni sono:
113
Sbobine 2.0
▪ Ipo/astenia (40%): fino a un deficit di forza completo o parziale (paralisi o paresi). Si associa
fatica, debilitante e dovuto non solo a ipostenia ma anche a scarsa qualità del sonno e
depressione,
▪ Iperreflessia (nocicettiva, sfinteriale),
▪ Riflessi patologici (riflesso di Babinsky),
▪ spasticità (esaltazione del riflesso posturale), con difficoltà a sollevare il piede destro nella
marcia e contratture dolorose alle gambe (ipertonia e crampi per interessamento delle vie
piramidali discendenti).
• Funzioni visive:
▪ Neurite ottica (22%) (vd sopra)
▪ Diplopia (12%) → spesso accompagna la neurite ottica: se c’è lesione del fascicolo
longitudinale si ha incoordinazione e perdita dell’attività sincrona dei movimenti coordinati
degli occhi da parte dei nervi cranici.
• Funzioni cerebellari:
▪ Atassia cerebellare: disturbo di coordinazione (pz traballa), questa atassia non è
influenzata dalla chiusura degli occhi,
▪ Tremore intenzionale (d’azione): assente a riposo, compare nella fase terminale dei
movimenti volontari,
▪ Adiadocinesia: incapacità di eseguire movimenti opposti in successione (si evidenzia
chiedendo la prono-supinazione della mano),
▪ Dismetria: si evidenzia chiedendo di toccarsi la punta del naso con l’indice.
• Funzioni tronco-encefaliche e sfinteriche (vd sopra)
• Funzioni sensitive:
o Parestesie (21%), descritte come formicolio a arti superiori
o Ipoestesia tattile epicritica, con conseguente stereoagnosia (soprattutto alla mano dx)
o Segno di Lhermitte (vd sopra).
• SNC:
o Vertigini (5%) → sindromi vertiginose con caratteristiche centrali senza la componente
vegetativa che accompagna invece le forme periferiche.
Sono sintomi molto vaghi che insorgono in momenti diversi, abbiamo dispersione di questi sintomi
temporale e spaziale, a differenza di altre patologie.
DIAGNOSI
Premesse diagnostiche:
• La diagnosi di SM richiede la dimostrazione della disseminazione nello spazio (di sede) e nel tempo
delle lesioni (vd sotto);
• È richiesto il riscontro obiettivo dei segni clinici determinati dalle lesioni e cioè NON è sufficiente il
dato anamnestico;
• Gli esami strumentali risultano essenziali quando non è possibile formulare una diagnosi con soli
criteri clinici e/o in situazioni cliniche particolari (es. soggetto in età avanzata):
o RMN per vedere la disseminazione delle lesioni (vd sotto);
114
Sbobine 2.0
soprattutto negli arti inferiori: l’impulso parte dalla caviglia e arriva al cervello,
percorre lunghe vie mielinizzate quindi è facile che dia più alterazioni rispetto ai PE
acustici.
▪ Ad oggi, sono molto più utilizzati i PE motori soprattutto per valutare i risultati
terapeutici, perché valutano il grado di coinvolgimento di queste vie, la loro
conduzione, e valutano se le terapie migliorano il quadro.
o Esame liquorale (rachicentesi): esame di conferma utile soprattutto quando c’è diagnosi
incerta anche se non correla con la gravità di malattia. È alterato ed indicativo per la
diagnosi di SM se:
▪ È presente un pattern IgG oligoclonale (in >95% dei pz con SMCD -Sclerosi Multipla
Clinicamente Definita-);
▪ In presenza di elevato IgG index (IgG nel liquor/IgG nel siero x albumina nel
Criteri diagnostici di neuroimaging
siero/albumina nel liquor)
▪ È presente pleiocitosi, ma non superiore a 30-50 elementi/mmc (piccolo aumento di
linfociti, 10-20 cellule/ml).
▪ Moderato aumento delle proteine (0,5-0,7g/L)
Secondo tali criteri vengono definite solo 3 categorie diagnostiche: SM definita, SM possibile, non SM.
Allo scan senza mdc vediamo più lesioni in T2 iperintense periventricolari, quindi c’è disseminazione
spaziale (prima immagine nel quadrato in alto a sx). Aggiungendo poi il gadolinio (mdc) vediamo che alcune
lesioni captano il contrasto, quindi sono lesioni recenti, mentre altre non sono captanti e quindi sono
cicatrici, insorte anche 4/5 anni prima. Grazie al mdc possiamo fare diagnosi di progressione di malattia
proprio perché vediamo sia cicatrici che lesioni recenti. Il corpo calloso è formato solo da fibre mieliniche,
quindi è raro che sia risparmiato ed è da vedere in sezione sagittale.
115
Sbobine 2.0
recenti. Il razionale di questo evento sta nel fatto che il processo infiammatorio in atto rompe la barriera
emato-encefalica e quindi il mdc diffonde. La lesione captante è quindi segno indicativo di lesione attiva.
La diagnosi di riacutizzazione della malattia senza mdc non sarebbe possibile perché il gadolinio dà l’indice
di attività della malattia demielinizzante.
SCHEMA DIAGNOSTICO
• Due o più attacchi clinici con evidenza obiettiva di almeno due lesioni separate nello spazio e nel
tempo (es. neurite ottica con diagnosi confermata da valutazione OCL e successivo disturbo
piramidale all’EON): la diagnosi non necessita di ulteriori indagini sempre che siano escludibili cause
più probabili a spiegazione del dato obiettivo-anamnestico;
• Due o più attacchi, ma evidenza clinica/obiettiva di una sola lesione (disseminazione temporale,
non disseminazione spaziale):
o Necessaria dimostrazione di disseminazione spaziale mediante RMN;
o Almeno due lesioni suggestive per SM + positività dell’esame liquorale;
o Attesa di un ulteriore attacco coinvolgente un sito differente.
NOTA: È frequente trovare lesioni della sostanza bianca suggestive di SM in tossico dipendenti
ma l’esame liquorale risulta negativo quindi è questo l’esame che ci permette di fare diagnosi
differenziale.
• Un attacco ed evidenza clinica/obiettiva di due o più o lesioni in sedi differenti (disseminazione
spaziale ma non temporale):
o Necessaria dimostrazione di disseminazione temporale mediante RMN, o
o Attesa di un secondo attacco clinico (meglio aspettare che fare una diagnosi affrettata).
• Un attacco ed evidenza clinica/obiettiva di una sola lesione (sindrome clinicamente isolata, es.
neurite ottica, mielopatia):
o Necessaria dimostrazione di disseminazione spaziale con RMN o almeno due lesioni
suggestive e positività dell’esame liquorale +/- dimostrazione di disseminazione temporale
con RMN;
o Attesa di un secondo attacco clinico.
116
Sbobine 2.0
• Disseminazione temporale dimostrata con RMN o progressione clinica per almeno 1 anno.
- MIELOPATIA (10%)
Diagnosi differenziale:
• Infettiva;
• Post infettiva
• Vascolare
• Traumatica
• Tossica
• Paraneoplastica
• In corso di patologia immunitaria non SM
La RM è molto utile, così come altri esami strumentali, perché se facciamo i potenziali motori
evocati o somatosensoriali, siccome la sclerosi multipla è una malattia demielinizzante, abbiamo
una conduzione dell’impulso più lenta. Il neuroimaging invece non ha valore prognostico perché
non indica la funzionalità dell’organo.
2. SM RECIDIVANTE REMITTENTE
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Sbobine 2.0
Si manifesta con attacchi acuti che vanno incontro a regressione sintomatologica totale o parziale (il pz
presenta un attacco, poi guarisce, successivamente un secondo attacco, poi guarisce e così via). Nelle fasi
intercritiche la disabilità non progredisce. È la forma più frequente.
Diagnosi differenziale di SM recidivante remittente:
• ADEM (Encefalomielite Acuta Disseminata): malattia demielinizzante;
• ADL (Adrenoleucodistrofia);
• Bechet (si ritrova in ematologia e può assomigliare alla SM);
• Cadasil;
• Encefalopatie mitocondriali;
• HIV;
• LES;
• Lyme;
• Poliarterite nodosa;
• Sarcoidosi (paralisi multiple nn.cc., coinvolgimento del n. ottico, ipotalamo);
• Sjogren;
• Wegener;
• Whipple (estremamente rara).
In generale si tratta di malattie infettive e reumatologiche che possono entrare nella diagnosi differenziale
della SM [non le ha elencate].
3. SM PROGRESSIVA
Il pz presenta l’attacco, ha un sintomo e questo sintomo progressivamente peggiora nel tempo nel corso di
anni. La SM progressiva può essere:
- SM secondariamente progressiva: forma più frequente tra le due, rappresenta la progressione
della forma recidivante remittente, che si realizza nella maggior parte dei pz nei 10 aa successivi
alla diagnosi. In questa forma si ha progressione della disabilità nelle fasi intercritiche.
- SM primariamente progressiva (10%): si caratterizza per la progressione della disabilità sin
dall’inizio (i sintomi si aggravano col tempo) e assenza di attacchi acuti. Può essere confusa con
altre malattie:
• Arnold Chiari
• Deficit vit. B12
• Lesioni compressive del midollo
• Patologie eredo degenerative (paraparesi spastiche, SCA, leucodistrofie)
- SM progressiva con riacutizzazioni (5%): il decorso è analogo alla secondariamente progressiva
(attacchi acuti e progressione della disabilità nelle fasi intercritiche), la differenza è che non è
preceduto dalla forma recidivante remittente.
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Sbobine 2.0
PROGNOSI
La prognosi è incerta al momento della diagnosi, nonostante si riconoscano dei fattori che la peggiorano:
sesso maschile, esordio polisintomatico-motorio, recupero incompleto, breve intervallo tra gli attacchi,
elevata frequenza di attacchi, età avanzata. La prognosi si definisce meglio durante il decorso.
Il pz inizialmente ha disabilità minima con possibili deficit piramidali (riesce a camminare e correre). Man
mano la disabilità aumenta fino alla necessità di assistenza per camminare, alla costrizione in sedia rotelle
e infine, la morte del pz per complicanze (non è la malattia che correla con una riduzione dell’aspettativa di
vita, ma sono le complicanze!), come infezioni, piaghe da decubito, malnutrizione.
La disabilità si stratifica sulla base della EDSS.
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Sbobine 2.0
GESTIONE DELLA SM
Richiede un approccio multidisciplinare:
• La figura centrale è il neurologo;
• Oftalmologo: serve per la diagnosi di neurite ottica retro bulbare;
• Medico di medicina generale: deve riconoscere i sintomi d’esordio (ricorrenti cistiti, reflusso
gastroesofageo, disinergia degli sfinteri, disfagia, etc…);
• Logopedista: per la disartria;
• Fisioterapista: per la spasticità muscolare;
• Infermiere (alcune terapie per essere effettuate necessitano di una struttura ospedaliera dedicata);
• Assistente sociale.
FORME ATIPICHE DI SM
• Neuromielite ottica di Devic: presenta due focolai (la più comune tra le forme atipiche);
• SM acuta di Marburg;
• Sclerosi diffusa di Schilder: difficile da diagnosticare e l’intervento intracranico di SM fa peggiorare
drammaticamente il quadro;
• Sclerosi concentrica di Von Balò;
• ADEM;
• Forme pseudotumorali (possono sembrare un tumore).
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Sbobine 2.0
SM ACUTA DI MARBURG
- È una forma aggressiva di SM, ma non invariabilmente maligna.
- Ha una presentazione clinica spesso atipica:
▪ Crisi convulsive;
▪ Stato confusionale;
▪ Deficit delle funzioni simboliche;
▪ Emiplegia
- specifiche caratteristiche alla RMN: ampie lesioni, più spesso a carico
dei centri semiovali, con aspetto pseudotumorale e con effetto
massa, assumono diffusamente ed omogeneamenteMARBURG il mdc.
Scambiata spesso per un glioma che viene poi operato, ma con
l’asportazione si impedisce la riconnettività tipica dei neuroni.
- caratteristiche liquorali:
▪ proteinorrachia,
▪ non pleiocitosi,
▪ bande oligoclonali incostanti.
121
Sbobine 2.0
ADEM
ADEM
Malattia demielinizzante acuta tipica dell’infanzia.
In questa immagine di ADEM acuta si vedono lesioni
iperintense ed una lesione a livello dei segmenti del
midollo cervicale (C2/C3).
Spesso l’ADEM vira verso una forma di SM.
Pseudotumoral
lesion
LESIONI PSEUDOTUMORALI
Ci sono forme che hanno lesioni pseudotumorali e la DD. è
fondamentale in quanto rimuovere una lesione di SM induce
un peggioramento drastico del quadro clinico del pz.
(dott. Pasquali)
TERAPIA DELLA SCLEROSI MULTIPLA
Negli ultimi anni la terapia della sclerosi multipla si è molto ampliata, creando beneficio ai pazienti,
ma rendendo più complicata la scelta del farmaco da usare.
Il trattamento sintomatico consiste nella gestione della ricaduta di malattia e degli eventuali
disturbi dei vari sistemi, urinario, gastrointestinale, ecc., mentre ci sono anche trattamenti che
modificano il decorso. La terapia quindi può essere:
• Di fondo;
• Delle ricadute;
• Sintomatica.
122
Sbobine 2.0
TERAPIA DI FONDO
Nella terapia di fondo si possono somministrare farmaci immunomodulanti e immunosoppressori
che agiscono con una modulazione del sistema immunitario. Andando dall’immunomodulante
all’immunosoppressore si ha un aumento di potenza di questi farmaci, quindi vi sono due modalità
di azione:
• Partire dai farmaci di prima linea che sono meno efficaci ma meglio conosciuti e con meno
effetti collaterali; nel caso in cui il pz presenti ricadute frequenti o un carico lesionale
maggiore alla RM passare a un secondo livello;
• Aggredire direttamente la patologia dall’inizio coi farmaci di seconda linea.
PRIMA LINEA
• Interferoni (introdotti negli anni 90)
o IFN beta 1 a (Avonex, Rebif);
o INF beta 1 b (betaferon, extavia);
• Glatiramer acetato (Copaxone): miscela di aminoacidi;
• Interferone pegilato (Plegridy);
• Teriflunomide (Aubagio) per os;
• Dimetilfumarato (Tecfidera) p.o.
I farmaci immunomodulanti sono gli interferoni e il glatiramer acetato che hanno un effetto
maggiore sulla frequenza delle ricadute più che sulla disabilità.
PRIMA LINEA
AVONEX E REBIF (IFNβ1A)
Indicato nella forma recidivante remittente; si somministra con un’iniezione intramuscolare
settimanale quindi circa 4 iniezioni al mese.
Esistono i dosaggi da 22 e 44mg da utilizzare 3 vv/settimana quindi poco meno rispetto al
Betaferon. Il dosaggio a 22mg non si mantiene nel tempo, ma si fa solo nelle prime fasi per far
adattare l’organismo.
123
Sbobine 2.0
TECFIDERA (DIMETILFUMARATO)
Assunto per os, disponibile in Italia dal 2015 con rimborso dal SSN. Il suo metabolita attivo, attiva
la via del fattore nucleare 2 coinvolta nella risposta della cellula allo stress ossidativo. Il dosaggio
ottimale per il rapporto costo/beneficio è di 120mg per 2 vv/die e, dopo 7 gg, si danno 240mg
sempre 2vv/die per limitare quelle che sono gli effetti collaterali più gravi quali i sintomi
gastrointestinali (diarrea). La diarrea è un sintomo invalidante in pazienti giovani che possono
avere necessità di evacuare più volte durante il giorno. Inoltre, dato che spesso le malattie
autoimmuni spesso si associano, sono pz che hanno già un intestino con patologia autoimmune,
come Crohn, quindi i sintomi gastrointestinali saranno ancora più importanti.
Altre reazioni avverse sono:
124
Sbobine 2.0
• Flushing;
• Linfopenia;
• Aumento delle transaminasi, soprattutto AST nei primi mesi di terapia.
Ci sono stati due casi di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML), uno in un pz con
linfopenia che è predisponente, ma questa complicanza è legata soprattutto al natalizumab.
AUBAGIO (TERIFLUNOMIDE)
Somministrato per os 14mg 1v/die; agisce con inibizione selettiva della diidro-
orotatodeidrogenasi bloccando la sintesi delle pirimidine de novo con blocco dei linfociti T e B
autoreattivi e delle cellule che vivono grazie al pool di pirimidine esistenti. Presenta metabolismo
epatico, quindi aumenta l’emivita di altri farmaci.
Gli effetti si hanno sulla diminuzione della frequenza di ricadute e di progressione, anche della
disabilità, e riduzione delle lesioni visibili alla RM. È importante monitorare:
• Transaminasi;
• Emocromo;
• Pressione arteriosa (sia prima che durante la terapia).
SECONDA LINEA
GYLENIA (FINGOLIMOD)
Primo trattamento orale approvato per la SM. Viene fosforilato a fingolimod-fosfato che
riproduce la sfingosina-1-fosfato, quindi va a mimare la sfingosina e agisce come antagonista
funzionale dei recettori SP1 presenti anche a livello cardiaco. Questo meccanismo determina
l’internalizzazione dei linfociti B che rimangono sequestrati all’interno dei linfonodi. Si ha dunque
linfopenia, ma non per un meccanismo citotossico. Si utilizza negli adulti per le forme recidivanti
remittenti in particolare quelle che non hanno risposto alle terapie di prima linea o quelle a
evoluzione rapida in cui non si fa terapia di prima linea.
Si somministra una prima compressa da 0.5mg/die, ma prima è importante monitorare:
• Ritmo cardiaco;
• Presenza di IgG per varicella (altrimenti va fatta la vaccinazione);
• Edema maculare (fare visita oculistica);
• Esami ematici.
125
Sbobine 2.0
Il monitoraggio deve essere fatto prima della somministrazione che altrimenti è controindicata.
Gli effetti collaterali sono:
• Infezioni erpetiche;
• Aumento delle transaminasi;
• Bradicardia;
• Disturbi della conduzione AV: si può avere bradicardia, motivo per cui ancora la scheda
tecnica richiede un monitoraggio elettrocardiografico di almeno 6 ore nella prima
somministrazione. Questo non avviene nelle somministrazioni successive perché i recettori
vengono internalizzati a livello cardiaco, quindi non si ha più effetto.
AB MONOCLONALI
TYSABRI (NATALIZUMAB)
Ab umanizzato diretto contro le integrine VL4, componente principale delle molecole di adesione
delle cellule linfoidi, che impedisce il passaggio dei linfociti attraverso la barriera emato-encefalica
all’interno del SNC. Messo in commercio nel 2004 come terapia della SM, in associazione
all’Avonex, ma questo ha causato casi di PML. Questa malattia è devastante e disabilitante e
ancora non si ha una cura, quindi può portare a exitus. Rimesso in commercio nel 2006 con un
programma di farmacovigilanza, non in associazione a Avonex.
I pazienti che lo utilizzano sono quelli che non hanno risposto a un ciclo terapeutico completo,
oppure pz con forma recidivante remittente a rapida evoluzione anche se non precedentemente
trattati con immunosoppressori. Somministrazione e.v. ogni 4 settimane in day hospital, in genere
molto ben tollerato. Essendo un farmaco potente, se il pz deriva da un immunomodulante, è
importante che prima della somministrazione non ci siano valori alterati all’emocromo. Se invece il
pz deriva da un immunosoppressore è necessario un periodo di washout di almeno tre mesi, oltre
ovviamente agli esami ematici stabilizzati.
I corticosteroidi non rappresentano una controindicazione, se necessari possono essere assunti
durante il trattamento.
Un’alta percentuale dei pz trattati con Natalizumab non hanno attività clinica, è un farmaco molto
potente perché ha un’efficacia del 60%, più alta rispetto agli altri farmaci della SM. Il rischio in
questi pz quindi è legato al PML, ad altre infezioni opportunistiche e a reazioni allergiche.
Valutazione del rischio per PML:
• Positività per Ab anti JC: il jc virus si riattiva in condizioni specifiche di
immunodepressione, quindi va dosato prima della somministrazione (rifare dosaggio ogni 6
mesi anche dopo l’inizio della somministrazione);
• Utilizzo precedente di immunosoppressori;
• Aumento del rischio dopo la somministrazione per 2 anni.
È indicato fare RM frequenti soprattutto dopo 2 anni di terapia per cogliere segni precoci e
subclinici di PML che hanno miglior prognosi, in quanto è difficile distinguere una ricaduta di
malattia dalla PML. La PML, però, interessa di più la parte frontale, quindi ad esempio questi pz
hanno difficoltà a digitare sul cellulare o difficoltà a trovare le parole, sono in confusione… Non
essendo una patologia frequente, anche la casistica è limitata rispetto alla SM in generale.
LEMTRADA (ALENTUZUMAB)
Può dare effetti collaterali importanti, quindi non ha avuto il riscontro sperato. Si fa un primo ciclo
di 12mg/die per 5gg seguito da un secondo ciclo 12 mesi dopo di 12mg/die per 3 gg che sarà poi
ripetuto nuovamente 12 mesi dopo. Il trattamento in totale dura circa 3 anni quindi si
126
Sbobine 2.0
somministrano 4 cicli. All’apparenza sembra molto positivo perché è possibile intraprendere una
gravidanza, ma in realtà presenta molti limiti.
Questo Ab monoclonale lega i CD52, Ag di superficie cellulare presente sui linfociti T. Si tratta di un
meccanismo di citotossicità cellulo-mediata Ab-dipendente, oppure complemento dipendente, o
con apoptosi, che porta a lisi e morte cellulare.
Molto importanti sono le reazioni legate all’infusione:
• Cefalea;
• Febbre;
• Rush;
• Nausea;
• Orticaria;
• Alterazioni cardiache;
• Reazioni allergiche mediate dalle IgE e dal rilascio massivo di citochine (tempesta
citochinica a seguito di morte linfocitica).
Le reazioni legate all’infusione tendono a diminuire con ogni ciclo annuale di terapia e anche nelle
infusioni successive alla prima. Il momento peggiore è il secondo/terzo giorno della prima
infusione, poi i sintomi vanno a scemare.
Questo pz è a rischio di infezioni, soprattutto delle vie respiratorie superiori e inferiori, herpes e
infezioni delle vie urinarie. Nel 2,7% dei casi si sono manifestate infezioni gravi rispetto all’1% dei
pz trattati con IFN1a; inoltre sono stati segnalati casi di TBC attiva e latente, listeriosi, neisseria
meningitidis, infezioni micotiche soprattutto la candidiasi. Per quanto riguarda la listeriosi quello
che si consiglia è di osservare una dieta priva di alimenti a rischio come formaggi, latte crudo che
può contenere la Listeria. Non sono stati però riscontrati casi di PML.
Per limitare la tempesta citochinica si fa premedicazione con cortisone: 1g per i primi 3gg poi da
ripetere altri 3gg dopo il primo anno. Si somministra anche paracetamolo e antistaminico. Per
limitare le infezioni si somministrano antivirali come aciclovir (200mg per 2die fino a un mese
dalla prima somministrazione).
Anche il protocollo di screening precedente alla somministrazione prevede:
• Screening oncologico, con radiografia del torace, eco addome…;
• Screening infettivo;
• Esami ematici (anche per la funzionalità tiroidea);
• Dieta adeguata;
• Screening HPV perché aumenta il rischio di cancro del collo dell’utero.
OCREBUS (OCRELIZUMAB)
Lega specificamente i CD20 presenti sulle cellule B. Approvato nel 2017 dall’FDA per il
trattamento della SM anche nella forma primaria progressiva, tuttavia si può utilizzare solo nella
primaria progressiva acuta, forma in realtà molto infrequente. Negli USA è un farmaco di prima
linea. Le indicazioni terapeutiche sono per una malattia che ha avuto diagnosi recente, non da 10-
15 anni, in forma primaria progressiva con attività rilevata alla RM.
Gli effetti collaterali possono essere correlate all’infusione per il rilascio di citochine, sono più
frequenti durante la prima infusione e possono manifestarsi a 24h dall’infusione:
127
Sbobine 2.0
• Prurito;
• Rush cutaneo;
• Irritazione alla gola;
• Eritema;
• Edema faringeo;
• Dispnea.
È stata rilevata un’incidenza maggiore di neoplasia maligna in carcinomi mammari.
Per evitare gli effetti collaterali si somministrano:
• Metilprednisolone: 100mg mezz’ora prima dell’infusione;
• Antistaminico: 30-60minuti prima o anche la sera prima;
• Si valuta anche se dare o meno l’antipiretico.
CLADRIBINA (MAVENCLAD)
Farmaco orale per il trattamento di pz con SM recidivante ad elevata attività definita da
caratteristiche cliniche o radiologiche. La dose cumulativa è di 3,5mg/kg in 2 anni somministrata
come un unico ciclo di trattamento di 1,75mg/kg all’anno. Ogni ciclo di trattamento è di 2
settimane, uno all’inizio del primo mese e uno all’inizio del secondo mese di ogni anno. Ogni
settimana si fanno 4-5gg di trattamento in base al peso corporeo. Dopo il completamento dei due
cicli, negli anni successivi non si fa più alcun trattamento.
Prima dell’inizio del trattamento la conta linfocitaria deve essere normale, superiore a
200cellule/mm3 e deve essere ridosata prima del secondo trattamento; se i valori non sono
adeguati il secondo ciclo può essere rimandato per un massimo di 6 mesi. Nel caso in cui sia
necessario più tempo, il pz non è più suscettibile al trattamento.
Controindicazioni:
• Infezioni di HPV;
• Infezione attiva di TBC;
• Pz immunocompromessi;
• Neoplasia maligna attiva;
• Disfunzione renale moderata o grave.
• Se la conta linfocitaria è inferiore a 500cellule/mm3 deve essere monitorata finché non
risalgono.
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Sbobine 2.0
• Spasticità: sono numerosi i farmaci per pazienti che hanno alterazioni del sistema
piramidale. La spasticità è mal tollerata dal pz, ma lo aiuta a mantenersi in piedi; infatti, se
inibisco il tono, le gambe del paziente cedono. Si utilizzano:
o Benzodiazepine (Diazepam);
o Baclofene;
o Cannabis con rapporto THC/cannabidiolo 1:1 o nabiximols (sativex): è un spray
oromucosale utilizzato in pazienti con SM recidivante remittente che non hanno
manifestato una risposta adeguata ai farmaci normalmente usati per la spasticità.
La dose media è di 8 spruzzi mattina pomeriggio e sera, da spruzzare in punti
sempre diversi per evitare lesioni in quanto contiene alcol.
Effetti collaterali: capogiri e affaticamento che possono essere moderati con la
variazione del numero di spruzzi. Gli effetti a lungo termine ancora non si
conoscono bene.
Gli altri sintomi si rimandano allo specialista, infatti è importante che attorno a questo tipo di
paziente ci sia un team, una rete di specialisti che si occupi della gestione di ogni sintomo. Il
quadro clinico di ogni paziente infatti è molto vario, quindi anche per il malato è difficile capire
quando ci sia effettivamente bisogno di ricorrere al medico.
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Sbobine 2.0
DEFINIZIONI
• Leptomeningiti: infiammazione delle leptomeningi (aracnoide e pia madre).
• Pachimeningiti: infiammazione della dura madre.
• Encefaliti: infiammazione del parenchima cerebrale.
• Mieliti: infiammazione del midollo spinale.
• Encefalo – mieliti: coinvolgono il parenchima encefalico e spianale e sono dette
MENINGITI
La meningite è un processo infiammatorio a carico delle leptomeningi e del LCR, che si realizza per localizzazione
dell’agente infettivo nel contesto dello spazio subaracnoideo.
CLASSIFICAZIONE
Le meningiti possono essere classificate in base all’agente eziologico, in base al decorso clinico e in base
all’aspetto morfologico del liquor.
CRITERIO EZIOLOGICO
• Agenti infettivi (batteri, virus, miceti, protozoi,elminti) S.pneumonia, N.meningitidis e H. influenzae
causano il 75-80% di tutte le meningiti settiche. Le forme infettive più frequenti sono quelle virali o
asettiche, hanno maggiore incidenza nei bambini e nei giovani adulti, sono meno gravi delle forme
batteriche, normalmente hanno decorso acuto con risoluzione completa della sintomatologia
• Agenti fisici
• Agenti chimici
• Processi disimmuni
DECORSO CLINICO
• Fulminante, evoluzione rapida in come e stato di shock quasi sempre irreversibile
• Acuta, esordio e sviluppo nel corso di ore o pochi giorni
• Subacuta, decorso lento (>2 settimane) e insidioso, più prolungato con segni meningei sfumati che talora
non richiamano l’attenzione del medico
• Cronica, >1 mese (TBC, miceti, sifilide, Lyme deaease, AIDS)
• Ricorrente, ripetuti episodi anche a distanza che sono espressione generalmente di un difetto dell’ospite
o dell’anatomia locale, oppure delle difese immunologiche
La clinica della meningite esordisce improvvisamente, ma con segni e sintomi non specifici.
• Sintomi soggettivi
o Cefalea
o Mialgie
o Fotofobia
o Vomito anche senza assunzione di cibo
130
Sbobine 2.0
• Segni obiettivi
o Febbre elevata
o Alterazioni della coscienza
o Obnubilamento del sensorio
o Torpore
o Rigidità nucale
o Epilessia
o Segno di Brudzinski →il tentativo di flettere passivamente la nuca in avanti (portando il mendo del
paziente verso il petto), accentua la flessione degli arti inferiori.
o Segno di Lasègue
o Segno di Kerning → il pz supino, con la coscia flessa sul bacino a 90° e gamba flessa sulla coscia; il
tentativo di estendere la gamba sulla coscia suscita dolore intenso
Nelle forme batteriche la pressione è molto aumentata, supera i 20 cmH2O; nelle forme virali la pressione è
lievemente aumentata.
Il prelievo del Liquor è una manovra molto importante. È controindicata in caso di:
• Eccessivo aumento della pressione intracranica: è necessario fare sempre esame del fondo dell’occhio
(l’ipertensione endocranica induce infatti edema della papilla del nervo ottico)
• Infezione cutanea in sede di puntura
• Segni di edema cerebrale, idrocefalo, ecc
• Sepsi o ipotensione
131
Sbobine 2.0
PATOGENESI
In caso di infezione batterica solitamente i batteri che sostengono meningite sono commensali faringei. Da qui superano le
linee di difesa locali dell’immunità innata e si portano in fase di batteriemia. Per via ematogena raggiungono lo spazio
subaracnoideo, dove iniziano a replicare. Si innesca un processo infiammatorio con richiamo di PMN, con liberazione di
citochine, enzimi lisosomiali, ROS e tossine batteriche. Queste sostanze determineranno danno sulle cellule endoteliali che
compongono la BEE, inoltre ‘’intasano’’ lo spazio subaracnoideo. Il tutto porterà a formazione di edema, che inevitabilmente
determinerà aumento della pressione intracranica.
Nel caso di infezioni virali, i virus hanno più possibilità di penetrazioni. Per via ematogena, per via assonale (come nel caso
degli herpes), attraverso le guaine del nervo olfattivo. Si localizzano poi a livello dei neuroni, della glia e dei plessi corioidei,
dove si moltiplicano richiamando linfociti Th1 che producono citochine infiammatorie, le quali aumentano la permeabilità
della BEE e ciò permette il passaggio di proteine nell’interstizio che determina aumento della pressione oncotica, con
formazione di edema.
DIAGNOSI
Schematicamente l’iter prevede:
• Formulazione del sospetto clinico, anamnestico e obiettivo
• Prelievo del liquor e analisi chimico fisiche e microbiologiche
Importante è valutare la
concentrazione di albumina, che
fornisce informazioni circa l’integrità
della BEE e la concentrazione di
immunoglobuline, che forniscono
informazioni riguardo la presenza di
eventuali meccanismi di tipi
autoimmunitario e non, che possono
concorrere al processo infiammatorio.
132
Sbobine 2.0
ENCEFALITI
Si tratta di processi infiammatori del tessuto cerebrale sostenuto da una causa infettiva, di origine virale,
batterica o parossistica. La definizione di encefalite non implica necessariamente la presenza dell’agente infettivo
nell’encefalo, dal momento che alcune forme possono essere scatenate da un meccanismo immunitario. Le
encefaliti si possono dividere in:
• Primarie, diretta invasione da agente patogeno nel SNC.
• Secondarie, causa post-infettiva o post-vaccinica, legato ad un meccanismo di risposta auto-immunitaria
a volte legati a meccanismi di cross-reattività. Compaiono con una latenza di circa 15-20 giorni dall’evento
infettivo, tempo necessario alla produzione di anticorpi.
Nelle encefaliti non tutto il tessuto può essere interessato nello stesso modo, si possono avere
leucoencefalomieliti, dove l’infiammazione riguarda la sostanza bianca, e le poliencefalomieliti, dove riguarda la
sostanza grigia.
CLASSIFICAZIONE EZIOLOGICA
• Batteriche e micotiche: il processo infiammatorio che si realizza all’interno del parenchima cerebrale in
presenza di una invasione batterica o micotica tende ad essere stereotipato e, soprattutto, circoscritto,
configurando l’ascesso cerebrale.
• Virali: il quadro clinico e anatomo – patologico dipende dalla modalità di interazione fra virus e cellula
infettata. Distinguiamo:
o Encefaliti virali acute: il virus lisa la cellula, con morte neuronale e focolai necrotici – gliali.
o Encefaliti da virus lenti: il virus persiste nella cellula vitale, con comparsa dei sintomi in modo
subacuto o cronico.
• Non infettive: si ha una risposta immunitaria che si sviluppa il più delle volte a seguito di una infezione
in altre sedi o a una vaccinazione.
• Encefaliti spongiformi: malattie da prioni.
ASCESSO CEREBRALE
Processo suppurativo circoscritto, più frequentemente appannaggio di pazienti immunocompromessi.
I germi più frequentemente responsabili di ascesso sono:
• Streptococco: per via ematogena da focolai polmonari
• Germi opportunisti: Aspergillus, Criptocco
• Stafilococchi: disseminazione da fratture craniche
Da un punto di vista dell’anatomia patologica l’ascesso è una lesione unica e tonda, con al centro materiale
purulento putrefatto, che dopo un po' viene circoscritto da una capsula fibrosa, costituita da fibre reticolari e
collagene. La capsula a sua volta viene circondata, col tempo, da un’area di gliosi reattiva.
CLINICA
La sintomatologia è subdola. L’esordio è subacuto/cronico, nell’ordine di settimane o mesi e si può manifestare
con cefalea, febbricola, astenia a cui si possono associare reperti di infezione (es. aumento VES).
DIAGNOSI
È molto utile la scintigrafia con leucociti marcati con 99mTc.
133
Sbobine 2.0
CLINICA
A prescindere dal tipo di virus, l’encefalite acuta si caratterizza per tre aspetti clinici comuni:
• Segni di un processo infettivo virale in atto → cefalea, mialgia, febbricola. Riflette il periodo in cui il virus
è in fase viremica
• Segni di sofferenza cerebrale globale → nelle encefaliti virali è tipico il disturbo dello stato di coscienza.
Può manifestarsi in senso ‘’negativo’’ con obnubilamento, fino al coma, o in senso ‘’positivo’’, con
eccitamento, confusione, vaneggiamento
• Segni di danno focale → molto variabili a seconda del tropismo del virus. Possiamo avere
o Afasie, agnosie, aprassie
o Segni di interessamento delle aree motorie
o Segni extrapiramidali
o Segni da interessamento delle vie ottiche
ENCEFALITE DA HSV
È la forma più comune e rilevante, interessa anche i non immunodepressi. Le lesioni interessano tipicamente le
regioni fronto – temporali basali.
Esordisce in maniera molto subdola, con cefalea, malessere, febbre, astenia e irritabilità nella fase prodromica,
della durata di 4-10 gg. Le manifestazioni cliniche più specifiche sono:
▪ Cefalea più intensa, febbre
▪ Compromissione a livello di coscienza e dello stato mentale (allucinazioni, disturbi della memoria)
▪ Segni e sintomi neurologici focali e diffusione
▪ Afasia
▪ Emiparesi
▪ Movimenti involontari
▪ Coinvolgimento nervi cranici
▪ Deficit campimetrico
Il decorso è tumultuoso e variabile per gravità, l’edema cerebrale può dare ipertensione endocranica ed ernie
cerebrali. L’esame del liquor evidenzia un processo infiammatorio con danno di barriera, oltre alla presenza del
DNA virale. L’EEG presentano alterazioni diffuse con focali rallentamenti con complessi periodici caratteristici a
livello della regione temporale.
TC e RMN encefalo sono utili per escludere processi espansivi ed edema cerebrale, in alcuni casi è possibile
identificare aree di alterato segnale diffuse, associate a riduzione degli spazi ventricolari e subaracnoidei.
Caratteristico aspetto dell’encefalite da HSV alla RMN è con ipointensità in T1 e ipeintensità in T2 con
enhancement dopo gadolinio a carico di corteccia temporale mesiale, insula, corteccia frontale e giro cingolato.
Può richiedere diversi giorni per svilupparsi. Per questo motivo questa patologia si manifesta inizialmente con
alterazioni del comportamento, che inizialmente vengono sempre sottovalutate.
La terapia ha come obiettivo il contenimento e l’eradicazione della patologia agendo sull’infezione con Acyclovir
10mg/Kg ogni 8 ore per 14 gg. Il trattamento andrebbe iniziato il prima possibile senza aspettare la conferma
diagnostica degli esami colturali su liquor; nei casi resistenti, specie negli immunocompromessi, si ha una buona
134
Sbobine 2.0
risposta alla terapia con Foscamet. Si può unire una terapia di supporto con corticosteroidi/mannitolo e
antiepilettici, nel caso servino.
La DD va posta con molte malattie neurologiche, specialmente all’inizio, data l’aspecificità dei sintomi.
135
Sbobine 2.0
PATOGENESI
Il meccanismo patogenetico si basa su anticorpi che, per mimetismo molecolare, reagiscono contro Ag neuronali
in comune fra il tumore e il SN. Questo meccanismo vale solo per gli Ag di superficie, mentre per quelli
intracellulari ci sono evidenze di un coinvolgimento dell’immunità cellulo-mediata
DIAGNOSI
Si effettua tramite ricerca degli Ab onconeurali tramite immuno-fluorescenza. La loro evidenza consente spesso
il riscontro del tumore in una fase ancora trattabile, in quanto nel 60% dei casi la sindrome neurologica precede
la diagnosi di neoplasia.
In alcuni casi all’EEG si notano alterazioni focalizzate al livello della corrispondente area, ad esempio
rallentamento del ritmo di fondo, o alterazioni epilettiformi.
ENCEFALITE LIMBICA
Si caratterizza per l’esordio acuto e sub-acuto di una sindrome cerebrale organica, rappresentata da disturbi
affettivi, generalmente ansia o depressione severe.
Alterazioni comportamentali e di personalità, irritabilità, allucinazioni, attacchi epilettici parziali o generalizzati e
deficit mnesici con talora quadro di franca demenza. Può essere un quadro primario o secondario a neoplasia per
cross-reattività.
Le neoplasie più frequentemente associate con encefalite limbica sono:
• Tumore del polmone (50%)
• Tumore del testicolo (20%)
• Tumore della mammella (8%)
• Linfoma di Hodgkin (4%)
• Teratoma (4%)
• Timoma (2%)
• Tumore della vescica, del colon, del rene
Nel liquor e/o nel siero del 60% dei pazienti possono essere riscontrati anticorpi onconeurali diversi a seconda
del tipo di tumore associato.
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Sbobine 2.0
MIOPATIE INFIAMMATORIE
Sono patologie infiammatorie e degenerative che interessano la muscolatura striata, nel 10-15% delle miositi si
associa a neoplasia, possono essere isolate o con coinvolgimento cutaneo. Ha un esordio sub-acuto (3-4
settimane) con ipostenia prossimale, disfagia con incremento degli enzimi muscolari, all’EMG si ritrova un pattern
miopatico con attività di denervazione in atto, perché l’infiltrati infiammatori possono comprimere i terminali
assonali intraparenchimali. Il tracciato EMG si presenta con potenziali di attività motoria di altezza e durata ridotte
e con reclutamento precoce legato a denervazione.
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Sbobine 2.0
CLASSIFICAZIONE
Le mielopatie possono essere classificate in vario modo, sulla base di:
• Tipo di lesione
o Completa
o Sindrome emi-midollare laterale di Brown-Sequard
o Sindrome midollare anteriore
o Sindrome midollare posteriore
o Sindrome midollare centrale
o Cono midollare
o Cauda equina
o “Trattopatie”
• Cause eziologiche
o Malformative/congenite
o Infiammatorie/infettive
o Vascolari
o Traumatiche
o Da patologia degenerativa del rachide
o Neoplastiche
Le mielopatie acute trasverse sono sindromi acute midollari con interessamento della sostanza grigia e
bianca in uno o più segmenti. Il tempo intercorrente tra l’esordio e la completa ed espressione della
patologia è spesso di ore o pochi giorni, anche se vi sono alcuni casi che presentano un decorso più lento,
dell’ordine di settimane.
EZIOLOGIA
• Virale o post-virale
• Batterica (neurolue, etc.)
• Vasculiti
• Patologie sistemiche (LES, sarcoidosi)
• Malattie demielinizzanti (sclerosi multipla, neuromielite ottica con interessamento dei tratti
cervicali)
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Sbobine 2.0
• Infarto midollare
• Trauma, con o senza frattura vertebrale.
• Mielite trasversa idiopatica
QUADRO CLINICO
• Deficit di forza ascendente fino alla paralisi
• Parestesie/ipoestesia dei piedi e delle gambe fino all’anestesia al di sotto della regione colpita
• Ritenzione urinaria
• Perdita del controllo della defecazione
• Dolore locale del rachide, cefalea e rigidità nucale possono essere presenti; sono segni di irritazione
meningea nel caso in cui ci sia uno stato infiammatorio importante nei pressi della lesione. Si
verificano soprattutto in caso di eziologia infettiva.
Per riassumere, in caso di lesione completa si ha coinvolgimento di tutti i tratti e a valle della lesione, i segni
clinici sono piramidali/motori, sensitivi e neurovegetativi.
ITER DIAGNOSTICO
Nel percorso diagnostico è molto importante la RMN del midollo, in questi casi svolta in urgenza per
escludere lesioni compressive (di norma la RMN è un esame in elezione). Si eseguono poi:
• Esame del liquor: chimico-fisico, conta cellulare, ricerca di virus o batteri
• Esami ematochimici per le cause infettive
• Screening anticorpali e indagini reumatologiche per le malattie immuno-mediate (es. LES)
• Dosaggio dell’ACE e RX torace In sospetto di sarcoidosi.
• RMN cerebrale se si devono escludere malattie demielinizzanti (ricerca delle lesioni sopra e sotto-
tentoriali), seguita anche dai potenziali evocati
• Angiografia epidurale per escludere cause vascolari. L’angioRMN spinale può aiutare, ma non è
l’esame di prima scelta.
SINDROME EMI-MIDOLLARE LATERALE DI BROWN-SEQUARD
Se la lesione comporta un’emisezione del midollo, si sviluppa:
• Paralisi spastica omolaterale per interruzione del tratto
cortico-spinale laterale.
• Perdita della sensibilità profonda omolaterale per
interruzione della colonna dorsale.
• Perdita della sensibilità termo-dolorifica controlaterale
per interessamento del tratto spino-talamico
controlaterale.
Le cause possono essere varie: malattie demielinizzanti (es.
sclerosi multipla), post-traumatiche, compressive.
QUADRO CLINICO
• Paralisi flaccida bilaterale
• Anestesia termica e dolorifica
• Disfunzione sfinterica
• Propriocezione e sensibilità tattile conservate
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Sbobine 2.0
EZIOLOGIA
• Occlusione dell’arteria spinale anteriore
• Trauma da flessione con dislocazione di frammento del corpo vertebrale
• Infezione da virus West-Nile.
EZIOLOGIA
• Deficit cronici di vitamina B12 (cause gastrointestinali, malnutrizione, alcolismo)
• Deficit di rame
• Tabe dorsale.
Tabe dorsale
È una manifestazione della sifilide tardiva, frequente prima dell’era antibiotica, e che sta riemergendo in
questi anni. Si tratta di una degenerazione dei cordoni posteriori con dolori lancinanti di tipo cordonale,
associati a disturbi della sensibilità profonda, ipotonia, areflessia, atassia sensitiva, disturbi vescicali tipo
incontinenza dovuti all’atonia e alla mancanza di afferenze.
Si riconosce anche per altri segni associati, quali fenomeni distrofici di ossa, articolazioni e cute e la pupilla
di Argyll-Robertson (abolizione del riflesso miotico alla stimolazione luminosa, ma mantenimento dello
stesso durante l’accomodazione e la convergenza). La diagnosi deve essere confermata con l’esame liquorale
e la ricerca di positività delle reazioni sierologiche specifiche per la lue.
Entra in diagnosi differenziale con alcune neuropatie periferiche sensitive, in particolare la diabetica (si
definiscono forme pseudotabetiche). La neuropatia diabetica di solito è più distale e si manifesta con
disestesie urenti.
EZIOLOGIA
• Siringomielia
• Neuromielite ottica
• Trauma: è la sindrome post-traumatica più frequente, il meccanismo è la brusca iperestensione del
collo, con danno solitamente cervicale. Per questo si osserva un coinvolgimento sproporzionato degli
arti superiori rispetto agli arti inferiori: ipoestesia AASS e iniziale disfunzione del SNA, seguita da
recupero. La prognosi è infatti buona: il 75% dei pazienti ha possibilità di recupero.
Siringomielia e Siringobulbia
La siringomielia è una patologica formazione di una o più cavità nel midollo spinale, orientata lungo il suo
asse maggiore. Spesso la cavità è situata in prossimità del canale centrale, che a volte è inglobato. La cavità,
non rivestita da ependima, interessa totalmente o in parte la sostanza grigia del midollo spinale. La sede più
frequente è a livello cervicale o dorsale.
Almeno la metà delle lesioni è in rapporto con anomalie congenite della colonna o della base del cranio (es.
malformazione di Arnold-Chiari) o sindromi disrafiche (es. encefalocele, mielomeningocele). In questi casi la
lesione si sviluppa spesso durante l’adolescenza o nell’età adulta giovanile. I casi di lesione acquisita si
associano invece a tumori intramidollari, conseguono a trauma o a cause ignote.
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Sbobine 2.0
QUADRO CLINICO
La clinica è caratterizzata da dissociazione siringomielica del territorio interessato (assenza di percezione
degli stimoli dolorosi, ma presenza di quelli sensitivi profondi) con inizio della sintomatologia a livello delle
dita degli AASS (generalmente la lesione è cervicale) che poi si estende.
L’alterazione dei tratti corticospinali insorge in genere tardivamente e determina deficit motori. Tale
coinvolgimento delle corna anteriori a livello della cavità porta ad atrofia muscolare segmentale, deficit di
forza e fascicolazioni (principalmente agli AASS, comparsa di “mano atrofica”).
Si parla di siringobulbia quando lo stesso processo si estende anche al bulbo. È rara e di solito appare come
una fenditura nella porzione inferiore del tronco encefalico, capace di interessare i nervi cranici inferiori,
comprimere o interrompere le vie sensitive ascendenti o le vie motorie discendenti.
Dal punto di vista clinico, si ha una sindrome da interessamento del tronco encefalico e delle strutture
contenute (nuclei dei nervi cranici): vertigini, nistagmo, ipoestesia faciale mono- o bilaterale, atrofia e deficit
di forza linguale, disartria, disfagia, talvolta disfunzioni motorie o sensitive più distali dovute alla
compressione del midollo.
CONO MIDOLLARE
Coinvolge le efferenze neurovegetative e i segmenti sacrali spinali. A livello clinico si evidenzia:
• Disfunzione sfinterica
• Ipoestesia sacrale (a sella)
• Coinvolgimento motorio relativamente scarso
• Dolore, raro.
EZIOLOGIA
• Mielite post-vitale
• Trauma con frattura vertebrale da T11 a L1 (a monte della cauda equina)
QUADRO CLINICO
• Paralisi flaccida precoce e spesso asimmetrica
• Disturbi sensitivi soggettivi (dolore radicolare accentuato dal movimento)
• Disturbi sensitivi oggettivi (anestesia a sella)
• Abolizione dei ROT
• Ipotrofia muscolare
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Sbobine 2.0
EZIOLOGIA
• Poliradicoliti da infezioni virali (CMV o altri)
• Compressione (es. ernia discale, tumori)
• Trauma con frattura vertebrale sotto L1/L2.
• Aracnoiditi.
TRATTOPATIE
Sono mielopatie con coinvolgimento selettivo di un tratto (sul piano verticale). I segni clinici sono correlati al
coinvolgimento selettivo del sistema piramidale o della colonna posteriore. Solitamente sono dovute ad una
patologia metabolica o degenerativa, quindi si tratta di forme croniche come il deficit di B12. Possono però
essere anche mielopatie paraneoplastiche o mieliti acute con interessamento parcellare, ad esempio nella
sclerosi multipla (es. deficit propriocettivo isolato a esordio acuto dovuto all’interessamento del cordone
posteriore).
La causa viene attribuita ad una precedente infezione virale o batterica (ADEM post-infettiva, la più
frequente), oppure ad una precedente vaccinazione (ADEM post-vaccinica).
Il quadro clinico da interessamento midollare comprende deficit di forza e parestesie/ipoestesie degli arti
con distribuzione variabile. Questa sintomatologia aumenta di intensità con il passare dei giorni e porta ad
un deficit sensitivo-motorio, anche con disturbi sfinterici. In base all’evoluzione della lesione, il quadro tende
lentamente a ridursi o scomparire spontaneamente. L’utilizzo di cortisone può essere di aiuto e accelera il
processo di recupero.
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Sbobine 2.0
POLIOMIELITE
È una grave malattia infettiva a carico del SNC, che colpisce soprattutto i neuroni motori del midollo spinale.
L’ultimo caso americano risale al 1979, mentre in Italia l’ultima notificazione risale al 1982.
Si tratta di una complicanza post-infettiva molto diffusa in passato, combattuta efficacemente grazie alla
comparsa e diffusione dei vaccini.
L’infezione è causata da tre tipi di poliovirus (1, 2 e 3), appartenente al genere enterovirus. Il decorso clinico
delle persone infettate può essere più o meno severo:
• 90-95% forma inapparente: nessun sintomo ed eliminazione del virus attraverso le feci
disseminandolo nell’ambiente
• 4-8% sindrome simil-influenzale o gastro-enterica
• 1-2% quadro di meningite asettica, non paralitica, con recupero completo nel giro di pochi giorni.
• 0.1% poliomielite paralitica.
Oltre a queste forme esiste anche la sindrome post-polio nei pazienti guariti: consiste in episodi ricorrenti di
debolezza e affaticamento che colpiscono gruppi muscolari inizialmente interessati dalla forma acuta. La
comparsa può avvenire anche molti anni dopo la malattia acuta.
MIELOPATIE VASCOLARI
Le mielopatie vascolari si possono dividere in:
• Ischemiche: sono quelle più frequenti e interessano maggiormente le porzioni anteriori.
o Primitive: aterosclerosi, in corso di vasculiti sistemiche
o Secondarie: compressione delle arterie spinali da parte di tumori/ascessi o altre cause
compressive
Le cause sono sia a coinvolgimento locale che sistemico: vasculiti, interventi chirurgici sull’aorta,
emboli, dissecazione aortica o dell’arteria vertebrale, stati pro-trombotici, grave ipotensione o
arresto cardiaco.
• Emorragiche: causate per lo più da traumi, ma talvolta anche spontanee (angiomi cavernosi, MAV,
fistole AV durali, sanguinamento di tumori spinali).
LESIONI MIDOLLARI DA PATOLOGIA DEL RACHIDE - COMPRESSIONI MIDOLLARI
La compressione midollare può essere:
• Acuta: generalmente post-traumatica
• Subacuta: da processo espansivo che cresce lentamente, come una neoplasia extramidollare, un
ascesso/ematoma extramidollare, l’espulsione di disco vertebrale
• Cronica: da protrusioni ossee o cartilagine all’interno del canale cervicale o toracico (NON lombare),
ad esempio presenza di osteofiti o spondilosi. Troviamo anche le neoplasie a
crescita molto lenta.
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Sbobine 2.0
SCLEROSI COMBINATA
È dovuta a carenza di vitamina B12, associata ad anemia perniciosa e patologie da malassorbimento. Le vie
più colpite sono le vie sensitive cordonali: esordisce con parestesie ai quattro arti e alterazioni della
sensibilità vibratoria. La progressione del disturbo compromette globalmente le sensibilità profonde con
conseguente atassia sensitiva. Nei casi conclamati si arriva al coinvolgimento della componente motoria con
paraparesi o tetraparesi spastiche.
Per fare diagnosi si dosa la vitamina B12 e si esegue la RMN che mostra iperintensità di segnale a livello
midollare.
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Sbobine 2.0
EPIDEMIOLOGIA
Nonostante l’incidenza molto bassa (2/100.000/anno, con prevalenza di 7 casi/100.000 abitanti) non sono
malattie rare. Colpiscono soprattutto il sesso maschile e l’età media di esordio è in genere dopo i 65 anni,
sebbene vi siano forme tipicamente giovanili se non addirittura infantili.
EZIOLOGIA
L’eziologia è ignota, è probabilmente multifattoriale, con la compartecipazione di genetica e fattori
ambientali:
• Genetica. L’influenza genetica fu esclusa da Charcot, che negò quindi la possibilità di trasmissioni
familiari. Oggi sappiamo che la SLA può anche essere familiare (2%) e coinvolgere diversi geni:
o Superossido dismutasi 1 (SODI): è un enzima deputato alla conversione degli ioni
superossido in acqua ossigenata (H 2 O 2 ), che sarà ulteriormente metabolizzata dalle catalasi.
Mutazioni missenso (sostituzione di un aminoacido) portano a casi familiari di SLA; il
meccanismo con cui questa mutazione puntiforme possa generare la malattia è incerto, ma
sembrerebbe essere correlato all' acquisizione di funzioni tossiche . Circa l'1% dei casi
sporadici presenta una mutazione della SODI .
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Sbobine 2.0
o TAR DNA-binding-protein 43 (TDP-43): è una proteina con una complessa funzione, implicata
nello splicing delle proteine. E' stata individuata negli inclusi citoplasmatici ubiquitinati dei
pazienti con SLA sporadica (associata o meno a demenza franto-temporale) e familiare.
o Fused in sarcoma/Translocated in liposarcoma (FUS/TLS): anche questa proteina è coinvolta
nello splicing degli mRNA. La sua mutazione è stata trovata sia in casi familiari che sporadici.
o Dalle prime forme familiari identificate, la ricerca continua a ricercare polimorfismi genetici
ce possano essere associati alla patologia, al fine di poter dare una spiegazione moleolare
della patogenesi e trovare possibili terapie, ad oggi inesistenti.
• Fattori ambientali
o Fumo;
o Attività agricola;
o Traumi;
o Popolazioni a particolare rischio sembrano essere i militari americani e i calciatori
professionisti (in genere gli sportivi agonisti). Lo sport è un argomento controverso e il
fattore responsabile dell’aumento dell’incidenza è ancora discusso (probabilmente si deve ai
traumatismi più frequenti); [in America è definita malattia di Lou Gehrig, nome del giocatore
di baseball affetto dalla patologia]
o In alcune isole del Pacifico (isole Marianne, Guam, Nuova Guinea) l'incidenza è superiore e
le caratteristiche cliniche particolari (associazione di SLA-Parkinson-demenza); è stata
proposta l'ipotesi neurotossica, in cui la neurotossina sarebbe contenuta nei semi delle
piante di Cycas (cicassina). È stata ipotizzata anche l’ingestione di carne di pipistrello, che a
sua volta si nutre di questa pianta.
CLINICA
La manifestazione clinica della SLA classica è inequivocabile: si hanno alterazioni muscolari deputate a
lesione del primo o secondo motoneurone senza alterazione della sensibilità. La presenza di patologia
sensitive permette quindi di escludere la SLA e indirizzarci verso alter forme, SLA-like. La clinica è poi variabile
a seconda del motoneurone coinvolto:
• Sindrome del motoneurone superiore
o Ipertono spastico,
o Iperriflessia,
o Riflessi patologici (Babinski e Hoffman),
o Sintomi pseudobulbari ("sindrome pseudobulbare", da interessamento dei fasci
piramidali cortico-bulbari),
o Difficoltà nell’esecuzione dei movimenti fini;
• Sindrome del motoneurone inferiore
o Ipotonia,
o Atrofia muscolare e debolezza,
o Fascicolazioni e crampi
o Iporiflessia (in realtà all’inizio si ha iperriflessia, in seguito all’atrofia muscolare si
sviluppa iporiflessia);
o L'interessamento dei motoneuroni bulbari si manifesta con disfagia (IX-X); disartria,
ipotrofia e fascicolazioni della lingua (XII).
Tipicamente la malattia esordisce in modo subdolo (sarà difficile identificare le fascicolazioni iniziali) per poi
progredire rapidamente.
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Sbobine 2.0
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Sbobine 2.0
DIAGNOSI
Nella consensus conference El Escorial dagli anni ’90 si è avuta l’elaborazione di linee guida per diagnosticare
e per progettare trial clinici per la SLA. Si sono creati dunque criteri diagnostici El Escorial che definiscono la
presenza di SLA come:
• Possibile, quando sono presenti segni in un solo (o più) segmento del motoneurone (superiore o
inferiore);
• Probabile, quando sono presenti segni in motoneurone inferiore e superiore in 1 regione;
• Sospetta, quando sono presenti segni in motoneurone inferiore e superiore rostrale in almeno 2
regioni;
• Definita, quando sono presenti segni in motoneurone superiore e inferiore in almeno 3 regioni.
La diagnosi è prettamente clinica e elettrofisiologica: per la diagnosi di SLA occorre avere l’evidenza della
degenerazione motoneuronale (inferiore o superiore) tramite l’esame obiettivo neurologico e
l’elettromiografia. La biopsia non si fa più poiché non aggiunge niente alla diagnosi ed è invasivo. Una volta
sospettata la patologia, per la conferma è necessario dimostrare la progressione del quadro clinico nei mesi
successivi con le stesse metodiche.
SLA PLUS
Si tratta di quadri clinici in cui sono presenti segni e sintomi riconducibili alla SLA, cui si aggiungono però
alterazioni non tipiche della patologia, come:
• Clustering geografico;
• Segni extrapiramidali;
• Degenerazione cerebellari;
• Demenza, comprensibile in quanto le cellule piramidali che danno origine alla via motoria si trovano
a livello delle aree fronto-temporali che sono adibite al pensiero superiore, dunque si tratta di un
accoppiamento piuttosto comune;
• Alterazioni del SNA; si possono ricercare con esami banali (intervallo RR, risposte simpatico cutanee
ecc);
• Alterazioni della sensibilità. In genere, la coesistenza di alterazioni sensitive deve indirizzare il
sospetto diagnostico verso una forma paraneoplastica (K stomaco, prostata, pancreas ecc.).
L’evidenza di questi segni deve sempre mettere in dubbio la diagnosi di SLA;
• Anormalità dell’oculomozione (altra caratteristica della SLA è il risparmio dell’oculomozione
estrinseca e della motilità sfinteriale);
• Forme con anomalie di laboratorio di incerto significato
o Gammopatie monoclonali e linfomi;
o Autoanticorpi;
o Alterazioni endocrinologiche benigne (iper-/ipocalcemia);
o Infezioni, tra cui malattia di lyme (una borreliosi), HIV e varicella;
o Tossine esogene, da considerare nei soggetti con esposizione ambientale al piombo, mercurio e
alluminio. Non hanno un ruolo centrale ma andrebbero indagate.
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Sbobine 2.0
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Sbobine 2.0
stimolazione corticale siamo giustificati a pensare a una SLA, un rallentamento con esclusiva
stimolazione radicolare orienta più verso una forma di mielopatia cervicale;
3. Neuroimaging, per l’esclusione di altre patologie e per il ritrovo di segni che confermino il
coinvolgimento del motoneurone superiore. È importante se correlato alla clinica, in quanto i segni
di lesioni del motoneurone al MRI (lesioni delle vie cortico-spinali e atrofia midollare) sono aspecifici
e non permettono di fare diagnosi di SLA;
4. Test di laboratorio per escludere altre malattie:
o CPK/creatinfosfochinasi; in genere è poco alterata, ma si possono trovare valori altissimi
(anche 100.000 U/l), che rischiano di provocare insufficienza renale acuta (comunemente in
questo pz si può trovare a 20/30.000 U/l)
o Esami del midollo osseo per vedere se presente gammopatia, ma sono fattori secondari in
pz con particolari caratteristiche cliniche.
o Esame del liquor
o Anticorpi anti-Hu, non si fanno praticamente quasi mai.
o Esame delle esosaminidasi A leucocitarie
o Studio della tiroide, test opzionali
o Misurazione anticorpi anti-HIV e anti HTLV-1
o Acidi grassi a catena molto lunga sierici
o Esame dell’ormone paratiroideo sierico
5. Esaminazione neuropatologica (ormai non si fa più)
6. Ripetizione dell’esame obiettivo e EMG (dopo 6 mesi, ma anche a 3), è il punto più importante,
occorre evidenziare la presenza di progressione con aumento del danno. La SLA si tratta infatti di una
patologia progressiva e degenerativa.
Si è cercata la presenza di markers per la diagnosi di malattia, ma ancora non sono presenti nonostante la
grande ricerca, infatti l’unicostrumento a disposizione resta l’EMG.
In futuro si pensa di usare la RM total body per vedere il muscolo atrofico e l’interessamento delle vie
neuromotorie lunghe del secondo motoneurone, ma ancora siamo ben lontani.
L’EMG rimane ad oggi la sola tecnica diagnostica dirimente.
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Sbobine 2.0
DIAGNOSI E TERAPIA
Nell’analisi di laboratorio si possono ritrovare innalzamenti dei livelli di CPK. Allo studio elettromiografico si
evidenziano le fascicolazioni, date dalla denervazione del muscolo, la velocità di conduzione elettrica è
conservata, permettendo l’esclusione di neuropatie periferiche. La diagnosi di certezza è genetica e si basa
su ricerca molecolare su sangue periferico del gene SMN, oppure ricerca del gene dai villi coriali in caso di
diagnosi prenatale. In passato si eseguiva biopsia muscolare sui casi dubbi, oggi si esegue di rado e nei casi
molto gravi, con il rischio di falsi negativi legati all’interessamento marezzato del muscolo.
Nessuna terapia è in grado di rallentare la progressione, si può solo eseguire una terapia di supporto:
• Trattamento ortopedico per la scoliosi e retrazioni articolari;
• Fisioterapia per consentire al bambino di mangiare ed essere il più possibile indipendente e
autonomo. Di contro la fisioterapia aggrava l’atrofia muscolare (si nota un aumento vertiginoso di
CPK).
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Sbobine 2.0
NEUROPATIE PERIFERICHE
Le neuropatie periferiche sono condizioni patologiche conseguenti a danni dei nervi periferici.
Sono patologie frequenti ma l’incidenza esatta non è perfettamente conosciuta.
EZIOLOGIA
Nei Paesi sviluppati le cause di neuropatia in ordine di frequenza sono:
• Diabete mellito;
• Alcolismo;
• Infezioni da HIV;
• Ereditarietà: malattia geneticamente determinata;
• Sostanze tossiche e industriali: alcol, piombo, etc.;
• Farmaci: come i chemioterapici (eg. cisplatino);
• Disordini paraneoplastici: soprattutto nel caso di neuropatie sensitive sine causa apparente;
• Difetti del metabolismo;
• Infezioni e/o infiammazioni.
I nervi periferici comprendono i nervi cranici, gli spinali, i gangli annessi alle radici dorsali, i tronchi nervosi
periferici e le loro diramazioni terminali e il sistema nervoso autonomo (spesso dimenticato!).
I nervi possono essere misti, sia sensitivi che motori che vegetativi, con fibre larghe e mielinizzate, piccole e
mielinizzate e piccole e non mielinizzate. Ogni nervo periferico è formato da fibre che provengono da più
radici, ogni radice invia fibre a più nervi: pertanto l’innervazione di un nervo e quella di un segmento
midollare non sono corrispondenti (infatti si distinguono patologie radicolari, raidicolopatie, e patologie del
nervo, neuropatie).
CLASSIFICAZIONE EZIOPATOGENETICA
Il criterio eziologico è quello più importante poiché inquadrare la causa dei sintomi neuropatici consente
ovviamente di scegliere la corretta terapia. Vedremo le singole forme facendo riferimento a questo
criterio.
• Idiopatica: nella maggior parte dei casi non viene trovata la versa causa della neuropatia;
• Disimmunità (causa più frequente)
o Sindrome di Guillain-Barrè
o Sindrome di Milner-Fisher
o Polineuropatia infiammatoria demielinizzante cronica (CIDP)
o Neuropatia motoria multifocale con blocchi di conduzione (MMN)
o Neuropatie MGUS-correlate con AC anti-MAG (gpt mielina associata)
o Neuropatie con IgM anti-sulfatide
• Genetiche
o Predisposizione alla paralisi da compressione ereditaria (HNPP)
o Malattia di Charcot-Marie-Tooth
o Polineuropatia amiloide ereditaria
• Metaboliche e carenziali
o Uremia
o Deficit di vit. B 12
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Sbobine 2.0
o Neuropatia diabetica
• Disendocrine
o Neuropatia in corso di ipotiroidismo
• Tossica e medicamentosa
o Neuropatia alcolica
o Neuropatie da metalli (piombo)
o Neuropatia da collanti, mastici, solventi.
• Traumatiche
o Mononeuropatie (o plessopatie) da compressione periferica
• Tunnel carpale
• Nervo ulnare al gomito
• Sindrome del plesso brachiale
• Tibiale posteriore al tunnel tarsale
o Radicolopatie da compressione causata da ernia
• Paraneoplastiche
• Iatrogena soprattutto post intervento
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nella neuropatia diabetica e nelle forme più gravi di GBS. I sintomi relativi alla lesioni di fibre vegetative in corso
di polineuropatia sono: Ipotensione ortostatica e Anidrosi. Più rari sono anomalie pupillari, turbe sfinteriche,
disturbi dell'alvo, spasmi intestinali, secchezza delle mucose, impotenza.
CLASSIFICAZIONE PATOFISOLOGICA
In base alla localizzazione del danno, si distinguono:
• Assonopatia: da distruzione dell’assone;
• Neuronopatia: da distruzione del corpo cellulare a livello del motoneurone o del neurone sensitivo
del ganglio dorsale;
• Mielinopatia: da distruzione della mielina, su base infiammatoria o ereditaria.
• Forme miste (nella maggior parte dei casi, anche perché la demielinizzazione porta
conseguentemente a una perdita di funzione della funzione dell’assone e a una assonopatia).
Sul piano istopatologico il danno può essere prevalentemente a carico della mielina o dell'assone. Identificare questo
aspetto è importante, in presenza di un quadro clinico suggestivo di neuropatia, per attribuire i sintomi a una forma
specifica e per capirne la fisiopatologia. Alcune indagini (ENG) ci saranno di aiuto per discriminare le due forme.
Danno dell'assone
Il danno primitivo dell'assone può realizzarsi con due meccanismi:
1. Degenerazione Walleriana dell'assone a valle di una sede in cui la continuità dell'assone stesso è stata interrotta.
Si realizza quindi quando un assone viene "spezzato": questo si può realizzare in diversi modi:
• Lesioni traumatiche acute (taglio, strappamento)
• Lesioni traumatiche croniche (intrappolamento, compressione da ernia)
• Ischemia (neuropatia diabetica,vasculiti).
2. Degenerazione retrograda: è la conseguenza di una sofferenza neuronale primitiva e si caratterizza per la
progressione del danno in direzione del soma del neurone (all'indietro). È tipica delle neuropatie ereditarie, tossiche
(alcol, uremia, metalli), carenziali (vit. BI 2) e paraneoplastiche.
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Sbobine 2.0
• Se la lesione interessa 2-3 nodi adiacenti si disperde tutta la corrente e si ha blocco della conduzione,
definito come impossibilità di condurre l'impulso in un tratto di fibra con assone integro.
- All'EMG non avremo attività elettrica spontanea (come fibrillazioni e fascicolazioni) perché il terminale
assonico, responsabile del trofismo delle fibre, è integro!
DIAGNOSI DI LABORATORIO
La diagnosi è generalmente ecografica e elettromiografica, ma gli esami di laboratorio sono utili per la
diagnosi eziologica:
• Esami di 1° livello:
o Emocromo con formula;
o Proteinemia;
o Immunoglobuline totali e frazionate: valutazione delle catene leggere kappa e lambda;
o Glicemia e Hb glicata: soprattutto nel bambino, spesso il DM1 insorge con neuropatia
(“sindrome delle mani e dei piedi che bruciano”);
o Batteria reumatologica e vascolare;
o Marcatori paraneoplastici: ricercati soprattutto negli anziani.
• Esami di 2° livello:
o Valutazione endocrinologica: ormoni tiroidei e anticorpi, GH e IgF1;
o Determinazione ematica dell’enzima ACE.
NEUROPATIE DISIMMUNI
Le neuropatie disimmuni sono condizioni patologiche caratterizzate da un interessamento delle fibre
nervose periferiche mediato da meccanismi autoimmunitari. Possono essere classificate come:
• Acute e subacute: le più comuni:
o Sindrome di Guillain Barrè;
o Polineuropatia in vasculiti.
• Croniche:
o Assonali:
▪ Polineuropatia con Ab anti sulfatide;
▪ Polineuropatia in vasculite.
o Demielinizzanti: poliradicoloneuropatia infiammatoria cronica demielinizzante (CIPD) e
varianti, mononeuropatia motoria multipla (MMN), neuropatia motoria multifocale
(estremamente rara), MGUSP, polineuropatia con Ab antisulfatide e altri Ab
antiglucoconiugati, POEMS.
Possono essere divise in 2 grandi gruppi: quelle associate ad una patologia sottostante autoimmune o
infettiva sistemica e quelle primitive quali la sindrome di Guillan-Barré e la CIPD.
SINDROME DI GUILLAIN-BARRÈ
La sindrome di Guillan-Barrè è una poliradiculoneurite autoimmune, caratterizzata da infiammazione e
demielinizzazione delle radici spinali e dei nervi lungo il loro decorso. Fu descritta da due sottotenenti
dell’esercito francese, Guillan e Barrè, che la descrissero durante la Prima guerra mondiale nei soldati in
trincea, mettendola in relazione con malnutrizione e stress e consigliandone la cura con bistecche e vino.
È la più comune neuropatia demielinizzante acuta (incidenza 3-4 casi/100.000), fatale nel 5% dei casi, spesso
dà disabilità invalidanti.
La causa scatenante è una cross-reattività tra gli Ag del Clostridium Jejeni (batterio frequentemente presente
nel tubo gastroenterico del pollo → maggiore incidenza nei Paesi Asiatici) e gli Ag della mielina.
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Sbobine 2.0
o Ipostenia progressiva (fino alla paralisi flaccida) e deficit di forza simmetrico, in assenza di
atrofia del muscolo.
Deficit motorio massimo raggiunto entro 4 (forma acuta) o 8 settimane (forma subacuta).
Esordisce a livello della muscolatura prossimale degli arti inferiori e nei casi gravi (assonali)
si estende rapidamente sia verso il basso (muscolatura distale, comportando tetraplegia
anche per 2 aa) che verso l’alto (muscoli respiratori e coinvolgimento dei nervi cranici);
o Ipo/areflessia osteotendinea;
• Di sospetto:
o Clinici:
▪ Disturbi sensitivi: distribuzione ascendente distale a calza o a guanto (parestesie,
disturbi della sensibilità profonda). Spesso precedono il quadro motorio.
▪ Disturbi dei nervi cranici (disfagia, disturbi dell’oculomozione, paralisi faciale);
▪ Disturbi autonomici (SNA del cuore: aritmie, principale causa di morte);
▪ Assenza di febbre all’esordio;
▪ Infezione antecedente: la sindrome segue spesso di 15-20 gg una sindrome
influenzale o interventi chirurgici maggiori;
o EMG: segni di polineuropatia prevalentemente demielinizzante.
• Di dubbio (mettono in dubbio la diagnosi!):
o Ipostenia asimmetrica: multiradiculopatia, in fase iniziale. Utile rachicentesi con
dissociazione albumino-gfhd: aumento albumina intretecale
o Disturbi sfinterici;
o Livello sensitivo: DD con mielite ascendente;
o Pleiocitosi liquorale;
o Ipostenia dei muscoli respiratori predominante all’esordio.
DIAGNOSI
Oltre ai due criteri indispensabili alla diagnosi, può essere d’aiuto fare:
- rachicentesi, che mostra nel liquor una dissociazione albumino-citologica: aumento delle proteine a
livello intratecale in presenza di una conta cellulare normale, non specifico ma suggestivo. A volte la
rachicentesi è negativa, in quanto il picco di produzione degli anticorpi è dopo 3 settimane: se fatta
prima, è negativa. Talora nel sangue sono evidenziabili anticorpi diretti contro vari gangliosidi.
- elettrofisiologia, dato che il danno è primitivamente mielinico:
(1) riduzione della velocità/blocchi di conduzione,
(2) prolungamento della latenza dell’onda F, a causa della radicolite
(3) assenza dei potenziali di denervazione all’EMG.
- Istologia, le radici nervose presentano processi infiammatori con infiltrati linfomonocitari.
EVOLUZIONE
Esaurita la fase acuta possono residuare disabilità (20%), ma la maggior parte dei pz recupera a pieno. Il
recupero inizia 2-4 settimane dopo lo stop della progressione. NB. È una malattia monobasica e le ricadute
sono molto rare, tanto che quando si realizzano si mette in dubbio la diagnosi di GBS.
Acute Inflammatory
Demyelinating
158
polyneuropathy —>
GBS classica
Sbobine 2.0
DIAGNOSI
- Rachicentesi: presenza di dissociazione albumino-citologica;
- EMG: simile a GBS, VdC rallentate, blocchi di conduzione, aumento delle latenze, risposte tardive;
- Biopsia del nervo: talora necessaria per confermare la diagnosi. Mostra infiammazione con infiltrato
cellulare di tipo cronico (T, macrofagi).
VARIANTI CLINICHE
o CIPD multifocale;
o Variante sensitiva demielinizzante;
o Altre: infantile, con diabete mellito, con Ig antitubulina, etc.
DIAGNOSI
La MMN presenta alcune caratteristiche elettrofisiologiche tipiche e patognomoniche, è opportuno ricorrervi
evitando la biopsia (complicanze e aspecifica).
• EMG: blocchi multifocali della conduzione motoria (segno di demielinizzazione delle fibre motorie),
con calo della conduzione di almeno il 30%, ma non sensitiva all’interno dello stesso nervo misto
grazie a selettività autoimmunitaria;
• Ecografia: ingrossamento a salsicciotto delle fibre nervose con fascicoli disomogenei (segno di danno
assonale) che non interessa le fibre sensitive.
NEUROPATIA GAMMOPATIA-CORRELATA
La gammopatia monoclonale è una condizione caratterizzata dalla proliferazione di un clone plasmacellulare
con secrezione di immunoglobuline, in particolare della componente monoclonale (proteina M) che consiste
di due catene polipeptidiche pesanti della stessa classe e sottoclasse e due catene polipeptidiche leggere
dello stesso tipo.
La MGUS (gammopatia monoclonale di significato indeterminato) è caratterizzata dalla presenza di proteina
M, senza evidenza amiloidosi, mieloma multiplo e macroglobulinemia. È diagnosticata sulla base della
concentrazione stabile di proteina M nel siero <3g/dL, la presenza di plasmacellule nel midollo osseo <5%,
l’assenza di lesioni osteolitiche, anemia, ipercalcemia e insufficienza renale.
La neuropatia MGUS-correlata è una poliradicolopatia sensitivo-motoria con inizio insidioso ed evoluzione
clinica progressiva in mesi o anni, con parestesie, atassia e dolore e senza coinvolgimento dei nervi cranici.
In una percentuale variabile di pz, la componente M evidenzia reattività verso la glicoproteina mielinica MAG,
per questo si associa frequentemente a neuropatia.
Neuropatia con IgM anti-MAG. La neuropatia legata ad IgM anti-MAG, componente della mielina, sono
progressive, con interessamento sensitivo o sensitivo-motorio prevalentemente simmetrico, distale agli arti
inferiori e decorso lentamente progressivo.
159
Sbobine 2.0
Diagnosi:
- Dimostrazione ematologica della componente M specifica per la MAG
- Indagini elettrofisiologiche: demielinizzazione prevalentemente distale delle fibre nervose
- Modesto aumento del contenuto proteico del liquor, in assenza di ipercellularità
insufficienz
ALTRE NEUROPATIE ACQUISITE a dei vasa
NEUROPATIA DIABETICA vasorum
La neuropatia diabetica è la complicanza più frequente del diabete mellito, seppur spesso sia trascurata.
Singolarmente ha la maggior frequenza nel mondo occidentale. L’eziologia non è certa, è forse vascolare o
legata al sorbitolo.
I fattori di rischio sono: l’iperglicemia poco controllata, la durata della malattia, il sesso maschile,
l’ipertensione arteriosa.
Eziopatogenesi
Ancora oggi è controversa; sono proposti due meccanismi che probabilmente coesistono:
1. Danno ischemico, con degenerazione Walleriana a valle, legato alla microangiopatia
diabetica. Questo meccanismo spiega meglio le forme che si manifestano come mono o multi-
neuropatia. via dei polioli
2. Sofferenza neuronale primitiva, con degenerazione retrograda, dovuta alla disregolazione del
metabolismo neuronale. Questo meccanismo spiega meglio le polineurpatie ad esordio distale
e progressione prossimale.
Clinica
In corso di diabete l'interessamento dei nervi periferici può essere molto variabile da un paziente
all'altro e nello stesso paziente. Si riconoscono in generale forme simmetriche e asimmetriche.
- Simmetriche ·
o Polineuropatia sensitiva
o Polineuropatia sensitivo-motoria distale: è la forma più comune. Esordisce con lievi
deficit sensitivi distali (parstesie, formicolii, disestesie notturne, iporeattività achillea).
Il quadro progredisce lentamente: il deficit sensitivo si esacerba e va a coinvolgere tutti
i tipi di sensibilità, favorendo la comparsa di processi distrofici cutanei (piede diabetico).
Nelle forme più gravi si arriva ad atassia sensitiva per deficit propriocettivo (pseudo
tabe diabetica). Deficit motori lievi.
o Neuropatia vegetativa: il diabete è la causa più frequente di neuropatia autonomica.
Si manifesta con disturbi pupillari, GI, cardio-circolatori, urogenitali, anidrosi.
- Asimmetriche
o Mono-neuropatie: coinvolgimento acuto di un singolo nervo lungo il suo decorso
periferico. Quelli più frequentemente coinvolti sono oculomotore, abducente,
ischiatico e peroneo profondo.
o Multi-neuropatie: coinvolge arti, del tronco, craniali. C’è interessamento motorio e
sensitivo, che si manifesta con dolore.
160
Sbobine 2.0
La neuropatia da piombo era tipica dei tipografi, ora poco osservata. Essendo dovuta al maneggiamento di
tasselli di piombo, si manifestava tipicamente con:
- paralisi del nervo radiale (mano che fa le corna, quindi è una neuropatia prevalentemente motoria),
- anemia (il Pb blocca la sintesi dell’eme),
- disturbi addominali (coliche addominali),
- stomatite con orletto gengivale nerastro.
Il piombo ha azione diretta tossica e indiretta tramite meccanismo vascolare sul neurone.
La diagnosi si pone con anamnesi (esposizione al Pb) e evidenziando Pb nel sangue, urine e liquor.
NEUROPATIE RARE
• Disendocrine: dovute a distiroidismo e ipotiroidismo, oggi rare per i progressi farmacologici;
• Uremica: complicanza dell’insufficienza renale cronica avanzata, sempre più rara grazie alla dialisi. Il
danno assonale è una conseguenza della sofferenza primitiva dell’assone stesso (meccanismo di
danno della degenerazione retrograda). All’inizio i disturbi sono prevalentemente positivi e distali:
disestesie, dolore urente, paestesie notturne e la tipica restless leg syndrome. Successivamente
quadro misto sensitivo-motorio.
NEUROPATIE CARENZIALI
I principali elementi che possono essere responsabili di neuropatica carenziale sono:
subacute • Vitamina B12: il deficit di B12 provoca danno assonale, che si estrinseca in una neuropatia sensitiva
combine distale e simmetrica. Tuttavia, è raro che ildeficit determini un interessamento isolato dei nervi
d periferici, ma coinvolge anche il SNC (vedi midollo). Proprio per questo è tipico trovare reperti clinici
degenera che indicano sia una lesione dei fasci midollari (Babinsky+), sia delle vie periferiche (areflessia
tion achillea).
• Vitamina Bl (tiamina): la maggior parte delle neuropatie degli ubriaconi è dovuta deficit di tiamina.
Si tratta di una polineuropatia sensitivo motoria distali agli arti inferiori.
• Vitamina B6: un suo deficit si realizza in terapia con isoniazide. Si manfiesta sia con disturbi centrali
(psicosi) e periferici (polineuropatia sensitiva distale con parestesie e disestesie).
NEUROPATIE GENETICHE
• Predisposizione ereditaria alla paralisi da compressione;
• Malattia di Charcot-Marie-Tooth;
• Polineuropatia amiloide ereditaria;
• Malattia di Fabry;
• Malattia di Refsum;
• Abetalipoproteinemia;
• Atassia di Friederich;
• Leucodistrofia metacromatica;
• Neuropatia assonale gigante;
• Atassia-teleangectasia.
SINDROME DI CHARCOT-MARIE-TOOTH (o neuropatia sensitivo-motoria ereditaria)
La sindrome di Charcot-Marie-Tooth è una sindrome autosomica dominante a carico del SNP distinguibile in
varie forme diverse per gene mutato e sintomatologia:
• Forme demielinizzanti:
o CMT1: causa una neuropatia ereditaria con predisposizione alla paralisi da compressione nel
giovane e nell’adolescente. Può essere distinta in CMT1A (da difetto genetico sul cromosoma
17), CMT1B, CMT1C, HNPP;
o Dejerine-Sottas: forme gravi ad esordi precoce (nei primi anni di vita, di interesse
neuropediatrico). Con velocità di conduzione di pochi m7s, i nervi hanno un aspetto a cipolla
161
Sbobine 2.0
In generale, la CMT è una malattia progressiva che può portare ad esiti completamente differenti: da
insignificanti variazioni nelle capacità motorie all’atrofizzazione degli arti (che arrivano ad avere una forma
assottigliata) con una serie di effetti collaterali, da difficoltà di deambulazione e dolori muscolari fino alla
necessità di sedia a rotelle permanente.
La forma più diffusa è la forma JA, dovuta a mutazione puntiforme del gene PMP22. In questa forma il danno
è prevalentemente mielinico, con velocità di conduzione (motoria e sensitiva) rallentata. Esistono anche
forme legate a mutazioni della transtiretina.
CLINICA
- perdita di tono muscolare e sensibilità al tatto, soprattutto agli arti inferiori al di sotto del ginocchio:
il pz ha tipicamente gambe a collo di bottiglia di champagne rovesciato (molto sottili dal terzo distale
della coscia) e piede cavo con dita a martello (le dita a martello devono sempre far pensare a
neuropatie congenite, in quanto è necessario un lungo tempo perché le dita si deformino) per atrofia
della muscolatura intrinseca. LMN-type motor symptoms
- meno frequentemente e negli stadi più avanzati gli effetti si notano anche negli arti superiori (sotto
al gomito).
TTR-related-amyloidosis
POLINEUROPATIA AMILOIDE EREDITARIA
La polineuropatia amiloidosica familiare è una neuropatia sensitivo-motoria con interessamento del
sistema nervoso autonomo, che porta a gravi aritmie con rischio di morte cardiaca.
Si associa a cachessia e notevole perdita di peso. Ha elevata incidenza in Portogallo, Svezia e Giappone.
La terapia risolutiva è il trapianto di fegato.
ECOGRAFIA
Oggigiorno la diagnosi di neuropatia si fa con l’ecografia, che mostra l’architettura fascicolare, le sezioni
trasversali (aspetto ad alveare) e longitudinali.
Nella sindrome di Charcot-Marie-Tooth si evidenzia un’irregolarità del decorso, con ispessimenti e
restringimenti.Nelle forme acute si possono vedere le radici edematose, ingrandite e ispessite.
Nelle forme croniche si possono vedere deformazioni come neurofibromi.
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Sbobine 2.0
NEUROPATIE TRAUMATICHE
• Da compressione-intrappolamento: prototipo della compressione è l’ernia, dell’intrappolamento è
la S. del tunnel carpale.
o Plesso brachiale: sindrome di Pancoast-Ciuffini;
o Mediano al tunnel carpale;
o Ulanre al gomito;
o Sciatico-popliteo esterno al capitello della fibula;
o Tibiale posteriore al tunnel tarsale.
• Da lesione traumatica acuta: taglio (prototipo lesione di un n periferico durante un intervento
chirurgico, forma iatrogena) o strappamento (prototipo, strappamento del plesso brachiale in un
incidente).
A seconda del punto anatomico in cui si realizza il trauma, si distinguono:
- Patologie radicolari (sono interessate le radici),
- Patologie plessiche (lesioni del plesso),
- Patologie dei nervi lungo il loro decorso (mononeuropatie).
163
Sbobine 2.0
PATOLOGIE PLESSICHE
La peculiarità di queste situazioni è la presenza di una sintomatologia mista, motoria e sensitiva, che non corrisponde
ne al territorio di uno specifico nervo, ne di una singola radice. Facciamo riferimento al plesso brachiale, che è quello
più frequentemente coinvolto.
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Sbobine 2.0
Eziologia
Le cause di compressione sono riconducibili ad alterazioni dei tessuti duri (megapofisi trasversa di C7, costa
soprannumeraria), dei tessuti molli (muscoli scaleni) o a esiti traumatici. Le 3 causa prevalenti per frequenza:
• Pinza scalenica, per anomalie di inserzione dello scaleno
• Compressione tra prima costa e clavicola
• Sindrome da iperabduzione o del piccolo pettorale
Sintomatologia
La sintomatologia è accentuata da portare un peso, manovra che avvicina clavicola a prima costa comprimendo
ilfascio vascolo-nervoso.
I sintomi compariranno in due fasi:
• Fase iniziale: dolore alla spalla, che si associa a sintomi di tipo neurologico (parestesie di braccio e
mano, specie nel territorio del nervo ulnare, debolezza muscolare) e vascolare (cianosi, comparsa di
fenomeno di Raynaud che avrà la caratteristica di essere monolaterale).
• Fase avanzata: atrofia e paresi dei piccoli muscoli della mano.
Diagnosi
- Manovre semeiologiche: Manovra di Adson (mettere in tensione i muscoli scaleni) e manovra costo clavicolare
(diminuzione dello spazio costo clavicolare spingendo le spalle in basso e indietro).
- la diagnosi di certezza si ottiene con EMG (per la compressione nervosa) e eco-color-doppler (per la
compressione vascolare).
c) Atrofia dei muscoli dell'eminenza tenar, che può apparire infossata. L'opposizione del pollice è
totalmente compromessa e questo appare affiancato alle altre dita (mano di scimmia).
Manovre semeiologiche
• Segno di Tinel: la pressione sul nervo mediano (con dito o martelletto) provoca dolore a "scossa elettrica"
nel territorio di distribuzione sensitiva.
165
Sbobine 2.0
• Segno di Phalen: si invita il paziente a mantenere per 1 minuto la postura che si vede nella figura, con i dorsi
delle mani affrontati, avambraccia orizzontali e gomiti flessi. Il test è positivo se compaiono parestesie a
livello delle prime tre dita della mano.
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Sbobine 2.0
ATASSIA
L’atassia è un disturbo caratterizzato da progressiva incoordinazione muscolare (con perdita di alcuni
movimenti volontari), disturbi dell’equilibrio e della marcia, ipotonia muscolare e affaticabilità. Il classico
soggetto atassico è l’ubriaco.
CLASSIFICAZIONE
In base alla regione anatomica colpita
• Sensitive (tabetica): da lesione dei nervi sensitivi e delle vie sensitive spinali (cordoni posteropri), con
difficoltà nell’identificare l’esatta posizione di un segmento corporeo nello spazio;
• Cerebellari (primaria): da lesioni delle strutture vermiane (atassia del tronco) -emisferiche (atassia
arti omo laterali). Cause: neoplastiche, traumatiche, vascolari, infiammatorie, infettive;
• Vestibolari (labirintica) da lesioni complesse del vestibolo-cerebellare; lesione del cosiddetto
“tratto di Arnold”
• Frontali (cerebrale): da lesioni delle vie fronto-ponto-cerebellari. (Broadmann 10—> ponte
In base alla presentazione clinica e andamento —>cervelletto
• Acuta: Da alcol; Vascolare (infarto delle arterie cerebellari); Da farmaci: carbamazepina, fenitoina.
• Subacuta: Neoplastica; Paraneoplastica (atrofia cerebellare); Carenziale (vitamina E, B1, B12 e folati);
Infiammatoria-autoimmune (celiaca, da prioni).
• Cronica.
In base alla causa
• Centrali: infarto cerebellare, tossicità da alcol e droghe, tumori cerebrali, traumi SNC, ipertensione,
iponatriemia, encefalite epatica, SM.
• Periferiche: labirintiti acute, patologie vestibolari periferiche, vertigine posizionale benigna, S. di
Meniere, traumi labirintici, disturbi cervicali.
• Altre: iperventilazione, psicogena.
In base al piano funzionale di estrinsecazione
• Atassia statica: compare nel mantenimento di una certa postura, caratterizzata da: (1) incapacità di
mantenere la corretta posizione, (2) continue oscillazioni ampie e poli direzionali attorno all’asse di
equilibrio.
• Atassia dinamica: compare nell’esecuzione di un movimento volontario con alterazioni della fluidità
e armonicità del movimento ed esprime l’incapacità di produrre una contrazione efficace e misurata
dei muscoli implicati in base alla meta da raggiungere.
SINDROMI CEREBELLARI
• Sindrome flocculo-nodulare: atassia statica e dinamica in assenza di dismetria degli arti, nistagmo.
Può essere dovuta tipicamente a tumori della linea mediana e medulloblastoma;
167
Sbobine 2.0
• Sindrome del lobo anteriore: atassia dinamica. Si manifesta con marcia barcollante con base
allargata, tipica dell’alcolista, e arti lievemente rigidi (esagerazione del riflesso di sostegno positivo.
Può essere dovuta tipicamente ad atrofia cerebellare tardiva a predominanza corticale;
• Sindrome del lobo posteriore: ipotonia (ballottamento, pendolarità dei riflessi), dismetria, asinergia,
adiadococinesia, atassia statica, ipostenia, disartria (parola scandita), tremore cinetico (evidenziata
facendo strisciare il tallone sulla cresta tibiale o toccare la punta della mano con il dito a occhi chiusi).
Può essere dovuta tipicamente a lesioni tumorali e vascolari e all’atrofia olivopontocerebellare di
Dejerine-Thomas.
Compare in diverse patologie
ATASSIE SUBACUTE neurodegenerative, la principale la MSA
ENCEFALOPATIA DI WERNICKE
L’encefalopatia di Wernicke è una encefalopatia secondaria alla carenza di tiamina (B1) e al conseguente
rallentamento delle reazioni enzimatiche implicate nel metabolismo di carboidrati e amminoacidi. La causa
più frequente è l’alcolismo cronico, seguita da epatopatie, malnutrizione e trapianti.
Istologicamente si apprezza rarefazione neuronale con proliferazione gliale e microemorragie. Malnutrizione,
tipicamente
La triade clinica comprende:
secondaria ad
• Atassia assiale da atrofia vermiana; alcolismo cronico
• Compromissione oscillante della coscienza con confabulazioni; Korsakoff
• Deficit dell’oculomozione estrinseca per paralisi del 3° e 4° nc.
Alla RM si apprezza l’atrofia dei corpi mammilari. >tossicità diretta da alcol
Il trattamento prevede la somministrazione di alte dosi di tiamina ev. +- vitamine B1-deficiency
> si associa a
polineuropatia tossica
DEGENERAZIONE CEREBELLARE ALCOLICA
La degenerazione cerebellare alcolica è una sindrome caratterizzata da atassia cerebellare,
prevalentemente verminiana, associata a polineuropatia. È assente una correlazione tra la quantità di alcol
assunta o la durata dell’alcolismo e la comparsa di degenerazione.
Ha beneficio dalla sospensione dell’abuso alcolico e dal trattamento vitaminico con B1.
EREDO-ATASSIE
• Non progressive: con ipoplasia congenita del verme e del tronco spinale e delle strutture ponto-
cerebellari. Si manifestano con atassia, ritardo mentale e segni piramidali (spasticità);
• Progressive:
o Autosomiche recessive:
▪ Malattia di Friedreich;
▪ Atassia teleangectasica o sindrome di Louis-Bar;
o X-linked:
▪ Sindrome dell’X-fragile.
o Autosomiche dominanti:
▪ Atassia cerebellare autosomica dominante (ADCA).
MALATTIA DI FRIEDREICH
Atassia spinocerebellare autosomica recessiva. È la forma più frequente di atassia ereditaria, presente in
popolazioni caucasiche con piccole variazioni di prevalenza, assente in Cina, Giappone Africa sub-sahariana.
168
Sbobine 2.0
Ha una bassa prevalenza, in diminuzione per lo sviluppo di apposite metodiche di screening prenatale che
portano la maggior parte delle donne ad abortire.
Anatomia patologica: atrofia delle cellule a T dei gangli spinali, atrofia-degenerazione dei cordoni posteriori
e degenerazione del tratto spino-cerebellare dorsale e ventrale. Il processo degenerativo colpisce solo il
midollo (degenerazione assonale e demielinizzazione).
Mutazione: si localizza sul gene FRDA, codificante per la fratassina, nel cromosoma 9, per espansione della
tripletta GAA; atassia mista
Quadro clinico: sensitivo-
o Esordio a meno di 25 aa; cerebellare tratto cortico-spinale
169
Sbobine 2.0
170
Sbobine 2.0
o Sindrome di Gillespsie;
o Sindrome di Paine.
• Disordini atassici dismetabolici:
o Sindromi atassiche intermittenti:
▪ Con iperammonemia;
▪ Con aminoaciduria senza iperammonemia;
▪ Con disordini del metabolismo del piruvato e del lattato.
o Sindromi atassiche progressive:
▪ Abetalipoproteinemia;
▪ Ipobetalipoproteinemia;
▪ Deficit di esosaminidasi;
▪ Miopatie mitocondriali.
o Atassie associate a difetti di riparazione del DNA:
▪ Atassia teleangectasica di Louis-Barr;
▪ Xeroderma Pigmentosum;
▪ Sindrome di Cockayne.
• Disordini atassici ad eziologia ereditaria:
o Atassie degenerative ad esordio precoce:
▪ Atassia di Friederich;
▪ Atassia cerebellare precoce con riflessi osteotendinei conservati (EOCA);
▪ Atassia cerebellare con ipogonadismo;
▪ Atassia mioclonica progressiva o sindrome di Ramsay-Hunt o mioclono baltico;
▪ Altre.
o
Atassie degenerative a esordio tardivo:
▪ ADCA tipo 1; tipo 2, tipo 3.
o Atassie episodiche o parossistiche (AD): Improvvisi episodi di atassia ad esordio variabile
dalle 1 alla 5 decade accentuati da stress fisici e psichici. Sono descritti due maggiori sotto-
tipi clinico-genetici di questa rara condizione:
▪ EAJ/miochimia: brevi attacchi di atassia e disartria, della durata di pochi minuti,
trasmissione AR; = atassia
di F; atassia-teleangectasia associati a miochimie, scatenate in genere da cambiamenti di posizione repentini.
Ingenere gli episodi si manifestano più volte nell'arco della giornata. L'affezione è
legata ad una mutazione che coinvolge i canali del K neuronali.
▪ EA2/nistagmo: gli attacchi durano più a lungo, in genere ore o anche giorni. Sono
provocati dallo stress, dall'esercizio fisico, dall'alcol e in genere non si manifestano
più di una volta al giorno. Al contrario della EAl, la sindrome cerebellare può
progredire con atassia ingravescente e disartria. L'affezione è legata ad una
mutazione che coinvolge i canali del calcio.
L'acetazolamide sembrerebbe in grado di controllare gli attacchi di tali atassie e la
fenitoina di migliorare le miochimie dei muscoli del volto e della mano associate alla
EAI.
171
Sbobine 2.0
172
Sbobine 2.0
MIASTENIA GRAVIS
È una malattia autoimmune caratterizzata dalla presenza degli anticorpi anti-recettore dell’Ach, è quindi una
patologia di tipo post-sinaptico. Essendo bersagliati, i recettori saranno ridotti in numero, quindi il muscolo
riesce ad essere stimolato sempre meno, la contrazione è più debole e si arriva fino alla mancata contrazione
in seguito ad un’attività ripetuta e tende a recuperare dopo un periodo di riposo.
Ogni volta che avviene una nuova contrazione, si attiva un numero sempre minore di fibre muscolari. Si parla
quindi di faticabilità, concetto diverso dalla fatica. Tutti possiamo provare fatica nel momento in cui veniamo
sottoposti a sforzo, ma in caso di faticabilità il senso di fatica si ha entro tempi brevissimi e per sforzi davvero
minimi.
Come già detto, è una malattia autoimmune e nella sua patogenesi, quindi la formazione degli anticorpi,
gioca un ruolo centrale il timo (dove sono prodotti gli auto-ab). Nel 90% dei cas di miastenia il timo è alterato
da un’iperplasia o da un timoma (in questi pz esistono popolazioni linfocitarie eccessivamente sensibilizzate
e poi c’è uno shift della risposta immune). Questi anticorpi si legano al recettore colinergico e portano alla
lisi. Un tempo era una malattia molto grave, non trattabile e controllabile (da qui il nome miastenia gravis),
ma una volta che è stato compreso il meccanismo di danno ed è iniziato l’uso degli immunosoppressori, la
maggior parte dei pazienti può ad oggi svolgere una vita quotidiana praticamente normale. Per questo
—>fissazione del complemento
motivo si preferisce chiamarla semplicemente “miastenia autoimmune”. 90%—> anticorpi anti-AchR depaupermento AAchR;
5%—> anticorpi anti-Musk —> difettosa aggregazione AchR sulla
membrana post-sinaptica
È abbastanza rara, colpisce 1:10 000 con preferenza per le donne, soprattutto giovani (20 aa); la distribuzione
della sua incidenza è detta “a corna” (bimodale) e quindi troviamo un altro picco alla V-VI decade, riguardante
però soprattutto gli uomini (vanno più facilmente incontro a tumori del timo). I muscoli più colpiti possono
appartenere a diversi distretti: oculari estrinseci nella forma oculare (diplopia e ptosi palpebrale), muscoli
della testa, della masticazione e della deglutizione (disfagia); ci sono poi anche le forme sistemiche
generalizzate. Queste ultime sono quelle che più frequentemente possono peggiorare improvvisamente, in
un quadro detto “crisi miastenica” (crisi respiratorie) che si verifica spesso a seguito della presenza di alcuni
fattori trigger come l’assunzione di farmaci (es. alcuni antibiotici, miorilassanti, benzodiazepine, ansiolitici) o
173
Sbobine 2.0
una banale influenza. La crisi può essere potenzialmente letale, ma solitamente una volta fatta la diagnosi si
mantiene la patologia ben controllata con il trattamento senza troppe difficoltà.
Esiste anche una forma neonatale dovuta al passaggio di IgG attraverso la placenta materna, ma è una forma
transitoria che si risolve nel giro di 15-20 giorni.
difetto congenito di placca neuromuscolare
Vi è poi anche una forma congenita che sviluppano alcuni bambini, la quale presenza le stesse caratteristiche
di quella degli adulti, ma fortunatamente è molto rara (è difficile da diagnosticare).
Sono da ricordare anche le sindromi miasteniche iatrogene, legate all’assunzione di farmaci che peggiorano
trasmissione dello stimolo nervoso a livello della placca (es miastenia da penicillamina). Verapamil amminoglicosidi
EZIOPATOGENESI
Gli autoanticorpi rivolti contro il recettore colinergico nicotinico, legandosi ai recettori danno luogo a due
fenomeni:
- Ne alterano la conformazione sterica determinando l’internalizzazione tramite pinocitosi. All’interno
della cellula muscolare i recettori vanno incontro a digestione lisosomiale: il risultato è che sulla
cellula muscolare si hanno meno recettori nicotinici.
- Fissano il complemento conseguente lisi delle membrane post sinaptiche muscolari. vero e proprio danno di membrana
CLINICA
È caratterizzata da debolezza muscolare che aumenta durante l’attività fisica e
migliora dopo un periodo di riposo. Essendo i muscoli della faccia e delle palpebre
tra i più colpiti, i pazienti presentano un’espressione tipica, la cosiddetta facies
miastenica: ptosi palpebrale con corrugazione della fronte per compensare,
tentativo di tenere la testa alta durante la camminata.
174
Sbobine 2.0
La sintomatologia solitamente si presenta verso sera, la diplopia può essere scostante (solo in alcuni giorni e
confonde le decisioni riguardo al percorso diagnostico). Oltre al coinvolgimento dei muscoli oculari
(miastenia oculare, localizzata), ci può essere coinvolgimento di altri distretti (miastenia generalizzata):
- Muscoli del tronco e degli arti: instabilità della stazione eretta, debolezza nelle braccia, nelle mani,
nelle dita, nelle gambe e nel collo,
- Muscoli bulbari (innervazione bulbare): disturbi della deglutizione, fonazione (voce nasale o rinolalia,
quasi incomprensibile) e respirazione (fiato corto). Le difficoltà nella deglutizione e la disfagia
possono esitare in polmonite ab ingestis o megaesofago acquisito.
- Muscoli masticatori.
L’andamento della malattia è progressivo, man mano che passa il tempo la sintomatologia sarà sempre più
accentuata (affaticabilità sempre più precoce e tempi di recupero sempre più lunghi).
Nella miastenia ¼ dei pazienti presenta timoma (benigno o maligno), condizione che predispone fortemente
all’insorgenza di questa malattia autoimmune. Inoltre, buona parte dei pazienti presenta miglioramenti nel
controllo di malattia dopo la resezione del tumore/la rimozione del timo. Per verificare la presenza di queste
anomalie è necessario eseguire una TC con mdc (RMN può andare bene, ma si usa meno); è importante usare
il mdc per individuare eventuali sedi ectopiche di timo in quanto tutto il tessuto presente nell’organismo
deve essere tolto. In caso contrario non si potrà avere nessun miglioramento dal punto di vista
autoimmunitario perché resta una sorta di “serbatoio di malattia”. Le meta-analisi sono tutte concordanti
sulla necessità di rimuovere il timoma, ma non hanno ancora dato risultati chiari riguardo all’iperplasia timica.
È anche da considerare il fatto che, soprattutto fino a qualche anno fa, l’intervento era molto invasivo e
necessitava di una sternotomia mediana; oggi fortunatamente le tecniche chirurgiche sono migliorate e sono
disponibili approcci mini-invasivi, come la chirurgia robotica o l’accesso dalla base del collo.
DIAGNOSI
Può essere complessa perché i sintomi possono essere subdoli o difficili da distinguere da altre situazioni
para-fisiologiche o da disturbi neurologici.
- Anamnesi e EO: sensibili e specifici. Devo analizzare bene la faticabilità durante l’anamnesi (quando
compare, quando peggiora) e indagare la scomparsa/inibizione del riflesso patellare durante l’EO
(oppure si chiede al pz di stringere i pugni ripetutamente, il pz perderà forza che all’inizio è normale).
- Test con anticolinesterasici: specifico. Test all’edrofonio cloruro (Tensilon): è un test farmacologico
con anti-colinesterasi. In Italia non più in commercio. Richiede la somministrazione ev prima di 2 mg
e successivamente, in assenza di effetti avversi, di 10 mg. Rallenta l’idrolisi dell’Ach da parte delle
colinesterasi e quindi ne aumenta temporaneamente i livelli nella giunzione. Si vede
immediatamente l’apertura dell’occhio se è presente ptosi. Questo test va eseguito in presenza di
un anestesista perché vi è rischio di arresto cardiaco.
- Ricerca di anticorpi: specifico. Sono esami ematici con cui escludo altre malattie e ricerco gli
anticorpi. Ricerco quelli anti-recettore nicotinico e anti-MuSK (anti-Musk presenti nel 70% dei casi,
anti-AchR presenti nel 90% dei casi nella forma generalizzata, 50% nella localizzata). Se ricerco quelli
anti-
VGCC
anti-canale del calcio posso fare anche DD con la sindrome miasteniforme di Lambert Eaton.
- Test di stimolazione ripetitiva: specifico. Elettromiografia singola fibra (SF-EMG), il più noto e
sensibile. Valuta la variazione di intervallo di tempo (Jitter) tra due scariche elettriche muscolari
consecutive: è il tempo necessario per raggiungere nuovamente la soglia necessaria a generare un
altro potenziale d’azione. Se l’unità motoria è integra, l’intervallo di tempo è costante; se è
aumentato allora ho un problema della giunzione neuromuscolare. Si usa il test di Desmedt
(stimolazione ripetitiva a bassa frequenza del nervo evidenzia esauribilità della risposta muscolare
con decremento di ampiezza del PdA).
- Test di ischemia: sensibile, ma poco specifico. Si può fare all’arto superiore con l’ausilio di un
manicotto; c’è rischio di riscontrare tanti FP.
anti-AchR+—> 90%
anti-Musk+—> 5%
doppio sirnegativo—>
rarissimo
doppio-sieropositivo—>
raro
175
Sbobine 2.0
- Esami radiologici: per visualizzare il tessuto timico e sue eventuali alterazioni. Il più indicato è la TC
torace con mdc. Si può eventualmente procedere alla biopsia prima della vera e propria chirurgia.
Risulta utile anche per orientarsi anche verso una diagnosi alternativa, quale la sindrome di Lambert
Eaton, spesso associata ad un carcinoma polmonare a piccole cellule.
TERAPIA
Come norme generali, bisogna evitare l’assunzione di farmaci che possono provocare debolezza miastenica
o aumentarla, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di una controindicazione relativa. È importante
rassicurare il paziente, fargli capire che è una condizione gestibile seguendo le istruzioni mediche e avvertirlo
sulle possibili situazioni aggravanti (es. periodo premestruale o post-gravidanza; le donne possono avere
figli).
Con una buona terapia, la maggior parte dei pazienti va in remissione e svolge una vita normale (es. pz
mantiene stabilità per decenni, in età avanzata potrà sviluppare cedimenti vertebrali a causa degli steroidi,
ma la sua situazione non è esageratamente più aggravata rispetto ad un soggetto della stessa età). La
176
Sbobine 2.0
remissione, oltre che farmacologica, può anche essere completa e il paziente può addirittura sospendere i
farmaci.
Farmaci controindicati:
- Da evitare: D-Penicillamina (miastenia da penicillamina), clorochina, alfa-interferone, tossina
botulinica
- Alcuni farmaci potenzialmente pericolosi: aminoglicosidici, tobramicina, streptomicina, tetracicline,
ciprofloxacina, clindamicina, penicilline (ci sono delle liste consultabili online in cui sono indicati gli
antibiotici che si possono prendere), beta-bloccanti, antiepilettici, neurolettici, benzodiazepine,
vecuronio e succinilcolina (devo programmare diversamente l’anestesia), lidocaina e procaina ev.
Il trattamento chirurgico di timectomia migliora notevolmente l’evoluzione della malattia quindi viene
indicata non solo in caso di timoma, ma in generale nei pazienti tra l’età adolescente e i 60 anni. Viene
programmata dopo aver raggiunto una buona stabilizzazione clinica con la farmacoterapia, in genere entro
6-12 mesi dall’esordio della malattia.
La crisi miastenica va trattata come un’urgenza con ricovero e terapia intensiva, respirazione assistita con
intubazione.
La terapia si basa sulla patogenesi: deve ridurre il livello anticorpale e interferire con la funzione dei canali.
Essendo una malattia paraneoplastica, il trattamento oncologico ne permette il miglioramento. L’esordio
spesso precede la diagnosi di tumore e la sua diagnosi è importante non solo per trattarla adeguatamente,
ma anche per fare diagnosi precoce di tumore.
CLINICA
Il pz presenta astenia muscolare simile a quella miastenica, ma più spesso sono colpiti i muscoli degli arti e
non quelli del volto; inoltre in questo caso l’astenia migliora con l’esercizio (reperto che sarà visibile anche
all’EMG). A questo si associa ipo-areflessia tendinea e una sindrome disautonomica (50% casi) da deficit del
SNA: xerostomia, impotenza, ipo-anidrosi, ipotensione ortostatica, alterata reattività pupillare.
DIAGNOSI
Si basa sull’associazione di:
- Segni clinici
- Reperti EMG
- Anticorpi anti-P/Q VGCC (voltaggio dipendenti)
177
Sbobine 2.0
Diagnosi elettrofisiologica
- Confermata dal riscontro della classica triade all’EMG:
o CMAP poco ampi a riposo. La risposta motoria dopo una singola stimolazione del nervo è
ridotta rispetto al normale.
o La SNR (stimolazione nervosa ripetitiva) a bassa frequenza fa diminuire l’ampiezza dei
CMAP (risposta muscolare inferiore al basale). Non discrimina MG e LEMS.
o CMAP aumentano con SNR ad alta frequenza (20-50 Hz) o subito dopo 10’’ di contrazione
volontaria massimale (fenomeno della facilitazione post-attivazione). Questo non succede
>Se si documenta un
aumento
nella MG perché il muscolo va incontro rapidamente ad affaticamento.
dell’ampiezza della
CMAP >=100%
Tali reperti sono meglio evidenziabili a livello dei muscoli distali.
all’EMG con
contrazione ad alta
La facilitazione > 100% è diagnostica di LEMS (molto specifica), se abbasso la soglia al 60% ho
frequenza, allora può maggiore sensibilità ma si riduce un pochino la specificità. Nella MG è < 50%.
farsi diagnosi
> ciò avviene nel 40% - Alla SF-EMG si evidenzia una riduzione del jitter e dei blocchi man mano che aumento la frequenza
dei casi
di stimolazione.
TERAPIA
È diversa da quella della MG, data la diversa patogenesi. In ogni caso, solitamente la prognosi e la
sopravvivenza sono legate all’andamento della neoplasia.
Terapia sintomatica:
- 3, 4-diaminopiridina (3,4-DAP), inibisce il canale V-dipendente del potassio, potenzia il VGCC
agendo sulla subunità beta. È efficace e ben tollerata, è anche la più usata.
- Piridostigmina: talvolta associata alla DAP, ma beneficio non confermato da studi clinici
- GV-58 (analogo della Roscovitina), agonista dei VGCC di tipo P/Q/N. Prolunga il tempo di apertura
del canale.
La terapia immunosoppressiva è indicata nei pazienti con sintomi invalidanti. Si possono usare:
- Steroidi: prednisone. In pz non compensati dalla DAP
- Immunosoppressori come azatioprina, ciclosporina A, micofenolato, rituximab. Quando la risposta
non soddisfa o le dosi di steroidi sono tanto alte.
- posso usare steroidi e prednisone, oppire azatioprina, ciclosporina A, micofenolato, rituximab.
- Plasmaferesi e IVIG in associazione a terapia farmacologica, per sintomi gravi e per fasi acute.
TEST ELETTROFISIOLOGICI
Diverse metodiche:
- Stimolazione ripetitiva a bassa frequenza (3-5 Hz), per diagnosi di affezioni post-sinaptiche
- Stimolazione ripetitiva ad alta frequenza (10-50 Hz), per quelle pre-sinaptiche
- Test di stimolazione ripetitiva durante ischemia
- SF (singola fibra)-EMG con attivazione volontaria
- SF EMG con stimolazione elettrica
L’elettromiografia era più utilizzata in passato: nel soggetto miastenico ho
poca attività di placca basale (fisiologica nel soggetto normale per
liberazione casuale e costante di piccole quantità di Ach), mentre nella LEMS
non ho differenze significative rispetto al soggetto normale. Nella MG,
registrando il singolo potenziale (leggere contrazione volontaria) si hanno
l’oscillazione e l’ampiezza incostante.
178
Sbobine 2.0
Molto utilizzata per la MG è quella del muscolo anconeo, ma è da tener presente che non sempre nella MG
questo è il distretto più sensibile per la diagnosi: ricordarsi infatti delle forme che interessano principalmente
i muscoli della faccia (muscoli nasale e orbicolare dell’occhio). Nel Lambert il reperto si osserva in tutti i
muscoli.
Esempio:
stimolazione ripetuta ad alta frequenza aumenta l’intensità dei cMAP progressivamente (risposta
incrementale, facilitazione), si verifica anche dopo un breve sforzo volontario (detta sindrome
miastenica e non miastenia, è presinaptica).
Le anomalie ripetute alla stimolazione sono segno di debolezza localizzata nella giunzione neuro-muscolare;
sono indagini importanti da fare quando si riscontrano auto-anticorpi.
Per sensibilizzare il test nella diagnosi posso chiedere al pz di fare una contrazione volontaria massimale
mantenuta per 10-30’’ prima della stimolazione; nella MG sono più sensibili i distretti prossimali (tener conto
della clinica per indagare il distretto maggiormente affetto dalla patologia, è una malattia a “macchia di
leopardo”).
MG: in genere anconeo, ma massima sensibilità a livello dei muscoli stenici
Reperti nella MG: ELS: riscontri pressoché ubiquitari
- CMAP normale
- Decremento della risposta dopo un treno di stimoli a 3 Hz
- Decremento accentuato o comparsa di decremento al 2°-4° minuto dopo 20 secondi di sforzo
volontario (esaurimento post-esercizio).
Durante questo test si può evidenziare la dipendenza dalla temperatura: con il freddo la risposta
elettrofisiologica si attenua meno.
179
Sbobine 2.0
sensibile per l’individuazione di alterazione della trasmissione neuromuscolare, come quelle della MG o
LEMS.
nelle unità motorie integre questo tempo presenta una minima variabilità. Se ho alterazioni anche di lieve
entità della trasmissione neuromuscolare, si ha maggiore variabilità nei tempi impiegati dai potenziali di
placca a raggiungere la soglia per originare il PdA: la manifestazione è l’aumento del Jitter, come nella MG,
a causa di un incostante rilascio di Ach dalle singole fibre(molto sensibile, riesco a vedere anche le variazioni
nel tempo della conduzione dell’impulso dalla terminazione alla membrana post-sinaptica). Nei casi più gravi
la trasmissione neuromuscolare peggiora ad un punto tale che il potenziale di placca non riesce a raggiungere
la soglia e si verifica il fenomeno del blocco (il secondo potenziale non compare). Il “blocco” è il correlato
neurofisiologico della faticabilità muscolare, è dovuto ala mancanza di una quantità sufficiente di Ach.
L’aumento del jitter e il numero dei blocchi sono direttamente correlati con l’entità della compromissione
-riduzione del numero unità motorie-> aumento densità fibre
clinica. muscolari (fibre per unità)—> aumento del jitter
>l’aumento del jitter può dunque sottendere sia patologie della
giunzione muscolare (MG) che SLA e PM
La SF-EGM permette anche di calcolare la densità di fibre muscolari (stima fatta in base a quanti pda sono
registrati una volta che il pz contrae volontariamente il muscolo
in cui è inserito l’ago); ciò serve per identificare il
riarrangiamento delle fibre muscolari nell’unità motoria. È
alterata in condizioni di denervazione e miopatia. Es. Il Jitter
aumenta anche in altre patologie come la SLA (l’ischemia porta
al decremento risposte motorie) e le polimiositi. Tra le varie
patologie cambia però la densità di fibra, ossia il numero di fibre
per unità motoria; se è avvenuta una riorganizzazione con re-
innervazione il jitter aumenta perché sarà manifestazione della
registrazione di più fibre. La densità è aumentata sia in SLA che
in polimiosite e non in MG.
Per fare una diagnosi corretta è sempre importante fare una correlazione clinica-strumentale, nessun esame
da solo indica solo una malattia. Le malattie con jitter alterato sono infatti:
- MG e sindromi miasteniformi può sottendere dunque:
> alterata trasmissione a
- Malattie del motoneurone livello della placca
neuromuscolare (MG,
- Distrofia muscolare facio-scapolo-omerale ELS)
> malattie del
- Distrofia miotonica di Steinert motoneurone (SLA)
> neuropatie
- Miotonia congenita > miopatie acquisite/
- Polimiosite ereditarie
Sindrome di Miller-Fisher: è una poliradicolonevrite in cui si registrano blocchi oltre all’aumento del jitter. In
questa malattia gli anticorpi vanno a legarsi sia alla giunzione che ai nodi di Ranvier, quindi è compromessa
anche la trasmissione lungo la fibra nervosa. Si ha paralisi del territorio dei nervi cranici (poliradicolonevrite
elevata o alta o sospesa).
La SF.EMG, se fatta bene e accompagnata da inquadramento clinico, permette una corretta diagnosi nel 99%
dei casi. Quindi la neurofisiologia può dare risultati molto più soddisfacenti del dosaggio anticorpale.
180
Sbobine 2.0
DOLORE NEUROPATICO
Il dolore è sintomo comune in medicina, ma è anche un sintomo difficile perché lo si misura male. Deve
essere indagato ogni giorno nel paziente ricoverato e segnato in cartella clinica, per legge bisogna fare tutto
il possibile per avere un “ospedale senza dolore” (in questi ultimi anni è stato anche aperto un istituto
farmaceutico militare che produce cannabis ad uso medico, utilizzata soprattutto in malattie neurologiche).
I dati epidemiologici riguardanti il dolore sono disponibili solo per alcune condizioni patologiche, ad esempio:
- Nevralgia del trigemino: incidenza 3-6/100 000 all’anno e prevalenza 100/100 000
- Mal di schiena a livello lombare (lombalgia): i dati sono disponibili perché è spesso considerato una
malattia professionale
- Post-chirurgico, ad esempio dopo un anno dall’intervento all’ernia ho ancora il 6% di pz che ha
dolore. Si tratta con oppiacei e altri analgesici.
- Sclerosi multipla, gli analgesici vengono molto utilizzati ma non si conosce la percentuale precisa di
pazienti che ne fa uso e a che quale è la soglia di intensità
È quindi difficile classificare e definire il dolore neuropatico, in quanto non esiste un “gold standard” che
aiuta in questo compito. Questa difficoltà nasce dal fatto che il dolore non è un semplicemente un sintomo,
ma un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole, associata a danno tissutale in atto o potenziale.
La nocicezione è il processo il quale è possibile percepire il dolore e si realizza grazie alle cosiddette “vie del
dolore”:
- Sistema afferenziale dalla periferia ai centri superiori
- Sistema di riconoscimento, valuta la pericolosità dello stimolo e mette in atto una strategia di
risposta
- Sistema di controllo discendente che inibisce e riduce l’intensità delle afferenze a livello midollare.
È modulato da diverse sostanze, ad esempio gli oppiacei.
Dolore neuropatico: secondo la IASP (International Association for the Study of Pain) è definito come il
dolore causato da una lesione o disfunzione del sistema nervoso. Le fibre ascendenti colpite sono quelle
del tratto spino-talamico, ossia quelle di diametro minore: fibre A-delta e C. È una definizione che non
esplicita quali sono i tipi di lesioni che lo causano.
Si distinguono due tipi di dolore neuropatico: periferico (lesione delle fibre veicolanti le informazioni
dolorifiche, es nevralgia del trigemino, post erpetica, diabetica) e centrale (da errori nella processazione
centrale dell’input afferente, es dolore post stroke). es: sindrome
dolorosa post
ischemia VP
Da un punto di vista clinico si distinguono due tipi di dolore: TALAMICO
Ci sono alcune situazioni in cui è semplice parlare con certezza di dolore neuropatico, ad esempio in corso di
lesione del plesso brachiale, poliradicolonevrite, amputazione (si formano neuromi terminali), per questo in
passato si parlava di “dolore in corso di…”, ma esistono anche situazioni come l’emicrania, la cefalea tensiva,
in cui non è evidente nessuna lesione ma ho comunque dolore. Per aiutarsi nel riconoscerlo ci si aiuta con
alcuni test:
- Neurografia: indaga l’integrità del nervo periferico. Si ricorda che il danno al nervo può essere di
varia entità e quando ho la sezione completa, il processo riparativo prende il nome di rigenerazione
walleriana. Questo non sempre va a buon fine e può portare alla formazione di neuromi, ben
evidenziabili all’ecografia.
o Studi di conduzione nervosa
181
Sbobine 2.0
o Elettromiografia
o Microneurografia
- Riflessi nocicettivi, usati in passato.
o Riflesso RIII (di flessione)
o Riflesso trigeminale corneale.
- Potenziali evocati: soprattutto quelli che stimolano solo le A-delta. I potenziali evocati somatosensoriali
classici (che stimolano la via della sensibilità profonda, cioè le fibre mieliniche epicritiche e propriocettive) sono
inadeguati nello studio del dolore neuropatico, perché possono risultare normali anche in presenza di dolore
neuropatico.
o Potenziali evocati somatosensoriali standard (SEPs)
o Potenziali evocati somatosensoriali con laser (LEPs)
- Neuroimaging funzionale (RM e PET), si è aggiunto più di recente e ha permesso di comprendere
molte cose, in passato si pensava che le parti sovra-talamiche del SNC non si occupassero di dolore
e si è invece osservato come siano invece coinvolte molte aree. ruolo di regioni corticali nella
processazione del dolore è
un’acquisizione recente delle
neuroscienze
È importante identificare il dolore con origine neuropatica anche per impostare la terapia corretta: l’aspirina
e gli antinfiammatori non servono in questi casi, bensì saranno utili farmaci come il Gabapentin e il
Pregabalin (a loro volta questi saranno inutili quando il dolore non è neuropatico, ad esempio
nell’osteoartrosi dell’anca).
182
Sbobine 2.0
NEUROGRAFIA
La neurografia comprende:
Patologia
selletiva
delle- Studi di conduzione nervosa: delinea l’estensione e la distribuzione della lesione del nervo periferico,
piccole
fibre non sitalora dà informazioni sulla patologia sottostante. Gli studi standard non riescono però ad indagare
rileva
all’ENG le sottili fibre nocicettive, ma solo le fibre di grosso diametro. Es. nella S. del tunnel carpale si registra
un’alterata conduzione a livello del polso (NB. In una patologia delle piccole fibre gli studi di
conduzione possono essere normali!).
Scopi: localizzare la lesione nervosa, il tipo di nervo coinvolto e la sua patologia e infine valutare la
nel caso dei nervi misti può obiettivarsi l’entità del
gravità e il decorso nel tempo. danno, valutando le alterazioni EMG
- Elettromiografia: completa l’informazione del test precedente e delinea meglio il grado di perdita
assonale (capacità o meno di stimolare il muscolo), quindi fornisce informazioni sulla distribuzione
delle lesioni e sul livello di danno assonale. Anche in questo caso non si studiano direttamente le
fibre dolorifiche (es. nella S. del tunnel carpale i muscoli innervati dal mediano mostrano segni EMG-
gragici di danno neuropatico).
- Microneurografia: è invasiva perché registra la singola fibra nervosa e quindi fornisce informazioni
sulla fisiopatologia dei nocicettori, ma anche questa metodica esplora le fibre più grosse. Viene
utilizzata per scopi di ricerca e per comprendere il contributo del sistema simpatico in alcune
sindromi dolorose, come la causalgia. Si tratta di un dolore refrattario post-operatorio, prima causa
di denuncia degli ortopedici negli USA. Per migliorare il dolore si cerca di usare farmaci per modulare
il simpatico (es. ganglioplegici o bloccanti del simpatico). Questa tecnica utilizzata anche nello studio
dell’ipertensione borderline.
Questi esami riescono a fare diagnosi di sede. Alcune situazioni che causano sofferenza del nervo sono:
sindrome del tunnel carpale, gessatura troppo stretta che provoca ischemia (ad es. in caso di frattura del
polso), causalgia, sindrome dello scafoide. Sono sindromi molto dolorose che portano i pazienti ad assumere
oppiacei e talvolta anche a diventarne dipendenti.
Si possono studiare anche le fibre sensitive, la cui risposta si altera precocemente rispetto a quella motoria.
Per lo studio dei segmenti prossimali dei nervi (es. radici) si studia l’H-reflex (reazione riflessa muscolare
evocata a livello midollare) e le F-waves (stimolazione delle alfa con sovrastimolazione), ottenuti con la
stimolazione elettrica delle fibre sensoriali.
il threshold per l’attivazione di questi riflessi rappresenta una stima quantitativa
oggettiva dello stato di attivazione (patologica?) del sistema nocicettivo, nonché
RIFLESSI NOCICETTIVI permette di studiare e quantificare l’effetto dei farmaci sul dolore neuropatico
- Riflesso di flessione RIII (del bicipite femorale) e CR (corneale): sono riflessi puramente nocicettivi e
si usano anche per testare i nuovi farmaci analgesici (ad es. RIII scompare con gli oppiacei).
RIII è un modello di studio sviluppato da medici francesi che ha però avuto poco successo. RIII utile
anche per la valutazione della neuropatia diabetica. È un riflesso nocicettivo dell’arto inferiore, la
stimolazione elettrica ad alta intensità del nervo surale evoca la risposta RII e RIII (afferenza dalle A-
delta). Il blocco da compressione delle fibre di grosso calibro sopprime RII ma non RIII. La soglia di
RIII coincide con la soglia dolorifica percettiva: ciò consente di stimare in modo più oggettivo
l’intensità del dolore riferito. RIII è risultato
anomalo in pz con varie sindromi dolorose
(lombalgia, emicrania, cefalea a grappolo).
Il CR viene testato nei pazienti in coma (la cornea
presenta solamente terminazioni libere, non ci
sono recettori sensoriali; per questo le lesioni
traumatiche sono estremamente dolorose).
- Riflesso trigeminale di ammiccamento (blink
reflex), usato in Italia.
Stimolo: cornea, nervo sopraorbitale, nervo
infraorbirale, mentoniero, apice del mento,
muscoli orbicolari e massetere. Si registrano:
riflesso corneale precoce e tardivo, blink reflex,
Lo studio del trigemino è importante per fare diagnosi differenziale tra nevralgie idiopatiche e sintomatiche,
quindi tra neuropatia del trigemino, tumori ponto-cerebellari e sclerosi multipla. Talvolta prima di arrivare
alla diagnosi di nevralgia del trigemino si interviene con l’estrazione di denti, pensando erroneamente che
siano la causa del dolore (vedo anomalie di LEPs in V3 del trigemino). Altre volte sono invece gli interventi
odontoiatrici a lesionare il nervo e lasciare il dolore neuropatico: l’alveolare inferiore può essere danneggiato
durante l’estrazione dell’ottavo (dente del giudizio) oppure il nervo linguale può essere compromesso con la
somministrazione di anestesia locale in profondità.
POTENZIALI EVOCATI
I potenziali somatosensoriali (SEPs) percorrono i cordoni posteriori e riguardano più la componente
propriocettiva profonda rispetto a quella dolorifica.
Dopo stimolazione di un tronco nervoso periferico si registrano, mediante elettrodi posti in varie sedi, i potenziali che
si generano in tali sedi al momento del passaggio del segnale. Si ottengono così una serie di onde che riflettono
l'attivazione sequenziale delle strutture nervose lungo le vie afferenti sensoriali. Tuttavia ilmaggiore contributo alla
generazione di tali potenziali è offerto dalle fibre del sistema lemniscale, e, perta nto, possono risultano normali in
presenza di un danno esclusivo alle piccole fibre mieliniche dolorifiche. Sono ovviamente alterati se il danno coinvolge
in toto il tronco nervoso: in questo caso ci forniscono informazioni importanti. Ad esempio, se ilpaziente presenta
un'avulsione completa delle radici, che è quella più dolorosa, ilsegnale non passa: ciò significa che è presente
un'interruzione anche se le guaine mieliniche sono conservate.
Per lo studio delle fibre più sottili sono più selettivi quelli evocati da Laser stimuli (LEPs), che stimola
selettivamente solo in superficie, a livello del polpastrello (i recettori profondi non sono stimolati): sono
considerati lo standard per studiare la funzionalità delle vie nocicettive (fibre A-delta, C; studiano anche le
fibre termiche) a livello mondiale. Un tempo c’erano laser a CO2, oggi si usano gli YAG-laser che da uno
stimolo simile ad una micro-ustione. La stimolazione delle fibre evoca risposte centrali, quindi i potenziali
evocati si registrano bene a livello cranico (EEG): i complessi registrati sono risultato della trasmissione del
tratto spino-talamico e della conseguente attivazione delle aree corticale dedicate all’elaborazione del
dolore: porzione superiore della scissura silviana (capacità sensoriale-discriminativa), corteccia cingolata,
insulare e dell’opercolo frontale (componente affettiva-emotiva).
I LEPs mostrano alterazioni tipiche nei vari tipi di dolore neuropatico. Esempi:
- sono soppressi in caso di dolore neuropatico periferico
- sono anomali nel dolore trigeminale (sia sintomatico che neuropatico).
- Nel dolore neuropatico centrale sono attenuati o aboliti dopo stimolazione laser nel territorio che
viene avvertito dolente, anche se la stimolazione provoca dolore (maggiore scarica dei neuroni
centrali coinvolti nel dolore).
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Sbobine 2.0
I potenziali evocati possono essere utilizzati anche per studiare le vie discendenti: con la stimolazione
magnetica si evocano dei potenziali a livello della corteccia motoria e poi si registra a livello più periferico. Si
ottengono i MEPs (motor evoked potentials) e si distinguono: MEP corticale, MEP spinale, tempo di
condizione periferico.
NEUROIMAGING FUNZIONALE
La risonanza magnetica funzionale (FMRI) e la PET (quest’ultima meno usata) sono in grado di mostrare le
aree di maggiore attivazione a livello corticale in risposta a uno stimolo o mentre si svolge una certa azione.
Le aree attivate dal dolore sono più di una: zone parietali (corteccia somatosensoriale secondaria S2), l’insula
e il cigolo anteriore, in misura minore anche la somatosensoriale primaria (S1) e il talamo controlaterale.
Talamo, S1, S2 e l’insula si occupano dell’aspetto discriminativo-sensoriale, mentre il cingolo anteriore
dell’aspetto emotivo (insieme a amgdala e ippocampo) e della selezione della risposta al dolore. La relazione
emotiva con il dolore è sempre da tenere in considerazione e si conferma in diverse situazioni, ad esempio i
pazienti depressi sentono di più il dolore.
In seguito allo stimolo si attivano anche la parietale posteriore e la prefrontale, che riflettono i pattern
dell’attenzione e della memoria. Anche le aree motorio-relate e le aree coinvolte nel controllo del dolore
(PAG - grigio periacqueduttale).
185
Sbobine 2.0
Se indago i LEPs si vede la scomparsa della risposta per quel dermatomero, l’ampiezza del segnale è abolita.
Questa è la prova della natura neuropatica e quindi aiuta a scegliere la terapia corretta: FANS e steroidi non
servono a nulla.
Caso 2 - Sindrome dolorosa talamica, a seguito di ischemia del talamo (sindrome di Dejerine-Roussy). È un
dolore centrale e viene percepito dolore nella parte di corpo controlaterale alla lesione. In questi casi
esistono alcune tecniche di stimolazione centrale con elettrodi impiantabili; sono efficaci e evitano l’eccessiva
assunzione di antidolorifici, abbassando il rischio di dipendenza da oppioidi. Sono però dei devices molto
costosi per il momento (uno stimolatore lombare costa circa 30 000 euro, senza contare poi i costi di impianto
e manutenzione).
Esistono anche degli stimolatori di superficie, ad esempio a livello di aree motorie e pre-motorie, sempre per
ridurre l’assunzione di farmaci. Questa metodica non invasiva si chiama stimolazione transcranica a corrente
diretta (tcDCS) e consiste nell’applicazione di una corrente continua a bassa intensità (1-2 mA) che influenza
le funzioni neuronali dell’area sottostante; può indurre (da slide):
- Effetti a breve termine: modifiche del potenziale idroelettrolitico di membrana, della funzione dei
canali ionici recettoriali e del flusso ematico locoregionale
- Effetti a lungo termine: meccanismi di plasticità sinptica tipo LTP/LTD, NMDA-dipendenti.
La densità di corrente prodotta è sotto la soglia del PdA dei neuroni corticali, quindi non modifica
direttamente il firing.
Questa tecnica è applicata a livello cerebellare per la gestione del dolore: ha effetti analgesici, influisce sia
sull’aspetto discriminativo che emozionale del dolore.
CONCLUSIONI
Gli studi di conduzione nervosa, i riflessi trigeminali e i potenziali evocati somatosensoriali sono test
diagnostici utili, anche se non consentono di investigare specificamente le vie nocicettive. Per valutare
quantitativamente le vie del dolore, ilmigliore strumento è rappresentato dai potenziali evocati laser.
Questo test valuta ildolore evocato (allodinia e iperalgesia). Le neuroimmagini funzionali costituiscono
invece la tecnica migliore per la valutazione del dolore spontaneo anche se è ancora prematuro definirli
test diagnostici.
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Sbobine 2.0
MALATTIE MUSCOLARI
Le malattie muscolari, o miopatie, sono condizioni colpiscono primitivamente l’apparato muscolare, in
contrapposizione alle atrofie muscolari neurogene, in cui il danno muscolare è causato dalla denervazione. Si
tratta di un gruppo molto vasto ed eterogeneo di malattie, la cui classificazione è ancora in via di definizione.
Tuttavia si possono individuare delle caratteristiche cliniche comuni. Un sintomo è compromissione della forza
e funzione muscolare (DD. deficit di forza si ritrova anche in un problema del sistema motorio centrale, deficit
del tono muscolare nel parkinson). In questo caso il processo patologico coinvolge l’unità motoria (che
comprende il motoneurone inferiore e il muscolo scheletrico, connessi dalla giunzione neuromuscolare).
In generale nelle malattie muscolari sono colpiti prevalentemente i muscoli prossimali, ovvero la
muscolatura dei cingoli scapolo-omerale e pelvi-femorale e i muscoli prossimali degli arti.
Alcuni reperti tipici delle malattie muscolari con interessamento prossimale sono:
• iperlodosi lombare: che s'instaura per compensare il deficit dei muscoli del cingolo
pelvico (è un meccanismo di compenso con cui il pz arretra il baricentro perché se stesse
eretto graverebbe sui muscoli quadricipiti che spesso sono colpiti dalla miopatia, atrofici);
• Deambulazione anserina: andatura con ondeggiamento del bacino; insufficienza bilaterale dei
glutei medi
187
Sbobine 2.0
Nei rari casi di interessamento dei muscoli distali degli arti inferiori la deambulazione è steppante, e il
paziente non riesce a stare in piedi sulle punte o sui tacchi.
DD. Regola generale: nelle neuropatie periferiche (es Charcot Marie Tooth, che può colpire mielina, MIOPATIA vs
tipo I, o assone, tipo II) il coinvolgimento degli arti è più distale, mani e piedi, mentre nella malattia NEUROPATIA
SENISITIVO-
muscolare in genere sono coinvolti i cingoli scapolari o pelvici o i segmenti prossimali. Un segno clinico MOTORIA
ereditaria (CMT)
comune è la riduzione dei riflessi e il deficit di forza. —>
interessamento
prossimale vs
distale
3. Esami di laboratorio
Per valutare l’integrità della cellula muscolare e del metabolismo muscolare sia in condizioni di riposo che
di sforzo.
• Valutazione enzimatica (valutano l’integrità funzionale): >Enzimi di danno
muscolare
4. elettromiografia
L'EMG è lo strumento fondamentale per fare la diagnosi differenziale tra atrofia muscolare primitiva e
neurogena (v. EMG in semeiotica strumentale). Tuttavia esso ci dà poche indicazioni circa la natura di
una eventuale miopatia primitiva.
Riassumendo brevemente il quadro della miopatia primitiva, all'EMG avremo reperti tipici:
• Assenza di attività spontanea (presente invece nell'atrofia neurogena);
• Potenziali di unità motoria (PUM, durante la contrazione volontaria) di durata e ampiezza
ridotta (a causa della riduzione di fibre nella singola unità motoria)
• aumento della polifasia (nel tracciato miogeno si parla di interferenza precoce, questo
significa che anche per sforzi minimi recluta tutte le fibre dell’unità motoria utilizzate).
• Raggiungimento precoce del quadro d'interferenza, che sarà di ampiezza ridotta.
DD. In condizioni di riposo in una neuropatia periferica avremo potenziali di denervazione e tracciati giganti
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Sbobine 2.0
In alcuni casi nemmeno la biopsia riesce a chiarire l'esatta natura della malattia muscolare, pertanto può
essere necessario ricorrere all'analisi del DNA (è il caso della distrofia miotonica, in cui la biopsia è poco
indicativa, mentre l'analisi del DNA è diagnostica e ha valore prognostico), è l’indagine di III livello, utile
per le malattie ereditarie.
189
Sbobine 2.0
Sono malattie eterogenee che coinvolgono il tessuto muscolare, molto rappresentano nell’organismo. Il
più delle volte sono condizioni rare (a differenza di AD e ictus, malattie età correlate). Ad esempio, la
DMD (distrofia muscolare di Duchenne, forma più emblematica delle distrofie muscolari, malattia
pediatrica in cui all’età di 10 aa il pz perde la capacità di stare in piedi, in più si ha insufficienza respiratoria
e miocardiopatia per coinvolgimento sistemico dei muscoli) ha prevalenza di 1/100.000 abitanti. Il gene
responsabile è il gene della distrofina, trasmesso per via X-linked. Nella distrofia di Becker il deficit di
distrofina è parziale, quindi è una condizione più lieve rispetto alla Duchenne.
Se si mettono insieme le varie forme però i valori non sono trascurabili. Tuttavia, i numeri non sono da
sottovalutare se si considerano forme ereditarie, acquisite, quelle di incerta classificazione (che danno
iperCPKemie oligosintomatiche, CPK indicatore fedele della malattia muscolare), miopatie da statina
compressione nervo—> irritazione—> iperattività del nervo—> contrazione muscolare dolorosa
(alterazione del sarcolemma), ecc. sforzo eccessivo—> esaurimento ATP—> difettoso rilasciamento
Riassumendo, gli elementi clinici sono: deficit di forza, fatica muscolare (intolleranza allo sforzo),
variazioni di massa muscolare (ipo-atrofia e pseudoipertofia), dolori muscolari, contratture e crampi
muscolari (sono due condizioni di iperattività neuromuscolare, ma il crampo è generato dal nervo
motore, es crampo dello scrivano comporta la compressione del nervo da parte dei muscoli; mentre la
contrattura è una condizione legata all’esaurimento metabolico del muscolo quando ci affatichiamo, con
depauperamento dell’ATP, in cui il processo di rilasciamento muscolare che necessita di ATP non può
avvenire).
Talvolta un dolore muscolare può derivare da un’iperattività delle fibre algogene (miopatia
infiammatoria ecc.).
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Sbobine 2.0
DISTROFIE MUSCOLARI
Le distrofie muscolari sono patologie genetiche primitive degenerative del muscolo. Si distinguono dalle
miopatie congenite per il loro decorso generalmente progressivo e per le caratteristiche istologiche del
muscolo, ovvero:
• Degenerazione necrotica delle fibre muscolari;
• Fibrosi;
• Sostituzione grassa.
Si distinguono vari sottotipi in base a: età d’esordio, decorso rapido, tipo di muscoli interessati (es distrofia
dei cingoli, distrofia distale ecc.). ognuna di esse ha un gene responsabile e una proteina di volta in volta
diversa, ma importante nell’integrità della cellula muscolare.
La degenerazione muscolare si vede con una biopsia, comune a tutte le forme (ematossilina eosina): pallide
fibre degenerate prenecrotiche e e invase da macrofagi che ne causeranno la scomparsa e la sostituzione con
tessuto fibroadiposo.
DISTROFINOPATIE
Si definiscono distrofinopatie le distrofie muscolari causate da una mutazione del gene che codifica per la
distrofina, localizzato sul braccio corto del cromosoma X (Xp21). La distrofma è una proteina strutturale
localizzata all'interno della membrana sarcolemmale, legata da un lato all'actina, e dall'altro, tramite un
complesso di proteine, alla membrana basale. L'intero complesso ha funzione di stabilizzare la membrana, la
quale, in presenza di un difetto di uno qualsiasi dei componenti, diventa meno resistente all'effetto traumatico
dei cicli di contrazione-decontrazione. Questo porta alla rottura della membrana sarcolemmale, con ingresso di
ioni calcio e morte cellulare.
A seconda della mutazione che colpisce il gene della distrofina (delezione, duplicazione, mutazione
puntiforme) e dell'effetto trascrizionale dell'alterazione genica, si avranno fenotipi gravi con totale assenza
di distrofina (distrofia di Duchenne) o fenotipi meno gravi, con presenza di distrofina in quantità ridotta o
alterata qualitativamente (distrofia di Becker).
Il decorso è progressivo: intorno ai 12 anni il bambino perde la capacità di deambulare. Intorno ai 20 anni,
senza la terapia, il soggetto va incontro al decesso per deficit dei muscoli respiratori e la concomitante
cardiomiopatia dilatativa. Con le terapie attuali i soggetti affetti riescono ad arrivare oltre i 40 anni.
Il CPK raggiunge valori di migliaia, la distrofina è subsarcolemmale e se alterata comporta alterazioni delle
funzioni a livello della membrana che sono il primo evento che scatena il processo necrotico.
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Sbobine 2.0
Non esiste una vera e propria terapia per la DMD. La terapia si basa attualmente sull'uso di corticosteroidi
a lungo termine che sembrano migliorare la prestazione muscolare e rallentare il decorso della malattia di
almeno 2 aa (l’ipotesi è che faciliti il turnover di alcune proteine muscolari). genoma o trascrittoma-> RNAantisenso
Il futuro della terapia risiede invece nella manipolazione genetica; ad oggi una tecnica utilizzata con
successo (correzione del difetto in più dell'80% dei bambini affetti) è l'iniezione sottocute di oligonucleotidi
antisenso. Questi vengono costruiti sulla base del difetto genetico individuale, e vanno a legarsi alle
sequenze di mRNA della distrofina escludendo dalla lettura l'esone contenente la mutazione. Questo porta
alla produzione di una forma più corta di distrofina, ma almeno parzialmente funzionante. In realtà, la terapia
genica si sta iniziando a fare soprattutto nei casi in cui si verifica una mutazione di stop, ci sono delle
strategie di terapia molecolare che sono in grado di saltare questo codone di stop e riuscire a riprendere la
sintesi della proteina, che alla fine sarà parzialmente integra, ma sarà in grado di svolgere una parte della
sua funzione.
E' fondamentale ovviamente anche la terapia di supporto per i disturbi respiratori e cardiaci e il trattamento
riabilitativo motorio. >Becker—> mutazione missenso, con distrofina
parzialmente funzionante
• Ha un decorso lento.
La variabilità fenotipica all'interno della malattia è ampia, potendosi manifestare con forme lente ma
comunque invalidanti, forme molto lente che non comportano perdita della deambulazione, forme in cui è
presente solo una cardiomiopatia dilatativa o intolleranza all'esercizio fisico. Becker:
>patologia notevolmente meno
severa della Duchenne;
DISTROFIE MIOTONICHE età di exitus media: 5^ decade
>notevole variabilità interindividuale
Le distrofie miotoniche sono malattie multisistemiche che colpiscono sempre il muscolo scheletrico (con
difetti di conduzione, cardiomiopatia dilatativa) e in varia misura:
• corpo vitreo: cataratta
• gonadi: atrofia e sterilità
• sistema endocrino: ipotiroidismo e diabete
• muscolo liscio: disturbi GI
• SNC: ritardo mentale, scadimento cognitivo
• annessi cutanei: calvizie precoci Ne
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Sbobine 2.0
Entrambe le forme sono determinate da espansione di triplette (più ripetizioni ci sono più è grave la malattia
e più precocemente si manifesta). Come dice il nome sono distrofie miotoniche: in esse pertanto coesiste
difetto di la distrofia, ovvero la degenerazione muscolare, e il fenomeno miotonico.
rilasciament
o? Il fenomeno miotonico è una prolungata contrazione muscolare che persiste dopo la sospensione
dell'attività volontaria. Questo fenomeno può essere documentato sia clinicamente (ad es. difficoltà a
lasciare la presa di un oggetto) che all'EMG. In questo esame si registrano una serie di potenziali a riposo
non appena viene inserito l'agoelettrodo. Questo fenomeno è dovuto ad un'alterazione della permeabilità
ionica di membrana, ed è caratteristico infatti delle miotonie da canalopatie.
insufficienza mentale è
eslcusiva delle forme
Distrofia miotonica di Steinert congenite
Questa distrofia miotonica è caratterizzata dall'interessamento distrofico (la proteina mutata oltre a non
funzionare si aggrega e dà un effetto tossico nei confronti della cellula) di tutta la muscolatura, ma in
particolare della muscolatura mimica e distale.
Può presentarsi come forma congenita (gravissima), infantile (grave), oppure dell'adolescenza e dell'adulto
(più comuni). Nelle forme dell'adulto è evidente il coinvolgimento multisistemico, in particolare la
compromissione della muscolatura scheletrica e cardiaca, delle capacità cognitive, cataratta, diabete,
alterazioni della tiroide ecc. quindi si hanno manifestazioni variabili ed eterogenee: ci sono casi dell’adulto
e infantili (più gravi).
Nella distrofia di Steinert alla componente distrofica muscolare (distruzione numero fibre) si associa un
disturbo che colpisce non tanto la componente contrattile, quanto l’alterazione dell’eccitabilità di membrana,
e qui si realizza il fenomeno miotonico (per questo è detta anche distrofia miotonica): disturbo nella fase di
rilasciamento muscolare (il pz stringe la mano, ma il movimento di rilasciamento è lento e si sblocca solo dopo
alcuni secondi). Il sarcolemma invece di raggiungere uno stato di silenzio elettrico continua a generare dei
potenziali di membrana, alla base del persistente stato di contrazione che impedisce il rilasciamento
muscolare). È uno stato di eccitabilità che si protrae oltre il dovuto e il segnale è generato dal sarcolemma
stesso per mutazione del canale del sodio, che altera l’eccitabilità.
La mutazione genetica deriva dall’espansione di triplette, CTG, a livello del cr.19; è autosomica dominante. Nei
soggetti normali è presente fino a 45 ripetizioni, in questi soggetti si arriva a centinaia di ripetizioni. Più sono
le ripetizioni e più è grave.
ALTRE DISTROFIE
Distrofie da alterazione di altre proteine strutturali (diverse dalla distrofina)
Queste distrofie si manifestano clinicamente come distrofie dei cingoli o miopatie distali. In generale
troviamo raccolte in questo gruppo tutte le miopatie genetiche da alterazione di proteine strutturali
diverse dalla distrofina (sarcoglicani, caveolina, titina, miotilina, telethonina ecc.).
Nelle distrofie dei cingoli si ha interessamento simmetrico dei muscoli
prossimali degli arti superiori e inferiori. La diagnosi differenziale con la
distrofia di Becker può essere fatta solo tramite biopsia, poiché come
esordio e decorso sono molto simili. In queste distrofie tuttavia non è
presente l'interessamento cardiaco. Si classificano a seconda che siano
autosomiche dominanti o recessive.
A questo gruppo di malattie appartengono anche delle distrofie in cui
l'alterazione delle proteine strutturali porta a miopatie distali. Curioso
notare che esiste una miopatia a corpi inclusi che possiede caratteristiche
simili alla miosite a corpi inclusi, ma che è geneticamente determinata.
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Sbobine 2.0
peroneale; a questo si associa compromissione cardiaca con blocchi di conduzione o cardiomiopatia dilatativa.
Distrofia muscolare facio-scapolo-omerale
E' una malattia autosomica dominante con espressione clinica variabile.
Esordisce intorno ai 20-30 anni, colpisce i muscoli facciali e si presenta
comunemente con debolezza dei muscoli orbicolari degli occhi e della
bocca, con conseguente incapacità di strizzare gli occhi, gonfiare le guance
o fischiare. A questo si associa ipotrofia e deficit di forza dei muscoli
prossimali degli arti superiori, con difficoltà ad abdurre le braccia. Tipico è
lo stacco e la rotazione della scapola ("scapola alata"), per compromissione
dei muscoli che dovrebbero fissarla (soprattutto il gran dentato).
Dal punto di vista patogenetico è un po' bizzarra questa malattia: infatti è causata da una
delezione in una regione non codificante del cromosoma 4. Tuttavia questa delezione sembra causare
un'inappropriata depressione trascrizionale con attivazione dei geni più prossimali.
MIOPATIE CONGENITE
Le miopatie congenite (ereditarie, presenti già alla nascita) sono
malattie che colpiscono quasi esclusivamente il tessuto muscolare
scheletrico. Sono accumunate dalla presenza di alcuni tratti:
• Alla nascita il neonato è ipotonico (''floppy baby") o a
"neonato fantoccio", con motilità spontanea ridotta o
assente, pianto flebile e difficoltà a succhiare, malformazioni
osteo-articolari e ligamentose; talvolta è presente una
cardiomiopatia. Non sempre tuttavia questo fenotipo è
evidente alla nascita.
• Il decorso è variabile, da molto grave a lentamente
evolutivo. Una forma, detta "centrai-core" per la sua
presentazione bioptica, può presentarsi fenotipicamente con
l'ipertermia maligna, quindi solo in caso di effettuazione di
un'anestesia generale.
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Sbobine 2.0
• L'alterazione genetica causale riguarda un gene di una proteina strutturale della fibra muscolare.
Il termine miopatia congenita è in realtà confondente: infatti alcune forme sono solo pauci/a-sintomatiche (ad
es. iperCKemia) o si manifestano solo in determinate condizione (ipertermia maligna). In genere hanno prognosi
benigna, alcune più gravi sono distrofie muscolari congenite. Abbiamo alterazioni rilevabili alla biopsia
(alterazione di struttura, migrazione nucleare, istochimica, presenza di corpi inclusi).
MIOPATIE METABOLICHE
Le miopatie metaboliche sono causate da difetti genetici autosomici recessivi di enzimi coinvolti nel
metabolismo glucidico e lipidico.
glicogeno— (maltasi acida)—> glucosio
MALATTIE DEL METABOLISMO GLUCIDICO
glicogeno— (miofosforilasi)—> gucosio-P
Si dividono in due gruppi a seconda del deficit metabolico:
• Difetti enzimatici della sintesi o del catabolismo del glicogeno: ad es. malattia di Pompe o
glicogenosi II (deficit di maltasi acida, enzima lisosomiale che degrada il glicogeno a glucosio e
fosfato); è caratterizzata da ipotonia diffusa, epatomegalia e cardiomegalia
• Difetti enzimatici della glicolisi anaerobia: ad es. malattia di McArdle. scompenso
cardiaco
non una patologia da accumulo lisosomiale! nell’infanzia
(miofosforilasi non è un enzima lisosomiale)
La malattia di McArdle (glicogenosi V) è dovuta a deficit di fosforilasi muscolare, l'enzima che stacca
molecole di glucosio-1-fosfato dal glicogeno. Questo porta a riduzione della fonte immediata di energia
per far fronte a sforzi brevi e intensi (anaerobi). E' caratterizzata da crampi e mialgie in occasione di
sforzi muscolari; si può accompagnare a rabdomiolisi con mioglobinuria e tossicità renale.
intolleranza allo sfozo;
facilità alla rabdomiolisi
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Sbobine 2.0
MALATTIE MITOCONDRIALI
Si tratta di patologie interessanti, sia perché rappresentano dei nuovi modelli di patogenesi, sia perché spesso
sconfinano dal sistema nervoso o dall’apparato muscolare, coinvolgendo organi o tessuti extraneurologici,
costituendo quindi patologie internistiche, cardiologiche, gastroenterologiche, etc.
Il mitocondrio rappresenta una nozione biologica di vecchia data: già alla fine del XVII secolo c’erano le prime
evidenze istologiche, confermate alla fine dell’800 da evidenze sperimentali. Tuttavia, è solo dagli anni ’80 del
secolo scorso che venne documentata l’origine mitocondriale di alcune patologie.
IL MITOCONDRIO
Il mitocondrio è un organulo dalla morfologia bastoncellare (al microscopio elettronico ricorda l’impronta del
primo uomo sulla superficie lunare), che, grazie alle sue caratteristiche morfologiche, molecolari e
biochimiche, sovrintende ai processi che utilizzano l’ossigeno per la sintesi aerobica di ATP. Ciò avviene
mediante la catena respiratoria, localizzata sulla membrana mitocondriale interna, un processo che finalizza
una serie di vie metaboliche, prima su tutte ciclo di Krebs, che rappresenta a sua volta la via finale comune di
glicolisi e lipolisi. La catena respiratoria avviene grazie a cinque complessi enzimatici, costituiti da multiple
subunità proteiche, che svolgono la funzione di trasferimento di elettroni e, in ultima analisi, la sintesi di ATP.
Sono coinvolti alcuni substrati: NADH, FADH2 e il coenzima Q10.
Sembra che il mitocondrio abbia acquisito questo ruolo all’interno della cellula eucariote tramite una simbiosi
funzionale, venendo ospitato da una cellula più complessa, a cui assicura una serie di funzioni fondamentali
per la sopravvivenza. In seguito a questa scoperta, a partire dagli anni ’90, molti studi hanno approfondito
come una patologia a carico del mitocondrio possa essere alla base di patologie, alcune già note, altre scoperte
successivamente.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Si tratta di situazioni fenotipicamente molto variabili, con frequente coinvolgimento extraneurologico.
- Manifestazioni muscolari
o Ptosi palpebrale
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Sbobine 2.0
o Oftalmoplegia esterna
o Intolleranza all’esercizio fisico
o Debolezza muscolare
o Crampi
o Mialgie
- Manifestazioni neurologiche
o Episodi tipo stroke
o Crisi epilettiche, mioclonie molto varie
o Parkinsonismi
o Atassia
o Neuropatie periferiche
o Cefalea
o Ritardo mentale
o Demenze
o Ipoacusia neurosensoriale
o Degenerazione retinica, atrofia ottica
- Manifestazioni cardiologiche
o Blocchi di branca
o Cardiomiopatie Possibile eziopatogenesi
- Manifestazioni renali
- Manifestazioni metaboliche
- Manifestazioni endocrinologiche
- Manifestazioni staturali
- Manifestazioni ematologiche: linfomatosi
Questi sintomi si possono correlare in sindromi abbastanza patognomoniche, come la CPEO, la MELAS,
la MERFF, la NARP, la Leigh (trattate nel resto della lezione).
Alcune di queste (CPEO, MELAS) sono legate a mutazioni del DNA mitocondriale, altre a mutazioni del DNA
nucleare, altre ancora sono legate a un difetto di comunicazione intergenomica.
Alcune malattie mitocondriali sono forme infantili, come la sindrome di Leigh, una gravissima encefalopatia
che porta a morte, oppure alcune forme epatorenali congenite dovute a una deplezione di mtDNA; a volte
colpiscono soggetti adulti, hanno evoluzione lenta e non riducono l’aspettativa di vita.
DIAGNOSI
Il primo elemento è il ricorso a test da sforzo muscolare, dato che la funzione principale del mitocondrio è
assicurare ATP mediante il metabolismo aerobio. Si possono svolgere test ischemici (sono test anaerobi,
eseguiti per controprova, mostrano un eccesso di produzione di lattato) e test aerobici su cicloergometro a
carico incrementali, in cui si evidenzia un eccesso di sintesi lattacidemica durante gli sforzi muscolari:
essendoci una carenza di sintesi aerobia di ATP, la cellula predilige la glicolisi anaerobia, che ha come prodotto
finale l’acido lattico.
Oltre al lattato, un importante marcatore è la CPK, soprattutto se c’è una componente muscolare della
malattia, dato che l’isoforma MM del CPK riproduce fedelmente l’integrità delle cellule muscolari.
A questi test sono associate altre indagini, che integrano il percorso diagnostico, a seconda delle
manifestazioni che si uniscono al quadro della sindrome, per esempio studi elettrofisiologici (EMG, velocità
conduzione).
In particolare, si eseguono tre tipi di indagine, che consentono di confermare il sospetto di malattia
mitocondriale e di arrivare alla diagnosi definitiva:
- RM spettroscopica
- Biopsia muscolare
ragged-red-fibers
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Sbobine 2.0
- Analisi genetica
La risonanza magnetica spettroscopica per il fosforo (con il P31) è in grado di fornire informazioni sul
contenuto biochimico del tessuto, in particolare, di captare i picchi di ATP, acido lattico e il pH. Questo esame
può confermare la presenza di un disturbo del metabolismo aerobico.
Più diretti appaiono gli esami che valutano la disfunzione mitocondriale in termini patologici: biopsia
muscolare (gold standard) e analisi genetiche e biochimiche (dosaggio degli enzimi coinvolti nel metabolismo
anaerobio), necessari per la diagnosi definitiva.
Studi biochimici e indagini genetiche definiscono la patologia, individuando l’attività enzimatica e i geni
mutati.
FORME SPORADICHE
Si associano più frequentemente a delezione singola del mtDNA. Le mutazioni possono essere le stesse del
DNA nucleare (inserzioni, sostituzioni, delezioni multiple, macrodelezioni, microdelezioni), in particolare,
queste sindromi sono frequentemente associate a una macrodelezione del mtDNA.
Le principali sono:
- Oftalmoplegia esterna progressiva cronica (CPEO). Si manifesta con ptosi palpebrale bilaterale
asimmetrica e difficoltà del movimento oculare (oftalmoplegia esterna progressiva), disfagia, disatria e
deficit di forza degli arti. È la forma più comune di malattia mitocondriale.
- Sindrome di Kearns-Sayre (KSS): PEO + retinite pigmentosa + blocchi di conduzione (aritmie anche fatali)
+ atassia + sordità.
- Sindrome di Pearson: anemia sideroblastica refrattaria, vacuolizzazione dei precursori del midollo e
insufficienza pancreatica esocrina
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Sbobine 2.0
ischemico (lesione cerebrale vera e propria, ma senza pattern vascolari tipici dell’ictus). Questa sindrome
è legata a diverse mutazioni, la più frequente delle quali è la A3243G, nel gene codificante per il tRNA
della Leucina.
- MERRF o Mioclono, Epilessia, fibre rosse sfilacciate (Ragged Red Fibers)
La manifestazione clinica più importante è l’epilessia mioclonica. Se si effettua una registrazione
elettromiografica, si rileva un corrispettivo dell’alterazione elettroencefalografica. L’epilessia mioclonica
si manifesta con movimenti ripetitivi, parcellari, che possono coinvolgere più gruppi muscolari, che
avvengono con preservazione dello stato di coscienza. Il meccanismo patogenetico è l’attivazione
dell’eccitabilità neuronale. La mutazione più frequente è la A8344G, nel gene che codifica per il tRNA della
Lisina.
- NARP o Debolezza muscolare neurogena (Neuropatia), Atassia, Retinite Pigmentosa
Associata a mutazione T8993G nel gene che codifica per la subunità 6 del complesso enzimatico V (ATPasi
mitocondriale).
- SINDROME DI LEIGH
Si manifesta molto precocemente, con ritardo nello sviluppo psicomotorio, incoordinazione dei
movimenti oculari, epilessia, acidosi lattica. Si tratta delle funzioni che fanno capo ai sistemi che
attraversano o sono localizzati nei nuclei della base, nel tronco cerebrale e nel cervelletto, infatti questa è
una variante clinica a interessamento prevalentemente cerebrale.
CANALOPATIE
Fanno parte delle malattie muscolari, un capitolo vario, che include:
- Le distrofie muscolare, forme geneticamente determinate, caratterizzate da un’alterazione strutturale
che porta alla progressiva degenerazione del muscolo. Esistono, a seconda del gene coinvolto, forme gravi,
tipiche del bambino e forme paucisintomatiche, che possono manifestarsi in età adulta.
- Le miopatie metaboliche, che includono le malattie mitocondriali, sono geneticamente determinate,
caratterizzate da mutazioni di enzimi coinvolti nel metabolismo muscolare. A seconda delle vie
metaboliche coinvolte si dividono in: glicogenosi, miopatie lipidiche, malattie mitocondriali.
- Le miopatie congenite sono un gruppo di patologie muscolari geneticamente determinate, che
esordiscono molto precocemente, anche se, con la scoperta dei geni coinvolti, la denominazione è stata
estesa a includere un gruppo di patologie con caratteristiche istologiche ben definite, che generalmente
non si associano a quadri distrofici, ma a un’alterazione della struttura del muscolo, che possono anche
avere esordio precoce o tardivo.
- Le canalopatie sono malattie muscolari geneticamente determinate, legate a una disfunzione dei canali
ionici presenti a livello del sarcolemma, caratterizzate da un’alterazione dell’eccitabilità di membrana.
Sono un gruppo eterogeneo di malattie che possono colpire muscolo, cuore, SNC. Sono patologie rare
(1/100'000), ma, nell’ambito delle malattie neuromuscolari, non sono infrequenti. Un sottogruppo (n.d.s.
paralisi periodiche iper- o ipokaliemiche) può manifestarsi acutamente e portare il paziente ad accedere
in pronto soccorso, pertanto devono essere riconosciute.
Quando un canale ionico non funziona, c’è un’alterazione dell’eccitabilità di membrana, quindi si possono
verificare due condizioni opposte:
- Miotonia: a causa della persistenza dell’eccitabilità, il muscolo rimane contratto, non può essere rilasciato
- Paralisi: il sarcolemma è reso ineccitabile dallo stimolo, il paziente non riesce a muoversi
QUADRI DI CANALOPATIA
Diverse mutazioni determinano quadri clinici caratteristici. Possono essere coinvolti i canali de sodio, del cloro,
del calcio: mutazioni dei canali del sodio e del cloro si associano più tipicamente a quadri caratterizzati da
miotonia, mentre alcune mutazioni del canale del sodio e le mutazioni dei canali del calcio si associano a
paralisi, ma esistono anche quadri caratterizzati dalla sovrapposizione dei due aspetti, ovvero la coesistenza
di mioclonia e di fenomeni di paralisi.
199
Sbobine 2.0
In senso stretto anche le distrofie miotoniche (Steinert e PROMM) possono essere considerate malattie dei
canali ionici, poiché presentano il fenomeno miotonico (l’alterazione genetica però non è carico di un canale
ionico!).
ma della MDPK: myotonic distrophy protein kinase
Paralisi periodiche e Na+, K+, Ca2+ -Durata della paralisi limitata nel tempo (solitamente <24h).
paramiotonie -Il difetto motorio assume le caratteristiche di un deficit nervoso
periferico, con riduzione della forza fino a paralisi flaccidi e areflessia.
Sono solitamente risparmiati i muscoli mimici e respiratori (non
necessarie misure rianimatorie).
Nello stadio di paralisi il muscolo è ineccitabile anche con stimolazione
elettrica.
-Con il progredire del tempo può svilupparsi una miopatia a carattere
evolutivo e invalidante.
MIOTONIA CONGENITA
Viene distinta in due sottoforme: la miotonia congenita di Becker (trasmissione autosomica recessiva) e la
miotonia congenita di Thomsen (trasmissione autosomica dominante). La diversa modalità di trasmissione è
legata al fatto che le due forme sono dovute a mutazioni diverse.
La forma dominante tende ad avere un fenotipo più lieve, mentre nella forma recessiva sono frequenti i
fenotipi più complessi. In entrambi i casi, il sintomo della miotonia prevale a livello della muscolatura degli
arti. Nella Becker prevale la miotonia degli arti inferiori, nella Thomsen degli arti superiori.
Un altro segno caratteristico della miotonia congenita è la mancata modificazione della miotonia in risposta
all’abbassamento della temperatura. Nei pazienti compare il fenomeno del warm-up: il sintomo peggiora nel
paziente fermo e migliora con il movimento.
La muscolatura facciale non è interessata, il che distingue questa forma dalla paramiotonia congenita.
Possono essere presenti, soprattutto nella forma di Becker, episodi transitori di paralisi, soprattutto nella fase
di iniziazione del movimento.
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Sbobine 2.0
Si tratta di pazienti riconoscibili, con conformazione della corporatura ercolina: a differenza delle altre forme
miopatiche, hanno un aspetto della muscolatura molto trofico, apparentemente sproporzionato rispetto alle
caratteristiche del paziente.
L’espressione della malattia, e con essa le caratteristiche cliniche, possono variare: ci sono quadri floridi, a
insorgenza giovanile, in cui la diagnosi è semplice, e forme subdole, che vengono diagnosticate tardivamente
(ma i pazienti spesso ricordano episodi in età infantile e giovanile compatibili con la malattia).
PARAMIOTONIA CONGENITA
Dovuta a una mutazione del canale del sodio. Ha una trasmissione sempre autosomica dominante, la
penetranza può essere incompleta, quindi l’assenza di casi diagnosticati in famiglia non deve escludere la
diagnosi. L’esordio è generalmente precoce, seppur con una certa variabilità, sono descritti anche casi ad
esordio neonatale (la patologia consente la sopravvivenza e l’accrescimento).
A differenza della miotonia congenita, la patologia colpisce molto frequentemente la muscolatura del volto
e, in progressione, anche la muscolatura degli arti. Inoltre, la paramiotonia congenita è molto sensibile al
freddo (spesso il paziente riferisce di non poter fare il bagno in mare, perché l’acqua fredda causa
l’impossibilità di aprire gli occhi e l’irrigidimento di tutta muscolatura). Non è presente il fenomeno del warm-
up (n.d.s ovunque è scritto che è presente un peggioramento paradosso con l’esercizio). Come nella Becker,
possono essere presenti episodi di paralisi.
DIAGNOSI
- ANAMNESI: Il paziente riferisce episodi di rigidità e paralisi, talvolta associati a dolore.
- ESAME CLINICO: La miotonia può essere apprezzata clinicamente, così come le masse muscolari
ipertrofiche.
- ESAMI EMATOCHIMICI: Utili per la diagnosi differenziale. Potassio, elettroliti, CPK (può essere lievemente
alterato, ma non si osserva una degenerazione muscolare, quindi non è un indice specifico).
- ELETTROMIOGRAFIA: Consente di apprezzare il fenomeno miotonico. Inoltre, è possibile effettuare
attività motorie ripetute, per valutare all’EMG il fenomeno del warm-up. Si tratta di un’indagine che, in
era pre-molecolare, consentiva di ipotizzare il canale alterato alla base della patologia. Si possono anche
effettuare registrazioni dopo aver immerso la mano in acqua calda o fredda, per valutare la sensibilità alla
temperatura.
- Oltre al freddo, altri fattori che possono esacerbare la sintomatologia sono i pasti ricchi di carboidrati e
l’attività motoria (che, in alcuni casi, può migliorare il disturbo).
TERAPIA
La terapia è sintomatica, mira ad alleviare la miotonia. Si avvale di farmaci che agiscono sui canali di
membrana, soprattutto antiepilettici (fenitoina, carbamazepina, lamotrigina) e antiaritmici (procainamide,
flecainide, profanenone e, soprattutto, la mexiletina). Il più utilizzato è la mexiletina, un vecchio antiaritmico,
non più utilizzato in cardiologia, ma molto efficace per il trattamento dei pazienti con canalopatie, in cui può
migliorare drasticamente la qualità di vita. La risposta dipende dal tipo di mutazione: esistono pazienti non
responder alla mexiletina, altri che hanno un beneficio soltanto parziale. Oggi, si sta cercando di individuare
questi pazienti, per cui si può testare, anche in vitro, la risposta a diversi farmaci.
201
Sbobine 2.0
PARALISI PERIODICHE
Sono patologie relativamente frequenti, talvolta si riscontrano dei cluster di prevalenza in alcune regioni e in
alcune famiglie. Spesso al primo episodio il paziente si presenta in pronto soccorso, dove viene posta in
diagnosi differenziale con le cause secondarie di ipopotassiemia e con altre tipologie di paralisi (come la
Guillain-Barré).
Ha una trasmissione autosomica dominante, la mutazione più frequente (80% dei casi) coinvolge il gene
CACNA1S, che codifica per una subunità del canale del calcio Cav1.1. Più raramente, può essere mutato il
canale del sodio. Spesso all’anamnesi familiare emergono episodi, anche esitati nell’exitus del paziente per
insufficienza respiratoria, compatibili con questa patologia.
Ne esistono due tipologie: paralisi periodiche iperkaliemiche (estremamente rare) e paralisi periodiche
ipokaliemiche.
Possono manifestarsi con un quadro lieve o con una tetraparesi, talvolta con coinvolgimento della muscolatura
respiratoria. Le crisi di paralisi periodica ipokaliemica si verificano soprattutto la notte e la mattina presto,
momenti in cui può ridursi il livello sierico di potassio, gli episodi possono essere scatenati da un pasto ricco
di carboidrati. insuline—> - kaliemia
La terapia è rappresentata dall’assunzione di potassio, che il paziente deve avere sempre con sé e
somministrarsi non appena percepisce l’imminenza di un episodio.
Pur trattandosi di una patologia genetica, l’esordio non è sempre infantile, la diagnosi può essere tardiva,
anche perché le prime crisi possono essere lievi e non giungere all’attenzione del medico, ma possono
emergere all’anamnesi.
La diagnosi di queste patologie è cambiata: in passato si cercava arrivare a sospettare il gene coinvolto
mediante la clinica e l’elettromiografia. Oggi, la diagnosi genetica non avviene gene per gene, ma si possono
valutare interi pannelli, che includono tutti i geni la cui mutazione è associata canalopatie (MGS).
Quest’evoluzione, se ha facilitato la diagnosi, ha tuttavia complicato l’interpretazione: è necessario capire se
le varianti genetiche presenti sono patogenetiche. Il lavoro del clinico è pertanto sempre fondamentale: solo
mediante una descrizione efficace del fenotipo si può attribuire un significato del genotipo. In letteratura,
spesso viene affermato che “il genotipo espande il fenotipo”: lo stesso gene può essere associato a
manifestazioni diverse, ma questo concetto può portare ad attribuire erroneamente una mutazione al
fenotipo.
MIOPATIE ACQUISITE
Le miopatie acquisite comprendono tutte le affezioni che colpiscono iltessuto muscolare per cause
esogene e rappresentano un'importante percentuale tra le patologie muscolari, comprendendo forme:
• Infiammatorie
• Infettive
• Disendocrine
• Tossiche
• Carenziali
• Secondarie ad altre patologie internistiche
202
Sbobine 2.0
Nella tabella vediamo alcune caratteristiche delle miopatie acquisite e i criteri differenziali più importanti
rispetto alle malattie primitivamente muscolari:
203
Sbobine 2.0
Rappresentano l’emblema delle malattie neurologiche incurabili. Negli ultimi anni, anche grazie al
progredire delle tecniche di analisi del DNA, è stato possibile identificare il gene responsabile in molte delle
malattie neuromuscolari. Dallo studio dei meccanismi con cui questi stessi geni sono regolati e funzionano
nell’organismo, si passa a modelli in vitro (in laboratorio) e in vivo (modelli animali), per sperimentare nuovi
approcci terapeutici e, finalmente, alla sperimentazione clinica. Ad oggi 30-40% delle patologie non ha ancora
una caratterizzazione genetica definitiva.
MALATTIA DI POMPE
La prima malattia di pompe ad essere stata descritta è la glicogenosi di tipo II, malattia autosomica recessiva
causata dal deficit di alfa-glucosidasi (GAA). Questa carenza enzimatica porta ad accumulo di glicogeno e
degenerazione della cellula muscolare. Si distinguono quindi:
• Forme severe, ad esordio in età neonatale. I sintomi si presentano
generalmente entro il primo anno d’età, con decorso rapidamente
progressivo e morte entro il primo anno d’età per coinvolgimento del cuore
con cardiomiopatia;
• Forme moderata e lievi, ad esordio in età più avanzata. La progressione è
più lenta e il decorso clinico è molto variabile. In questi casi la diagnosi è
molto difficile, in quanto si presenta con debolezza prossimale di intensità
variabile (segno aspecifico).
La diagnosi precoce però è di fondamentale importanza perché consente di intervenire subito e prevenire la
perdita di funzionalità. Si effettua quindi una terapia enzimatica sostitutiva con miozima ricombinante per
via endovenosa ogni 14 giorni. In questo modo si stabilizzano le funzioni muscolari, cardiache e polmonare e
si migliora notevolmente la qualità di vita del paziente. È importante sottolineare che il tessuto cardiaco
risponde meglio del tessuto muscolare scheletrico. La risposta varia in base al quadro clinico del paziente e a
quando viene iniziata la terapia.
Infine, esiste una terapia sostitutiva di seconda generazione ancora in fase sperimentale basata sul neoGAA.
DISTROFINOPATIE
Le distrofinopatie sono dovute alla mutazione del gene della distrofina, con ereditarietà X-linked recessiva.
A seconda del tipo di alterazione si può avere:
• Distrofia muscolare di Duchenne, forma più grave dovuta alla mancata produzione della proteina;
• Distrofia muscolare di Becker, forma più leggera dovuta alla ridotta sintesi della proteina.
Colorazione della distrofina sul contorno Distrofia di Becker: ridotta colorazione delle Distrofia di Duchenne: assenza di distrofina
delle fibre muscolari di soggetto sano fibre 204
Sbobine 2.0
TERAPIA
Attualmente, l’obiettivo della terapia è quello di trasformare la Duchenne in Becker, cercando di stimolare
la produzione della proteina.
Di recente, si sta cominciando a parlare di terapia genica mutazione-specifica. I farmaci in questione sono
oligonucleotidi antisenso in grado di legarsi al sito di mutazione:
• Nel 60-70% dei casi sarà una delezione, per la quale si utilizzano farmaci come Eterlipsen e
Drisapersen che sfruttano il principio di exon-skipping. In questo modo si riuscirebbe ad ottenere
distrofina parzialmente funzionante. Le terapie sono ancora in fase di sperimentazione e sono
diverse a seconda del tipo di delezione;
• Nel 10% dei casi sarà una puntiforme nonsenso, per la quale si utilizza l’Ataluren (TRASLARNA). Deve
essere somministrato per via orale ogni giorno in 3 dosi ed è riservato ai pazienti deambulanti di età
pari ad almeno 5 anni (si sta cercando di anticipare l’età d’inizio a 3 anni). I dati ottenuti sul
miglioramento della distanza percorsa a piedi in 6 minuti sono molto incoraggianti.
205
Sbobine 2.0
Nel complesso ha un’incidenza di 1/10.000 nati vivi e rappresenta la più comune causa genetica di morte
infantile.
La terapia si basa sulla somministrazione di un oligonucleotide antisenso che inattiva un sito di splicing a
livello di SMN2, aumentando la stabilità dei trascritti SMN2 e i livelli di proteine SMN. Mascherare il sito di
splicing è più semplice che andare ad agire su SMN1, in cui tipicamente si hanno delezioni che portano alla
formazione di proteine misfolded.
Nell’adulto la terapia è ancora sotto ispezione da parte dell’AIFA. Nella popolazione pediatrica invece i
risultati sono stati ottimi (bambini incapaci di deambulare sono riusciti ad andare in bici) e la terapia è stata
approvata.
Nusinersen (SPINRAZA) viene somministrato per via intratecale. Vengono prelevati quindi 5mL di liquido
intratecale e iniettati 5mL di farmaco. È prevista una dose di carico con 3 infusioni a distanza di 14 giorni
l’una dall’altra e una quarta infusione a distanza di 30 giorni dalla terza, a cui segue una dose di
mantenimento ogni 4 mesi.
206
Sbobine 2.0
Questo è un istogramma, ovvero una rappresentazione cronologia dei vari stadi del sonno durante la
notte: si comincia con l’approfondimento N1, N2, N3, N4 e poi si risale nella fase REM che si verifica a
‘spot’ ogni 60-120 minuti in episodi di durata sempre maggiore nel corso della notte. Ogni episodio REM
chiude un ciclo, e ce ne sono di solito 4 o 5 in un soggetto adulto normale.
La prima parte del sonno è la più importante (il sonno delta o N3 o
profondo), connessa al meccanismo omeostatico del sonno, per cui più si
sta svegli maggiore è la quantità del sonno delta.
CLASSIFICAZIONE
I disturbi del sonno sono oltre 60, e la classificazione internazionale comprende:
• Insonnie;
• Disturbi respiratori correlati al sonno (OSAS, CSAS);
• Ipersonnie di origine centrale (narcolessia, iperinsonnia ricorrente, iperinsonnia idiopatica,
iatrogena);
• Disturbi del ritmo circadiano;
• Parasonnie;
• Disturbi del movimento collegati al sonno;
• Altri disturbi del sonno.
207
Sbobine 2.0
INSONNIA
Malattia neurologica più frequente nella popolazione generale (fino al 40%). Nel 30-50% dei casi si tratta
di insonnia transitoria, mentre nell’8-10% di insonnia cronica. Il 40% dei pazienti nel contesto della
Medicina Generale soffre di insonnia.
Categorie maggiormente a rischio di insonnia sono:
• Anziani;
• Lavoratori turnisti;
• Sesso femminile: picchi nel periodo del menarca e della menopausa e, durante la gravidanza;
• Comorbidità: maggior prevalenza di insonnia in pazienti con malattie psichiatriche
(depressione), neurodegenerative (Parkinson e Alzheimer) e in pz affetti da sindromi dolorose
croniche.
208
Sbobine 2.0
REPERTI OBIETTIVI
• Marcata variabilità da notte a notte nelle misure del sonno, nell’ora di coricarsi e di alzarsi.
• In generale, i pz con insonnia tendono a sottostimare la durata del sonno e a sovrastimare la latenza
e i risvegli, mentre un ‘buon dormitore’ tende a sovrastimare la durata e a sottostimare la latenza e i
risvegli. Questo disadattamento soggettivo-obiettivo può essere relato all’iperarousal fisiologico e
può essere uno degli aspetti centrali dell’insonnia.
MARKERS DI QUALITA’ DEL SONNO
• Durata (efficienza del sonno);
• Profondità (stadio N3 o SWS);
• Continuità (risvegli coscienti);
• Stabilità (microrisvegli periodici o CAP): pattern ciclico che si ripete ogni 20-40 secondi a costituire
un ritmo che è il CAP, pattern alternante ciclico. Quando una perturbazione stimola la corteccia,
essa inizialmente tenta di preservare la continuità del sonno, attraverso una sincronizzazione
fasica EEG (A1); se lo stimolo è intenso, si hanno alterazioni EEG A2 ed A3 che tendono a svegliare
il soggetto; infine, se lo stimolo è molto intenso, il soggetto si sveglia. La valutazione del CAP ha
fornito una base neurofisiologica all’alterata percezione del sonno che è una caratteristca
dell’insonnia, che quindi non è solo un disturbo psichiatrico, ma è un disturbo neurofisiologico.
Nei soggetti normali, la quantità dei risvegli è di circa 38; negli insonni, è quasi il doppio, il 60%.
NEUROIMMANIGI
Le neuroimmagini forniscono reperti suggestivi:
• Fisiologicamente, nel passaggio dalla veglia al sonno c’è riduzione di attività nelle aree della
reticolare attivante (TE), che non si verifica negli insonni. Si parla quindi di iperarousal serale. Un
piccolo numero di studi con neuroimaging funzionale sono stati condotti durante sonno e veglia
in insonni e gruppi di controllo: questi studi suggeriscono un incremento regionale specifico del
metabolismo del glucosio in insonni rispetto ai controlli. Inoltre, i soggetti svegli hanno iperatività
della corteccia prefrontale, dedicata alle funzioni esecutive; gli insonni hanno un’ipoattività di
queste aree che si associa alla riduzione di sonno.
• È stato dimostrato che i pazienti con insonnia cronica, rispetto ai “buoni dormitori”, presentano
una riduzione bilaterale del volume degli ippocampi, di entità paragonabile a condizioni quali
depressione, disturbo post traumatico da stress e disturbo borderline di personalità.
• I soggetti insonni mostrano anche un minor volume di sostanza nella corteccia orbitofrontale di
sinistra, coinvolta nelle emozioni e nei processi decisionali e nel problem solving.
• Tecniche di spettroscopia a risonanza magnetica, condotte a livello di talamo, gangli della base,
sostanza bianca e corteccia temporale, parietale ed occipitale, hanno evidenziato nei soggetti
insonni una riduzione di circa il 30% del GABA rispetto ai controlli. Il reperto di riduzione del GABA,
nel corso della veglia, nei soggetti con insonnia primaria, supporta il modello dell’iperarousal. I
livelli del neurotrasmettitore mostrano inoltre una correlazione inversa con la veglia infrasonno
valutata con metodiche oggettive e soggettive.
• Negli insonni c’è disregolazione del cortisolo circadiano: nei soggetti normali, il picco del cortisolo
si verifica la mattina e i suoi livelli si riducono moltissimo nelle ore serali; negli insonni, il cortisolo
aumenta nelle ore serali. Questo rende conto di alcune alterazioni somatiche degli insonni: non si
riduce né la temperatura né la frequenza cardiaca.
209
Sbobine 2.0
GRAVITA’ DELL’INSONNIA
Fermo restando che ogni pz ha un proprio fabbisogno di sonno, stabilito dall’ipnotipo (breve o lungo
dormitore), la gravità dell’insonnia dipende dal numero di notti insonni per settimana. L’insonnia è grave
quando è presente per almeno tre notti alla settimana e per almeno un mese.
FENOTIPI DI INSONNIA
• Insonnia iniziale, per difficoltà di addormentamento (> 30 min). Può essere dovuta a:
o Scarsa igiene del sonno (errate abitudini di vita che contrastano il sonno);
o Insonnia psicofisiologica o condizionata (preoccupazione di non riuscire a dormire e delle
ripercussioni sull’attività diurna);
o Sindrome delle gambe senza riposo (irrequietezza degli arti, soprattutto inferiori);
o Disturbo del ritmo circadiano da “fase di sonno ritardata” (bisogno di dormire avvertito
solo a ore tarde);
o Ansia;
o Uso di sostanze psicostimolanti;
o Stress psicosociali.
• Insonnia centrale se il sonno è frammentato;
• Insonnia terminale se il risveglio al mattino è precoce.
In questi ultimi due casi, la causa può essere:
o Disturbi psichiatrici (depressione, ansia);
o Patologie internistiche;
o Sindromi dolorose;
o Eccesso di alcolici: l’alcool è spesso usato come ipnoinducente, ma poi predispone a
risvegli prolungati durante la notte.
o Farmaci;
o Russamento abituale e apnee notturne;
o Mioclono notturno;
o Disturbo del ritmo circadiano da “fase del sonno anticipata” (bisogno di dormire avvertito
già nelle prime ore serali).
o Disturbi ambientali.
210
Sbobine 2.0
TRATTAMENTO
Ad oggi, circa il 55% degli insonni non è trattato. Del restante 45% trattato, invece, un 15% non risponde
alla terapia e un 30% risponde alla terapia.
Le principali classi di farmaci utilizzate nel trattamento dell’insonnia sono:
• Benzodiazepine: agiscono sul recettore GABA-A.
• Agonisti non benzodiazepinici del recettore GABA-A (Z-drugs): recenti ipnotici sedativi con
vantaggi farmacocinetici, in quanto agiscono in modo seletivo a livello di recettori omega1
responsabili della sedazione, ma non sui siti omega2 che sono concentrati nelle aree cerebrali che
regolano la cognizione, la memoria e il funzionamento motorio. Sono agonisti parziali, quindi
dipendenza, tolleranza e astinenza sono rari. La loro emivita è influenzata dalla produzione di
metaboliti attivi, da clearance rapida che a sua volta può essere alterata da malattie concomitanti,
età e fattori individuali, interazioni farmacologice (soprattutto con farmaci psicotropi), uso acuto
o cronico (con benzodiazepine a lunga durata di azione, aumento di 5 volte dell’emivita).
Effetti collaterali dei farmaci ipnotici (BDZ e agonisti non benzodiazepinici del recettore GABA-A):
• In acuto: amnesia anterograda, sedazione diurna, alterazioni cognitive e psicomotorie;
• In cronico: tolleranza, dipendenza. Generalmente sono effetti rari per dosaggi e tempi di
trattamento raccomandati per l’insonnia.
Questi farmaci vanno somministrati in base alla loro emivita plasmatica e alla clinica: per esempio, per la
difficoltà di addormentamento sono indicati farmaci ad azione breve., mentre nell’insonnia con risveglio
mattutino precoce quelli ad azione intermedio-lunga. Tuttavia, anche con una BDZ a lunga emivita il
paziente può svegliarsi precocemente. Questo fenomeno si spiega considerando i vari NT che regolano il
sonno. La prima parte del sonno, costituita soprattutto da onde delta, ha come principale mediatore il
GABA; la seconda parte del sonno (REM), invece, ha come trasmettitore l’acetilcolina, ed è in questa fase
che il pz tende a svegliarsi perché il farmaco GABAergico tende a non funzionare. Per questo motivo è
necessario rivolgersi ad ipnotici non-GABA:
• Antidepressivi: Trazodone che aumenta TST e sonno profondo (SWS), riduce il sonno REM,
diminuisce il sonno instabile (CAP), attenua l’attivazione vegetativa (alfa-litico), effetto
antidepressivo, scarsa tolleranza. Altri: Amitriptilina, Mirtazapina, Citalopram.
• Melatonina: agisce legandosi a due recettori, MT1 (che modula l’effetto di induzione del sonno),
e MT2 (che modula lo shift di fase). Ha scarsi effetti collaterali. L’efficacia è evidente soprattutto
in gruppi di pazienti selezionati, quali pz con deficit cognitivi (ritardo mentale, demenza),
211
Sbobine 2.0
IPERSONNIA
IPERSONNIE DI ORIGINE CENTRALE
Includono un gruppo di disturbi del sonno il cui sintomo principale è l’eccessiva sonnolenza diurna, non
correlata ad un disturbo del sonno notturno e del ritmo circadiano. Possono comunque essere presenti
altri disturbi del sonno che, prima di poter formulare una diagnosi di ipersonnia centrale, dovranno essere
adeguatamente diagnosticati e trattati.
La sonnolenza può variare per gravità ed è più probabile che compaia in situazioni noiose e monotone che
non richiedono la partecipazione attiva del soggetto. In alcuni casi è associata ad un aumento del tempo
totale di sonno nelle 24 ore, comunque non ristoratore. In altri casi può essere alleviata da sonnellini pur
ricomparendo dopo un breve periodo. La sonnolenza, qualora particolarmente grave, può risultare in
comportamenti automatici, che consistono nel proseguire le attività in atto in uno stato di semicoscienza
senza ricordare di averle compiute. In molti casi l’eccessiva sonnolenza diurna è un disturbo cronico. È
necessario che sia comparsa almeno 3 mesi prima della diagnosi.
212
Sbobine 2.0
NARCOLESSIA
È una malattia cronica associata alla mancanza di neuropeptide orexina, coinvolto nei sistemi che
promuovono il mantenimento dello stato di veglia: tiene sotto controllo la reticolare attivante e il nucleo
ventrale postero-laterale. Ha una prevalenza di 0,2-2 casi ogni 1000 abitanti ed è tendenzialmente
sottodiagnosticata: in Italia sono diagnosticati meno di 800 casi a fronte dei 25000 attesi. Tende a
comparire sporadicamente, secondo una curva bimodale, con picchi a 15 e a 25-35 anni, senza distinzione
tra i sessi. L’1% dei casi di narcolessia sono familiari (AD). Il rischio di riscontro di narcolessia fra parenti di
primo grado è dell’1-2%, quindi 30-40 volte più alto della popolazione generale. Questo significa che la
narcolessia è una malattia nella quale necessariamente giocano un ruolo fondamentale fattori genetici
ma anche ambientali.
All’istopatologia dell’ipotalamo in pz narcolettici, si evidenzia una riduzione dell’85-95% delle cellule
secernenti orexina. Nel CSF, si ha assenza o marcata riduzione dell’orexina.
Ipotesi patogenetica autoimmune:
L’85-100% dei pz narcolettici presenta positività per antigeni del sistema HLA (DQB1*0602), presente nel
20-30% dei soggetti normali. È stata dimostrata l’associazione con il polimorfismo del locus del recettore
alfa delle cellule T. In casi sporadici, all’esordio della malattia, sono stati evidenziati elevati tassi di
anticorpi antistreptococco. Nei bambini, all’esordio, è frequente la presenza di un complesso disturbo del
movimento simile alla corea di Sydenham. Picco di incidenza della narcolessia in seguito a influenza H1N1
o somministrazione del relativo vaccino. Ipotesi immuno-eziologica della narcolessia con la possibilità di
attivazione di una reazione autoimmune specifica contro i neuroni HCRT ipotalamici da parte di un fattore
ambientale. Nel sangue e nel liquor di questi pz, riscontro di linfociti T CD8+ autoreattivi specifici per il
peptide pre-pro-orexina, precursore dell’orexina.
SINTOMI
• Colpi di sonno (sonnolenza diurna): eccessiva sonnolenza diurna e attacchi di sonno
pluriquotidiani, non procrastinabilli e talora non preavvertiti che possono presentarsi nelle
situazioni più disparate. Gli attacchi di sonno sono relativamente brevi e ristoratori. Tra un attacco
e l’altro la vigilanza può essere normale. Sono presenti comportamenti automatici: il pz continua
a svolgere per diversi secondi la propria attività anche se addormentato, esponendosi così ad un
notevole rischio qualora sia impegnato in attività che richiedono costante vigilanza. È il sintomo
di esordio.
• Cataplessia (60%): improvvisa perdita del tono muscolare con coscienza conservata,
generalmente provocata dalle emozioni. I muscoli respiratori sono preservati. Alle volte la perdita
213
Sbobine 2.0
del tono muscolare è totale, altre volte interessa solo i muscoli del collo o della mandibola o delle
palpebre, o degli arti superiori con caduta di oggetti.
• Allucinazioni ipnagogiche (30%): allucinazioni visive vivide, spesso associate a paura,
all’addormentamento o al risveglio
• Paralisi del sonno (25%): il paziente è sveglio, ma transitoriamente non riesce a muoversi nè a
parlare, nella transizione tra sonno e veglia. Allucinazioni e paralisi sono sintomi causati
dall’intrusione di sonno REM durante la veglia o all’addormentamento.
• Insonnia (frequenti risvegli, cattiva qualità del sonno).
CLASSIFICAZIONE
• Tipo 1, narcolessia con cataplessia. I criteri da rispettare sono:
o Il pz lamenta eccessiva sonnolenza diurna che si verifica tutti i giorni per almeno 3 mesi.
o La presenza di uno o entrambi:
Cataplessia + Latenza media nel MSLT < 8 minuti + 2 SOREMPS-MSLT;
Ipocretina (orexina) liquorale < 110 pg/ml.
• Tipo 2, narcolessia senza cataplessia. I criteri da soddisfare sono:
o Il paziente lamenta eccessiva sonnolenza diurna che si verifica tutti i giorni per almeno 3
mesi.
o LM-MSLT< 8 minuti + 2 SOREMPS-MSLT
o Cataplessia assente
o Ipocretina liquorale o non misurata o >110 pg/ml
o La sonnolenza e/o i rilievi MSLT non sono meglio spiegati da altre cause come un sonno
notturno insufficiente, OSAS, disturbo da ritardo di fase, uso di farmaci o sostanze e loro
sospensione.
214
Sbobine 2.0
la notte. Gli effetti positivi sulla sonnolenza diurna sembrano dipendere dall’aumento di sonno profondo
indotto dal sodio oxibato.
Pitolisant: antagonista/agonista inverso del recettore dell’istamina H1, determinando aumento
dell’istamina nel vallo sinaptico; è risultato non inferiore al Modafinil come efficacia.
IPERSONNIA IDIOPATICA
Rara forma di ipersonnia grave (20 volte più rara della narcolessia, ma non ha la garanzia di essere
riconosciuta come malattia rara). Risponde incostantemente alla terapia farmacologica e può essere
molto invalidante. Solitamente esordisce nell’adolescenza. Caratteristica di questa patologia è
soprattutto l’inefficacia del sonno nel risolvere la sonnolenza: anche dopo aver dormito molte ore (fino a
18 ore), i pz rimangono assonnati e stanchi. Il risveglio è spesso molto difficoltoso con uno stato
prolungato di “ubriachezza da sonno” (“sleep inertia”). Gli episodi diurni di sonno tendono ad essere
protratti (circa un’ora o più) e non sono ristoratori.
La patogenesi è sconosciuta: l’orexina e normale e le monoamine sono risultate inconcludenti. Nel liquor
di questi soggetti, uno studio di Atlanta, ha evidenziato la presenza di un fattore ipnotico, ma ciò non è
stato dimostrato da studi successivi.
La terapia si avvale degli stessi presidi usati nella narcolessia (stimolanti). I sonnellini, in questo caso, non
fanno parte del piano terapeutico perchè non sono efficienti.
SINDROME DI KLEINE-LEVIN
Colpisce di solito giovani in età adolescenziale. Si caratterizza per:
• Ipersonnia (periodica): gli attacchi di sonno durano giorni o settimane; il sonno qualitativamente
non differisce da un sonno normale, ma è marcatamente aumentato in durata (17-20 ore su 24).
• Iperfagia: introduzione compulsiva di cibo.
• Ipersessualità: in un terzo dei pz maschi, solitamente solo verbale.
La patogenesi sembra essere di tipo autoimmune, di origine ipotalamica.
Questi episodi tendono a diventare più brevi, l’intervallo tra gli episodi tende ad allungarsi, e nell’arco di
7-10 anni tendono ad esaurirsi.
La terapia in fase acuta si avvale degli stessi farmaci impiegati nella narcolessia. Litio ed antiepilettici
(Valproato) possono ridurre la frequenza e la durata degli attacchi.
IPERSONNIA CATAMENIALE
Sono episodi ricorrenti di ipersonnia coincidenti con il ciclo mestruale da verosimile squilibrio ormonale.
Risponde alla terapia con contraccettivi orali.
215
Sbobine 2.0
Nel sottotipo di ipersonnia residua dopo trattamento di OSAS, la latenza di sonno media all’MSLT può
essere > 8 minuti.
Qualora i criteri per narcolessia siano soddisfatti, una diagnosi di narcolessia tipo 1 o 2 da disturbo medico
dovrebbe essere preferita a quella di ipersonnia da disturbo medico.
Nei pz con disturbo medico o neurologico grave per i quali non è possibile effettuare uno studio del sonno,
la diagnosi si può basare su criteri clinici.
CONCLUSIONI
• Assicurarsi che sia vera sonnolenza e non stanchezza o fatica;
• Raccogliere l’anamnesi anche con un testimone;
• Esludere cause di sonno insufficiente o di scarsa qualità (diario del sonno, actigrafo);
• Valutare l’associazione con altre patologie;
• Storia farmacologica, incluse le abitudini ad utilizzare alcool.
216
Sbobine 2.0
PARASONNIE
Eventi fisici o eperienze indesiderabili che si verificano all’inizio del sonno, durante il sonno o al risveglio
(AASM, 2014). Comprendono movimenti, comportamenti, emozioni, percezioni anormali correlate al
sonno e all’attivazione del SNA. Distinguiamo le parasonnie NON REM e parasonnie REM.
I disturbi dell’arousal si manifestano tipicamente durante il sonno ad onde lente (stadio 3-4), ma possono
occorrere anche in stadio 2 NREM. Tali parasonnie insorgono nel primo terzo della notte, quando il sonno
ad onde lente è predominante. Sono pertanto favoriti da situazioni che determinano un sonno più
profondo (es. deprivazione di sonno a cui segue notte di recupero, età giovanile, febbre), o più
frammentato (es. dolore, cefalea, situazioni ambientali). Sono inoltre provocabili da stimoli esterni
durante il sonno profondo (es. vicino di letto che russa).
È stata dimostrata una dissociazione dell’attività di aree corticali (alcune sveglie, altre addormentate), in
particolare:
• Deattivazione delle aree corticali prefrontali e parietali associative;
• Attivazione circuiti talamo-corteccia limbica.
Il trattamento consiste in:
• Tranquillizzare i genitori sulla benignità;
• Organizzare la casa in maniera sicura;
• Non svegliare il bambino;
• Principi di igiene del sonno;
• Riduzione dei fattori stressanti e/o scatenanti;
• Risvegli programmati;
• Farmacoterapia, se episodi >1/settimana, negli adulti: Benzodiazepine riducono SWS, Triciclici
(Imipramina) riducono SWS, L-5-idrossitriptofano (precursore 5HT).
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Sintomi sensitivi
Il pz lamenta smania, tortura, nervosismo, sensazione di tirare i nervi, punture di spilli, scariche elettriche,
trapanamento, formicolio, indolenzimento, acqua che scorre, fasciatura che comprime, animaletti in
movimento dentro le gambe. Si possono avere anche sensazioni termiche, fuoco interno, freddo, gelo.
Componente motoria
Comprende agitazione, nervosismo, irrequietezza, inquietudine, smania, impazienza. Queste sensazioni si
interrompono solo con il movimento. Le strategie motorie sono: camminare, muoversi e stirarsi nel letto,
massaggiarsi, sfregarsi, pestare a terra i piedi nudi, ginnastica, cyclette, pedalamento a letto.
I movimenti principalmente coinvolti (PMLS, movimenti periodici in sonno), sono: estensione dell’alluce,
flessione della caviglia, flessione del ginocchio, raramente flessione dell’anca.
Talvolta i pz possono essere asintomatici e i movimenti vengono segnalati da un osservatore.
PATOGENESI
Nella patogenesi è implicato il sistema dopaminergico sottocorticale, in particolare è coinvolta l’area VIP
che termina, a livello spinale, sui nuclei intermedio-laterali e corna grigie posteriori. La sua disfunzione
potrebbe determinare una ipereccitabilità spinale.
L’ipotesi dopaminergica associata ad un’ipotesi sideropenica è sostenuta da:
• Forma secondaria a farmaci dopamino-antagonisti (neurolettici) o malattia di Parkinson;
• Andamento circadiano della dopamina;
• Correlazione tra RLS e sideropenia: il ferro è un importante coenzima dell’enzima tirosina
idrossilasi, enzima limitante della via anabolica della dopamina;
• Alla doppler transcranico c’è ipoecogenicità della SN (per ridotta concentrazione di ferro).
CLASSIFICAZIONE
• Forme idiopatiche
o Familiari (40-50%)
o Sporadiche (5%)
• Forme sintomatiche
o Carenza di ferro (43%): dosare soprattutto le scorte di ferro (ferritina);
o Gravidanza (27%);
o Insufficienza renale (17-40%);
o Diabete mellito (7-17%);
o Artrite reumatoide (25-30%);
o Malattie neurologiche: Parkinson (30%), MSA (parkinsonismi);
o Farmaci antidopaminergici.
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TRATTAMENTO
Il trattamento deve risolvere i sintomi sensitivi, l’insonnia e i movimenti periodici nel sonno.
Indicazioni per il trattamento cronico:
• Presenza di insonnia;
• Grave affaticamento e stanchezza quotidiana;
• Condizionamenti forzati delle abitudini di vita;
• Grave sintomatologia sensoriale.
Trattamento non-farmacologico
• Eliminare eventuali fattori precipitanti o scatenanti il disturbo:
o Farmaci, antipsicotici, antiemetici, antidepressivi (l’unico che non causa mai RLS è il
trazodone), antistaminici;
o Sostanze contenenti caffeina, alcool;
• Osservare le regole di igiene del sonno;
o Utilizzare alcune strategie comportamentali la sera: camminare o svolgere attività fisica
prima di coricarsi; bagno caldo o doccia fresca prima di coricarsi; massaggiare le gambe;
non contrastare il desiderio di movimento.
• Programmare le attività sedentarie al mattino, quando i sintomi sono minori.
Terapia farmacologica
Indicazioni:
• Frequenza dei sintomi: 2-3 episodi a settimana;
• Intensità dei sintomi: >15-20 RLS rating scale;
• Accordo del pz previa informazione della cronicità del trattamento;
• Insonnia/sonnolenza;
• Qualità di vita;
• Periodic limbs movements (PLM).
Farmaci principalmente impiegati:
• Carbidopa/L-DOPA
• Dopamino-agonisti (non-ergot): Ropinirolo, Pramipexolo. Per prolungare l’azione, esistono
formulazioni patch.
• Benzodiazepine: Clonazepam.
• Antiepilettici: Gabapentin.
• Oppioidi: codeina, etc, si usano soprattutto nelle forme resistenti.
• Integrazione con Ferro, se carente.
Il 15% di questi pz, pur avendo sintomi sensitivi e PLM ben controllati, continuano ad avere insonnia.
L’unica differenza che è stata evidenziata tra soggetti che continuano a manifestare insonnia e soggetti
che la risolvono, sono gli anni trascorsi senza trattamento. Si pensa che la malattia, agendo su un individuo
geneticamente predisposto, è in grado di scatenare l’insonnia che è perpetuata per comportamenti
scorretti dell’individuo.
RLS intermittente: RLS giornaliera: RLS refrattaria:
• Carbidopa/levodopa a basse dosi • Dopamino-agonisti: 1° scelta. • Passare ad un altro dopamino-agonista
• Dopamino-agonisti (es. pramipexolo) • Gabapentin • Sostituire o aggiungere un 2° farmaco
• Analgesici oppioidi a bassa potenza • Oppioidi a media-bassa (Gabapentin, ipnotico, oppioide)
(tramadolo, codeina o propoxifene) potenza (codeina, ossicodone, • Passare ad un oppioide ad alta potenza
• Ipnotici sedativi come Clonazepam tramadolo) • Considerare “drug holiday”
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EMERGENZE NEUROLOGICHE
Patologie più freqeuntemente diagnosticate in emergenza:
Ictus cerebri ischemico o emorragico;
Emorragia subaracnoidea;
Ipertensione endocranica;
Ipertermia maligna;
Paralisi periodiche diskaliemiche;
Traumi encefalo-midollari;
Comi dismetabolici;
Poliradicolonevriti subacute;
Miastenia Gravis;
Delirium tremens;
Infezioni del SN e/o dei suoi involucri ad esordio acuto/subacuto (encefaliti/meningiti);
Neuropatie associate a dolori nevralgici;
Tumori del SN.
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La distinzione tra ictus ischemico ed emorragico è importante in termini di gestione, prognosi e prevenzione
secondaria, in tal caso è necessario eseguire una TC cranio che permette di distinguere:
Lesione emorragica (iperdensa);
Lesione ischemica (generalmente ipodensa);
Presentazione ictale di altre patologie (>> neoplasia).
Nello stadio iperacuto di ictus ischemico la TC può non evidenziare la tipica ipodensità, gli infarti sono più
facilmente visibili alla TC dopo alcuni giorni.
Fondamentale è il ruolo del neurologo di stabilire insieme con il neuroradiologo la correlazione clinico-
radiologica di fronte ad una TC che mostri un evento vascolare.
EMORRAGIA SUBARACNOIDEA
Condizione a eziologia multipla:
Aneurismi cerebrali;
Traumi;
MAV;
Neoplasia cranio-vertebrali;
Coagulopatia;
Vasculiti.
SEGNI E SINTOMI:
Cefalea intensa, insorta improvvisamente e seguita da dolore che si irradia alle regioni occipitale e
cervicale;
Rigidità nucale;
Vomito, fotofobia, letargia;
Perdita di coscienza che può essere di breve durata o permanente con coma apallico, stato vegetativo
o morte cerebrale;
Possibili deficit neurologici focali da ischemia a valle o emorragia meningo- cerebrale;
Possibili convulsioni.
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TERAPIA
Dopo un ESA, la pressione arteriosa va strettamente monitorata e controllata. Un’ipertensione aumenterà la
probzabilità di un risanguinamento dalle complicanze catastrofiche.
Il trattamento farmacologico preoperatorio comprende:
Anticonvulsionanti;
Nimodipina per EV: per contrastare il vasospasmo dei vasi non coinvolti nelll’emorragia;
Corticosteroidi (anti-edemigeni);
Anti-ipertensivi (al bisogno).
CRISI EPILETTICHE
EPIDEMIOLOGIA
Prevalenza del 3-4% della popolazione, di questi pz tutti accuseranno almeno una crisi sintomatica acuta nella
vita. L’1% accuserà una crisi epilettica non provocata e il 2% prima del V anno di età sarà affetto da una crisi
convulsiva febbrile.
VALUTAZIONE IN EMERGENZA DI UNA NUOVA CRISI CONVULSIVA
1. ABC: Airway, Breath, Circulation;
2. Descrizione dell’evento;
3. Esame fisico:
Segni di lato;
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Rigidità nucale;
Esame del fondo oculare.
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IPERTENSIONE ENDOCRANICA
EZIOLOGIA PRINCIPALE:
Traumi cranici: ematomi extradurali, subdurali, etc;
Cerebrovascolari: emorragie, infarto, etc;
Idrocefalo;
Tumori;
Infezione SNC;
Encefalopatie metaboliche;
Stato di male epilettico.
MECCANISMI
Ostacolo al deflusso liquorale per ostruzione del sistema ventricolare;
Riduzione dello spazio utilizzabile nella cavità cranica ad opera della lesione o dell’edema associato;
Ostruzione del sistema di riassorbimento;
Ostruzione al sistema venoso di deflusso.
DIAGNOSI
Sospetto clinico dall’anamnesi, storia di vomito improvviso e cefalee;
EO oftalmologico positivo: doplopia, papilledema all’analisi del fundus;
TC cranio: indagine decisiva + valutazione medica generale;
NB non eseguire mai una puntura lombare in pz con sospetto aumento della pressione endocranica anche se
non è presente papilledema.
TRATTAMENTO
Dipende dalla diagnosi presunta dopo la TC, viene stabilito assieme ai neurochirurghi:
Tumore desametasone EV +/- chirurgia;
Ascessi aspirazione, escissione;
Idrocefalo derivazione del liquor.
Nei pazienti in stato di incoscienza è necessario:
Intubazione e ventilazione assistita;
Mannitolo EV in caso di aggravamento.
EMICRANIA
Cefalea benigna e ricorrente, accompagnata da nausea e/o vomito e/o altri sintomi neurologici (fotofobia,
sensazione di testa vuota, dolorabilità del cuoio capelluto, vertigini, parestesie, alterazione dello stato di
coscienza) in varie combinazioni.
Colpisce il 15% elle donne e il 6% degli uomini.
TIPOLOGIE:
Emicrania senza aura;
Emicrania con aura.
L’aura si manifesta con sintomi visivi, sensoriali, alterazione del linguaggio e motori.
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Terapia in acuto:
Entro 60 minuti emicrania. - triptani
-diidroergotamina
- pracetamolo 1000/ tachicaf
TRATTAMENTO EMICRANIA: - NSAIDs (vari)
Verosimile inefficacia della terapia praticata fino a quel momento o attacchi di maggiore severità rispetto alla
norma:
Sumatriptan sottocute, efficace nel 80-90% dei pz e ripetibile dopo 1 ora. Non deve essere utilizzato
a fini diagnostici perché le altre cefalee posso rispondere positivamente;
Diidroergotamina in pazienti refrattari a metoclopramide o clorpenazina. Controidincata in pazioni
con sepsi, ipertensione, malattie CV;
Desametasone: per stato emicranico.
CEFALEA A GRAPPOLO
Rapporto uomo-donna 5:1; dolore unilaterale,
temporale/sovraorbitario +
Dolore di breve durata; segni di disfunzione
autonomica acuti
Forma episodica e forma cronica;
Variazione di frequenza con le stagioni;
Ritmo circadiano.
Sintomatologia: dolore unilaterale molto severo a sede sovraorbitaria o temporale, associato a iniezione
congiuntivale, lacrimazione, congestione nasale, rinorrea sudorazione, miosi, ptosi, edema palpebrale.
EZIOLOGIA:
H. influenzae: diminuzione dell’80% dopo introduzione del vaccino;
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S. pneumoniae: organismo più comune sia nei bambini che negli adulti di cui rappresenta quasi il
40%. Stanno aumentando i casi per l’aumento delle resistenze agli antibiotici;
N. meningitidis: seconda causa in tutte le età;
SINTOMATOLOGIA: i segnali iniziali ella malattia sono tipici ma non immediatamente riconducibili alla
patologia, riguardano forti dolori alla testa, fotofobia, fonofobia, febbre, nausea, vomito, rigidità del collo e
compara di macchie rosse sulla pelle.
Febbre, rigidità nucale, alterazione dello stato di coscienza sono segni presenti dei 2/3 dei pazienti. Uno ei
tre seni è sempre presente.
Sono possibili anche crisi epilettiche in circa il 23% dei casi.
ESAME OBIETTIVO: sono presenti delle manovre che è possibile effettuare per avvalorare l’ipotesi
diagnostica di meningite. Tra questi:
Rigidità nucale: se si prova ad inclinare in avanti la testa del soggetto questo sposterà in avanti anche
il tronco;
Segno di Brudzinski: flessione del capo segue quella degli arti inferiori;
Segno di Kernig: arti inferiori rigidi in flessione, non si distendono applicando forza dall’esterno.
Questi ultimi due segni sono indice di infiammazione delle radici nervose, i riflessi portano il soggetto ad
evitare lo stiramento delle stesse.
DIAGNOSI
L’esame principe è l’analisi del liquor: utilizzata per individua il cepo batterico, passaggio fondamentale per
elaborare una terapia antibiotica efficace e in grado di risolvere velocemente la malattia.
È possibile avere una meningite “asettica”, a liquor limpido, di origine virale: in questo caso è opportuno
approfondire l’analisi del liquor. In questo caso il linfociti aumentano, le proteine sono leggermente alte e il
glucosio è nella norma.
I virus più frequenti sono gli Herpes, Enterovirus, Virus della parotite.
Esistono anche meningite fungine e parassitare.
Le meningiti non infettive sono dovute a:
Farmaci (FANS, azatioprina, Ig EV, vaccini);
Malattie sistemiche (LES, sarcoidosim carcinomatosi, Behcet).
TRAUMI CRANIO-ENCEFALICI
Commozione cerebrale: perdita di coscienza con caduta a terra associata a fenomeni neurovegetativi (tipo
KO dei pugili). In base alla durata si definiscono:
Lieve: < 30 minuti;
Moderato: < 24 ore;
Grave: > 24 ore.
Al risvegli si avrà amnesia retrograda ed anterograda.
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Encefalopatie dismetaboliche:
Da alterato metabolismo glucidico;
Da alterato equilibrio idro-elettrico, da ipossiemia.
Encefalopatie carenziali:
Da deficit di tiamina (vit B1);
Da defocit di piridossina (vit B6);
Da deficit di cobolamnina (vit B12);
Da deficit di tocoferolo (vit E).
Miastenia gravis
Malattia autoimmune, legata alla presenza di autoanticorpi diretti contro il recettore dell’acetilcolina.
Segni cardine: debolezza e faticabilità.
Crisi miastenica (15-20% dei pazienti): insufficienza respiratoria e debolezza dei muscoli orofaringei 74% dei
casi entro i primi due anni dalla diagnosi.
Associazione con timoma.
Nel 38% dei casi è scatenata da infezione o da nuovi farmaci assunti (attenzione ai cortisonici assunti ed
interrotti bruscamente).
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MORTE CEREBRALE
Il concetto di morte è cambiato nel tempo. Prima si indentificava con la cessazione dell’attività cardiaca.
Successivamente è stato elaborato il concetto di coma dépassé, irreversibile: questi soggetti avevano il cuore
battente, ma completo silenzio elettrico cerebrale.
Poi si iniziò a parlare di diagnosi di morte del SNC.
Il punto fondamentale è alla fine degli anni ’60: si inizia a parlare di morte come “processo”: la morte è
asincrona per i vari organi e apparati, inoltre ci sono dei tessuti che non hanno terminato la loro capacità
lavorativa al momento della morte del soggetto, tanto è vero che posso essere trapiantati organi post-
mortem del soggetto.
Da questo punto in poi ci si è avvicinati al concetto di morte moderna.
ARTICOLO 2
1-La morte per arresto cardiaco si intende avvenuta quando la respirazione e la circolazione sono cessate
per un intevallo di tempo tale da comportare la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo e può
essere accertata con le modalità clinico-strumentali definite con decreto del Ministero della Sanità.
2-La morte nei soggetti affetti da lesion encefaliche e sottoposti a misure rianimatorie si intende avvenuta
quando si verifica la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo ed è accertata con le modalità
clinico-strumentali definite con decreto del Ministero della Sanità.
6-In ogni struttura sanitaria pubblica, la direzione sanitaria nomina uno o più collegi medici per
l’accertamento della morte dei soggetti affetti da lesion encefaliche e sottoposti a misure rianimatorie.
Ciascun singolo caso deve essere seguito dallo stesso collegio medico.
7-Il collegio medico è tenuto a esercitare le sue funzioni in strutture diverse da quelle di appartenenza.
8-La partecipazione al collegio medico è obbligatoria e rientra nei doveri d’ufficio del nominato.
9-Il collegio medico deve esprimere un giudizio unanime sul momento della morte.
Art. 2 – requisiti clinico-strumentali per l’accertamento della morte nei soggetti affetti da lesioni
encefaliche e sottoposti a trattamento rianimatorio:
Assenza dello stato di vigilanza e coscienza, dei riflessi del tronco encefalico e del respire spontaneo;
Assenza di attività elettrica cerebrale;
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ARTICOLO 3
Quando il medico della struttura sanitaria ritiene che sussistano le condizioni definite dal decreto del
Ministero della sanità deve darne immediate comunicazione alla direzione sanitaria, che è tenuta a
convocare prontamente il collegio medico di cui.
Accertamento di morte nei soggeti affetti da lesion encefaliche sottoposti a trattamento rianimatorio, è
necessario verificare la contemporanea presenza di:
Assenza dello stato di vigilanza e di coscienza;
Assenza dei riflessi del tronco encefalico (riflesso fotomotore, riflesso corneale, reazione a stimoli
dolorifici trigeminali, riflesso oculo-vestibolare, riflesso faringeo, riflesso carenale);
Assenza di respire spontaneo con valori documentati di CO2 arteriosa <60mmHg e pH ematico non
oltre 7.4, in assenza di ventilazione artificiale.
Assenza di attività elettrica cerebrale documentata da EEG;
Assenza di flusso ematico cerebrale preventivamente documentatata nelle situazioni particolari
previste dall’art.2 comma 2. L’assenza di flusso ematico è misurata tramite:
o Angiografia cerebrale;
o Doppler transcranico: presenza di reflusso diastolico, spikes sistolici, assenza di segnale;
o Scintigrafia cerebrale.
Novità introdotte:
1- Riduzione del period per tutti a 6 ore, indipendentemente dall’età;
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Anche se c’è necrosi encefalica, il midollo può avere una buona ossigenazione anche senza controllo
superiore. Le fasi che si attraversano sono 3:
Shock midollare;
Recupero di funzionalità;
Ipereccitabilità.
L’attività spinale può essere distinta in:
Riflessa: riflessi osteotendinei, plantari, cutanueo-addominale, cremasterico;
Spontanea: movimento di flessione/estensione degli arti, segno di Lazzaro (opistotono, flessione del
tronco e movimenti degli arti inferiori). Anche automatismi come il dito del piede ondulante.
CERTIFICAZIONE DI MORTE
Necessita di Medico necroscopo e/o Polizia mortuaria.
Secondo l’ART. 3, Legge 29 dicembre 1993: necessaria l’assenza di attività elettrica cerebrale (EEG piatto),
documentata all’EEG eseguito secondo le modalità tecniche riportate nell’allegato 1 al presente decreto.
Metodologia EEG:
Numero di elettrodi = 8;
Derivazioni mono-bipolari;
Reattività alla stimolazione;
Durata e numero di registrazione 30’;
Registrazione su carta.
Viene utilizzato l’EEG perchè è una metodica semplice, è un buon indice di funzione cerebrale, tuttavia valuta
soltanto la corteccia. Quindi è stata eseguita una prova con elettrodi in profondità, nei nuclei della base: il
risultato è stato che ad un EEG piatto corrisponde un’assenza di attività anche nelle strutture encefaliche
profonde.
Ad un EEG piatto corrisponde la colliquazione dell’encefalo morte cerebrale. Gli altri organi sono ancora
buoni, tanto è vero che si trapiantano. Tutti gli organi si possono trapiantare ad eccezione dei genital (in
Italia).
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Per silenzio elettrco corticale si intende un’attività spontanea e provocata di ampiezza non superior a 2 uV
per almeno 30 minuti.
Anche i potenziali evocati si annullano.
Non ci si deve confondere quando sono presenti delle attività elettriche anomale, dovute asd esempio alla
presenza di un pacemaker. L’EEG non sarà piatto ma il soggetto sarà in morte cerebrale.
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Spesso il neurologo può essere chiamato in caso di arresto per o sviluppo di anossia cerebrale. La patogenesi
del danno cerebrale è dovuta ad accumulo intracellulare di calcio, aumento delle concentrazioni
extracellulare di glutammato, aspartato e radicali liberi. Il danno può svilupparsi anche dopo 7-10gg
dall’evento e manifestarsi come coma o encefalopatia demielinizzante. Si possono avere gravi
compromissioni della funzione cognitiva, segni piramido-extrapiramidali, convulsioni, alterazioni della
personalità, mioclonie. La compromissione del midollo spinale è più rara e generalmente interessa solo i
territori al di sotto di T5.
Se la durata dell’arresto cardiaco è inferiore a 5 minuti si ha solo una temporanea perdita di coscienza.
In corso di IR con ipercapnia, l’aumento di CO2 induce vasodilatazione cerebrale, ipertensione endocranica e
riduzione del pH, che conducono allo sviluppo di encefalopatia respiratoria.
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aumento acuto della ICP per vasodilatazione intracranica
Sbobine 2.0
La rapida correzione dell’ipercapnia può determinare l’insorgenza di crisi epilettiche e alterazioni dello stato
di coscienza, verosimilmente su base ischemica.
NB: cefalea notturna o al risveglio e sonnolenza diurna → sintomi di allarme di un quadro di insufficienza
respiratoria cronica
A questi si associano anche alterazione del ritmo sonno-veglia, deficit di attenzione, stato progressivo di
confusione fino al coma. sistema piramidale
Inizialmente si possono osservare ipertonia, iperreflessia profonda, Babinsky bilaterale, paratonia, atassia,
disartria poi compaiono ipotonia e areflessia. sistema extrapiramidale
Sono comuni anche i segni extrapiramidali quali ipomimia, rigidità, bradicinesia, tremore (flapping tremor),
discinesie.
MORBO DI WILSON
Si tratta di una malattia del metabolismo del rame, trasmessa con modalità autosomica recessiva, il cui gene
è stato localizzato sul braccio lungo del cromosoma 13. La malattia è determinata da un difetto
nell’escrezione biliare del rame, con accumulo di rame a livello epatico, encefalico, renale, corneale e osso.
Rientra in DD con tutti i disordini extrapiramidali perché si può manifestare con un quadro di parkinsonismo,
per questo si deve indagare soprattutto in quei pazienti che presentano aumento costante delle transaminasi
apparentemente non spiegabile. Bisogna ricordare che tale malattia può manifestarsi sia con disturbi
neurologici che solo con segni di disfunzione epatica: il riscontro di controlli seriati di aumento delle
transaminasi, non altrimenti spiegabile, deve condurre a uno studio del metabolismo del rame. Può
succedere che le manifestazioni neurologiche precedano la diagnosi della malattia di Wilson.
ipertransaminasemia
persitente NDD +
parkinsonismo
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Sbobine 2.0
MORBO DI WHIPPLE
Si tratta di un’affezione multisistemica di verosimile eziologia infettiva, caratterizzata clinicamente da un
corteo sintomatologico complesso e di difficile inquadramento (malassorbimento, steatorrea, artralgia,
artrite non deformante, linfoadenopatia e disturbi neurologici presenti solo nel 10% dei casi).
Il pz non sempre può sempre giungere dal giusto specialista e il quadro sistemico rende più difficile la
diagnosti. I disturbi neurologici sono rari ma cmq importanti. Il quadro neurologico più comune è dato da
progressiva alterazione delle funzioni cognitive (demenza), più raramente disturbi visivi, papilledema,
oftalmoplegia, alterazioni stato di coscienza, etc. La diagnosi è clinica e deve essere sospettata in base
all’interessamento multistisemico e talvolta si può notare la presenza di pleiocitosi linfocitaria e
iperproteinorrachia. Il trattamento può portare a regressione delle manifestazione neurologiche.
MORBO CELIACO
È una malattia autoimmune caratterizzata da malassorbimento, steatorrea, perdita di peso e da lesione a
carico della mucosa del piccolo intestino. Diversi markers biologici (anticorpi antigliadina, anti-endomisio)
possono essere associati a questa malattia, insidiosa e spesso sottostimata.
Le manifestazioni neurologiche in corso di celiachia comprendono: epilessia (25%), mioclono, calcificazioni
occipitali, sindromi atassiche, neuropatie periferiche di tipo assonale e demielinizzate, oftalmoplegie
internucleari. Verosimilmente la causa di tali disturbi è su base immunitario e legato a deficit vitaminici (acido
folico, vit E). La maggior parte dei disturbi neurologici, tranne le neuropatie periferiche, non risente di una
dieta priva di glutine.
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IPERNATRIEMIA: si manifesta alterazione dello stato di coscienza quando la natriemia è > 160 mEq/L.
- Mieloma multiplo: può dare fenomeni compressivi a livello del midollo spinale, cauda e radici. Ci
possono essere coinvolgimento dei nervi cranici, mieloma intracranico, mieloma meningeo e
neuropatia periferica. gammopathy-associated-
neuropathy: neuropatia
- Macroglobulinemia di Waldestrom demielinizzante da CM anti-MAG
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Sbobine 2.0
- IPOTIROIDISMO: disturbi della concentrazione, apatia, calo timico, fino alla psicosi. Tutti reversibili
con la terapia.
PARATIROIDI
- MIOPATIA IN IPERPARATIRODISMO
o Iperparatiroidismo primario (adenoma paratiroidi)
o Iperparatiroidismo secondario (es. insufficienza renale cronica)
La miopatia in genere è rara: si manifesta con debolezza ed atrofia muscolare prossimale, senza
miotonia; si può associare a neuropatia periferica nel 25%. In genere il grado di debolezza muscolare
non si correla con i livelli di calcemia ma con i valori di PTH. CK nella norma, aumento calcemia, EMG
con quadro miopatico in assenza di attività spontanea.
- COMPLICANZE MUSCOLARI NELL’IPOPARATIROIDISMO
La causa più frequente è dovuta alle sequele post-chirurgiche. Si sviluppano ipocalcemia e
ipomagnesemia che hanno un effetto di ipereccitabilità sulle fibre nervose, questo induce disestesie,
crampi e spasmi muscolari, segno di Chvostek e di Trousseau. La miopatia è rara
nell’ipoparatiroidismo cronico ma più frequenti debolezza e lieve aumento della CK. La biopsia
muscolare può essere normale o con lievi alterazioni aspechifiche. La tp è a base di vitamina D e
calcio.
GHIANDOLE SURRENALI
- MIOPATIA STEROIDEA
o Cause iatrogene
o MALATTIA DI CUSHING: la miopatia nel Cushing è una manifestazione costante (45-90% dei
casi). Tutti i distretti muscolari possono essere interessati, più frequentemente i distretti
prossimali. Vi può essere prevalente interessamento della muscolatura respiratoria (talora
l’IRA può essere il sintomo d’esordio). L’EMG mostra un quadro di miopatia. Tuttavia, è raro
che venga identificato un Cushing primariamente dal neurologo.
- MALATTIA DI ADDISON: è una condizione di insufficienza surrenalica che si manifesta con miopatia
nel 50% dei casi. Si osserva inoltra severa ipostenia generalizzata, crampi muscolari, fatica precoce e
insufficienza respiratoria. Si associano CK normale, iperpotassemia, iponatriemia, EMG normale. La
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Inoltre, i candidati al trapianto sono spesso affetti da disturbi neurologici correlati alla insufficienza d’organo
terminale di cui sono portatori. Il neurologo riveste quindi un ruolo cruciale nella valutazione del paziente
inserito nel programma dei trapianti d’organo.
COMPLICANZE ORGANO-SPECIFICHE
Trapianto di fegato: Trapianto di rene:
• Encefalopatia da iperammonemia; • Neuropatia;
• Crisi comiziali; • Encefalopatia uremica;
• Stroke; • Stroke;
• Cefalea; • Linfoma.
• Tremore;
• PRES;
• Demielinizzazione osmotica;
• Mielopatia epatica.
Trapianto di polmone: Trapianto di cuore:
• Polineuropatia; • Stroke;
• Encefalopatia; • Toxoplasmosi con coinvolgimento del SNC.
• Miopatia;
• Infezione del SNC (legate a Rituximab).
Inoltre, nel 45% circa dei pazienti sottoposti a trapianto e a lunghi periodi di terapia immunosoppressiva è
stata rilevata all’autopsia la presenza di infezioni micotiche sistemiche. In un terzo di questi pazienti vi era
un coinvolgimento del SNC.
I microorganismi più comuni sono Criptococcus, Listeria, Aspergillus, Candida, Nocardia, Histoplasma,
Toxoplasma e Citomegalovirus.
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Una volta riattivato, il virus infetta l’oligodendroglia, determinandone la demielinizzazione. Questo pattern
patogenetico è molto interessante perché coincide, in pratica, con il 3° modello di demielinizzazione descritto
nella SM.
Si realizzano quindi focolai di demielinizzazione nella sostanza bianca sottocorticale del cervello e, in misura
minore, del cervelletto e del tronco. L’elemento
istologico più caratteristico è la presenza di
inclusioni nucleari basofile nelle cellule
dell’oligodendroglia, osservabili alla periferia delle
lesioni.
Gli assoni, anche se non primitivamente attaccati,
vanno rapidamente in necrosi, innescando una
reazione fagocitaria indistinguibile da quella che si
osserva negli infarti.
QUADRO CLINICO
L’esordio è subdolo, con astenia. La clinica comunque è aspecifica e si riesce ad attribuirla alla PML se
contestualizzata al quadro clinico del malato.
La progressione è rapida e devastante in pochi giorni o settimane e si arriva a deficit del visus, cambiamenti
comportamentali o di personalità, disturbi della memoria e dell’orientamento fino a quadri veri e propri di
confusione mentale, crisi epilettiche.
La diagnosi si effettua tramite esame del DNA del virus JC nel liquor e al momento non si hanno terapie
efficaci.
La diagnosi si basa, oltre che sulla conoscenza del quadro complessivo del paziente (di per sé fortemente
suggestivo), sulla RM con e senza gadolinio. Una volta identificata, è fondamentale la sospensione del
farmaco fino alla risoluzione dei sintomi, che avviene piuttosto rapidamente.
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ENCEFALOPATIA DI WERNICKE-KORSAKOFF
L’encefalopatia di Wernicke-Korsakoff è una polioencefalite emorragica superiore, dovuta al deficit di
tiamina (vitamina B1). È caratterizzata da disturbo oculomotorio (nistagmo, paralisi dei nervi abducenti),
paralisi dei movimenti oculari coniugati, andatura atassica e stato confusionale. I sintomi hanno
generalmente esordio improvviso e possono verificarsi singolarmente o, più spesso, in associazioni e
combinazioni diverse.
La prevalenza media nella popolazione generale è 1/3.800 mentre tra i pazienti trapiantati, la prevalenza
varia a seconda dell'organo trapiantato e dell'agente immunosoppressivo utilizzato.
La patogenesi spesso è strettamente correlata ad un’infezione del virus di Epstein Barr (EBV) e può essere
localizzata oppure generalizzata e può coinvolgere l'organo trapiantato.
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Dal momento che i sintomi iniziali come la febbre, il malessere e la perdita di peso sono aspecifici, la PTLD
dovrebbe essere presa in considerazione in tutti i pazienti che ricevono un trapianto.
Negli ultimi anni è stato osservato un aumento della sopravvivenza attraverso le misure di profilassi
(prevenzione dell'infezione da virus di Epstein Barr nei pazienti sieronegativi) e di terapia (gestione
dell'immunosoppressione).
I pazienti EBV- sottoposti a trapianto d’organo da un donatore EBV+, presentano il maggior rischio di
sviluppare disordini linfoproliferativi post-trapianto.
Si presenta più comunemente come complicanza del trattamento dei soggetti affetti da grave iponatriemia,
spesso a seguito di concentrazioni di sodiemia che mettono a rischio la vita del paziente. La sindrome si
verifica come conseguenza di un rapido aumento della tonicità sierica dopo trattamento di individui con
iponatremia grave e cronica, che presentano adattamenti intracellulari allo stato di ipotonia persistente in
cui versano. Al fine di prevenire la mielinolisi pontina centrale, l'iponatriemia deve essere corretta ad una
velocità non superiore a 12-20 mmol/L di sodio al giorno.
Anche se è meno comune, la sindrome può anche presentarsi in soggetti con una storia di alcolismo cronico
o di altre condizioni legate ad una ridotta funzionalità epatica. In questi casi, la condizione è spesso correlata
alla correzione delle concentrazioni di sodio o dello squilibrio elettrolitico.
PATOLOGIE CEREBROVASCOLARI
Le patologie cerebrovascolari sono strettamente correlate all’invecchiamento delle arterie. Si configurano
come conseguenze di ipertensione e dislipidemia, che possono essere ricondotte agli effetti avversi di alcuni
farmaci immunosoppressori. Si possono quindi avere:
• IMA;
• Ictus ischemico;
• Ictus emorragico.
COMA
Il coma viene definito come un profondo stato di incoscienza che può essere provocato da intossicazioni
(stupefacenti, alcool, tossine), alterazioni del metabolismo (ipoglicemia, iperglicemia, chetoacidosi; cause
più comuni) o danni e malattie del sistema nervoso centrale (ictus, traumi cranici, ipossia).
La gravità e la profondità dello stato di coma si misura in termini di Glasgow Coma Scale (scala GCS) che, in
base alle risposte a vari stimoli, va da 3 (coma profondo) a 15 (paziente sveglio e cosciente). Esistono degli
stati intermedi di innocoscienza in cui si ha un minimo controllo della coscienza (dal 5% al 75-80%).
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Il coma è diverso dallo stato vegetativo che a volte può susseguire ad esso: un paziente in stato vegetativo
ha perso le funzioni neurologiche cognitive e la consapevolezza dell'ambiente intorno a sé, ma mantiene
quelle non-cognitive e il ciclo sonno/veglia; può avere movimenti spontanei e apre gli occhi se stimolato, ma
non parla e non obbedisce ai comandi.
POLINEUROPATIA IMMUNOMEDIATA
La polineuropatia immunomediata è caratterizzata dalla distruzione dei nervi periferici. Sono rappresentate
da:
• Sindrome di Guillain-Barrè (GBS);
• Poliradicolonevrite infiammatoria demielinizzante cronica (CIDP);
• Neuropatie croniche con auto-Ab verso i nervi periferici.
SINDROME DI GUILLAIN-BARRÈ
La sindrome di Guillain-Barrè è una poliradicolonevrite acuta, ad esordio rapido, che può evolvere in paralisi
totale e insufficienza respiratoria nell'arco di giorni dall'esordio. È spesso preceduta da infezioni o
vaccinazioni che sono considerati fattori "scatenanti". La malattia è autolimitante, con recupero spontaneo
nell'arco di 6- 8 settimane, ma talora permangono degli esiti.
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I principali fattori di rischio sono sepsi, insufficienza multiorgano, sesso femminile, uso di corticosteroidi,
iperglicemia, alterazioni idroelettrolitiche, malnutrizione e immobilizzazione.
Le caratteristiche morfologiche della CIP comprendono la degenerazione assonale primitiva delle fibre
sensitive e motorie periferiche senza evidenza di infiammazione.
• Il tessuto muscolare mostra isolate fibre atrofiche nella denervazione acuta e gruppi di fibre
atrofiche nella denervazione cronica;
• Nel SNC si osserva cromatolisi centrale delle cellule delle corna anteriori e la perdita di cellule dei
gangli dorsali a causa del danno assonale nei nervi periferici.
Il trattamento comprende terapia della sepsi e della MOF (focolaio infettivo, volumi, aritmie, coagulazione),
terapia della insufficienza respiratoria, fisioterapia e terapie riabilitative (almeno 4 mesi).
MIOPATIE
Patologie come la miopatia acuta quadriplegica, la miopatia acuta da unità Intensiva, la miopatia acuta con
lisi selettiva dei filamenti di miosina e la miopatia acuta necrotizzante da unità Intensiva si sviluppano
secondariamente ad un ricovero quando si utilizzano elevate dosi di corticosteroidi (>1 gr/die).
Si hanno solo segni motori, con riflessi tendinei profondi ridotti o assenti e i livelli di CPK possono essere
moderatamente aumentati, tranne che nel corso di miopatia acuta necrotizzante. La biopsia muscolare
mostra una perdita distinta di filamenti di miosina e livelli variabili di atrofia e necrosi delle fibre muscolari.
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La SIRS (sindrome da risposta infiammatoria sistemica) è caratterizzata da:
• Tc < 36° o > 38°C;
• Fc > 90 bpm;
• Fr > 20 atti/min;
• pCO2 < 32 mmHg;
• Conta leucocitaria < 4.000 o > 12.000.
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