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MEDICINA E CHIRURGIA

Corso Scienze Neurologiche LZ

Sbobine2.0
AA 2019/2020

NEUROLOGIA
PROF. G. SICILIANO, PROF. F. SARTUCCI
Sbobine2.0

Professor Gabriele Siciliano


Professore Ordinario
Specializzazione in Neurologia e Medicina Fisica e Riabilitativa
Dirigente medico U.O. Neurologia, AOUP
gabriele.siciliano@unipi.it

Professor Ferdinando Sartucci


Professore Associato
Specializzazione in Neurologia e Neuropsichiatria Infantile
Direttore S.D. Neurofisiopatologia Universitaria, AOUP
ferdinando.siciliano@unipi.it
Sbobine 2.0

NEUROFISIOLOGIA CLINICA
STORIA DELLA NEUROFISIOLOGIA CLINICA
La storia della Neurofisiologia Clinica è iniziata in un periodo in cui l’applicazione dell’elettricità sul corpo
umano si effettuava in modo empirico per curare i disturbi mentali. Il primo lavoro scientifico presente in
letteratura sull’argomento è una tesi del 1749 dal titolo “Dissertatio medica. De hemiplegia per
electricitatem curanda”, ovvero “La cura dell’emiplegia con l’elettricità”. Desahies, il giovane medico che
scrisse questa tesi, vide che, dando degli stimoli elettrici agli arti emiplegici, questi si muovevano.
In seguito, vi furono degli esperimenti effettuati da Giovanni Aldini, il nipote di Galvani, con l’elettroshock,
effettuato con la pila di Volta come generatore di carica elettrica. Questo era, in un’epoca in cui non
esistevano psicofarmaci, l’unico presidio terapeutico per i pazienti con disturbi psicomotori e psichiatrici
maggiori.
La Neurofisiologia Clinica inizia però con Luigi Galvani, un anatomico e chirurgo che, con dei noti esperimenti
sulla rana (che, in passato, venivano effettuati come esercitazione dagli studenti di Medicina), individuò il
ruolo dell’elettricità alla base della funzionalità dei tessuti eccitabili.
Galvani era solito appendere le zampe posteriori di rana (recise in corrispondenza del midollo spinale,
lasciando penzolare i nervi sciatici) alla ringhiera di metallo di un terrazzo, collegate tramite dei cavi metallici
tesi in alto. Sorprendentemente, le zampe si muovevano.
Questi esperimenti causarono dei dissidi con Volta, che, presso l’ateneo di Pavia, aveva costruito la pila e
sosteneva che l’esperimento di Galvani copiasse il funzionamento della sua invenzione.
Si dice che non fu Galvani, ma la sua cameriera a scoprire l’esperimento: mentre si preparava a servire a una
cena delle rane fresche su un vassoio di metallo, alcune le caddero per terra, nel raccoglierle, si accorse che
le gambe delle rane saltellavano per terra (era il metallo che conduceva una stimolazione nei nervi dei
muscoli posteriori della rana, determinandone la contrazione).
Un fisiologo francese confermò le osservazioni di Galvani mediante un esperimento sulla contrazione
muscolare che sfruttava un rudimentale galvanometro, che registrava delle variazioni di potenziale durante
i movimenti della mano immersa in un bicchiere d’acqua.
Richard Calton scoprì l’EEG e, senza accorgersene, i potenziali evocati. Con degli esperimenti sul coniglio,
scoprì che la corteccia dell’animale, aveva un’attività elettrica pulsatile, che cessava con la morte. Il decesso
corrisponde infatti alla cessazione dell’attività elettrica cerebrale, non all’arresto cardiaco.
Questo fu l’inizio della Frenologia, disciplina che studiava la localizzazione topografica delle funzioni
cerebrali. Le sperimentazioni venivano effettuate soprattutto sul cervello del cane: dando, per esempio, uno
stimolo luminoso agli occhi, si attivavano elettricamente alcune aree specifiche, diverse da quelle reclutate
dagli stimoli acustici. Toccando la zampetta dell’animale, si osservano delle deflessioni del tracciato, ovvero
dei potenziali evocati, espressione di una modificazione dell’attività bioelettrica della corteccia post-
rolandica controlaterale. Il fenomeno, all’epoca, venne considerato un artefatto, mentre oggi i potenziali
evocati sono utilizzati come esame di valutazione funzionale del sistema nervoso centrale.
Sempre sul cane, venne registrata la prima crisi epilettica, condizione a cui alcune razze, come il barboncino,
sono particolarmente soggette. A un certo punto, sul tracciato compare un’attività caotica, che corrisponde
alla convulsione dell’animale.
La scoperta fondamentale fu che la crisi epilettica è un’attività bioelettrica disordinata, quindi una patologia
del sistema nervoso centrale. Questa consapevolezza costituì una rivoluzione, dato che, prima, l’epilettico
era ritenuto posseduto dal demonio. Alcuni esempi sono il bambino posseduto dallo spirito immondo
descritto nei Vangeli e le molte personalità illustri che soffrivano d’epilessia, tra cui Giulio Cesare, che faceva
fuggire i presenti durante le sue crisi di grande male, Alessandro Magno, Dostoevskij, Napoleone.
Sempre nel cane, fu scoperta l’organizzazione dei toni nella cortezza temporale.
Hans Berger, uno psichiatra tedesco, fu il primo a registrare l’EEG, con un solo elettrodo, sullo scalpo del
figlio. Nella prima pubblicazione, che risale al 1929, in cui descrisse l’EEG, ebbe un’onestà scientifica rara,
ringraziando Carlton e riconoscendone il ruolo nella scoperta.

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SEMEIOTICA STRUMENTALE

ELETTROENCEFALOGRAFIA
È stata la prima metodica strumentale nella storia della Neurologia
e nella Psichiatria, la più utilizzata fino all’inizio degli anni ’80,
quando sono comparse le metodiche di neuroimaging.
A destra è riportato uno schema molto vecchio, che descrive i
componenti fondamentali della metodica: si pongono degli
elettrodi sullo scalpo, collegati a un sistema di amplificazione, che
carica il segnale dell’attività elettrica corticale e lo indirizza al CAD.
I dati si possono stampare su carta, vedere sul monitor,
sull’oscilloscopio, si possono archiviare su un dispositivo
magnetico, si possono vedere su smartphone e tablet. Oggi
esistono dei dispositivi che consentono di registrare l’EEG anche a
casa.

L’EEG consiste nella registrazione, attraverso lo scalpo integro,


dell’attività elettrica spontanea della corteccia cerebrale. La
collocazione degli elettrodi è effettuata secondo uno schema
convenzionale, il sistema internazionale 10-20: vengono
applicati 4 elettrodi a livello dell’inion (prominenza occipitale),
del nasion (area depressa tra i due occhi) e sui due punti
preauricolari; a partire da questi punti gli elettrodi vengono
posizionati a una distanza, l’uno dall’altro, del 10% o 20%.
Il codice T3 corrisponde universalmente alla posizione
temporale sinistra.

FREQUENZE DI BASE DELL’EEG


Le caratteristiche dell’EEG variano nel tempo e dipendono dagli stati di attivazione cerebrale fisiologici (es.
sonno, veglia) e non (coma). Si registrano quattro frequenze principali:
• Alpha, 8-13 Hz - in un EEG normale, in condizioni
di veglia l’attività alfa compare soprattutto nelle
regioni occipitali, mentre non è presente nelle
regioni anteriori, dove si evidenziano delle
piccole onde beta. Queste onde diminuiscono
con l’età. Inoltre, fornendo uno stimolo sensitivo
al soggetto, è sufficiente l’apertura degli occhi
per determinarne la scomparsa (fenomeno
definito reazione d’arresto).
In alcuni soggetti in coma nei reparti di
Rianimazione, si presenta un’alfa diffusa, che
non regredisce, una condizione detta alfa coma, legata a una prognosi infausta.
• Beta e gamma, > 13 Hz (rispettivamente 14-30 e 30-42 Hz, non studiate in clinica)
• Theta 4-8 Hz
• Delta: < 3,5 Hz. Delta sta per death, poiché è stato osservato che quest’attività compariva nel cervello
dei soggetti prossimi alla morte. Fisiologicamente compaiono nell’adulto solo nel sonno, o nei
bambini piccoli.

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L’ampiezza delle onde dipende dal numero di neuroni che scaricano in maniera sincrona: l’onda è tanto più
ampia all’aumentare della sincronicità (es. epilessia).

STIMOLAZIONE LUMINOSA INTERMITTENTE


Nell’EEG di base, per attivare il cervello e suscitare delle onde abnormi, per esempio per slatentizzare
l’epilessia, si ricorre alla stimolazione luminosa intermittente, che attiva la corteccia occipitale con dei flash
luminosi. In passato si utilizzava per testare la visione, tuttavia, il trascinamento dovuto alla stimolazione
luminosa intermittente non compare in tutti i soggetti, quindi non si tratta di un test sicuro.

EEG PATOLOGICI
Dal punto di vista concettuale, le anomalie elettroencefalografiche possono essere raggruppate in tre grosse
categorie: epilettiformi, encefalopatiche, da lesioni cerebrali.
A seguire sono riportati alcuni esempi di alterazioni EEGgrafiche.

PUNTA-ONDA E POLIPUNTA ONDA GENERALIZZATE


Nel tracciato a sinistra si osserva un complesso di onde con punta stretta: si tratta di una crisi epilettica. Il
tracciato a destra mostra un polipunta-onda, che si registra nello stesso soggetto durante il sonno.
Quest’attività parossistica è patognomonica di epilessia in modo analogo al sovraslivellamento del tratto ST
nell’infarto cardiaco.

Talvolta, l’attività bioelettrica abnorme, apparentemente


generalizzata, origina in zone localizzate del cervello, ad
esempio nella corteccia fronto-oculare (crisi parziale,
focale, lesionale), ma poi può seguire una secondaria
generalizzazione. Bisogna approfondire con le
neuroimmagini, e scegliere il trattamento (quello
chirurgico può molto probabilmente risolvere le crisi, per
esempio mediante rimozione di un angioma).

Il tracciato a destra è tipico di una forma di epilessia molto comune, spesso


scoperta dagli insegnanti, che notano che il bambino è distratto, non
risponde ai richiami, si gira dall’altra parte, tutti fenomeni legati a una
perdita di contatto con l’ambiente.
Si tratta del piccolo male o assenza, che può essere generata
dall’iperventilazione (con secondaria alcalosi). Questo spiega la possibile
insorgenza di una crisi durante l’attività sportiva. Inoltre, per la diagnosi di
piccolo male si possono effettuare delle prove sottoponendo il bambino
all’iperventilazione mentre si registra l’EEG. Il tracciato mostra una scarica
generalizzata di complessi punta-onda.

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Nella crisi tonico clonica generalizzata (grande male), non sempre è possibili collocare elettrodi e registrare
l’EEG a causa dei movimenti tonico-clonici generalizzati. Questo EEG è stato registrato durante il sonno.

In alcuni soggetti epilettici, sono presenti anomalie anche al di fuori delle crisi, scariche epilettiformi
intercritiche, caratterizzate da complessi punta-onda o polipunta-onda. La diagnosi si effettua
somministrando antiepilettici e verificando se le alterazioni EEG spariscono.

Crisi focale frontale


Una scarica focale a partenza dalla
regione frontale destra (regione peri-
rolandica) si trasmette ai neuroni vicini,
fino a indurre una crisi motoria
jacksoniana. Clinicamente parte dalla
bocca, si diffonde al braccio, poi all’arto
inferiore (la crisi si propaga seguendo la
circonvoluzione).

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Crisi del lobo temporale


È una crisi parziale, la più comune crisi epilettica. Queste crisi sono sempre brevi, di alcuni minuti, mai di ore,
caso in cui si tratta di una patologia psichiatrica.

Il professore mostra video di crisi parziale complessa, crisi parziale motoria, crisi frontale.
• Crisi parziale complessa: il paziente diventa confuso, non risponde, manifesta automatismi bucco-
linguali, che si propagano al braccio, con movimenti di tipo masturbatorio. L’EEG è la prova che si
tratta di un disturbo di natura comiziale, altrimenti potrebbe trattarsi di un disturbo
psichiatrico/psicogenico, che non ha la positività EEG.
• Crisi parziale motoria: sono presenti tremori, piccole scosse, clonie, EEG con punte.
• Crisi frontale o versiva: il paziente si gira, con atteggiamento da schermidore, non risponde, compare
la versione degli occhi. Risponde al contatto.
Individuare l’origine della crisi è importante per stabilire il trattamento.

Talvolta i segni all’EEG sono minimi, ma si vedono onde lente,


aguzze, focali durante il sonno.
Compaiono soprattutto dopo privazione di sonno, molto
pericolosa, specialmente nei giovani. Spesso le crisi epilettiche
compaiono la mattina dopo una notte insonne, altri fattori sono
le luci psichedeliche delle discoteche o di alcuni cartoni animati
(Pokemon). La diagnosi si effettua chiedendo al paziente di non
dormire e di presentarsi la mattina presto in ambulatorio: non
appena si addormenta compaiono le crisi epilettiche.

Alcune epilessie, come quelle inter-rolandiche, tipiche dei


bambini, compaiono soprattutto nel sonno e sono benigne,
scompaiono da sole, ma talvolta vengono curate lo stesso perché
la caduta di saliva dalla bocca spaventa insegnanti e genitori.

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RALLENTAMENTO GENERALIZZATO
Tutto il tracciato a sinistra è costituito da onde delta, si tratta di un soggetto in coma, in questo caso da
encefalite. L’EEG è molto sensibile alle patologie infiammatorie infettive del SNC.
Il secondo EEG (a destra) è di un paziente con demenza di tipo Alzheimer. Bisogna tenere conto che
nell’anziano l’EEG rallenta fisiologicamente (alfa intorno a 8 Hz). Si registra un’attività lenta, focale. È
conservata la reazione d’arresto all’apertura degli occhi.

RALLENTAMENTO FOCALE
L’EEG in basso mostra un’attività lenta focale nelle
regioni anteriori di sinistra, con focolaio di onde delta
dal lobo frontale, in un paziente con astrocitoma (che
andrà sicuramente incontro a crisi epilettica).

TRACCIATO IPSARITMICO
Tipico degli spasmi infettivi. È un tracciato patologico
che, se non trattato, può lasciare un’encefalopatia
epilettica grave, con gravi deficit cognitivi e
comportamentali.

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ONDE TRIFASICHE
Hanno diversi significati. Per esempio, possono
presentarsi in un paziente in coma con emorragia
sub-aracnoidea, in insufficienza renale, ma le più
importanti sono le onde trifasiche diffuse tipiche
di encefalopatia porto-sistemica (coma epatico).

ATTIVITÀ PERIODICA PSEUDORITMICA


A destra è riportato un tracciato con onde aguzze di
un paziente con Encefalopatia di Creutzfeldt-
Jacob, molto famosa è anche una variante,
l’encefalopatia spongiforme bovina. L’EEG è un test
molto sensibile, la patologia è visibile anche alla
RM. L’attività è periodica e pseudoritmica, con
punte bi- e trifasiche diffuse.

BURST SUPPRESSION
Tracciato caratterizzato da “scoppi” di attività
RI ASSUM ENDO…
alternati a “burst suppressoion” in cui l’attività cessa
per poi riprendere. Sono tipici di traumi cranici,
coma barbiturico (in passato l’EEG era usato per
RI ASSUM ENDO…
dosare il barbiturico per indurre il coma, quando le
Activity
pause tra attività elettrica duravano 5 s il Activity
sedativo
era sufficiente). Questo tracciato è stato registrato
in un paziente dopo arresto cardiaco.

SILENZIO ELETTRICO CEREBRALE


È la fase successiva del caso precedente. Consente di riconoscere la morte
cerebrale del paziente (oggetto di un’altra lezione). La morte cerebrale è
SSUM ENDO…
diagnosticata se è riportata un’assenza di attività elettrica cerebrale, spontanea e
provocata, di ampiezza > 2 uV per una durata continuativa di 30’.

UM ENDO…
RIASSUMENDO
Le immagini che seguono schematizzano le principali onde esaminate: punta-onda, polipunta-onda, onde
trifasiche, burst-suppression.

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POLIGRAFO
Consente di registrare, oltre all’EEG, altre attività, come l’attività muscolare e il respiro. È utile soprattutto
per lo studio del sonno.
Il sonno attraversa più stadi:
• Stadio 1: l’attività alfa inizia a scomparire
• Stadio 2: comparsa di pattern tipici: fusi del sonno e complessi K. Attività teta.
• Stadio 3 e 4: attività delta.
• Stadio REM: da rapid eye movements, tracciato simile a quello della veglia. È la fase del sogno: se si
risveglia il soggetto in questa fase, questo sta sempre sognando.
Il sonno è oggi oggetto di molte indagini, un aspetto particolarmente studiato è il ruolo regolatore degli
ormoni, molti dei quali hanno un andamento circadiano.
Un’altra problematica di grande interesse (anche per motivi economici) è il sonno non ristorativo: il prodotto
farmaceutico deve alterare il meno possibile la struttura del sonno.

ELETTROMIOGRAFIA
È una metodica che consiste nella registrazione dell’attività
elettrica di singole unità motorie, in cui riveste grande
importanza lo spessore professionale dell’operatore che la
esegue.
Viene usato l’ago-elettrodo concentrico coassiale,
introdotto negli anni ’20 da due fisiologi inglesi, Bronk e
Brown. Esistono anche altri aghi particolari, che consentono
di registrare l’attività di singole fibre muscolari (SFEMG), ma
sono appannaggio nei neurofisiologi con maggiore abilità
professionale.

L’unità motoria è costituita da un motoneurone, dalla sua radice, dall’assone, dalle diramazioni terminali e
dalle fibre muscolari da esso innervato. Se si inserisce un ago-elettrodo, e arriva un potenziale d’azione, prima
viene registrata l’attività delle fibre vicine alla punta dell’ago, poi quella delle fibre più lontane.

Nel muscolo a riposo non si registra alcuna attività elettrica.


Durante la contrazione volontaria viene registrato un
potenziale d’azione dell’unità motoria (MUP), risultato
dalla somma dell’attività di tutte le fibre presenti nel campo
di registrazione dell’ago.
Oggi, mediante tecniche di decomposizione, è possibile
risalire ai singoli potenziali a partire dall’EMG.
Mediante registrazione dell’attività elettrica, l’EMG
consente di valutare una condizione patologica del
muscolo, discriminando se essa dipenda da un processo
intrinseco ad esso (miopatia) o se secondaria a patologia
del nervo o della cellula motrice delle corna anteriori
(neuropatia).

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DANNO MIOPATICO
Nell’immagine sono schematizzate alcuni tipi di danno
miopatico: mentre nel muscolo normale le fibrocellule sono
omogenee, distribuite uniformemente, nel muscolo
miopatico sono presenti fibre grosse, che rappresentano un
tentativo di rigenerazione. A seconda di dove si inserisce
l’ago, si registrano aspetti diversi.

DANNO NEUROGENO
Nel danno neurogeno, alcune fibre perdono
l’innervazione, sono “off”, e danno origine a un’attività
scoordinata da denervazione: il muscolo fibrilla. Con il
passare del tempo, alcune fibre muscolari vengono
reinnervate da fibre nervose limitrofe.

ELETTRONEUROGRAFIA
Lo studio della velocità di conduzione del nervo serve per verificarne l’integrità e, in caso di lesione,
identificare se questa è focale, diffusa, localizzata o in molteplici distretti (polineuropatia, es. p. diabetica).
I nervi sono i fili elettrici dell’organismo, per esaminarne il funzionamento occorre metterli in funzione, non
è sufficiente una Rx o RM con cui all’apparenza il nervo può essere intatto, ma aver subito un danno
funzionale. Il danno può essere secondario a una stiratura, o una compressione tale da causare ischemia,
situazioni piuttosto frequenti in corso di interventi chirurgici.
È possibile studiare separatamente la velocità di conduzione nelle fibre motorie e in quelle sensitive.

VELOCITÀ DI CONDUZIONE SENSITIVA


La maggior parte dei nervi è mista, ovvero comprende una componente motoria e una sensitiva. In passato,
i chirurghi valutavano la crescita di un nervo lesionato picchiettando lungo il decorso del nervo, verificando,
a distanza di mesi, lo spostamento del punto in cui compariva una scossa. Se il punto rimaneva fisso,
bisognava indagare su eventuali ostacoli al suo allungamento.
I nervi conducono in entrambi i sensi, centripeto e centrifugo, quindi il potenziale
d’azione sensitivo può essere evocato sia con il metodo orto-dromico
(stimolazione distale del nervo e registrazione del potenziale prossimalmente),
che con quello anti-dromico (gli impulsi generati dallo stimolo percorrono il nervo
in senso opposto: si stimola prossimalmente e si registra il potenziale
distalmente).
La registrazione della conduzione sensitiva di nervi misti deve avvenire in
sedi dove le fibre sono esclusivamente sensitive, ciò non vale per i nervi
esclusivamente sensitivi, come il n. surale (questo nervo viene utilizzato per
ottenere innesti, per riparare, per esempio, lesioni del n. faciale, dato che la sua
rimozione causa solo la perdita di sensibilità della regione malleolare).
Nel caso del n. mediano (vedi immagine), si dà uno stimolo elettrico a livello
del polso e si registra la componente CMAP (Compound Muscle Action
Potential, ovvero le risposte ottenute per stimolo di un nervo motorio), che
compare dopo 3-4 ms.

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Se la scarica viene data al gomito, la scarica di potenziale comparirà più tardi, dovendo percorrere un tratto
più lungo (8 ms). Noti lo spazio e il tempo, si può calcolare la velocità di conduzione del nervo (spazio/tempo),
per l’arto superiore il valore normale è di 60 m/s, per l’arto inferiore è intorno a 40 m/s.

ALTERAZIONI DELLA CONDUZIONE


Il nervo può andare incontro a diversi tipi di lesione:
• Degenerazione walleriana (degenerazione del
nervo a valle di un’interruzione del nervo stesso);
• Demielinizzazione
• Degenerazione assonale

Queste condizioni si presentano con alterazioni differenti


della velocità di conduzione.
Infatti:
• Se vengono recise le fibre di un nervo, la risposta
presenta un’ampiezza ridotta, ma velocità di conduzione normale. Si tratta di un caso di danno
assonale.
• Nel caso di un nervo demielinizzato, si perde la conduzione saltatoria, perciò la velocità di
conduzione è drasticamente ridotta, ma l’ampiezza è normale.
• Nella demielinizzazione in una singola sede, si ha un “blocco di conduzione”. È tipica della sindrome
del tunnel carpale, del nervo peroneo al capitello della fibula (comune nei soggetti che stanno
sempre con le gambe accavallate), del n. ulnare al gomito del tennista. La sede di lesione si individua
osservando che al di sotto di essa la conduzione è normale, a monte è rallentata.

RIFLESSO H E ONDE F
La tecnica sopra descritta consente di analizzare solo la parte più distale dei tronchi nervosi. Volendo studiare
la conduzione nelle porzioni più prossimali dei tronchi, si evocano due risposte: riflesso H e onde F.
Il riflesso H compare, nell’adulto, principalmente stimolando il muscolo soleo o i muscoli flessori del carpo,
mentre nel bambino piccolo, le cui vie corticali non sono mature, è presente a tutti i livelli.
Stimolando un nervo, l’impulso va dalla periferia al centro (senso ortodromico), trasmesso dalle fibre
afferenti Ia (propriocettive), passa dalle radici posteriori, e si instaura un riflesso monosinaptico, il cui braccio
efferente è rappresentato dai motoneuroni alfa. Il riflesso dura circa 30 ms.
Il riflesso H, quindi, viene evocato per esplorare la radice, e può subire delle alterazioni:
• aumenta in presenza di spasticità,
• scompare in presenza di ernia discale (in particolare, l’ernia a livello di S1 determina la scomparsa
del riflesso achilleo, di cui il riflesso H ne rappresenta l’equivalente elettrofisiologico).
• Scompare se si fa una sezione delle radici posteriori (sensitive) dei nervi.

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• Rallenta nelle poliradicolopatie. Es. nella Guillain Barré la latenza del riflesso aumenta, l’ampiezza si
riduce. L’EMG è il primo esame a mostrare un’alterazione, la diagnosi si fa con l’onda H e le onde F,
che esplorano le radici, colpite dall’infiammazione molto prima che il paziente manifesti la
dissociazione albumino-citologica, ovvero un aumento delle proteine nel liquido spinale
(proteinorrachia) non associata ad aumento delle cellule (pleiocitosi).

Le onde F (da foot, perché originariamente venivano derivate dai piccoli muscoli del piede) sono il risultato
dell’eccitazione antidromica di un ridotto numero di motoneuroni, attivati da uno stimolo elettrico
somministrato sul tronco nervoso. La stimolazione di un nervo motorio determina impulsi che viaggiano sia
in direzione antidromica (verso il motoneurone alfa) che ortodromica (verso i terminali nervosi). Il risultato
di una stimolazione di un nervo motorio comporta quindi:
• Risposta M, contrazione muscolare indotta dalla conduzione ortodromica
• Onda F, contrazione muscolare con latenza ritardata rispetto alla risposta M, indotta dalla
stimolazione antidromica del motoneurone alfa. L’onda F è in alcuni casi alterata (assente o ritardata)
in presenza di una patologia prossimale del sistema nervoso periferico, come una radicolopatia.

FIBRE AUTONOMICHE
Stimolando le fibre autonomiche simpatico-cutanee, ottengo una
variazione della sudorazione delle mani, che dimostra la presenza di
tali fibre.
Nella neuropatia diabetica, le alterazioni a carico di queste fibre
sono una spia importante, dato che la loro comparsa precede quella
dei disturbi vasomotori.

EMG e studio della V.d.C


L’esame EMG viene spesso associato allo studio della velocità di conduzione. In caso di neuropatia occorre
capire se sia interessato il nervo, la radice, il midollo.
Nell’EMG di un muscolo denervato compare un’attività spontanea rappresentata da:
• onde lente positive
• fascicolazioni, presenti in caso di sofferenza midollare del corno anteriore (es. poliomielite e della
SLA). Sono scariche spontanee di un’intera unità motoria, in genere osservabili a occhio nudo.
• Fibrillazioni, scariche spontanee di singole fibre muscolari, non osservabili a occhio nudo.
La denervazione porta ad atrofia, che si distingue dall’atrofia da disuso o miopatia in quanto queste ultime
non si accompagnano ad attività elettrica spontanea.
Anche in presenza di cicatrici possono comparire potenziali bizzarri.
Quindi, bisogna sempre associare all’EMG lo studio della velocità di conduzione nervosa.
L’esame elettromiografico prosegue con la valutazione delle caratteristiche elettriche durante la contrazione
volontaria. Quando un motoneurone viene stimolato si determina nelle fibre muscolari costituenti l’unità
motoria un potenziale definito PUM (potenziale d’unità motoria). Si tratta, normalmente, di potenziali fasici,
regolari, con non più di tre fasi (altrimenti si dicono “polifasici”).
L’EMG neuropatico è assai irregolare: delle fibre orfane vengono
innervate da un altro assone, con la formazione di unità motorie
più grandi, con più fibre muscolari. Di conseguenza si generano
potenziali giganti.
Nelle miopatie, si ha la degenerazione e perdita di alcune fibre
muscolari, quindi il potenziale ha ampiezza ridotta.
Si definisce pattern di interferenza, quando in un muscolo normale
la contrazione massimale genera dei PUM indistinguibili
singolarmente sul tracciato. In caso di neuropatia il tracciato è più
scarso, povero, mentre nella miopatia, ha ampiezza ridotta.

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EMG NELLA VALUTAZIONE DELLA GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE


L’elettromiografia di singole fibre (SFEMG) è il test più sensibile a disposizione, ma non è per nulla specifico.
Tuttavia, consente di localizzare lesioni a livello delle giunzioni neuro-muscolari, che può essere soggetta a
diverse patologie. Le più importanti sono:
• La Miastenia, in cui, stimolando il nervo, la risposta motoria del muscolo va incontro a un
decremento, che esprime l’affaticabilità del muscolo. Oggi controllabile con la terapia.
• Malattia di Lambert Eaton, è una malattia paraneoplastica, tipicamente legata al carcinoma
polmonare a piccole cellule. Il muscolo presenta debolezza e, paradossalmente, in risposta
all’esercizio, mostra un aumento della frequenza delle risposte motorie registrate. Quindi la
stimolazione ad alta frequenza porta alla normalizzazione della risposta muscolare.

ECOGRAFIA DEL SISTEMA NERVOSO


Negli untimi due decenni, è stata acquisita la possibilità di vedere i nervi
mediante l’ecografia con sonde lineari ad alta frequenza (19 MHz).
Per esempio, nella sindrome del tunnel carpale, il nervo appare
rigonfio, edematoso, a causa del restringimento.
L’ecografia è economica, rapida, consente, a differenza dell’EMG, di
identificare la causa della sindrome compressiva. Permette, inoltre, di
vedere la situazione in movimento.
Alcune condizioni indagabili ecograficamente sono:
• N. ulnare con innesto
• Sindrome del tunnel tarsale
• Meralgia parestesica del n. cutaneo laterale del femore
Oggi esistono macchine che consentono di effettuare contemporaneamente ECO e EMG, per individuare
l’alterazione anatomia alla base dell’anomalia elettrica.

ESPLORAZIONE ELETTROFISIOLOGICA DEL TRONCO ENCEFALICO


Il tronco encefalico è una struttura difficile da esplorare, si vede male con la TC, occorre la RM. L’integrità di
alcune strutture ivi localizzate può essere studiata mediante la valutazione di alcuni riflessi, in particolare
quelli trigeminali: il riflesso corneale (utilizzato per verificare il decesso), il riflesso trigemino-facciale, il
riflesso masseterino (riflesso profondo, da percussione). I riflessi trigeminali sono oggetto di studio
soprattutto nel campo del dolore neuropatico.

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RIFLESSO TRIGEMINO-FACCIALE O BLINK REFLEX


Evocato classicamente mediante una percussione sulla glabella, che comporta
la chiusura di entrambe le palpebre. La via afferente è rappresentata da fibre
sensitive cutanee trigeminali, la via efferente da fibre motorie del nervo
facciale.
Esiste una risposta precoce ipsilaterale (R1), che si altera (si accentua) nelle
malattie demielinizzanti. Si tratta di una connessione oligosinaptica (n.d.s. sul
libro ho trovato monosinaptica) tra il trigemino e il facciale, tramite una via
pontina (mediata dal nucleo sensitivo pontino del V nervo cranico).
La risposta tardiva (R2) ipsilaterale è mediata dal nucleo spinale e dal tratto
bulbare del V nervo cranico e R2 controlaterale dalla connessione dei nuclei
motori del n. facciale (circuiti polisinaptici bulbo-pontini).

Nella Sindrome di Wallenberg, infarto della fossetta laterale del bulbo, è


alterata la risposta tardiva R2 (immagine a destra).

RIFLESSO CORNEALE
Si stimola la cornea con cotone bagnato collegato con un piccolo stimolatore elettrico. È importante
effettuarlo per verificare lo stato di morte. È un riflesso nocicettivo puro, in quanto nella cornea ci sono solo
terminazioni nocicettive.

RIFLESSO D’INIBIZIONE DEL MASSETERE


Si evoca mediante la stimolazione elettrica del nervo infraorbitario presso la commessura labiale, oppure del
nervo mentale durante la contrazione volontaria massimale del muscolo massetere o del muscolo temporale
e produce un riflesso inibitorio di tali muscoli. Viene utilizzato per studiare la malocclusione.

RIFLESSO MASSETERINO
È un riflesso propriocettivo, evocato con un colpo sul mento, tenuto tra le dita.

I riflessi trigeminali sono trattati in maniera più approfondita nel capitolo sulla semeiotica dei nervi cranici.

POTENZIALI EVOCATI
I potenziali evocati sono risposte elettriche del sistema nervoso elicitate da stimolazioni di vario tipo. Quindi,
al contrario dell’EEG, non si registra l’attività elettrica spontanea, bensì quella evocata. Comprendono:
• Potenziali evocati uditivi (BAEP)
• Potenziali evocati visivi (VEP)
• Potenziali evocati somato-sensoriali (SEP)
• Potenziali evocati motori.
• Potenziali emessi

1) POTENZIALI EVOCATI UDITIVI


Le vie uditive dalla coclea raggiungono la corteccia uditiva, e sono
disposte in modo tonotopico. Dando un click a un orecchio, e
mascherando quello controlaterale, si ottiene, registrando al
vertice dello scalpo, una serie di onde che corrispondono a diverse
stazioni della via acustica. Le principali sono le prime V:
• I - ponte
• II - n. cocleari
• III - n. olivare superiori
• IV - lemnisco laterale
• V - collicolo inferiore.

13
Sbobine 2.0

Se si taglia il nervo in un punto, il segnale a valle non passa, le onde scompaiono.

BAEP NORMALE

BAEP IN LESIONE PONTINA


In un caso d’ischemia pontina, c’è solo la
prima onda, poi non passa niente. Prima
dell’avvento della RM questa lezione
veniva riscontrata con i potenziali evocati.
È un quadro associato a cattiva prognosi.

BAEP CON AUMENTO DI LATENZE E MORFOLOGIA ALTERATA


La morfologia è ondulata.

BAEP IN NEURINOMA
Il complesso delle onde IV e V è molto
ritardato a causa della presenza del
neurinoma, che compromette la
trasmissione del n. acustico e causa
una grande sofferenza del tronco
encefalico. Si tratta di un tracciato
utile per la valutazione chirurgica.

RICERCA DELLA SOGLIA


Dando intensità crescenti, si individua la
soglia elettrofisiologica, la più esatta. Se un
soggetto simula la sordità, la soglia
psicofisiologica non ha alcuna attendibilità,
a differenza dei potenziali evocati.

2) POTENZIALI EVOCATI VISIVI


Il nostro cervello è un cervello visivo: più del 50% delle aree cerebrali è rappresentato da aree visive, il n.
ottico ha 1'500'000 fibre, il n. uditivo soltanto 60-70'000.
I VEP vengono registrati tramite elettrodi posti sulla corteccia occipitale. La stimolazione visiva è fatta con
pattern a barre verticali o a scacchiera, stimoli strutturati, che consentono di valutare l’acuità visiva.
La risposta registrata è composta da una grande componente positiva (P100) a circa 100 ms, interposta tra
due componenti negative (P75 e P135), rispettivamente a 75 e 135 ms dopo lo stimolo.

14
Sbobine 2.0

Si possono avere alterazioni della P100:


A. Risposta con latenza aumentata e ampiezza conservata
(demielinizzazione del nervo).
B. Risposta con latenza aumentata e ampiezza ridotta.
C. Risposta piccola e molto ritardata (tipica della sclerosi multipla).
D. Risposta assente (paziente è del tutto cieco).
Prima dell’avvento della RM, la diagnosi di sclerosi multipla si basava sui
potenziali visivi.
Generalmente, in associazione ai potenziali visivi si acquisisce
l’elettroretinogramma, poiché, in assenza di risposta sullo scalpo, è
possibile che sia la retina a non essere in grado di trasmettere alcun
segnale. La patologia in esame sarebbe dunque una retinopatia.

La neurite ottica è un’infiammazione del nervo ottico, spesso la prima fase delle malattie demielinizzanti.
Nella fase acuta, si ha una riduzione delle risposte al movimento della mano (hand moving), sia all’ERG, che
ai VEP. Dopo un mese, l’acuità visiva è recuperata, ma la l’alterazione della latenza permane. Inoltre, nella
neurite ottica è compromessa soprattutto la visione del colore.
Nel glaucoma i VEP sono utili per valutare l’efficacia del trattamento farmacologico. Se si alterano i VEP
bisogna intervenire chirurgicamente, perché rappresenta l’evoluzione verso lo scompenso.

ELETTRORETINOGRAMMA
Si può registrare il potenziale che origina direttamente all’interno della
retina (i VEP infatti registrano solo la conduzione a partire dal nervo
ottico). L’ERG può essere condotto con due modalità:
• da flash, si ottiene una risposta massiva della retina, poco
specifica.
• da pattern (scoperta pisana, fatta dai i prof. Moruzzi e Maffei),
consente di ottenere una risposta più specifica. Questo esame
valuta la risposta che corrisponde all’attivazione delle cellule
gangliari della retina, che sono quelle da cui origina il n. ottico.
La degenerazione di queste cellule comporta danno visivo senza
possibilità di recupero.

IL COLORE
A differenza di quello di molti animali, il sistema visivo umano consente la visione del colore, che è
compromessa in alcune patologie, una su tutte la discromatopsia congenita. Le cellule che consentono la
visione del colore sono i coni rossi, verdi e blu.
Il sistema visivo è composto da tre vie:
• Una per la luminanza (magnocellulare)
• Una per il colore (parvocellulare)
• Una, più rudimentale, per il giallo e il blu (koniocellulare)
Con degli stimoli particolari, è possibile effettuare indagini neurofisiologiche in cui si attivano selettivamente
solo la via magnocellulare, parvicellulare o koniocellulare.
Questo consente di integrare la diagnosi di alcune patologie, per esempio, nella sclerosi multipla, in cui le
risposte per il colore nell’occhio colpito da neurite retrobulbare si alterano precocemente.

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Sbobine 2.0

VALUTAZIONE FUNZIONALE DELLE VIE SENSITIVE


Quando si parla di vie sensitive si intende soprattutto il sistema dei cordoni posteriori (che trasportano la
sensibilità somato-sensoriale), a cui si possono aggiungere anche i fasci spino-talamici (attivati da particolari
modalità di stimolazione, come quella termica). Questi due sistemi veicolano modalità sensitive diverse e per
questo, nello studio funzionale delle vie sensitive, è bene andare ad utilizzare stimoli idonei. Es. se si vuole
studiare un disturbo sensitivo relativo a un emisoma superficiale, è inutile fare una stimolazione profonda,
che valuta la sensibilità propriocettiva veicolata dalle grosse fibre afferenti IA.

3) POTENZIALI EVOCATI SOMATO-SENSORIALI (PESS)


I potenziali evocati somato – sensoriali si elicitano in risposta ad una stimolazione
di un nervo periferico e permettono una valutazione neurofisiologica della via
sensitiva somatica a livello periferico e centrale. I potenziali registrati sono indicati
con una lettera (che indica la polarità, N sta per negativo e P per positivo) e un
numero (che indica la latenza con cui si registra la risposta). Vanno monitorati più
parametri, come l’ampiezza e la latenza.

PESS ARTI SUPERIORI


Si può stimolare qualsiasi nervo, ma i nervi più comunemente stimolati sono
il nervo mediano (immagine) e l’ulnare. La registrazione dei PESS avviene a
più livelli:
• N9 - a livello periferico, punto di Erb, per il plesso brachiale;
• N13 - a livello midollare, in corrispondenza del midollo cervicale C2;
• N20- a livello dello scalpo controlaterale, per la valutazione della
corteccia somatosensoriale primaria controlaterale.

La PESS agli arti superiori è un esame utile anche nella valutazione della
prognosi di condizioni in cui si ha una grave alterazione funzionale del SNC, come nel caso del coma post
anossico (in cui si vede scomparire la componente N20).

PESS ARTI INFERIORI


La PESS agli arti inferiori viene fatta per valutare il funzionamento
delle vie somatosensoriali profonde, è un’indagine utile soprattutto
in caso di lesioni midollari. Viene stimolato principalmente il nervo
tibiale. In genere, le risposte sono registrate a livello periferico (cavo
popliteo): si registra l’onda P40 (onda positiva con una latenza di 40
ms, che in questo caso è maggiore rispetto alla PESS degli arti superiori
perché il tragitto del nervo è più lungo).
[Dalle slides risulta che P40 è la registrazione a livello dello scalpo, N22
la registrazione a livello di L1, prima vertebra lombare; in clinica è utile
calcolare l’intervallo N22-P40 per valutare, soprattutto in soggetti in
coma, la gravità della lesione centrale, e quindi la possibilità di recupero).

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Sbobine 2.0

VALUTAZIONE FUNZIONALE DELLE VIE MOTORIE


Oggi, oltre alle vie ascendenti, si studiano anche le vie discendenti (sistema piramidale). In passato si
stimolava elettricamente la corteccia, ma erano necessarie grandi intensità e questo esponeva al rischio di
provocare delle lesioni. Poi, grazie all’utilizzo di stimolatori magnetici, si è riusciti a fare indagini
ambulatoriali. Un campo magnetico produce un campo elettrico in profondità, perpendicolare ad esso. Ci
sono tanti stimolatori, la stimolazione ripetitiva, ad esempio, è usata anche nella neuromodulazione e nel
trattamento della depressione.

4) POTENZIALI EVOCATI MOTORI (PEM)


Si dà uno stimolo magnetico agli strati superficiali della corteccia motoria primaria, le cellule di Betz iniziano
a scaricare attivando le vie discendenti o i nervi cranici e infine si ha una contrazione muscolare. Questa
risposta muscolare esprime la conduzione a livello del 1 e del 2 motoneurone. Infatti, il sistema piramidale
è costituito da un motoneurone superiore (A) e uno inferiore (B).
Se si vuole studiare la conduzione pura di A, si deve sottrarre la componente relativa a B; per farlo, si stimola
la radice (di B) e si ha una risposta che compare prima (rispetto alla risposta misurata inizialmente). La
differenza di tempo tra la risposta corticale (quella complessiva, misurata all’inizio) e quella midollare (quella
misurata in un secondo momento, alla radice) si chiama tempo di conduzione motoria. In questo modo si
studia in vivo il tempo di conduzione del sistema piramidale, che è circa 100-110 m/s.

STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA (TMS)


Oggi, la stimolazione magnetica transcranica è una metodica molto applicata in neurologia a scopi
diagnostici, terapeutici e di studio. L’esecuzione dell’esame si fa con elettrodi semplici sullo scalpo, in
corrispondenza delle aree che si vogliono studiare.
Es. Il centro del linguaggio in genere è a sx, ma nei sinistrorsi può essere a dx. Se si vuole sapere la collocazione
del centro del linguaggio, si fa parlare il pz e prima si stimola magneticamente a dx. Se non succede nulla,
allora l’area di Broca si trova a sx. La rilevazione della sede dell’area di Broca è importante perché in alcuni
interventi neurochirurgici si ha accesso a dx e nei pz che hanno tale area localizzata a dx si rischia un’afasia.
L’esecuzione dell’esame è semplice, viene usata a scopo diagnostico, ad esempio, per rilevare una mielopatia
cervicale.

PESS E PEM servono per la valutazione funzionale del midollo, per la prognosi post-intervento. Es. se in un
pz paraplegico, dopo un mese dall’intervento, non si ottengono prove di trasmissione motoria o sensitiva, il
pz rimane paraplegico a vita.
Inoltre, oltre ai fenomeni eccitatori, si possono studiare anche i fenomeni inibitori e questo è importante per
vedere l’effetto dei farmaci sulla corteccia. Es. si danno al pz antiepilettici, che reprimono l’attività corticale,
poi si studia se si ha una diminuzione dell’eccitabilità alla stimolazione magnetica.

5) POTENZIALI EMESSI
I potenziali evento-correlati (ERPs) comprendono due tipi di potenziali: quelli evocati e quelli emessi. I
potenziali evocati derivano da uno stimolo, quelli potenziali emessi, invece, sono potenziali che sono prodotti
dal cervello ed esprimono le attività mentali endogene.

Il CNV (contingent negative variation) è il primo segnale emesso rilevato. Nello studio grazie a cui è stato
identificato, l’operatore mandava con un click dei flashes al soggetto, e il soggetto, appena li rilevava, doveva
interromperli premendo un pulsante. Quindi è stato dato un compito motorio al soggetto. Si è visto che,
quando l’operatore faceva il click, si registrava nel soggetto una variazione del potenziale frontale corticale
prima ancora che partisse la luce: questa fu chiamata CNV.

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Sbobine 2.0

L’onda più comunemente usata è la P300, ottenuta con un protocollo di


stimolazione detto “odd-ball”: consiste in una stimolazione uditiva con una
sequenza di suoni uguali all’interno della quale è intercalato un suono raro.
La processazione di questo stimolo porta alla generazione di un potenziale,
P300, una componente di 300 ms che si usa nella diagnosi di stati di minima
coscienza (demenze, coma profondo) o perdita totale della coscienza
(coma post-anossico).
In alcuni casi (vd sopra) tale onda non si forma (immagine: sono
rappresentate due curve, quella che arriva al picco/onda P300 e quella che
non vi arriva).

NOTA: Per coscienza si intende il contenuto, la consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante. Essere vigile
non vuol dire essere cosciente; nel coma vegetativo il pz è vigile (respira, si nutre), ma non è cosciente.
Per la valutazione dello stato di coscienza del pz si eseguono i potenziali elettrocorrelati; questo è
fondamentale anche ai fini riabilitativi perché un pz con un possibile recupero intraprenderà la riabilitazione,
un pz senza questa possibilità no.

TECNICHE DI BACK-AVERAGING
Si possono studiare anche gli eventi corticali emessi con metodi di “averaging all’indietro”, che mostrano
cosa succede al cervello prima del movimento volontario (corteccia frontale controlaterale). Questo è il
potenziale premotorio (altro tipo di potenziale evento-correlato) con cui si programma il movimento. Lo
studio di questi potenziali ha importanza soprattutto nei disturbi motori come il Parkinson.

Esempi di utilizzo
Se un soggetto muove un arto, l’attività elettrica non è solo da un lato, ma
su tutti e due gli emisferi, questo significa che il pattern motorio non
funziona a compartimenti stagni.
Una delle applicazioni principali è nello studio del mioclono, per valutare se
esso origina a livello corticale, del tronco o spinale (importante da definire
perché hanno trattamenti diversi). Nell’ambito delle mioclonie, soprattutto
in neurologia pediatrica, si valuta il tempo motorio tra l’attività elettrica
centrale e quella periferica (nell’immagine, rappresentate rispettivamente
dal punto A e B).

ALTRI CONCETTI DI SEMEIOTICA STRUMENTALE


MONITORAGGIO INTRAOPERATORIO
Il monitoraggio intraoperatorio consiste nell’andare a vedere se durante l’intervento si produce qualche
danno indesiderato, allo scopo di prevenirlo e migliorare il decorso clinico del pz. Ha due campi di
applicazione:
• il riconoscimento di un particolare evento di origine imprevedibile (es. crisi epilettica);
• il riconoscimento di un insieme di variabili note, le cui variazioni possono indicare lo stato delle
funzioni nervose in esame.

I campi di applicazione (neurologici) sono:


• Aree nobili della corteccia (controllo motorio e del linguaggio)
• Funzione dei nuclei della base
• Canale vertebrale
• SNP (lesione dei nervi periferici)
• Conflitti neurovascolari

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Sbobine 2.0

• Neuroradiologia interventistica
• Urologia (monitoraggio del pudendo → impotenza)
• Chirurgia dell’epilessia (per identificare i foci)
• Anestesiologia
• Vie acustiche (fossa cranica posteriore)
• Vie sensitive (PESS degli arti superiori e inferiori)
• Vie motorie (PEM e EMG)
Per vedere se c’è un’alterazione a un certo livello, va stimolata quella zona e poi si osserva se la risposta
prodotta è normale o no.

DEEP BRAIN STIMULATION (Stimolazione cerebrale profonda)


La DBS si utilizza soprattutto nel Parkinson, nei disturbi del movimento e nella terapia del dolore. Si
impiantano alcuni elettrodi in profondità, soprattutto a livello del nucleo subtalamico e della parte infero
mediale del globus pallidus. In sede intraoperatoria è importante controllare se l’elettrodo è nella posizione
giusta e questo si fa con delle microstimolazioni e microregistrazioni della scarica tipica dei gruppi neuronali
dove dovrebbero essere collocati gli elettrodi.

MAPPAGGIO DELLE AREE MOTORIE CORTICALI


È possibile effettuarlo con due metodiche:
• Inversione dell’onda N20 evocata dai PESS e registrata all’elettrocorticogramma
• Stimolazione diretta della corteccia motoria e registrazione delle risposte muscolari

MAGNETOENCEFALOGRAFIA (MEG)
Era diffusa in molti paesi per localizzare con precisione certe aree cerebrali. Ora è più sviluppata nei paesi
del Nord e nel Giappone, a causa dei costi elevati e delle difficoltà operative. In Italia esistono poche sedi che
praticano questa tecnica. Sono registrati piccoli campi magnetici legati alla depolarizzazione delle cellule
neuronali.

STIMOLAZIONE DI SUPERFICIE - ELETTROSHOCK


L’elettroshock è stato una terapia psichiatrica molto usata fino agli anni 70, poi è stata superata, anche se
ora c’è un ritorno di interesse per la stimolazione di superficie, soprattutto nella psichiatria pisana. È una
tecnica che ha apparentemente meno danni dei farmaci e un costo minore.

PLASTICITÀ CEREBRALE
La plasticità cerebrale (omeostatica) è la capacità del cervello di adattarsi a certe condizioni o di compensare.
Infatti, i meccanismi della plasticità entrano in gioco a seguito di danni cerebrali e stanno alla base dei
processi di recupero funzionale (riorganizzazione della funzione della sede originaria, spostamento di una
funzione in una nuova area cerebrale, sostituzione del deficit con l’apprendimento di strategie
comportamentali).
Le fasi della plasticità sinaptica sono:
• sprouting (arborizzazione dei neuroni adiaventi);
• rigenerazione assonale (completa ricrescita dei neuroni danneggiati);
• ipersensibilità postsinaptica (aumenta l’accuratezza della trasmissione sinaptica);
• svelamento di sinapsi latenti.

TECNICHE DI NEUROSTIMOLAZIONE
I neurofisiologi hanno cercato di indirizzare questa plasticità, usando principi di stimolazione di vario tipo.
Le principali tecniche di neurostimolazione di superficie (non invasive) sono:
• stimolazione magnetica ripetitiva (TMS). Si temeva che fosse epilettogena, ma non lo è (sono
metodiche che se usate correttamente non hanno rischi);

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Sbobine 2.0

• stimolazione transcranica a corrente diretta (DCS). Consiste nell’applicazione di correnti continue di


intensità sullo scalpo in corrispondenza dell’area che si intende modulare. A differenza della TMS e
ECT non induce attività neuronale, ma modula l’attività neuronale spontanea. Non è percepita dal
soggetto, non induce movimenti. Sfrutta diversi meccanismi d’azione in base all’effetto, che può
essere a breve termine (variazioni del potenziale di membrana, modificazione dei canali ionici, del
flusso ematico cerebrale, induzione di neuroplasticità) e a lungo termine (meccanismi sinaptici e
non);
• stimolazione nervosa elettrica transcutanea (TENS), utilizzata in ortopedia, come terapia del dolore.

Applicazioni terapeutiche di queste tecniche (DCS e TMS):


• dolore,
• ictus cerebrali (inibire emisfero per evitare spasticità),
• patologia psichiatrica (depressione che non risponde),
• malattia di Parkinson e disordini del movimento,
• patologia spinale,
• demenza,
• epilessia intrattabile.

Esiste anche una tecnica di stimolazione cerebellare che riduce il dolore in certe condizioni, come nel dolore
da arto fantasma.

C’è molta applicazione della neuromodulazione di superficie. Oggi viene usata la DCS nello strabismo (non
c’è nessuna alterazione morfologica rilevabile con la RM, si tratta di un disturbo funzionale). Dando una
stimolazione con DCS, questi pz recuperano una parte dell’acuità visiva.
Inoltre, la neuromodulazione di superficie viene usata anche come doping (perché non lascia traccia).
È stato fatto uno studio sulla neuromodulazione in cui “si fanno passare” pensieri tra i cervelli di due persone:
il soggetto A doveva colpire un bersaglio sul monitor, contemporaneamente veniva registrata l’attività
encefalografica e questa veniva trasmessa al soggetto B, posto a km di distanza. Si è visto che il soggetto B
faceva gli stessi movimenti di A: questa è vista come una possibilità di apprendimento, a dimostrazione che
la neurofisiologia clinica è alla base della robotica e neuroscienze.

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Sbobine 2.0

ECO-DOPPLERSONOGRAFIA DEI VASI CEREBRO-AFFERENTI


E DOPPLER TRANSCRANICO
ECODOPPLER
I vasi cerebro-afferenti sono rappresentati dalla arteria basilare e dalle carotidi interne, questi tre vasi vanno
poi ad anastomizzarsi formando il poligono di Willis a livello della base cranica. Il poligono di Willis consente
di sopperire, inizialmente, a un’eventuale occlusione di una di queste arterie, evitando un danno acuto.
Oggi il flusso si vede con l’eco-doppler, in passato c’erano metodiche che sfruttavano l’impedenza elettrica.
Grazie all’ecodoppler si può vedere la morfologia dei vasi e il flusso all’interno di essi.

Esempi di disturbi cerebro-vascolari


• Stenosi: la velocità di flusso a quel livello aumenta, mentre a valle si rilevano delle turbolenze. In
base ai valori della stenosi si stabilisce se dev’essere trattata chirurgicamente: il trattamento si fa se
la stenosi è maggiore del 70%, perché c’è un alto rischio di trombosi;
• Occlusione: determina un flusso riverberante, il sangue sbatte contro l’occlusione e torna indietro;
• Anomalie di decorso: si verificano in alcuni soggetti in certe condizioni (quando girano la testa, si
fanno la barba ecc.) e comportano una sintomatologia tipica (S. vaso-vagale), che si manifesta con
senso di vertigine, svenimento ecc. a causa della stimolazione del bulbo carotideo.

Immagini (nell’ordine). 1. Carotide interna (CI) normale, 2. Stenosi CI, 3. Occlusione CI.

DOPPLER TRANSCRANICO
Gli ultrasuoni non passano l’osso, tuttavia con il doppler trans-cranico è possibile vedere ciò che accade nel
cranio, grazie alla presenza di alcune “finestre”: il forame ottico, la squama del temporale (che è molto
sottile) e il forame suboccipitale (mettendo la sonda dal basso si possono vedere i rami della basilare).
Con questa tecnica, si possono indagare:
• Eventi emodinamici: stenosi intracraniche, circoli di compenso, riserva vasomotoria.
• Eventi embolici: stenosi carotidea, cardioembolia, embolia paradossa.
Inoltre, il doppler trans-cranico è un esame utile in caso di angioplastica, stenting e endoarterectomia.

Esempi di utilizzo
• Occlusione e ricanalizzazione dell’arteria basilare. È un
fenomeno che si verifica soprattutto nei giovani e se non
scoperto precocemente è incompatibile con la vita.
Questa condizione spesso viene sotto-diagnosticata
perché con la TC non si vede. Nei casi diagnosticati, si fa
fibrinolisi locoregionale con un catetere che disostruisce;
bisogna però fare attenzione alla pratica interventistica
perché nelle ischemie il cervello diventa più molle e
l’utilizzo del catetere può aggravare la situazione
(immagine a lato: in alto si ha l’occlusione, in basso la
ricanalizzazione).

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Sbobine 2.0

Spesso i vasi cerebrali colpiti da ictus si ricanalizzano spontaneamente.


In caso di occlusione dell’arteria cerebrale media si rileva una velocità media ridotta. Alla TC si può
vedere un flusso ridotto (ipodensità). Per fare diagnosi è fondamentale fare il confronto tra i due lati
(immagine sotto: a sx il flusso dell’arteria cerebrale media è normale, a dx c’è un’occlusione).

• Presenza di emboli (che in genere si verificano in pz con


protesi valvolari meccaniche), e il circolo di compenso,
che si realizza con un’inversione del flusso (il sangue
proviene dalla carotide controlaterale tramite la
comunicante anteriore; visibile nell’immagine a lato).
Importante da valutare nella prognosi.
L’embolia paradossa si verifica quando il forame ovale
è pervio (una delle principali cause di trombosi e ictus
giovanili). Durante la manovra di Valsalva viene
favorito il passaggio di microemboli dal cuore dx al sx
(grazie all’aperura del forame ovale), e da qui alla
carotide interna, dando ictus. Si vede questo effetto
spumeggiante, che indica un’apertura importante del
forame. (immagine a lato durante la manovra di
Valsalva).

• Endoarterectomia carotidea. Si hanno tre fasi:


1. Clapmaggio: il flusso si riduce (immag. A),
2. shunt (immag. B)
3. declampaggio: il flusso aumenta e c’è l’effetto champagne (come se ci fossero tante bollicine
che vanno in alto) a causa dell’embolia massiva a livello cerebrale (immag. C)

• Valutazione grado della stenosi: il grado varia in base alla velocità del flusso e alla morfologia della
stenosi stessa, infatti alcune placche placche embolizzano di più di altre.
I vasi stenotici sono allargati con un palloncino e supportati da stent, che se posizionato
correttamente, risolve la stenosi. Tuttavia, a volte accade che alcuni stent si richiudano. Quindi una
volta posizionato lo stent, usando l’ecodoppler, si vede se funziona o no. Oggi gli stent sono fatti
medicalizzati, ci sono materiali che dovrebbero impedire il verificarsi della trombosi.

• Sono-trombolisi: gli ultrasuoni possono aiutare a frammentare il trombo, tuttavia c’è il rischio che la
corrente porti emboli al di sopra.

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Sbobine 2.0

NEUROEPIDEMIOLOGIA
DIAGNOSI NEUROLOGICA
La diagnosi in neurologia consiste nel ricercare:
1. Sede. La sede si indaga attraverso:
o L’analisi dei segni (piramidali, extrapiramidali, cerebellari, sensitivi ecc.);
o La topografia, cioè la distribuzione del deficit (prossimale, distale, monolaterale, bilaterale).
2. Natura. La natura si indaga attraverso:
o L’analisi dei sintomi (deficit di forza, deficit di sensibilità, disfonia, disfagia, deficit del visus,
diplopia, ipoacusia, vertigini, confusione, deficit mnestico, afasia);
o La cronopatologia, cioè lo sviluppo della patologia: esordio (acuto – min/h, subacuto – giorni,
cronico – settimane), decorso (stazionario, ricorrente, intermittente, progressivo), esito.

Oggi la semeiotica è quasi del tutto trascurata, spesso si preferisce ricorrere alle indagini strumentali, anche
se talora le immagini possono essere interpretate in modo sbagliato. Es. un pz non muove il braccio sx, la TC
e RM evidenziano una lesione a sx: non c’è corrispondenza perché la lesione dovrebbe essere a dx.
Guardando anche i riflessi si vede che il pz ha anche iporeflessia, questo a riprova che aveva una paralisi del
plesso brachiale causata da un ematoma. Quindi l’imaging deve giustificare il quadro clinico. È vero che le
indagini strumentali sono utili (medicina difensiva), però non si deve fare un eccessivo ricorso ad esse.
Anche i sintomi vanno analizzati bene e si deve vedere se tornano col quadro clinico (talvolta possono non
essere associati ed essere fuorvianti nella diagnosi).

Il sistema piramidale dà molte informazioni (homunculus motorio), ma anche quello somatosensoriale,


perché un disturbo sensitivo ha una distribuzione diversa a seconda che sia coinvolto un nervo periferico, un
plesso, una radice midollare o se si tratti di un disturbo centrale. Es. se un pz ha formicolio al primo dito è
coinvolto il dermatomero C5-C6, non può essere mediano perché è C6-C7 e avrebbe tre dita, non è cerebrale
centrale perché sarebbe più massivo (non è dermatomerico).

NEUROEPIDEMIOLOGIA
La neuroepidemiologia è quella branca dell’epidemiologia che studia le malattie del sistema nervoso. Studia
disturbi che sono caratterizzati da diagnosi difficoltosa (spesso non si hanno test diagnostici specifici) e talora
incerta classificazione. È una disciplina necessaria per una razionale pianificazione dei servizi e degli
investimenti sanitari e dà rilevanti contributi alle ipotesi eziologiche.
Si basa su tre tipi di studio: descrittivi, analitici e sperimentali.

STUDI DESCRITTIVI
Gli studi descrittivi sono i più importanti, quantificano la frequenza della malattia in rapporto a fattori
individuali, spaziali e temporali. Si basa su:
• definizione della popolazione da indagare. Lo studio del campione prevede una definizione
temporale e spaziale (quest’ultima intesa in termini di collettività o di confini geografici). Oggi si fa
riferimento soprattutto ai territori regionali, in quanto la sanità ha connotati regionali e alcune
malattie sono differenti tra le varie regioni;
• definizione della malattia di interesse;
• calcolo dei tassi
o tasso di prevalenza della malattia Z nel tempo T = numero di casi con malattia Z nel tempo T
/ popolazione totale al tempo T x 100.000
o tasso di incidenza della malattia Z per anno Y = numero di casi esorditi nell’anno Y /
(popolazione all’inizio dell’anno Y + popolazione alla fine dell’anno)/2 x 100.000

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Sbobine 2.0

STUDI ANALITICI
Si distinguono due tipi di studi:
• Studi di coorte. Il vantaggio è che forniscono dati diretti e quindi validi e attendibili; tuttavia sono
studi difficili da praticare in neurologia perché le malattie spesso sono poco frequenti o rare.
• Studi caso-controllo. Impiegano un gruppo di controllo costruito associando ad ogni caso un
individuo simile (per età, sesso, luogo di residenza, tipo di lavoro, scolarità). Il vantaggio è che può
essere impiegato per lo studio di piccoli gruppi di individui (es SLA o SM).

Fattori di rischio/fattori protettivi


È importante identificare i fattori di rischio per certe malattie (in modo da eliminarli e ridurre così i ricoveri)
e quelli protettivi. I fattori di rischio/protettivi si individuano con studi epidemiologici basati sul confronto di
prevalenza (si confrontano o i pz con i controlli oppure i pz con o senza i fattori di rischio/protezione) e di
incidenza (si osserva nel tempo un gruppo di persone e si confrontano quelle che sviluppano la malattia con
quelle che non la sviluppano).

Rischio relativo
RR = tasso di incidenza della malattia nel gruppo degli esposti / tasso di incidenza nel gruppo dei non esposti.

Risultati di studio
La stima del rischio o dell’effetto del trattamento/fattore è data dall’intervallo di confidenza (CI 95%) che
dice in quale range può collocarsi il vero valore nella popolazione generale: la stima è tanto più precisa quanto
più il range del CI è stretto.
La forza dell’associazione tra esposizione ed è esito è data dal RR.
• Valori > 1 indicano un incremento del rischio associato con l’esposizione
• Valori < 1 indicano una riduzione del rischio
Es. livello di rischio nell’Alzheimer: soggetti con più bassa scolarità hanno un maggiore rischio di sviluppare
Alzheimer.
La stima del rischio viene valutata anche in termini di distribuzione geografica. Es. la distribuzione mondiale
della SM è diversa in base alle diverse latitudini: ci sono alcune aree in cui la malattia non esiste (paesi meno
sviluppati) a dimostrazione che alcuni fattori ambientali, ancora non ben identificati, giocano un certo ruolo.

Odds Ratio
Negli studi caso controllo, in assenza del totale degli esposti, non si può usare il RR; si utilizza invece l’Odds
Ratio, rapporto tra le probabilità dell’evento negli esposti (casi) e nei controlli. OR = a x d / b x c.
Es. Studio in cui si vede la correlazione tra Alzheimer e trauma cranico. L’OR è più elevato nei soggetti con
trauma cranico con perdita di coscienza. La malattia di Alzheimer comunque è sempre più frequente nei
soggetti che hanno avuto un trauma cranico, rispetto a quelli che non l’hanno avuto. Un esempio sono i
pugili, che vanno incontro a traumi cranici (KO, trauma cranico con perdita coscienza < 10 sec): tutti i pugili
sono diventati anche dementi, si parla di demenza post traumatica.

STUDI SPERIMANTALI
Valutano una relazione di causa effetto: si introduce in un gruppo il fattore del quale si desidera valutare gli
effetti. Si usano clinical trials soprattutto per lo studio di farmaci sperimentali.
Le fasi cliniche dello sviluppo di un nuovo farmaco sono:
• Fase 1 (su volontari sani): si studiano tollerabilità e cinetica;
• Fase 2: si studiano efficacia e tollerabilità, si ricerca la dose terapeutica;
• Fase 3: si studiano efficacia e tollerabilità, si ricerca la collocazione terapeutica;
• Fase 4: si studia la tollerabilità.
I trials clinici servono al produttore per ottenere la registrazione, ai finanziatori dello studio per ottenere la
rimborsabilità, alle autorità regolatorie per autorizzare l’impiego del farmaco, al medico per poter utilizzare
il farmaco, al pz per avere altre chance, all’ambito medico in senso lato per avere evidenze scientifiche.

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Sbobine 2.0

Medicina basata sull’evidenza: consiste in metanalisi fatte da persone indipendenti (non coinvolte
direttamente), che vedono l’efficacia di certi farmaci o procedure terapeutiche. Molte pratiche terapeutiche
si sono rivelate inefficaci e talora dannose per i soggetti stessi. Es. in caso di carotide interna chiusa, si faceva
un bypass dall’esterna all’interna (rivascolarizzazione): questa è una pratica che è andata avanti anni, ma che
è dannosa perché spesso determinava complicanze emorragiche con morte dei pz più precoce.
Gli studi devono essere randomizzati e controllati, ma spesso la randomizzazione non viene fatta.

Esempio: epidemiologia dell’emicrania


Si ha una diversa prevalenza nei diversi paesi: frequente nei paesi industrializzati (USA, Italia), rispetto a
quelli meno sviluppati. Ciò ha portato a pensare che lo stress e certe condizioni ambientali abbiano un ruolo
nel suo sviluppo e quest’aspetto ha indirizzano la ricerca di nuovi farmaci. L’emicrania prevale nelle donne
in età fertile, inizia col menarca, e poi si riduce molto con la menopausa. È una condizione molto diffusa, ma
spesso sottotrattata e proprio per questo è difficile ottenere concreti dati epidemiologici. Si possono
identificare una serie di comorbidità: altri tipi di cefalea, disturbi psichiatrici (depressione maggiore, disturbi
bipolari, episodi maniacali), ictus, attacchi di panico, epilessia. farmaci che arrivano e hanno effetto su
emicrania e malattie associate. Spesso vengono usati gli antidepressivi.

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Le lezioni saranno svolte da diversi professori tra cui i principali sono il prof. Siciliano, coordinatore del corso, prof. Sartucci, prof. Chisari per la parte
di ribilitazione e prof. Perrini, neurochirurgo. L’orario delle lezioni con gli argomenti che verranno trattati di volta i volta si può trovare online.
L’esame è scritto e costituito da 20 domande a crocette più un argomento a risposta aperta, l’orale è facoltativo. Il 6 dicembre sarà possibile fare una
prova in tinere sugli argomenti di semeiotica neurologica clinica e strumentale, vale ¼ del voto totale.

SEMEIOTICA NEUROLOGICA
Il SN dell’uomo è il più sofisticato ed evoluto, presenta un livello di complessità maggiore rispetto alle altre
specie e le diverse aree cerebrali sono deputate a funzioni diverse, ciò è molto utile in clinica perchè si
riscontra una corrispondenza topografica tra segni/sintomi e localizzazione della lesione: questo permette
di formulare un sospetto clinico che verrà poi confermato con specifiche indagini, evitando di sottoporre il
pz ad esami inutili e spesso molto costosi. Ad esempio se un pz lamenta cefalea sappiamo già che presenta
una patologia centrale che potrà essere indagata con una TC cerebrale o un EEG; viceversa un pz che riporta
dolore sciatalgico (dolore irradiato posteriormente sia a livello della coscia che della gamba) avrà
probabilmente una radicolopatia a livello di S1.

In generale le patologie neurologiche possono essere distinte in:


• Malattie neurodegeneratie: caratterizzate da degenerazione progressiva fino alla morte neuronale,
le cui cause sono in gran parte ancora ignote.
• Malattie infiammatorie: i processi infiammatori possono avere diverse origini, ad esempio forme
autoimmuni come nella sclerosi multipla.
• Malattie neuro-genetiche: sono solitamente malattie rare, ad esempio la corea di Huntington.
• Malattie cerebrovascolari: ictus e emorragie cerebrali.
• Epilessie
• Malattie dovute a agenti esterni tossici, medicamentosi o malattie associate ad altre patologie
internistiche: ad esempio IR, diabete, ipotiroidismo ecc possono provocare aletrazioni neurologiche.

ESAME OBIETTIVO NEUROLOGICO


Prevede la valutazione di diversi parametri tramite manovre semplici che devono essere eseguite seguendo
schemi precisi, in modo da garantirne la ripetibilità (pur presentando sempre un certo grado di soggettività).
I risultati vengono integrati poi con la raccolta dei dati anamnestici. Bisogna andare ad analizzare:
1. Linguaggio;
2. Funzione motoria, necessita comunque di reti neuronali complesse che integrano più strutture pur
risultando tra le funzioni più elemntari insieme a quella sensitiva. Infatti per compiere un qualsiasi
atto motorio volontario si attivano almeno due motoneuroni: superiore o piramidale e inferiore o
spinale. Un esempio è la sclerosi laterale amiotrofica: si tratta di una malattia neurodegenerativa
caratterizzata da atrofia gliotica (sclerosi) dei cordoni laterali del midollo spinale (laterale) con
riduzione della massa muscolare (amiotrofica). È la patologia più grave tra quelle che colpiscono il
motoneurone, determina paralisi che evolve rapidamente, nel corso di alcuni mesi. La sitomatologia
sarà dversa a seconda del coinvolgimento del primo o secondo motoneurone e di consegueza
saranno diversi anche gli esami diagnostici;
3. Funzione sensitiva;
4. Coordinazione, capacità di usare e integrare le informazioni sensitive per elaborare un atto motorio
che sia svolto nella maniera più fluida possibile;
5. Deambulazione e stazione eretta; la deambulazione è un atto volontario che pero’ sfrutta a livello
subconscio schemi automatici di integrazione fra informazioni sensitive e realizzazione motoria;
anche l’equilibrio è il risultato di un’integrazione di questo tipo.
6. Stato mentale e funzioni superiori, in maniera progressiva, partendo dalla vigilanza e l’attenzione
fino alla memoria, la pianificazione motoria, il pensiero, la critica, il giudizio. Ad esempio lo stato
soporoso o la perdita di coscienza sono forme di compromissione della vigilanza e indicano
sofferenza di varie aree cerebrali;
Nelle demenze la neurodegenerazione in aree associative determina non tanto paralisi muscolare
(almeno nelle fasi iniziali) quanto perdita delle funzioni cognitive, con differenze che dipendono dalla

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regione colpita: un interessamento fronto-temporale determina disturbi dell’attenzione e del


comportamento (demenza fronto-temporale di Pick) mentre un danno delle aree temporo-parieto-
occipitali e soprattutto del cingolo comporta alterazioni della memoria (Alzheimer). [Demenza:
compromissione delle funzioni cognitive, comportamentali e conative (da internet: funzione
persuasiva, capacità di sfruttare il liguaggio per indurre il destinatario ad adottare un determinato
comportamento); ossia perdita della possibilità dell’essere umano di autodeterminarsi con la propria
volontà.]
7. Nervi cranici, si tratta di una categoria neuroanatomica, le altre sono categorie funzionali;

LINGUAGGIO
AFASIA
La fasia (come anche la gnosia) fa parte delle funzioni simboliche, funzioni superiori accomunate dal fatto
che permettono l’interazione con gli altri individui tramite l’utilizzo di codici di realizzazione e di
interpretazione. I disturbi vengono indicati col termine afasia, di cui esistono vari tipi:
• Fluente - non fluente
• Motoria - sensoriale
• Espressiva - comprensiva
Il disturbo varia quindi a seconda che sia coinvolta l’area di Broca nel lobo frontale o l’area di Wernicke nella
prima circonvoluzione temporale nell’emisfero dominante. Esistono anche l’afasia di conduzione, in cui la
lesione coinvolge il collegamento tra due aree, o le cosiddette afasie globali, in cui entrambe le aree sono
lesionate.

AFASIE NON FLUENTI


Le afasie non fluenti sono:
• L'afasia di Broca
• L'afasia globale
• L'afasia transcorticale motoria (dovuta a lesione dell'area 45, anteriore all'area di Broca)
L'afasia di Broca è l'incapacità a esprimere con parole il proprio pensiero. È caratterizzata da due deficit
fondamentali:
• Impossibilità di formulazione mentale della parola (componente afasica vera)
• Incapacità della parola mentalmente formulata (componente disartrica)
Il quadro sintomatologico è assai variabile; tra le manifestazioni possibili troviamo costantemente la perdita
parziale o totale del linguaggio spontaneo. Il soggetto può essere però in grado di pronunciare espressioni
automatiche (esclamazioni, bestemmie), oppure frasi imparate a memoria (preghiere, poesie). Altre
caratteristiche sono:
• Anomia: impossibilità di denominare gli oggetti
• Parafasia verbale: utilizzo di un nome simile per indicare un oggetto
• Utilizzo di parafrasi e passe-partout (coso, cosa, cioè)
• Neologismi
In sintesi l'afasico di Broca ha un eloquio spontaneo povero, inceppato nell'articolazione, frenato nell'anomia,
ischeletrito nella struttura dall'agrammatismo. Questa condizione drammatica è vissuta coscientemente
dall'afasico di Broca, con sentimenti di ira e di frustrazione.
Poiché l'eziologia di questa condizione è spesso vascolare, all'afasia di Broca si associano quasi sempre altri
deficit sia riguardanti il linguaggio che altre funzioni motorie.

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L'afasia globale è la forma più severa di afasia, con grave compromissione di tutte le funzioni del linguaggio
(fluenza, denominazione, ripetizione, comprensione, lettura, scrittura). E' per lo più dovuta a infarto
dell'arteria cerebrale media, e si associa ad altri deficit neurologici, in base ai territori colpiti.
Un'afasia globale transitoria si può avere nei primi giorni post-ictus poiché l'edema cerebrale rende non
funzionanti ampie aree corticali. Quando l'edema regredisce l'afasia evolve di solito verso una forma
semplice.

AFASIE FLUENTI
Le afasie fluenti sono:
• Afasia sensoriale o di Wernicke
• Afasia di conduzione
• Afasia transcorticale sensoriale
• Afasia amnestica

L'afasia di Wernicke si caratterizza per compromissione sia delle capacità recettive che espressive. Dal punto
di vista recettivo l'afasico di Wernicke non è in grado di comprendere il linguaggio, per cui non eseguirà
ordini e non sarà in grado di nominare gli oggetti (perché sa dare loro un nome,non perché non riesce a
dire il loro nome come nell'afasia di Broca). Allo stesso modo il soggetto non comprenderà il linguaggio
scritto. Dal punto di vista espressivo questo soggetto ha un eloquio fluente e abbondante, ma caratterizzato
da errori fonetici (neologismi, passe-partout, parafasie fonetiche) che possono dare luogo a un vero e proprio
gergo (gergoafasia ). Allo stesso modo il soggetto non sarà in grado di trasformare il proprio pensiero in
parole scritte.
L'afasico di Wernicke, al contarlo di quello di Broca, non è consapevole del proprio deficit ed è privo di
capacità critica. Pertanto in questo caso avremo un soggetto che capisce male e ripete altrettanto male:
l'afasico di Wernicke in ultima analisi non riesce a trasformare il pensiero in linguaggio e il linguaggio in
pensieri e concetti.

Nell'afasia di conduzione viene leso il fascicolo arcuato, per cui saranno compromesse soprattutto la
ripetizione e la denominazione.
Nell'afasia transcorticale sensoriale viene leso il giro angolare parietale sinistro (area 39), un'area associativa
terziaria. In questa lesione si ha compromissione della comprensione e del linguaggio spontaneo, associati a
disturbi visivi e aprassia ideomotoria.

Nell'afasia amnestica sono lese le aree 37 e 39 (aree associative terziarie); il paziente non riesce a rievocare
il nome degli oggetti pur mostrando di riconoscerli.

DISARTRIA
In questo caso il soggetto non ha difficoltà nell’utilizzo o nella comprensione del codice ma nell’articolazione
delle parole. Le cause possono essere diverse:
• Lesione cerebellare, caratterizzata da un marcato scandimento sillabico poichè manca la capacita di
eseguire il movimeno in modo fluido e armonico;
• Lesione bilaterale del primo motoneurone;
• Lesione del secondo motoneurone (VII, X, XII nervo cranico);
• Lesione extrapiramidale, sistema motorio che opera in parallelo al piramidale, assicura il tono
muscolare basale e l’armonizzazione dei movimenti volontari, costituito da varie strutture come
nuclei della base, nucleo rosso, sostanza nera del Sommering. Alla base del morbo di Parkinson vi è
una lesione di questo sistema, in particolare la degenerazione dei neuroni dopaminergici della

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componente nigrostriatale, infatti si notano rallentamento e disarticolazione in tutti i movimenti,


compresi quelli per la produzione del linguaggio.
Anche per valutare la disartria si usano test semplici: ad esempio si chiede al pz di ripetere parole
che contendono molte consonanti (territorio, terriotoriale, territorialità, extraterritorialità ecc)

DISFONIA
Può essere dovuta a una lesione del n. Ricorrente ma anche di natura centrale, infatti il pz con Parkinson può
presentare ipofonia fino a diventare quasi afono.

FUNZIONE MOTORIA
La forza muscolare è l’aspetto più elementare e si può valutare tramite seplici manovre. Ad esempio per gli
arti superiori si chiede al pz di assumere la posizione di Mingazzini o la variante sensibilizzata (rispettivamente
prima e seconda immagine) e di mantenerla il più possibile, quindi contro gravità. In condizioni normali il
soggetto abbassa le braccia dopo un certo tempo per affaticamento fisiologico, in caso di alterazioni si
verificherà la caduta immediata dell’arto o della mano con flessione del polso.

Un’altra tecnica prevede lo svolgimento di prove contro resistenza, quindi contro una forza maggiore della
gravità, che sarà varabile a seconda delle caratteristiche dell’operatore.
Per rendere più oggettive le valutazioni e monitorare eventuali cambiamenti in follow up si usano delle scale
semiquantitative, come la scala mrc (medical research council) che permette di assegnare un punteggio da
0 a 5. Le alterazioni della forza muscolare riguardano:
• Paresi, diminuzione della forza;
• Plegia, assenza di movimento a carico di:
o Un arto (monoplegia);
o Arti inferiori (paraplegia);
o Un lato del corpo (emiplegia, controlaterale alla lesione centrale);
o Tutti i quattro arti (tetraplegia).

ALTERAZIONI DELLA FORZA MUSCOLARE


Il tono muscolare è regolato dal riflesso H (riflesso miotatico), quindi da informazioni propriocettive che
arrivano dai fusi neuromuscolari, permette all’organiso di contrastare la forza di gravità. Si valuta tramite
esplorazione dell’atteggiamento posturale del soggetto e tramite mobilizzazione passiva di un segmento
corporeo.
• Ipertono spastico: è caratteristico della lesione piramidale, maggiore ai flessori degli arti superiori e
agli estensori degli arti inferiori. Si osserva il fenomeno del coltello a serramanico, improvviso
rilassamento dell’arto in esame dopo la resistenza inizialmente opposta alla mobilizzazione passiva;
• Ipertono plastico: distribuito in modo uniforme a agonisti e antagonisti, tipico di lesioni
extrapiramidali (es. Parkinson). Compare il fenomeno della troclea, ovvero la percezione di piccole
scosse di arresto durante la mobilizzazione passiva di un segmento dell’arto.
Le manifestazioni cliniche responsabili di un’alterazione muscolare sono differenti e riflettono la sede in cui
è avvenuta la lesione:
• Lesione del primo motoneurone: ipostenia (deficit di forza) piramidale, ipertono spastico, trofismo
conservato, iperreflessia osteotendinea, Babinski positivo.

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• Lesione del secondo motoneurone: ipostenia flaccida, ipotonia, ipotrofia muscolare, iporeflessia
osteotendinea. [trofismo muscolare: valutazione del volume muscolare con ispezione, palpazione e
misura della circonferenza di un gruppo muscolare]
• Miopatia: ipostenia prevalentemente prossimale, ipotonia, ipotrofia, iporeflessia osteotendinea.
• Lesione della giunzione neuromuscolare: faticabilità, tono normale o ridotto, riflessi normali.
MOVIMENTI INVOLONTARI
Alcuni di essi sono fisiologici (ad esempio il mioclono durante il sonno o il tremore emozionale), altri
patologici:
• Tremore, oscillazione ritmica dovuta a contrazione alternante di agonisti e antagonisti, tipico delle
lesioni extrapiramidali;
• Mioclono, contrazioni muscolari rapide e brevi che possono determinare lo spostamento di un
segmento corporeo, tipico di cune epilessie;
• Fascicolazioni, contrazioni di singole unità motorie dovute a impulsi anomali generati dal
motoneurone o dal suo assone;
• Movimenti coreici, improvvisi, imprevedibili, di tipo fasico; si verificano nelle lesioni del nucleo
caudato;
• Movimenti atetosici, lenti, tentacolari, subcontinui, soprattutto distali; si verificano nelle lesioni del
putamen;
• Movimenti ballici, violenti, fasici; presenti nelle lesioni del nucleo subtalamico;
• Distonie, contrazioni lente e sostenute che impongono l’alterazione della postura di un segmento
corporeo (ad esempio il torcicollo spasmodico).
FATICA MUSCOLARE
Con fatica muscolare si intende una situazione in cui il soggetto non è più in grado di mantenere livelli
contrattili di forza muscolare nel tempo durante una contrazione prolungata o ripetuta. Questo importante
concetto temporale consente di distinguerla dal deficit o dalla debolezza muscolare, che sono indipendenti
dal tempo. Esistono diverse patologie caratterizzate dall’insorgenza di fatica muscolare come:
• Miastenia gravis, che colpisce la placca neuromuscolare. Si ha precoce affaticabilità tale che da una
situazione normale al mattino, si arriva a ptosi palpebrale e voce fioca alla sera;
• Miopatie metaboliche, in cui un certo numero di cellule non è in grado di usare le fonti energetiche
che consentono la sintesi di ATP. Tra queste rientra la malattia di McArdle, in cui si ha un deficit di
miofosforilasi con incapacità di usare il glicogeno.
Il fenomeno viene valutato in base a due parametri, forza muscolare e segnale elettromiografico, i quali si
deteriorano nel tempo. Questo avviene in maniera fisiologica entro certi limiti, ma se supera certi livelli
risulterà essere patologico.
Da un punto di vista molecolare e cellulari, si possono osservare:
• Alterazione dell’eccitabilità del sarcolemma, dell’accoppiamento elettromeccanico e del ricorso alle
fonti d’energia;
• Situazioni in cui questi meccanismi sono conservati ma per un processo distrofico le fibre muscolari
sono ridotte in numero o in volume;
• Processi che colpiscono il tessuto interstiziale, come vasculiti o infiammazioni muscolari.
È importante quindi risalire alle possibili cause di fronte ad un evento clinicamente misurabile. Per fare ciò
sono presenti diversi test che consentono di obiettivare il sintomo riferito dal paziente.
• Spettroscopia del fosforo, che consente di valutare la concentrazione di ATP o creatin-fosfato.
• Test dell’acido lattico, molto più semplice, in cui si chiede al paziente di contrarre, in condizioni di
anaerobiosi e in maniera massimale e intermittente, i muscoli flessori dell’avambraccio per un
minuto. In questo modo, oltre a forza muscolare e segnale elettromiografico, viene valutata la
produzione di acido lattico, che parte da un certo valore e ritorna ai livelli basali dopo 10-20 minuti:
o In caso di patologia mitocondriale la produzione aumenta in maniera eccessiva;
o In caso di malattia di McArdle non viene più prodotto.
• Dosaggio delle CPK, importante biomarcatore di danno muscolare.
• Elettromiografia.

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SENSIBILITÀ
La sensibilità rappresenta uno dei cardini dell’esame obiettivo neurologico. È importante distinguere due
aspetti importanti:
• Sensibilità soggettiva: sensazioni non correlabili a stimoli. Si riferiscono a sensazioni spontanee
inusuali ed a contenuto qualitativamente e quantitativamente abnorme quali parestesie, dolore,
prurito, definibili come “sintomi sensitivi positivi”;
• Sensibilità oggettiva: normali sensazioni che sono riconosciute o percepite come derivanti da stimoli.
Viene valutata con un approccio che tenga in considerazione le modalità della sensibilità generale e
le vie che possono essere interessate;
Queste due varianti si ritrovano contemporaneamente all’interno della stessa patologia (ad esempio nella
cefalea, la cui diagnosi si basa sulle caratteristiche qualitative del dolore).
Possiamo inoltre distinguere la sensibilità in base al livello di elaborazione che essa rchiede:
• Sensibilità elementare
o Superficiale o esterocettiva
 Tattile;
 Termica;
 Dolorifica superficiale.
o Profonda o propriocettiva
 Cinestesica (di movimento);
 Barestesica (di pressione);
 Pallestesia (capacità di percepire una vibrazione);
 Batiestesia (di posizione);
 Dolorifica profonda.
• Sensibilità complessa
o Topoestesia;
o Grafoestesia, capacità di riconoscere dei simboli;
o Stereognosia, capacità di riconoscere la tridimensionalità di uno stimolo.
Queste modalità di interpretazione di stimoli hanno bisogno di un apparato recettoriale, di un sistema di
trasduzione del segnale che possa generare l’impulso elettrico, di vie periferiche di trasmissione verso il SNC
e dell’elaborazione a livello soprasegmentario e corticale. In un paziente in cui sono alterate sia le sensibilità
elementari che quelle complesse, si avrà una patologia a livello corticale nelle aree responsabili
dell’elaborazione sensitiva (sindrome parietale)

Ciò che viene riferito dal paziente dev’essere poi riportato con una terminologia specifica:
• Disestesia, sensazione spiacevole o anche dolorosa abnorme che colora parestesie spontanee o
evocate. Si tratta di un dolore strano mai provato prima, a scossa elettrica, a punta di spillo, urente;
• Iperestesia, aumentata sensibilità ad uno stimolo per diminuzione della soglia o per aumentata
risposta allo stesso;
• Iperalgesia, percezione sproporzionata in eccesso di uno stimolo doloroso;
• Allodinia, percezione di dolore per stimoli normalmente non dolorosi, specie tattili. Si tratta di un
errore nell’identificazione della qualità dello stimolo;
• Alloestesia, percezione di dolore superficiale in un’area normoestesica differente da quella
ipoestesica stimolata. Se assume carattere controlaterale viene definita allochiria;
• Iperpatia, sindrome caratterizzata da abnorme e ritardata reazione dolorosa ad uno stimolo, con
aumento della soglia percettiva, dolore con forte connotato psicoaffettivo.
Interpretare in maniera corretta un segno neurologico può essere utile per collegare una serie di dati clinici
alla sede anatomica del processo patologico alla base del disturbo.
Si parla quindi di:
• Ipoestesia, quando si ha un deficit parziale della sensibilità generale;
• Anestesia, quando si ha un deficit completo della sensibilità generale;

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• Disturbo globale, quando si ha un interessamento di tutte le modalità della sensibilità generale


(superficiale e profonda);
• Disturbo dissociato, quando si ha un interessamento solamente di alcune modalità della sensibilità
generale ed è espressione della selettività del processo patologico nell’alterare determinati sistemi.
Ad esempio, nella siringomielia, in cui viene colpito il midollo spinale, si osserva una dissociazione
tale che la sensibilità dolorifica viene alterata mentre la sensibilità esterocettiva viene mantenuta.

Esame della sensibilità


Si utilizzano manovre estremamente semplici e talora ci si avvale di qualche strumento, come nel caso della
valutazione della sensibilità termica (in cui si usano provette di acqua riscaldate a 35° oppure del ghiaccio) o
della sensibilità dolorifica (si può utilizzare un ago).
Esistono anche degli strumenti più complessi utilizzati in alcune condizioni neurologiche particolari.

DERMATOMERI
I dermatomeri rappresentano la distribuzione metamerica a livello cutaneo e la successiva ridistribuzione
secondo l’anatomia dei tronchi nervosi periferici. Una sintomatologia sensitiva che si localizza a livello di
una determinata regione consente di risalire alla sede coinvolta e di conseguenza alla patologia.
Alcuni esempi sono:
• Distribuzione radicolare tipica della lombosciatalgia, con sintomatologia dolorosa lungo la superficie
posteriore dell’arto inferiore con distribuzione prossimo-caudale;
• Distribuzione tronculare tipico di una neuropatia periferica, con disturbo parestesico delle mani o dei
piedi;
• Lesione delle proiezioni sensitive centrali (es talamo o lobo parietale), con interessamento
dell’emilato opposto;
• Lesione midollare, con alterazione nei distretti distali a livello lesionale.

RIFLESSI
Con riflesso si intende un’attività neurologica che si configura in risposta ad uno stimolo esterno. Si tratta
di una risposta che riconosce una connessione neuronale di varia configurazione. Si distinguono:
• Riflessi osteotendinei, più semplici, vengono rilevati con il martelletto. Sono basati su archi diastaltici
bineuronali, in cui un neurone afferente propriocettivo va ad innervare il fuso neuromuscolare o
l’apparato tendineo del Golgi e un neurone efferente motorio si articola con un motoneurone alfa a
livello midollare. Sono presenti una serie di meccanismi di controllo, come i motoneuroni gamma,
interneuroni o sistemi soprasegmentari discendenti, che facilitano o ostacolano l’innesco del riflesso;
• Riflessi complessi, con un arco diastaltico che può raggiungere anche aree sottocorticali o corticali.
Le alterazioni dei riflessi possono manifestarsi come:
• Ipo-/areflessia, con riduzione o abolizione del riflesso, tipica dell’interessamento del sistema nervoso
periferico;
• Iperreflessia, con accentuazione del riflesso, tipica delle patologie piramidali.

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Sbobine 2.0

Riflessi osteotendinei
I riflessi propriocettivi si ottengono stimolando la distensione del fuso neuromuscolare e quindi inducendo
una risposta motoria del segmento. Si tratta si riflessi monosinaptici che consentono di valutare il neurone
afferente sensitivo e il neurone efferente motorio. Ne è un esempio il riflesso tricipitale: si percuote con il
martelletto il tendine distale del tricipite brachiale subito prossimalmente al gomito. Si osserva la contrazione
del tricipite, con estensione dell’arto. Si
valutano le radici di C6-C7 (soprattutto) del
nervo radiale. In caso di radiculopatie o
distrofia fascio-scapolo-omerale si osserva la
mancanza del riflesso, mentre in caso di
patologie piramidali si osserverà iperreflessia.

Riflessi cutanei superficiali


I riflessi cutanei superficiali sono veicolati da fibre
deputate alla sensibilità superficiale tattile e dolorifica.
Si tratta di riflessi polisinaptici con coinvolgimento di
interneuroni, da un punto di vista evolutivo hanno un
significato di difesa e sono piuttosto arcaici. Nella
pratica clinica possono essere valutati per avere
ulteriori informazioni sul disturbo.
In caso di alterazione del SNP osserva un’abolizione del
riflesso, mentre in caso di alterazione dei sistemi di controllo soprasegmentario si avranno situazioni diverse
da caso a caso. Esempi di riflessi sono:
• Riflesso cutaneo plantare. In condizioni normali, a seguito della stimolazione con una punta smussa
sulla pianta partendo dalla regione calcaneale esterna, procedendo lungo il margine laterale fino ai
metatarsi e incurvando dal quinto al primo metatarsale, si osserva una flessione plantare delle dita
del piede allo stimolo con quinto al primo. In caso di patologia del sistema piramidale si osserverà il
segno di Babinski, ossia una risposta abnorme con flessione dorsale dell’alluce e un’estensione a
ventaglio delle altre dita del piede.
• Riflessi addominali. In questo caso una lesione piramidale porterà all’abolizione (analogamente a
una patologia periferica). È un segno abbastanza tipico dei soggetti affetti da sclerosi multipla,
patologia che colpisce i soggetti giovani.
Il clono è una contrazione muscolare ripetuta e involontaria. Si tratta essenzialmente di un’esagerazione del
riflesso di stiramento. Può essere patellare o del piede.

COORDINAZIONE MOTORIA
L’esame della coordinazione motoria va a valutare principalmente l’integrazione cerebellare di input sensitivi
al fine di produrre output motori. L’alterazione di queste capacità può portare a:
• Dismetria, alterata regolazione della forma muscolare;
• Asinergia, alterazione nella sequenza temporale del movimento;
• Atassia, disturbo della coordinazione della marcia;
• Astasia, disturbo della coordinazione nella stazione eretta;
• Adiadococinesia, disturbo di coordinazione nei movimenti alternati.

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Esame della coordinazione


Per valutare la coordinazione si possono eseguire una serie di prove più o meno semplci come:
• Prova indice-naso. Viene utilizzata per la valutazione della dismetria e si tratta di una prova di
coordinazione segmentaria per l’arto superiore. Al pz è chiesto di portare l’indice alla punta del naso,
prima ad occhi aperti e poi ad occhi chiusi. Si altera in caso di ipometria, ipermetria oppure
semplificazione della sequenza motoria;
• Prova calcagno-ginocchio. Viene utilizzata per la valutazione della dismetria e si tratta di una prova
di coordinazione segmentaria per l’arto inferiore. Viene chiesto al paziente di toccarsi il ginocchio
con il tallone, prima ad occhi aperti e poi ad occhi chiusi.

DEAMBULAZIONE E STAZIONE ERETTA


Vengono valutate insieme alla coordinazione motoria in quanto funzioni strettamente correlate. Alterazioni
della deambulazione si possono avere in caso di:
• Disturbi extrapiramidali quali Parkinson, con piccoli passi incerti;
• Deficit della flessione dorsale del piede per paralisi periferica con andatura steppante, in cui il piede
cade a terra o risulta strisciante;
• Atassia, per disturbo di
o Sensibilità propriocettiva, con andatura talloneggiante. L’appoggio sul tallone avviene in
maniera pesante senza possibilità di controllare questo movimento;
o Sensibilità vestibolare, in cui il paziente presenta una marcia a stella. La deviazione è congrua
e sempre costante dallo stesso lato;
o Funzione visiva;
o Cervelletto, con andatura atassica. La marcia ricorda quella di un ubriaco in quanto si ha
difficoltà a mantenere la postura, arti inferiori allargati per ottenere una base di appoggio
maggiore, braccia in abduzione, piedi lanciati a zig-zag, incapacità seguire una linea retta sul
pavimento con oscillazione o deviazione persistente verso il lato della lesione (lesione
emisferica). L'andatura non viene influenzata dalla chiusura degli occhi. Se il soggetto esegue
alcuni passi all'indietro e in avanti, si può evidenziare una deviazione a compasso.
La stazione eretta può essere valutata invece tramite il test di Romberg: viene chiesto al paziente di
avvicinare al massimo gli arti inferiori e si osserva cosa avviene sia ad occhi aperti che ad occhi chiusi. Risulta
essere positivo se il paziente, che ad occhi aperti non ha problemi evidenti di equilibrio, chiusi gli stessi oscilla,
cade o perde l’equilibrio.

FUNZIONI SUPERIORI
Le funzioni cognitive rappresentano una delle prerogative svolte dalle componenti funzionalmente più
elevate del SNC, le strutture corticali encefaliche, che attraverso connessioni funzionali mettono in
comunicazione le diverse aree del SNC per esplicare tali funzioni cognitive. Nonostante la loro complessità, è
importante considerare queste funzioni in relazione a un principio localizzatorio morfo-funzionale, in
quanto un determinato disturbo è indicativo di una patologia che altera il funzionamento di una specifica
area corticale. Modelli di funzionamento cognitivo derivanti dalla neuropsicologia comportamentale
sperimentale trovano infatti applicazione in neurologia clinica, il che da una parte facilita la diagnosi, dall’altra
suggerisce il percorso neuroriabilitativo più idoneo. Quindi, valutare un assetto cognitivo tramite appositi
test neuropsicologici è importante per verificare l’esistenza di alterazioni e interpretarle nella maniera più
utile dal punto di vista diagnostico e di trattamento.
La valutazione neuropsicologica dà informazioni su capacità dell’individuo che rivestono un ruolo importante
nella vita quotidiana, che includono:
• Capacità cognitive in senso stretto (afasia, prassia, gnosia, memoria);
• Comportamento, inteso come modalità tramite cui l’individuo si interfaccia con l’ambiente e i propri
simili;

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Sbobine 2.0

• Modalità di apprendimento e di autodeterminazione, determinate da attitudini e vissuto del


paziente in termini di maturazione, cultura e crescita personale.
Per valutare l’efficienza cognitiva si osserva:
• Stato di coscienza;
• Mini mental state examination, un test molto semplice e standardizzato che permette di rilevare
rapidamente alterazioni delle funzioni superiori assegnando un punteggio fino a un massimo di 30;
• Memoria, attenzione;
• Giudizio, critica;
• Prassia: capacità di programmare un movimento. Si distinguono aprassie utilizzative e aprassie
ideomotorie;
• Gnosia, cioè capacità di riconoscere i volti;
• Funzioni esecutive;

INQUADRAMENTO PSICOLOGICO DEL PAZIENTE


Tanto gli aspetti psicologici quanto quelli psichiatrici si intersecano e sovrappongono nella clinica del
paziente. Non a caso, fino a qualche anno fa il sistema universitario prevedeva che Neurologia e Psichiatria
fossero un’unica specializzazione; solo successivamente, intorno al 1970, è stata effettuata una suddivisione,
ma ciò non toglie che le patologie psichiatriche investono molto spesso in problematiche organiche di natura
neurologica, e viceversa malattie che colpiscono SNC o farmaci causanti effetti collaterali neurologici sono
spesso accompagnati da una sintomatologia di tipo psichiatrico. È frequente nella clinica la coesistenza di
queste due componenti.
Di fronte ad un paziente di cui si voglia studiare l’abilità cognitivo-comportamentale il primo step è verificare
se e in che modo le sue abilità previamente acquisite siano compromesse da un processo patologico passato
o in corso, seguendo un iter preciso nell’inquadramento diagnostico:

1. OSSERVAZIONE PRELIMINARE DELL’EFFICIENZA COGNITIVA DEL PZ (ANAMNESI)


Vi sono, nella storia del paziente, eventi che possano aver ridotto la sua efficienza cognitiva?
In passato si era soliti calibrare i risultati anamnestici tenendo in conto il livello di scolarità del
paziente, mentre oggi, con l’aumento dei livelli di scolarizzazione della popolazione, si tiene in
considerazione il bagaglio culturale e il vissuto dell’individuo.
Differenza tra demenza e insufficienza mentale
È fondamentale rilevare l’eventuale presenza di sintomi indicanti decadimento cognitivo,
tipicamente una demenza: si tratta di processi di regressione cognitiva, il che per definizione
presuppone che il paziente abbia prima raggiunto un picco cognitivo (durante lo sviluppo) e
poi sia andato incontro a un decadimento delle capacità cognitive. Diverso è il quadro di
insufficienza mentale, in cui il problema non è il decadimento, bensì la mancata acquisizione
del livello di normalità cognitiva al momento dello sviluppo. Le insufficienze mentali sono
dunque patologie tipiche del periodo di sviluppo, prenatale o dei primi anni di vita, mentre
le demenze sono più proprie dell’età avanzata.
In taluni casi, l’insufficienza mentale e il decadimento cognitivo possono coesistere nella
stessa patologia. Un esempio è la sindrome di Down (trisomia 21), sindrome multi-sistemica
che a livello cognitivo mostra un’incompleta maturazione di alcune funzioni, con possibile
deficit intellettivo legato a un erroneo sviluppo del SNC. Tuttavia, oltre all’incompleta
maturazione delle funzioni cognitive, il paziente con sindrome di Down ha anche rischio di
sviluppare processi dementigeni aumentato rispetto a un individuo di controllo. Ciò si spiega
con la biochimica della patologia, dato che da punto di vista molecolare la demenza di
Alzheimer è caratterizzata da una compromissione del metabolismo del peptide beta

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Sbobine 2.0

amiloide, che si accumula negli spazi interneuronali causando sofferenza e morte dei
neuroni. Il precursore del beta-amiloide, APP (amyloid precursor protein), è codificato dal
cromosoma 21, ed è dunque logico che pazienti affetti da sindrome di Down abbiano un
aumentato rischio di demenza. Nel corso della vita il paziente Down può dunque incorrere in
un processo di decadimento cognitivo che si sovrappone al difetto di sviluppo cerebrale, non
consentendo il raggiungimento di un normale livello di funzioni cognitive.
2. INQUADRAMENTO DEL DEFICIT COGNITIVO PREVALENTE
Non è semplice, poichè il SNC funziona in maniera olistica, mantenendo istante per istante una fitta
rete di connessioni neuronali, soprattutto nelle aree corticali destinate alle funzioni superiori.
Tuttavia bisogna sforzarsi di capire qual è tra le varie aree cognitive il disturbo prevalente, perchè
sulla base di ciò è possibile ipotizzare la localizzazione della lesione.
3. FORMULAZIONE DI IPOTESI SULLA POSSIBILE LOCALIZZAZIONE FUNZIONALE DEL DEFICIT
4. IMPOSTAZIONE DELLA TERAPIA
Sulla base dell’ipotesi localizzatoria si può impostare una strategia terapeutica che si avvalga delle
conoscenze fisiopatologiche proprie del disturbo evidenziato.
Esempio. In un paziente con afasia espressiva imposterò un trattamento basato sulla letteratura, per
sopperire in qualche modo alla funzione alterata sfruttando la plasticità del SNC.

OSSERVAZIONE PRELMINARE DELL’EFFICIENZA COGNITIVA GENERALE


Gli aspetti più elementari che per primi vanno esaminati nel paziente sono:
• Livello di vigilanza (normale, ridotto o fluttuante), capacità del soggetto di mantenere i propri canali
di percezione attivi. Può essere compromessa da fattori fisiologici (es. sonno) o condizioni
patologiche causate da sostanze esogene o patologie intrinseche al SNC.
• Livello di attenzione (normale o deficitario)
• Deficit grave di comunicazione verbale
es. In un paziente afasico non è raro rilevare anche deficit che interessino funzioni cognitive diverse
• Eventuali turbe comportamentali
Nell’esame neurologico in condizioni normali si scrive “Il paziente appare vigile, collaborante”,
presupposto fondamentale per permettere la valutazione completa.
• Ridotto livello di collaborazione/motivazione nell’affrontare la valutazione neurologica stessa
• Situazioni funzionali associate, quali ad esempio simulazione di stati alterati o meccanismi di
rewarding che per vari motivi il soggetto può mettere in atto durante la valutazione.

STRUMENTI PER LO STUDIO DELLE FUNZIONI COGNITIVE


Un paziente che sia collaborante, motivato, attento, vigile può essere sottoposto a test appositamente
strutturati per rilevare alterazioni in specifici domini cognitivi. Uno dei test più semplici e di uso comune
utilizzato nelle valutazioni neurologiche cognitive è il mini mental state evaluation: si tratta di un test che
attraverso una serie di domande e items è in grado di orientare sulle funzionalità cognitive del paziente.

Mini Mental State Examination Test


• Orientamento temporale: si chiede di contestualizzare la visita (“Che giorno è? In che anno siamo?”)
• Orientamento spaziale: “Dove si sta svolgendo la visita? Dove abita?”
• Memoria: Il medico pronuncia tre parole, in condizioni normali il paziente è in grado di ripeterle
• Attenzione: Si valuta la capacità di calcolo, chiedendo al paziente di effettuare per cinque volte una
sottrazione di 7 unità, a partire dal numero 100

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• Memoria: Completato il task di calcolo, si chiede al paziente di ripetere nuovamente le parole


precedentemente pronunciate
• Linguaggio: test di linguaggio e denominazione (sotto comando scritto e comando verbale)
• Prassia: Si chiede al paziente di ricopiare un disegno geometrico ed eseguire di manovre semplici su
comando.
Ad ogni task si assegnano dei punti, ottenendo un punteggio totale che va da 0 a 30 e che viene corretto per
la scolarità dell’individuo. Un punteggio uguale o inferiore a 24-25 indica compromissione di una o più
funzioni cognitive.

INQUADRAMENTO DEL DEFICIT COGNITIVO PREVALENTE


Quadri clinici patologici complessi con alterazione di diverse capacità cognitive richiedono l’individuazione
del deficit prevalente, con conseguente localizzazione dell’area affetta, anche in termini di lateralità
emisferica. È noto infatti che lesioni di aree diverse si manifestano con una diversa sintomatologia:
• Lesione focale dell’emisfero sinistro
o Afasia
o Aprassia (disturbo della pianificazione e organizzazione del movimento, tra le varie forme la più
comune è l’aprassia degli arti)
Es. Il paziente affetto da Alzheimer spesso non riesce ad abbottonarsi la camicia. Non è in grado
di eseguire un movimento tanto fine, e ciò non per un deficit di forza, sensibilità o coordinazione
motoria (diagnosi differenziale con dismetria di coordinazione di causa cerebellare), bensì per
l’incapacità di programmare il movimento stesso. Invece di abbottarsi la camicia il paziente si
ritroverà a spiegazzarne il bordo o a compiere un’azione afinalistica non collegata con l’obiettivo.

• Lesione focale dell’emisfero destro


o Eminegligenza spaziale unilaterale
Disturbo in cui il paziente non è in grado di interpretare, recepire e porre attenzione in maniera
dedicata a tutta una parte dello spazio a lui circostante. In una lesione dell’emisfero destro l’emi-
spazio coinvolto sarà il controlaterale.
Es. Il paziente in cui una lesione ictale ha colpito aree parietali dell’emisfero destro non ha
consapevolezza dell’emi-campo spaziale sinistro: per lui gli oggetti posti in questa zona dello
spazio sono inesistenti, non vengono considerati. Non si tratta di difetto di campo visivo (si
esclude l’emianopsia), l’immagine arriva alle aree corticali ma il paziente non ne è consapevole.
Se si chiede al paziente di riprodurre un’immagine, egli trascura la parte del disegno
corrispondente all’emi-spazio negletto. A seconda del grado di lesione l’invalidità del paziente
sarà maggiore o minore, e la riabilitazione più o meno efficace.
o Disorientamento topografico (compromette significativamente la qualità della vita del paziente)

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Fig. Il paziente affetto da eminegligenza spaziale unilaterale non è capace di copiare gli oggetti presenti
nell’emicampo spaziale sinistro. Anche nel disegno spontaneo, concentra i dettagli nell’area destra della
rappresentazione.

• Lesioni bilaterali o prive di specificità emisferica


o Agnosia visiva
o Amnesie
o Deficit esecutivi
o Aprassia costruttiva
o Disturbi dello schema corporeo

APRASSIA
Disturbi di programmazione e organizzazione del movimento, che diviene inadeguato al compimento di
un’azione volontaria finalizzata.
[di seguito parte integrata da SR, a lezione ha detto che la distinzione delle aprassie è molto sottile e non sarà
utile ai fini dell’esame, ma HEY MEDICINA È UNA BELLA MONTAGNA RUSSA]
Caratteristiche comuni delle aprassie sono:
• La possibilità di compiere un gesto spontaneamente, ma non su comando (dissociazione
automatico-volontaria)
• Capacità di eseguire un movimento solo nel suo contesto, ma non al di fuori esso.
Le aprassie si generano quando uno di questi centri o collegamenti viene leso. Si riconoscono quindi:
• Lesioni dell'area 39-40 di sinistraAprassia ideativa
• Lesioni del fascicolo arciforme o della via callosa di collegamentoAprassia ideomotoria
• Lesioni dell'area premotoria 6-8Aprassia motoria
• Lesioni dell'area 39-40 di destraAprassia costruttiva

L'aprassia ideativa (lesione dell'area 39-40 di sinistra) è caratterizzata dall'incapacità di eseguire movimenti
finalizzati secondo una successione precisa. Ad esempio, se chiedessimo di accendere una sigaretta,
l'aprassico ideativo è in grado di avvicinarla alle labbra, di aprire la scatola di fiammiferi, di estrarne uno, di
accenderlo; tuttavia egli non è in grado di eseguire questi singoli movimenti nell'opportuna successione, per
cui si porterà alla bocca il fiammifero, o sfregherà la sigaretta contro la scatola dei fiammiferi. La lesione
dell'area 39-40 di sinistra porta quindi ad un deficit del progetto ideativo dell'azione, con la conseguenza che
resta possibile eseguire i singoli schemi motori che compongono il progetto motorio, ma non il progetto in
toto.

L'aprassia ideomotoria (lesione del fascicolo arciforme) è caratterizzata dall'incapacità del soggetto di
controllare l'attuazione di un movimento, malgrado l'integrità del progetto ideativo motorio. Il soggetto
affetto da aprassia ideomotoria non utilizza in modo inappropriato gli oggetti, né presenta errori
nell'organizzazione seriale del movimento, ma commette errori nella tempistica, nella sequenza e
nell'organizzazione spaziale del movimento. Se chiediamo a questo soggetto di allargare le dita della mano,
egli potrà rispondere con un movimento simile ma errato, come la flessione delle dita o la chiusura a pugno.
Può essere presente dissociazione automatico-volontaria , per cui il soggetto è in grado di eseguire
correttamente movimenti spontanei.
Se la lesione è a carico del solo fascicolo arciforme di sinistra ci sarà aprassia ideomotoria bilaterale. Se,
come spesso accade, la lesione si accompagna a danno alle aree motorie di sinistra, avremo paralisi a destra
e l'aprassia ideomotoria sarà evidente solo a sinistra.

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Se viene colpita la via callosa che connette le aree premotorie di sinistra con quelle di destra, si avrà aprassia
ideomotoria solo a sinistra.
L'aprassia motoria (lesione delle aree premotorie 6-8 di sinistra) è caratterizzata da un deficit nella precisione
e destrezza nei movimenti della mano controlaterale, venendo a mancare lo stimolo "finale" che dalle aree
premotorie giunge all'area motoria I.

L'aprassia costruttiva (lesione dell'area 39-40 di destra) è caratterizzata dall'incapacità di cogliere le relazioni
spaziali fra gli oggetti, cosa che rende il paziente incapace di costruire figure tridimensionali mediante
elementi giustapposti. Dal punto di vista pratico si esplica spesso come un'aprassia di abbigliamento: il
paziente non riesce a vestirsi per l'incapacità di orientare gli abiti nello spazio. E' usuale anche l'eminegligenza
spaziale sinistra: l'area 39-40 di destra infatti svolge un ruolo fondamentale nella percezione visuo-spaziale
(ed è infatti coinvolta anche nelle agnosie).

MEMORIA
I disturbi mnesici rappresentano un elemento importantissimo nella valutazione di disturbi cognitivi poichè
la memoria mette in gioco una serie di funzioni neurobiologiche che si svolgono a livello dei circuiti neuronali
attraverso la costituzione di nuove sinapsi, il consolidamento di circuiti ed engrammi, e il richiamo di
informazioni immagazzinate anche a distanza di tempo nel momento in cui servono per esplicare le proprie
funzioni superiori, anche attività di ideazione, giudizio, critica. È una funzione di base che permea in maniera
spesso inconsapevole le nostre attività relazionali. Sintomi amnesici sono spesso l’elemento d’esordio delle
patologie neurologiche, soprattutto della demenza di Alzheimer. Nelle prime fasi di malattia non è un
sintomo facilmente rilevabile: ognuno può avere disturbi di memoria (es. “Dove ho lasciato le chiavi della
macchina?”), ma se il disturbo peggiora in maniera patologica allora bisogna prestargli attenzione e seguire
il paziente, che potrà nel corso degli anni sviluppare una demenza.
Esistono diversi tipi di memoria:
• Memoria a breve termine; [da SR] quantità di informazione che si riesce a conservare in un certo
periodo di tempo. Normalmente ha capacità limitata (circa 6 elementi) e durata limitata (30sec-
qualche minuto). A seconda della modalità sensoriale impiegata si distinguono:
o Memoria a breve termine uditivo-verbale;
o Memoria a breve termine visuo-verbale;
o Memoria a breve termine visuo-spaziale;
o Memoria di lavoro (working memory): l'informazione, mentre sulla base di essa operazioni
cognitive.
• Memoria a lungo termine; in cui l’informazione è conservata tramite l’immagazzinamento della
traccia mnestica:
o Consapevole o esplicita:
 Episodica, ritenzione di eventi giornalieri significativi;
 Semantica (legata ad esperienze linguistiche);
 Dichiarativa, capacità di rievocare fatti ed eventi.
o Inconsapevole o implicita:
 Procedurale, non è tipica della nostra specie, esiste infatti anche in animali inferiori
nella piramide biologica.
Le sindromi amnesiche possono coinvolgere diversi aspetti:
• Difficoltà ad apprendere nuove informazioni (non si ritengono esperienze vissute quotidianamente
durante la propria esistenza)
• Difficoltà a ricordare il contenuto di episodi (anche autobiografici) che avevamo immagazzinato

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• Deficit di memoria prospettica (cioè quello che siamo in grado di organizzare attraverso le nostre
esperienze in funzione di attività future)
• Memoria a breve termine conservata (vs medio e lungo termine)
La memoria a lungo termine è un processo complesso che si esplora con test specifici (es. spesso l’esame
richiede l’apprendimento di un raccontino che il paziente è invitato a memorizzare e poi riprodurre, oppure
la ripetizione di una lista di parole).

AGNOSIA
Disturbo di riconoscimento, riguarda le nostre capacità sensoriali e recettive, come tale va contestualizzato
a nostri canali di informazione.
• Agnosia visiva: Il disturbo di riconoscimento riguardare informazioni canalizzate dalla vista (e a sua
volta può avere varianti ancora più selettive – identificazione oggetti, riconoscimento luoghi,
riconoscimento volti (prosopagnosia))
• Agnosia uditiva: L’incapacità di identificare suoni o rumori pur in situazione in cui informazioni
arrivano correttamente in area di proiezione primaria di vie uditive.
• Agnosia tattile
• Agnosia dello schema corporeo

AGNOSIE VISIVE
Le agnosie visive sono caratterizzate dall'incapacità di accedere alle informazioni semantiche attraverso la
sola modalità visiva. Questa incapacità può essere dovuta a:
• Deficit percettivo corticale (agnosia appercettiva)vasta comprormssione corticale occipito-
temporale;
• Deficit dell'attivazione della conoscenza semantica e di riconoscimento dello stimolo (agnosia
associativa)compromissione della corteccia temporale anteriore.

Agnosia per le forme


L'agnosia per le forme può essere suddivisa in:
• Agnosia per oggetti e immagini (agnosia appercettiva)
• Agnosia per simboli e fisionomie (agnosia associativa)
Nell'agnosia appercettiva è conservata la capacità visiva primaria (acuità visiva, discriminazione di luci e
colori), ma sono gravemente compromessi la percezione delle forme e il riconoscimento di oggetti. Un
soggetto con agnosia appercettiva non sarà in grado di compiere test di accoppiamento di figure o di copia
di figure.
La causa più frequente è una vasta compromissione corticale occipito-temporale, come avviene ad esempio
nell'intossicazione da CO.
Nell'agnosia associativa il soggetto non è in grado di riconoscere il significato delle immagini; in altre parole
c'è un deficit nell'attivazione della conoscenza semantica e di riconoscimento dello stimolo (accoppiamento
stimolo­ significato). Nell'agnosia per i simboli il soggetto non è in grado di riconoscere segnali stradali,
stemmi, insegne ecc.. Nell'agnosia per le fisionomie (o prosopoagnosia) il soggetto non è in grado di
riconoscere i volti.
La causa più frequente è la lesione cerebrale delle regioni ventrali occipitali e temporali anteriori, spesso
bilaterale.

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Agnosia per i colori


E' dovuta a lesione occipitale sinistra e delle fibre callose che collegano l'area occipitale destra (indenne) con
l'area di Wernicke.
Anche l'agnosia per i colori può essere suddivisa in:
• Agnosia appercettiva: incapacità di percepire i colori (acromatopsia); è solitamente da riferire ad
una lesione della regione occipito-temporale mediale.
• Agnosia associativa: può manifestarsi come incapacità di rievocare il nome dei colori (anomia per i
colori), o come incapacità a rappresentarsi il colore delle cose (agnosia per i colori propriamente
detta). Mentre nel primo caso sono conservati sia la percezione che la conoscenza semantica, ma il
paziente non riesce a denominare i colori, nel secondo caso c'è effettivamente un disturbo della
conoscenza semantica dei colori (questo paziente non saprà rispondere a domande come "di che
colore è la rana?").

Agnosia spaziale
L'agnosia spaziale è l'alterazione dell'esplorazione, della percezione e della memoria della disposizione degli
oggetti nello spazio.
Si riconoscono tre forme:
• Disturbi visuo-spaziali percettivi: caratterizzati da deficit dell'attenzione visiva periferica. Il soggetto,
a fronte di una normale oculomozione, è in grado di focalizzare la sua attenzione visiva solo sulla
zona di fissazione maculare. Il campo periferico è completamente ignorato. Questi disturbi sono
associati a lesioni parieto-occipitali superiori bilaterali.
• Disturbi visuo-spaziali mnestici: caratterizzati da perdita della memoria topografica con
conseguente disorientamento spaziale del paziente. Sono associati a lesioni parieto-occipitali destre.
• Negligenza spaziale unilaterale (controlesional emispatial neglect): è caratterizzata dall'incapacità di
riconoscere stimoli posti controlateralmente ad una lesione emisferica, solitamente del lobo
parietale inferiore (aree 39-40) di destra. In questo caso il deficit riguarda sia lo spazio corporeo che
extracorporeo e nella sua più comune espressione comprende:
o Inattenzione per l'emicampo visivo sinistro
o Negligenza motoria degli arti di sinistra
o Disattenzione tattile e uditiva per stimoli provenienti da sinistra
o Emisomatoagnosia (mancato riconoscimento di una metà del proprio corpo)
o Nosoagnosia (mancata consapevolezza) di un'eventuale emiparesi sinistra associata

AGNOSIA TATTILE
E' un disturbo del riconoscimento degli oggetti attraverso il tatto, in assenza di deficit sensitivi.
Se ne riconoscono due forme, a seconda che sia danneggiata l'area somestesica I (3, 1, 2) o l'area somestesica
secondaria (5, 7).
• Agnosia appercettiva (da lesione dell'area 3, 1, 2)deficit del processo d'identificazione primaria;
il paziente non è in grado di percepire le caratteristiche fisiche elementari dell'oggetto.
• Agnosia associativa (da lesione dell'area 5, 7)deficit del processo di identificazione secondaria
(confronto della percezione attuale con la memoria); il soggetto non è in grado di riconoscere
l'oggetto, pur potendolo descrivere dal punto di vista fisico.

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AGNOSIE DELLO SCHEMA CORPOREO


Le agnosie dello schema corporeo si caratterizzano per la perdita dell'immagine immediata e unitaria del
proprio corpo.
La funzione di riconoscimento unitario del proprio corpo tramite l'integrazione di stimoli multimodali è
effettuata dalle aree parietali 39 e 40 di Brodmann di entrambi gli emisferi. Tuttavia, le funzioni delle
aree 39 e 40 dell'emisfero destro sono leggermente diverse da quelle di sinistra. Per cui:
• Una lesione delle aree 39 e 40 destraperdita completa dello schema dell'emicorpo sinistro, o
emisomatoagnosia (sindrome di Anton-Babinski).
• Una lesione delle aree 39 e 40 di sinistraagnosia digitale associata ad agrafia pura (cioè non
afasica), acalculia e incapacità di distinguere il lato destro del proprio corpo dal sinistro (sindrome
di Gerstmann).
Dal punto di vista clinico, nelle agnosie dello schema corporeo il paziente ignora o nega l'esistenza di una
parte del suo corpo.
Qualora al deficit dello schema corporeo si associ una lesione motoria, il soggetto non avrà consapevolezza
del suo deficit motorio (nosoagnosia), e spesso dimostrerà indifferenza affettiva nei confronti di esso
(anosodiaforia).

FUNZIONI ESECUTIVE
Insieme dei processi che operano la programmazione, la regolazione e il monitoraggio del comportamento
con cui l’individuo si propone di raggiungere una determinata finalità. Ci si sposta verso una sfera di funzioni
essenzialmente motorie, realizzative (a differenza dei disturbi agnosici legati ai canali di informazione). Non
si tratta di aprassia, di difficoltà di eseguire, programmare un determinato movimento, bensì di una funzione
ancora più complessa nella quale oltre agli atti motori si include una prestazione comportamentale che
richiede integrità dei nostri meccanismi legati a volontà, autodeterminazione e regolazione delle nostre
funzioni.
Nelle funzioni esecutive un ruolo importante è assunto dal lobo frontale, perché opera una serie di controlli
sui nostri atti motori, che vengono regolati nell’applicazione nei diversi contesti relazionali e sociali. Nel lobo
frontale, in questo caso aree prefrontali, si hanno dei sistemi di facilitazione e attivazione di queste funzioni
esecutive e sistemi che invece hanno controllo inibitorio a seconda delle aree considerate, ed è dal bilancio
tra queste due aree che si realizzano le funzioni che caratterizzano le nostre attività esecutive.
Il lobo prefrontale regola le funzioni esecutive con tutta una serie di funzioni coinvolte:
• Attenzione
• Memoria di lavoro
• Apprendimento di strategie
• Flessibilità del comportamento
• Pensiero astratto e categorizzazione
• Inibizione e autocontrollo
• Giudizio e razionalità
Si tratta di elementi facilmente distinguibili, spesso intersecati, che messi insieme controllano e ottimizzano
le funzioni esecutive.

ATTENZIONE
È uno degli aspetti elementari nelle funzioni cognitive dell’individuo, può essere di diversi tipi e quindi
esaminata secondo criteri sperimentali di volta in volta diversi:
• Selettiva (inibisce il rumore di fondo e focalizzare canali recettivi su determinato scopo,
concentrando l’attenzione)

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Sbobine 2.0

• Condivisa o Orizzontale (recepisce contemporaneamente più canali esterni e l’attenzione è


condivisa, i canali possono essere selezionati tra i rumori di fondo in modo volontario)
• Sostenuta (protratta nel tempo)

MEMORIA DI LAVORO
Importante funzione controllata da lobo frontale, controllo dell’informazione che viene elaborata momento
per momento. Alcuni items del mini mental state examination sono correlati proprio a questa funzione.
La programmazione comportamentale è un altro elemento importante nei disturbi frontali, il suo deficit può
caratterizzare alcune forme di demenza come le demenze frontali. Prevede disturbi come
• L’inerzia, più tipica della sindrome dorso-laterale,
• La disinibizione nella sindrome orbito-frontale;
• Perseverazioni,
• Disturbi di utilizzazione e nella pianificazione, rilevati nella demenza frontale, modello di disturbo
cognitivo dell’anziano. La demenza frontale è diversa dalla demenza di Alzheimer, in cui la
manifestazione di disturbo cognitivo è legata a diverse aree in cui il processo patologico determina
alterazioni tipiche di malattia. Nella demenza di Alzheimer le aree posteriori, in particolare occipitali
e temporali, sono le più colpite, e infatti la perdita di capacità mnesiche è uno dei primi sintomi; nelle
demenze frontali o frontotemporali i primi interessati sono i lobi frontali con disturbi che magari
lasciano intatta la memoria ma determinano alterazione delle funzioni esecutive (disinibizione,
disturbo movimenti, pianificazione) che caratterizza inizialmente questa patologia.
[N.B.: Il professore non ha trattato gli altri punti sulle funzioni del lobo prefrontale]
Vi sono test molto semplici per valutare le funzioni frontali:
• Test di Wisconsin (“wisconsin card sorting test”, consente di individuare somiglianze tra stimoli o
test molto semplici di esecuzione geometrica che sono sotto controllo di funzioni esecutive)
• Test della Torre di Londra
Nella valutazione del paziente neurologico è importante operare un inquadramento delle funzioni cognitive
tramite il collezionamento di dati anamnestici e la valutazione del paziente, ma successivamente possiamo
avvalerci di test specifici che permettono di dettagliare il disturbo e rapportare le alterazioni cognitive ad una
determinata lesione o almeno localizzazione lesionale della patologia.
DOMANDA: Nel momento in cui si ha una demenza di grado lieve è possibile ottenere tramite riabilitazione un recupero parziale
delle funzioni o si può solo evitare che la demenza peggiori?
RISPOSTA: La demenza rientra tra le malattie il più delle volte neurodegenerative. Ci sono vari tipi di demenza, però nelle forme più
frequenti si parla di malattie degenerative, di cui per definizione non conosciamo il fattore scatenante. V’è dunque carenza di
chiarezza sui meccanismi alla base dei processi degenerativi, che sono per lo più apoptotici e indipendenti da fattori esterni che
possano causare una necrosi cellulare. Alcuni neuroni, per motivi ancora sconosciuti, durante la vita dell’individuo esauriscono il
proprio ciclo vitale, potremmo definire la neurodegenerazione come un processo di “invecchiamento cellulare precoce”. Non
conoscendo la patologia, allo stato attuale delle conoscenze non siamo in grado di arrestare il corso della malattia, ma le terapie
attuali si propongono di rallentarne il decorso. Per cui, se siamo in grado di rilevare, attraverso questo approccio semeiologico ma
anche attraverso tecniche odierne più avanzate (es. PET cerebrale con marcatori – nell’Alzheimer è possibile evidenziare l’amiloide
cerebrale) possiamo in pazienti con disturbi minimi avere una diagnosi precoce (mind cognitive impairment, declino cognitivo lieve
ma che col proseguire del tempo potrebbe sfociare in una demenzain questo caso le terapie che abbiamo possono o si propongono
di rallentare il processo). Se da una parte la possibilità di fare diagnosi è molto più fine, dall’altra la capacità di trattamento è
purtroppo ancora limitata.

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Sbobine 2.0

Lezione 2_03.10.2019
NERVI CRANICI
NERVO OLFATTORIO (I)
ANATOMIA
Dall’epitelio olfattorio nelle cavità nasali, partono fibre che raggiungono il bulbo olfattorio, di qui attraverso
la stria olfattoria raggiungono la corteccia del giro ippocampale e l’uncus dell’ippocampo (area olfattiva
primaria). Sono presenti numerose connessioni con strutture sottocorticali.

ANAMNESI
Bisogna indagare:
• Stile di vita: esposizioni a fumo, inquinanti ambientali,
• Patologie correlabili con l’insorgenza del sintomo: malattie del naso e dei seni paranasali, malattie
neurologiche neurovegetative, disturbi metabolici
• Assunzione di farmaci
• Modalità di insorgenza, durata e andamento temporale della sintomatologia
• Valutare eventuali alterazioni del gusto, poiché i disturbi olfattivi condizionano alla lunga anche la
sensibilità gustativa

ESAMI DIAGNOSTICI
Gli esami soggettivi possono non essere sufficienti e quindi è necessario una valutazione oggettiva, mediante:
• Valutazione olfattometrica tramite stimolazione olfattiva;
La stimolazione comporta l’annusamento del vapore emanato da soluzioni con concentrazioni scalari
di una sostanza odorosa attraverso entrambe le narici o una narice per volta (otturando l’altra con
nastro adesivo). Il secondo metodo (unirinale) è molto più lento ma anche più preciso, e comunque
indispensabile per localizzare un deficit olfattivo unilaterale. Si può evitare una contaminazione
trigeminale mediante l’utilizzo di odoranti puri. Valuta:
o Identificazione della soglia olfattiva.
o Identificazione degli odori
o Discriminazione degli odori e
o Memoria degli odori
• UPSIT: test standardizzato con 7 pennarelli con diversi odori. Utilizzato tipicamente nel Parkinson per
la valutazione del sintomi premotori. Implica la scelta forzata di un nome fra quattro suggeriti per
ciascun stimolo olfattivo;
• Indagini elettrofisiologiche
o Elettroolfattogramma: spesso presenta molti artefatti dati dalla mucosa olfattiva ma è molto
efficace;
o Potenziali chemiosensoriali elettro-correlati;
o Elettroencefalogramma correlato a sintomi olfattivi. La risposta olfattiva determina un arresto
del ritmo alfa, il dato è quindi aspecifico ma può essere utile correlato alle altre indagini in caso
di dubbio diagnostico.

AGENTI EZIOLOGICI
Si rifanno a:
• Patologie del neuroepitelio: inalazione di irritanti, infezioni virali, Ipovitaminosi B e D,
endocrinopatie;
• Cause centrali: traumi cranici diretti e indiretti per contraccolpo occipitale, lesioni occupanti spazio
quali meningiomi (della doccia olfattiva, soprasellari, della piccola ala dello sfenoide), tumori

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Sbobine 2.0

infiltranti come i gliomi, malattie neurodegenerative (soprattutto Parkinson nella valutazione dei
sintomi premotori), emorragia subaracnoidea, interventi neurochirurgici;
• Patologie genetiche: S di Kallman, S di Turner.
Una riduzione unilaterale dell’olfatto può riscontrarsi tipicamente in patologie espansive della fossa cranica
anteriore come nella sindrome di Foster-Kennedy o nell’epilessia (anche se più tipicamente abbiamo
paraosmie). In questi casi sono fondamentali i test olfattometrici per via monorinale.
Ano/iposmie di enrtambi le narici suggeriscono invece lesioni bilaterali della cavita nasale o malattie
neurodegenerative.

ALTERAZIONI DELL’OLFATTO
• Iperosmia: abnorme aumento della percezione olfattiva verso gli odori in genere. Contraddistingue
essenzialmente le crisi più violente di emicrania (ove si associa a nausea ed a vomito) e le meningiti
acute;
• Parosmie: percezioni spontanee di odori inusuali, non riferibili ad alcun odore noto, che compaiono
in assenza di stimoli odorosi. Consistono nella percezione, spesso a carattere accessuale e di breve
durata, di odori forti e mal definibili a parole dal paziente. Se associate o seguite da una breve,
parziale compromissione della coscienza, configurano le cosiddette crisi epilettiche olfattive;
• Disturbi psico-olfattivi: allucinazioni olfattive, percezioni spontanee altamente realistiche di odori
esistenti ben noti, contraddistinte dall’assenza di una stimolazione odorosa. Possono avere
genesi epilettica o rappresentare frammenti psicosensoriali proiettati dal paziente su sé stesso o
all’esterno, nell’ambito di un delirio di riferimento sensitivo o di una psicosi dissociativa.

NERVO OTTICO (II)


ANATOMIA
Dalle cellule gangliari della retina si forma il nervo ottico, che prosegue nel chiasma, con decussazione
parziale delle fibre (della metà nasale di ciascuna retina). Dopo il chiasma le fibre continuano come tratto
ottico e raggiungono il corpo genicolato laterale; di qui, tramite la radiazione ottica, verrà raggiunta la
corteccia visiva primaria, sulla superficie mediale lobo occipitale.

CLINICA
In base alla sede del deficit il deficit sarà diverso:
• La lesione del nervo ottico riguarda solo il lato interessato;
• La lesione del chiasma riguarda solo la parte esterna del campo visivo di entrambi gli occhi
• Dal tratto ottico entrambi gli occhi perdono lo stesso lato di campo visivo (il controlaterale rispetto
alla lesione)
Il campo visivo è valutato da sistemi computerizzati ma si può valutare anche a letto del malato: a distanza
dall’esaminatore di circa un metro, si copre un occhio del paziente e l’esaminatore sposta la mano tra se e il
malato. Il soggetto deve segnalare il momento in cui percepisce lo stimolo immediatamente. Si tratta di un
metodo molto pratico che può valutare il deficit e ipotizzarne le cause anche in relazioni ai sintomi di
accompagnamento.

DISTURBI DEL CAMPO VISIVO


• Scotomi: difetti del campo visivo, di cui il paziente si rende conto solo quando interessano la regione
maculare e diventano molto estesi. Possono essere percepiti come una macchia nera (scotomi
assoluti), oppure come un’area vista in bianco e nero (scotomi relativi), o ancora come un’area di
abbagliamento (scotomi scintillanti), tipici dell’aura emicranica. Possono essere:
o Centrali, se occupa la porzione centrale del campo visivo in seguito a lesioni del fascio
maculopapillare;

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Sbobine 2.0

o Paracentrali, per patologie della retina perimaculare. In caso di edema della papilla ottica
può anche verificarsi ingrandimento della macchia cieca;
o Centrocecali, se occupano la parte centrale e occupano la macchia cieca. Di solito riguarda
le lesioni ischemiche del nervo ottico;
o Periferici, per patologie focali della retina;
o Concentrico, in cui il campo visivo appare concentricamente ristretto, tipico della retinite
pigmentosa;
o Altitudinale se occupa la metà superiore o inferiore del campo visivo.
• Emianopsie: deficit bilaterali o unilaterali dovuti a lesioni chiasmatiche o sovrachiamsatiche. Più tipici
delle lesioni corticali, a livello delle radiazioni ottiche si parla invece di quadrantopsia. Il deficit può
essere eteronimo (indicando le metà temporali o nasali) o omonimo (indicando una delle due metà
del campo visivo). Un’altra suddivisione indica il disturbo come congruo o incongruo a seconda che
sia ugualmente esteso nei due occhi oppure asimmetrico.

Si può concludere che:


• Le lesioni prechiasmatiche causano difetti visivi in un solo occhio;
• Le lesioni chiasmatiche, in genere, causano difetti eteronimi del campo visivo bilateralmente;
• Le lesioni retrochiasmatiche causano difetti dell’emicampo visivo controlaterale di tipo omonimo in
entrambi gli occhi, congruo o incongruo.

PUPILLE
La motilità della pupilla è consentita da:
• Muscolo dilatatore della pupilla, innervato dal simpatico cervicale;
• Muscolo costrittore della pupilla, innervato dal III ne;
• Muscolo ciliare, innervato dal III ne.
Le pupille normali sono circolari e di pari diametro (ca 2-5mm), ovvero isocicliche e isocoriche. Alterazione
di questi parametri determinano:
• Anisociclia pupillare: in situazioni patologiche quali postumi di lesioni infiammatorie dell’iride, tabe
dorsale, paralisi progressiva, o anche alterazioni congenite. Il contorno della pupilla può̀ presentare
forme diverse;
• Anisocoria pupillare: la variazione unilaterale di diametro può̀ dipendere sia da una irritazione che
da un deficit delle vie deputate alla motilità̀ pupillare. È opportuno tuttavia sottolineare che circa il
20% della popolazione può̀ presentare una lieve anisocoria in cui, peraltro, la differenza tra i due
diametri pupillari resta costante nelle varie condizioni di illuminazione e le reazioni pupillari alla luce
e all’accomodazione-convergenza sono normali. In questi casi si parla di anisocoria essenziale.

Risposte pupillari fisiologiche


• Riflesso fotomotore: si ricerca ponendo il paziente in una stanza scarsamente illuminata e, dopo aver
atteso per un tempo sufficiente, portando davanti all’occhio del paziente una sorgente luminosa. La
via afferente del riflesso fotomotore prende origine dalla retina e segue la via ottica sino al tratto
ottico, lo abbandona prima del corpo genicolato laterale e raggiunge in nucleo pretettale. Da esso gli
impulsi sono inviati al nucleo di Edinger-Westphal dei due lati, le cui fibre raggiungono il ganglio
ciliare e, da qui, attraverso i nervi ciliari brevi, il muscolo costrittore dell’iride dei due occhi,
determinando una miosi sia nell’occhio che è stato illuminato (riflesso fotomotore diretto) che
nell’occhio controlaterale (riflesso fotomotore consensuale)
• Riflesso di accomodazione-convergenza: si ricerca invitando il soggetto a fissare un oggetto lontano
qualche decina di metri e successivamente a fissare un oggetto o il dito dell’esaminatore posto a
circa 20-30 cm di distanza. Abitualmente si porta il paziente davanti ad una finestra e si fa fissare

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Sbobine 2.0

prima un oggetto a distanza e successivamente un punto della finestra, posto che siano il più possibile
sulla stessa linea di sguardo. La visione da vicino comporta un restringimento della pupilla. In sintesi
questo riflesso comporta una triplice reazione (convergenza degli assi oculari, accomodazione e
miosi) la cui insorgenza presuppone una attivazione delle aree striate e peristriate ad opera delle
afferenze visive, cui fa seguito una risposta corticifuga diretta alla regione pretettale.
• Riflesso cilio-spinale: è provocato da stimoli dolorosi nella parte superiore del corpo e consiste in
una lieve midriasi dovuta ad una inibizione del nucleo di Edinger-Westphal, ma soprattutto ad una
attivazione del centro cilio-spinale di Budge.

Alterazioni pupillari di interesse neurologico


• Miosi unilaterale: si osserva, associata a restringimento della rima palpebrale, per paralisi del
muscolo tarsale, nelle lesioni unilaterali della via ortosimpatica (Sindrome di Bernard-Horner).
L’enoftalmo, classicamente incluso nella sindrome, sarebbe solo apparente. Possono associarsi
anidrosi e vasodilatazione dell’emifaccia ispilaterale. Le lesioni responsabili di una sindrome di
Bernard-Horner possono essere situate nell’ipotalamo, nel tronco encefalico, nel midollo cervicale,
nel torace, nel collo, alla base del cranio, e nell’orbita, dato il lungo e complesso decorso della via
simpatica pupillare. Altre cause sono traumi, sindromi alterne, lesioni del simpatico pericarotideo.
La presenza di segni di interessamento delle vie lunghe e/o di nervi cranici è suggestiva di una lesione
centrale;
• Miosi bilaterale: si osserva nelle lesioni bilaterali del diencefalo, del ponte e del bulbo, che mettono
fuori funzione la via ortosimpatica, e nell’intossicazione da oppiacei: le pupille possono raggiungere
dimensioni inferiori al millimetro (pupille a punta di spillo);
• Midriasi unilaterale: è caratteristica delle lesioni del III nervo cranico. Una midriasi unilaterale da
irritazione del simpatico deve considerarsi eccezionale;
• Midriasi bilaterale: si osserva nelle lesioni del tegmento mesencefalico, che interrompono la via del
riflesso alla luce, nelle lesioni bilaterali del III che interrompono la via parasimpatica; nella morte
cerebrale le pupille tendono alla midriasi unicamente per un effetto elastico. Si osserva inoltre
nelle intossicazioni da cocaina e da atropina.

Reazioni pupillari patologiche


• Perdita del riflesso alla luce: può dipendere da lesioni della branca afferente o efferente. La lesione
del nervo ottico interrompe la branca afferente: l’illuminazione dell’occhio leso non provoca risposta
in nessuno dei due occhi, mentre la risposta è normale e bilaterale illuminando l’occhio sano; è una
prova molto sensibile del danno del fascio maculo-papillare. Lesioni bilaterali delle vie ottiche
pregenicolate causano l’assenza bilaterale del riflesso fotomotore, permettendo di differenziare le
cecità anteriori da quelle corticali, in cui il riflesso è normale, avendo le fibre pupillomotrici
abbandonato la via ottica prima del corpo genicolato laterale. La lesione del III interrompe invece la
branca efferente del riflesso e abolisce la risposta pupillare dal lato leso, quale sia l’occhio illuminato.
Riassumendo:
o Lesione del nervo ottico: a riposo le pupille sono normali, viene perso il riflesso diretto alla luce,
si mantiene quello consensuale;
o Lesione del III ne: a riposo si ha midriasi omolaterale, il riflesso alla luce è assente nell’occhio
leso, sia per stimolo diretto che consensuale;
o Lesione del simpatico cervicale: a riposo la pupilla omolaterale è miotica, il riflesso alla luce
diretto è assente (la pupilla resta miotica), quello consensuale è presente.
• Fenomeno di Argyll-Robertson: è pressoché patognomonico della lue del sistema nervoso, ma si può
osservare anche nelle lesioni compressive della regione pretettale. Le pupille sono miotiche e, talora,
anisocoriche e anisocicliche, non reagiscono alla luce ma reagiscono normalmente
all’accomodazione. La lesione è localizzata nella regione pretettale e interrompe bilateralmente la

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Sbobine 2.0

via afferente del riflesso fotomotore, risparmiando le vie discendenti dalla corteccia responsabili
dell’accomodazione.
• Pupilla tonica di Adie: compare in età giovanile, di solito nel sesso femminile, quasi sempre da un
lato solo. La pupilla appare midriatica a normale illuminazione e non risponde alla luce; dopo
prolungata esposizione a luce intensa può mostrare una lieve riduzione di calibro. Reagisce invece
all’accomodazione con una miosi intensa, ma la risposta è lenta, tonica e persistente. In circa la metà
dei casi i riflessi achillei e rotulei sono assenti. La causa è ignota ma la condizione è benigna. Pupille
toniche bilaterali possono essere associate a polineuropatie di varia natura (diabetiche, infettive,
etc.).

OCULOMOZIONE ESTRINSECA
La motilità oculare estrinseca è governata da 3 paia di nervi cranici
• Nervo oculomotore (III), che innerva i mm retti interno (adduzione), superiore (elevazione), inferiore
(abbassamento), obliquo inferiore (extrarotazione);
• Nervo trocleare (IV), che innerva il muscolo obliquo superiore (intrarotazione);
• Nervo abducente (VI), che innerva il muscolo retto esterno (abduzione).
I muscoli oculomotori non possono essere contratti singolarmente in quanto l’azione di ciascun muscolo è
inscindibilmente coordinata con quella di altri muscoli ad opera di sistemi oculomotori sopranucleari. Ne
consegue che il contributo dei singoli muscoli alla motilità dei globi oculari può essere estrapolato solo
indirettamente sulla base del deficit:
• Strabismo paralitico: deviazione del globo oculare nello sguardo diretto, dovuta alla prevalenza del
muscolo antagonista;
• Limitazione (o addirittura abolizione) del movimento dell’occhio nella direzione del muscolo
agonista;
• Diplopia (a causa del disallineamento dei globi oculari), in cui l’immagine di un oggetto cadrà in punti
non corrispondenti della retina. Nell’occhio paretico l’immagine cade al di fuori della fovea per cui,
venendo a mancare la fusione delle immagini, l’oggetto apparirà̀ sdoppiato. In tal caso, per attenuare
la diplopia, il soggetto tende istintivamente a deviare il capo nella direzione di azione del muscolo
paretico. Le due immagini possono essere situate su un piano orizzontale, verticale o obliquo. Se la
diplopia è orizzontale i muscoli paretici possono essere solo due (il retto laterale o il retto mediale),
se la diplopia è verticale o obliqua è interessato almeno uno degli altri 4 muscoli. Si definisce
immagine vera quella percepita dall’occhio sano e immagine falsa quella percepita dall’ occhio
paretico. L’immagine falsa si distingue dall’immagine vera in quanto, non essendo proiettata sulla
fovea, presenta contorni meno nitidi. La diplopia è caratteristica dei disturbi della motilità̀ oculare
elementare (lesioni dei muscoli o dei nervi oculomotori), non si verifica nei disturbi della motilità̀
oculare coniugata (lesione dei sistemi oculomotori sopranucleari).

L’esame della motilità oculare si esegue invitando il soggetto a:


• Spostare volontariamente lo sguardo nelle diverse direzionimovimenti saccadici;
• Seguire una mira che si sposta nel campo visivomovimenti di inseguimento.
Se il deficit del muscolo è completo, la prova di inseguimento permette di individuare il movimento oculare
abolito e quindi di identificare il muscolo leso. Contestualmente il paziente accuserà diplopia che potrebbe
essere riferita anche in assenza di un visibile disallineamento dei globi oculari.

EZIOLOGIA
In acuto, in assenza di sintomi di accompagnamento, è difficile riconoscere la causa di una lesione isolata dei
nervi oculomotori (neuropatica, nucleare o sopranucleare). Le cause della paralisi dei nervi oculomotori sono
numerose e possono essere localizzate in varie sedi:

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Sbobine 2.0

• A livello del tronco encefalico, per lesione dei nuclei oculomotori e/o del tratto intrassiale del nervo
possono a causa di tumori, infiammazioni, infarti. Spesso sono dovute a sindromi alterne (sindromi
alterne di Weber o di Millard-Gubler), quindi esiste anche un’emiplegia controlaterale;
• Davanti al tronco, a causa di tumori, aneurismi della basilare, meningiti croniche della base
(sarcoidosi, carcinomatosi);
• Nel seno cavernoso e nella fessura sfenoidale superiore, le cui lesioni più comuni sono i tumori e gli
aneurismi.
Inoltre, nelle persone anziane, paralisi isolate di nervi oculomotori (soprattutto del III) sono spesso causate
da ischemia dei tronchi nervosi su base aterosclerotica o diabetica.
Le sindromi da paralisi combinate dei muscoli oculomotori possono dipendere sia da patologie dei nervi che
da patologie dei muscoli (miopatia distiroidea, distrofie muscolari, patologie mitocondriali ecc.), sono quasi
sempre unilaterali e le cause non sono diverse da quelle che possono dare paralisi isolate. Es. La Sindrome di
Tolosa-Hunt è una tipologia di oftalmoplegia dolorosa, che esordisce in modo acuto, tende a regredire
spontaneamente o con terapia cortisonica, ma può recidivare omo- o controlateralmente. È sostenuta da un
processo infiammatorio granulomatoso aspecifico localizzato nel seno cavernoso e nell’avventizia della
carotide; se lo stesso processo si localizza nell’orbita, si realizza il cosiddetto pseudotumor orbitae con
oftalmoplegia dolorosa ed esoftalmo marcato.
[Miopatia distiroidea. È la causa più comune di diplopia cronica nell’età media e senile. L’ipertiroidismo produce alterazioni dei muscoli extraoculari,
che vanno incontro a retrazione fibrotica: ne consegue una limitazione della rotazione oculare nella direzione opposta a quella del muscolo retratto,
che può simulare una paresi del muscolo antagonista. Tutti i muscoli estrinseci dei due occhi possono essere colpiti in varie combinazioni, realizzando
oftalmoplegie complesse, non riconducibili a lesioni dei nervi oculomotori. All’oftalmoplegia si associano segni evocatori di ipertiroidismo a livello
oculare: esoftalmo, retrazione della palpebra superiore che non segue l’occhio nello sguardo verso il basso (Segno di Graefe), edema palpebrale,
iperemia congiuntivale nei punti di inserzione dei muscoli oculomotori.]
NERVO OCULOMOTORE NERVO TROCLEARE NERVO ABDUCENTE
• Oftalmoplegia diabetica (con • Traumi cranici (la paresi può • Diabete;
frequente risparmio della essere bilaterale); • Sindrome da ipertensione
componente intrinseca); • Diabete (specie negli anziani); endocranica;
• Lesioni nucleari: infarti, • Infarti mesencefalici; • Sindromi pontine (infarto,
malattie demielinizzanti, • Patologia del seno cavernoso tumore, malattie
tumori e/o fessura orbitale demielinizzanti) e, meno
• Lesioni delle fibre frequentemente, sindromi
intraparenchimali: infarti dell’angolo ponto-
(sindromi alterne cerebellare;
mesencefaliche) e raramente • Tumori della fossa media
tumori; (tumori);
• Lesioni a livello • Sindromi del seno cavernoso
interpeduncolare: aneurismi, e della fessura orbitale
traumi, meningiti, emorragie superiore;
subaracnoidee; • Sindromi del clivus (tumori
• Lesioni a livello del seno nasofaringei).
cavernoso: aneurismi, tumori
(meningiomi, tumori
extrasellari, metastasi);
• Lesioni a livello dell’orbita.

NERVO OCULOMOTORE (III)


La sua origine apparente si trova sulla superficie mediale del peduncolo cerebrale. Innerva i muscoli
oculomotori omolaterali ad eccezione dei muscoli retto laterale e obliquo esterno, inoltre presenta una
componente efferente viscerale deputata alla costrizione della pupilla. Lesioni a carico di questo nervo
comportano:

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• Ptosi unilaterale omolaterale


• Strabismo divergente (extrotopia)
• Difetto nella rotazione verso l’interno, l’alto, e il basso
• Diplopia orizzontale nella posizione primaria dello sguardo, che diventa massima nello sguardo
orizzontale verso il lato opposto (diplopia eteronima)
• Midirasi fissa unilaterale omolaterale
Poiché la miastenia e, a volte, la miopatia distiroidea, possono mimare vari tipi di paresi oculari, il test al
Tensilon e i test di funzionalità̀ tiroidea devono essere eseguiti in tutti i pazienti con pupille normali.

NERVO TROCLEARE (IV)


È l’unico nervo cranico con origine apparente sulla superficie dorsale. Da esso originano fibre efferenti
deputate all’innervazione del muscolo obliquo superiore (extrarotazione). La paralisi del nervo trocleare è
caratterizzata da:
• Inclinazione compensatoria della testa verso il lato opposto rispetto all’occhio affetto,
• Lieve elevazione dell’occhio affetto;
• Difetto di rotazione dell’occhio in basso e all’esterno,
• Diplopia verticale massima nello sguardo in basso e verso il lato opposto al muscolo paretico.
Le paresi isolate del IV paio sono meno frequenti delle paresi degli altri nervi oculomotori.
Anche in questo caso è bene escludere miastenia e tireopatie.

NERVO ABDUCENTE (VI)


L’origine apparente di questo nervo si trova a livello del margine caudale del ponte. Innerva il muscolo retto
esterno. La paralisi del VI si manifesta con i seguenti disturbi:
• Strabismo convergente (esotropia),
• Difetto di rotazione dell’occhio verso l’esterno,
• Diplopia orizzontale, che diventa massima nello sguardo diretto verso il lato dell’occhio affetto
(diplopia omonima).

MOVIMENTI CONIUGATI DEGLI OCCHI


I movimenti coniugati sono permessi grazie a vie di connessione tra i centri oculomotori. Inoltre sono
necessarie connessioni con altre centri sottocorticali (nuclei vestibolari, formazione reticolare pontina para
mediana, nuclei del VII, V, XI e XII nervi cranici).

PARALISI ORIZZONTALE DI SGUARDO


Si tratta di una condizione patologica che insorge in seguito a lesioni della via cortico-nucleare localizzate fra
la corteccia frontale (area 8) e il ponte. In particolare:
• Se la lesione è emisferica, è paralizzato lo sguardo verso il lato opposto alla lesione e c’è una
deviazione tonica degli occhi verso lo stesso lato della lesione (lo sguardo è deviato verso il lato
opposto all’emiplegia),
• Se la lesione è pontina, è paralizzato lo sguardo verso il lato della lesione e c’è una deviazione tonica
degli occhi verso il lato opposto (lo sguardo è deviato verso il lato dell’emiplegia).
Cause:
• Lesione corticale dell’area 8 o dell’area occipitoparietale (paralisi di lateralità automatica verso illato
della lesione e perdita di nistagmo optocinetico);
• Lesione mesencefalica come la sindrome di Parinaud (paralisi di verticalità volontaria e automatica,
paralisi di convergenza e presenza di nistagmo retrattorio);
• Lesione pontina;

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• Lesione del fascicolo longitudinale mediale (paralisi internucleare).

NERVO TRIGEMINO (V)


Le lesioni trigeminali si localizzano a più livelli: sopranucleari, del nucleo motore, dei nuclei sensitivi,
del ganglio di Gasser, delle branche periferiche. Nella valutazione della funzione del V nervo cranico verrà
valutata:
• Funzionalità motoria. Consiste nel testare l’efficienza dei muscoli masticatori (temporale, massetere,
pterigoidei interno ed esterno). Si ordina al paziente di chiudere fortemente la bocca e si apprezza
palpatoriamente la contrazione del temporale e del massetere; tentando di aprire la bocca, se ne
valuta la forza. Lo spostamento laterale della mandibola permette di apprezzare la funzione degli
pterigoidei. Queste prove sono importanti soprattutto in caso di lesioni unilaterali, difficilmente
avvertite dal paziente.
• Funzionalità sensitiva. Consiste nel valutare la sensibilità tattile, termica e dolorifica.
Inoltre è possibile valutare la via trigeminale mediante l’elicitazione di alcuni riflessi:
• Riflesso masseterino; viene ricercato afferrando la punta del mento del paziente, tra il pollice e
l'indice, invitando il paziente a lasciare la mandibola inerte e penzoloni su tali dita, con la bocca
semiaperta. Si imprime un colpo brusco con il martelletto sul pollice dell'esaminatore, sollecitando
in tal modo un riflesso tendineo da parte dei muscoli massetere e temporale;
• Riflesso di ammiccamento o blink reflex; contrazione dell’orbicolare delle palpebre evocata da
stimoli tattili, visivi e acustici; presenta una componente precoce e una tardiva obiettivabili alla
valutazione strumentale;
• Riflesso corneale; contrazione dell’orbicolare delle palpebre per stimolazione della cornea (posti
dietro al paziente); insieme al precedente valuta le connessioni con il nervo faciale (componente
efferente data dai nuclei del VII ipsi- e controlaterali);
• Riflesso naso-lacrimale; lacrimazione in seguito a stimolazione della mucosa nasale;

LESIONI DEL TRIGEMINO MOTORIO


In caso di lesioni sopranucleari, spesso si manifestano clinicamente solo in caso di lesioni bilaterali poiché il
nucleo motorio, nella maggior parte degli individui, riceve fibre cortico-bulbari dai due emisferi. In questi casi
si ha disturbo della masticazione e accentuazione del riflesso masseterino.
Nei rari casi in cui le fibre cortico-bulbari provengano esclusivamente dall’emisfero controlaterale, si
manifesta solitamente con emiparesi dovuta a lesione capsulare e ipostenia della muscolatura masticatoria.
Nelle lesioni unilaterali del nucleo motore e della branca motoria si osservano:
• Atrofia delle regioni sopra e sottozigomatiche e della guancia;
• Minor validità nella masticazione;
• Minor resistenza alla palpazione del pavimento della bocca per atrofia dei muscoli miloioideo e del
ventre anteriore del digastrico;
• A bocca aperta la mandibola devia dal lato paralizzato per azione dei muscoli pterigoidei del lato
opposto e non può essere spostata il lato sano;
• Il riflesso masseterino è assente dal lato leso.
• La paralisi del muscolo tensore del timpano può causare ipoacusia
Nella lesione bilaterale della branca motrice la mandibola è cadente ed immobile, la masticazione è
impossibile e la saliva scola attraverso la bocca aperta.
DD. La paralisi del nucleo motorio è distinta dalla paralisi sopranucleare per l’assenza del fenomeno
sincinetico palpebra-mandibola (contrazione forzata dell’orbicolare della palpebra associata al movimento
laterale della mandibola verso il lato opposto).

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Sbobine 2.0

LESIONI DEL TRIGEMINO SENSITIVO


La lesione può interessare i nuclei sensitivi, il ganglio di Gasser o le tre branche periferiche.

LESIONE NUCLEARE
Il disturbo della sensibilità, soprattutto termica, riguarda la faccia con una disposizione concentrica. In base
alla sede della lesione la perdita di sensibilità si localizza:
• Alla fronte per lesioni della porzione caudale e della radice discendente;
• Alla regione temporale e alle palpebre per lesioni della porzione più rostrale del nucleo;
• Al naso e alla guancia per lesione della porzione più anteriore nucleo.
Le cause più comuni di lesione sono: siringobulbia, trombosi dell’arteria cerebellare posteroinferiore, tumori
del tronco encefalico

LESIONE DEL GANGLIO DI GASSER E DELLA RADICE RETROGASSERIANA.


Il disturbo della sensibilità interessa tutto il territorio delle tre branche, realizzando un’anestesia totale
omolaterale dell’emifaccia (dalla fronte al mento) delle mucose nasali e buccali, delle tonsille, del pilastro
posteriore della faringe e dei 2/3 anteriori della lingua (sensibilità gustativa conservata). Si associa a paralisi
trigeminale motoria nel caso sia coinvolta anche la radice motoria contigua.
Le cause più comuni di lesione sono: malattie infiammatorie o tumorali in aree contigue, e talora tumori dello
stesso ganglio. Le connettiviti autoimmuni possono essere una causa di neuropatia trigeminale bilaterale,
caratterizzata da deficit sensitivo di una o più branche (tormentose parestesie, quasi mai la sintomatologia è
dolorosa).
Talvolta la neuropatia sensitiva si può manifestare anche in maniera apparentemente primitiva e può essere
accompagnata da interessamento della parte motoria, con atrofia dei muscoli masticatori e persino delle
strutture ossee faciali.

LESIONI DELLE TRE BRANCHE PERIFERICHE


Lesioni delle branche trigeminali possono essere causate da:
• Tumori, con compressioni o infiltrazioni lungo il decorso;
• Traumi, specie del nervo sovraorbitario ed infraorbitario;
• Infezioni, più frequentemente da herpes simplex ed herpes zoster (la branca più frequentemente
colpita è quella oftalmica).
• Lesioni con azione compressiva moderata (tumori a lento accrescimento, conflitto neuro-vascolare)
o in grado di disturbare la conduzione (placche di demielinizzazione in malati di sclerosi multipla)
della radice retrogasseriana nel suo punto di ingresso nel ponte. Queste lesioni sono particolari in
quanto non sono in grado di provocare una ipoestesia, ma causano una sindrome dolorosa
denominata nevralgia trigeminale o tic douloureux

Branca oftalmica
La lesione della branca oftalmica comporta:
• Anestesia di fronte, occhio, palpebra superiore, mucosa dei seni frontali e del naso (salvo la parte
laterale in corrispondenza della narice);
• Perdita del riflesso oculocardiaco;
• Secrezione lacrimale conservata;
• Assenza dei riflessi corneale e di ammiccamento con conseguente cheratite paralitica e fotofobia
(DD con patologie primitivamente oculari e malattie neurologiche quali emicrania, meningiti,
emorragia subaracnoidea).

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Sbobine 2.0

Branca mascellare
Lesioni a carico di questa branca comportano anestesia di cute della guancia e del labbro superiore, parte
della regione temporale, palpebra inferiore, cute della porzione laterale del naso in corrispondenza della
narice, parte della mucosa del naso, radici dentali superiori, nasofaringe, seno mascellare, palato molle,
tonsille e mucosa del palato.

Branca mandibolare
In questo caso si ha anestesia di parte della cute, della mucosa della guancia e del labbro inferiore, parte
superiore della cute dell’orecchio e della cute del meato acustico, membrana timpanica, parotide, parte
temporale inferiore della cute del capo, due terzi anteriori della lingua, radici dentali inferiori.

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Sbobine 2.0

DIAGNOSI DI LABORATORIO IN NEUROLOGIA


Il laboratorio è importante in neurologia perché i processi patologici, al di là delle loro manifestazioni cliniche,
hanno alla base eventi che si realizzano a livello tissutale o cellulare e subcellulare, a livello biochimico e oggi
si dice molecolare, per cui è non solo affascinante ma anche utile andare ad esplorare quale meccanismo
molecolare può essere alla base della malattia in studio. Se indagini come la risonanza magnetica cerebrale,
la PET cerebrale amiloide-specifica portano “in alto”, ad una visione di macro-funzione nervosa, la diagnostica
di laboratorio ci porta invece “in basso” alla definizione microscopica o anche molecolare del processo alla
base di una malattia neurologica. Prendendo come esempio la malattia di Alzheimer, la PET amiloide-
specifica mostra cosa c’è nel cervello, la deposizione di placche amiloidee in corteccia, ma con indagini di
laboratorio si può dosare lo stesso peptide beta amiloide nel liquor del paziente.
Quindi per ogni patologia neurologica è importante a livello laboratoriale individuare dei biomarcatori che
siano utili per fare diagnosi e seguirne il decorso, verificare l’effetto dei trattamenti ed avere un utile
riferimento in termini di presa in carico della patologia.
Molti degli esami di laboratorio richiesti sono esami generali, che possono essere utili per interpretare un
quadro neurologico. Es. In un quadro di interessamento del SNP in corso di malattia internistica, come il
diabete, sarà utile dosare glicemia, Hb glicata etc. oppure in corso di distiroidismo in presenza di una
complicanza neurologica sarà utile monitorare i parametri tipici della malattia di base. Ma ci sono anche
esami di laboratorio specifici che verificano funzioni o aspetti legati alla patologia neurologica.
Le malattie neurologiche ad eziologia metabolica e genetica sono malattie spesso rare in cui però
l’alterazione di una via metabolica magari sostenuta da una mutazione genetica ci permette con le odierne
tecnologie di laboratorio di effettuare diagnosi definitive e stabilire il trattamento più appropriato. Oggi si
sente parlare di terapia genica di alcune malattie, si iniziano ad intravedere cure impensabili fino a qualche
anno fa.
Sono numerose le malattie genetiche a carico del sistema nervoso centrale. Si tratta di malattie che secondo
le leggi classiche della genetica mendeliana potremmo classificare come malattie a trasmissione autosomica
dominante o recessiva, e poi andare a caratterizzare da punto di vista molecolare grazie ad analisi di DNA,
PCR, tecniche di amplificazione del DNA, e recenti tecniche di indagine dell’esoma su più siti o addirittura
globalmente considerato.

CLASSIFICAZIONE MOLECOLARE DELLE MUTAZIONI DI INTERESSE NEUROLOGICO


• Delezione di DNA: perdita di un tratto di DNA ad interno di gene
• Mutazione puntiforme: sostituzione di base nucleotidica
• Espansione di tri-nucleotide: meccanismo molecolare recentemente individuato, espansione di
triplette. Sono malattie il cui locus genetico si caratterizza per la ripetizione eccessiva di tri-nucleotidi.
Nella distrofia miotonica la tripletta interessata è CTG. Triplette di CTG si ripetono normalmente in
ciascuno di noi nel cromosoma 19, in condizioni fisiologiche si hanno fino a 50 ripetizioni. Nella
distrofia miotonica di Steinert, invece, si arriva fino a centinaia e migliaia di ripetizioni della tripletta
CTG, per cui si instaura mutazione.
Queste alterazioni oggi si possono diagnosticare con semplici test di analisi del DNA attraverso screening
prenatali, soprattutto per malattie letali, a prognosi infausta, e per le quali oggi si inizia a parlare anche di
terapia genica. Fare diagnosi genetica oggi è importante perché si affacciano le prime possibilità di
trattamento per questi gravi disordini neurologici.
Lo scopo delle indagini di laboratorio è anche, una volta noto il difetto genetico, individuare biomarcatori
per monitorare nel tempo il decorso della malattia.
Es. Le malattie ad ereditarietà mitocondriale sono gruppo di patologie che si conoscono da pochi anni,

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Sbobine 2.0

individuate in anni 1980, che hanno la loro causa in alterazioni della piccola molecola circolare di DNA
presente all’interno dei mitocondri, che si sa da biologia classica essere risultato di processo evolutivo di
simbiosi tra proto-batterio e cellule eucariote, sodalizio che ha assicurato alla cellula eucariote un perfetto
sistema di utilizzo dell’ossigeno grazie al materiale genetico mitocondriale codificante per le proteine usate
nel processo di fosforilazione ossidativa. Una caratteristica peculiare delle malattie ereditarie causate da
mutazioni nel genoma mitocondriale è che hanno introdotto una nuova modalità di trasmissione ereditaria
rispetto alle classiche malattie genetiche(AD, AR, X-linked), che è quella mitocondriale: i mitocondri vengono
trasmessi alla prole tramite la cellula uovo, si tratta dunque di ereditarietà matrilineare ma non legata al
cromosoma X.

L’inquadramento diagnostico e il follow up laboratoriale di una malattia neurologica si possono effettuare


con vari approcci. In pazienti con sospetto di distrofia muscolare si può effettuare un’immunoistochimica di
biopsia muscolare volta ad evidenziare la proteina distrofina:
• Nella distrofia di Duchenne si avrà assenza di distrofina,
• Nella distrofia di Becker una ridotta colorazione delle fibre.
Queste due distrofie sono causate da una mutazione sul gene della distrofina, localizzato sul cromosoma X
(trasmissione X-linked dominante), ma v’è una differenza fondamentale tra le due forme: mentre nella
distrofia di Becker, variante più lieve di malattia, la distrofina è presente seppur in quantità o con
caratteristiche alterate, nella distrofia di Duchenne, la variante più grave, la malattia è dovuta alla totale
assenza della distrofina, esordisce nei primi anni di vita.
La differenza tra le due forme è visibile anche in Western Blot, dove la banda della proteina non si rileva nel
tessuto muscolare. La ragione molecolare di tale differenza sta nel tipo di mutazione: nella Duchenne la
mutazione è non senso, interrompe il reading frame del gene per la trascrizione del RNA, per cui v’è assenza
di distrofina. Se invece, come nella Becker, la mutazione è puntiforme, il codice di lettura rimane inalterato
e si può avere sintesi di una proteina che però sarà di qualità o quantità differenti, segno che non è proteina
normale, è una proteina con funzione in qualche modo deficitaria.
Ragionamento logico è che oggi possiamo non solo risalire alla causa della patologia, ma anche capire
attraverso questi biomarcatori come mai in un caso la malattia è più grave e in un altro caso è meno rilevante.

ANALISI DEL LIQUOR


Il liquor cefalorachidiano è il fluido biologico risultante dal processo di filtrazione del siero a livello dei plessi
corioidei. Si tratta di un comparto neurobiologico estremamene importante perché in tutte le situazioni in
cui la barriera ematoencefalica viene ad essere alterata (processo infiammatorio, encefalite, meningite)
rappresenta lo “specchio” delle patologie che stanno colpendo il SNC riversando nel liquor alcune sostanze
che possiamo utilizzare come biomarcatori.
Es. Dosaggio nel liquor della proteina beta amiloide, che nella malattia di Alzheimer risulta alterata in dose e
qualità nel comparto liquorale, che è uno dei compartimenti che rispecchia le alterazioni metaboliche della
cellula nervosa.

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Sbobine 2.0

LE GRANDI SINDROMI NEUROLOGICHE


CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE NEUROLOGICHE
• Malattie neurodegerative (Malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson, SLA ecc.)
• Malattie neurogenetiche, interessano sia SNC che SNP
• Malattie cerebrovascolari (ischemia, emorragia); esordisce in maniera acuta e la sede della lesione è
deducibile dalla sintomatologia deficitaria del paziente, la diagnosi infatti è clinica
• Malattie infiammatorie e autoimmuni come Sclerosi Multipla;
• Malattie da agenti tossici o da farmaci
• Epilessie
• Cefalee
• Traumi
• Neoplasie

SINDROMI CEREBRALI CORTICALI


La corteccia cerebrale è suddivisibile in numerose aree, ciascuna con una funzione altamente specifica. Per
sindrome cerebrale corticale si intende l’insieme di sintomi neurologici e psichici causati da lesioni di
determinate aree corticali.
Una lesione può determinare:
• Scomparsa di funzionisintomi deficitari o negativi
• Liberazione di aree fisiologicamente controllate dall’area lesasintomi di liberazione o positivi (es
iperriflessia nelle SC motorie)

La manifestazione può essere più o meno suggestiva a seconda dell’area coinvolta: tanto più selettiva sarà la
funzione di un’area corticale e tato più eloquente sarà la sintomatologia in caso di lesione. Inoltre la stessa
lesione si manifesta non sempre in maniera identica in soggetti diversi a causa di diversi fattori (età,
background culturale, personalità ecc.). In particolare le aree che più risentono dell’inter individualità sono
le aree frontali, deputate a funzioni molto complesse

SINDROME FORNTALE MOTORIA


Chiamata anche sindrome rolandica, colpisce l’area 4 di Brodman, ovvero l’area motoria primaria.
Tipicamente si manifesterà con deficit motorio controlaterale rispetto alla lesione. Il deficit rispecchia
l’homunculus motorio e, poiché gran parte dell’area corticale è deputata al controllo dell’arto superiore,
quest’ultimo risulta frequentemente colpito. In acuto il deficit motorio determina paralisi flaccida (regola di
fondo generale valida quasi sempre), nei giorni seguenti sopraggiungerà invece una paralisi di tipo spastico.
Al deficit motorio si associano poi sintomi di liberazione, rappresentati in questo caso da un’iperriflessia e
comparsa di riflessi patologici come il Babinsky.
Es. evento ischemico motorio che interessa l’area motoria primaria di destra: si presenterà con paralisi
flaccida e iperriflessia dell’emisoma di sinistra (da valutare comparatamente all’emisoma di dx), comparsa
del segno di babinsky, ovvero il riflesso cutaneo plantare in estensione (normalmente è in flessione).
Successivamente il pz avrà paralisi spastica dello stesso emisoma.

SINDROME PREMOTORIA
In questo caso la sintomatologia è più sfumata perché l’area colpita è l’area 6, area collegata a numerose
strutture corticali e sottocorticali.
La sintomatologia di questa sindrome riguarderà:

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Sbobine 2.0

• Disturbi della motilità oculare, nel caso in cui venga colpita l’area frontale oculo-cefalogira. Nella
pratica clinica questa manifestazione è molto rilevante. In caso di lesione ischemica il sintomo
sarà deficitario è il pz avrà paralisi controlaterale rispetto alla lesione e una deviazione coniugata
dello sguardo indirizzata verso il lato della lesione (’guarda la lesione’). In caso di epilessia il sintomo
sarà di tipo irritativo: le regioni coinvolte saranno le stesse del primo caso, ovvero sempre
controlaterali, ma lo sguardo sarà rivolto verso il lato opposto.
Nella pratica clinica la direzione dello sguardo sarà molto importante: l’epilessia si manifesta
inizialmente con una crisi tonico-clonica controlaterale (crisi jacksoniana) cui segue una paralisi post-
critica. In un pz che arriva in PS in condizioni di paralisi sarà necessario fare diagnosi differenziale: nel
caso in cui lo sguardo sia diretto verso l’emisoma paralizzato il sospetto diagnostico propenderà più
per una paralisi di origine epilettica, in caso contrario si tratterà di una paralisi di natura ischemica.
• Disturbi della motilità riflessa e del tono muscolare. Il tono muscolare risulta aumentato (ipertonia
plastica), così come sono esagerate le risposte in flessione (grasping), si può liberare il riflesso di
succhiamento (evocato dalla percussione del lato superiore del labbro in seguito a cui esso viene protruso, fonte online). Altre
manifestazioni sono perseverazione motoria (incapacità di porre termine ai movimenti quando richiesto o ad un momento
predeterminato) e ecoprassia (imitazione spontanea di movimenti osservati). Questi segni sono più frequenti nelle forme

neurodegenerative rispetto a eventi acuti.


• Disturbi del linguaggio e delle prassie. Tipico delle lesioni dell’emisfero dominate (sinistro), in
corrispondenza dell’area di Broca (piede della terza circonvoluzione frontale). La manifestazione
consiste in un’afasia non fluente con comprensione conservata, spesso il sintomo di esordio di un
evento ischemico: il pz riesce a comprendere quello che gli viene detto ma non riesce a esprimersi
(NON è disartrico). L’afasia va da gradi lievi fino a quadri di mutacismo completo.
[Non è universalmente vero che l’emisfero dominante sia il sinistra, ad esempio nei mancini
l’emisfero dominante è il destro.]

SINDORME PRFRONTALE
Sono ancora più sfumate e colpiscono le regioni più anteriori della corteccia, deputate allo svolgimento delle
funzioni più complesse dell’organismo. Questo è il motivo per cui si rendono più evidenti in lesioni di tipo
cronico (es demenze frontali). Manifestandosi con disturbi di natura comportamentale o psichica, vanno in
DD con patologie psichiatriche (che non riconoscono un substrato organico come causa). Queste sindromi
vengono classificate sulla base della sede della lesione:
- SINDROME DORSO-LATERALE: disturbo delle funzioni esecutive
- SINDROME MEDIALE: apatia, abulia, inerzia
- SINDROME ORBITO-FRONTALE: iperattività, irascibilità, incostanza, volubilità, perdita dell’attenzione
Questi sintomi caratterizzano le demenze frontali e precedono i deficit mnesici, sintomo tipico nel pz di lunga
data.

SINDROME PARIETALE
In genere si manifesta con alterazione della percezione dello spazio: la lesione rende insufficiente i
meccanismi attentivi per la percezione dell’emispazio e dell’emisoma controlaterale. Poiché queste
funzioni sono lateralizzate nell’emisfero di destra, quest’ultimo è il più frequentemente colpito. La
sintomatologia d’esordio è rappresentata quindi da negligenza spaziale o emidisattenzione visiva
controlaterale (a sinistra). Compare inoltre il fenomeno dell’estinzione: il paziente non riconosce gli stimoli
somministrati all’emisoma di sinistra. In caso di coinvolgimento della circonvoluzione parietale inferiore o del
giro sopramarginale inferiore la sindrome si presenta con un importante deficit del linguaggio, l’afasia di

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Sbobine 2.0

Wernicke: a differenza dell’afasia motoria, si tratta di una afasia fluente ma con una comprensione ridotta in
misura variabile, da gradi lievi (non si riesce a nominare gli oggetti o vengono nominate parole passpartout)
fino all’alessia pura. Si parla di ‘insalata di parole’: il paziente è in grado di articolare le parole ma il linguaggio
è privo di senso.
Nel caso di coinvolgimento dell’emisfero non dominante i deficit sono principalmente di natura vis spaziale,
con aprassia tipicamente costruttiva (disturbo delle attività di costruzione, composizione e disegno, in cui la forma spaziale del prodotto non è
adeguata).

SINDROME TEMPORALE
Le funzioni del lobo temporale sono numerose: udito, linguaggio, equilibrio, comportamentale, psichica e
vegetativa. Le sindromi temporali più frequentemente osservate sono dovute all’epilessia, motivo per il
quale la sintomatologia è di natura irritativa. Queste lesioni si manifestano quindi con:
• Allucinazioni uditive, olfattive e gustative;
• Crisi di panico, con stato di paura e di ansia, in caso di coinvolgimento ippocampale;
• Emianopsia omonima controlaterale per lesioni della radiazioni ottica fino a allucinazioni visive
complesse
• Disturbi neurovegetativi: aura epigastrica (nausea a livello epigastrico), automatismi buccali
aumento, deviazioni delle condotte sessuali fino a crisi vegetative
• Disturbi psichici: disturbi mnesici e cognitivi (tipici della malattia di Alzheimer)

SINDORME OCCIPITALE
Le aree occipitali sono deputate alla percezioni visiva, quini la sintomatologia è data da:
• Emianopsia controlaterale omonima in caso di lesioni distruttive, fino alla cecità corticale in caso di
distruzione di entrambi i lobi;
• Allucinazioni in caso di lesioni irritative, più frequenti a destra.

SINDROME TALAMICA
Il talamo è una struttura sottocorticale pari deputata alla regolazione delle funzioni motorie, sensitive e
neurovegetative. Inoltre regola l’attività elettrico-cerebrale e la coscienza. Lesioni talamiche quindi si
manifestano con numerosi disturbi:
• Della sensibilità, con ipoestesia e iperpatia controlaterale (sindrome di djerine-roussy o lesioni
ischemiche acute)
• Dello schema corporeo, con anosognosia (incapacità del paziente di riconoscere e riferire di avere un deficit neurologico, avviene
anche nelle sindromi parietali)

• Motori, con atassia sensitiva e incoordinazione motoria


• Demenza talamica, in caso di lesioni bilaterali
• Disartria, in caso di lesioni del circuito cortico-sottocorticale dell’emisfero dominante.

SINDROMI ALTERNE TRONCO-ENCEFALICHE


Interessano il tronco, dove sono presenti sia vie lunghe deputate all’innervazione dell’emisoma
controlaterale, sia i nuclei dei nervi encefalici, la cui innervazione è invece omolaterale: il nome della
sindrome deriva infatti dalla possibilità di avere manifestazioni controlaterali od omolaterali a seconda della
sede della lesione.
In un paziente che arriva in PS con sindrome alterna si deve subito pensare a una possibile sindrome tronco-
encefalica, come ad esempio un ictus del circolo posteriore [l’ictus del circolo posteriore è più pericoloso e

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Sbobine 2.0

mortale del circolo anteriore, per ragioni anatomiche: le due arterie vertebrali confluiscono infatti nell’arteria
basilare, che fornirà il sangue a entrambi gli emisferi posteriori. Inoltre in termini di tempistiche di intervento,
l’ictus posteriore può essere trattato fino a 12 ore dall’esordio dei sintomi, nel caso di lesioni del circolo
anteriore non si può più trattare il pz dopo le 6 ore]

SINDROME DI WEBER
Chiamata anche sindrome mesencefalica ventrale. Interessa le fibre del III nervo cranico e le vie cortico-
spinali, manifestandosi quindi con paralisi omolaterale del III nervo cranico e emiplegia o emiparesi
controlaterale.

SINDROME DI BENEDICKT
Si tratta di una sindrome mesencefalica che, rispetto alla prima, coinvolge anche il nucleo rosso e le fibre
cerebello-talamiche. Alla sintomatologia precedente si aggiunge quindi tremore controlaterale.

SINDROME DI PARINAUD
È difficile da osservare in acuto, più tipica di patologie infiammatorie demielinizzanti o neoplastiche a carico
della lamina quadrigemina (chiamata anche sindrome mesencefalica dorsale). Si caratterizza per paralisi dei
movimenti di verticalità dello sguardo.

SINDROME DI MILLARD GUBER


È una sindrome abbastanza frequente, chiamata anche sindrome pontina caudale ventrale. Colpisce le fibre
piramidali e fibre motorie del VI e VII nervo carnico: si manifesta con paralisi del retto esterno (VI) e paralisi
di tipo periferico del VII nervo cranico (la paralisi periferica comprende solo la componente inferiore del
faciale, quella centrale anche la superiore).

SINDROME DI RAYMOND
Sindrome pontina. Colpisce nuovamente il VI nervo cranico: oltre alla paralisi del retto esterno è presente
anche emiplegia e tremore controlaterale. [Non ho trovato il motivo dell’emiplegia, su internet ho trovato la sindrome di
Chestan Raymond che ricorda la sindrome di Foville, una sindrome chiamata solo di Raymond non esiste quindi non so che cosa dire
bacioni]

SINDROME DI FOVILLE
Colpisce le fibre del VI e VII nervo cranico, il fascicolo longitudinale mediale, il lemnisco mediale e il peduncolo
cerebellare medio, manifestandosi quindi con:
• Paralisi omolaterale di VI e VII nervo cranico
• Paralisi dei movimenti coniugati dello sguardo laterale (fascicolo longitudinale mediale)
• Emianestesia termodolorifica controlaterale
• Atassia

SINDROME DI WALLEMBERG
Chiamata anche sindrome bulbare. Si manifesta omolateralmente con ipoestesia facciale termodolorifica,
paralisi dell’emivelo, dell’emifaringe e dei muscoli laringei, atassia e sindrome di bernard-
horner. Controlateralmente è presente ipoestesia termodolorifica dell’emisoma.

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Sbobine 2.0

SINDROMI CEREBELLARI
La clinica cerebellare è spesso sfumata e le manifestazioni tipiche riguardano disturbi dell’equilibrio quali
atassia e dismetria. Il sintomo classico è l’instabilità muscolare, associata spesso a disturbi vegetativi quali
nausea e vomito (DD con le sindromi vestibolari). Altro sintomo spesso presente è la vertigine oggettiva. [La
vertigine può essere soggettiva (il pz si sente girare rispetto all’ambiente) o oggettiva (l’ambiente gira intorno
al pz) a seconda che sia rispettivamente di natura vestibolare o cerebellare]

SINDROME FLOCCULO NODULARE


Le lesioni che interessano la parte del verme si manifestano con:
• Atassia, sintomo tipico
• Dismetria, meno frequente
• Nistagmo orizzontale
• Disturbo dell’equilibrio
In genere è data da lesioni neoplastiche (medulloblastoma).

SINDROME DEL LOBO POSTERIORE


Si manifesta con:
• Ipotonia
• Dismetria
• Adiadococinesia
• Atassia che non subisce variazioni in seguito alla chiusura degli occhi
• Tremore cinetico
• Disartria. La disartria cerebellare è diversa da quella cerebrale (lesione dell’area 4), in quanto è
caratterizzata da uno scandimento evidente della parola.
Può insorgere in seguito a fenomeni acuti o forme neurogenetiche, in quest’ultimo caso la sintomatologia è
molto più suggestiva.

LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE


Con una buona conoscenza anatomica è molto semplice individuare la sede di una lesione midollare in
relazione alla sintomatologia.

LESIONE TRASVERSALE ACUTA


Comporta:
• Paralisi flaccida immediata, cui seguirà una paralisi di tipo spastico;
• Perdita di tutte le sensibilità e riflessi al di sotto del livello del trauma (shock spinale). Nella
valutazione della sensibilità del paziente riusciremo a tracciare una linea al di sotto della quale si ha
anestesia, corrispondente al livello sensitivo;
• Ritenzione vescicale per atonia del detrusore (globo vescicale). Può essere un segno precoce di
trauma midollare

EMISEZIONE DEL MIDOLLO (SINDROME DI BROWN-SEQUARD)


• Perdita di forza omolaterale
• Perdita di sensibilità profonda omolaterale

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Sbobine 2.0

• Perdita di sensibilità termodolorifica controlaterale


I deficit si manifestano tutti al di sotto della lesione.

SINDROME DELL’ARTERIA SPINALE ANTERIORE


Viene sezionato il versante anteriore del midollo a seguito di lesioni ischemiche dell’arteria spinale anteriore,
frammenti ossei vertebrali o ernie discali. Si caratterizza per:
• Perdita completa di forza omolaterale al di sotto della lesione;
• Perdita incompleta della sensibilità (in genere viene persa quella termodolorifica).

SIRINGOMIELIA
Consiste nella presenza di cisti ripiene di liquido all’interno del midollo. Sono spesso forme congenite, in
minor percentuale dovute invece a traumi o a tumori intramidollari. La sintomatologia caratteristica è la
dissociazione siringomielica: la sensibilità termodolorifica è assente mentre quella tattile e profonda è
conservata.

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Sbobine 2.0

SINDROMI DEMENZIALI 
 
Sindrome  caratterizzata  da  un  progressivo  deterioramento  delle  funzioni  intellettive  (rispetto  a  quello 
precedentemente  acquisito)  tale  da  interferire  con  le  normali  attività  occupazionali  e  sociali.  Tale 
sintomatologia si verifica in pazienti con un disturbo minimo o assente della coscienza e della percezione.
Per declino delle funzioni intellettive/cognitive si intende deficit di: 
 Memoria 
 Linguaggio 
 Prassia 
 Gnosia 
 Capacità critica e di astrazione: 
• Declino delle capacità intellettive e cognitive.
Inoltre per arrivare alla diagnosi di demenza è necessario escludere disturbi dello stato di coscienza (DD con 
il coma) e della percezione (DD con la schizofrenia).
Le demenze più comuni sono quelle causate dall'Alzheimer, di origine vascolare e miste (in cui coesistono 
Alzheimer e vasculopatia). A seguire, più rare, ci sono infezioni del sistema nervoso, la corea di Huntington, 
la sclerosi multipla e le encefaliti. 
Le  demenze  sono  un  problema  emergente  soprattutto  nei  paesi  in  via  di  sviluppo  dove  l'incidenza  sta 
crescendo e continuerà ad aumentare.
 
CLASSIFICAZIONE 
Le demenze possono essere classificate in
 Primarie o degenerative
o Corticali: malattie di Alzheimer, malattia fronto‐temporale e malattia di Pick;
o Sottocorticali:  demenze  a  corpi  di  Lewy,  Parkinson‐demenza,  corea  di  Huntington,  paralisi 
sopranucleare progressiva, degenerazione cortico‐basale.
 Secondarie: 
o Demenza vascolare ischemica; 
o Disturbi endocrini e metabolici: ipotiroidismo, encefalopatia porto‐sistemica, IRC; 
o Malattie metaboliche ereditarie; 
o Malattie  infettive  e  infiammatorie  del  SNC:  meningiti/encefaliti,  encefalite  da  HIV,  SM, 
leucoencefalopatia multifocale progressiva (JC); 
o Stati carenziali (Vitamina B6 o B12, tiaminam di korsakoff) ;
o Sostanze tossiche (alcol, metalli pesanti come piombo o litio, farmaci); 
o Processi espansivi intracranici (tumori o ematomi occulti)
o Idrocefalo normoteso, 
o Disturbi del sonno
o Malattie psichiatriche
Una volta identificato lo stato denmenziale è necessario risalire all’eziologia e valutarne quindi la potenziale 
reversibilità: nel 13% dei casi di decadimento cognitivo sono presenti condizioni trattabili. Chiaramente si fa 
riferimento  alle  cause  secondary,  che  quindi  riconoscono  un  agente  eziologico;  le  più  comuni  sono: 
depressione, disordini metabolici, infezioni SNC, lesioni strutturali, idrocefalo normoteso, intossicazione da 
farmaci.
L’iter diagnostico della demenza deve sempre prevedere:
 Esami del sangue; 
 Carenze vitaminiche; 
 Positività ad HIV; 
 TC (importante escludere una demenza paraneoplastica). 
 
 
 
 
 

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Sbobine 2.0

MALATTIA DI ALZHEIMER 
EPIDEMIOLOGIA 
La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza (60% dei casi). Il suo impatto epidemiologico è 
devastante, anche e soprattutto in relazione all'aumento dell'età media della popolazione. Alcuni dati che 
rendono un'idea delle proporzioni epidemiologiche di questa patologia: 
• Si stima che ad oggi la prevalenza globale dell'AD sia di circa 17 milioni di persone nel mondo.  
In Italia si stima una cifra attorno  ai 450.000;
• La prevalenza è di circa il 25‐35% nei soggetti con età >80;
• Passati i 65 anni si assiste ad un raddoppiamento della percentuale dei malati ogni 1O anni;
• Ad oggi vi è una crescita di incidenza di 120 affetti ogni 100.000 all’anno. 
L'età di insorgenza è tipicamente avanzata. Tuttavia è possibile riconoscere:
• Forme ad esordio precoce (< 65 anni): trasmissione AD, legata a mutazioni di specifici geni;
• Forme familiari ad esordio tardivo in cui la componente genetica predispone allo sviluppo della 
patologia;
• Forme sporadiche, le più comuni.
 
EZIOLOGIA 
L'eziologia dell'AD è complessa, multifattoriale e non nota, sicuramente intervengono fattori di natura 
genetica  ed  ambientale.  Soltanto  alcuni  fra  quest’ultimi  sono  considerabili  fattori  causali,  la  maggior 
parte sono per lo più fattori di  rischio.
Fattori  genetici
Una piccola percentuale di AD ha esordio precoce e si trasmette con modalità autosomica dominante. In 
queste forme possono essere mutati tre geni:
• APP: proteina precursore  dell'amiloide;
• PSEN1 e PSEN2: presenilina 1 e 2, cofattori enzimatici dell'enzima  secretasi.
Nella maggior parte dei casi non è identificabile un singolo gene. Tuttavia, sia nelle forme sporadiche che 
in quelle familiari, è stato identificato un polimorfismo presente con maggior frequenza, nel gene che 
codifica per la APO‐E: ne esistono 3 forme alleliche (E2, E3 e E4), e i soggetti eterozigoti per E4 hanno 
rischio 3 volte maggiore di sviluppare AD; i soggetti omozigoti per E4 hanno un rischio 15 volte maggiore.
 
Fattori  ambientali
Sono tutti da considerare come fattori di rischio. Quelli riconosciuti sono: 
• Età;
• Sesso  femminile;
• Traumi cranici  pregressi;
• Storia familiare  di demenza  (non necessariamente  AD);
• Basso livello  di scolarità;
• Storia familiare di sindrome di   Down;
• Patologie  tiroidee.
 
CLINICA 
Alla base della sintomatologia clinica c'è il deficit colinergico in seguito a una perdita progressiva dei neuroni 
colinergici con conseguente:
 Declino cognitivo, primo sintomo ad esoridire: 
o Perdita di memoria, 
o Disorientamento spaziale e temporale, 
o Afasia, 
o Aprassia, 
o Agnosia, 
o Difficoltà delle funzioni esecutive.

63
Sbobine 2.0

 Disturbo del comportamento: 
o Oscillazioni dell'umore, 
o Alterazioni della personalità, 
o Psicosi, 
o Agitazione, 
o Wandering, 
o Sintomi neurovegetativi.
La patologia è suddivisibile in fasi che ne descrivono il decorso: 
1. Esordio.  Spesso  subdolo  e  insidioso,  difficilmente  è  possibile  fare  una  diagnosi  precoce.  Segni 
indicativi possono essere il calo degli interessi, indifferenza e deficit della memoria a breve termine, 
con il pz che fa spesso affidamento ai familiari, ai calendari e dimenticano spesso le cose, addirittura 
dimenticano  di  aver  dimenticato  qualcosa.  In  questa  fase  la  patologia  entra  in  DD  con  disturbi 
dell’umore: fattoi a favore di quest’ultimi sono l’insorgenza rapida, l’associazione a sintomi sensitivi 
(l’AD  risparmia  la  corteccia  sensitivo‐motoria),  fluttuazione  della  sintomatologia,  possibilità  di 
diagnosi ex‐adiuvantibus (risponde agli antidepressivi);
2. Progressione. Inizia a manifestare i disturbi legati alla degenerazione delle specifiche aree corticali: 
afasia, negligenza spaziale e temporale, giudizio compromesso, disturbi del contenuto del pensiero 
(con idee di tipo persecutorio). Il pz è comunque in grado di svolgere le semplici attività quotidiane.
3. Fase  avanzata.  La  memoria  è  compromessa  anche  nella  sua  componente  remota,  le  funzioni 
cognitive sono gravemente deficitarie, con l pz che non riesce a distinguere i familiari, è disorientato, 
completamente  avulso  dall’ambiente  circostante.  Ai  disturbi  del  pensiero  si  accompagnano 
allucinazioni. La degenerazione corticale in questa fase è tale da slatentizzare i riflessi primitivi (di 
prensione, di succhiamento) e compaiono sintomi extrapiramidali. Il paziente  è costretto a letto e 
necessita di assistenza continua, la morte incorre per decadimento  generale.
 
ANATOMIA PATOLOGICA 
A  livello  macroscopico  è  possibile  vedere  atrofia  cerebrale  corticale,  preponderante  nelle  circonvoluzioni 
temporali  (ippocampo  e  regioni  para‐ippocampali)  nelle  fasi  iniziali  per  poi  estendersi  marcatamente  e 
simmetricamente a tutti i lobi. Normalmente corteccia occipitale, sensitivo‐motoria primaria, cervelletto e 
gangli della base e tronco encefalico sono risparmiati. 
All’istologia si riconosce:
 Deposizione extracellulare  di aggregati di beta amiloide,  i quali  si organizzano in placche senili. 
La P‐amiloide è un frammento peptidico che origina dal processing della proteina transmembranaria APP 
(la quale sembra modulare la funzionalità e la integrità delle sinapsi). Questa attività di processing è svolta 
dall'enzima secretasi, insieme ai sui cofattori PSEN1 e PSEN2. Normalmente il taglio proteolitico avviene 
all'interno del dominio della proteina in maniera tale che non si generi il frammento P‐A patologico (P è il 
foglietto della struttura terziaria) o, qualora si generasse in piccole quantità, alcuni sistemi provvedano  
alla sua clearance. Da qui ne deriva che qualsiasi modificazione fenotipica a carico di APP, PSEN 1 e 2 o 
proteine necessarie alla clearance di P‐A (un ruolo importante è svolto da APO‐E, che nella variante E4 è 
in  grado  di  interagire  con  P‐A  e  rallentarne  l’eliminazione)  sia  in  grado  di  favorire  la  generazione  di 
frammenti con capacità amiloidogeniche. L’amiloidogenicità di P‐A è data dalla sua insolubilità in ambiente 
extracellulare.
 Inclusioni intraneuronali costituiti da proteina tau iperfosforilata. È un processo che avverrebbe 
secondariamente, non essendo di causare da solo le manifestazioni cliniche. Tau è una proteina 
intracellulare associata ai microtubuli, che gioca un ruolo determinante nel mantenimento della 
struttura e delle funzioni del citoscheletro dei neuroni. L’iperfosforilazione ne determina un distacco 
dai microtubuli e la formazione di grovigli neurofibrillari.
 Angiopatia amiloidea: deposito di amiloide anche nelle pareti delle arteriole cerebrali e meningee 
 
 
 
 
 

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Sbobine 2.0

DIAGNOSI 
Ad oggi la diagnosi di AD resta prettamente clinica e neuropsicologica. I criteri utilizzati sono quelli dell’ARDRA 
(Alzheimer Desease e Related Disorder Association) e suddividono la diagnosi in probabile, possibile e 
certa.
 Malattia di Alzheimer PROBABILE
o Demenza  stabilita  dall'esame  clinico  e  documentata  da  scale  di  valutazione  che  indagano 
alcuni aspetti del comportamento (MMSE) o da esami simili e con la conferma di tali risultati  
deficitari  ad altri test neuropsicologici. 
o Deficit di 2 o più aree cognitive quali, ad esempio, il linguaggio, il ragionamento,  la capacità  
di giudizio eccetera. 
o Peggioramento  progressivo  della memoria  e di altre funzioni cognitive 
o Assenza  di disturbi di coscienza (ad es. obnubilamento,   coma) 
o Esordio tra i 40 e i 90 anni, più spesso dopo i   65 
o Assenza  di altre patologie  organiche potenzialmente  responsabili  di demenza 
[Non affrontate.
La diagnosi AD probabile è supportata da:
 Deterioramento progressivo di funzioni cognitive specifiche quali il linguaggio (afasia), la gestualità (aprassia), la percezione 
(agnosia) 
 Compromissione delle attività quotidiane ed alterate caratteristiche di ‐comportamento. 
 Familiarità positiva per analoghi disturbi, soprattutto se confermati neuropatologicamente. 
 Risultati di test strumentali ed esami di laboratorio quali, ad esempio: 
o Tracciato EEG normale e/o con aumento aspecifico dell'attività cerebrale lenta 
o Atrofia cerebrale visibile attraverso una TC e che peggiora visibilmente quando si effettuano ulteriori esami a distanza 
di tempo l'uno dall'altro 
o Assenza di infezioni nel liquor cerebrospinale. 
 
La diagnosi di AD probabile è resa incerta da:
 Esordio improvviso 
 Presenza si segni focali (deficit motori, parestesie, deficit visivi)
 Presenza di crisi epilettiche 
 
 Malattia di Alzheimer POSSIBILE 
Presenza confermata di altra malattia neurologica che potrebbe dare demenza, ma che non è 
considerata responsabile. 
 Malattia di Alzheimer CERTA 
o Rispettati  i criteri clinici per AD probabile 
o Biopsia positiva] 
L'iter diagnostico inizia con esami di routine (e.o. neurologico e indagini di laboratorio) per poi proseguire 
con  indagini  mirate  (test  HIV,  radiografia  torace,  test  neuropsicologici,  neuroimaging,  puntura  lombare)  e 
infine  indagini  strumentali  specifiche  come  la  TC  o  la  SPECT  (più  per  sperimentale  che  per  la  diagnosi)  e 
indagini genetiche.
TC e/o RMN cranio‐encefalo vengono sempre eseguiti in diagnostica per escludere lesioni strutturali come 
ematoma sottodurale, tumori, idrocefalo normoteso, lesioni ischemiche.
 
TERAPIA 
La terapia comprende:
 Terapia dei disturbi cognitivi: si tratta della terapia colinergica con inibitori delle aceticolinesterasi, il 
cui scopo è quello di aumentare la disponibilità di Ach post‐sinaptica inibitori della colinesterasi,
 Terapia dei disturbi comportamentali in caso di comparsa di disturbi psicotici: i faramci più utilizzati 
sono gli antipsicotici atipici, che limitano anche le reazioni extrapiramidali; in questo senso hanno le 
benzodiazepine hanno uso limitato;
 Terapia dei disturbi depressivi; Nelle prime fasi di malattia, la consapevolezza del deficit di memoria, 
dell'evoluzione e della prognosi della malattia possono condurre allo sviluppo di episodi depressivi. 
La somministrazione di antidepressivi è in quest'ottica importante per migliorare la qualità della vita 
del paziente
 Le possibili terapie eziologiche si sono rilevate ad oggi fallimentari.
 

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Sbobine 2.0

DEMENZE FRONTOTEMPORALI
Sono tutte accomunate dalla degenerazione corticale a carico dei lobi frontale e temporale anteriore, con 
sintomi  relativi all'interessamento di queste  aree.
Più  di  quanto  non  sia  possibile  fare  per  l'AD  (che  è  quasi  sempre  sporadica  a  parte  rari  casi  a 
trasmissione  genetica),  nelle  FTD  è  spesso  possibile  individuare  una  storia  familiare  positiva    per 
demenza,  disturbi psichiatrici  o parkinsonismo. Su questa base sono stati ricercati i geni coinvolti e 
quelli più rilevanti sono risultati essere quelli che codificano  per la proteina  Tau e la progranulina.
Rappresentano il 25% delle demenze presenili, sono un insieme di patologie che comprendono: 
 Malattia  di  Pick,  in  cui  si  riconoscono  istologicamente  rarefazione  neuronale  e  i  corpi  di  Pick, 
inclusioni proteiche intracitoplasmatiche;
 Afasia progressiva primaria; 
 Demenza frontale associata a malattia del motoneurone.
Queste demenze si manifestano generalmente con disturbi della personalità e del linguaggio, esordendo in 
modo subdolo per poi  peggiorare progressivamente.
Come  visto  per  l’AD  la  diagnosi  è  prettamente  clinica  e  le  indagini  strumentali  sono  necessarie  al  fine  di 
escludere altre forme di demenza e lesioni strutturali. 
La  terapia  ha  lo  scopo  di  controllare  i  sintomi  comportamentali  e  affettivi,  mediante  l’uso  di  antipsicotici 
atipici e SSRI. Non essendo implicato il sistema colinergico, non risponde agli anti‐colinesterasi.
 
DEMENZA A CORPY DI LEWY 
È  ancora  discusso  se  si  tratti  di  una  malattia  autonoma  o  di  una  variante  della  malattia  di  Alzheimer. 
Clinicamente è caratterizzata da allucinazioni visive, segni di Parkinsonismo, deficit cognitivo ad andamento 
fluttuante.
Molti pazienti rispondono meglio di quelli affetti da AD agli inibitori della colinesterasi.
L'elemento  diagnostico  fondamentale  è  la  presenza  dei  corpi  di  Lewy,  inclusioni  eosinofile 
intracitoplasmatiche formate dall'accumulo di una proteina fibrillare (alfa‐sinucleina).
 
DEMENZE VASCOLARI 
Le cause vascolari rappresentano la seconda causa di demenze (dopo l'AD) e la prima fra le forme 
secondarie.
In generale i pazienti dementi vascolari non sono pazienti omogenei: la clinica dipende  ovviamente  dalla 
sede in cui  la lesione vascolare  si è  realizzata.
Per determinare un quadro di demenza è tuttavia necessario  che siano intaccate aree significative 
per le funzioni cognitive, sia corticali (porzioni inferiori dei lobi temporali, le porzioni orbito frontali), 
sia sottocorticali (talamo, sostanza bianca sovratentoriale, caudato).
È  importante  inquadrare  correttamente  una  demenza  di  tipo  vascolare  differenziandola  da una 
degenerativa. Gli elementi che depongono a favore di una causa vascolare sono:
 Esordio  improvviso  o entro tre mesi  da un ictus;
 Deterioramento "a  gradini”;
 Decorso fluttuante;
 Presenza  di  segni neurologici  focali (ad  es. da interessamento  di un'area  motoria primaria);
 Anamnesi positiva per encefalopatia vascolare (ictus pregresso, non sfociato in demenza);
 Conferme imaging (TC, RM, doppler dei vasi cerebro afferenti).
 
 
 
 
 
 
 

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Sbobine 2.0

MALATTIE DA PRIONI 
Il prione è un agente biologico infettivo non convenzionale in quanto non si trasmette secondo le modalità 
dei  tipici  organismi  infettivi:  è  una  proteina,  non  ha  acidi  nucleici  e  non  ha  un  apparato  che  permette  di 
innescare una replicazione e trasmissione da una cellula all’altra. La trasmissione del prione avviene con un 
meccanismo di diffusione. Inoltre, ha la capacità di integrarsi nella cellula sfruttando l’apparato di trascrizione 
nucleare  della  stessa  e  altri  meccanismi,  in  questo  modo  produce  il  danno.  Questo  è  il  primo  motivo  per 
capire i meccanismi alla base della demenza prionica. Un altro motivo è l’alterazione neuropatologica, che 
consiste  una  degenerazione  spongiforme  (encefalopatie  spongiformi,  per  la  presenza  di  vacuoli 
intracitoplasmatici che conferiscono un aspetto spugnoso). 
Perusini scoprì la demenza da prioni. Il prione però è un agente labile ai comuni metodi di disinfezione.  
 
CLASSIFICAZIONE 
Si tratta di malattie rare, caratterizzate da periodi di incubazione lunghi cui segue una demenza rapidamente 
progressiva che porta a morte il pz nell’arco di pochi mesi. La diagnosi dev’essere tempestina. 
La patologia associata a prioni si può realizzare per meccanismi esogeni o endogeni e si classifica in: 
 Sporadica (85% casi): in cui si ha conversione della proteina fisiologica in una proteina diffusiva op‐
pure si ha mutazione somatica del gene;
 Genetica o familiare (10% casi): causata dalla mutazione (nella porzione centrale) della proteina prio‐
nica, fisiologicamente presente nelle nostre cellule neuronali (ha la funzione di stabilizzare la mem‐
brana). Esempi sono la FFI o rari casi della CJD;
 Forme acquisite: variante di CJD o “variante mucca pazza”. Si realizza per un meccanismo simil‐in‐
fettivo, in cui si ha salto di specie. 
 
Le forme più note sono:
 Kuru;  forma  descritta  negli  anni  ‘50,  che  colpiva  gli  indigeni  della  Nuova  Guinea.  Questi  soggetti 
contraevano questa malattia devestante ingerendo carni umane;
 Malattia  di  Creutzfeldt‐Jakob  (encefalopatia  spongiforme):  nello  stadio  prodromico  si  presentano 
sintomi aspecifici  con durata da poche settimane ad alcuni mesi  come perdita di peso, malessere 
generale,  insonnia,  disequilibrio,  atassia,  cefalea.  Poi  si  manifestano  precoce  alterazione  delle 
funzioni  mnesiche  associate  ad  alterazione  della  personalità,  aggressività,  alterazioni 
comportamentali  con  possibile  perdita  della  parola  e  della  comunicazione,  successivamente 
comparsa di disturbi motori interessanti sia il sistema piramidale che l'extrapiramidale. Diagnostica è 
la comparsa di mioclonia. Si tratta di una patologia quasi esclusivamente a forma sporadica.
o Malattia  di  Creutzfeldt‐Jacob  variante.  Alla  fine  degli  anni  ’90  si  scoprì  la  variante  acquisita 
(“mucca  pazza”),  causata  dall’ingestione  di  carni  bovine  provenienti  da  allevamenti  infetti  e 
dall’assorbimento  dell’agente  trasmissibile,  il  prione  (esogeno),  che  operò  il  salto  di  specie  da 
bovini  a  umani.  Questo  causò  un’epidemia  di  casi  di  encefalopatia  spongiforme  che  colpì 
soprattutto soggetti giovani. Il risultato fu un quadro di allarme globale, in cui si bloccò l’arrivo e 
il consumo di queste carni (provenienti soprattutto dall’Inghilterra) per alcuni anni;
 Insonnia fatale familiare. Il pz perde la capacità di dormire, fino al decesso. Fu descritta in Italia da 
un gruppo di neurofisiopatologi esperti del sonno. Condivide con la CJD il quadro anatomopatologico 
(encefalopatia  spongiforme),  tuttavia  non  è  sporadica,  ma  familiare  perché  è  causata  dalla 
mutazione della proteina prionica endogena;
 Malattia di Gerstmann‐Straussler‐Schenker;
 Inoltre, ci sono analoghe forme che riproducono la malattia umana anche negli animali (bovini, ovini 
e caprini). 
 
In tutte queste patologie la proteina prionica PrP con funzione fisiologica ignota, dopo aver subito mutazioni, 
si accumula a livello intraneuronale con formazione di placche.
Nelle  forme  sporadiche di malattie da  prioni si verifica solamente una modificazione della  conformazione 
tridimensionale della proteina.

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Sbobine 2.0

MALATTIA DI CREUTZFELDT‐JAKOB
ISTOPATOLOGIA 
È una patologia che colpisce soprattutto la sostanza grigia a livello encefalico sia corticale che sottocorticale 
(talamo  e  NN  della  base).  Insieme  alla  presenza  dei  vacuoli  tipici  della  encefalopatia  spongiforme,  si  può 
ritrovare anche la presenza di amiloide (conseguenza aspecifica della malattia) e di depositi di proteina prio‐
nica anomala (DD. con le placche senili). 
 
CLINCA  
Il quadro clinico è quello della demenza. L’esordio però è sfumato, si tratta di soggetti che lentamente mani‐
festano disturbi dell’umore (sindrome depressiva, confusionale) e disturbi comportamentali. Talora la mo‐
dalità d’esordio è così sfumata che rende difficile la diagnosi (Es il pz si può mettere di fronte a un muro e 
osservarlo in modo fisso, senza nessun tipo di motivazione, per una alterata percezione dello spazio circo‐
stante). 
 
DIAGNOSI  
Gli accertamenti permettono di arrivare alla diagnosi sono:  
 RM: permette di localizzare lesioni cerebrali (strutture con densità diversa sono il corrispettivo delle 
alterazioni spongiformi);
 EEG: utile ad indagare manifestazioni motorie peculiari, le mioclonie (discinesie epilettogene tipiche 
della  CJD,  sono  piccole  contrazioni  che  colpiscono  soprattutto  gli  arti  superiori).  È  un  encefalo‐
gramma molto disaggregato che, nella fase avanzata della malattia, mostra un’attività di fondo molto 
ridotta; essa viene sostituita da scariche periodiche che sono alla base del mioclono;
 Esame del liquor: dosaggio della proteina di danno neuronale, la proteina 14‐3‐3, contenuta nei neu‐
roni e costitutiva dell’apparato sottomembranario (sotto‐neurolemma). Questa proteina si riversa 
nel liquor in caso di distruzione cellulare come nella CJD. Non è un esame specifico, in quanto può 
essere alterato anche in forme di demenza non spongiforme; in ogni caso, nelle demenze prioniche 
è un indice molto sensibile.
 
La diagnosi di certezza è anatomopatologica: si rileva nel tessuto cerebrale la proteina prionica alterata, 
indipendentemente dalla causa. Inoltre, se il quadro è genetico, l’esame del DNA consente di rilevare le mu‐
tazioni del gene responsabili della proteina alterata. 
 
TERAPIA E PROGNOSI 
Non esistono terapie risolutive, si possono fare terapie sintomatiche per i sintomi comportamentali o le mio‐
clonie, ma in ogni caso la prognosi è molto infausta.  
 
In conclusione, le encefalopatie spongiformi sono forme rare e in questo gruppo di malattie esistono sia forme 
legate a un meccanismo di trasmissione dell’agente infettivo non convenzionale, il prione (forma acquisita), 
sia forme dovute a cause genetiche, accomunate dalla mutazione della proteina prionica fisiologicamente 
presente nella cellula, può così trasmettersi (forma familiare) o meno (forma sporadica). Dal punto di vista 
clinico, la forma più emblematica è la CJD sporadica. Vi è l’obbligo di dichiararla sebbene sia molto rara.  
 
 
 
 
 
 

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Sbobine 2.0

ENCEFALOPATIE VASCOLARI
ICTUS (STROKE)
Quadro clinico a eziologia vascolare non traumatica, caratterizzato dall'esordio improvviso di deficit
neurologici focali o diffusi di durata superiore alle 24 ore, con esito anche letale.
Nell'80% dei casi è di natura ischemica, nel restante 20% è emorragico (15% emorragia cerebrale, 5%
emorragia subaracnoidea).

A differenza dell’ictus, il TIA (transient ischemic attack) è caratterizzato da improvvisa comparsa di segni e/o
sintomi riferibili a deficit focale cerebrale o visivo, senza interessamento della coscienza, attribuibile ad
insufficiente apporto di sangue (eziologia quindi esclusivamente ischemica), di durata inferiore alle 24 ore.
Si può escludere la diagnosi di TIA in caso di perdita di coscienza, vertigini, amnesia globale transitoria, astenia
generalizzata, stato confusionale perché i sintomi caratteristici devono essere focali.

EPIDEMIOLOGIA
In Italia l'ictus rappresenta la prima causa di disabilità, seconda causa di demenza e la terza causa di morte
(dopo patologie CV e neoplasie). La prevalenza e l'incidenza aumentano nell'età avanzata. Ogni anno si
verificano in Italia circa 194.000 ictus, di cui 1'80% sono nuovi episodi e il 20% recidive. Il rischio cumulativo
di recidiva nei 5 anni successivi ad un ictus o ad un TIA è del 25% circa.

FATTORI DI RISCHIO NON MODIFICABILI


• Età: l'incidenza aumenta con l'età, e dopo i 55 anni raddoppia per ogni decade;
• Sesso: incidenza maggiore nel sesso maschile almeno fino a quando la donna è protetta dagli
estrogeni, mentre con l'avanzare dell'età la differenza si riduce.
• Familiarità
• Razza.

FATTORI DI RISCHIO MODIFICABILI


• Ipertensione arteriosa
• Diabete
• Alcune cardiopatie embolizzanti
• Iperomocisteinemia
• Ipertrofia ventricolare sinistra
• Stenosi carotidea asintomatica
• Fumo di sigaretta
• Pregresso TIA
Sono presenti anche dei fattori di rischio modificabili ma non completamente documentati:
ipercolesterolemia, aterosclerosi dell'arco aortico, uso di contraccettivi orali, abuso di alcool e droghe,
sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi.

FISIOPATOLOGIA
Il SNC, nonstante rappresenti soltanto il 2% del peso corporeo totale, riceve il 15% della gittata cardiaca. Il
metabolismo neuronale non prevede altri substrati energetici fuorché glucosio, motivo per cui l’apporto deve
essere continuo e costante. Quando questo diminuisce improvvisamente si verifica lo stroke, ovvero un
danno cerebrale irreversibile. Il livello critico di perfusione è circa 12 ml/100g/min per un danno reversibile,
mentre si arriva a 8ml/100g/min per un danno irreversibile. Grazie a meccanismi di autoregolazione
cerebrale, il flusso ematico cerebrale (FEC) resta costante entro un range molto ampio di variazioni di
pressione arteriosa sistemica.
Il flusso ematico è il risultato del rapporto tra pressione di perfusione e resistenze vascolari.

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Sbobine 2.0

L’autoregolazione si basa prevalentemente sulla modificazione delle resistenze vasali mediante fattori del
metabolismo e fattori neuro-endocrini:
• CO2 – elemento di maggior rilevanza, induce una vasodilatazione nelle zone con un maggior
metabolismo. Per verificare la capacità di autoregolazione si può richiedere al paziente di inalare CO2
o restare semplicemente in apnea.
• NO – è un vasodilatatore
• Ortostimpatico – mantiene il tono vasale.

Quando si riduce il flusso ematico entrano in gioco i circoli collaterali: in seguito a una graduale occlusione, i
vasi hanno il tempo di dilatarsi; si formano spesso a livello del poligono di Willis, oppure attraverso le arterie
suboccipitali, o tra la carotide interna e la carotide esterna attraverso l'arteria oftalmica.

Nella zona infartuata l’imaging consente di riconoscere due zone:


• il core - tessuto necrotico danneggiato irreversibilmente se il
flusso rimane inferiore a 8 ml/100 gr/min per 5 minuti.
• le penombre dell'infarto - porzioni di tessuto che possono essere
recuperate se si interviene subito.

CLASSIFICAZIONE EZIOLOGICA
Nel quadro di stroke (ictus) rientrano due grandi gruppi eziologici:
• ictus su base ischemica (80%)
o Aterosclerosico (30-50%)
▪ Insufficienza emodinamica a valle della placca
▪ Liberazione di trombo-emboli
o Lacunare (arterie penetranti)
o Cardio-embolico (FA, valvulopatia, etc).
o Cause indeterminate e rare
• Ictus emorragico (20%)
o Emorragia sub-aracnoidea
o Emorragia cerebrale intraparenchimale.

ICTUS ISCHEMICO
La causa ischemica è alla base del 75-80% dei casi di ictus. All'interno di questo gruppo si differenziano vari
meccanismi patogenetici in base al tipo di vaso interessato. È quindi utile suddividere i vasi del circolo
cerebrale in tre gruppi:
• Grossi vasi – arterie carotidi interne e aa. vertebrali sono interessate dall'aterosclerosi.
• Arterie circonferenziali - rami che si dipartono direttamente dai grossi vasi, e sono adagiati sulla
superficie degli emisferi e nelle circonvoluzioni. Ne sono un esempio:
o Arteria oftalmica, corioidea anteriore, cerebrale media e anteriore (rami della carotide);
o Arteria cerebrale posteriore e arterie cerebellari (PICA – ramo della vertebrale, e AICA- ramo
dell’a. basilare) – derivano dal circolo vertebro-basilare. Questi vasi sono interessati da emboli
provenienti dal cuore (ictus cardioembolico), o da placche aterosclerotiche dei grossi vasi).
• Arterie penetranti - piccoli rami terminali che originano dalle circonferenziali. Sono interessate da
una degenerazione che ne provoca l'obliterazione (ictus lacunare).

ICTUS ATEROSCLEROTICO
L’ictus aterosclerotico deriva dall'occlusione o da una grave stenosi di un vaso di calibro maggiore. La
diminuzione del flusso può derivare da un'insufficienza emodinamica a valle della placca o dalla liberazione
di trombo-emboli. La sede più frequente della trombosi è in corrispondenza delle biforcazioni dove il flusso
diventa turbolento e favorisce la formazione di placche. La placca riduce il diametro del vaso, ma ciò, in
condizioni basali, non provocherebbe ischemia grazie alla presenza dei circoli collaterali e
all'autoregolazione.

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Sbobine 2.0

La placca può però complicarsi con la formazione di trombi, che possono provocare ischemia in due modi:
• si frammentano dando origine a emboli che occludono i vasi a valle (embolia arterio-arteriosa);
in questo caso i vasi embolizzati sono le arterie circonferenziali, come la cerebrale media.
• occludono completamente il vaso, determinando ischemia di tutto il distretto a valle. In questo caso
sono coinvolte le grosse arterie sede della placca.
L'andamento clinico sarà caratteristico, con TIA prodromici, provocati da piccoli emboli che vengono
disgregati, e progressione intermittente e discontinua delle disfunzioni neurologiche (evoluzione a
"gradini").
La stenosi del vaso cerebro-afferente è diagnosticata con l’eco-color-doppler. L’angiografia è un esame
di secondo livello, necessario per la programmazione di un intervento di endoarterectomia.

ICTUS CARDIOEMBOLICO
Nell’ictus cardioembolico è necessario identificare almeno una fonte emboligena cardiaca.
Le fonti ad alto rischio sono:
• valvole meccaniche
• stenosi mitralica con FA
• FA (esclusa la FA isolata che è a rischio medio)
• Trombosi auricola sx
• IMA recente (< 4 settimane)
• Cardiomiopatia dilatativa
• Acinesia segmentaria ventricolo sinistro
• Mixoma atriale
• Endocardite infettiva.

Invece, fonti emboligene a medio rischio sono: prolasso valvola mitralica, calcificazioni annulus mitralico,
stenosi mitralica senza FA, turbolenza atriale sinistra, aneurisma setto interatriale, forame ovale pervio, flutter
atriale, FA isolata, valvole cardiache biosintetiche, scompenso cardiaco congestizio, IMA pregresso (> 4
settimane), ipocinesia segmentaria del ventricolo sinistro.

Gli aspetti clinici e neuroradiologici sono sovrapponibili a quelli descritti per l'aterosclerosi delle arterie di
grosso calibro, quindi è necessario escludere fonti aterosclerotiche di embolismo o trombosi.
Spesso si evidenziano precedenti TIA o stroke in più territori vascolari.
Rispetto all'ictus aterosclerotico il tratto tipico è l'esordio a "ciel sereno", caratterizzato da perdita di
coscienza, che spesso si realizza durante sforzo fisico.
Le conseguenze sono gravi, perché i trombi che si formano nel cuore sono grossi ed essendo causati da stasi
e moto turbolento sono trombi rossi, più duri e meno friabili dei trombi piastrinici.

ICTUS LACUNARE
Sono interessate le arterie di piccolo calibro, piccoli vasi penetranti provenienti dai grossi vasi superficiali.
L’occlusione è su base degenerativa, ed è causata da microateromi o lipoialinosi. L'ipertensione, il diabete e
il fumo sono fattori di rischio importanti.

L’infarto lacunare si caratterizza per l’assenza di coinvolgimento corticale, che caratterizza invece gli ictus
aterosclerotici e cardio-embolici. Le arterie penetranti, infatti, non irrorano aree corticali, ma strutture
sottocorticali. I sintomi clinici comprendono:
• emiparesi motoria pura – lesione della capsula interna
• emisindrome sensitiva pura – lesione del talamo postero-laterale
• emisindrome sensori-motoria
• emisindrome atassica
• disartria
• emicorea/emiballismo.

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Sbobine 2.0

La diagnosi prevede:
• Esclusione di aterosclerosi dei vasi cerebro-afferenti e di fonti emboligene.
• Esecuzione di TC che mostra un quadro tipico, caratterizzato da zone ipodense a livello
sottocorticale in corrispondenza delle aree ischemiche.

ICTUS A EZIOLOGIA RARA


Ci sono cause rare che rendono ragione del 5% dei casi di ictus. Sono comunque rilevanti perché sono quasi
sempre causa dei casi di ictus giovanili.
• Dissecazione dei grossi vasi (carotide o vertebrale): può insorgere su vasi sani o in presenza di
patologie dei vasi che siano predisponenti (ad es. sindrome di Marfan). Può essere su base
traumatica, spontanea o favorita da microtraumi ripetuti in flesso-estensione e rotazione del
capo. La diagnosi avviene tramite ECD e conferma angiografica;
• Vasculiti: generalmente coinvolgono le arterie di piccolo calibro, ma possono essere coinvolte
anche grosse arterie (arterite di Horton). Il quadro clinico prevede un interessamento diffuso,
con andamento fluttuante (sonnolenza, confusione mentale), seguito da insorgenza di deficit
focali;
• Sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi: patologia che può essere primitiva o secondaria in un
quadro reumatologico già definito (tipicamente il LES); la presenza di anti-fosfolipidi altera
l'equilibrio emostatico e può provocare trombosi sia venose (che non danno ictus), sia arteriose.
• Vasculopatie non infiammatorie
• Vasculopatie infettive
• Vasospasmo indotto da droghe.
NB. Le coagulopatie protrombotiche (deficit di AT3, deficit di proteina C e S, F5 Leiden) non sono fattore di rischio
per ictus, poiché non provocano trombosi arteriose, ma venose. Possono ovviamente essere considerate fattore
di rischio in presenza di forame pervio.

QUADRI CLINICI
Le manifestazioni dell'ictus ischemico dipendono dal vaso interessato e, conseguentemente, dall'area
corticale ischemica. In generale può essere colpito l’emisfero dominante o non dominante:
• Stroke emisfero dominante: emiparesi dx, ipoestesia dx, emianopsia dx, deficit sguardo coniugato
verso dx, disartria, afasia, difficoltà nella scrittura, lettura e calcolo.
• Stroke emisferico non dominante i sintomi a carico del lato sinistro sono simili, ma non ci sono le
turbe del linguaggio. Si aggiungono disorientamento spaziale ed estinzione stimoli sul lato sx.

STROKE NEL TERRITORIO CAROTIDEO


Si può verificare per occlusione della carotide interna. Può essere asintomatico (se il circolo di Willis è valido)
o sintomatico di gravità variabile.

TIA:
• oculare: cecità monoculare transitoria omolaterale alla carotide occlusa per ischemia dell'occhio
dovuta all'irrorazione da parte dell'arteria oftalmica
• emisferico: emiparesi, emisindrome sensitiva, afasia isolata (se interessato l’emisfero dominante),
emi-inattezione (se interessato l’emisfero non dominante).
Ictus:
• oculare
• emisferico
Sindrome oculo piramidale o locked in: il paziente è cosciente e sveglio, ma non può muoversi o comunicare
a causa della completa paralisi dei muscoli volontari. È il risultato di un ictus a livello del tronco encefalico,
nella parte ventrale corrispondente ai fasci piramidali.
Il trombo proveniente dall’arteria carotide, ma anche dal cuore, può disgregarsi e dare luogo a emboli che
occludono l’arteria cerebrale media (ACM) o anteriore (ACA).

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Sbobine 2.0

Stroke nel territorio dell'arteria cerebrale media (70% degli ictus ischemici)
L’ ACM irrora la faccia convessa (laterale) degli emisferi cerebrali.
Si presenta con:
• deficit motori contro laterali – sono compromessi i muscoli della
faccia, del cingolo e arto superiore; l’arto inferiore del lato paretico è
mobilizzabile poiché la sua rappresentazione è a livello della faccia
mediale dell’area motoria di pertinenza dell’ACA.
• emianestesia,
• emianopsia laterale omonima - perdita del campo visivo controlaterale alla lesione
• deviazione di capo e occhi dal lato della lesione (gli occhi “sfuggono” dall’arto plegico). Questo
atteggiamento è dovuto a lesioni dell’area 8, deputata ai movimenti oculari di lateralità. Ognuna
guida i movimenti verso il lato opposto, perciò se è lesa l’area 8 destra, avremo gli occhi che guardano
a destra.
Oltre questi avremo sintomi specifici a seconda dell’emisfero coinvolto:
• Emisfero dominante (di solito il sinistro)
o Afasia motoria, per l'interessamento dell'area di Broca (lobo frontale)
o Afasia sensitiva, per l'interessamento dell'area di Wernicke (lobo temporale).
o Sindrome di Gerstmann, dovuta a lesioni del lobo parietale inferiore, caratterizzata da acalculia,
agrafia, agnosia digitale, disorientamento dx e sx.
o Aprassia ideativa: le aree 39-40 sinistre sono deputate all’organizzazione sequenziale dei singoli
movimenti elementari.
• Emisfero non dominante (destro):
o Agnosia spaziale controlaterale, deriva da lesioni del lobo parietale destro.
o Emisomatoagnosia agnosia dello schema corporeo che coinvolge tutto il lato sinistro; è
provocata da lesioni dell’area 39 e 40 di destra. Quindi, se si associa a lesione ishcemica delle
aree motorie, si configura un quadro "spaventoso" in cui il paziente non solo non è in grado di
muovere la metà sinistra del corpo, ma non è in grado di percepire il proprio deficit (nosoagnosia)
poiché non concepisce l'esistenza di quella parte di corpo che non riesce a muovere (sindrome
di Anton-Babinsky).

Stroke nel territorio dell'arteria cerebrale anteriore (5% degli ictus ischemici)
L’ACA irrora la faccia mediale degli emisferi e la parte mediale della faccia inferiore (orbitaria) del lobo frontale.
I suoi rami irrorano l’ipotalamo, il corpo calloso e parti del lobo limbico. Una sua occlusione comporta:
• Paresi del piede e della gamba controlaterale
• Deficit sensitivi a carico dell’arto inferiore
• Disturbi comportamentali (abulia, rallentamento, inerzia, mancanza di
spontaneità
• Comparsa di riflessi patologici
• Aprassia degli arti e marcia
• Incontinenza urinaria

STROKE NEL TERRITORIO VERTEBRO-BASILARE


Le due arterie vertebrali confluiscono tra loro dando origine all’arteria basilare. L’a. basilare si divide nelle due
arterie cerebrali posteriori. Le arterie cerebellari postero-inferiore (PICA) sono rami diretti delle aa. vertebrali,
mentre l’aa. antero-inferiori (AICA), e superiori (SCA) sono rami dell’a. basilare.
In generale può determinare:
• deficit motorio o sensitivo ai 4 arti
• segni crociati
• atassia arti o marcia
• disartria
• paralisi sguardo disconiugato, nistagmo, deficit campo visivo bilaterale

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Sbobine 2.0

• amnesia
• sintomatologia labirintica.
L’occlusione completa dell’a. basilare è fatale.

Stroke nel territorio dell'arteria cerebrale posteriore


L’a. cerebrale posteriore origina dall’a. basilare ed irrora tutto il lobo occipitale, oltre che una porzione
inferiore del lobo temporale. I suoi rami profondi irrorano il talamo e il mesencefalo. Spesso si diagnosticano
tardi perché sono forme ben tollerate. Gli aspetti clinici possono essere:
• infarto del lobo occipitale: emianopsia omonomima, cecità corticale, varie forme di agnosia visiva (es.
prosopoagnosia)
• sindrome talamica: anestesia, dolore spontaneo, coreoatetosi
• paralisi del III n.c.
• Emiplegia controlaterale
• tremore controlaterale
• sindrome di Balint: paralisi psichica sguardo, atassia ottica, inattenzione visiva
• deficit memoria (ippocampo).

DIAGNOSI ICTUS ISCHEMICI

CLINICA
Il primo step diagnostico è senza dubbio rappresentato dalla valutazione neurologica. Si deve sospettare
l'ictus ischemico quando i deficit neurologici focali appaiono improvvisamente. Nella fase iniziale i sintomi
possono oscillare, ma nelle 24 ore progrediscono. In fase acuta si possono avere: alterazioni della coscienza,
crisi convulsive (più comuni nell'ictus emorragico), afasia, disartria, ipostenia arti, deficit coordinazione o
ipoestesia, atassia, disturbo dell'equilibrio, perdita del visus mono o bi-oculare o in una parte del campo visivo,
vertigini, diplopia, perdita unilaterale dell'udito, nausea, vomito, cefalea, fotofobia.

LABORATORIO
Nel caso di sospetto ictus si valuta: emocromo, glicemia, elettroliti, creatininemia, azotemia, indici della
coagulazione, EGA (può rilevare un’ipossiemia come causa della riduzione della coscienza). L’esame
tossicologico e del liquor sono effettuati solo in determinate circostanze.

ESAMI RADIOLOGICI
• TC senza MDC: è l’esame d’elezione, utile anche per distinguere un ictus emorragico da quello
ischemico. Mentre in caso di emorragia il quadro radiologico è molto più eclatante, spesso nelle
prime 6 h i segni di ictus ischemico sono scarsi o assenti. L'esame va perciò ripetuto dopo qualche
ora e può mostrare zone di iperdensità dell’arteria cerebrale media.
• ECG, eco-color-doppler TSA (tronchi sovra-aortici), eco-color-doppler TCD (trans-cranico), ed
ecocardiogramma sono impiegati per ricercare la patologia sottostante.

GESTIONE DEL PAZIENTE


• Prevenzione primaria: controllo dei fattori di rischi (ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale,
diabete, ipercolesterolemia, etc). Bisogna anche monitorare il trattamento anticoagulante in
portatori di valvole cardiache meccaniche.
• Terapia della fase acuta: è fondamentale per limitare il danno cerebrale e migliorare la prognosi.
Vengono impiegati farmaci antitrombotici, neuroprotezione e soprattutto trombolisi che se eseguita
nelle prime tre ore e mezzo (soprattutto nel circolo carotideo) riduce l'area di penombra ischemica.
Dopo il sospetto di ictus in pronto soccorso avviene la stabilizzazione cardiocircolatoria e la
valutazione neurologica seguita dalla TC cranio per distinguere la forma emorragica dall'ischemica su
cui si può intervenire con la trombolisi. Ci sono delle scale per stabilire la gravità come la CPSS-FAST,
che comprende il controllo della mimica facciale, dello spostamento delle braccia, del linguaggio e
dell'orario di inizio dei sintomi, o la NIHSS (national institute of health stroke scale) che valuta il livello

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Sbobine 2.0

di coscienza, l'orientamento, l'esecuzione di ordini semplici, la motilità oculare, il campo visivo e la


paralisi facciale.
Il paziente può essere un candidato valido solo se:
o non sono trascorse più di tre ore dall'insorgenza di sintomi,
o non presenta segni di ischemia alla TC,
o il deficit non è né molto grave, né molto lieve o in rapido miglioramento,
o non presenta altri criteri di esclusione che sono:
▪ ipertensione non controllabile durante il trattamento (PAS>180 o PAD>105mmHg)
▪ diatesi emorragica ereditaria o acquisita, anticoagulanti orali con INR>1,7,
somministrazione eparina nelle 48h precedenti con aPTT elevata,
piastrine<100.000/mm3
▪ glicemia <50mg/dl o >400mg/dl
▪ ictus ischemico negli ultimi tre mesi o trauma negli ultimi 14 giorni, tumore cerebrale,
malformazione arterovenosa cerebrale, aneurisma
▪ IMA nell'ultimo mese, biopsia di un organo nell'ultimo mese, diagnosi di ulcera
gastroduodenale o altre patologie a rischio emorragico, puntura arteriosa o venosa in
sede non comprimibile o puntura lombare negli ultimi 7 giorni
▪ puerperio, allattamento, gravidanza, parto recente.
Dopo aver ottenuto il consenso informato, si può procedere: durante la terapia si somministra r-tPA,
si sospendono anticoagulanti e antiaggreganti per 24 ore, si monitora la pressione e in caso di
peggioramento si sospende l'infusione.

In caso di stenosi carotidea si può intervenire anche con l'endoarteriectomia carotidea, in particolare
solo se la stenosi è sintomatica e ≥70%, o asintomatica e ≥60%.

• Prevenzione secondaria: sono somministrati farmaci antiaggreganti e anticoagulanti per prevenire


nuovi eventi in pazienti ospedalizzati per TIA o ictus. Se l'eziopatogenesi è di natura cardioembolica
o embolia venosa in pazienti con forame ovale pervio (embolia paradossa) si utilizzano anticoagulanti
(Warfarin), se controindicati si passa all'aspirina. Mentre se l'eziopatogenesi non è cardioembolica, i
farmaci di prima scelta sono gli antiaggreganti piastrinici (Aspirina).
• Prevenzione complicanze: superata la fase acuta, è fondamentale monitorare il paziente per evitare
complicanze anche fatali. Le possibili complicanze sono:
o Ipertensione endocranica – principale complicanza neurologica, e prima causa di morte
nei primi 7 giorni dall’ictus. Può essere riconducibile a due fenomeni:
▪ Edema cerebrale, più frequente, sempre presente in caso di ischemia, le sue
dimensioni sono proporzionali alle dimensioni dell'infarto. La sua espressione è
massima attorno al 5-6° giorno.
▪ Idrocefalo, può realizzarsi in caso di grossi infarti cerebellari che comprimano le
vie di deflusso del liquor a livello sotto-tentoriale.
L'ipertensione endocranica è temibile poiché riduce la pressione di perfusione
cerebrale (PPF = P art -P intracr), aggravando così l'ischemia. La sua gestione prevede
l'uso di diuretici osmotici.
o Trombosi venosa profonda ed embolia polmonare - contrastate con mobilizzazione
precoce e con presidi farmacologici (anticoagulanti). Se è presente TVP ad alto rischio
embolico è consigliato un filtro cavale.
o Ipertensione sistemica - meccanismo di compenso finalizzato al mantenimento del flusso
ematico alla penombra ischemica. Si consiglia pertanto di trattarla solo quando supera i
240 rnmHg o in presenza di comorbilità cardiache (IMA concomitante, scompenso)
o Iperglicemia - nel 50% dei pazienti; sembra correlare con evoluzione peggiore del quadro
poiché stimola la glicolisi anaerobia, con iperproduzione di lattato e acidosi metabolica.
o Malnutrizione, febbre, infezioni polmonari e urinarie.
Esclusa l’ipertensione endocranica, le altre sono complicanze di interesse internistico, che
possono determinare il decesso dopo i primi 7 giorni dall’ictus.

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Sbobine 2.0

STROKE EMORRAGICO
Rappresenta solo il 20% dei casi totali di ictus, di cui il 15% è rappresentato da emorragie intraparenchimali
e il 5% da emorragia sub-aracnoidea (ESA).

EMORRAGIE INTRA-PARENCHIMALI
La sede dell’emorragia intraparenchimale può essere tipica o atipica.

Le sedi tipiche dell'ictus emorragico intraparenchimale sono:


• gangli della base
• talamo
• tronco encefalico
• cervelletto.
Il sanguinamento deriva tipicamente dalle arterie perforanti originate dalla cerebrale media, o più raramente
da arterie perforanti che hanno origine dalla basilare e irrorano ponte e cervelletto.

La causa principale è l’ipertensione arteriosa, tanto che si parla di emorragia cerebrale ipertensiva. Il regime
pressorio determina indebolimento della parete, che va incontro a microdilatazioni aneurismatiche che
possono rompersi. La rottura si realizza tipicamente in relazione a crisi ipertensive. Dopo la rottura il
sanguinamento può durare per un periodo di tempo variabile da 30 minuti a qualche ora.
L'emorragia in sede atipica è caratterizzata da versamento ematico intraparenchimale circoscritto a livello
della sostanza bianca sottocorticale dei lobi temporali, frontali, occipitale, parietale o temporale. Il quadro
è molto diverso a secondo della sede dell'ematoma, e della sua estensione. Avremo tipicamente deficit
dipendenti dalle funzioni dell'emisfero coinvolto (vedi semeiotica).

Non sono correlate all’ipertensione, bensì spesso a malformazioni vascolari di competenza del neurochirurgo
(angiomi, fistole durali tra un ramo arterioso meningeo e un seno venoso o con una vena cerebrale, angiopatia
amiloide). Altre possibili cause sono patologie ematologiche che alterano l'emostasi in senso emorragico
(piastrinopenie gravi, deficit quantitativi - es. per cirrosi-, e qualitativi - es. per mutazioni- dei fattori della
coagulazione). Possono essere un effetto avverso di terapie anti-coagulanti (es eparina e warfarin). Alcuni
tumori, dotati di una vascolarizzazione alterata, e l’abuso di sostanze possono determinare un’emorragia.

EMORRAGIA SUB-ARACNOIDEA - ESA


L’ESA è un versamento di sangue tra l'aracnoide e la pia madre, all'interno dello spazio sub-aracnoideo.
Benché sia responsabile solo del 5% dei casi di ictus, è sicuramente la forma più grave. Infatti, la mortalità è
pari al 50%, e i sopravvissuti sviluppano comunque sequele invalidanti.
Le cause possono essere molteplici:
• aneurismi congeniti (75% delle ESA non traumatiche) e acquisiti;
• malformazioni vascolari;
• ESA sine materia, in cui l'angiografia risulta negativa per aneurismi e malformazioni vascolari; il
sangue si accumula a livello delle cisterne della base, e la prognosi è benigna.
• Traumi, che tuttavia non sono da considerare cause di ictus emorragico, che per definzione è un
"deficit neurologico a insorgenza acuta imputabile a cause vascolari non traumatiche".

CLINICA
Facendo riferimento all’eziologia aneurismatica, le manifestazioni cliniche sono da dividersi in segni e sintomi
dovuti all’aneurisma, e segni e sintomi dovuti alla loro rottura.
• Sintomi pre-rottura: di solito l’aneurisma è asintomatico. Se molto voluminoso può provocare un
effetto massa comprimendo le strutture vicine, ad esempio:
o Chiasma → disturbi visivi
o Nervo oculomotore → anisocoria, strabismo
o Peduncolo ipofisario → alterazioni endocrinologiche
o Trigemino → algia facciale

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Sbobine 2.0

• Sintomi post-rottura: il sintomo cardine è la cefalea, a esordio improvviso e violento. Comune è la


fotofobia. Dopo compare:
o deficit cognitivo transitorio, di entità variabile, fino al coma;
o segni neurovegetativi (vomito, tachicardia, sudorazione);
o segni di irritazione meningea (segno di Kerning e Brudzinski)
o ipertensione endocranica, che può provocare emorragie retiniche “a fiamma”.
DIAGNOSI
• Sospetto clinico
• TC senza mdc: evidenzia zone iperdense (sangue) nello spazio subaracnoideo.
• Esame del liquor: si raccolgono 3 provette, per escludere che il sangue sia dovuto alla puntura, che
mostrano un liquido rosato in acuto, mentre diventa xantocromico dopo 6h per la degradazione
dell’Hb.
• Angiografia: definisce le malformazioni vascolari e consente l’intervento.

TROMBOSI DEI SENI VENOSI


Le trombosi dei seni venosi sono comuni soprattutto nelle donne che prendono anticoncezionali orali. Spesso,
però, restano misconosciute perché con la TC senza mdc non sono visibili.
Altre cause e fattori di rischio, oltre ai contraccetivi orali, sono:
• condizioni trombotiche genetiche,
• stati protrombotici acquisiti (sindrome nefrosica, S. me da anticorpi antifosfolipidi, omocisteinemia,
infezioni);
• malattie infiammatorie (LES, granulomatosi di Wegener, sarcoidosi, sindrome di Bechet)
• condizioni ematologiche (policitemia, trombocitemia)
• cause meccaniche e traumi.
Clinicamente si manifestano con cefalea, vomito, crisi epilettiche, infarti cerebrali.
La terapia si basa su eparina ev, seguita da anticoagulanti orali.

ICTUS MIDOLLARE
La vascolarizzazione è garantita da due arterie spinali posteriori, che irrorano le colonne posteriori, un'arteria
spinale anteriore, che irrora i 2/3 anteriori del midollo spinale.
L'ictus midollare è una patologia molto rara che colpisce praticamente sempre l'arteria spinale anteriore o
un'arteria di cui essa è tributaria (es. L’a. di Adamkiewicz).

CLINICA
L'infarto midollare dell'arteria spinale anteriore si manifesta con un tipico quadro:
• deficit motorio con spasticità e iperreflessia (inizialmente è possibile la condizione di shock spinale
con flaccidità e areflessia);
• deficit sensitivo dissociato con perdita della sensibilità termica e dolorifica (per interruzione dei fasci
spino-talamici) e mantenimento della sensibilità epicritica (tattile e propriocettiva, perché i cordoni
posteriori sono irrorati dall'arteria posteriore);
• dolore acuto al livello del rachide, localizzato o diffuso.
L'esordio della sintomatologia è tipicamente progressivo, al contrario dell'ictus cerebrale emisferico.

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Sbobine 2.0

ALTRE PATOLOGIE CHE POSSONO COLPIRE IL MIDOLLO


• Emisezione + sindrome di Brown-Seguard
E' una condizione di difficile riscontro nella sua versione paradigmatica, tuttavia si presentano spesso
situazioni simili ad essa causate da traumi, tumori, infiammazioni, spondilosi cervicale, emorragie
midollari. A valle dell'emisezione si riscontra:
o paralisi centrale (spastica) omolaterale alla lesione (per interruzione del fascio piramidale)
o assenza di sensibilità profonda (epicritica) omolaterale alla lesione (per interruzione dei fasci
gracile e cuneato)
o assenza sensibilità termico-dolorifica e parzialmente tattile controlaterale alla lesione
o disturbi vegetativi omolaterali alla lesione, quali vasodilatazione, elevazione della temperatura,
anidrosi e assenza del riflesso pilomotore (per lesione delle vie simpatiche).

• Siringomielia
Patologia malformativa del midollo, in cui si presenta una cavità cistica intramidollare
(siringomielica), ovvero una dilatazione del canale ependimale. La cavità siringomielica con il
tempo può ingrandirsi e schiacciare il midollo. Il quadro clinico è caratteristico:
o deficit sensibilità termo-dolorifica al livello della siringomielia (i dermatomeri superiori e inferiori
hanno normale sensibilità)
o conservazione della sensibilità epicritica
o possibile interessamento motorio se sono interessate le vie piramidali.

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Sbobine 2.0

EPILESSIA
DEFINIZIONI
CRISI EPILETTICA: manifestazione clinica dovuta alla scarica abnorme di un gruppo di neuroni cerebrali, che
deve sempre comprendere delle cellule corticali. Esistono anche crisi epilettiche scatenate da neuroni in sede
atopica sottocorticale, anche in sede tronco-encefalica. La crisi epilettica è dovuta a un’alterazione
dell’attività bioelettrica cerebrale normale.
Esistono diversi tipi di crisi epilettica:
In base all’eziologia:
• Criptogenetica: la causa è ignota;
• Secondaria: sintomatica, come un tumore.
In base alla modalità di presentazione rispetto a una lesione:
• Acuta: insorge subito dopo un insulto;
• Tardiva: anche detta crisi sintomatica remota. Sono crisi decorse in soggetti con storia di danno non
recente del SNC. Per esempio, in individui che da bambini hanno subito un trauma cranico (es. una
lesione contusivo-emorragica del lobo frontale) e dopo decenni sviluppano l’epilessia. Con le
indagini, si individuano esiti cicatriziali molto importanti del trauma pregresso. Analogamente può
accadere in caso di encefalite in età infantile.
In base allo stimolo provocativo:
• Provocata: con farmaci e stimolazione cerebrale. È una crisi che si manifesta in stretta relazione
temporale e causale con un evento dannoso per il sistema nervoso, che può essere metabolico,
tossico, traumatico (con formazione di ematoma);
• Non provocata: crisi spontanea, non dovuta a cause note o a insulti metabolici sistemici. Sono
comprese in questa categoria le crisi caratterizzate da abnorme sensibilità a stimoli esterni (es. crisi
fotoconvulsive in seguito a visione di cartoni animati, causa di migliaia di ricoveri urgenti negli anni
‘90).

EPILESSIA: sindrome caratterizzata da crisi epilettiche ricorrenti, una crisi isolata può comparire anche in un
soggetto normale.
Nel caso in cui si verifichino più crisi nello stesso giorno (magari in seguito all’assunzione di alcol o farmaci)
si parla comunque di una singola crisi. Una sola crisi non è un’indicazione a trattare il soggetto, si interviene
solo in caso di ricorrenza, che ci autorizza a parlare di epilessia vera e propria. Dopo il trattamento il 70%
circa delle forme di epilessia vanno in remissione, con scomparsa delle crisi. Talvolta, soprattutto in caso di
cessazione della terapia, possono esservi ricadute.

L’attività elettrica anomala è caratterizzata dall’occorrenza transitoria di una serie di sintomi o segni
dipendenti dalla sede dove questa si verifica:
• Sede occipitale: sintomi visivi;
• Giro precentrale: disturbi motori;
• Giro postcentrale: sintomi sensitivi.
Molti personaggi famosi del passato e del presente sono stati colpiti da epilessia: Giulio Cesare, Napoleone,
Pietro il Grande, Alessandro Magno. Sono vissuti con l’epilessia senza gravi conseguenze, pur senza terapie
disponibile. Oggi, la patologia viene trattata, soprattutto per evitare lesioni durante la crisi, tuttavia, una volta
scatenatasi, questa giunge al termine una volta che i neuroni esauriscono la loro energia, con un periodo di
inibizione che segue l’eccitazione.

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Sbobine 2.0

EPIDEMIOLOGIA
L’incidenza dell’epilessia nella popolazione generale si avvicina all’1%, con alcune differenze geografiche.
La patologia è più frequente in bambini e adolescenti, in particolare, le forme genetiche prevalgono nei
bambini, dato che si manifestano nell’infanzia.
Le crisi convulsive (incidenza: 130/100’000/anno) sono quelle legate a maggior rischio di morte, soprattutto
a causa di lesioni durante la crisi. Una particolare categoria sono le convulsioni febbrili, che compaiono nel
bambino piccolo (nel 2% della popolazione), in risposta all’aumento della temperatura, uno stimolo abnorme
per il sistema nervoso. Queste non devono indurre a supporre che il bambino in futuro svilupperà epilessia.
La mortalità nell’epilessia sintomatica è legata alla causa che la produce (es. glioblastoma, un tumore
cerebrale con prognosi infausta), più che all’epilessia di per sé.
C’è un rischio di morte improvvisa, legata soprattutto ad asistolie. La SUDEP (Sudden Unexected Death in
Epilepsy) è un evento molto raro che si verifica soprattutto in pazienti con epilessia nel lobo temporale. È
legata a un’aritmia cardiogena neurologica, ovvero un’asistolia con collasso e caduta, che, se il paziente non
viene prontamente rianimato, porta alla morte.

EZIOLOGIA
• Genetica (ereditaria):
o Solo epilessia;
o Epilessia con altre manifestazioni neurologiche;
• Acquisita:
o Trauma;
o Vasculopatia (encefalopatia vascolare);
o Infezione (encefalite, di cui la crisi epilettica è il sintomo principale);
o Neoplasia;
o Malattie degenerative;
o Intossicazione;
o Malattie metaboliche;
• Congenita (presenti dalla nascita, spesso ereditarie, talvolta acquisite):
o Displasia/disgenesia corticale;
o Tumori cerebrali;
o Malformazioni vascolari;
o Lesioni prenatali (es. ipossia fetale).

CLASSIFICAZIONE
Le classificazioni sono costantemente oggetto di continua revisione, in particolare, la ILAE (International
League Against Epilepsy) effettua un aggiornamento ogni anno. Tuttavia, i criteri generali necessari da un
punto di vista operativo per la clinica, sono quelli enunciati già nella classificazione sottostante.

CLASSIFICAZIONE ILAE, 1981


o Crisi parziali: sono crisi focali, che originano da una sede localizzata della corteccia. Successivamente
possono evolvere o meno in crisi generalizzate. A loro volta si dividono in:
o Crisi parziali semplici: senza disturbo della coscienza;
o Crisi parziali complesse: con perdita della coscienza, come le crisi del lobo temporale;
o Crisi parziali: sia semplici che complesse, evolvono in crisi generalizzate;

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Sbobine 2.0

o Crisi generalizzate:
o Crisi tipo assenza;
o Crisi miocloniche;
o Crisi toniche;
o Crisi tonico-cloniche;
o Crisi atoniche;
o Crisi non classificabili: una buona percentuale delle epilessie vengono genericamente diagnosticate
come “sindrome comiziale”.
Esistono anche classificazioni basate su aspetti clinici, altre sull’EEG.

FATTORI DI RISCHIO
Diversi sono i fattori che possono precipitare la crisi. Tra questi:
• Stress;
• Privazione di sonno e affaticamento, il fattore più importante. Si utilizza questo fattore anche per la
diagnosi, registrando l’EEG dopo un periodo di provazione di sonno, per slatentizzare le punte tipiche
dell’epilessia;
• Cambiamento del ciclo sonno/veglia;
• Abuso o deprivazione di alcol: quando si ricovera un paziente alcolista cronico, è opportuno ridurre
progressivamente le dosi di alcol, senza eliminarlo del tutto dall’inizio;
• Alterazioni metaboliche;
• Fattori tossici: come le droghe;
• Farmaci: soprattutto antibiotici, ipoglicemizzanti, antiaritmici, ormoni, antidepressivi (soprattutto i
vecchi triciclici usati a forti dosi) e antipsicotici, stimolanti, anestetici, oppioidi;
• Ciclo mestruale: epilessia catameniale, spesso le crisi avvengono durante la fase premestruale.

NB Il RISCHIO DI RECIDIVA di una prima crisi epilettica non provocata è elevato in caso di presenza di:
• Lesioni cerebrali;
• Atipie EEG;
• Crisi focale;
• Familiarità.

ESEMPI DI EEG IN CORSO DI CRISI EPILETTICA


TRACCIATO CON ANOMALIE ELETTRICHE PAROSSISTICHE COMIZIALI
Sono crisi che originano da una scarica eccessiva e sincrona di una popolazione
neuronale ipereccitabile.

CRISI PICCOLO MALE ASSENZA


Questo tracciato è stato registrato in un paziente con piccolo male
assenza, in corso di una crisi elettrica, di durata di pochi secondi, manca
una manifestazione clinica correlata. Nel bambino con questa patologia
queste scariche sono numerosissime (migliaia).

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Sbobine 2.0

Questa è la registrazione di una crisi elettro-clinica di piccolo male assenza.


In questo caso, la durata della crisi è di parecchi secondi, con perdita del
contatto con l’ambiente: il bambino non risponde ai richiami, appare
“distratto”, impiega svariati secondi a rispondere a domande semplici.

ATTIVITÀ PAROSSISTICA LATERALIZZATA


I tracciati mostrano punte, assenti controlateralmente: si tratta di un caso
di epilessia parziale. Distinguere tra forme parziali e generalizzate è
importante per impostare la terapia.

SCARICA CRITICA FOCALE A PARTENZA DALLA REGIONE FRONTALE DESTRA


Questo è il tracciato di una crisi a origine spiccatamente focale (a
destra, nella regione peri-rolandica del lobo frontale), che poi si
diffonde.

EEG DINAMICO
Per conoscere il numero di crisi che compaiono in un soggetto, o per verificare che abbia effettivamente
crisi, esiste la metodica dell’EEG dinamico (impropriamente chiamato holter), che utilizza piccoli registratori
(o anche smartphone o orologi), collegati a uno o due elettrodi. Un’importante applicazione è la verifica
dell’efficacia di un farmaco antiepilettico.

TIPOLOGIE DI EPILESSIA
EPILESSIA TONICO-CLONICA GENERALIZZATA: “GRANDE MALE”
È la crisi epilettica più nota e rappresentata. Il soggetto emette un urlo, cade al suolo con gli occhi
arrovesciati, irrigidito, cianotico in volto con la bava alla bocca, presentando successivamente contrazioni
brusche ai quattro arti, cui segue un periodo di sopore e malessere generalizzato. La cianosi, un dato spesso
notato dagli spettatori, è importante per la diagnosi differenziale con la crisi vago vagale, in cui il soggetto
appare pallido. Può esservi morsicatura della lingua: per evitarla, è possibile tentare di inserire un fazzoletto,
ma non bisogna aprire la bocca del paziente, per evitare di essere morsi. Non bisogna mai immobilizzare il
soggetto per il rischio di fratture, si cerca di proteggerlo perché non si faccia male. Si pone il paziente su un
fianco, se vi è eccessiva produzione di saliva, e si aspetta che la crisi cessi. È inutile chiamare un’ambulanza,
in quanto il soggetto arriva al Pronto Soccorso a crisi terminata. A questo punto, il paziente è soporoso, l’EEG
mostra uno stato di rallentamento dovuto all’esaurimento metabolico delle cellule neuronali.
La crisi dura in tutto 5-10 minuti, la descrizione appena fatta è riconducibile a 3 fasi:
• Fase tonica: contrazione intensa e generalizzata dei muscoli degli arti, del rachide, del torace, del
volto, con apnea e quindi cianosi;
• Fase clonica: scosse muscolari brusche, generalizzate, sincrone, prima ravvicinate, poi distanziate;
• Fase risolutiva: post-critico, ipotonia generalizzata e ripresa del respiro.

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Sbobine 2.0

SINDROME DI FRIEDMANN (“ASSENZE”)


È tipica dell’età scolare, tra i 4 e gli 8 anni. Caratterizzata dalla perdita di contatto con l’ambiente per un
periodo di pochi secondi. Possono essere numerose. La prognosi di solito è favorevole, le assenze
scompaiono all’inizio dell’adolescenza. La prognosi risulta meno favorevole nelle forme atipiche, che
comprendono forme tardive, anomalie dello sviluppo e presenza di sintomatologia più marcata con
manifestazioni muscolari.
L’EEG mostra la comparsa su un tracciato normale di scariche punte-onda ritmiche a 3 Hz, bilaterali e
sincrone, con inizio e fine bruschi.

SINDROME DI JANZ (EPILESSIA MIOCLONICA GIOVANILE)


Tipica dell’adolescenza, tra i 13 e i 20 anni. Ci sono mioclonie (“scosse”), generalmente limitate agli arti
superiori, che compaiono spesso al risveglio e che sono favorite da risvegli precoci, stress, deprivazione di
sonno. Durante le crisi non vi è mai perdita di contatto con l’ambiente. Se il soggetto ha oggetti in mano,
questi cadono in terra.
Il rischio epilettico persiste per tutta la vita, con necessità di mantenere il trattamento per un tempo
indefinito.
L’attività EEG precede le clonie, le punte anticipano di 20-25 ms la scossa. Il tracciato mostra evidenti scariche
bilaterali e sincrone di polipunte-onda a un ritmo di 4-6 Hz a prevalenza fronto-rolandica.

CRISI PARZIALI SEMPLICI


Avvengono a tutte le età. Sono legate a una lesione di una zona corticale, dove si verifica un “cortocircuito”.
Il sintomo dipende dalla zona interessata: se è interessata una zona motoria compaiono scosse, se una zona
sensitiva si hanno parestesie, per esempio la percezione di scosse elettriche. Nell’interessamento motorio,
può essere presente la caratteristica “marcia jacksoniana”, caratterizzata da contrazioni di tipo mioclonico
che, partendo dalla spalla, si estendono al braccio, poi all’avambraccio, infine alla mano. Sono le crisi più
difficili da diagnosticare, è necessaria una registrazione. Le crisi possono manifestarsi anche con sintomi
visivi, gustativi, uditivi (acufeni), oppure con vertigini. Quando la crisi interessa un’emisoma, l’EEG evidenzia
un’attività di punta dell’emicorteccia controlaterale.

CRISI PARZIALI COMPLESSE


Sono le più comuni. Sono caratterizzate da perdita di contatto con l’ambiente e da una serie di automatismi
gestuali (talvolta atteggiamenti masturbatori), orali, verbali, deambulatori (“fuga epilettica”) e da fenomeni
vegetativi. La crisi termina con una fase confusionale, con graduale ripresa dello stato coscienza, senza
memoria di quanto è avvenuto. Se il soggetto ricorda perfettamente la crisi, si tratta di una forma psichiatrica.
Un esempio classico di crisi parziale complessa è la crisi temporale sinistra.

SINDROME DI WEST
È un’encefalopatia epilettica che compare nel primo anno di vita. È caratterizzata dai “tic di Salaam”: flessioni
brusche, ripetute, che si accompagnano a un arresto dello sviluppo psicomotorio, con alto rischio di ritardo
mentale.
Caratteristiche degli spasmi: il movimento è più lento e coordinato di una scossa mioclonica, più breve di una
crisi tonica. L’intensità del fenomeno è variabile: talora lo spasmo è quasi impercettibile, limitandosi, per
esempio, a una smorfia facciale o a un sollevamento delle spalle. Nel corso di una serie di spasmi, si osserva
spesso un aumento dell’intensità del fenomeno e una progressiva estensione della contrazione a tutto il

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Sbobine 2.0

corpo. Tra uno spasmo e l’altro, il bambino ha un ripristino della partecipazione e, spesso, piange. In un
giorno, possono presentarsi 2-3 serie di spasmi, ciascuna della durata di alcuni minuti.
Tracciato EEG: costantemente alterato, evidenzia una successione di onde lente e punte di grande ampiezza
(ipsiaritmia), che accompagnano gli spasmi.
Esistono diverse forme:
• Forma criptogenetica: la TC e la RM sono normali, gli spasmi interessano tutto il corpo
simmetricamente e non vi sono segni focali. Questi casi possono avere un’ottima prognosi;
• Forme sintomatiche: correlate a cause genetiche, sindromi cromosomiche, come la S. di Down,
malformazioni cerebrali, come la sclerosi tuberosa, sofferenza anossica ischemica durante il parto o,
infine, a patologie encefaliche post-natali.
In queste forme, gli spasmi hanno generalmente caratteristiche che le distinguono dal caso
precedente: possono essere più prolungati, con maggiore componente tonica, possono
accompagnarsi segni focali (es. deviazione dello sguardo da un lato);
• Rare crisi parziali semplici: generalmente a semeiologia motoria, indipendenti o in stretta
associazione con gli spasmi.

SINDROME DI LENNOX-GASTAULT
È una grave encefalopatia epilettica, caratterizzata da crisi acinetiche, con caduta a terra e da un grave
decadimento cognitivo. È caratterizzata dallo sviluppo di crisi toniche associate a crisi atoniche e assenze
atipiche.
Insorge tra i 2 e i 6 anni, può essere l’evoluzione della sindrome di West e, come quest’ultima, può essere
criptogenetica o sintomatica.
EEG: comparsa su un tracciato di fondo anormalmente lento, di scariche prolungate punte-onda in cui la
punta è lenta, quindi diversa dalla punta rapida delle assenze nel “piccolo male”.

DIAGNOSI DI EPILESSIA

Si parte dall’analisi dell’EEG, cercando


un’attività bioelettrica anomala.
Successivamente, si classifica la crisi in
parziale o generalizzata, sebbene molti
casi rimangano non classificati.
Le neuroimmagini danno informazioni
patogenetiche, tuttavia, la loro negatività
non esclude una causa organica: talvolta
le lesioni possono sfuggire alla TC o alla
RM.
In età adulta, le crisi epilettiche sono
generalmente dovute a una lesione
(ematoma, metastasi, glioma). Non di
rado, le crisi epilettiche da metastasi
cerebrali sono il primo segno di una
neoplasia primitiva, che, in certi casi, non
viene mai individuata.

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Sbobine 2.0

ALGORITMO DIAGNOSTICO
Si esegue l’EEG, classificando, se possibile, le crisi in parziali e generalizzate:
• Crisi parziali: vengono approfondite sempre con indagini strumentali;
• Crisi generalizzate: le indagini strumentali sono eseguite solo se il paziente ha più di 25 anni o se non
si tratta di una sindrome generalizzata idiopatica.

L’immagine mostra un caso di Sclerosi Tuberosa, una sindrome


comiziale dei tuberi, con noduli subependimali e, a destra, un amartoma.
In questi casi, si somministrano un farmaco per le crisi parziali ed uno per
impedire la generalizzazione.

TERAPIA DELL’EPILESSIA
QUANDO INIZIARE LA TERAPIA FARMACOLOGICA
1ª crisi: quasi mai. Sarebbe maggiore il danno dato dai farmaci che il beneficio apportato.
2ª crisi: limitatamente agli adulti e ai casi con diagnosi pressoché definita.
Crisi successive: nei bambini.

In passato, i Neurochirurghi prescrivevano la terapia antiepilettica ai pazienti che avevano subito trauma
cranico per prevenire un’eventuale crisi. Si tratta di un approccio scorretto, oggi abolito.
Anche nei bambini, il professore raccomanda cautela nella prescrizione di farmaci, comunque tossici, a
soggetti con crisi molto distanziate tra loro, nonostante l’insistenza dei genitori.
Nelle crisi da fattori metabolici, si tratta l’epilessia solo se non si riesce a correggere il fattore metabolico.
Per esempio, nell’intossicazione acuta da farmaco, l’approccio migliore è la correzione del dosaggio.

Condizioni che non implicano un trattamento immediato:


• Diagnosi di epilessia incerta;
• Epilessie con crisi rare (meno di una crisi l’anno);
• Pazienti con compliance insoddisfacente;
• Soggetti più esposti agli effetti indesiderati dei farmaci (riduzione della vigilanza, delle abilità
professionali, rallentamento dei riflessi);
• Sindromi epilettiche “benigne” (a prognosi eccellente): epilessie parziali idiopatiche, convulsioni
neonatali benigne, epilessia mioclonica benigna dell’infanzia, crisi precipitate da stimoli specifici.

Non è sempre semplice stabilire quando iniziare il trattamento. In genere, si tenta di ricorrere a una
monoterapia, in passato si sceglievano spesso associazioni di farmaci (per esempio la Metinal Idantoina,
ovvero barbiturico associato a Idantoina). Utilizzando un farmaco solo si riduce la tossicità, si possono
attribuire con certezza eventuali effetti collaterali.

FARMACI ANTIEPILETTICI
Profilo dell’antiepilettico ideale:
• Abolisce del tutto le crisi;
• È efficace in tutti i tipi di crisi;

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Sbobine 2.0

• Non produce effetti collaterali;


• È facile da monitorare, dosandolo nel sangue;
• Costa poco;
• Si somministra poche volte al giorno (1 o 2).

FARMACI ANTIEPILETTICI IN USO


Il prof si limita a mostrare la slide. Dice solo
ARM AMENTARI O DEI FARM ACI ANTI EPI LETTI CI che l’Acetazolamide si usa per prevenire le
(AEDs)
crisi catameniali.

MECCANISMI D’AZIONE DEI FARMACI


Per molti farmaci non sono noti. Meccanismi noti:
• Azione sui neurotrasmettitori derivati da amminoacidi:
o GABA: potenziano la trasmissione inibitoria GABA-mediata;
o Glutamato: riducono quella eccitatoria del glutamato.
• Azione sui canali ionici voltaggio dipendenti (di Na, Ca, K).

EFFICACIA DELLA TERAPIA ANTIEPILETTICA


In genere, con la monoterapia si ottiene un buon controllo nel 70% dei pazienti, nel restante 30% si può
aggiungere un secondo, e, eventualmente, un terzo farmaco. È invece inutile aumentare il dosaggio: quando
siamo nel range terapeutico, se il farmaco non funziona, occorre cambiarlo o aggiungerne un secondo. In un
15% dei casi la patologia non risponde a più farmaci, si parla di epilessia farmaco-resistente. La farmaco
resistenza può avere basi genetiche, essere legata alla patologia, o avere altre cause. In questi casi si può
ricorrere alla terapia chirurgica.

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Sbobine 2.0

Criteri di scelta del farmaco: (vedi slides pag precedente)


• Carbamazepina: prima scelta, se non tollerata si ricorre ad altri farmaci;
• Fenitoina, oggi si usa poco a causa degli effetti collaterali (danno ai denti, iperplasia gengivale,
irsutismo;
• Fenobarbital;
• Valproato: utilizzato nelle crisi non classificate (nei maschi, ma nelle donne in età fertile si evita, a
causa dell’elevata teratogenicità).
NB Talvolta, nonostante i farmaci, ci sono delle crisi non controllate, dovute a dosaggio non ottimale, bassa
compliance o altre cause.

VANTAGGI DELLA MONOTERAPIA LIMITI DELLA TERAPIA DI COMBINAZIONE


• È efficace se effettuata correttamente; • Può peggiorare la compliance;
• Meno effetti collaterali; • Può non essere efficace;
• Si evitano interazioni; • Le interazioni possono condizionare
• Maggior maneggevolezza; l’efficacia e la tollerabilità.
• Minore costo;
• Migliore compliance.
Quindi, si tenta di impostare una monoterapia, in caso di fallimento si sceglie una monoterapia alternativa,
poi una politerapia.
I nuovi farmaci, pur avendo costi elevatissimi, non sono necessariamente più efficaci.

REAZIONI AVVERSE
• Idiosincrasiche: anemia aplastica, insufficienza epatica acuta, sindrome di Stevens-Johnson;
• Dose-dipendenti.
La carbamazepina può dare iponatriemia ed eruzioni cutanee, che possono anche portare al ricovero.

SOSPENSIONE DEL TRATTAMENTO


Si può provare a partire da 2 anni senza crisi. Se la patologia compare nuovamente, è sufficiente riprendere
la terapia. Lo scopo del medico è portare il paziente a guarigione, non farne un malato cronico. Lo stato di
guarigione ha anche importanti implicazioni lavorative e sulla qualità della vita (es. guidare). La guarigione è
possibile e si può ottenere nel 60-70% dei casi.

STATO EPILETTICO
Lo stato epilettico è un’urgenza in cui le crisi subentranti sono talmente vicine da non consentire un
recupero della coscienza tra l’una e l’altra. Porta quindi a una condizione di coma, con elevato rischio di
mortalità. Il protocollo terapeutico prevede, innanzitutto, la somministrazione di Benzodiazepine per ev, poi,
se la condizione non si risolve, Fenitoina, Fenobarbital e Midazolam o Profonol. Si tratta di trattamenti che
devono essere effettuati in terapia intensiva, con paziente intubato e ventilato meccanicamente. Lo stato di
male è una condizione che porta a danno cerebrale ingravescente, quindi deve essere interrotto. Per
esempio, nel coma post anossico, che si verifica in pazienti rianimati, spesso si osserva uno stato mioclonico
continuo, di durata anche di mesi.

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Sbobine 2.0

STIMOLAZIONE VAGALE
Si posiziona uno stimolatore intorno al Vago, con riduzione delle crisi intorno
al 50%, il che costituisce un importante miglioramento per pazienti con crisi
molto frequenti. La procedura causa disfonia.

DIAGNOSTICA PRE CHIRUGICA


Il trattamento chirurgico presuppone la conoscenza esatta della sede epilettogena mediante registrazione
con elettrodi di profondità per alcuni giorni. Spesso la sede si può individuare con la Neuroradiolgia, ma non
sempre c’è corrispondenza tra regioni lesionate e zona epilettogena, spesso si tratta di zone adiacenti. Gli
interventi possono essere demolitivi, lasciare deficit cognitivi, ma, generalmente, risolvono l’epilessia.

EPISODI CRITICI NON EPILETTICI


• PSUDOCRISI: sono crisi psicogene, che simulano le crisi epilettiche, sono note come disturbo di
conversione o di somatizzazione. Il soggetto non è consapevole della natura psicogena, anche se
spesso gli episodi sono autondotti, la motivazione è spesso sconosciuta. L’EEG è normale.
Nonostante ciò, i pazienti vengono spesso portati in Rianimazione e intubati. Un segno frequente è
la chiusura forzata delle palpebre, rilevante è anche l’assenza di danni fisici, di incontinenza, di
perdita di saliva. Manca anche il rallentamento post-critico;
• SINCOPI: Si tratta di episodi con perdita di coscienza, revulsioni oculari e ipotonia. Sono spesso
precedute da prodromi, quali “giramento di testa”, “testa vuota”, “annebbiamento visivo”,
distorsione dei suoni, nausea. Possono essere accompagnate da mioclonie o clonie, l’ECG mostra
un’asistolia.
In alcuni soggetti, si possono provocare con massaggio del seno carotideo (tipicamente, il paziente
ha una sincope mentre si rade con il rasoio elettrico) o con compressione dei globi oculari.
• TIA;
• Amnesia;
• Cataplessia;
• Parasonnie;
• Alterazioni metaboliche (ipogllicemia).

CRISI EPILETTICHE VS NON EPILETTICHE


• Esame generale;
• Esame neurologico;
• Esami ematochimici: durante la crisi epilettica il muscolo si stressa, con aumento di CPK e LDH e
comparsa di dolore muscolare;
• EEG;
• Neuroimmagini.
NB Nelle crisi non epilettiche si ha: persistenza del riflesso corneale, resistenza all’apertura degli occhi,
ricordo delle crisi, etc.

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Sbobine 2.0

MALATTIA DI PARKINSON
La malattia di Parkinson è una malattia idiopatica, su base degenerativa. Il quadro clinico presenta:
• Esordio insidioso solitamente unilaterale
• Decorso cronico progressivo
• Triade di sintomi: bradicinesia (lentezza nei movimenti), rigidità, tremore a riposo
• Disturbi di accompagnamento: alterazioni posturali e sintomi non motori

EPIDEMIOLOGIA
Prevalenza: 84-270 individui per 100.000
Incidenza: 5-25 individui per 100.000 nel mondo
Esordio: Tra i 60 e 70 anni
Raro prima dei 30
Più colpiti i maschi che le femmine
Incidenza e prevalenza aumentano con l’età (M/F=1.5)
Fattori di rischio
• Età
• Etnia caucasica
• Familiarità. L'approccio genetico molecolare ha permesse di identificare 5 geni
inequivocabilmente causativi di MP, due a trasmissione AD (a-sinucleina e dardaina) e tre a
trasmissione AR, tutti codificanti per la parkina.
• Esposizioni ambientali a erbicidi e pesticidi, metalli pesanti, droghe
• Fattori dietetici, il consumo di cibi ad alto contenuto di fattori anti-ossidanti (VitE e VitC) è
considerato protettivo;
• Infezioni virali (vi fu un aumento di incidenza di casi di Parkinson in seguito alla pandemia di
encefalite post-spagnola). Ad oggi nessun agente virale è stato dimostrato come causatio della
malattia;
• Eventi stressanti

ANATOMIA PATOLOGICA
Un riscontro patologico caratteristico si osserva in una sezione del
mesencefalo nei pazienti affetti dalla malattia, in cui la sostanza nera
scompare. È infatti presente una progressiva perdita della sostanza nera,
le cui cellule hanno un mediatore dopaminergico che si porta ai nuclei della
base ed esercita un effetto inibitore sulla corteccia (vd. figura a lato).

A livello citologico, nella malattia di Parkinson


sono presenti i cosiddetti “Corpi di Lewy”,
inclusioni proteiche citoplasmatiche
neuronali visibili nel reperto autoptico (vd.
figura a lato).

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Sbobine 2.0

CLINICA
Sappiamo che, nella MP, la degenerazione non interessa esclusivamente le strutture dopaminergiche
mesencefaliche (principali responsabili delle manifestazioni motorie parkinsoniane), ma anche i nuclei
autonomici periferici, i nuclei motori dorsali del vago, il bulbo olfattorio, la corteccia somato-sensitiva e
la neocorteccia; di conseguenza il fenotipo clinico comprende anche una serie di sintomi non motori,
purtroppo aspecifici e spesso insufficienti per una diagnosi precoce.

Stadio pre-motorio
Spesso precedono e si accompagnano alla sintomatologia motoria. In base alla gravità e alla sede di
degenerazione extra-mesencefalica avremo:
• Disturbi del SNA
o Disturbi GI: Ipersalivazione, disfagia (con rischio di polmonite ab ingestis), eruttazioni,
discomfort addominale, nausea e perdita di peso per ritardo di svuotamento gastrico
(può influenzare anche la risposta al trattamento orale con L-DOPA), stipsi per
alterazione della motilità colica (con rischio volvolo, megacolon, perforazioni), tenesmo
per disfunzione ano-rettale;
o Disturbi CV: ipotensione ortostatica e bradicardia, eritromegalia e fenomendo di
Raynaud
o Disturbi urinari: nicturia, pollachuria, incontinenza urinaria, difficoltà minzionale;
o Disturbi della sfera sessuale: disfunzione erettile, perdità dell’eiaculazione e delle
erezioni notturne
o Disturbi oculari: lacrimazione eccessiva/xeroftalmia, disturbi pupillari.
• Disturbi del sonno. Si accentuano con l’aggravamento delle condizioni di malattia e
contribuiscono significativamente alla qualità di vita del pz; non è un’alterazione solo
quantitativa (insonnia o ipersonnia) ma anche qualitativa (parasonnie REM e NREM). I disturbi
più frequentemente riscontarti sono:
o Insonnia iniziale e di mantenimento. La frammentazione del sonno è favorita da
numerosi fattori come disturbi urinari (nicturia), disturbo ansioso-depressivo, disturbi
sensitivo-motori (distonie, restless leg syndrome, ovvero parestesie molto intense degli
arti inferiori che compaiono e intensificano la notte), disturbi respiratori (OSAS)
o Parasonnie REM/NREM: allucinazioni visive, sogni vividi, incubi, sonniloquio, REM
behaviour disorder (parasonnia REM caratterizzata da bruschi movimenti di aggressione
o difesa e somniloquio), risvegli confusionali (in genere tipici delle fasi avanzate della
malattia e associati a decadimento cognitivo globale).
o Eccessiva sonnolena diurna: le parasonnie precedentemente indicate, il trattamento
farmacologico e la depressione possono contribuire a questo disturbo, che può
presentarsi continuo nelle 24h oppure con attacchi acuti di sonno.
• Disturbi di sensibilità: da intorpidimento fino a vere e proprie parestesie, iporeflessia
osteotendinea, accetuata dalla rigidità motoria
• Iposmia
• Disturbi dell’umore: apatia, ansia, depressione
• Alterazioni cognitive; si andrà da deficit inizialmente subdoli fino a una demenza franca. Il
disturbo interessa:
o Funzioni esecutive;
o Memoria, soprattutto nel recupero delle informazioni immagazzinate (retrieval) e nella

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Sbobine 2.0

registrazione delle informazioni (encoding);


o Dominio visuo-spaziale;
o Linguaggio, con anomie e riduzione dell’eloquio spontaneo.
Stadio motorio
L'esordio delle manifestazioni motorie, che in genere sono precedute dai sintomi di cui sopra, è subdolo
e insidioso. Infatti la degenerazione nigro-striatale, si sviluppa gradualmente in un periodo di diversi
anni, prima che i sintomi motori si evidenzino clinicamente, e ciò avviene quando oltre l'80% dei neuroni
nigro-striatali è degenerato.
L'esordio dei sintomi motori è in genere asimmetrico e tale asimmetria, mantenuta spesso anche in fase
avanzata, è considerata utile come criterio diagnostico. I sintomi cardine dell’alterazione motoria sono
3, più un sintomo più tardivo [l’istabilità posturale è un sintomo di accompagnamento secondo lui, SR lo
consindera nei 4 sintomi cardine]:
• Bradicinesia e acinesia. Sono due aspetti dello stesso fenomeno. È il sintomo principale e più
invalidante della malattia ed è molto eterogeneo nelle sue manifestazioni. Inizialmente riguarda
le regioni ditali, per poi estendersi a tutti muscoli progressivamente. I movimenti abituali,
automatici e frequenti sono ridotti in ampiezza e frequenza nel malato, si ha ritardo nell’inizio e
nell’esecuzione degli stessi, rapido esurimento e difficoltà nell’esecuzione dei movimenti
sequenziali (es. Pronosupinazione della mano) e movimenti complessi (es. Abbotonamento della
camicia). Anche la deambulazione è alterata allo stesso modo degli altri movimenti, con
riduzione dei movimenti pendolari delle braccia, lentezza nell’inizio del cammino (start-
hesitation), che è comunque a piccolo passi e con trascinamento degli arti inferiori.
• Tremore a riposo. È spesso il sintomo motorio d’esordio ma, a differenza degli altri, non tende
necessariamente a peggiorare con il progredire della malattia. Contrariamente alla rilevanza
clinica, non è molto invalidante. Compare a riposo ed è inibito dall’attività volontaria dei muscoli
interessati, inoltre scompare nel sonno. Tipicamente ha esordio unilaterale e distale,
progressione prossimale fino a coinvolgimento di lingua, labbra e mandibola nelle fasi avanzate.
• Rigidità. Come il tremore, ha spesso esordio unilaterale. Sebbene coinvolga tutti i muscoli, è più
prominente nei gruppi muscolari che mantengono un atteggiamento in flessione, quindi tronco
e arti. All’EO è visibile un’aumentata resistenza alla mobilizzazione passiva di un segmento
corporeo. A differenza della spasticità (DD), l’ipertonia muscolare non è influenzata dalla
velocità e dalla forza della mobilizazione, la sua comparsa non è preceduta da un intervallo libero
e, una volta terminata la mobilizzazione, l’arto rigido non tende a riassumere la posizione di
partenza. Segni tipici sono il fenomeno della troclea (piccoli cedimenti ritmici dell’ipertonia
durante la mobilitazione passiva di un segmento) e il segno di Froment (accetuazione della
rigidità con il movimento del segmento controlaterale, utilizzato per elicitare il feomeno nelle
fasi iniziali, meno evidenti).
• Instabilità posturale. Contrariamente ai primi 3, è più tardivo (si manifesta in media dopo 10
anni o più); risponde scarsamente alla terapia dopaminergica ed è il fattore che contribuisce
maggiormente al confinamento a letto e sulla sedia a rotelle. È dovuta alla riduzione dei riflessi
posturali di raddrizzamento, per cui il pz non è in grado di correggere automaticamente
variazioni dell’equilibrio. Ne consegue una posizione curva con flessione del tronco e del collo,
braccia addotte e gomiti flessi, arti inferiori flessi alle anche e alle ginocchia. Si può evidenziare
con la prova della spinta, ponendosi dietro al paziente e spingendolo all'indietro facendo presa
sulle spalle: i pazienti con riduzione dei riflessi di raddrizzamento faranno duo o più passi
all'indietro prima di riprendere il controllo dell'equilibrio, nella fase tardiva è inevitabile la
caduta del soggetto se non sostenuto dall’esaminatore.

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Sbobine 2.0

Ai sintomi motori primari si accompagnano alterazioni motorie secondarie come:


• Disfunzione oculare: rallentamento dei movimenti saccadici, farmmentazione dei movimenti di
inseguimento, limitazione dello sguardo verso l’alto (DD paralisi sopranucleare progressiva, in
cui la limitazione è verso il basso), persistenza dell’ammicamento alla percussione della glabella
(riflesso glabellare), ampliamento delle rime palpebrali (segno di Stellwag);
• Disfunzione orofaringea: disartria ipocinetica, disfagia, scialorrea;
• Alterazioni muscolo-scheletriche: deviazione ulnare della mano, flessione delle MF ed
estensione dell’IFP (mano striatale), scoliosi nella fase iniziale e cifosi nelle fasi tardive.

DIAGNOSI DI MP
Solo l’esame neuropatologico è in grado di fornire una diagnosi di certezza in base al riscontro di
specifiche alterazioni:
• Deplezione neuronale e gliosi nella sostanza nera
• Presenza di corpi di Lewy
• Assenza di segni degenerativi in altre strutture

Questo tipo di diagnosi chiaramente non è applicabile al soggetto in vita, motivo per il quale la diagnosi
è prettamente clinica.
Non sono disponibili marcatori biologici specifici o test standardizzati, la diagnosi di MP idiopatica si
basa dunque sull’osservazione della presenza e progressione di sintomi e segni clinici.

CRITERI DIAGNOSTICI
I criteri diagnostici prevedono che ci sia una malattia possibile nelle fasi iniziali, che quando i segni
aumentano diventa probabile e poi definita.
Malattia possibile
• Presenza di almeno due segni tra: tremore a riposo, bradicinesia, rigidità, esordio asimmetrico
• Assenza di segni atipici (con durata di malattia inferiore a 3 anni)
• Presenza di buona risposta a levodopa o dopamino-agonisti
La diagnosi in questi casi risulta quasi scontata, ricopre un ruolo fondamentale la risposta alla
levodopa che rappresenta un test di conferma diagnostica.
Malattia probabile
• Presenza di almeno tre segni tra: tremore a riposo, bradicinesia, rigidità, esordio asimmetrico
• Assenza di segni atipici (con durata di malattia superiore a 3 anni)
• Documentata e persistente risposta terapeutica a levodopa o dopamino-agonisti
Malattia definita o conclamata
• Rispetta tutti i criteri della diagnosi possibile
• Conferma istopatologica

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ACCURATEZZA DELLA DIAGNOSI DI MP


L’accuratezza della diagnosi di MP è piuttosto
elevata, fare una diagnosi non è difficile. La slide
mostra come con il passare del tempo (dal 1992 al
2001) l’accuratezza diagnostica sia cresciuta, grazie
al miglioramento delle conoscenze e alla nuova
disponibilità tecnologica.

ALGORITMO DIAGNOSTICO NELLA MALATTIA DI PARKINSON


Quando si individuano nel paziente sintomi e segni suggestivi di MP si verifica il quadro clinico e se i criteri
sono rispettati si procede con la terapia dopaminergica. Se si ottiene una risposta soddisfacente si prosegue
con la terapia, se invece non c’è risposta va riconsiderata la diagnosi, facendo una nuova serie di test,
effettuando approfondimenti diagnostici (tra cui valutazione neuropsicologica, test autonomici e
neurofisiologici ma soprattutto neuroimmagini - TC, RM, SPECT). La diagnosi va riconsiderata anche nel caso
in cui i criteri clinici non siano stati rispettati.

DIFFERENZIALE DELLA MALATTIA DI PARKINSON


La diagnosi differenziale va fatta tra le seguenti condizioni:
• Malattia di Parkinson (idiopatica)
• Parkinsonismi sintomatici (secondari a cause note), sono molto comuni in pazienti psichiatrici
trattati con neurolettici
• Parkinson-plus [atipici] (MSA, PSP, ecc.), è presente qualche segno “atipico in più”. Questo
è per esempio il caso dell’atrofia multi-sistemica e della paralisi sopranucleare progressiva.
• Parkinsonismi monogenici (ereditari), sono meno del 5%
• Tremore essenziale; si tratta di un tremore costante o intermittente, prevalentemente posturale.
Esiste anche un tremore essenziale fisiologico che può derivare da stati d’ansia o stati emozionali
(es. esame universitario). Nel tremore essenziale non ci sono altri segni extrapiramidali e non
evolve, è generalmente familiare perché è su base genetica. Inoltre non risponde alla levodopa,
con possibile risposta ad altri farmaci come beta-bloccanti o benzodiazepine.
Sebbene la malattia di Parkinson idiopatica sia la forma più diffusa, le sindromi parkinsoniane o
parkinsonismi possono essere secondari a cause note.

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DIAGNOSTICA PER IMMAGINI


Alcune sindromi parkinsoniane secondarie o degenerative, e tra queste principalmente la paralisi
spranucleare progressiva e l'atrofia multisitemica, possono mimare il tipico quadro della MP,
rendendo difficile un corretto inquadramento diagnostico, soprattutto nelle fasi iniziali di malattia.
Le tecniche di neuro-imaging convenzionale e funzionale sono finalizzate quindi a supportare o
escludere una diagnosi altrimenti dubbia. Nella diagnosi differenziale la diagnostica per immagini
gioca un ruolo fondamentale. Si utilizzano TC e soprattutto RM, che offre immagini a maggiori
dettagli. L’imaging funzionale nella MP comprende:
• Metodi neurochimici, finalizzati alla valutazione pre- e post sinaptica tramite l’utilizzao di
radiofarmaci specifici per il tessuto d’interesse. Quest’analisi è effettuata mediante PET o
SPECT (DATscan). SPECT con DATscan: nella malattia di Parkinson v’è una captazione ridotta
nei nuclei della base mentre nel tremore essenziale invece c’è captazione, trasporto e via
nigrostriatale perfettamente conservata. La SPECT evidenzia tali differenze, consentendo la
diagnosi differenziale.
• Metodi di mappaggio di perfusione: valutano la metabolizzazione del glucosio del tessuto
cerebrale locale (PET/SPECT) o l’eventuale consumo di ossigeno dello stesso (RMN)

Quando si effettuano esami diagnostici di questo tipo per studiare i parkinsonismi, bisogna
considerare che:
• Non forniscono immagini specifiche della MP
• Consentono il riscontro di assottigliamento della pars compacta della sostanza nera (T2*) che
è quella che degenera nella malattia di Parkinson
• Devono considerarsi indagini di ‘routine', al fine di escludere Parkinsonismi secondari o quadri
patologici che possono simulare il Parkinson. Un quadro tipico può essere l’idrocefalo oppure un
meningioma frontale che va a comprimere l’area supplementare motoria.

Esempi di reperti diagnostici

1. Nell’immagine si può osservare una dilatazione dei ventricoli

2. Nell’ immagine si può osservare atrofia multisistemica (RMN)


Si nota una degenerazione a croce delle fibre del ponte, nel Parkinson
questa non è presente e ciò permette di differenziare con certezza le
due patologie.

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3. Questo è un caso di PSP. Guardando la


sezione sagittale del tronco, si nota un
interessamento del mesencefalo che sembra
un pinguino in piedi e visto di profilo (“segno
del pinguino”), risultato dell’atrofia del tronco.

TEST ALLA LEVODOPA


Si somministra la levodopa per bocca e successivamente si valutano i tre sintomi tipici del Parkinson
(bradicinesia, tremore a riposo, rigidità). La valutazione della risposta è valutata mediante:
• Walking time: tempo impiegato ad alzarsi da una sedia senza braccioli, percorrere un breve
tragitto e tornare a sedersi;
• Tapping test: i pazienti premono due tasti posti a distanza con entrambi gli indici tanto
rapidamente quanto è possibile per 15-60s, mentre un contatore registra il numero di colpi.
Se la risposta alla levodopa è positiva si conferma la diagnosi di Parkinson, se è negativa si esclude il
Parkinson e si valuta un MSA, un LBD o altri parkinsonismi, in quanto nei parkinsonismi si ha una lieve
risposta alla dopamina che allevia di poco i sintomi (per questo motivo non viene utilizzata nel
trattamento).

TEST NEUROPSICOLOGICI
Hanno molta importanza, servono per valutare la corteccia e l’eventuale presenza di demenza. I
Parkinsoniani negli stati finali diventano dementi. Si parla di demenza sottocorticale che coinvolge i nuclei
della base.

INDAGINI STRUMENTALI
TEST AUTONOMICI
• Riflessi cardio-vascolari
• Test urodinamici: dato il coinvolgimento del nucleo di Onuf, in passato si utilizzava fare un
test elettromiografico sullo sfintere anale che risultava denervato, veniva quindi considerato
come un test sicuro ed affidabile per la diagnosi. Oggi per diagnosi di certezza si investiga
l’atrofia del nervo vago, visualizzabile tramite ecografia in maniera facile e veloce. È infatti
ormai accertato che la malattia Parkinsoniana ha inizio sicuramente dal nucleo motorio
dorsale del vago, solo dopo coinvolge la sostanza nera.
• Risposte simpatico-cutanee
• Valutazione olfattiva mediante test di identificazione di odori a scelte multiple
• Fluoroscopia per i disturbi di deglutizione e svuotamento gastrico
Tali test si utilizzano in quanto c’è un coinvolgimento del sistema nervoso vegetativo. Tuttavia,
l’asepcificità dei sintomi non offre la possibilità di utilizzare routinariamente dei test nella pratica clinica,
per mancanza di sensibilità e specificità affidabili.

NEUROFISIOLOGIA
• Segni EMG di denervazione sfinteriale
• Alterazione della conduzione motoria centrale
• Alterazioni ‘startle reactions’

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• Alterazioni componente N30 dei SEP (per più di vent’anni è stato pubblicizzato come il gold
standard per il Parkinson, il che non è vero: è molto più semplice eseguire la ricerca del
fenomeno-abitudine dell’RTF (riflesso trigemino faciale), ammiccamento degli occhi che a un
certo punto scompare. Tale fenomeno non è presente nelle malattie extra-piramidali, il che
consente la diagnosi differenziale.

OPZIONI TERAPEUTICHE NELLA MALATTIA DI PARKINSON


1. Terapia preventiva, neuroprotettiva (neuroprotezione: evitare di essere esposti a gas tossici,
vale per esempio nelle industrie). È finalizzata a rallentare o arrestare il processo di
degnerazione neuronale, intervenendo sui meccanismi patogenetici della morte neuroale. Non
esiste infatti nessuna strategia terapeutica con efficacia certa. Il trattamento farmacologico
preventivo si basa su:
o Selegilina: poiché nella MP il turnover della dopamina nei neuroni nigro-striatali residui è
aumentato, l'inibizione dell'attività MAO-B potrebbe ridurre la produzione di radicali liberi che
si formano durante il metabolismo ossidativo della dopamina. È ormai da tutti accettato che
l'effetto neuro protettivo della selegilina, se presente, è comunque modesto e certamente
non in grado di arrestare la progressione della malattia;
o Scavengers dei radicali liberi: vitamina E, Melatonina;
o Antagonisti degli amminoacidi eccitatori: amantadina (Antagonista dei recettori NMDA),
Lamotrigina e Riluzolo (Inibitori del release del glutammato).
2. Trattamento sintomatico
o Farmacologico
o Chirurgico, riservata alle fasi avanzate della malattia a scopo palliativo. Un tempo
veniva eseguita pallidotomia, oggi superata dalla Deep Brain Stimulation.
3. Terapie ristorative (solo sperimentali)
Nella terapia un posto importante è occupato dall’attività motoria. Palestre in cui si insegna il tango a
pazienti affetti da Parkinson hanno riscosso un grande successo negli Stati Uniti, in quanto i tipi di
movimenti eseguiti in questa linea di ballo sembrano avere effetti benefici per i pazienti.
Per quanto riguarda la terapia farmacologica, gli inibitori delle MAO-B danno effetti migliori rispetto
al placebo. Dati preclinici suggeriscono inoltre un effetto protettivo dei dopaminoagonisti nei
confronti della degenerazione cellulare. I dopaminoagonisti vengono utilizzati quindi sia a scopo
terapeutico che a scopo preventivo, il loro effetto benefico è stato dimostrato: sono stati condotti studi
sull’efficacia della dopa vs il placebo, e l’efficacia della dopa risulta evidente.
Alcuni farmaci dopaminoagonisti sono pramipexolo, ropinirolo.

TRATTAMENTO SINTOMATICO
L’introduzione della levodopa nella terapia del
Parkinson si deve a O. Hornykiewicz and W.
Birkmayer. Al momento della diagnosi, la terapia
inizia con i dopaminoagonisti e successivamente
prosegue con la levodopa. Questo perché la durata
della dopa è di 10-15 anni e se il Parkinson viene
diagnosticato a 50 anni e si inizia subito con la dopa,
una volta raggiunti i 60 gli effetti saranno minimi.
Nel momento in cui si inizia la levodopa si ha il
periodo migliore, detto “luna di miele”, ma poi
iniziano a insorgere le complicanze:

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paradossalmente, infatti, la L-dopa favorisce la degenerazione dei neuroni nigrostriatali. I benefici della dopa
sono evidenti, i pazienti camminano, corrono, c’è un miglioramento delle prestazioni sessuali e questo li
induce a una maggiore assunzione (oltre la dose prescritta). Tra gli effetti collaterali della dopa vi sono
movimenti coreici, ipercinesie. Inoltre all’inizio della terapia la singola pasticca di dopa ha una lunga
durata, che però diventa via via sempre più corta, quindi mantenere una concentrazione costante nel
sangue diventa difficile. Se all’inizio la durata è di 4-5 ore, alla fine si ha una durata di 1-2 ore, per cui le dosi
devo essere prese più volte nell’arco della giornata; il paziente va subito in “off” (incapacità di compiere
movimenti fluidi, bradicinesia) e le fasi di “on” sono quasi sempre associate a discinesie.
Come risorsa finale, quando la terapia farmacologica non è più efficace, v’è la deep brain stimulation.

Vantaggi dei dopaminoagonisti


• Lunga emivita e stimolazione dopaminergica continua;
• Minore frequenza di discinesie/fluttuazioni motorie;
• Possibili “Disease Modifying Effects/NeuroProtezione”.
Dopo qualche anno viene introdotta la Levodopa associata agli Inibitori della DOPA-
decarbossilasi,perché altrimenti verrebbe degradata.

Vantaggi di Levodopa + IDD


• Maggiore efficacia sui sintomi motori;
• Rapido raggiungimento di una dose efficace;
• Minore frequenza di sonnolenza, allucinazioni ed edemi declivi;
• Minore costo.
La gestione della terapia è stata spesso discussa. In passato si suggeriva di iniziare con la dopa così da
poter sfruttare il benessere che ne deriva, ma dati gli effetti collaterali (tra cui la sindrome coreica) è
preferibile ritardarne l’utilizzo. Oggi possiamo riassumere i criteri di raccomandazione in modo
semplice: utilizzare per primi i dopaminoagonisti e successivamente la dopa.
In passato venivano prescritti anche anticolingerci, oggi si evitano in quanto secondo alcuni studiosi
accelerano la demenza. Esistono anche altri farmaci come la Rasagilina che avrebbero un effetto
preventivo, rallentando il decorso della malattia. Si tratta di un farmaco costosissimo, che si può
usare come terapia aggiuntiva soprattutto in pazienti con fluttuazioni motorie.
Qual è il momento per iniziare la terapia? Le strategie terapeutiche sono diverse da momento e
momento. Se è possibile sarebbe preferibile aspettare, anche se esistono scuole di pensiero diverse.

Razionale dell’uso di dopaminoagonisti nella MP avanzata


• Più continua stimolazione dopaminergicaMiglioramento delle
fluttuazioni motorie
• Riduzione (e sostituzione) della levodopa  Riduzione delle discinesie
Esistono anche pompe ad infusione duodenale per evitare la degradazione della
levodopa a livello dello stomaco, per i casi gravi. Sono però costose oltre che molto
scomode da portare in giro, le infusioni di Apomorfina con micropompe per
infusione sottocutanea sono più semplici.

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Farmaci antiglutammatergici e discinesie da Levodopa


• Memantina
• Ifenprodil
• Dextrometorfano
• Budipina
• Amantadina: Offre la possibilità di ridurre le discinesie anche se hai i suoi effetti collaterali.

Stimolazione elettrica profonda ad alta frequenza (DBS)


Anche questo trattamento è riservato ai casi disperati.
• Intervento reversibile
• Modulazione attività elettrica del target in relazione al quadro clinico
• Minore incidenza di effetti collaterali e complicanze permanenti
• Necessità di controlli periodici
Si applicano degli elettrodi sui nuclei della base, ci sono diversi target, in genere si sceglie il nucleo
subtalamico che viene attivato con un sistema wireless. Nei pazienti fermi e immobilizzati ci sono
limitazioni e rischi come emorragia o infezione. La DBS è una terapia che si è dimostrata molto
efficace, oggi si cerca di ottenere lo stesso risultato con stimolazioni più superficiali.

CLASSIFICAZIONE DEI PARKINSONISMI


• Parkinsonismi primari (degenerativi):
o Malattia di Parkinson (sporadica o genetica)
o Parkinsonismo atipico:
 Paralisi sopra-nucleare progressiva
 Atrofia multi-sistemica
 Degenerazione cortico-basale
 Malattia da corpi di Lewy
• Parkinsonismi secondai (acquisiti, sintomatici):
o Parkinsonismo iatrogeno (da neurolettici): 7-9%
o Parkinsonismo vascolare: ~ 3 %
o Parkinson-plus (PSP): ~ 1.5 % – MSA (SDS, SND, OPCD): ~ 2.5 %
o Parkinsonismo da tossici (MPTP, CO, Mn, ecc.), traumi ripetuti, idrocefalo (assai rari)
o Parkinsonismi monogenici: è una percentuale ridotta, i geni coinvolti sono diversi geni e tra
questi vi sono la Parkina e la Dardarina, hanno un significato per lo più scientifico, nell’ambito
della ricerca
o Parkinsonismo postencefalitico (assenza di nuovi casi documentati dopo il 1960)

Per quanto riguarda i parkinsonismi da tossici un caso eclatante fu quello dell’MPTP, tossina
identificata da due giovani biochimici americani tossicodipendenti che tentarono di sintetizzare in
laboratorio la meperidina per risparmiare soldi. I due giovani dopo essersi iniettati la sostanza
diventarono parkinsoniani a 22-23 anni. In seguito si suicidarono per la gravità della condizione.
L’MPTP viene utilizzato come modello sperimentale per indurre la malattia in topi o scimmie, così
da poter testare nuovi farmaci.
I parkinsonismi possono derivare anche da tossine come l’ossido di carbonio, agenti tossici usati
in agricoltura, o il manganese.

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PARKINSONISMO PLUS - PARALISI SOPRANUCLEARE PROGRESSIVA (PSP)


Rientra nelle tau-patie, ha una evoluzione più rapida e risponde scarsamente e transitoriamente alla
levodopa. I criteri diagnostici sono:
• Paralisi verticale dello sguardo, in particolare verso il basso, e compromissione dei
movimenti saccadici;
• Marcata instabilità posturale con cadute immotivate già nel primo anno di malattia;
spesso il sintomo d’esordio e quello più grave nei pz.
• Sindrome Parkinsoniana scarsamente responsiva alla levodopa (caratteristica tipica),
con bradicinesia più tipicamente assiale che per gli arti.
La patologia viene definita come possibile, probabile, definitiva. Si differenzia dal Parkinson idiopatico perché
questo ha solo 3 sintomi: bradicinesia, tremori e rigidità. La diagnosi differenziale tra PSP e MP dovrebbe
essere facile in pazienti che presentano precoci disturbi della deambulazione e della postura poiché tali
disturbi si presentano tipicamente nei primi 3 anni dall'inizio dei sintomi per la PSP, laddove in pazienti con
MP essi possono non essere presenti fino anche a più di 9-12 anni dall'esordio.

ATROFIA MULTISISTEMICA (MSA)


Malattia neurodegenerativa caratterizzata clinicamente da una combinazione variabile di segni e sintomi
autonomici, parkinsoniani, cerebellari e piramidali, e da un punto divista anatomo-patologico da perdita
cellulare e gliosi a carico non solo dei nuclei della base, ma anche ipotalamo, locus coeruleus, ponte,
cervelletto, bulbo, midollo spinale, corteccia motoria primaria e supplementare, con un coinvolgimento
appunto multi-sistemico.
La presentazione clinica e ildecorso della malattia sono influenzati dalla preponderanza dei segni e
sintomi di uno o più dei sistemi coinvolti:
• Parkinsonismo poco responsivo alla LD, particolare è l’asimmetria del disturbo e
l’assenza di tremore a riposo. Un discriminante è la pregressione più rapida e la
perdita di autonomia in tempi molto brevi;
• Segni cerebellari: atassia cerebellare (nella marcia) per precoce coinvoilgemnto di
tronco e arti (atassia della marcia), atassia segmentale, Disartria, Nistagmo (poco
frequente);
• Segni piramidali per disfunzione del tratto cortico-spinale: riflessi osteo­ tendinei
molto vivaci e risposte plantari in estensione;
• Disfunzione autonomica: ipotensione ortostatica, turbe urinarie o dell’erezione.
Non sempre le patologie degenerative sono nettamente separate. Possono esserci sovrapposizioni
della MSA con altre patologie quali: degenerazione striato-nigrica, atassia cerebellare, insufficienza
del sistema autonomia e altre. E’ possibile dunque sbagliare diagnosi.
Per la diagnosi di MSA è importante la disfunzione autonomica, soprattutto l’ipotensione ortostatica
e le turbe della sfera gastrosfinterica.

DEGENERAZIONE CORTICOBASALE (CBD)


L'eziologia rimane sconosciuta, ma sembra far anch'essa parte della famiglia delle tau-patie,
classicamente si presenta intorno ai 60 anni senza prevalenza di sesso.
• Sindrome parkinsoniana rigido-acinetica con coinvolgimento asimmetrico, non sensibile alla
levodopa;
• Segni corticali
o Aprassia (ideomotoria, segmentale, palpebrale)

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Sbobine 2.0

o Disturbi sensitivi (astereognosi, estinzione, grafestesia)


o Segno di Babinski
o Segni di liberazione frontale (riflessi fisiologici nel bambino piccolo, che diventano
patologici nell’adulto).
Alcuni esempi sono il grasp (stimolazione tattile del palmo della mano che causa la sua
chiusura a pugno), il riflesso palmo-mentoniero (percuotendo l’eminenza tenar si evoca
contrazione del muscolo mentoniero ed orbicolare della bocca).
• Movimenti involontari
o Mioclono focale
o Distonia degli arti
o Tremore posturale o d’azione
• Fenomeno dell’arto alieno. L’aprassia, la rigidità e la distonia/acinesia dell’arto lo rendono
completamente inservibile. Tipicamente la sede d’esordio riguarda l’arto superiore;
• Compromissione cognitiva, non avere la percezione completa di un arto, come se fosse staccato
dal corpo.
Questi sono tutti segni corticali che non sono presenti nel Parkinson.

DEMENZA A CORPI DI LEWY (DLBD)


La demenza a corpi di Lewy è la forma peggiore di demenza. È caratterizzata da:
•Compromissione cognitiva (attenzione, funzioni visuo-spaziali) PRECOCE (entro 1 anno dalla
comparsa del parkinsonismo)
o Fluttuazioni cognitive
o Allucinazioni visive: visione di animali o persone estranee in casa
•Segni parkinsoniani
•Cadute immotivate, sincopi, ipersensibilità ai neurolettici, delirio

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Sbobine 2.0

MOVIMENTI INVOLONTARI: IPERCINESIE


Si tratta di contrazioni muscolari involontarie che si manifestano sotto-forma di contrazioni parcellari o
complete, di muscoli o gruppi di muscoli striati in grado di generare movimenti semplici o complessi,
inadeguati e apparentemente afinalistici. Possono essere patologiche o fisiologiche e manifestarsi in
qualsiasi distretto. Il tipico movimento involontario più comune è il tremore.
Questi movimenti si classificano in base a diversi criteri semeiologici descrittivi:
• Parametri spazio-temporali: le loro caratteristiche visive, l’ampiezza del movimento e la sua durata,
velocità e frequenza, ritmicità;
• Distribuzione corporea: prossimale o distale (es. l’asterixis è distale e riguarda soprattutto gli arti
inferiori, mentre i movimenti coreici sono più prossimali)
• Muscolatura coinvolta
• Influenza dei fattori esterni: bisogna valutare se i movimenti sono presenti o meno durante il sonno,
se sono influenzati da stati emotivi, atteggiamento posturale e motilità volontaria.

Le ipercinesie risultano da una disibinizione del talamo, che in genere controlla la partenza degli impulsi dalla
corteccia (per questo, in caso di degenerazione della sostanza nera, v’è una forte influenza sull’attività
corticale).

TREMORE
Il tremore è la più comune forma di movimento involontario patologico. La prima reazione dei pazienti con
tremore è la paura di avere la malattia di Parkinson, ma non è sempre così. Si tratta di un movimento
involontario ritmico, oscillatorio e afinalistico che risulta dalla contrazione alternata di muscoli agonisti e
antagonisti. Proprio l’alternanza di contrazione muscolare lo distingue dal clono. È importante distinguere in
clinica un tremore fisiologico, che può essere presente nel soggetto nella fase di veglia e in alcune fasi del
sonno, dal tremore patologico, causato quindi da alterazioni neurologiche e presente solo nello stato di
veglia. Inoltre il tremore può essere distinto in:
• Tremore semplice (interessa un singolo gruppo di muscoli e i corrispettivi muscoli antagonisti) o
tremore composto (interessa parecchi gruppi di muscoli, il risultato saranno movimenti più
complessi)
• Monolaterale o bilaterale
• Lento (es. morbo di Parkinson) o rapido (es. tremore essenziale)
• Ritmico o aritmico
• Costante o intermittente

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Sbobine 2.0

Un’altra classificazione si basa sul momento in cui compare il tremore: si distinguono tremore posturale, a
riposo e d’azione.

Tipo di tremore Frequenza Modalità di presentazione Etiologia

Tremore posturale 5-9 Hz Contro gravità, quando arto Accentuazione di tremore


e tronco sono attivamente fisiologico; essenziale; da alcool o
mantenuti in cere posizioni. droghe; m. metaboliche; tremore
psicogeno.

Tremore a riposo 3-6 Hz Arto a riposo, interessa le M. Di Parkinson, MSA, PSP,


(lento) estremità distali tremore indotto da droghe,
(tipicamente superiori). “rubral tremor” (da lesione del
Accentuato nello sforzo, nucleo rosso), tremore psicogeno.
fisico e mentale

Tremore d’azione 3-10 Hz Durante movimenti attivi, Tremore cerebellare, “rubral


tanto più accentuato tremor”, tremore psicogeno.
quanto più precisa è la
richiesta di movimento.

(Esistono in realtà decine di classificazioni del tremore, che però non verranno trattate in questa sede.)

TREMORE FISIOLOGICO O NORMALE


Frequenza di 8-12 oscill/sec. Il numero di oscillazioni al secondo viene registrato con elettrodi di superficie
posti su muscoli agonisti e antagonisti che registrano per 5 secondi inviando i dati all’oscilloscopio, a seconda
del numero di oscillazioni registrate si calcola la sequenza. Può essere normalmente presente nel soggetto
nella fase di veglia e in alcune fasi del sonno e difficilmente è visibile a occhio nudo (può essere percepito
soltanto se le dita sono ben distese, ad esempio chiedendo al soggetto di mantenee un foglio tra due dita).

FLAPPING TREMOR O ASTERIXIS


Consiste in interruzioni irregolari del mantenimento prolungato di una postura, spontanee o provocate, che
tendono a ripetersi più volte nell'arco del minuto.
Si presenta soprattutto nelle malattie metaboliche (encefalopatia epatica o da insufficienza renale), ma
anche nelle malattie del SNP.
Si esamina appoggiando l'arto superiore del soggetto su di un piano,
con avambraccio prontato. Si dorsi flette passivamente la mano del
soggetto e si mantiene in questa posizione per qualche secondo,
quindi si lascia la presa bruscamente: si osservano brevi e
ritmiche cadute del tono dei muscoli estensori della mano,
alternate ad una loro contrazione (ricorda appunto il battito
d’ali). La caduta dell’attività elettromiografica della
muscolatura estensoria delle dita non è compensata dalla
contrazione dei rispettivi muscoli antagonisti.

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Sbobine 2.0

TREMORE ESSENZIALE
Il più diffuso fra i movimenti involontari patologici, nonché tra i tremori posturali. Quando rappresenta un
disturbo neurologico in numerosi membri di uno stesso nucleo familiare viene indicato come tremore
familiare/ereditario (trasmissione AD). È un tremore a scosse rapide, interessa principalmente gli arti
superiori ma anche la testa e si manifesta tipicamente quando il soggetto cerca di mantenere gli arti in
posizione statica. Nonostante la tendenza a classificarlo come benigno, peggiora la qualità della vita del
paziente, rendendo difficoltose attività come mangiare, bere, scrivere. Assomiglia al tremore parkinsoniano in quanto
presente a riposo, ma si evidenzia anche durante il movimento ed il mantenimento di posture fisse
Il trattamento prevede in genere l’uso di betabloccanti e benzodiazepine che causano però sonnolenza,
effetto collaterale accettabile dato il cambiamento impressionante nelle capacità motorie dell’individuo
dopo la somministrazione.

TREMORE PARKINSONIANO
Atteggiamento flessorio del corpo e delle gambe, tremore a riposo che scompre nel sonno. È sintomo
d’esordio della malattia di Parkinson, seppur un terzo dei pazienti affetti non lo presenti. V’è una grande
difficoltà ad iniziare la camminata, seguita da episodi di festinazione, in cui il paziente accelera
improvvisamente, come se rincorresse il baricentro del proprio corpo. Il tremore si riduce quando il paziente
si muove.

TREMORE CEREBELLARE
È un tremore intenzionale, che compare durante i movimenti volontari (si ha durante l’esecuzione di
movimenti complessi, ampi, che richiedono precisione) sempre associato ad atassia. Compare nelle fasi
iniziali del movimento e si accentua man mano che si raggiunge la mira (chiamato anche tremore terminale).
Il movimento volontario appare a scatti e discontinuo. Tale tremore si può avere anche nella fonazione: la
parola non è più fluida bensì scandita, come nel recitare versi.
Si testa con la prova indice-naso, o indice fronte-naso-mento: il tremore compare all’inizio del movimento e
peggiora man mano che il soggetto si avvicina alla punta del naso). Per gli arti inferiori si esplora con la prova
tallone-ginocchio, oppure facendo scorrere il tallone sulla cresta tibiale anteriore dal basso verso l’alto o
viceversa: il paziente affetto da tremore cerebellare, invece di strusciare linearmente il tallone, va incontro a
oscillazioni.

TREMORE RUBRALE
Dato da lesione del nucleo rosso, atassia con tremore dal lato opposto del corpo. È un tremore ampio, lento,
ritmico, presente a riposo e accentuato dal movimento volontario. Il tremore è evidente in esperimenti su
animali ma la sua presenza nella patologia umana non è dimostrata.

TREMORE DA IPERTIROIDISMO
È simile al tremore emotivo dei soggetti ansiosi. Si caratterizza per scosse fini alle dita e alle mani quando
protese. Si osserva nel mantenimento di una postura.

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MOVIMENTI COREICI
Còrea o ballo di san Vito. Si tratta di ipercinesie involontarie, irregolari, afinalistiche, brusche ed esplosive,
rapide e imprevedibili; insorge su uno stato di ipotonia ed interferisce con l'atto motorio finalizzato,
disturbandolo. Coinvolgono soprattutto i territori a maggior rappresentazione corticale (lingua e mano) ma
interessa qualsiasi parte del corpo quindi anche collo, muscoli mimici, tronco e arti:
• Faccia: smorfie brusche (grimaces) e disordinate, caratterizzate da contrazioni irregolari, rapide e sporadiche che
insorgono su un volto atonico. La mimica è povera.
• Lingua: brusche protrusioni linguali, movimenti di suzione, voce monotona con esitazioni e silenzi (disartria esplosiva).
• Spalla: innalzamenti bruschi del moncone della spalla.
• Tronco: movimenti "ancheggianti" e flesso-estensioni del bacino.
• Arti: gesticolazione concitata, flesso-estensioni delle dita e talora, cadute per bruschi cedimenti degli arti inferiori. La
deambulazione, a volte barcollante come quella degli ubriachi, assomiglia ad una danza grottesca, dove le ipercinesie degli
arti superiori parassitano l'andatura.
Presenti a riposo, interferiscono con vita quotidiana (i pazienti affetti non riescono a svolgere attività
quotidiane come vestirsi e mangiare).

EZIOPATOGNESEI
Si tratta di manifestazioni cliniche dovute a una lesione dei nuclei della base, in particolare da atrofia del
nucleo caudato, ben visibile alla TC (la testa del nucleo caudato scompare).
Ci sono tante diverse forme di sindromi coreiche:
• Ereditarie (es. malattia di Huntington)
• Autoimmuni (es. corea reumatica di Sydenham)
• Tumorali
• Vascolari
• Infettive (es. AIDS)
• Metaboliche
• Tossiche (da Alcool, CO)
• Farmaci (neurolettici, antiparkinsoniani somministrati in dosi eccessive  il paziente da
bradicinetico diventa ipercinetico)

LA COREA CLASSICA: COREA DI SYDENHAM (corea minor/reumatica/ballo di San Vito)


Trattasi di una manifestazione clinica maggiore, a comparsa in genere tardiva (1-6), in corso di febbre
reumatica acuta, sequela dell’infezione streptococcica della tonsillite nel bambino, oggi l’incidenza è
drasticamentediminuita grazie agli antibiotici, è diffusa soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
Caratteristiche dei movimenti coreici:
• Coinvolgono soprattutto la muscolatura del volto, il tronco e le estremità;
• Sono presenti a riposo e scompaiono durante il sonno;
• Si associano a disartria (turbe dell’eloquio, farfugliato e confuso), sbalzi d’umore (agitazione,
irritabilità, irrequietezza) e disturbi cognitivi;
È transitoria, oggi si cura con un’aspirina. La diagnosi è labolatoristica (aumento VES e titolo anti-
streptolisinico) e clinica, l’ipotonia è resa evidente con il Segno di Westphal (riflesso rotuleo: la gamba si
porta verso l’alto, si ferma un attimo e torna indietro).

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COREA DI HUNTINGTON
È la demenza più grave che si possa avere. È una malattia autosomica dominante (non salta generazioni) a
localizzazione del braccio corto del cromosoma 4. È un dramma per via dell’alta familiarità e della clinica
molto aggressiva, essendo l’età d’esordio 30-50 anni non è infrequente il suicidio nei figli di pazienti affetti
dopo i 20 anni. La prevalenza è di 5-10/100.000. E’ una malattia mortale per la quale non c’è nessuna cura
efficace.
La patologia è data dall’espansione delle triplette CAG nel gene codificante per l’Huntingtina con
conseguente poliglutamminazione della proteina, con atrofia del neostriato e successivamente della
corteccia cerebrale (atrofia cortico-striatale), con marcata perdita neuronale e gliosi. L’espansione delle
triplette tende ad aumentare di generazione in generazione, anticipando l’esordio della patologia.
Il test genetico per questa malattia è molto comune. Esistono anche casi sporadici, con alleli “intermedi”
suscettibili di mutazioni o patologici a ridotta penetranza.
(N.b.: Ci sono pazienti parkinsoniani che a forza di stimolazione farmacologica eccessiva diventano poi coreici)

CLINICA
La degenerazione striatale, prevalentemente a carico del putamen, fa sì che venga meno l'inibizione sul GPe che è libero di inibire il
nucleo subtalamico di Luys, che venendo soppresso, non è in grado di stimolare i nuclei efferenti: viene meno il braccio inibitorio
di questi ultimi sui nuclei talamici con ipereccitazione corticale.
• Sindrome psichica, con sindrome demenziale grave e psicosi in 10-15 anni. È l’elemento più costante
del quadro, con iniziali disturbi del comportamento (irritabilità, aggressività anche esplosiva)
accompagnati poi da alterazioni della sfera affettiva (mutamenti rapidi d’umore, reazioni affettive
sproporzionate e disturbi di tipo nevrotico-depressivo). La prevalenza del quadro psichico in alcuni
pz rende difficile la diagnosi differenziale con quadri psichiatrici. Aspetto costante è il
deterioramento mentale con difetti di attenzione e di concentrazione, perdita delle capacità di
critica e di giudizio;
• Sindrome neurologica:
o Movimenti involontari a carico della bocca (smorfie), AASS e AAII (piccole scosse alle dita
delle mani con movimenti di flesso-estensione e divaricazione), difficoltà nel linguaggio,
deglutizione (tendono a dimagrire molto velocemente per la scarsa assunzione di cibo e si
ammalano spesso di polmonite ab ingestis), attività quotidiane e nella deambulazione;
o Movimenti distonici che aumentano progressivamente di intensità: contrazioni muscolari
lente e sostenute a carico di volto (aprassia della mimica, co difficoltà a fischiare, gonfiare le
gote muovere la lingua), collo, tronco e arti (macrografia irregolare);
o Rigidità extrapiramidale;
o Bradicinesia e acinesia;

Storia clinica
1. Il paziente conduce una vita pressoché autonoma, presente aspetti psichici come impulsività e
aggressività;
2. Accentuazione dei disturbi del movimento, completa manifestazione di quadro cognitivo e psichico;
3. Paziente totamente dipendente per tutte le sue funzioni, exitus. Frequente è il suicidio.

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MOVIMENTI ATETOSICI
Movimenti involontari lenti, vermicolari, aritmici, continui e protratti nel tempo, di modesta ampiezza e
finalistici. Predominano alle estremità, in particolare distalmente, agli arti superiori: si caratterizzano dal
seguirsi di flessioni, estensioni, abduzioni, supinazioni e pronazioni delle estremità (ricordano i movimenti
striscianti dei tentacoli del polipo, e vengono per questo definiti “tentacolari”). Questi movimenti sono
spesso accentuati dalle emozioni forti e dagli sforzi mentali e fisici, scompaiono nel sonno. Alle volte ci può
essere accentuazione di movimenti coreici e atetosici.

Sono dovuti soprattutto a lesioni del putamen e sono spesso lesioni asfittiche, molto comuni negli spastici,
nelle encefalopatie perinatali anossischemiche. Molto spesso si vedono anche in seguito alle rianimazioni:
molti pazienti che hanno avuto coma postanossico – se sopravvivono e sono contattabili – sviluppano spesso
dei quadri di movimenti atetosici.

MOVIMENTI BALLICI
Movimenti ad energia violenta. Sono improvvisi, rapidi, aritmici, di notevole ampiezza e cospicua energia
potenziale (“lancio degli arti”). Riguardano in genere un emisoma (si parla anche di emiballismo), nella sua
muscolatura prossimale. L’esordio può essere acuto o insidioso. Sono dovuti soprattutto a emorragie del
nucleo subtalamico il quale non eccita più i nuclei efferenti deputati all’inibizione dell’output motorio
corticale; sono encefalomalacìe. Talvolta possono essere causati da malattie infiammatorie. Nel trattamento
con tetrabenazina i movimenti ballici si riducono molto, ma non scompaiono mai.

SPASMI
Contrazioni involontarie su base organica che coinvolgono uno o più muscoli (spesso di pertinenza di un
singolo nervo), per un periodo di tempo variabile, non associati a dolore. Si distinguono in:
• Clonici: inizio rapido, durata breve, ripetitivi;
• Tonici: prolungati e continui.
Sono dovuti a lesioni del SNP di natura irritativa su muscoli o nervi (si hanno spasmi soprattutto quando i
nervi ricrescono in seguito ad una lesione). Tra i più comuni v’è lo spasmo del faciale, sequela comune delle
paralisi del faciale o di tumori o processi infiammatori nel suo territorio d’innervazione. Non va confuso con
il tic: nello spasmo del faciale si contrae tutto l’emivolto insieme, mentre il tic è parcellare e si può sopprimere
con la volontà. Se lo spasmo è solo del muscolo orbicolare, bilateralmente, si parla di blefarospasmo: il
paziente ha la necessità impellente di tenere gli occhi chiusi. Il coinvolgimento di più muscoli è tipico della
sindrome di Meige: apertura forzata della mandibola, retrazione delle labbra, spasmo del platisma e
protrusione della lingua; in alcuni casi la mandibola si serra e vi è contrazione labiale.
Il trattamento è con tossina botulinica, che impedisce la liberazione di acetilcolina a livello presinaptico.
Presenta però degli svantaggi, in quanto dura solo 3 mesi e può diffondere ad altri muscoli (es. faringe,
causando disfagia).

Spasmo nella tetania


È causato da ipocalcemia e alcalosi, molto frequente nelle persone ansiose che vanno in iperventilazione
continuamente. I segni clinici da ricercare in questo caso sono di ipereccitabilità neuromuscolare:
• Segno di Chvostek: lievi colpiture col martelletto sul decorso del nervo faciale evocano spasmi della
muscolatura dell’occhio, bocca e naso;
• Segno di Trousseau: stringendo il bracciale dello sfigmomanometro fino ad un valore poco superiore
alla pressione arteriosa la mano assume la tipica posizione a ostetrico, con flessione del polso e dei
metacarpi e adduzione del pollice.

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Spasmi muscolari o crampi possono essere associati a insufficienza vascolare, affaticamento, anossia,
alcalosi, deficit di Ca++ o Mg++, squilibrio di Na+ e K+, infezioni, farmaci, esposizione a freddo, alcune malattie
muscolari (es. Mc Ardle, glicogenosi e mioglobinuria parossistica notturna).

IDROFOBIA IN PAZIENTI CON RABBIA


Mostra un video di idrofobia in un paziente affetto da rabbia; un reperto storico, perché la rabbia era
trasmessa dai cani, ma ad oggi i cani sono tutti, o quasi, vaccinati. Oggi esiste solo una rabbia silvestre, per le
volpi nei paesi dell’est asiatico. Il soggetto del video beve l’acqua e poi la risputa subito.

TIC
Movimenti improvvisi, rapidi, stereotipati, inizialmente finalistici ma in seguito sganciati da finalità. Possono
essere soppressi con uno sforzo di volontà salvo poi ricomparire non appena l’attenzione viene distolta.
L’eziologia è tipicamente psicogena ma a volte ci può essere una causa organica data dal coinvolgimento del
sistema dopaminergico sotto-corticale.
Esistono vari tipi di tic:
1- Gestuali semplici: brevi e irregolari contrazioni muscolari di isolati segmenti corporei (palpebre,
mm faciali, collo e spalle);
2- Gestuali complessi: movimenti coordinati che coinvolgono in modo sinergistico numerosi gruppi
muscolari (saltare, lanciare ecc.);
3- Vocali semplici: urlare grugnire ecc.
4- Vocali complessi: ecoprassia, ecolalia, coproprassia, coprolalia.

SINDROME DI GILLES LA TOURETTE (malattia dei tic multipli)


È una malattia autosomica dominante a penetranza incompleta, esordisce nell’infanzia e ha prevalena
maschile. La caratteristica è la numerosità di tic complessi muscolari e vocali associati a gesti volgari,
soprattutto coproprassia. I tic aumentano con emozioni forti, mentre si attenuano durante l’esecuzione di
attività motorie complesse. Con il progredire della malattia si aggiungono nuovi tic alla sintomatologia, il che
ne permette la diagnosi differenziale dalle forme più benigne di tic. Ha un tratto ossessivo-compulsivo, con i
pz che hanno comportamenti motori ripetitivi e fastidiosi che nei casi più gravi possono durare anche per
ore. I pazienti non guariscono, non ci sono terapie di guarigione, gli unici tarttamenti sono sintomatici, a base
di BZD e anti-dopaminergici.

MIOCLONIE
Movimento involontario, estremamente rapido (< 300 msec) e improvviso, espressione di una breve
contrazione muscolare che può interessare un singolo muscolo, solo una parte o un gruppo di muscoli. Più
frequente a carico di estremità e tronco.
Gli scatti mioclonici sono determinati da un’improvvisa contrazione muscolare (mioclono positivo), talora da
una repentina inibizione del tono muscolare (mioclono negativo, l’asterixis viene considerato da molti autori
un mioclono negativo). Esiste anche mioclono oscillatorio. Si presentano sia a riposo che durante attività,
vengono attivate da stimoli emozionali, tattili, visivi, uditivi. Si presentano al momento di andare a letto ma
scompaiono durante il sonno. Si manifestano più frequentemente agli arti, dove predominano a livello dei
flessori, e al volto, ma possono presentarsi ovunque; in genere non producono lo spostamento di segmenti
corporei o comunque non determinano mai la genesi di un movimento.

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Sbobine 2.0

Quando prolungate per molto tempo e non trattate, le mioclonie portano a un decadimento cerebrale
enorme, ogni volta che scaricano tanto potentemente alcuni neuroni muoiono per esaurimento di energia
(sono infatti presenti nell’epilessia)

Classificazione semeiologica
• Distribuzione spaziale: focali, segmentali, multifocali, generalizzate;
• Temporale: intermittenti o permanenti, ritmiche o aritmiche, sincrone o asincrone;
• Modalità di comparsa: spontanee, riflesse stimolodipendenti, d’azione o intenzione.

Classificazione eziologica
• Fisiologiche: in soggetti normali (scatti ipnici, da ansia, da esercizio, da singhiozzo);
• Essenziali: ad etiologia ignota e senza altri segni neurologici associati (ereditario o sporadico);
• Epilettiche: epilessie miocloniche infantili, epilessia familiare mioclonica benigna, epilessia
mioclonica progressiva;
• Sintomatiche: espressione di encefalopatia diffusa o focale, a carattere progressivo o statico (mal
da accumulo, degenerazioni spino-cerebellari, mal degenerative dei gangli della base, encefalopatie
mitocondriali, metaboliche, tossiche, virali e demenze).
Le mioclonie palpebrali sono piuttosto frequenti nei pazienti epilettici. Piuttosto caratteristico è il mioclono
palatale, nel quale il palato molle è soggetto a contrazioni ritmiche, che producono uno schiocco che disturba
il sonno del paziente stesso (un po’ come il tinnitus). Tale sintomo va indagato, poichè spesso è causato da
lesioni demielinizzanti del tronco dell’encefalo, o gliomi infiltranti del tronco dell’encefalo.

DISCINESIE
Movimenti involontari, rapidi, aritmici, di aspetto simile ai movimenti coreici ma da questi distinguibili per
l’andamento ripetitivo e stereotipato, che colpiscono la muscolatura del volto e in particolare la regione
buccolinguale (movimenti di protrusione della lingua, suzione, masticazione, smorfie talora grottesche). Si
distinguono in:
• Parossistiche: senza causa apparente; possono essere sporadiche o familari, sintomatiche (es
Sclerosi a placche) o idiopatiche;
• Tardive: Per lo più iatrogene come in terapia cronica con neurolettici (discinesie bucco-linguali,
rotazione di capo e occhi, oscillazioni del tronco). Sono date da iperattività funzionale nigro-striatale,
successiva all’ipersensibilità dei recettori dopaminergici indotta dalla terapia. Possono insorgere
anche in terapia cronica con levodopa in pz affetti da malattia di Parkinson.

DISTONIE
Movimenti lenti, bizzarri, di tipo grottesco, con carattere ondulante imputabili a contrazioni involontarie e
sostenute che culminano in contorcimento o rotazione (sembra che il corpo si avviti lungo il suo asse
maggiore). L’esordio è per lo più distale e focale, con alterazione compito-specifica (es. piede in flessione e
inversione plantare), nella maggior parte dei soggetti rimane limitato ma è possibile una sua
estensione segmentale fino a una forma generalizzata nei casi più gravi, con estensione al tronco e al lato
opposto. Il fenomeno distonico si esaurisce nel sonno, mentre durante la veglia può acuirsi in modo
subentrante e comparire anche nel movimento volontario.
La distonia più comune è il torcicollo, ci sono però anche forme sistemiche e maligne che vengono accentuate
da situazioni di stress, emotività, fatica.

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Sbobine 2.0

CLASSIFICAZIONE
Le distonie si classificano sulla base di:
• Età di insorgenza:
o Precoce (<26anni);
o Tardivo (>26 anni);
Incide significativamente sulla prognosi;
• Distribuzione topografica:
o Focali (palpebre, bocca, laringe, collo),
o Segmentali (cranio-cervicali),
o Generalizzate;
Possono essere compito-specifiche (quando ad esempio musicisti che eseguono movimenti molto rapidi
si “inceppa” la mano) o aspecifiche;

• Eziologia:
• Primarie (sporadiche/idiopatiche o familiari), a loro volta distinguibili in base alla distribuzione
topografica, possono essere associate a tremore. Le più frequenti sono quelle focali (blefarospasmo,
torcicollo spasmodico, crampo dello scrivano ecc.), nelle forme generalizzata va ricordata la distonia
musculorum deformans, una malattia ereditaria AD il cui segno tipico è la disbasia lordotica
(raddrizzamenti intermittenti durante la marcia, denominata Marcia a dromedario);
• Secondarie, a malattie neurologiche, psichiatriche, metaboliche, familiari, associate a parkinsonismo
o a terapia con neuroletticiacute distonie reaction (DD con tetanismo per le forme cranio-
cervicali).

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Sbobine 2.0

SCLEROSI MULTIPLA
La sclerosi multipla è una malattia infiammatoria cronica demielinizzante del SNC, caratterizzata da
placche sclerotiche disseminate casualmente nella sostanza bianca dell’encefalo e del midollo spinale e da
variabilità dei sintomi, proprio per la casualità delle placche.
È stata descritta per la prima volta da Charcot e Vulpian nel 1866. È una malattia che colpisce il giovane
adulto (picco a 30 aa), prevale nel sesso femminile (3:1). Ha un’alta prevalenza nel N-America e N-Europa,
bassa nelle zone tropicali, in Italia ha prevalenza intermedia, anche se in alcune zone (Sardegna) ha un tasso
elevato.

In particolare, colpisce la mielina che nel sistema nervoso periferico è costituita dalle cellule di Schwann,
mentre nel sistema nervoso centrale è formata dalle cellule della nevroglia, in particolare dagli
oligodendrociti. Questa differenza spiega la selettività di interessamento della sostanza bianca del SNC.
È una malattia infiammatoria di natura autoimmune con numerosi meccanismi ipotizzati di cui non si
conosce bene la causa; il meccanismo conosciuto è quello dell’infiammazione che determina la rottura
della barriera emato-encefalica a causa dell’intervento di cellule T, macrofagi e cascata di citochine
infiammatorie.

EPIDEMIOLOGIA Epidemiologia e latitudine


L’importanza dei fattori ambientali è evidente in quanto la sclerosi multipla ha una distribuzione
particolare: Prevalenza fortemente
• Le zone scure sono quelle a maggiore dipendente dalla latitudine
incidenza;
• Le zone chiare sono quelle a minore
incidenza. Fattori ambientali
(habitat, alimentazione, infezioni)
Questa distribuzione evidenzia come la SM
sia una malattia che dipende dalla
latitudine. Ciò ha portato a ipotizzare la
presenza di molti fattori ambientali, tra cui > 30/100 000
alimentazione, infezioni e habitat, che 5-30/100 000
< 5/100 000
favoriscono lo sviluppo della malattia. Infatti, Adattata da Compston A. Distribution of Multiple Sclerosis in Mc Alpine’s Multiple Sclerosis.

se queste popolazioni si trasferissero da zone dove l’incidenza è estremamente bassa a zone dove
3rd ed. London: Churchill Livingstone 1998.

l’incidenza è molto più alta, si avrebbe un aumento di incidenza indipendentemente dal fattore genetico.

FATTORI DI RISCHIO
Benchè la patogenesi sia più o meno conosciuta, i fattori eziologici restano in dubbio. Ad oggi, sembra che
alla base della malattia vi sia una serie di fattori ambientali che agirebbero su una predisposizione genetica,
soprattutto nell’adolescenza.
Fattori esogeni ipotizzati come scatenanti della SM:
• Infezioni:
o Morbillo;
o Parotite epidemica;
o Rosolia;
o Mononucleosi infettiva (EBV).
• Virus:
o Retrovirus associato alla sclerosi multipla (MSRV);
o HHV-6.
• Traumi:
o Traumi elettrici;
o Coesistenza con l’artrosi cervicale;
o Parto: la gravidanza è un momento di tolleranza immunologica nella donna, ma il parto può
scatenare il primo attacco di SM nelle donne giovani (causa rivelatrice anche di altre
malattie autoimmuni).

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Sbobine 2.0

Fattori genetici:
• In un parente di primo grado con SM, il rischio assoluto di SM è 20-40 volte quello della
popolazione generale (rischio assoluto < 5%);
• Nei gemelli monozigoti, la concordanza per la SM è più elevata (31%) che nei gemelli eterozigoti
(5%);
• La presenza dell’allele HDL-DR2 aumenta il rischio di SM.
Il fatto che ci siano fattori genetici è tangibile dal fatto che l’incidenza è particolarmente alta in alcune aree
geografiche isolate come la Sardegna, probabilmente dovuto anche al fatto che ci sono numerosi
matrimoni tra consanguinei.

PATOGENESI: RUOLO DEL SISTEMA IMMUNITARIO


Punti che implicano l’intervento del SI nella patogenesi della SM
• Reperti istologici→Morfologia della placca:
o infiltrati infiammatori contenenti linfociti attivati e mediatori immunologici;
• Reperti di laboratorio→Analisi del liquor:
o Sintesi intratecale di IgG (sintetizzate all’interno delle meningi);
o Bande oligoclonali di IgG (patognomoniche nei casi incerti);
o Linfociti attivati;
• Evidenze terapeutiche→Modalità terapeutiche efficaci:
o Immunosoppressori;
o Immunomodulatori.

Modello patogenetico
Nella SM si realizza un attacco autoimmune verso specifiche proteine dell’oligodendroglia. L’ipotesi è che
sia abbia una mancata eliminazione a livello timico di T autoreattivi, in seguito questi sono attivati da un
fattore esterno, passano la BEE determinandovi nel passaggio un danno che ne compromette
l’impermeabilità. Una volta nel SNC i cloni Th1 organizzano la risposta infiammatoria che coinvolge anche i
linfociti B.

Danno assonale
Bisogna sottolineare che nella SM non è coinvolta solo la mielina ma anche l’assone, il cui danno si realizza
precocemente. È proprio il danno assonale ad essere il substrato anatomo-patologico dell’irreversibilità dei
sintomi neurologici. Il danno assonale non è conseguenza di un attacco autoimmune specifico, ma è una
conseguenza della demielinizzazione: se la mielina, che invia segnali neurotrofici all’assone, viene meno, la
conduzione dell’impulso è deficitaria. Questo altera l’equilibrio elettrolitico intracellulare, conducendo
all’apoptosi. Questo spiega come il danno assonale si possa realizzare anche in sedi in cui non è presente
flogosi attiva: quindi, l’evoluzione della malattia non è limitata alle fasi acute, perché il danno assonale si
realizza anche in zone in cui non c’è attività di malattia.

ANATOMIA PATOLOGICA
- Le lesioni elementari della SM sono placche multifocali di demielinizzazione nella sostanza
bianca del SNC (non del SNP).
- Nel contesto della lesione attiva si ritrova un infiltrato di linfociti CD4 Th1, macrofagi
(contenenti prodotti di degradazione della mielina) e plasmacellule.
- A seguito della degenerazione mielinica si innesca una reazione gliale, che conferisce alla placca
l'aspetto di una area cicatriziale.

PATTERN DI DEMIELINIZZAZIONE
Nonostante si riconosca un meccanismo patogenetico comune, si riconoscono 4 pattern diversi di
demielinizzazione, che correlano con andamenti clinici diversi; in base a ciò si suddividono i pz alcuni
sottogruppi clinici, accumunati dallo stesso pattern di demielinizzazione.

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Sbobine 2.0

• Pattern I -demielinizzazione sostenuta da linfociti T e macrofagi attivati, con scarso ruolo dei
fattori umorali (IgG e complemento); è quello più tipico.
Si riscontra nelle forme recidivanti-remittenti o secondariamente progressiva.
• Pattern II -demieilinizzazione sostenuta principalmente da fattori umorali, come confermato
dalla presenza di abbondanti IgG e complemento sulla superficie delle fibre. Si ritrovano anche
macrofagi.
Si riscontra nelle forme iperacute, con grandi placche pseudo-tumorali che non rispondono alla
terapia coriticosteroidea (ma alla plasmaferesi, confermando il ruolo delle IgG1!).
• Pattern III – il ruolo del sistema immunitario sembra meno rilevante; la demielinizzazione è
dovuta ad un danno primitivo degli oligodendrociti che ne conduce all'apoptosi
(oligodendropatia distale, tipo dying back). Un quadro istopatologico analogo si rinviene nella
demielinizzazione indotta da virus (leucoencefalopatia multifocale progressiva); potrebbero
essere coinvolti virus anche in questo tipo di SM.
• Pattern IV - simile al pattern III; la degenerazione mielinica è sempre imputabile ad un danno
primitivo degli oligodendrociti che sembra riconoscere difetti metabolici.
I pattern III e IV si riscontrano nella SM primariamente progressiva.
Il pattern di demielinizzazione è eterogeneo fra i diversi pazienti, ma è omogeneo nello stesso paziente.

erns di
mielinizzazione

SEGNI E SINTOMI
La clinica è eterogenea, per questo è imprevedibile. I sintomi si manifestano come attacchi. Si definisce
attacco/poussé un disturbo neurologico (definito anamnesticamente o obiettivato) della durata di almeno
24 h, in assenza di febbre, infezioni, altre malattie intercorrenti; anche episodi parossistici che si
susseguono per più di 24 h costituiscono una poussé (es., tics dolorosi trigeminali). Due attacchi successivi
per essere tali devono essere separati da un periodo di almeno 30 gg (disturbi neurologici coinvolgenti

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Sbobine 2.0

anche sedi diverse che si presentino a distanza di tempo inferiore ai 30 gg devono considerarsi spettro di
un’unica riacutizzazione).
I sintomi derivano dall’interessamento delle fibre mieliniche del SNC come deficit visivi, cerebellari,
sensitivi e piramidali (variabilità trasversale), non si presentano mai sintomi da un’alterazione dei nervi
periferici! Quando termina l’attacco, la sintomatologia regredisce e si ha recupero funzionale. Tra un
attacco e l’altro la patologia può progredire o restare stabile (variabilità longitudinale).

L’esordio in genere consiste nella CIS (sindrome clinicamente isolata); insorge in soggetti giovani, privi di
comorbidità, e si presenta in modo acuto (allarmante). La modalità di presentazione della CIS è variabile,
tende a presentarsi con una sola lesione e quindi con sintomi isolati:
• Segni e sintomi delle vie lunghe;
• Neurite ottica (22%) → uno dei sintomi preferenziali con cui si manifesta la CIS. È una condizione
legata al coinvolgimento del n. ottico. Le caratteristiche cliniche sono:
▪ Perdita del visus unilaterale nelle porzioni centrali (vede appannato) a causa
dell’alterazione del tratto papillo-maculare che si realizza in 10 gg, con scotoma centrale
all’esame del campo visivo,
▪ Dolore retroorbitario, che peggiora coi movimenti del bulbo oculare,
▪ L’esame del fundus oculi non registra anomalie (non interessa la papilla),
▪ Ridotta sensibilità cromatica,
▪ Anomalie dei PEV: aumento della latenza dell’onda PIOO (dovuto al ritardo di conduzione
per la degenerazione mielinica), con forma conservata,
▪ Risposta ai corticosteroidi ev ad alte dosi.
• Mielopatia: interessamento del midollo spinale (mielite acuta data da una placca a livello della
sostanza bianca midollare). Si manifesta con:
▪ Sindrome di Brown-Sequard incompleta (colpisce un’emisezione di midollo, cordone di dx
o di sx),
▪ Segno di Lhermitte: molto caratteristico, ma non specifico (si ritrova anche nella
spondiloartrosi). Il pz riferisce la sensazione di scossa elettrica sulla schiena, scatenata da
movimenti di flesso estensione del rachide cervicale (in epoca pre imaging il trigger era un
bagno caldo). Indica danno cervicale o a livello dei cordoni posteriori,
▪ Turbe sfinteriche vescicali (5%) e/o rettali: questo può causare ritenzione urinaria e
infezioni urinarie frequenti (cistiti) nelle donne.
▪ Sostenuta da lesioni RM suggestive.
• Sindromi tronco-encefaliche: dovute all’interessamento della porzione intra assiale dei nervi
cranici. Esempi:
▪ Oftalmoplegia internucleare: la forma centrale è quella caratteristica della SM, in cui sono
lesi i circuiti centrali per l’organizzazione dei movimenti coniugati che risultano alterati (non
sono alterati i nervi nel loro decorso, né i muscoli oculari, come invece accade nella forma
periferica). Talora si ha diplopia (deficit isolati del III, IV o VI),
▪ Nevralgia del trigemino: molto comune
▪ Paralisi periferica del faciale: spesso associata ad alterazioni della sensibilità dell’emivolto,
molto comune se la placca è tra il nucleo del faciale e la cisterna dell’angolo
pontocerebellare (se bilaterale pensare alla borrelia),
▪ Sindromi da paralisi multiple dei nervi cranici (es S. del seno cavernoso, s. di Gradenigo, s.
del forame ovale).
▪ Sindrome da coinvolgimento dei nuclei troncoencefalici (romboencefalite di Bickerstaff);

Se poi la malattia si converte a SM clinicamente manifesta si avranno una serie di attacchi che si
manifestano con altri sintomi, a causa del coinvolgimento di altri sistemi:
• Funzioni piramidali: il sistema piramidale è sempre interessato nella SM. Le manifestazioni sono:

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Sbobine 2.0

▪ Ipo/astenia (40%): fino a un deficit di forza completo o parziale (paralisi o paresi). Si associa
fatica, debilitante e dovuto non solo a ipostenia ma anche a scarsa qualità del sonno e
depressione,
▪ Iperreflessia (nocicettiva, sfinteriale),
▪ Riflessi patologici (riflesso di Babinsky),
▪ spasticità (esaltazione del riflesso posturale), con difficoltà a sollevare il piede destro nella
marcia e contratture dolorose alle gambe (ipertonia e crampi per interessamento delle vie
piramidali discendenti).
• Funzioni visive:
▪ Neurite ottica (22%) (vd sopra)
▪ Diplopia (12%) → spesso accompagna la neurite ottica: se c’è lesione del fascicolo
longitudinale si ha incoordinazione e perdita dell’attività sincrona dei movimenti coordinati
degli occhi da parte dei nervi cranici.
• Funzioni cerebellari:
▪ Atassia cerebellare: disturbo di coordinazione (pz traballa), questa atassia non è
influenzata dalla chiusura degli occhi,
▪ Tremore intenzionale (d’azione): assente a riposo, compare nella fase terminale dei
movimenti volontari,
▪ Adiadocinesia: incapacità di eseguire movimenti opposti in successione (si evidenzia
chiedendo la prono-supinazione della mano),
▪ Dismetria: si evidenzia chiedendo di toccarsi la punta del naso con l’indice.
• Funzioni tronco-encefaliche e sfinteriche (vd sopra)
• Funzioni sensitive:
o Parestesie (21%), descritte come formicolio a arti superiori
o Ipoestesia tattile epicritica, con conseguente stereoagnosia (soprattutto alla mano dx)
o Segno di Lhermitte (vd sopra).
• SNC:
o Vertigini (5%) → sindromi vertiginose con caratteristiche centrali senza la componente
vegetativa che accompagna invece le forme periferiche.

Sono sintomi molto vaghi che insorgono in momenti diversi, abbiamo dispersione di questi sintomi
temporale e spaziale, a differenza di altre patologie.

DIAGNOSI
Premesse diagnostiche:
• La diagnosi di SM richiede la dimostrazione della disseminazione nello spazio (di sede) e nel tempo
delle lesioni (vd sotto);
• È richiesto il riscontro obiettivo dei segni clinici determinati dalle lesioni e cioè NON è sufficiente il
dato anamnestico;
• Gli esami strumentali risultano essenziali quando non è possibile formulare una diagnosi con soli
criteri clinici e/o in situazioni cliniche particolari (es. soggetto in età avanzata):
o RMN per vedere la disseminazione delle lesioni (vd sotto);

o Elettrofisiologia - potenziali evocati


▪ I potenziali evocati visivi: hanno un’altissima sensibilità, maggiore degli altri PE.
Questi si alterano perché nelle vie ottiche c’è molta sostanza bianca quindi la SM
spesso colpisce il sistema visivo. L’alterazione tipica nella SM consiste in una
aumentata latenza della P100 con forma della risposta evocata ben preservata.
Utile anche per la ricerca di lesioni retrochiasmatiche.
▪ I potenziali evocati acustici: se alterati indicano lesioni assiali TE,
▪ I potenziali evocati somatosensoriali: indagano l’integrità delle vie sensoriali sia a
livello midollare (cordoni posteriori) che del TE (lemnisco mediale). Sono rilevati

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Sbobine 2.0

soprattutto negli arti inferiori: l’impulso parte dalla caviglia e arriva al cervello,
percorre lunghe vie mielinizzate quindi è facile che dia più alterazioni rispetto ai PE
acustici.
▪ Ad oggi, sono molto più utilizzati i PE motori soprattutto per valutare i risultati
terapeutici, perché valutano il grado di coinvolgimento di queste vie, la loro
conduzione, e valutano se le terapie migliorano il quadro.

o Esame liquorale (rachicentesi): esame di conferma utile soprattutto quando c’è diagnosi
incerta anche se non correla con la gravità di malattia. È alterato ed indicativo per la
diagnosi di SM se:
▪ È presente un pattern IgG oligoclonale (in >95% dei pz con SMCD -Sclerosi Multipla
Clinicamente Definita-);
▪ In presenza di elevato IgG index (IgG nel liquor/IgG nel siero x albumina nel
Criteri diagnostici di neuroimaging
siero/albumina nel liquor)
▪ È presente pleiocitosi, ma non superiore a 30-50 elementi/mmc (piccolo aumento di
linfociti, 10-20 cellule/ml).
▪ Moderato aumento delle proteine (0,5-0,7g/L)
Secondo tali criteri vengono definite solo 3 categorie diagnostiche: SM definita, SM possibile, non SM.

CRITERI DIAGNOSTICI DI NEUROIMAGING

Allo scan senza mdc vediamo più lesioni in T2 iperintense periventricolari, quindi c’è disseminazione
spaziale (prima immagine nel quadrato in alto a sx). Aggiungendo poi il gadolinio (mdc) vediamo che alcune
lesioni captano il contrasto, quindi sono lesioni recenti, mentre altre non sono captanti e quindi sono
cicatrici, insorte anche 4/5 anni prima. Grazie al mdc possiamo fare diagnosi di progressione di malattia
proprio perché vediamo sia cicatrici che lesioni recenti. Il corpo calloso è formato solo da fibre mieliniche,
quindi è raro che sia risparmiato ed è da vedere in sezione sagittale.

Disseminazione spaziale alla RMN


Sono necessari tre dei seguenti concetti:
• 1 lesione captante gadolinio o 9 lesioni iperintense in T2 (1 lesione midollare può sostituire 1
lesione encefalica). Le lesioni midollari suggestive per SM non determinano significativo
rigonfiamento midollare, sono inequivocabilmente iperintense in T2, si considerano
patognomoniche, non occupano l’intera sezione midollare (più spesso cordoni laterali), sono
superiori ai 3 mm in lunghezza ma di norma non superano i due segmenti vertebrali;
• Almeno 1 lesione sottotentoriale (difficile che sia assente);
• Almeno 1 lesione iuxtacorticale;
• Almeno 3 lesioni periventricolari: le placche iperintense alla risonanza sono patognomoniche in
questa sede; se sono a distanza invece sono di origine vascolare.
Alla RMN senza mdc risultano iperintense sia le lesioni attive che quelle vecchie (cicatrici) quindi per
differenziarle è necessario il mdc (gadolinio) che viene captato esclusivamente dalle lesioni attive e

115
Sbobine 2.0

recenti. Il razionale di questo evento sta nel fatto che il processo infiammatorio in atto rompe la barriera
emato-encefalica e quindi il mdc diffonde. La lesione captante è quindi segno indicativo di lesione attiva.
La diagnosi di riacutizzazione della malattia senza mdc non sarebbe possibile perché il gadolinio dà l’indice
di attività della malattia demielinizzante.

Disseminazione temporale alla RMN


È necessaria:
• Una lesione assumente gadolinio in una sede non implicata nell’attacco, a tre mesi dall’esordio
dell’attacco, quindi a distanza di tempo (es retro trigonale a dx, ora frontale a sx);
• Una nuova lesione iperintensa in T2 ad almeno 6 mesi dall’attacco.

SCHEMA DIAGNOSTICO
• Due o più attacchi clinici con evidenza obiettiva di almeno due lesioni separate nello spazio e nel
tempo (es. neurite ottica con diagnosi confermata da valutazione OCL e successivo disturbo
piramidale all’EON): la diagnosi non necessita di ulteriori indagini sempre che siano escludibili cause
più probabili a spiegazione del dato obiettivo-anamnestico;
• Due o più attacchi, ma evidenza clinica/obiettiva di una sola lesione (disseminazione temporale,
non disseminazione spaziale):
o Necessaria dimostrazione di disseminazione spaziale mediante RMN;
o Almeno due lesioni suggestive per SM + positività dell’esame liquorale;
o Attesa di un ulteriore attacco coinvolgente un sito differente.
NOTA: È frequente trovare lesioni della sostanza bianca suggestive di SM in tossico dipendenti
ma l’esame liquorale risulta negativo quindi è questo l’esame che ci permette di fare diagnosi
differenziale.
• Un attacco ed evidenza clinica/obiettiva di due o più o lesioni in sedi differenti (disseminazione
spaziale ma non temporale):
o Necessaria dimostrazione di disseminazione temporale mediante RMN, o
o Attesa di un secondo attacco clinico (meglio aspettare che fare una diagnosi affrettata).
• Un attacco ed evidenza clinica/obiettiva di una sola lesione (sindrome clinicamente isolata, es.
neurite ottica, mielopatia):
o Necessaria dimostrazione di disseminazione spaziale con RMN o almeno due lesioni
suggestive e positività dell’esame liquorale +/- dimostrazione di disseminazione temporale
con RMN;
o Attesa di un secondo attacco clinico.

Cosa ho con la clinica? Cosa manca? Come lo dimostro?


Disseminazione spaziale e Nulla RM e liquor comunque per
temporale conferma
Disseminazione temporale Disseminazione spaziale - RM
- RM + liquor (se quadro RM
non soddisfa i criteri)
- aspetto nuovo attacco che si
deve manifestare consegni
relativi a coinvolgimento di una
nuova sede)
Disseminazione spaziale Disseminazione temporale - RM
- nuovo attacco
Solo ilsospetto Disseminazione spaziale e Con quello scritto nei due
temporale riquadri sovrastanti

Progressione dei sintomi neurologici, suggestiva per SM in ordine temporale:


• Positività di esame liquorale (banda oligoclonale);
• Successivamente, disseminazione spaziale;

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Sbobine 2.0

• Disseminazione temporale dimostrata con RMN o progressione clinica per almeno 1 anno.

DECORSO DELLA SM E DIAGNOSI DIFFERENZIALI


Vi sono diversi tipi di decorso nella SM:
• Sindrome clinicamente isolata (CIS);
• Sindrome recidivante remittente;
• Sindrome progressiva.

1. SINDROME CLINICAMENTE ISOLATA (CIS)


In genere rappresenta l’esordio. Si parla di CIS quando è presente un solo sintomo tra:
- SEGNI/SINTOMI DELLE VIE LUNGHE (46%)
- SINDROME TRONCO ENCEFALICA (10%)

- NEURITE OTTICA RETROBULBARE (21%):Sintomo di presentazione molto frequente, possono


passare 20-30 anni prima che si sviluppi la SM. La neurite ottica che si manifesta nella SM è
tipicamente retrobulbare (NORB), in quanto colpisce il nervo ottico, quindi il fundus è normale
perché non interessa la papilla. La diagnosi di neurite ottica non è difficile perché ha un decorso,
della durata di 20 30 gg, diverso dalle altre otticopatie. Il pz con neurite ottica recupera la visione
in pochi giorni anche senza terapia, mentre le altre otticopatie persistono.
Diagnosi differenziale:
• Otticopatia ischemiche (diagnosi guardando il fundus dell’occhio: nell’otticopatia ischemica
bulbare si riscontrano alterazioni del fundus assenti invece della NORB);
• Neuropatia ottica compressiva (fundus);
• Neuropatia ottica traumatica;
• Leber desease (fundus): malattia genetica;
• Neuropatie ottiche tossiche;
• Retinopatie degenerative su base ereditaria (riflesso pupillare);
• Retinopatie acquisite.
Sintomi d’allerta della neurite ottica:
• Perdita bilaterale del visus (contemporaneo/consecutivo);
• Dolore persistente a due settimane dall’esordio;
• Progressione del deficit per oltre due settimane dall’esordio;
• Mancato recupero a tre settimane dall’esordio;
• Peggioramento del visus alla sospensione dello steroide.

- MIELOPATIA (10%)
Diagnosi differenziale:
• Infettiva;
• Post infettiva
• Vascolare
• Traumatica
• Tossica
• Paraneoplastica
• In corso di patologia immunitaria non SM
La RM è molto utile, così come altri esami strumentali, perché se facciamo i potenziali motori
evocati o somatosensoriali, siccome la sclerosi multipla è una malattia demielinizzante, abbiamo
una conduzione dell’impulso più lenta. Il neuroimaging invece non ha valore prognostico perché
non indica la funzionalità dell’organo.

2. SM RECIDIVANTE REMITTENTE

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Sbobine 2.0

Si manifesta con attacchi acuti che vanno incontro a regressione sintomatologica totale o parziale (il pz
presenta un attacco, poi guarisce, successivamente un secondo attacco, poi guarisce e così via). Nelle fasi
intercritiche la disabilità non progredisce. È la forma più frequente.
Diagnosi differenziale di SM recidivante remittente:
• ADEM (Encefalomielite Acuta Disseminata): malattia demielinizzante;
• ADL (Adrenoleucodistrofia);
• Bechet (si ritrova in ematologia e può assomigliare alla SM);
• Cadasil;
• Encefalopatie mitocondriali;
• HIV;
• LES;
• Lyme;
• Poliarterite nodosa;
• Sarcoidosi (paralisi multiple nn.cc., coinvolgimento del n. ottico, ipotalamo);
• Sjogren;
• Wegener;
• Whipple (estremamente rara).
In generale si tratta di malattie infettive e reumatologiche che possono entrare nella diagnosi differenziale
della SM [non le ha elencate].

3. SM PROGRESSIVA
Il pz presenta l’attacco, ha un sintomo e questo sintomo progressivamente peggiora nel tempo nel corso di
anni. La SM progressiva può essere:
- SM secondariamente progressiva: forma più frequente tra le due, rappresenta la progressione
della forma recidivante remittente, che si realizza nella maggior parte dei pz nei 10 aa successivi
alla diagnosi. In questa forma si ha progressione della disabilità nelle fasi intercritiche.
- SM primariamente progressiva (10%): si caratterizza per la progressione della disabilità sin
dall’inizio (i sintomi si aggravano col tempo) e assenza di attacchi acuti. Può essere confusa con
altre malattie:
• Arnold Chiari
• Deficit vit. B12
• Lesioni compressive del midollo
• Patologie eredo degenerative (paraparesi spastiche, SCA, leucodistrofie)
- SM progressiva con riacutizzazioni (5%): il decorso è analogo alla secondariamente progressiva
(attacchi acuti e progressione della disabilità nelle fasi intercritiche), la differenza è che non è
preceduto dalla forma recidivante remittente.

Altre diagnosi differenziali:


• Disturbi metabolici:
o Disturbi del metabolismo della vit. B12;
o Leucodistrofie;
• Malattie autoimmuni:
o S. di Sjogren, malattia di Bechet;
o Condizione degenerative spinocerebellari;
• Malattie psichiatriche (soprattutto quando i sintomi sono molto vaghi):
o Reazioni di conversione, simulazione → sono disturbi “sine materia”;
• Vasculopatie: alcune lesioni vascolari disseminate alla RM assomigliano molto alle lesioni della SM
(utile ricordarsi che nelle malattie vascolari le lesioni, al contrario della SM, sono nelle parti
periferiche, sottocorticali o corticali perché interessano i piccoli vasi):
o Fistola aterovenosa durale vertebrale;
o Emangiomi cavernosi;
• Malattie neoplastiche

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Sbobine 2.0

CRITERI DIAGNOSTICI [non li ha trattati, li ho presi dallo scorso anno]


Nuovi criteri diagnostici di SM (McDonald, 2001)
I GRADO→attacchi: 2 o più; lesioni obiettive: 2 o più → non sono richiesti requisiti supplementare per la
diagnosi; i segni clinici sono sufficienti
II GRADO→attacchi: 2 o più; lesioni obiettive: 1 → requisiti supplementari per la diagnosi:
• disseminazione nello spazio mediante RM, o
• liquor positivo e 2 o più lesioni alla RM compatibili con la SM, o
• clinicamente, un ulteriore attacco che interessi una sede differente
III GRADO) attacchi: 1; lesioni obiettive: 2 o più → requisiti Fattori prognostici
supplementari per la diagnosi:
• disseminazione nel tempo alla RM, o
• clinicamente, un secondo Prognosi favorevole Prognosi peggiore

attacco • Sesso femminile • Sesso maschile


IV GRADO) attacchi: 1 (mono- • Esordio: recidivante-remittente • Esordio: polisintomatico, motorio
sintomatica);lesioni obiettive: 1→requisiti • Recupero completo • Recupero incompleto
supplementari per la diagnosi
• Lungo intervallo tra gli attacchi • Breve intervallo tra gli attacchi
• disseminazione nello spazio alla
• Bassa frequenza di attacchi nel • Elevata frequenza di attacchi nel
RM o decorso iniziale decorso iniziale
• esame liquorale positivo e 2 o • Breve tempo per EDSS* 3
• Lungo tempo per EDSS* 3
più lesioni alla RM compatibili
• Giovane età • Età avanzata
con la SM
+ *EDSS: disability scale status
Ebers G. Natural history of Multiple Sclerosis in Mc Alpine’s Multiple Sclerosis. 3rd ed. London: Churchill Livingstone 1998.

• disseminazione nel tempo alla RM, o


• clinicamente, un secondo attacco
V GRADO) attacchi: 0(progressione all’inizio);lesioni obiettive:1→requisiti supplementari per diagnosi:
• esame del liquor positivo
+
• disseminazione nello spazio dimostrata alla RM da 9 o più lesioni cerebrali T2 o
• 2 o più lesioni midollari o 4-8 lesioni cerebrali e 1 midollare o
• PEV positivi con 4-8 lesioni alla RM o
• PEV positivi con meno di 4 lesioni cerebrali più 1 midollare
+
• disseminazione nel tempo alla RM o
• progressione continua per 1 anno

PROGNOSI
La prognosi è incerta al momento della diagnosi, nonostante si riconoscano dei fattori che la peggiorano:
sesso maschile, esordio polisintomatico-motorio, recupero incompleto, breve intervallo tra gli attacchi,
elevata frequenza di attacchi, età avanzata. La prognosi si definisce meglio durante il decorso.
Il pz inizialmente ha disabilità minima con possibili deficit piramidali (riesce a camminare e correre). Man
mano la disabilità aumenta fino alla necessità di assistenza per camminare, alla costrizione in sedia rotelle
e infine, la morte del pz per complicanze (non è la malattia che correla con una riduzione dell’aspettativa di
vita, ma sono le complicanze!), come infezioni, piaghe da decubito, malnutrizione.
La disabilità si stratifica sulla base della EDSS.

EXPANDED DISABILITY STATUS SCALE (EDSS)


Kurtzke nel 1983 ha descritto questa scala per cercare di quantificare i deficit neurologici, ma anche per
valutare le terapie (immunosoppressore e immunomodulazione) che dovrebbero migliorarli, ma
nonostante l’esistenza di terapie non si ha guarigione.
In media:
• 1/3 delle forme sono cosiddette “benigne”: i pz hanno un attacco isolato e poi stanno bene per
20/30 aa;
• 1/3 hanno una progressione moderata;
• 1/3 hanno progressione rapida ed in pochi anni sono costretti sulla sedia a rotelle.

119
Sbobine 2.0

GESTIONE DELLA SM
Richiede un approccio multidisciplinare:
• La figura centrale è il neurologo;
• Oftalmologo: serve per la diagnosi di neurite ottica retro bulbare;
• Medico di medicina generale: deve riconoscere i sintomi d’esordio (ricorrenti cistiti, reflusso
gastroesofageo, disinergia degli sfinteri, disfagia, etc…);
• Logopedista: per la disartria;
• Fisioterapista: per la spasticità muscolare;
• Infermiere (alcune terapie per essere effettuate necessitano di una struttura ospedaliera dedicata);
• Assistente sociale.

DIVERSI TIPI DI TRATTAMENTO


• Trattamenti sintomatici nella gestione delle ricadute acute con corticoterapia:
o Steroidi in fase acuta (riduce la durata del poussé);
• Trattamenti che modificano il decorso della malattia e terapia farmacologica dei sintomi (in base al
sintomo che si presenta):
o Antispastici in soggetti che hanno spasticità;
o Farmaci che modificano il tono dell’umore nel caso in cui il pz sia depresso;
o Antibiotici nel caso di infezioni delle vie urinarie;
• Terapia di fondo per modificare il decorso della malattia.

FORME ATIPICHE DI SM
• Neuromielite ottica di Devic: presenta due focolai (la più comune tra le forme atipiche);
• SM acuta di Marburg;
• Sclerosi diffusa di Schilder: difficile da diagnosticare e l’intervento intracranico di SM fa peggiorare
drammaticamente il quadro;
• Sclerosi concentrica di Von Balò;
• ADEM;
• Forme pseudotumorali (possono sembrare un tumore).

NEUROMIELITE OTTICA DI DEVIC


- Le sedi di demielinizzazione sono limitate ai nervi ottici e midollo spinale, con costante risparmio
dell’encefalo: quindi coesistono mielite e neurite ottica.
- In genere la prognosi è severa: entro 5 anni il 50% dei pz perde il visus almeno
Devic’ sindisease
un occhio o perde
la capacità di deambulare.
- specifiche caratteristiche in RMN: le lesioni estensive
coinvolgono più di 3 segmenti vertebrali, con possibile
necrosi e cavitazione.
- liquor caratterizzato da:
▪ assenza di bande oligoclonali,
▪ pleiocitosi durante gli attacchi >50 elementi,
principalmente PMN.
- Sierologia: correlata alla presenza di uno specifico
(specificità pari al 91%) anticorpo circolante (NMO
IgG) diretto contro l’acquaporina 4 che si localizza a
livello della barriera ematoencefalica (matrice extracellulare dei capillari parenchimali e glia
limitante gli spazi di Wirchow-Robin). → è la forma prototipo del pattern II di demielinizzazione
(demielinizzazione anticorpo-complemento mediata).
- Presenta una diversa risposta alla terapia rispetto alla forma classica di SM.

120
Sbobine 2.0

SM ACUTA DI MARBURG
- È una forma aggressiva di SM, ma non invariabilmente maligna.
- Ha una presentazione clinica spesso atipica:
▪ Crisi convulsive;
▪ Stato confusionale;
▪ Deficit delle funzioni simboliche;
▪ Emiplegia
- specifiche caratteristiche alla RMN: ampie lesioni, più spesso a carico
dei centri semiovali, con aspetto pseudotumorale e con effetto
massa, assumono diffusamente ed omogeneamenteMARBURG il mdc.
Scambiata spesso per un glioma che viene poi operato, ma con
l’asportazione si impedisce la riconnettività tipica dei neuroni.
- caratteristiche liquorali:
▪ proteinorrachia,
▪ non pleiocitosi,
▪ bande oligoclonali incostanti.

SCLEROSI CONCENTRICA DI VON BALÒ


- Ha un decorso iperacuto od autolimitantesi.
- specifiche caratteristiche alla RMN: nelle sequenze T1 ci sono
lesioni caratterizzate dall’alternanza di anelli concentrici iper
ed ipointensi (spettrometria per risonanza), per questo è
definita “concentrica”,
- Ha inoltre uno specifico pattern istopatologico: sono visibili
Von Balopreservata
strati alternati di mielina apparentemente disease e
mielina in fase di avanzata distruzione. → È un possibile
prototipo di pattern III di demielinizzazione: demielinizzazione
associata ad oligodendropatia distale tipo dying back con up-
regulation di certe HSP nelle aree preservate.
- Anche questa lesione potrebbe assomigliare ad un tumore
perché è un “espanso” che interessa la cavità ventricolare e il
neurochirurgo anche in questo caso potrebbe avere la tentazione di toglierla pensando che si tratti
di un glioblastoma.

SCLEROSI DIFFUSA DI SCHILDER


- È un’entità controversa e difficilmente si riscontra (età infantile, decorso subdolo, rapido, fatale).
- specifiche caratteristiche alla RMN: demielinizzazione non focale ma diffusa ad ampie aree
confluenti della sostanza bianca.
- La diagnosi differenziale è molto difficile con forme da difetto metabolico, assomiglia ad una
vasculopatia cerebrale → la diagnosi di sclerosi si fa con esami con mdc e con gli esami
elettrofisiologici (se si riscontra un rallentamento della conduzione sta ad indicare
demielinizzazione). Spesso però si riesce a fare diagnosi solo dopo
la sua evoluzione.
Nell’immagine a dx, confronto tra:
• Malattia di Schilder;
• CADASIL (arteriopatia cerebrale autosomica dominante con infarti
SCHILDER
Disease
sottocorticali e leucoencefalopatia) tipica delle donne giovani che
hanno ictus o infarti ripetuti.
CADASIL

121
Sbobine 2.0

ADEM

ADEM
Malattia demielinizzante acuta tipica dell’infanzia.
In questa immagine di ADEM acuta si vedono lesioni
iperintense ed una lesione a livello dei segmenti del
midollo cervicale (C2/C3).
Spesso l’ADEM vira verso una forma di SM.
Pseudotumoral
lesion

LESIONI PSEUDOTUMORALI
Ci sono forme che hanno lesioni pseudotumorali e la DD. è
fondamentale in quanto rimuovere una lesione di SM induce
un peggioramento drastico del quadro clinico del pz.

(dott. Pasquali)
TERAPIA DELLA SCLEROSI MULTIPLA
Negli ultimi anni la terapia della sclerosi multipla si è molto ampliata, creando beneficio ai pazienti,
ma rendendo più complicata la scelta del farmaco da usare.
Il trattamento sintomatico consiste nella gestione della ricaduta di malattia e degli eventuali
disturbi dei vari sistemi, urinario, gastrointestinale, ecc., mentre ci sono anche trattamenti che
modificano il decorso. La terapia quindi può essere:
• Di fondo;
• Delle ricadute;
• Sintomatica.

TERAPIA DELLE RICADUTE


La terapia delle ricadute ha lo scopo di ridurre la durata e l’entità dei disturbi conseguenti alle
ricadute cliniche. Si definisce come ricaduta la comparsa di qualche nuovo sintomo neurologico o
l’esacerbazione di uno preesistente che duri da almeno 48 ore, in un pz neurologicamente stabile
(o in miglioramento) da almeno 30 gg.
Durante una ricaduta, i corticosteroidi e.v. o p.o. (di solito ad alte dosi) possono ridurne la
sintomatologia e la durata, attenuando il processo infiammatorio. Il protocollo più comune
prevede un alto dosaggio di steroide per 3-5 gg (1 g) e poi si va a scalare (125 mg - 120 mg - 80 mg
- 40 mg) per 10 gg per consentire all’organismo di ripristinare la produzione endogena di cortisolo,
soppressa durante il periodo della somministrazione ad alto dosaggio.
Durante la gravidanza non si hanno esacerbazioni della malattia perché il sistema immunitario è in
uno stato di tolleranza in quanto non vuol tendere a rigettare il feto. Tuttavia si possono verificare
comunque delle ricadute e bisognerebbe evitare la somministrazione di cortisone nel primo
trimestre in cui si ha organogenesi. Nel secondo e terzo si può utilizzare invece, tant’è che anche
quando si ha il rischio di parto pretermine, per favorire la maturazione polmonare del bambino, si
somministra cortisone.
In queste pazienti si sconsiglia l’allattamento per lunghi periodi perché dopo il parto si può avere
riacutizzazione di malattia, quindi è importante riprendere subito la terapia di fondo.

122
Sbobine 2.0

TERAPIA DI FONDO
Nella terapia di fondo si possono somministrare farmaci immunomodulanti e immunosoppressori
che agiscono con una modulazione del sistema immunitario. Andando dall’immunomodulante
all’immunosoppressore si ha un aumento di potenza di questi farmaci, quindi vi sono due modalità
di azione:
• Partire dai farmaci di prima linea che sono meno efficaci ma meglio conosciuti e con meno
effetti collaterali; nel caso in cui il pz presenti ricadute frequenti o un carico lesionale
maggiore alla RM passare a un secondo livello;
• Aggredire direttamente la patologia dall’inizio coi farmaci di seconda linea.

PRIMA LINEA
• Interferoni (introdotti negli anni 90)
o IFN beta 1 a (Avonex, Rebif);
o INF beta 1 b (betaferon, extavia);
• Glatiramer acetato (Copaxone): miscela di aminoacidi;
• Interferone pegilato (Plegridy);
• Teriflunomide (Aubagio) per os;
• Dimetilfumarato (Tecfidera) p.o.

SECONDA LINEA (Ab monoclonali)


• Natalizumab (Tysabri);
• Fingolimod p.o. (Gylenia) non è un Ab monoclonale;
• Alentuzumab e.v. (Lemtrada);
• Ocrelizumab e.v. (Ocrevus);
• Cladribina (Mavenclad);

I farmaci immunomodulanti sono gli interferoni e il glatiramer acetato che hanno un effetto
maggiore sulla frequenza delle ricadute più che sulla disabilità.

PRIMA LINEA
AVONEX E REBIF (IFNβ1A)
Indicato nella forma recidivante remittente; si somministra con un’iniezione intramuscolare
settimanale quindi circa 4 iniezioni al mese.
Esistono i dosaggi da 22 e 44mg da utilizzare 3 vv/settimana quindi poco meno rispetto al
Betaferon. Il dosaggio a 22mg non si mantiene nel tempo, ma si fa solo nelle prime fasi per far
adattare l’organismo.

EXTAVIA O BETAFERON (IFNβ1B)


Sempre indicato nella forma recidivante remittente, ma anche nella forma secondaria progressiva
con attività. Una buona parte dei pazienti nelle forme recidivanti remittenti vira verso la forma
progressiva. In questa forma possiamo avere attività valutata con la RM, ma anche con la presenza
di ricadute non visibili alla RM perche sono smoldering regions quindi lesioni con piccola attività di
placca continua. Si somministra con iniezioni sottocutanee a giorni alterni.
I farmaci iniettivi ora sono molto meno utilizzati perché sono stati soppiantati da IFN a più bassa
frequenza di somministrazione o da farmaci orali. Si somministrano solo in pz che hanno già
iniziato una terapia con questi farmaci e ne traggono benefici, oppure a pz che hanno
controindicazioni all’utilizzo degli altri farmaci orali.
L’IFNβ agisce sul SI determinando:

123
Sbobine 2.0

• Induzione genica ed espressione delle molecole del sistema MHC;


• Azione antivirale e antiproliferativa;
• Effetto modulatore sulle immunoglobuline;
• Riduzione dell’espressione delle metallo proteinasi della matrice da parte dei linfociti.

IFN può anche dare complicazioni come:


• Slatentizzare un disturbo autoimmune della tiroide;
• Sindrome simil-influenzale;
• Alterazioni della spasticità, come ipertono in pz con deficit motori a causa di un aumento
della temperatura corporea;
• Alterazioni ematochimiche;
• Flessione negativa del tono dell’umore (non consigliato in pz con comorbidità
psichiatriche).

COPAXONE E COPEMYL (GLATIRAMER ACETATO)


Indicato nella forma recidivante remittente con un’iniezione sottocutanea quotidiana. Nel 2014 è
stata approvata una forma ad alto dosaggio con 40mg 3vv/sett, anziché 20mg/die quindi è più
agile da utilizzare. Questo farmaco rispetto agli interferoni presenta un vantaggio in quanto mima
la proteina basica della mielina quindi è un bersaglio alternativo alla mielina stessa perché va a
sostituirsi ad essa. Inoltre favorisce l’azione di alcune sottopopolazioni di linfociti dal t helper al t
suppressor. Il grosso vantaggio però sta soprattutto nel fatto che, al contrario degli IFN, non dà
sindrome simil-influenzale con diversa tipologia di espressione. La forma pegilata invece dà
reazioni cutanee quindi è sfavorevole anche se viene somministrata solo due volte al mese.
Il glatiramer acetato può dare reazioni da somministrazione nel sottocute, ma generalmente è
ben tollerato. Se si presentano dolore toracico o dispnea, sono semore sintomi legati all’iniezione
del farmaco e dopo poco tempo scompaiono.

PLEGRIDY (IFN PEGILATO)


La forma pegilata si somministra con un’iniezione sottocutanea di 125mg ogni 2 settimane. La
pegilazione fa sì che abbia una farmacocinetica diversa dagli altri IFN per coprire un intervallo di
tempo maggiore. È efficace nelle forme recidivanti remittenti.
Le reazioni avverse più frequentemente osservate sono:
• Reazione nel sito di iniezione;
• Flu like syndrome: meno prevedibile rispetto a quella degli altri ifn nei quali è immediata,
mentre in questi si presenta 2-3gg dopo la somministrazione. Per tamponare l’effetto si
suggerisce la somministrazione di paracetamolo prima dell’assunzione, ma in questo caso,
non essendo ben prevedibile il momento in cui ci sarà la reazione, non è chiaro quando
vada assunto.

TECFIDERA (DIMETILFUMARATO)
Assunto per os, disponibile in Italia dal 2015 con rimborso dal SSN. Il suo metabolita attivo, attiva
la via del fattore nucleare 2 coinvolta nella risposta della cellula allo stress ossidativo. Il dosaggio
ottimale per il rapporto costo/beneficio è di 120mg per 2 vv/die e, dopo 7 gg, si danno 240mg
sempre 2vv/die per limitare quelle che sono gli effetti collaterali più gravi quali i sintomi
gastrointestinali (diarrea). La diarrea è un sintomo invalidante in pazienti giovani che possono
avere necessità di evacuare più volte durante il giorno. Inoltre, dato che spesso le malattie
autoimmuni spesso si associano, sono pz che hanno già un intestino con patologia autoimmune,
come Crohn, quindi i sintomi gastrointestinali saranno ancora più importanti.
Altre reazioni avverse sono:

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Sbobine 2.0

• Flushing;
• Linfopenia;
• Aumento delle transaminasi, soprattutto AST nei primi mesi di terapia.
Ci sono stati due casi di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML), uno in un pz con
linfopenia che è predisponente, ma questa complicanza è legata soprattutto al natalizumab.

AUBAGIO (TERIFLUNOMIDE)
Somministrato per os 14mg 1v/die; agisce con inibizione selettiva della diidro-
orotatodeidrogenasi bloccando la sintesi delle pirimidine de novo con blocco dei linfociti T e B
autoreattivi e delle cellule che vivono grazie al pool di pirimidine esistenti. Presenta metabolismo
epatico, quindi aumenta l’emivita di altri farmaci.
Gli effetti si hanno sulla diminuzione della frequenza di ricadute e di progressione, anche della
disabilità, e riduzione delle lesioni visibili alla RM. È importante monitorare:
• Transaminasi;
• Emocromo;
• Pressione arteriosa (sia prima che durante la terapia).

Gli effetti collaterali possono essere:


• Teratogenicità: contraccezione fortemente raccomandata sia nelle donne che negli uomini;
• Effetti a carico del sistema gastrointestinale;
• Assottigliamento o perdita dei capelli;
• Dolore alla schiena;
• Incremento delle transaminasi;
• Aumento della pressione arteriosa.
Nei primi mesi è necessario fare emocromo e valutazione della funzionalità epatica ogni 15gg,
quindi è un farmaco più impegnativo nei primi mesi di somministrazione.
Importante è anche l’aumento del rischio di infezioni per cui è molto importante valutare
attraverso il quantiferon che non ci sia una infezione tubercolare attiva; in tal caso si opta
generalmente per un altro farmaco. Se ci sono altri tipi di infezioni bisogna posticipare il
trattamento fino alla loro risoluzione. Tuttavia negli studi controllati con placebo non si è verificato
l’aumento di infezioni gravi, in caso contrario è necessario sospendere la terapia.
In caso di epatotossicità o di gravidanza è necessario eliminare il farmaco con colestiramina o
carbone attivo, presenti nel kit del farmaco stesso.

SECONDA LINEA
GYLENIA (FINGOLIMOD)
Primo trattamento orale approvato per la SM. Viene fosforilato a fingolimod-fosfato che
riproduce la sfingosina-1-fosfato, quindi va a mimare la sfingosina e agisce come antagonista
funzionale dei recettori SP1 presenti anche a livello cardiaco. Questo meccanismo determina
l’internalizzazione dei linfociti B che rimangono sequestrati all’interno dei linfonodi. Si ha dunque
linfopenia, ma non per un meccanismo citotossico. Si utilizza negli adulti per le forme recidivanti
remittenti in particolare quelle che non hanno risposto alle terapie di prima linea o quelle a
evoluzione rapida in cui non si fa terapia di prima linea.
Si somministra una prima compressa da 0.5mg/die, ma prima è importante monitorare:
• Ritmo cardiaco;
• Presenza di IgG per varicella (altrimenti va fatta la vaccinazione);
• Edema maculare (fare visita oculistica);
• Esami ematici.

125
Sbobine 2.0

Il monitoraggio deve essere fatto prima della somministrazione che altrimenti è controindicata.
Gli effetti collaterali sono:
• Infezioni erpetiche;
• Aumento delle transaminasi;
• Bradicardia;
• Disturbi della conduzione AV: si può avere bradicardia, motivo per cui ancora la scheda
tecnica richiede un monitoraggio elettrocardiografico di almeno 6 ore nella prima
somministrazione. Questo non avviene nelle somministrazioni successive perché i recettori
vengono internalizzati a livello cardiaco, quindi non si ha più effetto.

AB MONOCLONALI
TYSABRI (NATALIZUMAB)
Ab umanizzato diretto contro le integrine VL4, componente principale delle molecole di adesione
delle cellule linfoidi, che impedisce il passaggio dei linfociti attraverso la barriera emato-encefalica
all’interno del SNC. Messo in commercio nel 2004 come terapia della SM, in associazione
all’Avonex, ma questo ha causato casi di PML. Questa malattia è devastante e disabilitante e
ancora non si ha una cura, quindi può portare a exitus. Rimesso in commercio nel 2006 con un
programma di farmacovigilanza, non in associazione a Avonex.
I pazienti che lo utilizzano sono quelli che non hanno risposto a un ciclo terapeutico completo,
oppure pz con forma recidivante remittente a rapida evoluzione anche se non precedentemente
trattati con immunosoppressori. Somministrazione e.v. ogni 4 settimane in day hospital, in genere
molto ben tollerato. Essendo un farmaco potente, se il pz deriva da un immunomodulante, è
importante che prima della somministrazione non ci siano valori alterati all’emocromo. Se invece il
pz deriva da un immunosoppressore è necessario un periodo di washout di almeno tre mesi, oltre
ovviamente agli esami ematici stabilizzati.
I corticosteroidi non rappresentano una controindicazione, se necessari possono essere assunti
durante il trattamento.

Un’alta percentuale dei pz trattati con Natalizumab non hanno attività clinica, è un farmaco molto
potente perché ha un’efficacia del 60%, più alta rispetto agli altri farmaci della SM. Il rischio in
questi pz quindi è legato al PML, ad altre infezioni opportunistiche e a reazioni allergiche.
Valutazione del rischio per PML:
• Positività per Ab anti JC: il jc virus si riattiva in condizioni specifiche di
immunodepressione, quindi va dosato prima della somministrazione (rifare dosaggio ogni 6
mesi anche dopo l’inizio della somministrazione);
• Utilizzo precedente di immunosoppressori;
• Aumento del rischio dopo la somministrazione per 2 anni.
È indicato fare RM frequenti soprattutto dopo 2 anni di terapia per cogliere segni precoci e
subclinici di PML che hanno miglior prognosi, in quanto è difficile distinguere una ricaduta di
malattia dalla PML. La PML, però, interessa di più la parte frontale, quindi ad esempio questi pz
hanno difficoltà a digitare sul cellulare o difficoltà a trovare le parole, sono in confusione… Non
essendo una patologia frequente, anche la casistica è limitata rispetto alla SM in generale.

LEMTRADA (ALENTUZUMAB)
Può dare effetti collaterali importanti, quindi non ha avuto il riscontro sperato. Si fa un primo ciclo
di 12mg/die per 5gg seguito da un secondo ciclo 12 mesi dopo di 12mg/die per 3 gg che sarà poi
ripetuto nuovamente 12 mesi dopo. Il trattamento in totale dura circa 3 anni quindi si

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Sbobine 2.0

somministrano 4 cicli. All’apparenza sembra molto positivo perché è possibile intraprendere una
gravidanza, ma in realtà presenta molti limiti.
Questo Ab monoclonale lega i CD52, Ag di superficie cellulare presente sui linfociti T. Si tratta di un
meccanismo di citotossicità cellulo-mediata Ab-dipendente, oppure complemento dipendente, o
con apoptosi, che porta a lisi e morte cellulare.
Molto importanti sono le reazioni legate all’infusione:
• Cefalea;
• Febbre;
• Rush;
• Nausea;
• Orticaria;
• Alterazioni cardiache;
• Reazioni allergiche mediate dalle IgE e dal rilascio massivo di citochine (tempesta
citochinica a seguito di morte linfocitica).
Le reazioni legate all’infusione tendono a diminuire con ogni ciclo annuale di terapia e anche nelle
infusioni successive alla prima. Il momento peggiore è il secondo/terzo giorno della prima
infusione, poi i sintomi vanno a scemare.
Questo pz è a rischio di infezioni, soprattutto delle vie respiratorie superiori e inferiori, herpes e
infezioni delle vie urinarie. Nel 2,7% dei casi si sono manifestate infezioni gravi rispetto all’1% dei
pz trattati con IFN1a; inoltre sono stati segnalati casi di TBC attiva e latente, listeriosi, neisseria
meningitidis, infezioni micotiche soprattutto la candidiasi. Per quanto riguarda la listeriosi quello
che si consiglia è di osservare una dieta priva di alimenti a rischio come formaggi, latte crudo che
può contenere la Listeria. Non sono stati però riscontrati casi di PML.

Scatena notevolmente l’autoimmunità, può aumentare il rischio di malattie autoimmuni mediate:


• Porpora trombocitopenia idiopatica;
• Disturbi della tiroide (36% dei pz);
• Nefropatie autoimmuni.

Per limitare la tempesta citochinica si fa premedicazione con cortisone: 1g per i primi 3gg poi da
ripetere altri 3gg dopo il primo anno. Si somministra anche paracetamolo e antistaminico. Per
limitare le infezioni si somministrano antivirali come aciclovir (200mg per 2die fino a un mese
dalla prima somministrazione).
Anche il protocollo di screening precedente alla somministrazione prevede:
• Screening oncologico, con radiografia del torace, eco addome…;
• Screening infettivo;
• Esami ematici (anche per la funzionalità tiroidea);
• Dieta adeguata;
• Screening HPV perché aumenta il rischio di cancro del collo dell’utero.

OCREBUS (OCRELIZUMAB)
Lega specificamente i CD20 presenti sulle cellule B. Approvato nel 2017 dall’FDA per il
trattamento della SM anche nella forma primaria progressiva, tuttavia si può utilizzare solo nella
primaria progressiva acuta, forma in realtà molto infrequente. Negli USA è un farmaco di prima
linea. Le indicazioni terapeutiche sono per una malattia che ha avuto diagnosi recente, non da 10-
15 anni, in forma primaria progressiva con attività rilevata alla RM.
Gli effetti collaterali possono essere correlate all’infusione per il rilascio di citochine, sono più
frequenti durante la prima infusione e possono manifestarsi a 24h dall’infusione:

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Sbobine 2.0

• Prurito;
• Rush cutaneo;
• Irritazione alla gola;
• Eritema;
• Edema faringeo;
• Dispnea.
È stata rilevata un’incidenza maggiore di neoplasia maligna in carcinomi mammari.
Per evitare gli effetti collaterali si somministrano:
• Metilprednisolone: 100mg mezz’ora prima dell’infusione;
• Antistaminico: 30-60minuti prima o anche la sera prima;
• Si valuta anche se dare o meno l’antipiretico.

CLADRIBINA (MAVENCLAD)
Farmaco orale per il trattamento di pz con SM recidivante ad elevata attività definita da
caratteristiche cliniche o radiologiche. La dose cumulativa è di 3,5mg/kg in 2 anni somministrata
come un unico ciclo di trattamento di 1,75mg/kg all’anno. Ogni ciclo di trattamento è di 2
settimane, uno all’inizio del primo mese e uno all’inizio del secondo mese di ogni anno. Ogni
settimana si fanno 4-5gg di trattamento in base al peso corporeo. Dopo il completamento dei due
cicli, negli anni successivi non si fa più alcun trattamento.
Prima dell’inizio del trattamento la conta linfocitaria deve essere normale, superiore a
200cellule/mm3 e deve essere ridosata prima del secondo trattamento; se i valori non sono
adeguati il secondo ciclo può essere rimandato per un massimo di 6 mesi. Nel caso in cui sia
necessario più tempo, il pz non è più suscettibile al trattamento.
Controindicazioni:
• Infezioni di HPV;
• Infezione attiva di TBC;
• Pz immunocompromessi;
• Neoplasia maligna attiva;
• Disfunzione renale moderata o grave.
• Se la conta linfocitaria è inferiore a 500cellule/mm3 deve essere monitorata finché non
risalgono.

TRATTAMENTO DEI SINTOMI


I sintomi sono legati a:
• Alterazione delle vie che controllano sistema genitourinario:
o Areflessia/iperreflessia del detrusore;
o Sensazione di incompleto svuotamento con possibile ristagno di urina (fare
ecografia post minzionale);
o Frequenti cistiti;
• Alterazione dell’apparato gastrointestinale;
• Alterazione del tono dell’umore;
• Dolore;
• Problemi di sensibilità di vie nervose vere e proprie;
• Fatica:
o 4 aminopiridina e la 3-4 aminopiridina (preparato galenico);
o Fampridina (Fampyra) forma farmaceutica) che però non è rimborsabile dal SSN;
o Amantadina richiede una visita cardiologica preventiva.

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Sbobine 2.0

• Spasticità: sono numerosi i farmaci per pazienti che hanno alterazioni del sistema
piramidale. La spasticità è mal tollerata dal pz, ma lo aiuta a mantenersi in piedi; infatti, se
inibisco il tono, le gambe del paziente cedono. Si utilizzano:
o Benzodiazepine (Diazepam);
o Baclofene;
o Cannabis con rapporto THC/cannabidiolo 1:1 o nabiximols (sativex): è un spray
oromucosale utilizzato in pazienti con SM recidivante remittente che non hanno
manifestato una risposta adeguata ai farmaci normalmente usati per la spasticità.
La dose media è di 8 spruzzi mattina pomeriggio e sera, da spruzzare in punti
sempre diversi per evitare lesioni in quanto contiene alcol.
Effetti collaterali: capogiri e affaticamento che possono essere moderati con la
variazione del numero di spruzzi. Gli effetti a lungo termine ancora non si
conoscono bene.

Gli altri sintomi si rimandano allo specialista, infatti è importante che attorno a questo tipo di
paziente ci sia un team, una rete di specialisti che si occupi della gestione di ogni sintomo. Il
quadro clinico di ogni paziente infatti è molto vario, quindi anche per il malato è difficile capire
quando ci sia effettivamente bisogno di ricorrere al medico.

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Sbobine 2.0

INFIAMMAZIONI SNC E SNP


Il SNC è separato dal resto dell’organismo attraverso la barriera emato – liquorale ed emato – encefalica,
parzialmente permeabili alle varie sostanze circolanti nel sangue.
La emato – liquorale rappresenta un filtro fra sangue e liquor ed è incaricata di selezionare dal sangue arterioso
ciò che è ‘ammesso’ all’interno del liquor.
La barriera emato – encefalica è l’endotelio dei capillari cerebrali che seleziona le molecole che permeeranno nel
parenchima.

DEFINIZIONI
• Leptomeningiti: infiammazione delle leptomeningi (aracnoide e pia madre).
• Pachimeningiti: infiammazione della dura madre.
• Encefaliti: infiammazione del parenchima cerebrale.
• Mieliti: infiammazione del midollo spinale.
• Encefalo – mieliti: coinvolgono il parenchima encefalico e spianale e sono dette

MENINGITI
La meningite è un processo infiammatorio a carico delle leptomeningi e del LCR, che si realizza per localizzazione
dell’agente infettivo nel contesto dello spazio subaracnoideo.

CLASSIFICAZIONE
Le meningiti possono essere classificate in base all’agente eziologico, in base al decorso clinico e in base
all’aspetto morfologico del liquor.

CRITERIO EZIOLOGICO
• Agenti infettivi (batteri, virus, miceti, protozoi,elminti) S.pneumonia, N.meningitidis e H. influenzae
causano il 75-80% di tutte le meningiti settiche. Le forme infettive più frequenti sono quelle virali o
asettiche, hanno maggiore incidenza nei bambini e nei giovani adulti, sono meno gravi delle forme
batteriche, normalmente hanno decorso acuto con risoluzione completa della sintomatologia
• Agenti fisici
• Agenti chimici
• Processi disimmuni

DECORSO CLINICO
• Fulminante, evoluzione rapida in come e stato di shock quasi sempre irreversibile
• Acuta, esordio e sviluppo nel corso di ore o pochi giorni
• Subacuta, decorso lento (>2 settimane) e insidioso, più prolungato con segni meningei sfumati che talora
non richiamano l’attenzione del medico
• Cronica, >1 mese (TBC, miceti, sifilide, Lyme deaease, AIDS)
• Ricorrente, ripetuti episodi anche a distanza che sono espressione generalmente di un difetto dell’ospite
o dell’anatomia locale, oppure delle difese immunologiche

La clinica della meningite esordisce improvvisamente, ma con segni e sintomi non specifici.
• Sintomi soggettivi
o Cefalea
o Mialgie
o Fotofobia
o Vomito anche senza assunzione di cibo

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Sbobine 2.0

• Segni obiettivi
o Febbre elevata
o Alterazioni della coscienza
o Obnubilamento del sensorio
o Torpore
o Rigidità nucale
o Epilessia
o Segno di Brudzinski →il tentativo di flettere passivamente la nuca in avanti (portando il mendo del
paziente verso il petto), accentua la flessione degli arti inferiori.
o Segno di Lasègue
o Segno di Kerning → il pz supino, con la coscia flessa sul bacino a 90° e gamba flessa sulla coscia; il
tentativo di estendere la gamba sulla coscia suscita dolore intenso

Nella fase conclamata possiamo rilevare segni di:


• Ipertensione endocranica, cefalea oppressiva, pulsante, parossistica, vomito a getto non accompagnato
da nausea o dolori addominali ed indipendente dall’assunzione di cibo, fotobia, bradicardia, papilledema.
• Segni neurologici, compromissione dello stato di coscienza (torpore e/o crisi di agitazione psicomotoria).
• Segni neurovegetativi, turbe del respiro e della frequenza cardiaca; dermografismo rosso con persistenza
di una striatura rossa qualora si sfiori la cute (segno di Trousseau), bradicardia relativa (la FC non aumenta
in maniera proporzionale all’aumento della T corporea); respiro di Biot (si alternano gruppi di 4 – 5 atti
respiratori brevi e superficiali seguiti da fasi di apnea di durata variabile, ma in genere tra i 10-30 s).
• Segni infettivi, febbre, artromialgie, prostrazione, sovrainfezione erpetica labiale, petecchie cutanee
generalizzate, coagulazione intravasale generalizzata
• Segni di irritazione delle terminazioni nervose meningee, rigidità nucale, segni di Brudzinski, Kernig,
Lasègue, Binda, etc.

ASPETTO MACROSCOPICO DEL LIQUOR


Normalmente il liquor è incolore, con aspetto ad acqua di rocca. Al momento del prelievo, in presenza di
meningite, il liquor potrà apparire:
• Limpido: forme virali (asettiche) o nel caso di meningiti croniche batteriche (TBC, brucella, sifilide).
• Torbido: meningiti con decorso acuto o iperacuto dovute a batteri (settiche), miceti o protozoi.

Nelle forme batteriche la pressione è molto aumentata, supera i 20 cmH2O; nelle forme virali la pressione è
lievemente aumentata.
Il prelievo del Liquor è una manovra molto importante. È controindicata in caso di:
• Eccessivo aumento della pressione intracranica: è necessario fare sempre esame del fondo dell’occhio
(l’ipertensione endocranica induce infatti edema della papilla del nervo ottico)
• Infezione cutanea in sede di puntura
• Segni di edema cerebrale, idrocefalo, ecc
• Sepsi o ipotensione

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Sbobine 2.0

• Uso di anticoagulanti orali o piastrinopenia (< 50000)


• Stato epilettico
Il pz viene posto in decubito laterale (gli si fanno piegare le ginocchia, in posizione fetale), si identifica uno spazio
tra L5-L4 e si inserisce un ago a ‘’becco di flauto’’, lungo, spingendolo in avanti e in alto finché non si sente che ha
superato la resistenza del ligamento giallo. Si posiziona un rubinetto a tre vie che permette di misurare la
pressione e raccogliere il liquor. Si prelevano circa 3 – 5 ml, poi si effettua l’osservazione macroscopica, le analisi
microbiologiche e chimiche.

PATOGENESI
In caso di infezione batterica solitamente i batteri che sostengono meningite sono commensali faringei. Da qui superano le
linee di difesa locali dell’immunità innata e si portano in fase di batteriemia. Per via ematogena raggiungono lo spazio
subaracnoideo, dove iniziano a replicare. Si innesca un processo infiammatorio con richiamo di PMN, con liberazione di
citochine, enzimi lisosomiali, ROS e tossine batteriche. Queste sostanze determineranno danno sulle cellule endoteliali che
compongono la BEE, inoltre ‘’intasano’’ lo spazio subaracnoideo. Il tutto porterà a formazione di edema, che inevitabilmente
determinerà aumento della pressione intracranica.
Nel caso di infezioni virali, i virus hanno più possibilità di penetrazioni. Per via ematogena, per via assonale (come nel caso
degli herpes), attraverso le guaine del nervo olfattivo. Si localizzano poi a livello dei neuroni, della glia e dei plessi corioidei,
dove si moltiplicano richiamando linfociti Th1 che producono citochine infiammatorie, le quali aumentano la permeabilità
della BEE e ciò permette il passaggio di proteine nell’interstizio che determina aumento della pressione oncotica, con
formazione di edema.

DIAGNOSI
Schematicamente l’iter prevede:
• Formulazione del sospetto clinico, anamnestico e obiettivo
• Prelievo del liquor e analisi chimico fisiche e microbiologiche

Successivamente si effettuano vari test.


• Meningotest: ricerca di Ag pneumococco, meningococco, emofilo e E.Coli. Si rivestono particelle di lattice con Ab
specifici per Ag dei germi e si mettono a contatto col liquor. Se sono presenti questi Ag si formano agglutinati visibili
microscopicamente, che possiamo confrontare con quelli che si ottengono usando Ag a disposizione del laboratorio
analoghi a quelli che stiamo cercando.
• Esame batterioscopico: permette di identificare il germe nel 90% dei casi; la probabilità scende se è già iniziata la
terapia.
• Esame colturale, e successivo antibiogramma. Questi vanno fatti comunque, anche nel caso in cui i test rapidi non
diano evidenze di infezione (potrebbero essere FN).

Importante è valutare la
concentrazione di albumina, che
fornisce informazioni circa l’integrità
della BEE e la concentrazione di
immunoglobuline, che forniscono
informazioni riguardo la presenza di
eventuali meccanismi di tipi
autoimmunitario e non, che possono
concorrere al processo infiammatorio.

Dall’analisi del grafico di Reiber, si


può capire quale danno è stato fatto
alla barriera e quale tipo di processo
immunologico può essere in atto.

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Sbobine 2.0

ENCEFALITI
Si tratta di processi infiammatori del tessuto cerebrale sostenuto da una causa infettiva, di origine virale,
batterica o parossistica. La definizione di encefalite non implica necessariamente la presenza dell’agente infettivo
nell’encefalo, dal momento che alcune forme possono essere scatenate da un meccanismo immunitario. Le
encefaliti si possono dividere in:
• Primarie, diretta invasione da agente patogeno nel SNC.
• Secondarie, causa post-infettiva o post-vaccinica, legato ad un meccanismo di risposta auto-immunitaria
a volte legati a meccanismi di cross-reattività. Compaiono con una latenza di circa 15-20 giorni dall’evento
infettivo, tempo necessario alla produzione di anticorpi.

Nelle encefaliti non tutto il tessuto può essere interessato nello stesso modo, si possono avere
leucoencefalomieliti, dove l’infiammazione riguarda la sostanza bianca, e le poliencefalomieliti, dove riguarda la
sostanza grigia.

CLASSIFICAZIONE EZIOLOGICA
• Batteriche e micotiche: il processo infiammatorio che si realizza all’interno del parenchima cerebrale in
presenza di una invasione batterica o micotica tende ad essere stereotipato e, soprattutto, circoscritto,
configurando l’ascesso cerebrale.
• Virali: il quadro clinico e anatomo – patologico dipende dalla modalità di interazione fra virus e cellula
infettata. Distinguiamo:
o Encefaliti virali acute: il virus lisa la cellula, con morte neuronale e focolai necrotici – gliali.
o Encefaliti da virus lenti: il virus persiste nella cellula vitale, con comparsa dei sintomi in modo
subacuto o cronico.
• Non infettive: si ha una risposta immunitaria che si sviluppa il più delle volte a seguito di una infezione
in altre sedi o a una vaccinazione.
• Encefaliti spongiformi: malattie da prioni.

ASCESSO CEREBRALE
Processo suppurativo circoscritto, più frequentemente appannaggio di pazienti immunocompromessi.
I germi più frequentemente responsabili di ascesso sono:
• Streptococco: per via ematogena da focolai polmonari
• Germi opportunisti: Aspergillus, Criptocco
• Stafilococchi: disseminazione da fratture craniche
Da un punto di vista dell’anatomia patologica l’ascesso è una lesione unica e tonda, con al centro materiale
purulento putrefatto, che dopo un po' viene circoscritto da una capsula fibrosa, costituita da fibre reticolari e
collagene. La capsula a sua volta viene circondata, col tempo, da un’area di gliosi reattiva.

CLINICA
La sintomatologia è subdola. L’esordio è subacuto/cronico, nell’ordine di settimane o mesi e si può manifestare
con cefalea, febbricola, astenia a cui si possono associare reperti di infezione (es. aumento VES).

DIAGNOSI
È molto utile la scintigrafia con leucociti marcati con 99mTc.

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Sbobine 2.0

ENCEFALITI VIRALI ACUTE


Rappresentano il gruppo più frequente di infiammazione del parenchima cerebrale.
Tra gli agenti eziologici di encefaliti virali abbiamo:
• HSV • Papovavirus
• VHZ • Virus del morbillo, rosolia
• CMV • Virus della parotite
• EBV • Enterovirus e poliovirus
• Rabbia • Retrovirus non HIV (HTLV
• Arbovirus • Malattia da prioni

CLINICA
A prescindere dal tipo di virus, l’encefalite acuta si caratterizza per tre aspetti clinici comuni:
• Segni di un processo infettivo virale in atto → cefalea, mialgia, febbricola. Riflette il periodo in cui il virus
è in fase viremica
• Segni di sofferenza cerebrale globale → nelle encefaliti virali è tipico il disturbo dello stato di coscienza.
Può manifestarsi in senso ‘’negativo’’ con obnubilamento, fino al coma, o in senso ‘’positivo’’, con
eccitamento, confusione, vaneggiamento
• Segni di danno focale → molto variabili a seconda del tropismo del virus. Possiamo avere
o Afasie, agnosie, aprassie
o Segni di interessamento delle aree motorie
o Segni extrapiramidali
o Segni da interessamento delle vie ottiche

ENCEFALITE DA HSV
È la forma più comune e rilevante, interessa anche i non immunodepressi. Le lesioni interessano tipicamente le
regioni fronto – temporali basali.
Esordisce in maniera molto subdola, con cefalea, malessere, febbre, astenia e irritabilità nella fase prodromica,
della durata di 4-10 gg. Le manifestazioni cliniche più specifiche sono:
▪ Cefalea più intensa, febbre
▪ Compromissione a livello di coscienza e dello stato mentale (allucinazioni, disturbi della memoria)
▪ Segni e sintomi neurologici focali e diffusione
▪ Afasia
▪ Emiparesi
▪ Movimenti involontari
▪ Coinvolgimento nervi cranici
▪ Deficit campimetrico
Il decorso è tumultuoso e variabile per gravità, l’edema cerebrale può dare ipertensione endocranica ed ernie
cerebrali. L’esame del liquor evidenzia un processo infiammatorio con danno di barriera, oltre alla presenza del
DNA virale. L’EEG presentano alterazioni diffuse con focali rallentamenti con complessi periodici caratteristici a
livello della regione temporale.
TC e RMN encefalo sono utili per escludere processi espansivi ed edema cerebrale, in alcuni casi è possibile
identificare aree di alterato segnale diffuse, associate a riduzione degli spazi ventricolari e subaracnoidei.
Caratteristico aspetto dell’encefalite da HSV alla RMN è con ipointensità in T1 e ipeintensità in T2 con
enhancement dopo gadolinio a carico di corteccia temporale mesiale, insula, corteccia frontale e giro cingolato.
Può richiedere diversi giorni per svilupparsi. Per questo motivo questa patologia si manifesta inizialmente con
alterazioni del comportamento, che inizialmente vengono sempre sottovalutate.
La terapia ha come obiettivo il contenimento e l’eradicazione della patologia agendo sull’infezione con Acyclovir
10mg/Kg ogni 8 ore per 14 gg. Il trattamento andrebbe iniziato il prima possibile senza aspettare la conferma
diagnostica degli esami colturali su liquor; nei casi resistenti, specie negli immunocompromessi, si ha una buona

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Sbobine 2.0

risposta alla terapia con Foscamet. Si può unire una terapia di supporto con corticosteroidi/mannitolo e
antiepilettici, nel caso servino.
La DD va posta con molte malattie neurologiche, specialmente all’inizio, data l’aspecificità dei sintomi.

LEUCOENCEFALOPATIA PROGRESSIVA MULTIFOCALE (PML)


Patologia infiammatoria cronica e progressiva che interessa particolarmente la sostanza bianca, coinvolgendo
varie aree del SNC. È un quadro clinico primario, dovuto ad infezione opportunistica da poliomavirus (JC). In
condizioni di immunodepressione il virus diffonde per via ematogena al polmone, al sistema linforeticolare e al
cervello.
Questa infezione causa lisi degli oligodendrociti con conseguente demielinizzazione della sostanza bianca a livello
degli emisferi, tronco e cervelletto
I sintomi più comuni sono:
1. Disturbi confusionali
2. Demenza
3. Segni di deficit neurologico focale
Sono stati riportati casi di PML nel corso di trial clinici sperimentali con farmaci immuno-soppressori
nell’Alzheimer e nella sclerosi multipla dopo oltre 3 anni di terapia monoclonale. Per individuare
tempestivamente questa complicanza si ricercano nel sangue gli anticorpi contro il JC durante la terapia.

PANENCEFALITE SCLEROSANTE SUBACUTA (PESS)


Questa encefalite è causata dal virus del morbillo, il quale può causare anche encefalite acuta, encefalopatia
postvirale ed encefalite a corpi inclusi.
Ha un’incidenza di 0,1-0,5/per milione di abitanti in popolazioni non immunizzate, è un processo
neurodegenerativo infantile con intervallo medio fra fase acuta e PESS di 8 anni.
Si caratterizza per cambiamenti comportamentali e della personalità, mioclono, convulsioni, spasticità, atassia.
L’exitus è frequente e viene raggiunto in pochi anni.
Si presenta con inclusioni citoplasmatiche virali in neuroni e glia. Oltre all’infezione, si presuppone che nella
patogenesi si sovrappongano dei meccanismi autoimmunitari.
Liquor e siero presentano alto titolo di IgG virus specifici.
Si tenta una terapia con interferone alfa e isoprinosina, ma è poco responsiva.

ENCEFALOMIELITE ACUTA DISSEMINATA (ADEM)


Si presenta con un quadro sindromico a decorso monofasico, ad eziologia autoimmune, caratterizzato da un
processo infiammatorio e demielinizzante che investe il SNC. Viene considerata la variante acuta della sclerosi
multipla.
Esordisce improvvisamente con segni clinici di encefalite acuta e deficit neurologici focali, si distingue in post-
infettiva, post-vaccinica (rabbia e vaiolo) e idiopatica.
La risposta immunologica è cellulo-mediate dai linfociti T e si verifica una sola volta acutamente ed è dovuta ad
un mimetismo molecolare.
La sua diagnosi si basa sulla clinica e sulla RM, che rivela lesioni multifocali della sostanza bianca in ipersegnale
T2 mal delimitate, che prendono il gadolinio e possono anche riguardare il talamo e i nuclei della base.
Il liquor può mostrare una iperlinfocitosi con iperproteidorrachia e, a volte, la presenza di bande oligoclonali
transitorie. La prognosi è favorevole, passato l’episodio monofasico, con un trattamento specifico. La terapia di
prima scelta consiste in boli di corticosteroidi ev a forti dosi (solmedrol). In caso di insuccesso di passa alla
plasmaferesi o alle immunoglobuline ev.
Nel grafico di Reiber avremmo un punto nella zona I.

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Sbobine 2.0

SINDROMI NEUROLOGICHE PARANEOPLASTICHE


Rappresentano un gruppo di malattie patogenicamente correlate alla presenza di neoplasia e non attribuibili
all’invasione diretta del sistema da parte del tumore o ad altre cause di danno diretto.
Hanno un’incidenza < 1% dei casi di tumore, ad eccezione della miastenia gravis (15% dei timomi), sindrome
miastenica di Lambert-Eaton (3% dei pazienti con microcitoma), neuropatie paraneoplastiche (10% delle
gammopatie monoclonali maligne maligne e 50% dei mielomi osteosclerotici).

PATOGENESI
Il meccanismo patogenetico si basa su anticorpi che, per mimetismo molecolare, reagiscono contro Ag neuronali
in comune fra il tumore e il SN. Questo meccanismo vale solo per gli Ag di superficie, mentre per quelli
intracellulari ci sono evidenze di un coinvolgimento dell’immunità cellulo-mediata

DIAGNOSI
Si effettua tramite ricerca degli Ab onconeurali tramite immuno-fluorescenza. La loro evidenza consente spesso
il riscontro del tumore in una fase ancora trattabile, in quanto nel 60% dei casi la sindrome neurologica precede
la diagnosi di neoplasia.
In alcuni casi all’EEG si notano alterazioni focalizzate al livello della corrispondente area, ad esempio
rallentamento del ritmo di fondo, o alterazioni epilettiformi.

DEGENERAZIONE CEREBELLARE PARANEOPLASTICA (DCP)


Ha come bersaglio il cervelletto, in particolare vi è degenerazione delle cellule di Purkinje. Esordisce in maniera
sub-acuta con nausea, vomito, vertigine e difficoltà nella deambulazione. Evolve nell’arco di settimane o pochi
mesi con sviluppo di atassia del tronco e degli arti, a cui si associano disartria e nistagmo. Al raggiungimento del
picco massimo di disabilità segue una stabilizzazione clinica, i segni e i sintomi clinici sono generalmente limitati
al coinvolgimento del cervelletto e delle vie cerebellari, è possibile osservare anche ipoacusia, disfagia, segni
piramidali ed extrapiramidali, alterazioni cognitive e neuropatia periferica.
Nel siero e/o liquor sono presenti Ab onconeurali, di cui i più frequenti sono anti-Yo (tumori ginecologici,
mammella), anti-Hu, anti-Tr (linfoma di Hodgkin), anti-Ri e anti-mGlur1.

ENCEFALITE LIMBICA
Si caratterizza per l’esordio acuto e sub-acuto di una sindrome cerebrale organica, rappresentata da disturbi
affettivi, generalmente ansia o depressione severe.
Alterazioni comportamentali e di personalità, irritabilità, allucinazioni, attacchi epilettici parziali o generalizzati e
deficit mnesici con talora quadro di franca demenza. Può essere un quadro primario o secondario a neoplasia per
cross-reattività.
Le neoplasie più frequentemente associate con encefalite limbica sono:
• Tumore del polmone (50%)
• Tumore del testicolo (20%)
• Tumore della mammella (8%)
• Linfoma di Hodgkin (4%)
• Teratoma (4%)
• Timoma (2%)
• Tumore della vescica, del colon, del rene
Nel liquor e/o nel siero del 60% dei pazienti possono essere riscontrati anticorpi onconeurali diversi a seconda
del tipo di tumore associato.

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Sbobine 2.0

NEUROPATIA DOLOROSA DELLE PICCOLE FIBRE (NEUROPATIA SENSITIVA SUB-ACUTA)


Questa neuropatia ha interessamento assonale (assonopatia) che coinvolge la sfera sensitiva. Ha esordio sub-
acuto, con apice clinico in un periodo di poche settimane/mesi, raramente è cronico.
La clinica si caratterizza per la presenza di parestesie, disestesie dolorose (talora in attacchi), ipoestesia, riflessi
tendinei ridotti o assenti e atassia sensitiva. Vengono coinvolti sia gli arti superiori che inferiori prevalentemente
a livello distale con distribuzione asimmetrica, tronco e viso possono essere colpiti ma in genere più tardivamente
e raramente
Può coinvolgere le fibre di grosso diametro, ma soprattutto le fibre C dolorose. Lo studio elettrofisiologico è utile
per identificare tale condizione mediante la dimostrazione di velocità di conduzione sensitiva marcatamente
ridotta o assente, durata inferiore e reclutamento precoce. Inoltre, la velocità di conduzione motoria conservata
e sono presenti segni di denervazione.
La neuropatia sensitiva sub-acuta è associata nel 70% dei casi ad Ab anti-Hi e rappresenta il sintomo di esordio
del microcitoma nel 60% dei casi.

SINDROME DI LAMBERT-EATON (LEMS)


Rara malattia della giunzione neuro-muscolare che si associa a tumore polmonare tipo microcitoma nell’80% dei
casi. Gli auto-ab IgG sono diretti contro il canale voltaggio-dipendente delle terminazioni pre-sinaptiche, da cui
consegue una ridotta liberazione di Ach (nella miastenia gravis viene interessato il versante post-sinaptico).
La clinica si caratterizza per debolezza prossimale agli arti, raramente coinvolge la muscolatura orofaringea e
respiratoria, ancora più raramente la motilità oculare estrinseca. La forza può momentaneamente migliorare dal
mantenimento della contrazione.
Il test più specifico che si effettua prevede stimolazione ripetitiva del nervo motore con registrazione della
risposta elettrica del muscolo, si effettua in genere sul nervo ulnare (muscolo abduttore del V dito) o sul nervo
circonflesso (muscolo deltoide).
Nella miastenia si parte da un potenziale ampio che poi si riduce, nella LEMS si ha un comportamento inverso.

MIOPATIE INFIAMMATORIE
Sono patologie infiammatorie e degenerative che interessano la muscolatura striata, nel 10-15% delle miositi si
associa a neoplasia, possono essere isolate o con coinvolgimento cutaneo. Ha un esordio sub-acuto (3-4
settimane) con ipostenia prossimale, disfagia con incremento degli enzimi muscolari, all’EMG si ritrova un pattern
miopatico con attività di denervazione in atto, perché l’infiltrati infiammatori possono comprimere i terminali
assonali intraparenchimali. Il tracciato EMG si presenta con potenziali di attività motoria di altezza e durata ridotte
e con reclutamento precoce legato a denervazione.

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Sbobine 2.0

PATOLOGIE DEL MIDOLLO SPINALE


CENNI ANATOMICI
Il midollo può essere suddiviso in segmenti cervicali, dorsali, lombari e sacrali. Nella
parte centrale troviamo la sostanza grigia, circondata da sostanza bianca. Nella
grigia si distinguono le corna dorsali e ventrali, dalle quali partono le radici anteriori
e posteriori, motorie e sensitive, che formano poi il nervo spinale.

CLASSIFICAZIONE
Le mielopatie possono essere classificate in vario modo, sulla base di:
• Tipo di lesione
o Completa
o Sindrome emi-midollare laterale di Brown-Sequard
o Sindrome midollare anteriore
o Sindrome midollare posteriore
o Sindrome midollare centrale
o Cono midollare
o Cauda equina
o “Trattopatie”

• Cause eziologiche
o Malformative/congenite
o Infiammatorie/infettive
o Vascolari
o Traumatiche
o Da patologia degenerativa del rachide
o Neoplastiche

MIELOPATIE ACUTE TRASVERSE


Una lesione trasversale acuta e completa del midollo spinale porta a:
• Paralisi flaccida immediata (perdita di forza e atonia), che evolve nel tempo a paralisi spastica e
ipertonicità.
• Anestesia globale (perdita di tutte le sensibilità) e perdita dei riflessi al di sotto del livello del trauma.
SI parla di shock spinale. I distretti interessati dipendono quindi dal livello della lesione.
• Ritenzione vescicale per atonia del muscolo detrusore, con progressiva perdita di urina quando la
vescica non tiene più.
• Impossibilità di defecazione volontaria per paralisi dei muscoli addominali, con rischio di distensione
delle anse intestinali e comparsa di megacolon.

Le mielopatie acute trasverse sono sindromi acute midollari con interessamento della sostanza grigia e
bianca in uno o più segmenti. Il tempo intercorrente tra l’esordio e la completa ed espressione della
patologia è spesso di ore o pochi giorni, anche se vi sono alcuni casi che presentano un decorso più lento,
dell’ordine di settimane.

EZIOLOGIA
• Virale o post-virale
• Batterica (neurolue, etc.)
• Vasculiti
• Patologie sistemiche (LES, sarcoidosi)
• Malattie demielinizzanti (sclerosi multipla, neuromielite ottica con interessamento dei tratti
cervicali)

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Sbobine 2.0

• Infarto midollare
• Trauma, con o senza frattura vertebrale.
• Mielite trasversa idiopatica

QUADRO CLINICO
• Deficit di forza ascendente fino alla paralisi
• Parestesie/ipoestesia dei piedi e delle gambe fino all’anestesia al di sotto della regione colpita
• Ritenzione urinaria
• Perdita del controllo della defecazione
• Dolore locale del rachide, cefalea e rigidità nucale possono essere presenti; sono segni di irritazione
meningea nel caso in cui ci sia uno stato infiammatorio importante nei pressi della lesione. Si
verificano soprattutto in caso di eziologia infettiva.

Per riassumere, in caso di lesione completa si ha coinvolgimento di tutti i tratti e a valle della lesione, i segni
clinici sono piramidali/motori, sensitivi e neurovegetativi.

ITER DIAGNOSTICO
Nel percorso diagnostico è molto importante la RMN del midollo, in questi casi svolta in urgenza per
escludere lesioni compressive (di norma la RMN è un esame in elezione). Si eseguono poi:
• Esame del liquor: chimico-fisico, conta cellulare, ricerca di virus o batteri
• Esami ematochimici per le cause infettive
• Screening anticorpali e indagini reumatologiche per le malattie immuno-mediate (es. LES)
• Dosaggio dell’ACE e RX torace In sospetto di sarcoidosi.
• RMN cerebrale se si devono escludere malattie demielinizzanti (ricerca delle lesioni sopra e sotto-
tentoriali), seguita anche dai potenziali evocati
• Angiografia epidurale per escludere cause vascolari. L’angioRMN spinale può aiutare, ma non è
l’esame di prima scelta.
SINDROME EMI-MIDOLLARE LATERALE DI BROWN-SEQUARD
Se la lesione comporta un’emisezione del midollo, si sviluppa:
• Paralisi spastica omolaterale per interruzione del tratto
cortico-spinale laterale.
• Perdita della sensibilità profonda omolaterale per
interruzione della colonna dorsale.
• Perdita della sensibilità termo-dolorifica controlaterale
per interessamento del tratto spino-talamico
controlaterale.
Le cause possono essere varie: malattie demielinizzanti (es.
sclerosi multipla), post-traumatiche, compressive.

SINDROME MIDOLLARE ANTERIORE


Si verifica a seguito della compressione dell’arteria spinale anteriore che avviene per varie cause, come la
presenza di frammenti ossei o ernie discali. I segni che ne derivano riguardano i distretti al di sotto del livello
della lesione: perdita completa della forza e incompleta della sensibilità, in genere si perde la termo-dolorifica
e le sensibilità profonde vengono conservate. I tratti coinvolti sono quindi le corna anteriori bilaterali, il tratto
spino-talamico e anche le fibre del SNA.

QUADRO CLINICO
• Paralisi flaccida bilaterale
• Anestesia termica e dolorifica
• Disfunzione sfinterica
• Propriocezione e sensibilità tattile conservate

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Sbobine 2.0

EZIOLOGIA
• Occlusione dell’arteria spinale anteriore
• Trauma da flessione con dislocazione di frammento del corpo vertebrale
• Infezione da virus West-Nile.

SINDROME MIDOLLARE POSTERIORE


In questo caso sono convolti bilateralmente i cordoni posteriori. Al di sotto della lesione si perde sensibilità
tattile epicritica, vibratoria e propriocettiva. A causa della mancanza di quest’ultima si può verificare anche
atassia.

EZIOLOGIA
• Deficit cronici di vitamina B12 (cause gastrointestinali, malnutrizione, alcolismo)
• Deficit di rame
• Tabe dorsale.

Tabe dorsale
È una manifestazione della sifilide tardiva, frequente prima dell’era antibiotica, e che sta riemergendo in
questi anni. Si tratta di una degenerazione dei cordoni posteriori con dolori lancinanti di tipo cordonale,
associati a disturbi della sensibilità profonda, ipotonia, areflessia, atassia sensitiva, disturbi vescicali tipo
incontinenza dovuti all’atonia e alla mancanza di afferenze.
Si riconosce anche per altri segni associati, quali fenomeni distrofici di ossa, articolazioni e cute e la pupilla
di Argyll-Robertson (abolizione del riflesso miotico alla stimolazione luminosa, ma mantenimento dello
stesso durante l’accomodazione e la convergenza). La diagnosi deve essere confermata con l’esame liquorale
e la ricerca di positività delle reazioni sierologiche specifiche per la lue.
Entra in diagnosi differenziale con alcune neuropatie periferiche sensitive, in particolare la diabetica (si
definiscono forme pseudotabetiche). La neuropatia diabetica di solito è più distale e si manifesta con
disestesie urenti.

SINDROME MIDOLLARE CENTRALE


Si verifica principalmente a livello cervicale. Riguarda il tratto spino-talamico e cortico-spinale.
Si manifesta con:
• Ipoestesia dissociata, perdita di sensibilità al dolore e temperatura, conservazione della sensibilità
vibratoria e propriocettiva.
• Deficit di forza prevalente agli arti superiori (per localizzazione cervicale nella maggior parte dei casi)
• Disfunzione neurovegetativa.

EZIOLOGIA
• Siringomielia
• Neuromielite ottica
• Trauma: è la sindrome post-traumatica più frequente, il meccanismo è la brusca iperestensione del
collo, con danno solitamente cervicale. Per questo si osserva un coinvolgimento sproporzionato degli
arti superiori rispetto agli arti inferiori: ipoestesia AASS e iniziale disfunzione del SNA, seguita da
recupero. La prognosi è infatti buona: il 75% dei pazienti ha possibilità di recupero.
Siringomielia e Siringobulbia
La siringomielia è una patologica formazione di una o più cavità nel midollo spinale, orientata lungo il suo
asse maggiore. Spesso la cavità è situata in prossimità del canale centrale, che a volte è inglobato. La cavità,
non rivestita da ependima, interessa totalmente o in parte la sostanza grigia del midollo spinale. La sede più
frequente è a livello cervicale o dorsale.
Almeno la metà delle lesioni è in rapporto con anomalie congenite della colonna o della base del cranio (es.
malformazione di Arnold-Chiari) o sindromi disrafiche (es. encefalocele, mielomeningocele). In questi casi la
lesione si sviluppa spesso durante l’adolescenza o nell’età adulta giovanile. I casi di lesione acquisita si
associano invece a tumori intramidollari, conseguono a trauma o a cause ignote.

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Sbobine 2.0

QUADRO CLINICO
La clinica è caratterizzata da dissociazione siringomielica del territorio interessato (assenza di percezione
degli stimoli dolorosi, ma presenza di quelli sensitivi profondi) con inizio della sintomatologia a livello delle
dita degli AASS (generalmente la lesione è cervicale) che poi si estende.
L’alterazione dei tratti corticospinali insorge in genere tardivamente e determina deficit motori. Tale
coinvolgimento delle corna anteriori a livello della cavità porta ad atrofia muscolare segmentale, deficit di
forza e fascicolazioni (principalmente agli AASS, comparsa di “mano atrofica”).

Si parla di siringobulbia quando lo stesso processo si estende anche al bulbo. È rara e di solito appare come
una fenditura nella porzione inferiore del tronco encefalico, capace di interessare i nervi cranici inferiori,
comprimere o interrompere le vie sensitive ascendenti o le vie motorie discendenti.

Dal punto di vista clinico, si ha una sindrome da interessamento del tronco encefalico e delle strutture
contenute (nuclei dei nervi cranici): vertigini, nistagmo, ipoestesia faciale mono- o bilaterale, atrofia e deficit
di forza linguale, disartria, disfagia, talvolta disfunzioni motorie o sensitive più distali dovute alla
compressione del midollo.

Una condizione in cui possono verificarsi è la malformazione di


Arnold-Chiari: può essere sia congenita, che acquisita ed interessa il
tronco encefalico e il cervelletto. Può essere associata a molte altre
anomalie, come il mielomeningocele, la siringomielia e la spina
bifida.

Può essere classificata in:


• Tipo I: le tonsille cerebellari sono dislocate attraverso il forame magno nella parte superiore del
canale cervicale. Nel 20-30% dei casi si ha anche siringomielia e nel 25% dei casi anomalie ossee della
base cranica.
• Tipo II: sono dislocati nel canale cervicale il verme e la parte inferiore degli emisferi del cervelletto,
il bulbo e il IV ventricolo. Di solito si associa a mielomeningocele.
Il trattamento prevede la terapia chirurgica, soprattutto nei casi di associazione ad altre malformazioni
(meningocele, mielomeningocele e spina bifida).

CONO MIDOLLARE
Coinvolge le efferenze neurovegetative e i segmenti sacrali spinali. A livello clinico si evidenzia:
• Disfunzione sfinterica
• Ipoestesia sacrale (a sella)
• Coinvolgimento motorio relativamente scarso
• Dolore, raro.

EZIOLOGIA
• Mielite post-vitale
• Trauma con frattura vertebrale da T11 a L1 (a monte della cauda equina)

SINDROME DELLA CAUDA EQUINA


È dovuta alla sofferenza delle radici della cauda, che consiste nel fascio di radici anteriori e posteriori dei
segmenti da L2 a S5.

QUADRO CLINICO
• Paralisi flaccida precoce e spesso asimmetrica
• Disturbi sensitivi soggettivi (dolore radicolare accentuato dal movimento)
• Disturbi sensitivi oggettivi (anestesia a sella)
• Abolizione dei ROT
• Ipotrofia muscolare

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Sbobine 2.0

• Disturbi sfinterici (ritenzione vescicale e rettale)


• Impotenza

EZIOLOGIA
• Poliradicoliti da infezioni virali (CMV o altri)
• Compressione (es. ernia discale, tumori)
• Trauma con frattura vertebrale sotto L1/L2.
• Aracnoiditi.

TRATTOPATIE
Sono mielopatie con coinvolgimento selettivo di un tratto (sul piano verticale). I segni clinici sono correlati al
coinvolgimento selettivo del sistema piramidale o della colonna posteriore. Solitamente sono dovute ad una
patologia metabolica o degenerativa, quindi si tratta di forme croniche come il deficit di B12. Possono però
essere anche mielopatie paraneoplastiche o mieliti acute con interessamento parcellare, ad esempio nella
sclerosi multipla (es. deficit propriocettivo isolato a esordio acuto dovuto all’interessamento del cordone
posteriore).

PARAPARESI SPASTICHE EREDITARIE


Sono molto rare e si distinguono in:
• Forme pure: compromissione neurologica limitata ad ipostenia e spasticità progressiva degli arti
inferiori, vescica spastica e riduzione della sensibilità vibratoria e chinestesica degli AAII.
• Forme complicate: presenza di altri segni neurologici e di interessamento di altri sistemi funzionali.
Possono essere coinvolti geni diversi e dare lo stesso quadro clinico; si hanno:
• Forme autosomiche dominanti, le più comuni
• Formi autosomiche recessive, rare
• Forme X-linked, rare
Non si conoscono tutti i geni che causano la patologia, ma tra quelli identificati vi sono la spastina, l’atlastina
e la paraplegina; per questi è possibile fare l’analisi molecolare diretta, se vi è indicazione dopo un’anamnesi
e una visita accurata.

MIELOPATIE INFIAMMATORIE E/O INFETTIVE


Appartengono a questa categoria:
• Mieliti in corso di sclerosi multipla o neuromielite ottica
• Post-infettive (precedente infettivo o vaccinazione)
• Infettive: spondilodisciti o ascessi peridurali da infezione batterica. Di solito si tratta di stafilococchi,
più raramente streptococchi, Gram negativi e ancora meno frequentemente micobatteri. Di solito vi
sono fattori predisponenti, come diabete, immunodepressione, malattie croniche disabilitanti.
ENCEFALOMIELITE ACUTA DEMIELINIZZANTE (ADEM)
Sindrome nella quale un’infiammazione acuta demielinizzante colpisce la sostanza bianca in uno o più
segmenti.

La causa viene attribuita ad una precedente infezione virale o batterica (ADEM post-infettiva, la più
frequente), oppure ad una precedente vaccinazione (ADEM post-vaccinica).

Il quadro clinico da interessamento midollare comprende deficit di forza e parestesie/ipoestesie degli arti
con distribuzione variabile. Questa sintomatologia aumenta di intensità con il passare dei giorni e porta ad
un deficit sensitivo-motorio, anche con disturbi sfinterici. In base all’evoluzione della lesione, il quadro tende
lentamente a ridursi o scomparire spontaneamente. L’utilizzo di cortisone può essere di aiuto e accelera il
processo di recupero.

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Sbobine 2.0

POLIOMIELITE
È una grave malattia infettiva a carico del SNC, che colpisce soprattutto i neuroni motori del midollo spinale.
L’ultimo caso americano risale al 1979, mentre in Italia l’ultima notificazione risale al 1982.
Si tratta di una complicanza post-infettiva molto diffusa in passato, combattuta efficacemente grazie alla
comparsa e diffusione dei vaccini.

L’infezione è causata da tre tipi di poliovirus (1, 2 e 3), appartenente al genere enterovirus. Il decorso clinico
delle persone infettate può essere più o meno severo:
• 90-95% forma inapparente: nessun sintomo ed eliminazione del virus attraverso le feci
disseminandolo nell’ambiente
• 4-8% sindrome simil-influenzale o gastro-enterica
• 1-2% quadro di meningite asettica, non paralitica, con recupero completo nel giro di pochi giorni.
• 0.1% poliomielite paralitica.
Oltre a queste forme esiste anche la sindrome post-polio nei pazienti guariti: consiste in episodi ricorrenti di
debolezza e affaticamento che colpiscono gruppi muscolari inizialmente interessati dalla forma acuta. La
comparsa può avvenire anche molti anni dopo la malattia acuta.

MIELOPATIE VASCOLARI
Le mielopatie vascolari si possono dividere in:
• Ischemiche: sono quelle più frequenti e interessano maggiormente le porzioni anteriori.
o Primitive: aterosclerosi, in corso di vasculiti sistemiche
o Secondarie: compressione delle arterie spinali da parte di tumori/ascessi o altre cause
compressive
Le cause sono sia a coinvolgimento locale che sistemico: vasculiti, interventi chirurgici sull’aorta,
emboli, dissecazione aortica o dell’arteria vertebrale, stati pro-trombotici, grave ipotensione o
arresto cardiaco.
• Emorragiche: causate per lo più da traumi, ma talvolta anche spontanee (angiomi cavernosi, MAV,
fistole AV durali, sanguinamento di tumori spinali).
LESIONI MIDOLLARI DA PATOLOGIA DEL RACHIDE - COMPRESSIONI MIDOLLARI
La compressione midollare può essere:
• Acuta: generalmente post-traumatica
• Subacuta: da processo espansivo che cresce lentamente, come una neoplasia extramidollare, un
ascesso/ematoma extramidollare, l’espulsione di disco vertebrale
• Cronica: da protrusioni ossee o cartilagine all’interno del canale cervicale o toracico (NON lombare),
ad esempio presenza di osteofiti o spondilosi. Troviamo anche le neoplasie a
crescita molto lenta.

Esempio - compressione cervicale da osteoartrosi


Si ha mielopatia progressiva con deambulazione paraparetico-spastica. È presente
dolore con predominanza dei segni radicolari nel dermatomero più colpito. La
compressione foraminale della radice provoca deficit di forza e progressiva atrofia,
con perdita segmentale dei riflessi. La compressione del midollo spinale causa anche
iperreflessia, ipertonia e Babinski positivo.

Esempio - compressione cervicale da neoplasia


Si ha dolore spinale localizzato, spesso con distribuzione radicolare e alterazione dei riflessi per
interessamento del tratto corticospinale. La progressione dell’interessamento dei fasci discendenti e
ascendenti porta a ipostenia agli arti inferiori, deficit della sensibilità e perdita di controllo degli sfinteri.

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Sbobine 2.0

SCLEROSI COMBINATA
È dovuta a carenza di vitamina B12, associata ad anemia perniciosa e patologie da malassorbimento. Le vie
più colpite sono le vie sensitive cordonali: esordisce con parestesie ai quattro arti e alterazioni della
sensibilità vibratoria. La progressione del disturbo compromette globalmente le sensibilità profonde con
conseguente atassia sensitiva. Nei casi conclamati si arriva al coinvolgimento della componente motoria con
paraparesi o tetraparesi spastiche.
Per fare diagnosi si dosa la vitamina B12 e si esegue la RMN che mostra iperintensità di segnale a livello
midollare.

PARA/TETRAPLEGIE ACUTE NON TRAUMATICHE


DIAGNOSI DIFFERENZIALE - SCHEMA RIASSUNTIVO
• Mielopatie vascolari
o Ischemiche
▪ Ischemie primarie: aterosclerosi, vasculite
▪ Ischemie secondarie: compressioni vascolari da parte di lesioni occupanti spazio,
patologie dell’aorta
o Emorragiche: ematoma epidurale/subdurale, emorragia subaracnoidea, intraparenchimale
(ematomelia)
o Malformazioni vascolari midollari: fistole durali, perimidollari, angioma intramidollare,
cavernoma
• Mielopatie infiammatorie/infettive
o Senza compressione midollare
▪ Mielite acuta trasversa: accompagna o segue un’infezione o una vaccinazione
• Virale (HSV, WNV, entero-, polio-)
• Batterica (Mycoplasma, chlamydia, TBC, Lyme)
• Fungina
▪ Mielite in corso di malattia infiammatoria del SNC (SM, neuromielite ottica, ADEM,
neuroborreliosi)
▪ Mielite in corso di malattia infiammatoria sistemica (neuroBehcet, Sjogren, LES,
Wegener, sarcoidosi)
o Con compressione midollare
▪ Ascesso epidurale
▪ Ascesso peridurale
▪ Spondilodiscite
• Patologie espansive non infiammatorie
o Ernia discale, frattura vertebrale
o Neoplasie primitive o secondarie

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Sbobine 2.0

MALATTIE DEL MOTONEURONE

SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA


Tra le patologie a carico del motoneurone, la principale è la sclerosi laterale amiotrofica. È stata descritta
per la prima volta da Charcot, che identificò in due pazienti la presenza di atrofia muscolare progressiva e
lesioni della sostanza grigia e dei fascicoli antero-laterali del midollo spinale. È una patologia che colpisce il
primo e il secondo motoneurone, quindi rispettivamente i motoneuroni corticali e gli alfa-motoneuroni delle
corna anteriori o del tronco encefalico (per i nervi cranici).
Rientra nella malattie degenerative e ha rapida progressione.
CLASSIFICAZIONE
• SLA idiopatica {Charcot o di tipo classico)
o SLA sporadica
o SLA ereditaria
• Malattia del motoneurone con quadro clinico incompleto
o Atrofia muscolare progressiva (PMA)
o Paralisi bulbare progressiva (PBP)
o Sclerosi laterale primaria (PLS)
• SLA con presentazione atipica
o Flail arm syndrome {sindrome dell'uomo nella botte}
o Flail leg syndrorne
o SLA con esordio respiratorio
o Malattia di motonettrone monomelica
o SLA associata a demenza (ALS-FTD)
o SLA con esordio respiratorio
• Complesso ALS-Malattia di Parkinson-Demenza dei Pacifico occidentale. La coesistenza di queste
patologie ha portato a chiedersi se si tratti di sfumature cliniche dello stesso processo patogenetico
o si debbano inquadrare come patologie distinte.
La distinzione delle varie forme ah in realtà dei limiti, in quanto nella pratica clinica non è infrequente vedere
quadri sfumati (es patologie del motoneurone inferiore che poi diventano forme classiche o forme di PMA).

EPIDEMIOLOGIA
Nonostante l’incidenza molto bassa (2/100.000/anno, con prevalenza di 7 casi/100.000 abitanti) non sono
malattie rare. Colpiscono soprattutto il sesso maschile e l’età media di esordio è in genere dopo i 65 anni,
sebbene vi siano forme tipicamente giovanili se non addirittura infantili.

EZIOLOGIA
L’eziologia è ignota, è probabilmente multifattoriale, con la compartecipazione di genetica e fattori
ambientali:
• Genetica. L’influenza genetica fu esclusa da Charcot, che negò quindi la possibilità di trasmissioni
familiari. Oggi sappiamo che la SLA può anche essere familiare (2%) e coinvolgere diversi geni:
o Superossido dismutasi 1 (SODI): è un enzima deputato alla conversione degli ioni
superossido in acqua ossigenata (H 2 O 2 ), che sarà ulteriormente metabolizzata dalle catalasi.
Mutazioni missenso (sostituzione di un aminoacido) portano a casi familiari di SLA; il
meccanismo con cui questa mutazione puntiforme possa generare la malattia è incerto, ma
sembrerebbe essere correlato all' acquisizione di funzioni tossiche . Circa l'1% dei casi
sporadici presenta una mutazione della SODI .

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Sbobine 2.0

o TAR DNA-binding-protein 43 (TDP-43): è una proteina con una complessa funzione, implicata
nello splicing delle proteine. E' stata individuata negli inclusi citoplasmatici ubiquitinati dei
pazienti con SLA sporadica (associata o meno a demenza franto-temporale) e familiare.
o Fused in sarcoma/Translocated in liposarcoma (FUS/TLS): anche questa proteina è coinvolta
nello splicing degli mRNA. La sua mutazione è stata trovata sia in casi familiari che sporadici.
o Dalle prime forme familiari identificate, la ricerca continua a ricercare polimorfismi genetici
ce possano essere associati alla patologia, al fine di poter dare una spiegazione moleolare
della patogenesi e trovare possibili terapie, ad oggi inesistenti.
• Fattori ambientali
o Fumo;
o Attività agricola;
o Traumi;
o Popolazioni a particolare rischio sembrano essere i militari americani e i calciatori
professionisti (in genere gli sportivi agonisti). Lo sport è un argomento controverso e il
fattore responsabile dell’aumento dell’incidenza è ancora discusso (probabilmente si deve ai
traumatismi più frequenti); [in America è definita malattia di Lou Gehrig, nome del giocatore
di baseball affetto dalla patologia]
o In alcune isole del Pacifico (isole Marianne, Guam, Nuova Guinea) l'incidenza è superiore e
le caratteristiche cliniche particolari (associazione di SLA-Parkinson-demenza); è stata
proposta l'ipotesi neurotossica, in cui la neurotossina sarebbe contenuta nei semi delle
piante di Cycas (cicassina). È stata ipotizzata anche l’ingestione di carne di pipistrello, che a
sua volta si nutre di questa pianta.

CLINICA
La manifestazione clinica della SLA classica è inequivocabile: si hanno alterazioni muscolari deputate a
lesione del primo o secondo motoneurone senza alterazione della sensibilità. La presenza di patologia
sensitive permette quindi di escludere la SLA e indirizzarci verso alter forme, SLA-like. La clinica è poi variabile
a seconda del motoneurone coinvolto:
• Sindrome del motoneurone superiore
o Ipertono spastico,
o Iperriflessia,
o Riflessi patologici (Babinski e Hoffman),
o Sintomi pseudobulbari ("sindrome pseudobulbare", da interessamento dei fasci
piramidali cortico-bulbari),
o Difficoltà nell’esecuzione dei movimenti fini;
• Sindrome del motoneurone inferiore
o Ipotonia,
o Atrofia muscolare e debolezza,
o Fascicolazioni e crampi
o Iporiflessia (in realtà all’inizio si ha iperriflessia, in seguito all’atrofia muscolare si
sviluppa iporiflessia);
o L'interessamento dei motoneuroni bulbari si manifesta con disfagia (IX-X); disartria,
ipotrofia e fascicolazioni della lingua (XII).
Tipicamente la malattia esordisce in modo subdolo (sarà difficile identificare le fascicolazioni iniziali) per poi
progredire rapidamente.

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Sbobine 2.0

PRESENTAZIONE CLINICA DELLA SLA


SINDROME DEL MOTONEURONE INFERIORE PURA
Si ha interessamento esclusivo (o quasi) del secondo motoneurone e può manifestarsi in diverse varianti:
• Atrofia muscolare progressiva; per capire la loro problematica basta vederli camminare.
• Pseudopolineuritica; spesso confusa con una polilombalgia.
• “Flail arm” syndrome/sindrome di Vulpian; deficit di abduzione degli arti superiori, interessa il
cingolo scapolare in modo simmetrico, il pz non presenta disturbi sensitivi (se fosse una
radicolomielopatia cervicale avvertirebbe dolore).
• Monomielica/sindrome di Hirayama; forma che interessa un solo arto. Si tratta di una sindrome che
colpisce il canale cervicale, è una forma molto lenta e progressiva, che si aggrava nei sintomi con
l’esposizione soprattutto al freddo, con rilevabili alterazioni a livello delle risposte simpatiche
cutanee. Dopo una lenta progressione la patologia tende a stabilizzarsi.
Vi è una sottovariante che è rappresentata dalla sindrome di O’Sullivan-McLeod, che può presentarsi
con atrofia isolata di una mano, caratteristica che può sembrare periferica ma non lo è.
La forma monomielica può interessare ad esempio un solo arto della gamba, un tempo questi quadri
clinici erano tipicamente post-poliomielite, ma da quando c’è il vaccino non esistono più.
La diagnosi differenziale si fa con la polimiosite a corpi inclusi, mononeuropatie, neuropatia motoria
multifocale, CIDP/ Polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica e alte.

SINDROME DEL MOTONEURONE SUPERIORE PURA


Sono forme ad interessamento esclusivo o prevalente del motoneurone superiore e si possono classificare in
due varianti:
• Sclerosi primaria laterale
• SLA emiplegica/variante di Mill, forma estremamente rara
La diagnosi differenziale si fa con le patologie che danno un interessamento superiore e soprattutto con la
mielopatia spondilotica cervicale (si esclude con EMG fatta bene), ma anche con sclerosi multipla, miastenia
gravis, siringomielia (che si accompagna a gravi disturbi sensitivi e dissociazione termico-dolorifica),
paraparesi spastica familiare e altre.
SLA CON ESORDIO RESPIRATORIO
Ci sono delle forme che si presentano con insufficienza respiratoria, molte volte passano come
misconosciute e possono arrivare fino all’IR acuta senza aver avuto una diagnosi di SLA (si hanno casi di
soggetti intubati, che non si riescono a staccare dal respiratore ma non sembrano avere una causa apparente
come un’infezione polmonare). Basta fare una EMG per fare la diagnosi.
SLA ASSOCIATA A DEMENZA
Altro segno clinico facilmente intuibile è la presenza di demenza frontotemporale nei soggetto con SLA.
C’è stata recentemente un’esplosione di studi di potenziali elettrocorrelati cognitivi in pz con SLA, alcune
volte si trova un’atrofia frontale ma non si capisce se vi è un declino cognitivo o meno e i test psicometrici
sono un po’ ambigui; l’attività elettrofisiologica consente di identificarla con certezza.

PARALISI BULBARE PROGRESSIVA


Si può definire come un quadro incompleto, in quanto si limita ai muscoli bulbari, con disfagia, disartria e
atrofia linguale. Nelle DD rientrano: miastenia gravis, sclerosi multipla, siringobulbia, glioma del tronco
encefalico e atre.
DD. Atrofia muscolare bulbo spinale/sindrome di Kennedy: è una patologia genetica, che presenta un
aumento delle sequenze CAG. È una malattia rara dei motoneuroni, trasmessa con modalità recessiva legata
all'X, caratterizzata da atrofia dei muscoli bulbari e prossimali.

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Sbobine 2.0

DIAGNOSI
Nella consensus conference El Escorial dagli anni ’90 si è avuta l’elaborazione di linee guida per diagnosticare
e per progettare trial clinici per la SLA. Si sono creati dunque criteri diagnostici El Escorial che definiscono la
presenza di SLA come:
• Possibile, quando sono presenti segni in un solo (o più) segmento del motoneurone (superiore o
inferiore);
• Probabile, quando sono presenti segni in motoneurone inferiore e superiore in 1 regione;
• Sospetta, quando sono presenti segni in motoneurone inferiore e superiore rostrale in almeno 2
regioni;
• Definita, quando sono presenti segni in motoneurone superiore e inferiore in almeno 3 regioni.
La diagnosi è prettamente clinica e elettrofisiologica: per la diagnosi di SLA occorre avere l’evidenza della
degenerazione motoneuronale (inferiore o superiore) tramite l’esame obiettivo neurologico e
l’elettromiografia. La biopsia non si fa più poiché non aggiunge niente alla diagnosi ed è invasivo. Una volta
sospettata la patologia, per la conferma è necessario dimostrare la progressione del quadro clinico nei mesi
successivi con le stesse metodiche.

SLA PLUS
Si tratta di quadri clinici in cui sono presenti segni e sintomi riconducibili alla SLA, cui si aggiungono però
alterazioni non tipiche della patologia, come:
• Clustering geografico;
• Segni extrapiramidali;
• Degenerazione cerebellari;
• Demenza, comprensibile in quanto le cellule piramidali che danno origine alla via motoria si trovano
a livello delle aree fronto-temporali che sono adibite al pensiero superiore, dunque si tratta di un
accoppiamento piuttosto comune;
• Alterazioni del SNA; si possono ricercare con esami banali (intervallo RR, risposte simpatico cutanee
ecc);
• Alterazioni della sensibilità. In genere, la coesistenza di alterazioni sensitive deve indirizzare il
sospetto diagnostico verso una forma paraneoplastica (K stomaco, prostata, pancreas ecc.).
L’evidenza di questi segni deve sempre mettere in dubbio la diagnosi di SLA;
• Anormalità dell’oculomozione (altra caratteristica della SLA è il risparmio dell’oculomozione
estrinseca e della motilità sfinteriale);
• Forme con anomalie di laboratorio di incerto significato
o Gammopatie monoclonali e linfomi;
o Autoanticorpi;
o Alterazioni endocrinologiche benigne (iper-/ipocalcemia);
o Infezioni, tra cui malattia di lyme (una borreliosi), HIV e varicella;
o Tossine esogene, da considerare nei soggetti con esposizione ambientale al piombo, mercurio e
alluminio. Non hanno un ruolo centrale ma andrebbero indagate.

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DIAGNOSI DIFFERENZIALE: SLA-LIKE SYNDROMES


• Mielopatia spondilogena con lesione strutturale del midollo spinale. Non da mai un quadro motorio
puro, in quanto vengono coinvolti anche i cordoni laterali e posteriori. Inoltre il quadro motorio è
limitato ai metameri cervicali. Il rischio è di aggravare la malattia con l’intervento chirurgico: si tratta
di pazienti con SLA con evidenza di mielopatia alla RM che spesso vengono indirizzati al trattamento
chirurgico dal neurochirurgo;
• Neuropatia motoria multifocale, la clinica è del tutto identica alla SLA ma la prognosi è nettaente
migliore, poiché non è su base degenerativa e risponde alle gamma-globuline;
• Ipertiroidismo/iperparatiroidismo;
• Neoplasia maligna ematologica con gammopatia monoclonale (linfoma o mieloma);
• Cancro; si tratta di forme paraneoplastiche;
• Tossine esogene (piombo, mercurio);
• Storia di radiazioni cerebrali o midollari;
• Deficit di esoaminidasi A, in cui però la manifestazione è precoce, sotto i 30 anni.

STEP DELLA DIAGNOSI DI SLA


1. Storia clinica ed esame neurologico alla ricerca dei segni clinici tipici;
2. EMG per la valutazione delle zone colpite e quelle risparmiate e per l’esclusione di altri quadri
patologici come le neuropatie. È fondamentale quindi per la diagnosi e la diagnosi differenziale, si
avvale di:
o EMG ad ago (potenziali di fascicolazione; denervazione e re-innervazione combinate; SFEMG; Macro-EMG,
valutazione della muscolatura respiratoria)
o Velocità di conduzione motoria (normale o lievemente rallentata; aumento latenza distale motoria; blocchi
di conduzione motoria);
o Velocità di conduzione nervosa sensitiva (SNAPs) (malattia multisistema; anormalità dei PES, alterazioni
soglia termica);
o Onda F, esplora l’eccitabilità dell’alfa-motoneurone (aumento latenza; normale o aumentata
frequenza; aumento ampiezza; rallentamento V. di C. onda F);
o MUNE/Motor Unit Number Estimation; stima del numero unità motorie, serve per capire
come progredisce la malattia e quanto è veloce (ad esempio se un pz perde un 10% di unità
motorie l’anno muore nel giro di 10 anni, se uno ne perde il 30% l’anno muore in 2/3 anni, ma
ci sono anche delle forme che portano alla morte in un anno). Questo indice è utile anche per
i trial terapeutici in quanto non è più possibile mettere in due gruppi separati soggetti che
hanno una mortalità a breve termine e in un altro quelli a lungo termine con il rischio di
falsificare la risposta alla terapia, ha quindi importanza medico-legale.
o Relazione dimensioni Unità Motorie-forza;
o Analisi della fatica muscolare;
o Test di valutazione dei motoneuroni superiori (Potenziali evocati motori: ampiezza, soglia, CMCT,
periodo silente corticale, doppio stimolo, PSTH) un esame che da anni si fa senza perdere
eccessivamente tempo. Ha importanza la stimolazione magnetica transcranica: in un paziente
con deficit degli arti inferiori la velocità di conduzione dei nervi cranici serve a capire se si può
escludere la SLA e indirizzarsi verso una patologia benigna come una mielopatia cervicale in
quanto, in caso di ritardo di conduzione elettrica, la mielopatia non può essere la causa della
sua malattia (le fibre dei nervi cranici non attraversano il midollo spinale). Oltretutto possiamo
valutare l’origine del deficit tramite il doppio stimolo, valutando ad esempio la conduzione
elettrica a livello del V dito con stimolo radicolare o corticale: in caso di rallentamento con

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Sbobine 2.0

stimolazione corticale siamo giustificati a pensare a una SLA, un rallentamento con esclusiva
stimolazione radicolare orienta più verso una forma di mielopatia cervicale;
3. Neuroimaging, per l’esclusione di altre patologie e per il ritrovo di segni che confermino il
coinvolgimento del motoneurone superiore. È importante se correlato alla clinica, in quanto i segni
di lesioni del motoneurone al MRI (lesioni delle vie cortico-spinali e atrofia midollare) sono aspecifici
e non permettono di fare diagnosi di SLA;
4. Test di laboratorio per escludere altre malattie:
o CPK/creatinfosfochinasi; in genere è poco alterata, ma si possono trovare valori altissimi
(anche 100.000 U/l), che rischiano di provocare insufficienza renale acuta (comunemente in
questo pz si può trovare a 20/30.000 U/l)
o Esami del midollo osseo per vedere se presente gammopatia, ma sono fattori secondari in
pz con particolari caratteristiche cliniche.
o Esame del liquor
o Anticorpi anti-Hu, non si fanno praticamente quasi mai.
o Esame delle esosaminidasi A leucocitarie
o Studio della tiroide, test opzionali
o Misurazione anticorpi anti-HIV e anti HTLV-1
o Acidi grassi a catena molto lunga sierici
o Esame dell’ormone paratiroideo sierico
5. Esaminazione neuropatologica (ormai non si fa più)
6. Ripetizione dell’esame obiettivo e EMG (dopo 6 mesi, ma anche a 3), è il punto più importante,
occorre evidenziare la presenza di progressione con aumento del danno. La SLA si tratta infatti di una
patologia progressiva e degenerativa.

SIGNIFICATO DI UNA DIAGNOSI PRECOCE


• Inizio dei presidi terapuetici assistenziali;
• Diritto del pz di sapere la diagnosi;
• Beneficio psicologico (non sempre valido);
• Garantire al pz la possibilità di prendere decisioni e di non essere trattato con terapie truffa (vd
Stamina);

TERAPIA, PROSPETTIVE FUTURE E MONITORAGGIO


L’unica terapia che si usa è il Riluzolo, che inibisce la SOD1. Ha un’efficacia trascurabile in quanto prolunga la
sopravvivenza media di circa 3 mesi (non si sa se sia realmente dovuta al farmaco o il miglioramento della
vita con questi pz vi sia grazie alla PEG, all’alimentazione o alla C-PAP). È un farmaco costoso e prescrivibile
solo dal neurologo. Accanto alla terapia con riluzolo sono importantissime le terapie di supporto al fine di
una corretta respirazione (C-PAP) e alimentazione (PEG)

Si è cercata la presenza di markers per la diagnosi di malattia, ma ancora non sono presenti nonostante la
grande ricerca, infatti l’unicostrumento a disposizione resta l’EMG.
In futuro si pensa di usare la RM total body per vedere il muscolo atrofico e l’interessamento delle vie
neuromotorie lunghe del secondo motoneurone, ma ancora siamo ben lontani.
L’EMG rimane ad oggi la sola tecnica diagnostica dirimente.

150
Sbobine 2.0

Una volta fatta la diagnosi, è necessario monitorare il pz tramite:


• Clinica
• EMG (si potrebbe utilizzare la tarttografia, ma la necessità di strumenti particolari e la possibilità
di bias della conferma, in quanto la diagnosi è già fatta e i risultati potrebbero essere alterati, non
la rendono indicata);
• Potenziali evocati motori;
• RM con Diffusion Tensor Imaging;
• MUNE; si esegue circa ogni 3 mesi e ha
permesso di valutare un’importante
differenza: nelle forme familiari l’atrofia
progredisce in misura maggiore in termini
di rapidità e quantità di unità motorie
perse e quindi la sopravvivenza è minore
(da qui l’impossibilità nell’inserire forme
familiari e sporadiche nello stesso trial);
• Ultrasuoni; l’ecografia è utilizzata per valutare la funzionalità diaframmatica, in quanto una
riduzione dello spessore del diaframma in inspirazione (<3-4 mm) corrisponde a una prognosi
peggiore. Permette di vedere bene le fascicolazioni, anche profonde, e l’atrofia fibrosa del
muscolo. Inoltre permette la visualizzazione dei nervi superficiali grazie all’utilizzo di sonde lineari
ad alta frequenza: i nervi appaiono più piccoli e ipoecogeni, in quanto atrofizzati (nella
valuatzione del plesso brachiale si può valutare la DD con le mielopatie multifocali, in cui il nervo
risulta ingrossato a seguito alla perdita di mielina).

ATROFIE MUSCOLARI SPINALI


Sono malattie degenerative del secondo motoneurone su base genetica e ad esordio fetale. La garvità è
variabile. La trasmissione è autosomica recessiva e coinvolge il gene SMN, sul cromosoma 5. Il risultato
fenotipico è la progressiva denervazione muscolare compensata parzialmente dalla unità circostanti, con
atrofia muscolare e formazione di unità motorie di grandi dimensioni e inefficienti. Le forme di SMA più
frequenti sono:
• AMS di tipo 1 o malattia di Werdnig-Hoffmann. Si tratta della forma più grave, in cui i bambini
muoiono dopo 1-2 anni, il decorso quindi è rapido e letale. Si presenta con severa e atrofia ipotonia
principalmente prossimale, soprattutto facciale-linguale, iporeflessia.
I neonati hanno difficoltà a mantenere il controllo del capo e a vincere
la forza di gravità e non riescono a succhiare il latte. Spesso il lattante
sviluppa problemi respiratori. All’EO si osserva l’ipotonia di tronco e
fianchi in sospensione ventrale e flopping delle braccia.
• AMS di tipo 2 o malattia di Werding-Hoffmann arrestata, forma intermedia. Il lattante è in grado di
succhiare il latte e non ci sono difficoltà respiratorie. Spesso muoiono nei primi anni, però fanno in
tempo a sviluppare alterazioni tipo scoliosi a causa dell’insufficienza della muscolatura
paravertebrale. Chi sopravvive sviluppa gravi handicap;
• AMS di tipo 3 o malattia di Kugelberg-Welander. Questi pz arrivano all’età adulta, riescono seppur
a camminare, seppur lentamente, rimangono indietro nella corsa, presentano fascicolazioni alle dita
per la denervazione muscolare, hanno funzioni intellettive normali ed a volte si riscontra una pseudo-
ipertrofia degli altri tessuti che sostituisce la ridotta massa muscolare (difficile la DD).
In linea generale la clinica delle AMS è caratterizzata da ipotonia, ipotrofia e ipo-/areflessia.

151
Sbobine 2.0

DIAGNOSI E TERAPIA
Nell’analisi di laboratorio si possono ritrovare innalzamenti dei livelli di CPK. Allo studio elettromiografico si
evidenziano le fascicolazioni, date dalla denervazione del muscolo, la velocità di conduzione elettrica è
conservata, permettendo l’esclusione di neuropatie periferiche. La diagnosi di certezza è genetica e si basa
su ricerca molecolare su sangue periferico del gene SMN, oppure ricerca del gene dai villi coriali in caso di
diagnosi prenatale. In passato si eseguiva biopsia muscolare sui casi dubbi, oggi si esegue di rado e nei casi
molto gravi, con il rischio di falsi negativi legati all’interessamento marezzato del muscolo.

Nessuna terapia è in grado di rallentare la progressione, si può solo eseguire una terapia di supporto:
• Trattamento ortopedico per la scoliosi e retrazioni articolari;
• Fisioterapia per consentire al bambino di mangiare ed essere il più possibile indipendente e
autonomo. Di contro la fisioterapia aggrava l’atrofia muscolare (si nota un aumento vertiginoso di
CPK).

ALTRE MALATTIE DEI MOTONEURONI


• Poliomielite, ormai rarissima;
• Enterovirus, l’infezione acuta mostra segni e sintomi simili alla poliomelite, ma più lievi;
• Forma giovanile di SLA, rara, a decorso progressivo rapido e fatale.

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Sbobine 2.0

NEUROPATIE PERIFERICHE
Le neuropatie periferiche sono condizioni patologiche conseguenti a danni dei nervi periferici.
Sono patologie frequenti ma l’incidenza esatta non è perfettamente conosciuta.

EZIOLOGIA
Nei Paesi sviluppati le cause di neuropatia in ordine di frequenza sono:
• Diabete mellito;
• Alcolismo;
• Infezioni da HIV;
• Ereditarietà: malattia geneticamente determinata;
• Sostanze tossiche e industriali: alcol, piombo, etc.;
• Farmaci: come i chemioterapici (eg. cisplatino);
• Disordini paraneoplastici: soprattutto nel caso di neuropatie sensitive sine causa apparente;
• Difetti del metabolismo;
• Infezioni e/o infiammazioni.
I nervi periferici comprendono i nervi cranici, gli spinali, i gangli annessi alle radici dorsali, i tronchi nervosi
periferici e le loro diramazioni terminali e il sistema nervoso autonomo (spesso dimenticato!).
I nervi possono essere misti, sia sensitivi che motori che vegetativi, con fibre larghe e mielinizzate, piccole e
mielinizzate e piccole e non mielinizzate. Ogni nervo periferico è formato da fibre che provengono da più
radici, ogni radice invia fibre a più nervi: pertanto l’innervazione di un nervo e quella di un segmento
midollare non sono corrispondenti (infatti si distinguono patologie radicolari, raidicolopatie, e patologie del
nervo, neuropatie).

FISIOPATOLOGIA DEL DANNO NERVOSO


Il danno del nervo in periferia può essere classificato secondo tre gradi di severità:
1. Neuroaprassia: blocco (o rallentamento) della conduzione nervosa senza danno anatomico
dell'assone. È dovuto a compressione o stiramento del nervo. I sintomi sono parestesie e deficit
motori; si, tratta comunque di un danno provvisorio che va incontro a restitutio spontaneamente.
2. Assonotmesi: perdita di continuità dell'assone con degenerazione Walleriana distale alla lesione,
ma con integrità del tubo endoneurale; all'interno di esso l'assone può rigenerare.
3. Neurotmesi: interruzione anatomica dell'assone e delle guaine di rivestimento, con
degenerazione Walleriana distale. Il trattamento può essere solo chirurgico.

CLASSIFICAZIONE EZIOPATOGENETICA
Il criterio eziologico è quello più importante poiché inquadrare la causa dei sintomi neuropatici consente
ovviamente di scegliere la corretta terapia. Vedremo le singole forme facendo riferimento a questo
criterio.
• Idiopatica: nella maggior parte dei casi non viene trovata la versa causa della neuropatia;
• Disimmunità (causa più frequente)
o Sindrome di Guillain-Barrè
o Sindrome di Milner-Fisher
o Polineuropatia infiammatoria demielinizzante cronica (CIDP)
o Neuropatia motoria multifocale con blocchi di conduzione (MMN)
o Neuropatie MGUS-correlate con AC anti-MAG (gpt mielina associata)
o Neuropatie con IgM anti-sulfatide
• Genetiche
o Predisposizione alla paralisi da compressione ereditaria (HNPP)
o Malattia di Charcot-Marie-Tooth
o Polineuropatia amiloide ereditaria
• Metaboliche e carenziali
o Uremia
o Deficit di vit. B 12

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Sbobine 2.0

o Neuropatia diabetica
• Disendocrine
o Neuropatia in corso di ipotiroidismo
• Tossica e medicamentosa
o Neuropatia alcolica
o Neuropatie da metalli (piombo)
o Neuropatia da collanti, mastici, solventi.
• Traumatiche
o Mononeuropatie (o plessopatie) da compressione periferica
• Tunnel carpale
• Nervo ulnare al gomito
• Sindrome del plesso brachiale
• Tibiale posteriore al tunnel tarsale
o Radicolopatie da compressione causata da ernia
• Paraneoplastiche
• Iatrogena soprattutto post intervento

CLASSIFICAZIONE RELATIVA ALL’APPROCCIO CLINICO


• Sintomatologia del deficit:
o Disturbi della motilità: deficit di forza, ipotrofia muscolare;
o Disturbi della sensibilità: soggettivi e/o oggettivi;
o Disturbi neurovegetativi: della cute e degli annessi e/o delle funzioni viscerali (eg.
disfunzione erettile);
o Ipo/areflessia: importante e facile da evidenziare.
• Modalità d’insorgenza:
o Acuta: entro 4 settimane;
o Subacuta: 4-8 settimane;
o Cronica: >8 settimane;
o Recidivante: con remissioni e ricadute.
• Distribuzione anatomica:
o Mononeuropatia: condizione patologica da interessamento di un unico nervo. Esempi tipici
sono la mononeuropatia dell’ulnare al gomito, del mediano nel tunnel del carpo, lo
sciaticopopliteo esterno nel capitello della tibia (eg. nei suonatori di chitarra). Può essere da:
▪ Intrappolamento;
▪ Compressione: spesso iatrogena per l’uso di lacci arteriosi, soprattutto nell’arto
superiore. Il chirurgo spesso richiede un campo chirurgico ischemico ampio anche
per interventi poco invasivi;
▪ Ischemia;
▪ Diabete mellito;
▪ Infiltrazione o compressione neoplastica;
▪ Trauma acuto (taglio, strappamento);
▪ Altre cause: mixedema, artrite reumatoide, vasculite, amiloidosi, acromegalia,
sarcoidosi.
o Plessopatia: la più frequente è quella del plesso brachiale, spesso traumatica;
o Multineuropatia o neuropatia multifocale: condizione patologica dovuta all’interessamento
di più nervi in modo asimmetrico e asincrono. Le cause principali comprendono:
▪ Diabete mellito;
▪ Vasculiti e malattie reumatologiche: poliarterite nodosa, LES;
▪ Sarcoidosi;
▪ HIV/AIDS;
▪ Variante multifocale della CIPD;
▪ Forme ereditarie sensibili alla paralisi da compressione.

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Sbobine 2.0

o Polineuropatia: condizione patologica caratterizzata da coinvolgimento simultaneo di più


nervi con distribuzione simmetrica. Se ne deve indagare il coinvolgimento, il decorso, la
sintomatologia, l’interessamento dei nervi cranici.
o Radicolopatie: sono condizioni in cui il danno è a carico delle radici nervose e non di un nervo
specifico.
• Distribuzione dei sintomi: prossimali, distali o diffusi;
• Anatomia del danno: motorio, sensitivo, vegetativo (spesso non indagato, ma può dare disturbi
anche gravi, eg. diabetici costretti ad alimentazione parenterale per perdita della motilità per danno
del nervo vago) o, come avviene nella quasi totalità dei casi, misto;
funzione compromessa
ANATOMIA DEL DANNO
Per capire quali fibre sono coinvolte è ovviamente fondamentale la clinica.
Lesione delle fibre sensitive
• Deficit della propriocezione: risultato della lesione delle grosse fibre mielinizzate. Questo deficit
determina disturbi del movimento, in particolare atassia sensitiva. Questa forma si caratterizza per
instabilità e perdita di equilibrio, che si accentuano invitando ilpaziente a chiudere gli occhi (segno di
Romberg). Oltre all'atassia, ildeficit propriocettivo può portare a stimolazioni abnormi delle grosse
articolazioni, che possono così venire ad essere interessate da processi degenerativi (artropatia di
Charcot).
• Segni positivi: derivano da una ipereccitabilità delle fibre. Essi sono:
Dolore: spontaneo o provocato da lievi stimoli tattili.
Parestesie: dimostrabile mediante il segno di Tinel: una pressione su decorso
del nervo provoca una sintomatologia parestesica.
• Segni negativi: perdita della sensibilità nel territorio del nervo (o della/e radice/i) lese
(ipoestesia/anestesia). Questo può portare a ulcerazione.

Lesione delle fibre motorie


La semeiotica della lesione del motoneurone inferiore è ben diversa da quella del motoneurone superiore.
In sintesi, la denervazione muscolare induce atrofia e alterazioni dell'eccitabilità. In questo caso abbiamo
quindi:
• Sintomi positivi: derivano dall'ipereccitabilità muscolare che si genera nelle fibre denervate (nel
muscolo denervato si ha incremento esagerato compensatorio della sintesi di recettori colinergici
e canali del CA e del Na di membrana. Questo rende la fibra ipersensibile) e esprimono la
contrazione simultanea di più fibre. In particolare abbiamo:
o Fibrillazione: potenziali di piccola ampiezza e durata, registrabili a riposo, che esprimono
la comparsa di attività elettrica a riposo, risultato dell'ipereccitabilità. Questi potenziali
sono relativi all'attività di singole fibre e non sono pertanto ne avvertiti dal paziente ne
visibili dal medico.
o Fascicolazione: in questo caso l'ipereccitabilità non è relativa alla singola fibra, ma coinvolge
l'intera unità motoria, generando potenziali di lunga durata e grossa ampiezza. Questi
fenomeni sono avvertiti e visibili.
o Crampi: l'ipereccitabilità è estesa ad un intero muscolo e genera una contrazione
localizzata, persistente e dolorosa.
• Sintomi negativi : risultato della denervazione. Si manifestano come:
o Debolezza e deficit di forza (ipostenia): inizialmente lo sforzo è sostenuto dalle fibre innervate
da neuroni ancora sani,con faticabilità. Questo sintomo esordisce distalmente (tipica la
"caduta" del piede per interessamento del tibiale anteriore).
o Paralisi flaccida e atrofia: stadio evolutivo finale.
o Abolizione dei riflessi osteotendinei: importante differenza semeiologica con le lesioni del
motoneurone superiore (riflessi più vivaci).

Lesione delle fibre vegetative


Il loro interessamento è teoricamente possibile in tutte le forme, ma è particolarmente frequente e rilevante

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Sbobine 2.0

nella neuropatia diabetica e nelle forme più gravi di GBS. I sintomi relativi alla lesioni di fibre vegetative in corso
di polineuropatia sono: Ipotensione ortostatica e Anidrosi. Più rari sono anomalie pupillari, turbe sfinteriche,
disturbi dell'alvo, spasmi intestinali, secchezza delle mucose, impotenza.

CLASSIFICAZIONE PATOFISOLOGICA
In base alla localizzazione del danno, si distinguono:
• Assonopatia: da distruzione dell’assone;
• Neuronopatia: da distruzione del corpo cellulare a livello del motoneurone o del neurone sensitivo
del ganglio dorsale;
• Mielinopatia: da distruzione della mielina, su base infiammatoria o ereditaria.
• Forme miste (nella maggior parte dei casi, anche perché la demielinizzazione porta
conseguentemente a una perdita di funzione della funzione dell’assone e a una assonopatia).

Sul piano istopatologico il danno può essere prevalentemente a carico della mielina o dell'assone. Identificare questo
aspetto è importante, in presenza di un quadro clinico suggestivo di neuropatia, per attribuire i sintomi a una forma
specifica e per capirne la fisiopatologia. Alcune indagini (ENG) ci saranno di aiuto per discriminare le due forme.
Danno dell'assone
Il danno primitivo dell'assone può realizzarsi con due meccanismi:
1. Degenerazione Walleriana dell'assone a valle di una sede in cui la continuità dell'assone stesso è stata interrotta.
Si realizza quindi quando un assone viene "spezzato": questo si può realizzare in diversi modi:
• Lesioni traumatiche acute (taglio, strappamento)
• Lesioni traumatiche croniche (intrappolamento, compressione da ernia)
• Ischemia (neuropatia diabetica,vasculiti).
2. Degenerazione retrograda: è la conseguenza di una sofferenza neuronale primitiva e si caratterizza per la
progressione del danno in direzione del soma del neurone (all'indietro). È tipica delle neuropatie ereditarie, tossiche
(alcol, uremia, metalli), carenziali (vit. BI 2) e paraneoplastiche.

Se la neuropatia è risultato di un danno assonale:


- All'ENG vedremo:
• Velocità di conduzione conservata (guaina mielinica integra)
• Ridotta ampiezza delle risposte sia motorie che sensitive alla stimolazione del nervo: questo aspetto
esprime ilfatto che ci sono meno assoni a contribuire con il proprio potenziale al potenziale totale.
- All'EMG vedremo invece i potenziali di denervazione (fibrillazione e fascicolazione).

Danno della mielina


In molte neuropatie il danno primitivo è a carico della mielina. In particolare, la lesione interessa primitivamente
la cellula di Schwann (mielina nel SNP, mentre nel SNC si ha l’oligodendroglia); l'assone mantiene (almeno
all'inizio la sua continuità), mentre si ha degenerazione mielinica in uno o più tratti compresi fra 2 nodi di Ranveir
consecutivi. Questo modello di danno si realizza in più neuropatie, come:
• Neuropatie disimmuni: fra queste la GBS (acuta) e la CIDP (cronica).
• Alcune neuropatie ereditarie
• Neuropatie associate a gammopatia monoclonale

Se neuropatia è risultato di un danno mielinico:


- I reperti ENG caratteristici sono:
• Riduzione della velocità di conduzione: i potenziali nascono dopo rispetto al nervo normale.
• Dispersione temporale della risposta, che appare così di morfologia irregolare: questo è dovuto al fatto
che la corrente "passa" il tratto demielinizzato con più lentezza.
Questi primi due reperti li troviamo quando la demielinizzazione interessa un tratto internodale: si ha
riduzione della resistenza elettrica della fibra, con dispersione di corrente e ridotta efficacia
depolarizzante sui nodi successivi. La depolarizzazione a valle riesce comunque ad avvenire, perché nel
tratto demielinizzazione non viene dispersa tutta la corrente! Nei tratti a monte della demielinizzazione
la risposta ovviamente normale (la conduzione non ha ancora incontrato alcun danno!).

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Sbobine 2.0

• Se la lesione interessa 2-3 nodi adiacenti si disperde tutta la corrente e si ha blocco della conduzione,
definito come impossibilità di condurre l'impulso in un tratto di fibra con assone integro.
- All'EMG non avremo attività elettrica spontanea (come fibrillazioni e fascicolazioni) perché il terminale
assonico, responsabile del trofismo delle fibre, è integro!

DIAGNOSI DI LABORATORIO
La diagnosi è generalmente ecografica e elettromiografica, ma gli esami di laboratorio sono utili per la
diagnosi eziologica:
• Esami di 1° livello:
o Emocromo con formula;
o Proteinemia;
o Immunoglobuline totali e frazionate: valutazione delle catene leggere kappa e lambda;
o Glicemia e Hb glicata: soprattutto nel bambino, spesso il DM1 insorge con neuropatia
(“sindrome delle mani e dei piedi che bruciano”);
o Batteria reumatologica e vascolare;
o Marcatori paraneoplastici: ricercati soprattutto negli anziani.
• Esami di 2° livello:
o Valutazione endocrinologica: ormoni tiroidei e anticorpi, GH e IgF1;
o Determinazione ematica dell’enzima ACE.

NEUROPATIE DISIMMUNI
Le neuropatie disimmuni sono condizioni patologiche caratterizzate da un interessamento delle fibre
nervose periferiche mediato da meccanismi autoimmunitari. Possono essere classificate come:
• Acute e subacute: le più comuni:
o Sindrome di Guillain Barrè;
o Polineuropatia in vasculiti.
• Croniche:
o Assonali:
▪ Polineuropatia con Ab anti sulfatide;
▪ Polineuropatia in vasculite.
o Demielinizzanti: poliradicoloneuropatia infiammatoria cronica demielinizzante (CIPD) e
varianti, mononeuropatia motoria multipla (MMN), neuropatia motoria multifocale
(estremamente rara), MGUSP, polineuropatia con Ab antisulfatide e altri Ab
antiglucoconiugati, POEMS.
Possono essere divise in 2 grandi gruppi: quelle associate ad una patologia sottostante autoimmune o
infettiva sistemica e quelle primitive quali la sindrome di Guillan-Barré e la CIPD.

SINDROME DI GUILLAIN-BARRÈ
La sindrome di Guillan-Barrè è una poliradiculoneurite autoimmune, caratterizzata da infiammazione e
demielinizzazione delle radici spinali e dei nervi lungo il loro decorso. Fu descritta da due sottotenenti
dell’esercito francese, Guillan e Barrè, che la descrissero durante la Prima guerra mondiale nei soldati in
trincea, mettendola in relazione con malnutrizione e stress e consigliandone la cura con bistecche e vino.
È la più comune neuropatia demielinizzante acuta (incidenza 3-4 casi/100.000), fatale nel 5% dei casi, spesso
dà disabilità invalidanti.
La causa scatenante è una cross-reattività tra gli Ag del Clostridium Jejeni (batterio frequentemente presente
nel tubo gastroenterico del pollo → maggiore incidenza nei Paesi Asiatici) e gli Ag della mielina.

CRITERI CLINICI si dividono in:


• Indispensabili (dato che è una lesione del MT inferiore):

157
Sbobine 2.0

o Ipostenia progressiva (fino alla paralisi flaccida) e deficit di forza simmetrico, in assenza di
atrofia del muscolo.
Deficit motorio massimo raggiunto entro 4 (forma acuta) o 8 settimane (forma subacuta).
Esordisce a livello della muscolatura prossimale degli arti inferiori e nei casi gravi (assonali)
si estende rapidamente sia verso il basso (muscolatura distale, comportando tetraplegia
anche per 2 aa) che verso l’alto (muscoli respiratori e coinvolgimento dei nervi cranici);
o Ipo/areflessia osteotendinea;
• Di sospetto:
o Clinici:
▪ Disturbi sensitivi: distribuzione ascendente distale a calza o a guanto (parestesie,
disturbi della sensibilità profonda). Spesso precedono il quadro motorio.
▪ Disturbi dei nervi cranici (disfagia, disturbi dell’oculomozione, paralisi faciale);
▪ Disturbi autonomici (SNA del cuore: aritmie, principale causa di morte);
▪ Assenza di febbre all’esordio;
▪ Infezione antecedente: la sindrome segue spesso di 15-20 gg una sindrome
influenzale o interventi chirurgici maggiori;
o EMG: segni di polineuropatia prevalentemente demielinizzante.
• Di dubbio (mettono in dubbio la diagnosi!):
o Ipostenia asimmetrica: multiradiculopatia, in fase iniziale. Utile rachicentesi con
dissociazione albumino-gfhd: aumento albumina intretecale
o Disturbi sfinterici;
o Livello sensitivo: DD con mielite ascendente;
o Pleiocitosi liquorale;
o Ipostenia dei muscoli respiratori predominante all’esordio.

DIAGNOSI
Oltre ai due criteri indispensabili alla diagnosi, può essere d’aiuto fare:
- rachicentesi, che mostra nel liquor una dissociazione albumino-citologica: aumento delle proteine a
livello intratecale in presenza di una conta cellulare normale, non specifico ma suggestivo. A volte la
rachicentesi è negativa, in quanto il picco di produzione degli anticorpi è dopo 3 settimane: se fatta
prima, è negativa. Talora nel sangue sono evidenziabili anticorpi diretti contro vari gangliosidi.
- elettrofisiologia, dato che il danno è primitivamente mielinico:
(1) riduzione della velocità/blocchi di conduzione,
(2) prolungamento della latenza dell’onda F, a causa della radicolite
(3) assenza dei potenziali di denervazione all’EMG.
- Istologia, le radici nervose presentano processi infiammatori con infiltrati linfomonocitari.

EVOLUZIONE
Esaurita la fase acuta possono residuare disabilità (20%), ma la maggior parte dei pz recupera a pieno. Il
recupero inizia 2-4 settimane dopo lo stop della progressione. NB. È una malattia monobasica e le ricadute
sono molto rare, tanto che quando si realizzano si mette in dubbio la diagnosi di GBS.

SOTTOGRUPPI di malattia particolari sono:


AMAN • Forma pura motoria: senza interessamento dei nervi cranici, dopo infezione da C. Jejeni, con Ab GM1
positivi;
AMSAN • Forma sensitiva respiratoria: con interessamento dei nervi cranici, dopo infezione da CMV, con Ab
GM2 positivi;
• Sindrome di Miller-Fisher: variante rara dopo infezione da C. Jejeni, con Ab GQ1b positivi. L’età
media di insorgenza è 40 aa, con massima frequenza in Giappone. L’onset tipico è dato da paralisi
della motilità oculare estrinseca con diplopia asimmetrica, atassia, areflessia, parestesie e sindrome
vertiginosa. Il decorso è rapido, con comparsa dei sintomi in una settimana.
oftalmoplegia, atassia, areflessia

Acute Inflammatory
Demyelinating
158
polyneuropathy —>
GBS classica
Sbobine 2.0

POLIRADICOLONEUROPATIA INFIAMMATORIA DEMIELINIZZANTE CRONICA (CIPD)


CRITERI CLINICI:
o Ipostenia simmetrica prossimale ai 4 arti per almeno 2 mesi;
o Deficit sensitivi meno importanti;
o Ipo/areflessia profonda;
o Talvolta coinvolgimento dei nervi cranici;
o Decorso cronico o remissioni e ricadute: patologia che dura tutta la vita.

DIAGNOSI
- Rachicentesi: presenza di dissociazione albumino-citologica;
- EMG: simile a GBS, VdC rallentate, blocchi di conduzione, aumento delle latenze, risposte tardive;
- Biopsia del nervo: talora necessaria per confermare la diagnosi. Mostra infiammazione con infiltrato
cellulare di tipo cronico (T, macrofagi).

VARIANTI CLINICHE
o CIPD multifocale;
o Variante sensitiva demielinizzante;
o Altre: infantile, con diabete mellito, con Ig antitubulina, etc.

NEUROPATIA MOTORIA MULTIFOCALE CON BLOCCHI DI CONDUZIONE (MMN)


CARATTERISTICHE CLINICHE
o Deficit motorio asimmetrico, soprattutto degli arti superiori (esordio distale);
o Ipotrofia muscolare (segno di denervazione muscolare);
o Iporeflessia incostante;
o Decorso cronico e progressivo, più raramente a scalini.

DIAGNOSI
La MMN presenta alcune caratteristiche elettrofisiologiche tipiche e patognomoniche, è opportuno ricorrervi
evitando la biopsia (complicanze e aspecifica).
• EMG: blocchi multifocali della conduzione motoria (segno di demielinizzazione delle fibre motorie),
con calo della conduzione di almeno il 30%, ma non sensitiva all’interno dello stesso nervo misto
grazie a selettività autoimmunitaria;
• Ecografia: ingrossamento a salsicciotto delle fibre nervose con fascicoli disomogenei (segno di danno
assonale) che non interessa le fibre sensitive.

NEUROPATIA GAMMOPATIA-CORRELATA
La gammopatia monoclonale è una condizione caratterizzata dalla proliferazione di un clone plasmacellulare
con secrezione di immunoglobuline, in particolare della componente monoclonale (proteina M) che consiste
di due catene polipeptidiche pesanti della stessa classe e sottoclasse e due catene polipeptidiche leggere
dello stesso tipo.
La MGUS (gammopatia monoclonale di significato indeterminato) è caratterizzata dalla presenza di proteina
M, senza evidenza amiloidosi, mieloma multiplo e macroglobulinemia. È diagnosticata sulla base della
concentrazione stabile di proteina M nel siero <3g/dL, la presenza di plasmacellule nel midollo osseo <5%,
l’assenza di lesioni osteolitiche, anemia, ipercalcemia e insufficienza renale.
La neuropatia MGUS-correlata è una poliradicolopatia sensitivo-motoria con inizio insidioso ed evoluzione
clinica progressiva in mesi o anni, con parestesie, atassia e dolore e senza coinvolgimento dei nervi cranici.
In una percentuale variabile di pz, la componente M evidenzia reattività verso la glicoproteina mielinica MAG,
per questo si associa frequentemente a neuropatia.

Neuropatia con IgM anti-MAG. La neuropatia legata ad IgM anti-MAG, componente della mielina, sono
progressive, con interessamento sensitivo o sensitivo-motorio prevalentemente simmetrico, distale agli arti
inferiori e decorso lentamente progressivo.

159
Sbobine 2.0

Diagnosi:
- Dimostrazione ematologica della componente M specifica per la MAG
- Indagini elettrofisiologiche: demielinizzazione prevalentemente distale delle fibre nervose
- Modesto aumento del contenuto proteico del liquor, in assenza di ipercellularità

TERAPIA DELLE NEUROPATIE DISIMMUNI


• GBS + varianti: plasmaferesi (PE) nelle forme acute e gravi e immunoglobuline endovena (IVIg).
Fondamentale trattare le complicanze della malattia (ventilazione meccanica e controllo aritmie);
• CIDP: prednisone, IVIg, ciclosporina A, PE;
• MMN: IVIg, Rituxan (immunosoppressori);
• Anti-MAG: PE+CY, ivig, Rituxan, fludarabina;
• Anti-solfatide: IVIg, PE+Cy.

insufficienz
ALTRE NEUROPATIE ACQUISITE a dei vasa
NEUROPATIA DIABETICA vasorum
La neuropatia diabetica è la complicanza più frequente del diabete mellito, seppur spesso sia trascurata.
Singolarmente ha la maggior frequenza nel mondo occidentale. L’eziologia non è certa, è forse vascolare o
legata al sorbitolo.
I fattori di rischio sono: l’iperglicemia poco controllata, la durata della malattia, il sesso maschile,
l’ipertensione arteriosa.
Eziopatogenesi
Ancora oggi è controversa; sono proposti due meccanismi che probabilmente coesistono:
1. Danno ischemico, con degenerazione Walleriana a valle, legato alla microangiopatia
diabetica. Questo meccanismo spiega meglio le forme che si manifestano come mono o multi-
neuropatia. via dei polioli
2. Sofferenza neuronale primitiva, con degenerazione retrograda, dovuta alla disregolazione del
metabolismo neuronale. Questo meccanismo spiega meglio le polineurpatie ad esordio distale
e progressione prossimale.
Clinica
In corso di diabete l'interessamento dei nervi periferici può essere molto variabile da un paziente
all'altro e nello stesso paziente. Si riconoscono in generale forme simmetriche e asimmetriche.
- Simmetriche ·
o Polineuropatia sensitiva
o Polineuropatia sensitivo-motoria distale: è la forma più comune. Esordisce con lievi
deficit sensitivi distali (parstesie, formicolii, disestesie notturne, iporeattività achillea).
Il quadro progredisce lentamente: il deficit sensitivo si esacerba e va a coinvolgere tutti
i tipi di sensibilità, favorendo la comparsa di processi distrofici cutanei (piede diabetico).
Nelle forme più gravi si arriva ad atassia sensitiva per deficit propriocettivo (pseudo
tabe diabetica). Deficit motori lievi.
o Neuropatia vegetativa: il diabete è la causa più frequente di neuropatia autonomica.
Si manifesta con disturbi pupillari, GI, cardio-circolatori, urogenitali, anidrosi.
- Asimmetriche
o Mono-neuropatie: coinvolgimento acuto di un singolo nervo lungo il suo decorso
periferico. Quelli più frequentemente coinvolti sono oculomotore, abducente,
ischiatico e peroneo profondo.
o Multi-neuropatie: coinvolge arti, del tronco, craniali. C’è interessamento motorio e
sensitivo, che si manifesta con dolore.

NEUROPATIA TOSSICA DA PIOMBO

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Sbobine 2.0

La neuropatia da piombo era tipica dei tipografi, ora poco osservata. Essendo dovuta al maneggiamento di
tasselli di piombo, si manifestava tipicamente con:
- paralisi del nervo radiale (mano che fa le corna, quindi è una neuropatia prevalentemente motoria),
- anemia (il Pb blocca la sintesi dell’eme),
- disturbi addominali (coliche addominali),
- stomatite con orletto gengivale nerastro.
Il piombo ha azione diretta tossica e indiretta tramite meccanismo vascolare sul neurone.
La diagnosi si pone con anamnesi (esposizione al Pb) e evidenziando Pb nel sangue, urine e liquor.

NEUROPATIE RARE
• Disendocrine: dovute a distiroidismo e ipotiroidismo, oggi rare per i progressi farmacologici;
• Uremica: complicanza dell’insufficienza renale cronica avanzata, sempre più rara grazie alla dialisi. Il
danno assonale è una conseguenza della sofferenza primitiva dell’assone stesso (meccanismo di
danno della degenerazione retrograda). All’inizio i disturbi sono prevalentemente positivi e distali:
disestesie, dolore urente, paestesie notturne e la tipica restless leg syndrome. Successivamente
quadro misto sensitivo-motorio.

NEUROPATIE CARENZIALI
I principali elementi che possono essere responsabili di neuropatica carenziale sono:
subacute • Vitamina B12: il deficit di B12 provoca danno assonale, che si estrinseca in una neuropatia sensitiva
combine distale e simmetrica. Tuttavia, è raro che ildeficit determini un interessamento isolato dei nervi
d periferici, ma coinvolge anche il SNC (vedi midollo). Proprio per questo è tipico trovare reperti clinici
degenera che indicano sia una lesione dei fasci midollari (Babinsky+), sia delle vie periferiche (areflessia
tion achillea).
• Vitamina Bl (tiamina): la maggior parte delle neuropatie degli ubriaconi è dovuta deficit di tiamina.
Si tratta di una polineuropatia sensitivo motoria distali agli arti inferiori.
• Vitamina B6: un suo deficit si realizza in terapia con isoniazide. Si manfiesta sia con disturbi centrali
(psicosi) e periferici (polineuropatia sensitiva distale con parestesie e disestesie).

NEUROPATIE GENETICHE
• Predisposizione ereditaria alla paralisi da compressione;
• Malattia di Charcot-Marie-Tooth;
• Polineuropatia amiloide ereditaria;
• Malattia di Fabry;
• Malattia di Refsum;
• Abetalipoproteinemia;
• Atassia di Friederich;
• Leucodistrofia metacromatica;
• Neuropatia assonale gigante;
• Atassia-teleangectasia.
SINDROME DI CHARCOT-MARIE-TOOTH (o neuropatia sensitivo-motoria ereditaria)
La sindrome di Charcot-Marie-Tooth è una sindrome autosomica dominante a carico del SNP distinguibile in
varie forme diverse per gene mutato e sintomatologia:
• Forme demielinizzanti:
o CMT1: causa una neuropatia ereditaria con predisposizione alla paralisi da compressione nel
giovane e nell’adolescente. Può essere distinta in CMT1A (da difetto genetico sul cromosoma
17), CMT1B, CMT1C, HNPP;
o Dejerine-Sottas: forme gravi ad esordi precoce (nei primi anni di vita, di interesse
neuropediatrico). Con velocità di conduzione di pochi m7s, i nervi hanno un aspetto a cipolla

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per avvolgimenti concentrici patognomonici di mielinizzazione e demielinizzazione visibili


all’ecografia (prima era necessaria la diagnosi bioptica);
o CMT4: di tipo A, B e C con difetti rispettivamente sui cromosomi 8, 11 e 5;
o CMT-X: forma X-lined per mutazione del gene della connessina, che regola il processo di
mielinizzazione delle cellule di Schwann. Si manifesta, oltre che con la neuropatia, con
ipoacusia precoce, lieve ritardo intellettivo, lesioni aspecifiche della sostanza bianca visibili
alla RM e alterazioni del visus e delle vie piramidali.
• Forme assonali (danno primariamente assonale):
o CMT2: di tipo A, B, C, D, E in base ai diversi locus mutati.

In generale, la CMT è una malattia progressiva che può portare ad esiti completamente differenti: da
insignificanti variazioni nelle capacità motorie all’atrofizzazione degli arti (che arrivano ad avere una forma
assottigliata) con una serie di effetti collaterali, da difficoltà di deambulazione e dolori muscolari fino alla
necessità di sedia a rotelle permanente.
La forma più diffusa è la forma JA, dovuta a mutazione puntiforme del gene PMP22. In questa forma il danno
è prevalentemente mielinico, con velocità di conduzione (motoria e sensitiva) rallentata. Esistono anche
forme legate a mutazioni della transtiretina.

CLINICA
- perdita di tono muscolare e sensibilità al tatto, soprattutto agli arti inferiori al di sotto del ginocchio:
il pz ha tipicamente gambe a collo di bottiglia di champagne rovesciato (molto sottili dal terzo distale
della coscia) e piede cavo con dita a martello (le dita a martello devono sempre far pensare a
neuropatie congenite, in quanto è necessario un lungo tempo perché le dita si deformino) per atrofia
della muscolatura intrinseca. LMN-type motor symptoms
- meno frequentemente e negli stadi più avanzati gli effetti si notano anche negli arti superiori (sotto
al gomito).
TTR-related-amyloidosis
POLINEUROPATIA AMILOIDE EREDITARIA
La polineuropatia amiloidosica familiare è una neuropatia sensitivo-motoria con interessamento del
sistema nervoso autonomo, che porta a gravi aritmie con rischio di morte cardiaca.
Si associa a cachessia e notevole perdita di peso. Ha elevata incidenza in Portogallo, Svezia e Giappone.
La terapia risolutiva è il trapianto di fegato.

NEUROPATIA EREDITARIA SENSIBILE ALLA PARALISI DA COMPRESSIONE (HNPP)


La predisposizione ereditaria alla paralisi da compressione è un disturbo disautonomico autosomico
dominante per delezione del 17p a livello del gene PMP22.
È una mielinopatia: il processo di demielinizzazione e rimielinizzazione porta alla formazione di rigonfiamenti
del nervo noti come tomacula, in pz giovani con compressioni frequenti.
Clinicamente si hanno frequenti mononeuropatie da intrappolamento, talvolta anche simmetriche; questo
all’EMG provoca blocchi di conduzione.

ECOGRAFIA
Oggigiorno la diagnosi di neuropatia si fa con l’ecografia, che mostra l’architettura fascicolare, le sezioni
trasversali (aspetto ad alveare) e longitudinali.
Nella sindrome di Charcot-Marie-Tooth si evidenzia un’irregolarità del decorso, con ispessimenti e
restringimenti.Nelle forme acute si possono vedere le radici edematose, ingrandite e ispessite.
Nelle forme croniche si possono vedere deformazioni come neurofibromi.

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NEUROPATIE TRAUMATICHE
• Da compressione-intrappolamento: prototipo della compressione è l’ernia, dell’intrappolamento è
la S. del tunnel carpale.
o Plesso brachiale: sindrome di Pancoast-Ciuffini;
o Mediano al tunnel carpale;
o Ulanre al gomito;
o Sciatico-popliteo esterno al capitello della fibula;
o Tibiale posteriore al tunnel tarsale.
• Da lesione traumatica acuta: taglio (prototipo lesione di un n periferico durante un intervento
chirurgico, forma iatrogena) o strappamento (prototipo, strappamento del plesso brachiale in un
incidente).
A seconda del punto anatomico in cui si realizza il trauma, si distinguono:
- Patologie radicolari (sono interessate le radici),
- Patologie plessiche (lesioni del plesso),
- Patologie dei nervi lungo il loro decorso (mononeuropatie).

PATOLOGIE RADICOLARI (ernie discali)


Sono compresse le radici nervose in un punto compreso tra la loro emergenza dal midollo e la fuoriuscita a livello del
foro intervertebrale. I sintomi sono dovuti all’alterazione dell’innervazione della radice compressa e non di un nervo.
Gli aspetti clinici generali di queste condizioni sono:
• Dolore: distribuzione metamerica ben definita; il dolore generalmente non è continuo, ma viene
esacerbato da tosse, pressione addominale, mobilizzazione del rachide e manovre che stirano le
radici coinvolte (ad es. Lesegue)
• Parestesie: anch'esse in un territorio metamerico ben definito
• Deficit motorio: di solito mai completo (se coinvolta una singola radice), perché ogni muscolo è
innervato da fibre provenienti da più radici. Se sono coinvolte più radici ovviamente il deficit
può essere più rilevante.
• Iporeflessia: dovuta sia all'abolizione dell'arco afferente sensitivo che al deficit dell'arco efferente
motorio.
La causa più frequente di sindromi radicolari sono le ernie discali, cioè la fuoriuscita di materiale che compone il nucleo
polposo, il quale si fa strada attraverso le fibre lesionate dell’anello fibroso, così può andare a comprimere o
danneggiare le strutture nervose adiacenti, provocando dolore. Il cedimento dell’anulus avviene per un processo
degenerativo, quindi dovrebbe colpire gli anziani, tuttavia negli anziani si ha anche disidratazione del nucleo polposo
che rende difficile l’erniazione: quindi le ernie si verificano più spesso in pz tra 30-40 aa.
Se l’ernia esce lateralmente tende a comprimere una radice (quella della vertebra sottostante), se esce centralmente
può comprimere anche altre radici (dando ad es. la S. della causa equina).
Fattori di rischio: vita sedentaria, sovrappeso, gravidanza, traumi ripetuti alla colonna, fattori congeniti genetici,
protratte posture viziate, uso eccessivo dell’auto.
Sedi preferenziali di insorgenza:
- Livello lombare (dischi più sollecitati a causa del maggior peso). Sindromi cliniche che ne derivano: lombo-
sciatalgia (compressione delle radici che danno origine al n. sciatico, L5-S1, con dolore dietro la coscia),
lombo-cruralgia (compresse le radici del n. crurale, L4-L3, con dolore davanti la coscia).
- Livello cervicale: cervicalgia.
- Livello dorsale: rare.

ASPETTI CLINICI IN REALAZIONE ALLA RADICE INTERESSATA


Radice Area di dolore e Muscoli ipovalidi Riflesso Eventuali
parestesie intaccato manovre
evocative di
dolore
C5 Spalla Deltoide (Bicipitale)

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C6 Superficie esterna di Bicipite Bicipitale


braccio, avambraccio e
mano (pollice)
C7 Superficie posteriore Tricipite Tricipitale
di braccio,
avambraccio e mano
C8-Tl Superficie mediale di Interossei mano Cubito-
braccio, avambraccio e pronatore
mano (mhmolo)
L3 Faccia anteriore e Quadricipite (Poco rotuleo) Wasserman
interna coscia (non
oltre il ginocchio)
L4 Faccia laterale coscia Quadricipite Rotuleo Wasserman
+ faccia anteromediale
gamba
L5 Faccia postero-laterale Estensore lungo NO Lesegue
coscia + faccia esterna dell'alluce
gamba + collo del piede (innervazione
esclusiva)
Sl Dietro di coscia e Tricipite surale (non Achilleo Lesegue
gamba + dorso piede ce la fa a flettere il
piede)

PATOLOGIE PLESSICHE
La peculiarità di queste situazioni è la presenza di una sintomatologia mista, motoria e sensitiva, che non corrisponde
ne al territorio di uno specifico nervo, ne di una singola radice. Facciamo riferimento al plesso brachiale, che è quello
più frequentemente coinvolto.

Sindromi traumatica acuta del plesso brachiale


Eziologia
Le lesioni acute (da strappamento) del plesso brachiale possono realizzarsi in varie condizioni:
• Incidenti stradali -causa più frequente; tipici sono gli incidenti dalla moto, con caduta sul
moncone della spalla e violento spostamento della testa dalla parte opposta.
• Traumi sportivi -in sport come lotta o rugby
• Lesioni ostetriche (evitiamo di approfondire)
A secondo della modalità e della intensità con cui si realizza iltrauma possono essere coinvolte più radici; in generale si
distinguono:
• Paralisi superiori -C5,C6 (C7)
• Paralisi inferiori -(C7), C8 e TI
• Paralisi totali
Aspetti clinici
Teoricamente, per valutare le radici interessate dalla lesione, potremmo ricorrere a tutta la raffinata semeiotica
elencata nella tabella della pagina precedente. Tuttavia, se consideriamo il contesto in cui si vanno il più delle volte a
visitare questi pazienti (spesso politraumatizzati) è opportuno ricorrere a qualcosa di più rapido e semplice. Si valuta
quindi la integrità dei nervi che originano dal plesso, invitando ilpaziente ad eseguire alcune semplici manovre:
• Nervo radiale -fare le coma
• Nervo mediano -pinza pollice-indice
• Nervo ulnare -indice e medio a "fare gli scongiuri"
• Nervo muscolo-cutaneo, si chiede di contrarre il bicipite.

Sindrome da compressione del plesso brachiale


Sindrome dovuta a compressione del plesso brachiale e/o delle strutture vascolari (arteria succlavia) ad esso adiacenti
in corrispondenza dello sbocco toracico. In questo caso la sindrome è sia nervosa che vascolare.

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Eziologia
Le cause di compressione sono riconducibili ad alterazioni dei tessuti duri (megapofisi trasversa di C7, costa
soprannumeraria), dei tessuti molli (muscoli scaleni) o a esiti traumatici. Le 3 causa prevalenti per frequenza:
• Pinza scalenica, per anomalie di inserzione dello scaleno
• Compressione tra prima costa e clavicola
• Sindrome da iperabduzione o del piccolo pettorale
Sintomatologia
La sintomatologia è accentuata da portare un peso, manovra che avvicina clavicola a prima costa comprimendo
ilfascio vascolo-nervoso.
I sintomi compariranno in due fasi:
• Fase iniziale: dolore alla spalla, che si associa a sintomi di tipo neurologico (parestesie di braccio e
mano, specie nel territorio del nervo ulnare, debolezza muscolare) e vascolare (cianosi, comparsa di
fenomeno di Raynaud che avrà la caratteristica di essere monolaterale).
• Fase avanzata: atrofia e paresi dei piccoli muscoli della mano.
Diagnosi
- Manovre semeiologiche: Manovra di Adson (mettere in tensione i muscoli scaleni) e manovra costo clavicolare
(diminuzione dello spazio costo clavicolare spingendo le spalle in basso e indietro).
- la diagnosi di certezza si ottiene con EMG (per la compressione nervosa) e eco-color-doppler (per la
compressione vascolare).

PATOLOGIE DEI NERVI PERIFERICI


Le mononeuropatie possono riconoscere anche cause non traumatiche (es neuropatia diabetica), tuttavia i quadri più
comuni sono dati da intrappolamento del nervo. Le sindromi da intrappolamento sono date da una compressione
acuta, cronica o intermittente di un nervo periferico lungo il suo percorso. La compressione si realizza in sedi in cui il
nervo decorre in un canale. La sintomatologia è data da: parestesie, deficit motori e dei riflessi, atrofia muscolare.
Sede Nervo interessato
Sbocco toracico Plesso brachiale
Tunnel carpale Nervo mediano
Tunnel cubitale Nervo ulnare
Canale di Guyon Nervo ulnare
Tunnel tarsale Nervo tibiale posteriore

S. del tunnel carpale


È la più comune neuropatia da intrappolamento e coinvolge il mediano. Comprare più spesso nel sesso F, a 50-60 aa.
Anatomia: il canale del carpo è delimitato da: ossa del carpo, ligamento trasverso; è attraversato da tendini flessori
delle dita, vasi e n. mediano. Il n. mediano ha un’innervazione sensitiva solo della mano (palmo laterale, faccia palmare
di 1-2-3-4 dito e falangi distali delle stesse) e motoria (flessori avambraccio, eminenza tenar).
Eziologia:
- aumento del contenuto del canale del carpo: tenosinoviti infiammatorie, edemi locali, amiloidosi, idiopatico,
- stenosi del canale del carpo su base ossea (frattura) o cicatriziale (post intervento).
Sintomatologia:
a) Fase iniziale: parestesie e disestesie nel territorio di distribuzione del nervo mediano; non si associano
il più delle volte a dolore franco. Compaiono con intensità ingravescente, specialmente di notte: il
paziente riferisce che si sveglia e "scuote" le mani tenendole verso il basso per far scomparire la
sintomatologia.
b) Fase avanzata: i sintomi assumono un andamento retrogrado, coinvolgendo prima
l'avambraccio e quindi la spalla; si fanno persistenti anche durante il giorno.
Inoltre compaiono deficit di tipo motorio, con perdita della forza di presa: il paziente
riferisce che gli cadono di mano gli oggetti. Questo aspetto si può testare invitando il paziente
afare lapinzai

c) Atrofia dei muscoli dell'eminenza tenar, che può apparire infossata. L'opposizione del pollice è
totalmente compromessa e questo appare affiancato alle altre dita (mano di scimmia).
Manovre semeiologiche
• Segno di Tinel: la pressione sul nervo mediano (con dito o martelletto) provoca dolore a "scossa elettrica"
nel territorio di distribuzione sensitiva.

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• Segno di Phalen: si invita il paziente a mantenere per 1 minuto la postura che si vede nella figura, con i dorsi
delle mani affrontati, avambraccia orizzontali e gomiti flessi. Il test è positivo se compaiono parestesie a
livello delle prime tre dita della mano.

Sindrome del nervo radiale


Cenni di anatomia e innervazione
Il n. radiale nasce in cavità ascellare, si porta nella loggia posteriore del braccio. In questo tratto,prima di arrivare
al gomito, stacca rami che innervano: Tricipite, muscoli della loggia laterale dell'avambraccio (brachioradiale e
estensore lungo del carpo), Cute posteriore di braccio e avambraccio.
Al gomito si divide in due rami:
• Profondo: si impegna nell'arcata di Froshe. Innerva: mm. estensori di carpo e dita e m. supinatore
• Superficiale: decorre superficialmente. Prima di arrivare alla mano si porta dorsalmente e innerva la cute
dorsale laterale della mano e delle dita 1,2, 3 e metà del 4 (esclude le falangi distali, dove va il mediano).
Eziologia
La sede principale di compressione del n. radiale è l'arcata di Frohse. Questa si può realizzare per: o Fibrosi
dell'arcata
o Fratture-lussazioni del gomito
o Sinoviti reumatoidi della borsa dell'articolazione del gomito
o Abitudini di vita che prevedono continui movimenti di prono supinazione del polso (nuotatori,
tennisti).
Clinica
Essendo compresso il ramo profondo, avremo deficit soltanto motori, non sensitivi. Inparticolare:
o Deficit nell'estensione delle dita: questo si rende più evidente a carico delle dita 3 e 4, che si avvalgono
solo dell'estensore comune; le dita indice e mignolo hanno anche estensori propri. Perciò, invitando il
paziente a estendere le dita, lo vedremo fare le corna. Si può saggiare questo deficit anche valutando
l'estensione contro resistenza.
o Deficit della supinazione
o Se ildeficit è molto grave viene persa del tutto la capacità di estendere il carpo e le dita, oltre che di
supinare la mano: essa apparirà cadente (mano pendula).

Sindrome da intrappolamento del nervo ulnare


Anatomia. Innervazione:
- Sensitiva – cute sia palmare che dorsale del 4 (metà) e 5 dito,
- Motoria: muscolatura anteriore avambraccio, interossei, lombricali 3-4 e adduttore del pollice
(mano)
Sedi di intrappolamento e meccanismi
1) Solco ulnare: ilnervo è compresso nel tratto in cui decorre nella doccia epitrocleo- olecranica a livello
del gomito. Questa situazione si realizza il più delle volte per il mantenimento prolungato di un
atteggiamento in flessione del gomito (ad esempio impiegati, studenti), per fratture del gomito o
per altri processi patologici come sinoviti.
2) Canale di Guyon: il nervo è compresso a livello del carpo durante ilsuo decorso nel canale
di Guyon. La causa è il_più delle volte riconducibile a ripetute azioni compressive su base
professionale, a traumi o a edema intracanalicolare.
Sintomatologia
• Parestesia della zona di distribuzione delle fibre del nervo ulnare (mignolo, metà ulnare dell'anulare,
lato ulnare della mano). Se la compressione si realizza al gomito è tipico che le parestesie compaiano
in flessione
La comparsa della sintomatologia è più subdola rispetto al tunnel
carpale, e quasi mai caratterizzata da dolore.
• Deficit motori a carico dei muscoli dell'eminenza ipotenar, dell'adduttore del pollice, e degli interossei
(non riesce a fare gli scongiuri).
• . Atrofia muscolare degli interossei
• Aspetto tipico "ad artiglio" del 4-5° dito (per deficit lombricali)
Segni semeiologici
Segno di Froment: ilpaziente non è in grado di trattenere un foglio tra ilpollice e l'indice estesi, ma è costretto a
flettere la falange distale del pollice utilizzando ilflessore lungo, di pertinenza del nervo mediano, essendo
deficitaria l'adduzione del police. Segno di Tinel e Dita a ''fare gli scongiuri".

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ATASSIA
L’atassia è un disturbo caratterizzato da progressiva incoordinazione muscolare (con perdita di alcuni
movimenti volontari), disturbi dell’equilibrio e della marcia, ipotonia muscolare e affaticabilità. Il classico
soggetto atassico è l’ubriaco.

CLASSIFICAZIONE
In base alla regione anatomica colpita
• Sensitive (tabetica): da lesione dei nervi sensitivi e delle vie sensitive spinali (cordoni posteropri), con
difficoltà nell’identificare l’esatta posizione di un segmento corporeo nello spazio;
• Cerebellari (primaria): da lesioni delle strutture vermiane (atassia del tronco) -emisferiche (atassia
arti omo laterali). Cause: neoplastiche, traumatiche, vascolari, infiammatorie, infettive;
• Vestibolari (labirintica) da lesioni complesse del vestibolo-cerebellare; lesione del cosiddetto
“tratto di Arnold”
• Frontali (cerebrale): da lesioni delle vie fronto-ponto-cerebellari. (Broadmann 10—> ponte
In base alla presentazione clinica e andamento —>cervelletto
• Acuta: Da alcol; Vascolare (infarto delle arterie cerebellari); Da farmaci: carbamazepina, fenitoina.
• Subacuta: Neoplastica; Paraneoplastica (atrofia cerebellare); Carenziale (vitamina E, B1, B12 e folati);
Infiammatoria-autoimmune (celiaca, da prioni).
• Cronica.
In base alla causa
• Centrali: infarto cerebellare, tossicità da alcol e droghe, tumori cerebrali, traumi SNC, ipertensione,
iponatriemia, encefalite epatica, SM.
• Periferiche: labirintiti acute, patologie vestibolari periferiche, vertigine posizionale benigna, S. di
Meniere, traumi labirintici, disturbi cervicali.
• Altre: iperventilazione, psicogena.
In base al piano funzionale di estrinsecazione
• Atassia statica: compare nel mantenimento di una certa postura, caratterizzata da: (1) incapacità di
mantenere la corretta posizione, (2) continue oscillazioni ampie e poli direzionali attorno all’asse di
equilibrio.
• Atassia dinamica: compare nell’esecuzione di un movimento volontario con alterazioni della fluidità
e armonicità del movimento ed esprime l’incapacità di produrre una contrazione efficace e misurata
dei muscoli implicati in base alla meta da raggiungere.

Argomento di questa trattazione saranno le atassie cerebellari.

CENNI DI ANATOMIA DEL CERVELLETTO


Il cervelletto è situato in fossa cranica posteriore, dorsalmente al tronco dell’encefalo, cui è unit da 3 coppie
di peduncoli. È costituito da una formazione mediana, il verme, e due laterali, gli emisferi. Fessure e solchi
dividono la superficie in lobi: il lobo flocculo-nodulare, l’anteriore e il posteriore.
È organizzato in 3 strati: uno molecolare con cellule a canestro, uno intermedio con cellule di Purkinje e uno
granulare con cellule dei granuli.
Filogenicamente si distinguono 3 parti con funzioni diverse:
• Lobo flocculo-nodulare: archicerebello o vestibolocerebello, con funzioni vestivolari. Spiega perché
in alcune emorragie si hanno sindromi vertiginose;
• Lobo anteriore: paleocerebello e spinocerebello, con connessioni con il midollo spinale;
• Lobo posteriore: neocerebello o corticopontocerebello-

SINDROMI CEREBELLARI
• Sindrome flocculo-nodulare: atassia statica e dinamica in assenza di dismetria degli arti, nistagmo.
Può essere dovuta tipicamente a tumori della linea mediana e medulloblastoma;

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• Sindrome del lobo anteriore: atassia dinamica. Si manifesta con marcia barcollante con base
allargata, tipica dell’alcolista, e arti lievemente rigidi (esagerazione del riflesso di sostegno positivo.
Può essere dovuta tipicamente ad atrofia cerebellare tardiva a predominanza corticale;
• Sindrome del lobo posteriore: ipotonia (ballottamento, pendolarità dei riflessi), dismetria, asinergia,
adiadococinesia, atassia statica, ipostenia, disartria (parola scandita), tremore cinetico (evidenziata
facendo strisciare il tallone sulla cresta tibiale o toccare la punta della mano con il dito a occhi chiusi).
Può essere dovuta tipicamente a lesioni tumorali e vascolari e all’atrofia olivopontocerebellare di
Dejerine-Thomas.
Compare in diverse patologie
ATASSIE SUBACUTE neurodegenerative, la principale la MSA
ENCEFALOPATIA DI WERNICKE
L’encefalopatia di Wernicke è una encefalopatia secondaria alla carenza di tiamina (B1) e al conseguente
rallentamento delle reazioni enzimatiche implicate nel metabolismo di carboidrati e amminoacidi. La causa
più frequente è l’alcolismo cronico, seguita da epatopatie, malnutrizione e trapianti.
Istologicamente si apprezza rarefazione neuronale con proliferazione gliale e microemorragie. Malnutrizione,
tipicamente
La triade clinica comprende:
secondaria ad
• Atassia assiale da atrofia vermiana; alcolismo cronico
• Compromissione oscillante della coscienza con confabulazioni; Korsakoff
• Deficit dell’oculomozione estrinseca per paralisi del 3° e 4° nc.
Alla RM si apprezza l’atrofia dei corpi mammilari. >tossicità diretta da alcol
Il trattamento prevede la somministrazione di alte dosi di tiamina ev. +- vitamine B1-deficiency
> si associa a
polineuropatia tossica
DEGENERAZIONE CEREBELLARE ALCOLICA
La degenerazione cerebellare alcolica è una sindrome caratterizzata da atassia cerebellare,
prevalentemente verminiana, associata a polineuropatia. È assente una correlazione tra la quantità di alcol
assunta o la durata dell’alcolismo e la comparsa di degenerazione.
Ha beneficio dalla sospensione dell’abuso alcolico e dal trattamento vitaminico con B1.

DEGENERAZIONE CEREBELLARE PARANEOPLASTICA


La degenerazione cerebellare paraneoplastica è caratterizzata da atrofia cerebellare associata a tumori
polmonari a piccole cellule, della mammella, dell’ovaio e a linfomi. Le manifestazioni cliniche cerebellari
precedono nel 60% dei casi quelli della neoplasia e sono spesso associate ad altri sintomi neurologici.
Istologicamente si apprezza riduzione o scomparsa delle cellule di Purkinje. Si ha presenza di Ab anti-cellule
di Purkinje e anti-neurone in siero e nel liquor (anti-Yo e anti-Hu).

EREDO-ATASSIE
• Non progressive: con ipoplasia congenita del verme e del tronco spinale e delle strutture ponto-
cerebellari. Si manifestano con atassia, ritardo mentale e segni piramidali (spasticità);
• Progressive:
o Autosomiche recessive:
▪ Malattia di Friedreich;
▪ Atassia teleangectasica o sindrome di Louis-Bar;
o X-linked:
▪ Sindrome dell’X-fragile.
o Autosomiche dominanti:
▪ Atassia cerebellare autosomica dominante (ADCA).

MALATTIA DI FRIEDREICH
Atassia spinocerebellare autosomica recessiva. È la forma più frequente di atassia ereditaria, presente in
popolazioni caucasiche con piccole variazioni di prevalenza, assente in Cina, Giappone Africa sub-sahariana.

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Sbobine 2.0

Ha una bassa prevalenza, in diminuzione per lo sviluppo di apposite metodiche di screening prenatale che
portano la maggior parte delle donne ad abortire.

Anatomia patologica: atrofia delle cellule a T dei gangli spinali, atrofia-degenerazione dei cordoni posteriori
e degenerazione del tratto spino-cerebellare dorsale e ventrale. Il processo degenerativo colpisce solo il
midollo (degenerazione assonale e demielinizzazione).
Mutazione: si localizza sul gene FRDA, codificante per la fratassina, nel cromosoma 9, per espansione della
tripletta GAA; atassia mista
Quadro clinico: sensitivo-
o Esordio a meno di 25 aa; cerebellare tratto cortico-spinale

o Progressiva atassia della marcia (tabeto cerebellare) senza


remissione: andatura tallonante a base allargata, rumorosa
(“l’ambulatorio del neurologo dovrebbe essere un corridoio
lungo 15 metri e il neurologo dovrebbe fare la diagnosi prima
che il paziente arrivi alla scrivania” -cit.). Nell’arco di alcuni
anni l’atassia interessa anche tronco e arti superiori
(movimenti volontari a scatti, impacciati e poco controllati);
o Tremore intenzionale, più comune a arti superiori può
interessare anche il tronco;
o Oscillazioni statiche del capo e tronco, accentuate da movimenti volontari conferiscono al pz la
caratteristica instabilità coreiforme;
o Disartria: da incoordinazione dei muscoli respiratori e mimici coinvolti nella fonazione (eloquio
balbettante, splosivo, strascicao, talora incomprensibile);
MTN superioreo S. piramidale si manifesta con una paraparesi o paraplegia flaccida a comparsa tardiva, assenza di
riflessi osteotendinei agli arti inferiori (per la grave neuropatia sensitiva) e Babinski positivo;
o Movimenti oculari in genere alterati;
o Deficit di forza degli arti inferiori;
o Ridotta sensibilità profonda: compromissione di batiestesia, kinestesia, pallestesia, stereognosia;
o Anomalie osteoscheletriche: piede cavo-equino-varo, cifoscoloiosi, alluce a martello;
o Diabete mellito tardivo; ipogonadismo;
o Crisi vegetative: dolori addominali, vomito, disturbi respiratori;
o Problemi cardiaci con anomalie elettrocardiografiche e cardiopatia ipertrofica;
o Progressione dell’astenia e dell’atassia con perdita della deambulazione autonoma a 15 anni (sedia
a rotelle) e sopravvivenza rara a più di 20 anni dalla diagnosi.
Diagnosi:
o Quadro clinico;
o Diagnostica molecolare: il gold standard è il test molecolare per l’espansione GAA nel gene FRDA,
anche nel carrier e nel feto;
o Potenziali evocati: compromissione costante dei potenziali somato-sensoriali;
o EMG: evidenza di neuropatia sensitiva assonale con PdA sensitivi ridotti o assenti e rallentata
conduzione motoria;
o RM encefalo e midollo: atrofia del midollo cervicale, modesta atrofia cerebellare e del tronco nelle
fasi avanzate;
o Istologia: ipotrofia cordonale e modesta ipotrofia cerebellare.
Terapia: Non c’è una cura. Idebenone: sembra rallenti la malattia ma non la cura. Terapia sintomatica per le
complicanze.

ATASSIA TELEANGECTASICA O SINDROME DI LOUIS-BAR


Da difetto di riparazione del DNA. Ha esordio a 1- 2 anni, in associazione con teleangectasie oculo-cutanee,
immunodeficienza e propensione a sviluppare linfomi. Il gene mutato è l’ATM. Alla RM si evidenzia atrofia
cerebellare.
- Segni cerebellari: a insorgenza precoce, si rendono evidenti quando il bambino inizia a camminare. Il
quadro atassico interessa inizialmente il tronco per poi distribuirsi anche agli arti e muscoli linguali e

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Sbobine 2.0

faringei con la “parola disartrica”. Successivamente compaiono anche coreo-atetosi, scosse


miocloniche, tremore intenzionale. Ci può essere abolizione dei riflessi profondi, nistagmo, Babinski
positivo, ipoestesie e amiotrofia.
- Segni cutanei: compaiono tra i 2-8 aa, come teleangectasie della congiuntiva bulbare che possono
estendersi alle palpebre, naso, nuca, orecchio esterno, estremità.
- Vi è una forte propensione allo sviluppo neoplastico, in particolare linfomatoso.

ATASSIA CEREBELLARE AUTOSOMICA DOMINANTE (ADCA)


gruppo clinicamente e geneticamente eterogeneo di atassie, dovuto a mutazioni da espansione di triplette
in vari geni, con distinzione in:
• Atassie spino-cerebellari (SCA): circa 30, la più frequente è la SCA2. Ha esordio intorno ai 30-40anni,
con sintomi atassici ed extrapiramidali. Alla RM si evidenzia atrofia olivo-ponto-cerebellare. Si
evidenzia all’esame neurologico atassia nelle prove indice-naso e calcagno-ginocchio e nella marcia.
Le più importanti sono:
o ADCA tipo 1: per atrofia olivo-ponto-cerebellare, degenerazione dei cordoni posteriori spianali e
delle vie spinocerebellari. Esordisce intorno ai 34 anni con atassia cerebellare progressiva, disartria
e dismetria, oltre che con anomalie dei movimenti oculari (oftalmoplegia sopranucleare e riduzione
dei movimenti saccadici);
o ADCA tipo 2: per atrofia olivo-potno-cerebellare e interessamento delle vie visive pregenicolate. La
sintomatologia è simile a quella dell’ADCA 1, all’esame del fundus oculi si evidenziano granuli di
pigmento nella macula;
o ADCA tipo 3: per atrofia cerebellare corticale, che si manifesta clinicamente con atassia cerebellare
pura a esordio tardivo (>50 aa) e decorso mite, con aspettativa di vita normale. La diagnosi si poe
con il test per l’espansione patologica di CAG e CTG (gold standard), RMN, potenziali evocati e analisi
del fundus oculi.
• Atassie episodiche (EA): circa 5. Sono caratterizzate da improvvisi episodi di atassia ad età d’esordio
variabile dalla 1° alla 5°decade accentuati da stress fisici e psichici.

ALGORITMO DI DIAGNOSI GENETICA (Lancet Neurology 2004)

CLASSIFICAZIONE DI HARDING DELLE EREDO-ATASSIE (1983)


• Atassie cerebellari congenite:
o Sindrome di Joubert;
o Ipoplasia ponto-cerebellare;
o Ipoplasia dello strato granulare;

170
Sbobine 2.0

o Sindrome di Gillespsie;
o Sindrome di Paine.
• Disordini atassici dismetabolici:
o Sindromi atassiche intermittenti:
▪ Con iperammonemia;
▪ Con aminoaciduria senza iperammonemia;
▪ Con disordini del metabolismo del piruvato e del lattato.
o Sindromi atassiche progressive:
▪ Abetalipoproteinemia;
▪ Ipobetalipoproteinemia;
▪ Deficit di esosaminidasi;
▪ Miopatie mitocondriali.
o Atassie associate a difetti di riparazione del DNA:
▪ Atassia teleangectasica di Louis-Barr;
▪ Xeroderma Pigmentosum;
▪ Sindrome di Cockayne.
• Disordini atassici ad eziologia ereditaria:
o Atassie degenerative ad esordio precoce:
▪ Atassia di Friederich;
▪ Atassia cerebellare precoce con riflessi osteotendinei conservati (EOCA);
▪ Atassia cerebellare con ipogonadismo;
▪ Atassia mioclonica progressiva o sindrome di Ramsay-Hunt o mioclono baltico;
▪ Altre.
o
Atassie degenerative a esordio tardivo:
▪ ADCA tipo 1; tipo 2, tipo 3.
o Atassie episodiche o parossistiche (AD): Improvvisi episodi di atassia ad esordio variabile
dalle 1 alla 5 decade accentuati da stress fisici e psichici. Sono descritti due maggiori sotto-
tipi clinico-genetici di questa rara condizione:
▪ EAJ/miochimia: brevi attacchi di atassia e disartria, della durata di pochi minuti,
trasmissione AR; = atassia
di F; atassia-teleangectasia associati a miochimie, scatenate in genere da cambiamenti di posizione repentini.
Ingenere gli episodi si manifestano più volte nell'arco della giornata. L'affezione è
legata ad una mutazione che coinvolge i canali del K neuronali.
▪ EA2/nistagmo: gli attacchi durano più a lungo, in genere ore o anche giorni. Sono
provocati dallo stress, dall'esercizio fisico, dall'alcol e in genere non si manifestano
più di una volta al giorno. Al contrario della EAl, la sindrome cerebellare può
progredire con atassia ingravescente e disartria. L'affezione è legata ad una
mutazione che coinvolge i canali del calcio.
L'acetazolamide sembrerebbe in grado di controllare gli attacchi di tali atassie e la
fenitoina di migliorare le miochimie dei muscoli del volto e della mano associate alla
EAI.

SEMEIOLOGIA NELLE ATASSIE


La valutazione dell'atassia si basa sull'esecuzione di diverse prove che possono essere così riassunte:
• Inizialmente si esamina il paziente in posizione seduta eseguendo la manovra di Mingazzini: questa prova deve
essere eseguita prima ad occhi aperti e poi ad occhi chiusi e può evidenziare un tremore. Infatti, come abbiamo
già discusso, il paziente cerebellare può avere difficoltà a mantenere una posizione fissa per diverse decine di
secondi, o meglio lo fa ma producendo oscillazioni ampie che indicano altrettante ampie oscillazioni dell'attività
muscolare agonista ed antagonista (atassia statica). In particolare:
o Se il tremore, le oscillazioni delle braccia, compaiono sia ad occhi aperti che ad occhi chiusi è
probabile che l'atassia sia imputabile ad una lesione cerebellare - atassia primaria! !
o Se il tremore, le oscillazioni delle braccia, peggiorano o compaiono ad occhi chiusi, mancando il
compenso visivo e rimanendo solo l'informazione propriocettiva per definire la posizione dei
segmenti corporei nello spazio, è probabile che la lesione sia a livello della dei nervi periferici e delle
vie spino-cerebellari -atassia tabetica!!

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+ Romberg sensibilizzato o “tandem Romberg test”


• Successivamente si esegue la Prova di Romberg, che valuta la stazione eretta chiedendo al paziente di
posizionarsi sull'attenti, ovvero con gli arti inferiori e superiori addotti. Questa prova, come la precedente, deve
essere eseguita prima ad occhi aperti (30 s) e poi ad occhi chiusi (60 s).
Nel soggetto cerebellare questa posizione può non essere mantenuta e comportare la caduta poli direzionale
sia ad occhi aperti che ad occhi chiusi, se la lesione è grave; se la lesione è lieve:
o Se le oscillazioni compaiono sia ad occhi aperti che ad occhi chiusi è probabile che l'atassia (statica)
sia imputabile a lesioni cerebellari (atassia primaria). In stazione eretta, nella posizione suddetta, il
soggetto con atassia primaria tenderebbe ad oscillare o a cadere, per cui spesso si può osservare un
allargamento della base d i appoggio con divaricazione degli arti inferiori e allargamenti degli arti
superiori al fine di un migliore bilanciamento; iltutto è associato ad un incessante attività dei muscoli
tibiali anteriori.
o Se l'oscillazione, o addirittura la caduta, si rilevano o peggiorano ad occhi chiusi, è probabile che
l'atassia statica sia imputabile ad una lesione dei nervi periferici e/o delle vie spino cerebellari -
atassia tabetica.
NB Il soggetto con atassia vestibolare o cade in qualsiasi direzione (sia ad occhi aperti che chiusi) se la
lesione è bilaterale, o cade sempre dalla stessa parte ovvero quella lesa, se la lesione è unilaterale.
• Infine, l'esame dell'atassia deve prendere in considerazione l'esame della deambulazione, che viene esaminata
chiedendo al paziente di percorrere un tragitto rettilineo di 3-4 m descritto da una linea sul pavimento. L'esame
della deambulazione permette, in caso di lezione cerebellare di individuare 2 tipi di atassia di atassia dinamica:
o Deambulazione atasso cereellare: tipica delle disfunzioni vermiane, caratterizzata dall’incapacità di controllare
la direzione della marcia, quindi il percorso è a zig zag e dalla difficoltà di stabilizzare l’equilibrio, per cui gli arti
inferiori e superiori sono abdotti. Ricorda l’andatura dell’ubriaco.
o Deamubulazione atasso-sensitiva o tabetica: tipica della neurolue (tabe dorsale) e delle neuropatie
periferiche, si caratterizza per il fatto che il soggetto è ipotonico e riferisce di sentire il terreno molle sotto i
piedi. La marcia è talloneggiante e il pz è non è consapevole della posizione degli arti inferiori nello spazio,
soprattutto quando gli impulsi propriocettivi , anomali o assenti, non sono compensati da quelli visivi. Infatti
questi pz hanno enormi difficoltà nella deambulazione a occhi chiusi, ma anche quando c’è penombra o poca
luce.
one tabeto-cerebellare: tipica di Atassia di Friedrich (combinazione di deficit cerebellare [tratti spino-cerebellari]
e sistema del lemnisco mediale)

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Sbobine 2.0

MALATTIE DELLA GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE


La placca neuromuscolare è la sede di trasmissione dell’impulso nervoso tra la terminazione nervosa e il
muscolo. Nella membrana presinaptica sono contenute le vescicole di Ach, con l’arrivo del PdA e l’ingresso
del Ca2+ queste vengono liberate. L’Ach nel vallo sinaptico si lega ai recettori post-sinaptici nicotinici sulla
membrana della fibrocellula muscolare, questo comporta depolarizzazione, attivazione dei Nav con
generazione del PdA e liberazione del Ca dal reticolo per la contrazione muscolare. Le patologie della placca
possono riguardare sia porzione pre- che post-sinaptica.

CAUSE DEL BLOCCO DELLA TRASMISSIONE NEUROMUSCOLARE


Versante pre-sinaptico (alterazione del rilascio di Ach, con abolizione del PdA):
paralisi spastica- anestetici locali (es. lidocaina),
da inibizione - tossine tetanica o botulinica, inibita esocitosi per
interneuroni taglio delle SNARE interferenza sui canali
inibitori GABA e
- ioni magnesio,
del calcio a livello del
glicinergici - veleno della vedova nera, Verapamil versante presinaptico
- alcuni antibiotici (aminoglicosidici) possono dare questo tipo di reazioni acute, quindi saranno
controindicati se sono già presenti questo tipo di patologie,
- sindrome di Lambert-Eaton, una sindrome paraneoplastica. anticorpi anti-VGCC
miorilassanti—> inibitori
della placca
Versante post-sinaptico (alterazione della depolarizzazione muscolare): neuromucolare (post-
- miastenia gravis, sinpatici)—> non
- curaro o principi con meccanismi curaro-simili (ambito anestesiologico), depolarizzanti/
depolarizzanti
- alfa-bungarotossina,
- malattie neuromuscolari che interferiscono con la trasformazione del PdA in azione motoria.

MIASTENIA GRAVIS
È una malattia autoimmune caratterizzata dalla presenza degli anticorpi anti-recettore dell’Ach, è quindi una
patologia di tipo post-sinaptico. Essendo bersagliati, i recettori saranno ridotti in numero, quindi il muscolo
riesce ad essere stimolato sempre meno, la contrazione è più debole e si arriva fino alla mancata contrazione
in seguito ad un’attività ripetuta e tende a recuperare dopo un periodo di riposo.

Ogni volta che avviene una nuova contrazione, si attiva un numero sempre minore di fibre muscolari. Si parla
quindi di faticabilità, concetto diverso dalla fatica. Tutti possiamo provare fatica nel momento in cui veniamo
sottoposti a sforzo, ma in caso di faticabilità il senso di fatica si ha entro tempi brevissimi e per sforzi davvero
minimi.

Come già detto, è una malattia autoimmune e nella sua patogenesi, quindi la formazione degli anticorpi,
gioca un ruolo centrale il timo (dove sono prodotti gli auto-ab). Nel 90% dei cas di miastenia il timo è alterato
da un’iperplasia o da un timoma (in questi pz esistono popolazioni linfocitarie eccessivamente sensibilizzate
e poi c’è uno shift della risposta immune). Questi anticorpi si legano al recettore colinergico e portano alla
lisi. Un tempo era una malattia molto grave, non trattabile e controllabile (da qui il nome miastenia gravis),
ma una volta che è stato compreso il meccanismo di danno ed è iniziato l’uso degli immunosoppressori, la
maggior parte dei pazienti può ad oggi svolgere una vita quotidiana praticamente normale. Per questo
—>fissazione del complemento
motivo si preferisce chiamarla semplicemente “miastenia autoimmune”. 90%—> anticorpi anti-AchR depaupermento AAchR;
5%—> anticorpi anti-Musk —> difettosa aggregazione AchR sulla
membrana post-sinaptica
È abbastanza rara, colpisce 1:10 000 con preferenza per le donne, soprattutto giovani (20 aa); la distribuzione
della sua incidenza è detta “a corna” (bimodale) e quindi troviamo un altro picco alla V-VI decade, riguardante
però soprattutto gli uomini (vanno più facilmente incontro a tumori del timo). I muscoli più colpiti possono
appartenere a diversi distretti: oculari estrinseci nella forma oculare (diplopia e ptosi palpebrale), muscoli
della testa, della masticazione e della deglutizione (disfagia); ci sono poi anche le forme sistemiche
generalizzate. Queste ultime sono quelle che più frequentemente possono peggiorare improvvisamente, in
un quadro detto “crisi miastenica” (crisi respiratorie) che si verifica spesso a seguito della presenza di alcuni
fattori trigger come l’assunzione di farmaci (es. alcuni antibiotici, miorilassanti, benzodiazepine, ansiolitici) o

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Sbobine 2.0

una banale influenza. La crisi può essere potenzialmente letale, ma solitamente una volta fatta la diagnosi si
mantiene la patologia ben controllata con il trattamento senza troppe difficoltà.

CLASSIFICAZIONE DI OSSERMAN E JENKINS


La miastenia ha varie forme, classificate con i numeri romani.
- I - Miastenia oculare
- II - Miastenia generalizzata lieve
IIA - Miastenia generalizzata lieve senza interessamento “bulbare”
IIB - Miastenia generalizzata lieve che colpisce la muscolatura orofaringea: tipicamente il pz ha
bisogno di fermarsi 20-30 s per ricominciare a masticare, soprattutto con alimenti come la carne
che deve essere masticata più accuratamente.
- III - Miastenia generalizzata moderata
IIIA - Miastenia generalizzata moderata senza interessamento “bulbare”
IIIB - Miastenia generalizzata moderata che colpisce la muscolatura orofaringea
- IV - Miastenia severa
IVA - Miastenia generalizzata grave con poco coinvolgimento della muscolatura “bulbare”
IVB - Miastenia generalizzata grave che colpisce prevalentemente la muscolatura orofaringea
- V - Miastenia con intubazione con o senza ventilazione assistita
Oltre agli anticorpi anti-recettore colinergico post-sinaptico, sono spesso ritrovati anche anticorpi circolanti
contro le proteine MuSk (muscle-specific tyrosine kinase) della giunzione neuromuscolare. Essa è una
proteina di membrana che determina la corretta aggregazione dei recettori per Ach sulla membrana post-
sinaptica, nel caso in cui venga bloccata si genera comunque miastenia.

Esiste anche una forma neonatale dovuta al passaggio di IgG attraverso la placenta materna, ma è una forma
transitoria che si risolve nel giro di 15-20 giorni.
difetto congenito di placca neuromuscolare

Vi è poi anche una forma congenita che sviluppano alcuni bambini, la quale presenza le stesse caratteristiche
di quella degli adulti, ma fortunatamente è molto rara (è difficile da diagnosticare).

Sono da ricordare anche le sindromi miasteniche iatrogene, legate all’assunzione di farmaci che peggiorano
trasmissione dello stimolo nervoso a livello della placca (es miastenia da penicillamina). Verapamil amminoglicosidi

EZIOPATOGENESI
Gli autoanticorpi rivolti contro il recettore colinergico nicotinico, legandosi ai recettori danno luogo a due
fenomeni:
- Ne alterano la conformazione sterica determinando l’internalizzazione tramite pinocitosi. All’interno
della cellula muscolare i recettori vanno incontro a digestione lisosomiale: il risultato è che sulla
cellula muscolare si hanno meno recettori nicotinici.
- Fissano il complemento conseguente lisi delle membrane post sinaptiche muscolari. vero e proprio danno di membrana

CLINICA
È caratterizzata da debolezza muscolare che aumenta durante l’attività fisica e
migliora dopo un periodo di riposo. Essendo i muscoli della faccia e delle palpebre
tra i più colpiti, i pazienti presentano un’espressione tipica, la cosiddetta facies
miastenica: ptosi palpebrale con corrugazione della fronte per compensare,
tentativo di tenere la testa alta durante la camminata.

Di solito l’esordio è lento, ma talvolta posso averlo improvviso e acuto e in questi


casi il paziente viene ricoverato in rianimazione: sempre prestare attenzione a segni
allarme come ptosi palpebrale e diplopia e strabismo.

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Sbobine 2.0

La sintomatologia solitamente si presenta verso sera, la diplopia può essere scostante (solo in alcuni giorni e
confonde le decisioni riguardo al percorso diagnostico). Oltre al coinvolgimento dei muscoli oculari
(miastenia oculare, localizzata), ci può essere coinvolgimento di altri distretti (miastenia generalizzata):

- Muscoli del tronco e degli arti: instabilità della stazione eretta, debolezza nelle braccia, nelle mani,
nelle dita, nelle gambe e nel collo,
- Muscoli bulbari (innervazione bulbare): disturbi della deglutizione, fonazione (voce nasale o rinolalia,
quasi incomprensibile) e respirazione (fiato corto). Le difficoltà nella deglutizione e la disfagia
possono esitare in polmonite ab ingestis o megaesofago acquisito.
- Muscoli masticatori.

L’andamento della malattia è progressivo, man mano che passa il tempo la sintomatologia sarà sempre più
accentuata (affaticabilità sempre più precoce e tempi di recupero sempre più lunghi).

Nella miastenia ¼ dei pazienti presenta timoma (benigno o maligno), condizione che predispone fortemente
all’insorgenza di questa malattia autoimmune. Inoltre, buona parte dei pazienti presenta miglioramenti nel
controllo di malattia dopo la resezione del tumore/la rimozione del timo. Per verificare la presenza di queste
anomalie è necessario eseguire una TC con mdc (RMN può andare bene, ma si usa meno); è importante usare
il mdc per individuare eventuali sedi ectopiche di timo in quanto tutto il tessuto presente nell’organismo
deve essere tolto. In caso contrario non si potrà avere nessun miglioramento dal punto di vista
autoimmunitario perché resta una sorta di “serbatoio di malattia”. Le meta-analisi sono tutte concordanti
sulla necessità di rimuovere il timoma, ma non hanno ancora dato risultati chiari riguardo all’iperplasia timica.
È anche da considerare il fatto che, soprattutto fino a qualche anno fa, l’intervento era molto invasivo e
necessitava di una sternotomia mediana; oggi fortunatamente le tecniche chirurgiche sono migliorate e sono
disponibili approcci mini-invasivi, come la chirurgia robotica o l’accesso dalla base del collo.

DIAGNOSI
Può essere complessa perché i sintomi possono essere subdoli o difficili da distinguere da altre situazioni
para-fisiologiche o da disturbi neurologici.

- Anamnesi e EO: sensibili e specifici. Devo analizzare bene la faticabilità durante l’anamnesi (quando
compare, quando peggiora) e indagare la scomparsa/inibizione del riflesso patellare durante l’EO
(oppure si chiede al pz di stringere i pugni ripetutamente, il pz perderà forza che all’inizio è normale).
- Test con anticolinesterasici: specifico. Test all’edrofonio cloruro (Tensilon): è un test farmacologico
con anti-colinesterasi. In Italia non più in commercio. Richiede la somministrazione ev prima di 2 mg
e successivamente, in assenza di effetti avversi, di 10 mg. Rallenta l’idrolisi dell’Ach da parte delle
colinesterasi e quindi ne aumenta temporaneamente i livelli nella giunzione. Si vede
immediatamente l’apertura dell’occhio se è presente ptosi. Questo test va eseguito in presenza di
un anestesista perché vi è rischio di arresto cardiaco.
- Ricerca di anticorpi: specifico. Sono esami ematici con cui escludo altre malattie e ricerco gli
anticorpi. Ricerco quelli anti-recettore nicotinico e anti-MuSK (anti-Musk presenti nel 70% dei casi,
anti-AchR presenti nel 90% dei casi nella forma generalizzata, 50% nella localizzata). Se ricerco quelli
anti-
VGCC
anti-canale del calcio posso fare anche DD con la sindrome miasteniforme di Lambert Eaton.
- Test di stimolazione ripetitiva: specifico. Elettromiografia singola fibra (SF-EMG), il più noto e
sensibile. Valuta la variazione di intervallo di tempo (Jitter) tra due scariche elettriche muscolari
consecutive: è il tempo necessario per raggiungere nuovamente la soglia necessaria a generare un
altro potenziale d’azione. Se l’unità motoria è integra, l’intervallo di tempo è costante; se è
aumentato allora ho un problema della giunzione neuromuscolare. Si usa il test di Desmedt
(stimolazione ripetitiva a bassa frequenza del nervo evidenzia esauribilità della risposta muscolare
con decremento di ampiezza del PdA).
- Test di ischemia: sensibile, ma poco specifico. Si può fare all’arto superiore con l’ausilio di un
manicotto; c’è rischio di riscontrare tanti FP.
anti-AchR+—> 90%
anti-Musk+—> 5%
doppio sirnegativo—>
rarissimo
doppio-sieropositivo—>
raro

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Sbobine 2.0

- Esami radiologici: per visualizzare il tessuto timico e sue eventuali alterazioni. Il più indicato è la TC
torace con mdc. Si può eventualmente procedere alla biopsia prima della vera e propria chirurgia.
Risulta utile anche per orientarsi anche verso una diagnosi alternativa, quale la sindrome di Lambert
Eaton, spesso associata ad un carcinoma polmonare a piccole cellule.

TERAPIA
Come norme generali, bisogna evitare l’assunzione di farmaci che possono provocare debolezza miastenica
o aumentarla, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di una controindicazione relativa. È importante
rassicurare il paziente, fargli capire che è una condizione gestibile seguendo le istruzioni mediche e avvertirlo
sulle possibili situazioni aggravanti (es. periodo premestruale o post-gravidanza; le donne possono avere
figli).

È trattata con farmaci immunosoppressori (terapia causale) e anticolinesterasici (terapia sintomatica), la


fase più difficile è quella iniziale, durante la quale bisogna cercare le dosi più adeguate. Con questa
associazione si cura bene più del 90% dei pazienti.

- Anticolinesterasici: primi ad essere impiegati. Il più usato è la piridostigmina (Mestinon), anche se


ha alcuni limiti nel trattare la forma oculare. Si somministra 4 volte al giorno, in quanto la durata di
azione è di circa 4 ore (ore 7.00 - 11.00 - 15.00). Gli effetti collaterali sono quelli muscarinici (nausea,
vomito, salivazione, pallore, sudorazione, coliche, bradicardia e miosi pupillare), per questo è
necessario introdurlo lentamente nel piano terapeutico del pz. Attenzione a un evento avverso
grave, la crisi colinergica in cui coesistono segni colinergici centrali (confusione, coma) e periferici
(suddetti).
Bisogna prestare attenzione a prescrivere Mestinon a pz diabetici, bradicardici o che hanno subito
interventi all’apparato gastro-intestinale. [Viene utilizzato negli ilei paralitici dovuti ad esempio a
importanti interventi addominali; se ne utilizzano due fiale].
Il Tensilon è quello che ha azione più rapida, ma è indicato solo per i casi gravi in ospedale (crisi
miasteniche).
- Immunisoppressori (immunoterapia a lungo termine):
o Cortisonici: i dosaggi sono quelli immunosoppressivi, quindi piuttosto elevati. Il più utilizzato
è il prednisone (deltacortene), che ha durata maggiore dell’idrocortisone e trattiene meno
liquidi (perdo anche meno potassio). Il problema degli steroidi sono gli effetti collaterali:
difficile controllo glicemico (anche in paziente non diabetico, posso slatentizzare un diabete
latente e diminuire la tolleranza agli zuccheri), osteoporosi, turbe elettrolitiche, turbe
endocrine, alterazioni cutanee, sumento del tono oculare e cataratta, turbe psichiatriche (si
rischia di scatenare psicosi). In un paziente diabetico preferisco l’immunosoppressore vero e
proprio allo steroide.
o Azatioprina, in associazione a steroidi permette di ridurre la dose di questi ultimi.
o Acido meclofenamico, utilizzato in caso di intolleranza all’azatioprina (seconda linea).
Efficacia paragonabile, è però molto costoso.
o Micofenolato mofetile, ultimamente sempre più usato
o Ciclosporina (Sandimmun): inibitore della calcineurina, altra possibile scelta. Nei responder
ci sono miglioramenti in poche settimane.
o Ciclofosfamide (Endoxan): solo nei casi gravi che non rispondono al resto. Attenzione alla
depressione midollare, controllare costantemente l’emocromo.
- Immunoterapia a breve termine: per trattare le crisi miasteniche (pz che vanno in insufficienza
respiratoria). Si può fare plasmaferesi o immunoglobuline ad alte dosi.

Con una buona terapia, la maggior parte dei pazienti va in remissione e svolge una vita normale (es. pz
mantiene stabilità per decenni, in età avanzata potrà sviluppare cedimenti vertebrali a causa degli steroidi,
ma la sua situazione non è esageratamente più aggravata rispetto ad un soggetto della stessa età). La

176
Sbobine 2.0

remissione, oltre che farmacologica, può anche essere completa e il paziente può addirittura sospendere i
farmaci.

Farmaci controindicati:
- Da evitare: D-Penicillamina (miastenia da penicillamina), clorochina, alfa-interferone, tossina
botulinica
- Alcuni farmaci potenzialmente pericolosi: aminoglicosidici, tobramicina, streptomicina, tetracicline,
ciprofloxacina, clindamicina, penicilline (ci sono delle liste consultabili online in cui sono indicati gli
antibiotici che si possono prendere), beta-bloccanti, antiepilettici, neurolettici, benzodiazepine,
vecuronio e succinilcolina (devo programmare diversamente l’anestesia), lidocaina e procaina ev.

Il trattamento chirurgico di timectomia migliora notevolmente l’evoluzione della malattia quindi viene
indicata non solo in caso di timoma, ma in generale nei pazienti tra l’età adolescente e i 60 anni. Viene
programmata dopo aver raggiunto una buona stabilizzazione clinica con la farmacoterapia, in genere entro
6-12 mesi dall’esordio della malattia.

La crisi miastenica va trattata come un’urgenza con ricovero e terapia intensiva, respirazione assistita con
intubazione.

SINDROME DI EATON-LAMBERT (LEMS)


Si tratta di una sindrome paraneoplastica che si verifica in corso di tumori polmonari a piccole cellule. È
dovuta probabilmente alla presenza di anticorpi anti-canali del calcio (posti a livello presinaptico sui
motoneuroni e sulle fibre del SNA), che impedendone l’apertura non permettono il rilascio di Ach. Esiste
anche una forma non paraneoplastica che può associarsi ad altre malattie autoimmuni (idiopatica).

La terapia si basa sulla patogenesi: deve ridurre il livello anticorpale e interferire con la funzione dei canali.
Essendo una malattia paraneoplastica, il trattamento oncologico ne permette il miglioramento. L’esordio
spesso precede la diagnosi di tumore e la sua diagnosi è importante non solo per trattarla adeguatamente,
ma anche per fare diagnosi precoce di tumore.

CLINICA
Il pz presenta astenia muscolare simile a quella miastenica, ma più spesso sono colpiti i muscoli degli arti e
non quelli del volto; inoltre in questo caso l’astenia migliora con l’esercizio (reperto che sarà visibile anche
all’EMG). A questo si associa ipo-areflessia tendinea e una sindrome disautonomica (50% casi) da deficit del
SNA: xerostomia, impotenza, ipo-anidrosi, ipotensione ortostatica, alterata reattività pupillare.

DIAGNOSI
Si basa sull’associazione di:
- Segni clinici
- Reperti EMG
- Anticorpi anti-P/Q VGCC (voltaggio dipendenti)

I segni clinici sono:


- Deficit di forza ed esauribilità (100% dei casi): prevalentemente coinvolgimento di mm prossimali
AAII, frequente coinvolgimento degli AASS, disturbi bulbari e oculari meno comuni della MG, le crisi
respiratorie sono rare.
- A differenza della MG, la forza migliora dopo una breve contrazione muscolare (nel 40% dei casi). È
la “malattia opposta”, è presinaptica.
- Riflessi osteo-tendinei ipoevocabili/assenti, ma possono transitoriamente normalizzarsi dopo breve
contrazione muscolare
- Disturbi autonomici (70%), elencati precedentemente.
L’esordio è in genere graduale e con progressione lenta.

177
Sbobine 2.0

Diagnosi elettrofisiologica
- Confermata dal riscontro della classica triade all’EMG:
o CMAP poco ampi a riposo. La risposta motoria dopo una singola stimolazione del nervo è
ridotta rispetto al normale.
o La SNR (stimolazione nervosa ripetitiva) a bassa frequenza fa diminuire l’ampiezza dei
CMAP (risposta muscolare inferiore al basale). Non discrimina MG e LEMS.
o CMAP aumentano con SNR ad alta frequenza (20-50 Hz) o subito dopo 10’’ di contrazione
volontaria massimale (fenomeno della facilitazione post-attivazione). Questo non succede
>Se si documenta un
aumento
nella MG perché il muscolo va incontro rapidamente ad affaticamento.
dell’ampiezza della
CMAP >=100%
Tali reperti sono meglio evidenziabili a livello dei muscoli distali.
all’EMG con
contrazione ad alta
La facilitazione > 100% è diagnostica di LEMS (molto specifica), se abbasso la soglia al 60% ho
frequenza, allora può maggiore sensibilità ma si riduce un pochino la specificità. Nella MG è < 50%.
farsi diagnosi
> ciò avviene nel 40% - Alla SF-EMG si evidenzia una riduzione del jitter e dei blocchi man mano che aumento la frequenza
dei casi
di stimolazione.
TERAPIA
È diversa da quella della MG, data la diversa patogenesi. In ogni caso, solitamente la prognosi e la
sopravvivenza sono legate all’andamento della neoplasia.

Terapia sintomatica:
- 3, 4-diaminopiridina (3,4-DAP), inibisce il canale V-dipendente del potassio, potenzia il VGCC
agendo sulla subunità beta. È efficace e ben tollerata, è anche la più usata.
- Piridostigmina: talvolta associata alla DAP, ma beneficio non confermato da studi clinici
- GV-58 (analogo della Roscovitina), agonista dei VGCC di tipo P/Q/N. Prolunga il tempo di apertura
del canale.
La terapia immunosoppressiva è indicata nei pazienti con sintomi invalidanti. Si possono usare:
- Steroidi: prednisone. In pz non compensati dalla DAP
- Immunosoppressori come azatioprina, ciclosporina A, micofenolato, rituximab. Quando la risposta
non soddisfa o le dosi di steroidi sono tanto alte.
- posso usare steroidi e prednisone, oppire azatioprina, ciclosporina A, micofenolato, rituximab.
- Plasmaferesi e IVIG in associazione a terapia farmacologica, per sintomi gravi e per fasi acute.

TEST ELETTROFISIOLOGICI
Diverse metodiche:
- Stimolazione ripetitiva a bassa frequenza (3-5 Hz), per diagnosi di affezioni post-sinaptiche
- Stimolazione ripetitiva ad alta frequenza (10-50 Hz), per quelle pre-sinaptiche
- Test di stimolazione ripetitiva durante ischemia
- SF (singola fibra)-EMG con attivazione volontaria
- SF EMG con stimolazione elettrica
L’elettromiografia era più utilizzata in passato: nel soggetto miastenico ho
poca attività di placca basale (fisiologica nel soggetto normale per
liberazione casuale e costante di piccole quantità di Ach), mentre nella LEMS
non ho differenze significative rispetto al soggetto normale. Nella MG,
registrando il singolo potenziale (leggere contrazione volontaria) si hanno
l’oscillazione e l’ampiezza incostante.

TEST DI STIMOLAZIONE RIPETITIVA


Si esegue stimolando con intensità di corrente sopra-massimale il nervo motorio e registrando i PdA
muscolari complessi (CMAP) derivanti dal muscolo da esso innervato, con elettrodi di superficie. È
considerato positivo quando rispetto alla prima serie di 8-10 risposte CMAP, il decremento di ampiezza di
un successivo potenziale supera il 10%. Nella MG il decremento è massimo alle basse frequenze e interessa
generalmente il quarto o quinto potenziale.

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Sbobine 2.0

Molto utilizzata per la MG è quella del muscolo anconeo, ma è da tener presente che non sempre nella MG
questo è il distretto più sensibile per la diagnosi: ricordarsi infatti delle forme che interessano principalmente
i muscoli della faccia (muscoli nasale e orbicolare dell’occhio). Nel Lambert il reperto si osserva in tutti i
muscoli.

Esempio:

- Un soggetto normale non presenta nessun


decremento di intensità (i cMAP sono tutti
uguali).
- Un soggetto con MG: la stimolazione ripetitiva a
bassa frequenza produce un decremento di
intensità dei cMAP (riposta decrementale). Si
registra il decremento diagnostico > 10% di solito
intorno al 4-5 potenziale. Gli ultimi potenziali poi
tendono ad aumentare di nuovo (librazione dei MG = Miastenia Gravis; MS= sindrome miastenica, es. LEMS
depositi di vescicole).
- Nel Lambert: una stimolazione singola produce risposta di ampiezza ridotta; una stimolazione
ripetuta a bassa frequenza riduce l’intensità Testo dei cMAP sin dall’inizio, senza decremento; una

stimolazione ripetuta ad alta frequenza aumenta l’intensità dei cMAP progressivamente (risposta
incrementale, facilitazione), si verifica anche dopo un breve sforzo volontario (detta sindrome
miastenica e non miastenia, è presinaptica).

Le anomalie ripetute alla stimolazione sono segno di debolezza localizzata nella giunzione neuro-muscolare;
sono indagini importanti da fare quando si riscontrano auto-anticorpi.

Per sensibilizzare il test nella diagnosi posso chiedere al pz di fare una contrazione volontaria massimale
mantenuta per 10-30’’ prima della stimolazione; nella MG sono più sensibili i distretti prossimali (tener conto
della clinica per indagare il distretto maggiormente affetto dalla patologia, è una malattia a “macchia di
leopardo”).
MG: in genere anconeo, ma massima sensibilità a livello dei muscoli stenici
Reperti nella MG: ELS: riscontri pressoché ubiquitari
- CMAP normale
- Decremento della risposta dopo un treno di stimoli a 3 Hz
- Decremento accentuato o comparsa di decremento al 2°-4° minuto dopo 20 secondi di sforzo
volontario (esaurimento post-esercizio).
Durante questo test si può evidenziare la dipendenza dalla temperatura: con il freddo la risposta
elettrofisiologica si attenua meno.

Reperti nella sindrome di Lambert-Eaton:


- L’ampiezza della risposta muscolare in condizioni di base è in genere ridotta (CMAP ridotto al
singolo stimolo)
- Si riduce ulteriormente a basse frequenze (1-3 Hz)
- Aumenta sensibilmente (fino a 200-1000%) ad alta frequenza di stimolazione (20-50 Hz) o dopo
esercizio massimale mantenuto per 10-20 secondi (facilitazione post-attivazione).
- Anormalità rilevate in tutti i muscoli.
ELETTROMIOGRAFIA DI SINGOLA FIBRA (SF-EMG)
Tecnica che si fonda sulla registrazione extracellulare dei potenziali di singole fibre muscolari attivate a
minima contrazione volontaria (tramite un ago nel muscolo). È considerata il gold-standard, ma non si riesce
sempre ad eseguire. Quello su cui si pone l’attenzione è il Jitter: rappresenta la variabilità dell’intervallo di
tempo che intercorre tra i potenziali di due singole fibre muscolari appartenenti alla stessa unità motoria, il
valore normale medio di tale parametro varia tra 20 e 50 s in rapporto al muscolo considerato. È un
parametro correlato alla stabilità della placca motoria e la sua misurazione rappresenta uno strumento

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Sbobine 2.0

sensibile per l’individuazione di alterazione della trasmissione neuromuscolare, come quelle della MG o
LEMS.

nelle unità motorie integre questo tempo presenta una minima variabilità. Se ho alterazioni anche di lieve
entità della trasmissione neuromuscolare, si ha maggiore variabilità nei tempi impiegati dai potenziali di
placca a raggiungere la soglia per originare il PdA: la manifestazione è l’aumento del Jitter, come nella MG,
a causa di un incostante rilascio di Ach dalle singole fibre(molto sensibile, riesco a vedere anche le variazioni
nel tempo della conduzione dell’impulso dalla terminazione alla membrana post-sinaptica). Nei casi più gravi
la trasmissione neuromuscolare peggiora ad un punto tale che il potenziale di placca non riesce a raggiungere
la soglia e si verifica il fenomeno del blocco (il secondo potenziale non compare). Il “blocco” è il correlato
neurofisiologico della faticabilità muscolare, è dovuto ala mancanza di una quantità sufficiente di Ach.
L’aumento del jitter e il numero dei blocchi sono direttamente correlati con l’entità della compromissione
-riduzione del numero unità motorie-> aumento densità fibre
clinica. muscolari (fibre per unità)—> aumento del jitter
>l’aumento del jitter può dunque sottendere sia patologie della
giunzione muscolare (MG) che SLA e PM
La SF-EGM permette anche di calcolare la densità di fibre muscolari (stima fatta in base a quanti pda sono
registrati una volta che il pz contrae volontariamente il muscolo
in cui è inserito l’ago); ciò serve per identificare il
riarrangiamento delle fibre muscolari nell’unità motoria. È
alterata in condizioni di denervazione e miopatia. Es. Il Jitter
aumenta anche in altre patologie come la SLA (l’ischemia porta
al decremento risposte motorie) e le polimiositi. Tra le varie
patologie cambia però la densità di fibra, ossia il numero di fibre
per unità motoria; se è avvenuta una riorganizzazione con re-
innervazione il jitter aumenta perché sarà manifestazione della
registrazione di più fibre. La densità è aumentata sia in SLA che
in polimiosite e non in MG.

Per fare una diagnosi corretta è sempre importante fare una correlazione clinica-strumentale, nessun esame
da solo indica solo una malattia. Le malattie con jitter alterato sono infatti:
- MG e sindromi miasteniformi può sottendere dunque:
> alterata trasmissione a
- Malattie del motoneurone livello della placca
neuromuscolare (MG,
- Distrofia muscolare facio-scapolo-omerale ELS)
> malattie del
- Distrofia miotonica di Steinert motoneurone (SLA)
> neuropatie
- Miotonia congenita > miopatie acquisite/
- Polimiosite ereditarie

- Miopatie congenite e metaboliche


- Neuropatie periferiche
Nelle sindromi miotoniche, la miotonia è corretta dall’esercizio: alla stimolazione ripetitiva le risposte
decrementano e poi, dopo riabilitazione e trattamento, recuperano (test utile anche in follow-up).

Sindrome di Miller-Fisher: è una poliradicolonevrite in cui si registrano blocchi oltre all’aumento del jitter. In
questa malattia gli anticorpi vanno a legarsi sia alla giunzione che ai nodi di Ranvier, quindi è compromessa
anche la trasmissione lungo la fibra nervosa. Si ha paralisi del territorio dei nervi cranici (poliradicolonevrite
elevata o alta o sospesa).

La SF.EMG, se fatta bene e accompagnata da inquadramento clinico, permette una corretta diagnosi nel 99%
dei casi. Quindi la neurofisiologia può dare risultati molto più soddisfacenti del dosaggio anticorpale.

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DOLORE NEUROPATICO
Il dolore è sintomo comune in medicina, ma è anche un sintomo difficile perché lo si misura male. Deve
essere indagato ogni giorno nel paziente ricoverato e segnato in cartella clinica, per legge bisogna fare tutto
il possibile per avere un “ospedale senza dolore” (in questi ultimi anni è stato anche aperto un istituto
farmaceutico militare che produce cannabis ad uso medico, utilizzata soprattutto in malattie neurologiche).
I dati epidemiologici riguardanti il dolore sono disponibili solo per alcune condizioni patologiche, ad esempio:

- Nevralgia del trigemino: incidenza 3-6/100 000 all’anno e prevalenza 100/100 000
- Mal di schiena a livello lombare (lombalgia): i dati sono disponibili perché è spesso considerato una
malattia professionale
- Post-chirurgico, ad esempio dopo un anno dall’intervento all’ernia ho ancora il 6% di pz che ha
dolore. Si tratta con oppiacei e altri analgesici.
- Sclerosi multipla, gli analgesici vengono molto utilizzati ma non si conosce la percentuale precisa di
pazienti che ne fa uso e a che quale è la soglia di intensità

È quindi difficile classificare e definire il dolore neuropatico, in quanto non esiste un “gold standard” che
aiuta in questo compito. Questa difficoltà nasce dal fatto che il dolore non è un semplicemente un sintomo,
ma un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole, associata a danno tissutale in atto o potenziale.
La nocicezione è il processo il quale è possibile percepire il dolore e si realizza grazie alle cosiddette “vie del
dolore”:
- Sistema afferenziale dalla periferia ai centri superiori
- Sistema di riconoscimento, valuta la pericolosità dello stimolo e mette in atto una strategia di
risposta
- Sistema di controllo discendente che inibisce e riduce l’intensità delle afferenze a livello midollare.
È modulato da diverse sostanze, ad esempio gli oppiacei.

Dolore neuropatico: secondo la IASP (International Association for the Study of Pain) è definito come il
dolore causato da una lesione o disfunzione del sistema nervoso. Le fibre ascendenti colpite sono quelle
del tratto spino-talamico, ossia quelle di diametro minore: fibre A-delta e C. È una definizione che non
esplicita quali sono i tipi di lesioni che lo causano.

Si distinguono due tipi di dolore neuropatico: periferico (lesione delle fibre veicolanti le informazioni
dolorifiche, es nevralgia del trigemino, post erpetica, diabetica) e centrale (da errori nella processazione
centrale dell’input afferente, es dolore post stroke). es: sindrome
dolorosa post
ischemia VP
Da un punto di vista clinico si distinguono due tipi di dolore: TALAMICO

- Spontaneo: compare indipendentemente da un evento causale, è bruciante, urente, lancinante,


spesso associato a parestesie o disestesie, può essere continuo o parossistico,
- Evocato: compare dopo un evento causale che normalmente non evoca dolore. Es. allodinia (risposta
dolorosa a stimoli non dolorosi) e iperalgesia(risposta dolorosa incrementata e sproporzionata verso
stimoli di solito dolorosi).

Ci sono alcune situazioni in cui è semplice parlare con certezza di dolore neuropatico, ad esempio in corso di
lesione del plesso brachiale, poliradicolonevrite, amputazione (si formano neuromi terminali), per questo in
passato si parlava di “dolore in corso di…”, ma esistono anche situazioni come l’emicrania, la cefalea tensiva,
in cui non è evidente nessuna lesione ma ho comunque dolore. Per aiutarsi nel riconoscerlo ci si aiuta con
alcuni test:
- Neurografia: indaga l’integrità del nervo periferico. Si ricorda che il danno al nervo può essere di
varia entità e quando ho la sezione completa, il processo riparativo prende il nome di rigenerazione
walleriana. Questo non sempre va a buon fine e può portare alla formazione di neuromi, ben
evidenziabili all’ecografia.
o Studi di conduzione nervosa

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Sbobine 2.0

o Elettromiografia
o Microneurografia
- Riflessi nocicettivi, usati in passato.
o Riflesso RIII (di flessione)
o Riflesso trigeminale corneale.
- Potenziali evocati: soprattutto quelli che stimolano solo le A-delta. I potenziali evocati somatosensoriali
classici (che stimolano la via della sensibilità profonda, cioè le fibre mieliniche epicritiche e propriocettive) sono
inadeguati nello studio del dolore neuropatico, perché possono risultare normali anche in presenza di dolore
neuropatico.
o Potenziali evocati somatosensoriali standard (SEPs)
o Potenziali evocati somatosensoriali con laser (LEPs)
- Neuroimaging funzionale (RM e PET), si è aggiunto più di recente e ha permesso di comprendere
molte cose, in passato si pensava che le parti sovra-talamiche del SNC non si occupassero di dolore
e si è invece osservato come siano invece coinvolte molte aree. ruolo di regioni corticali nella
processazione del dolore è
un’acquisizione recente delle
neuroscienze
È importante identificare il dolore con origine neuropatica anche per impostare la terapia corretta: l’aspirina
e gli antinfiammatori non servono in questi casi, bensì saranno utili farmaci come il Gabapentin e il
Pregabalin (a loro volta questi saranno inutili quando il dolore non è neuropatico, ad esempio
nell’osteoartrosi dell’anca).

Le neuropatie che hanno preferenziale coinvolgimento delle piccole fibre sono:


- Polineuropatia diabetica neuropatia amiloide
ereditaria
- Neuropatia da amiloidosi: acquisita (gammopatia monoclonale) e ereditaria (mutazioni della
transtiretina)
- Neuropatia sensitiva nell’AIDS: neuropatie da antiretrovirali
- Neuropatia ereditaria sensitiva dolorosa
- Neuropatia idiopatica delle piccole fibre sensoriali
- Alcune neuropatie tossiche o da carenze nutrizionali (es. epatopatia alcolica, carenza di B12)
- Lebbra, non diffusa da noi ma frequente in oriente (es. India). Vi erano stati dei casi in Toscana, in
zone di importazione di legno indiano (zone di Cascina - legno di teak).

Sindromi regionali complesse dolorose


es: gesso per frattura troppo stretto
- Tipo I - distrofia riflessa simpatica (da slide):
o Evento nocicettivo attivante o immobilizzazione prolungata
o Dolore continuo, allodinia o iperalgesia; il dolore è sproporzionato rispetto ad ogni evento
provocante
o Evidenza nel tempo di edema, modificazioni vasomotorie cutanee (colore della cute,
variazioni di terapia con differenze superiori a 1.1°C tra due parti omologhe del corpo) o
abnorme attività submotoria nell’area dolorosa
o La diagnosi non può essere fatta in presenza di condizioni che potrebbero diversamente
spiegare il grado di dolore e la disfunzione annessa.
- Tipo II - causalgia implica evidenza di danno a carico di nervo

o Presenza di dolore continuo, allodinia o iperalgesia dopo lesione nervosa, non


necessariamente limitati all’area di innervazione affetta
o Evidenza nel tempo di edema, modificazioni vasomotorie cutanee (colore della cute,
variazioni di temperatura con differenze superiori a 1.1°C tra due parti omologhe del
corpo) o abnorme attività sudomotoria nell’area dolorosa
o La diagnosi non può essere fatta in presenza di condizioni che potrebbero diversamente
spiefare il grado di dolore e la disfunzione annessa.

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NEUROGRAFIA
La neurografia comprende:
Patologia
selletiva
delle- Studi di conduzione nervosa: delinea l’estensione e la distribuzione della lesione del nervo periferico,
piccole
fibre non sitalora dà informazioni sulla patologia sottostante. Gli studi standard non riescono però ad indagare
rileva
all’ENG le sottili fibre nocicettive, ma solo le fibre di grosso diametro. Es. nella S. del tunnel carpale si registra
un’alterata conduzione a livello del polso (NB. In una patologia delle piccole fibre gli studi di
conduzione possono essere normali!).
Scopi: localizzare la lesione nervosa, il tipo di nervo coinvolto e la sua patologia e infine valutare la
nel caso dei nervi misti può obiettivarsi l’entità del
gravità e il decorso nel tempo. danno, valutando le alterazioni EMG

- Elettromiografia: completa l’informazione del test precedente e delinea meglio il grado di perdita
assonale (capacità o meno di stimolare il muscolo), quindi fornisce informazioni sulla distribuzione
delle lesioni e sul livello di danno assonale. Anche in questo caso non si studiano direttamente le
fibre dolorifiche (es. nella S. del tunnel carpale i muscoli innervati dal mediano mostrano segni EMG-
gragici di danno neuropatico).
- Microneurografia: è invasiva perché registra la singola fibra nervosa e quindi fornisce informazioni
sulla fisiopatologia dei nocicettori, ma anche questa metodica esplora le fibre più grosse. Viene
utilizzata per scopi di ricerca e per comprendere il contributo del sistema simpatico in alcune
sindromi dolorose, come la causalgia. Si tratta di un dolore refrattario post-operatorio, prima causa
di denuncia degli ortopedici negli USA. Per migliorare il dolore si cerca di usare farmaci per modulare
il simpatico (es. ganglioplegici o bloccanti del simpatico). Questa tecnica utilizzata anche nello studio
dell’ipertensione borderline.

Questi esami riescono a fare diagnosi di sede. Alcune situazioni che causano sofferenza del nervo sono:
sindrome del tunnel carpale, gessatura troppo stretta che provoca ischemia (ad es. in caso di frattura del
polso), causalgia, sindrome dello scafoide. Sono sindromi molto dolorose che portano i pazienti ad assumere
oppiacei e talvolta anche a diventarne dipendenti.
Si possono studiare anche le fibre sensitive, la cui risposta si altera precocemente rispetto a quella motoria.
Per lo studio dei segmenti prossimali dei nervi (es. radici) si studia l’H-reflex (reazione riflessa muscolare
evocata a livello midollare) e le F-waves (stimolazione delle alfa con sovrastimolazione), ottenuti con la
stimolazione elettrica delle fibre sensoriali.
il threshold per l’attivazione di questi riflessi rappresenta una stima quantitativa
oggettiva dello stato di attivazione (patologica?) del sistema nocicettivo, nonché
RIFLESSI NOCICETTIVI permette di studiare e quantificare l’effetto dei farmaci sul dolore neuropatico

- Riflesso di flessione RIII (del bicipite femorale) e CR (corneale): sono riflessi puramente nocicettivi e
si usano anche per testare i nuovi farmaci analgesici (ad es. RIII scompare con gli oppiacei).
RIII è un modello di studio sviluppato da medici francesi che ha però avuto poco successo. RIII utile
anche per la valutazione della neuropatia diabetica. È un riflesso nocicettivo dell’arto inferiore, la
stimolazione elettrica ad alta intensità del nervo surale evoca la risposta RII e RIII (afferenza dalle A-
delta). Il blocco da compressione delle fibre di grosso calibro sopprime RII ma non RIII. La soglia di
RIII coincide con la soglia dolorifica percettiva: ciò consente di stimare in modo più oggettivo
l’intensità del dolore riferito. RIII è risultato
anomalo in pz con varie sindromi dolorose
(lombalgia, emicrania, cefalea a grappolo).
Il CR viene testato nei pazienti in coma (la cornea
presenta solamente terminazioni libere, non ci
sono recettori sensoriali; per questo le lesioni
traumatiche sono estremamente dolorose).
- Riflesso trigeminale di ammiccamento (blink
reflex), usato in Italia.
Stimolo: cornea, nervo sopraorbitale, nervo
infraorbirale, mentoniero, apice del mento,
muscoli orbicolari e massetere. Si registrano:
riflesso corneale precoce e tardivo, blink reflex,

nocicettivo (l’elettrodo stimolatore


attiva selettivamnte le fibre Adelta) 183
Sbobine 2.0

primo e secondo silent period del massetere, contrazione mandibolare.


(attenzione alla differenza fra riflesso corneale, che è quello che si evoca stimolando la cornea col cotone e si
valuta solo clinicamente, e ilriflesso di ammiccamento, che si valuta dal punto di vista elettrico e si evoca
stimolando ilnervo sovra orbitario).
- CSP - cutaneous silent period: la stimolazione elettrica ad alta intensità delle dita della mano evoca
un riflesso inibitore che appare come un periodo di silenzio durante l’attività EMG volontaria (CSP).
Sebbene la soglia del riflesso e stime della velocità di conduzione afferente indichino che il riflesso è
mediato da afferenti A-delta, la natura di questa risposta è ancora controversa. Il Fentanyl non
modula il CSP, ma può essere modulato da altri analgesici.

Lo studio del trigemino è importante per fare diagnosi differenziale tra nevralgie idiopatiche e sintomatiche,
quindi tra neuropatia del trigemino, tumori ponto-cerebellari e sclerosi multipla. Talvolta prima di arrivare
alla diagnosi di nevralgia del trigemino si interviene con l’estrazione di denti, pensando erroneamente che
siano la causa del dolore (vedo anomalie di LEPs in V3 del trigemino). Altre volte sono invece gli interventi
odontoiatrici a lesionare il nervo e lasciare il dolore neuropatico: l’alveolare inferiore può essere danneggiato
durante l’estrazione dell’ottavo (dente del giudizio) oppure il nervo linguale può essere compromesso con la
somministrazione di anestesia locale in profondità.

POTENZIALI EVOCATI
I potenziali somatosensoriali (SEPs) percorrono i cordoni posteriori e riguardano più la componente
propriocettiva profonda rispetto a quella dolorifica.
Dopo stimolazione di un tronco nervoso periferico si registrano, mediante elettrodi posti in varie sedi, i potenziali che
si generano in tali sedi al momento del passaggio del segnale. Si ottengono così una serie di onde che riflettono
l'attivazione sequenziale delle strutture nervose lungo le vie afferenti sensoriali. Tuttavia ilmaggiore contributo alla
generazione di tali potenziali è offerto dalle fibre del sistema lemniscale, e, perta nto, possono risultano normali in
presenza di un danno esclusivo alle piccole fibre mieliniche dolorifiche. Sono ovviamente alterati se il danno coinvolge
in toto il tronco nervoso: in questo caso ci forniscono informazioni importanti. Ad esempio, se ilpaziente presenta
un'avulsione completa delle radici, che è quella più dolorosa, ilsegnale non passa: ciò significa che è presente
un'interruzione anche se le guaine mieliniche sono conservate.

Per lo studio delle fibre più sottili sono più selettivi quelli evocati da Laser stimuli (LEPs), che stimola
selettivamente solo in superficie, a livello del polpastrello (i recettori profondi non sono stimolati): sono
considerati lo standard per studiare la funzionalità delle vie nocicettive (fibre A-delta, C; studiano anche le
fibre termiche) a livello mondiale. Un tempo c’erano laser a CO2, oggi si usano gli YAG-laser che da uno
stimolo simile ad una micro-ustione. La stimolazione delle fibre evoca risposte centrali, quindi i potenziali
evocati si registrano bene a livello cranico (EEG): i complessi registrati sono risultato della trasmissione del
tratto spino-talamico e della conseguente attivazione delle aree corticale dedicate all’elaborazione del
dolore: porzione superiore della scissura silviana (capacità sensoriale-discriminativa), corteccia cingolata,
insulare e dell’opercolo frontale (componente affettiva-emotiva).

Si possono rilevare due tipi di risposta:


- I late-LEPs riflettono l’attività delle fibre A-delta, che seppur sottili sono mieliniche e giungono a
livello encefalico in un tempo minore;
- gli ultra late-LEPs rappresentano invece le afferenti amieliniche (fibre C). Sono risposte tardive
perché le fibre conducono a bassa velocità (es. polpastrello con molte terminazioni dolorifiche si
registra a 100-150 ms, mentre per il nervo mediano è 20 ms). Sono sensibili alla morfina e alla
carbamazepina.

I LEPs mostrano alterazioni tipiche nei vari tipi di dolore neuropatico. Esempi:
- sono soppressi in caso di dolore neuropatico periferico
- sono anomali nel dolore trigeminale (sia sintomatico che neuropatico).
- Nel dolore neuropatico centrale sono attenuati o aboliti dopo stimolazione laser nel territorio che
viene avvertito dolente, anche se la stimolazione provoca dolore (maggiore scarica dei neuroni
centrali coinvolti nel dolore).

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Sbobine 2.0

- Nelle sindromi dolorose cranio-faciali (cefalea) sono normali.


- Sia SEPs che LEPs sono spesso facilitati (aumentati in ampiezza) nella fibromialgia, nelle sindromi
miofasciali, nella sindrome da fatica cronica e altri dolori infiammatori e/o psicogeni; quindi si può
definire “dolore reale” anche quello presente in assenza di lesioni organiche alle vie di trasmissione
ed elaborazione.
- Un altro esempio è lo studio della sindrome di Wallemberg (sindrome bulbare), in cui posso rilevare
i LEPs trigeminali anomali.

Es. studio della lesione nervosa dei


dermatomeri C7/C8 a livello della mano:
quando stimolo il territorio di C6 ho il
potenziale normale, se invece vado nel
territorio di C7/C8 si vede la risposta quasi
assente.

Il gruppo di Iannetti ha sviluppato delle


tecniche molto raffinate per registrare a livello midollare l’afferenza di fibre A-delta e C; è utile nello studio
delle mielopatie, nelle quali al di sotto della lesione non si registra nessuna risposta.

I potenziali evocati possono essere utilizzati anche per studiare le vie discendenti: con la stimolazione
magnetica si evocano dei potenziali a livello della corteccia motoria e poi si registra a livello più periferico. Si
ottengono i MEPs (motor evoked potentials) e si distinguono: MEP corticale, MEP spinale, tempo di
condizione periferico.

NEUROIMAGING FUNZIONALE
La risonanza magnetica funzionale (FMRI) e la PET (quest’ultima meno usata) sono in grado di mostrare le
aree di maggiore attivazione a livello corticale in risposta a uno stimolo o mentre si svolge una certa azione.
Le aree attivate dal dolore sono più di una: zone parietali (corteccia somatosensoriale secondaria S2), l’insula
e il cigolo anteriore, in misura minore anche la somatosensoriale primaria (S1) e il talamo controlaterale.
Talamo, S1, S2 e l’insula si occupano dell’aspetto discriminativo-sensoriale, mentre il cingolo anteriore
dell’aspetto emotivo (insieme a amgdala e ippocampo) e della selezione della risposta al dolore. La relazione
emotiva con il dolore è sempre da tenere in considerazione e si conferma in diverse situazioni, ad esempio i
pazienti depressi sentono di più il dolore.

In seguito allo stimolo si attivano anche la parietale posteriore e la prefrontale, che riflettono i pattern
dell’attenzione e della memoria. Anche le aree motorio-relate e le aree coinvolte nel controllo del dolore
(PAG - grigio periacqueduttale).

Esempio di utilizzo di neuroimaging in pazienti con lombosciatalgia:


si vedono aree del dolore basalmente attivate (dolore spontaneo) e
altre aree che si attivano in seguito alla manovra di Lasegue, che
riflettono la positività clinica di questo segno. Quando Lasegue è
negativo, non si attivano aree durante la manovra.

Il neuroimaging può ha avuto risvolti importanti anche dal punto di


vista terapeutico: monitorando la scomparsa o meno
dell’attivazione delle aree del dolore a seguito dell’assunzione di
diversi farmaci, è stato possibile discriminare quali tra essi sono Dall'alto: dolore spontaneo - dolore durante
davvero efficaci. Lasegue - Lasegue dolorosa - Lasegue non
dolorosa

ALCUNI ESEMPI DI DOLORE NEUROPATICO


Caso 1 - Lo Zoster talvolta lascia una neuropatia persistente dovuta alla modificazione della afferente, in
particolare a livello di alcune lamine di corno posteriore.

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Sbobine 2.0

Se indago i LEPs si vede la scomparsa della risposta per quel dermatomero, l’ampiezza del segnale è abolita.
Questa è la prova della natura neuropatica e quindi aiuta a scegliere la terapia corretta: FANS e steroidi non
servono a nulla.

Caso 2 - Sindrome dolorosa talamica, a seguito di ischemia del talamo (sindrome di Dejerine-Roussy). È un
dolore centrale e viene percepito dolore nella parte di corpo controlaterale alla lesione. In questi casi
esistono alcune tecniche di stimolazione centrale con elettrodi impiantabili; sono efficaci e evitano l’eccessiva
assunzione di antidolorifici, abbassando il rischio di dipendenza da oppioidi. Sono però dei devices molto
costosi per il momento (uno stimolatore lombare costa circa 30 000 euro, senza contare poi i costi di impianto
e manutenzione).

Esistono anche degli stimolatori di superficie, ad esempio a livello di aree motorie e pre-motorie, sempre per
ridurre l’assunzione di farmaci. Questa metodica non invasiva si chiama stimolazione transcranica a corrente
diretta (tcDCS) e consiste nell’applicazione di una corrente continua a bassa intensità (1-2 mA) che influenza
le funzioni neuronali dell’area sottostante; può indurre (da slide):

- Effetti a breve termine: modifiche del potenziale idroelettrolitico di membrana, della funzione dei
canali ionici recettoriali e del flusso ematico locoregionale
- Effetti a lungo termine: meccanismi di plasticità sinptica tipo LTP/LTD, NMDA-dipendenti.
La densità di corrente prodotta è sotto la soglia del PdA dei neuroni corticali, quindi non modifica
direttamente il firing.

Questa tecnica è applicata a livello cerebellare per la gestione del dolore: ha effetti analgesici, influisce sia
sull’aspetto discriminativo che emozionale del dolore.

CONCLUSIONI
Gli studi di conduzione nervosa, i riflessi trigeminali e i potenziali evocati somatosensoriali sono test
diagnostici utili, anche se non consentono di investigare specificamente le vie nocicettive. Per valutare
quantitativamente le vie del dolore, ilmigliore strumento è rappresentato dai potenziali evocati laser.
Questo test valuta ildolore evocato (allodinia e iperalgesia). Le neuroimmagini funzionali costituiscono
invece la tecnica migliore per la valutazione del dolore spontaneo anche se è ancora prematuro definirli
test diagnostici.

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Sbobine 2.0

MALATTIE MUSCOLARI
Le malattie muscolari, o miopatie, sono condizioni colpiscono primitivamente l’apparato muscolare, in
contrapposizione alle atrofie muscolari neurogene, in cui il danno muscolare è causato dalla denervazione. Si
tratta di un gruppo molto vasto ed eterogeneo di malattie, la cui classificazione è ancora in via di definizione.
Tuttavia si possono individuare delle caratteristiche cliniche comuni. Un sintomo è compromissione della forza
e funzione muscolare (DD. deficit di forza si ritrova anche in un problema del sistema motorio centrale, deficit
del tono muscolare nel parkinson). In questo caso il processo patologico coinvolge l’unità motoria (che
comprende il motoneurone inferiore e il muscolo scheletrico, connessi dalla giunzione neuromuscolare).

Caratteristiche cliniche generali


I punti che si devono analizzare sono:
1. Anamnesi
2. Esame obiettivo
3. Esami di laboratorio
4. EMG
5. Biopsia muscolare
1. Anamnesi
Il sintomo fondamentale di una miopatia è l'astenia. Questa può corrispondere alla stanchezza
soggettiva o a un deficit di forza oggettivabile all'EO; mentre la stanchezza è un sintomo
molto aspecifico, l'astenia associata a deficit di forza oggettivabile è spesso indicativa di una
patologia del muscolo.
Altri sintomi di origine muscolare possono essere mialgie, crampi e contratture, tensione muscolare
dolorosa.
E' fondamentale chiedere al paziente a che età sono comparsi i primi sintomi, la persistenza o
l'episodicità, e il decorso. Bisogna poi indagare l'anamnesi familiare (presenza di casi in famiglia,
consanguineità) e l'anamnesi patologica remota (presenza di malattie internistiche,
assunzione di farmaci per altre patologie) o l’utilizzo di certi farmaci (miotossici, come le statine).
2. Esame obiettivo
All'EO va posta estrema attenzione all'esame dei singoli muscoli con valutazione del trofismo e
della forza muscolare contro resistenza. Infatti, la distribuzione dell'ipotrofia e della debolezza
muscolare è spesso utile per indirizzare il sospetto diagnostico verso un tipo specifico di patologia.
• Trofismo: spesso si osserva ipotrofia muscolare (ad es. al cingolo scapolare, con scapola
alata e distacco delle scapole quando il paziente porta in avanti gli arti superiori). Talvolta
si può osservare ipertrofia muscolare, localizzata come in alcuni tipi di distrofia muscolare
(pseudoipertrofia dei gastrocnemi nella Duchenne), o diffusa come nelle miotonie
congenite. Pseudoipertrofia (fibroadiposi del tessuto muscolare che sostituisce la parte
contrattile, causando un apparente ipertrofia o comunque aumento di massa muscolare).
• Forza muscolare: si valuta con prove segmentarie di forza contro resistenza; la forza dei
singoli muscoli può essere "misurata" con scale di punteggio o tramite un miometro.

In generale nelle malattie muscolari sono colpiti prevalentemente i muscoli prossimali, ovvero la
muscolatura dei cingoli scapolo-omerale e pelvi-femorale e i muscoli prossimali degli arti.
Alcuni reperti tipici delle malattie muscolari con interessamento prossimale sono:
• iperlodosi lombare: che s'instaura per compensare il deficit dei muscoli del cingolo
pelvico (è un meccanismo di compenso con cui il pz arretra il baricentro perché se stesse
eretto graverebbe sui muscoli quadricipiti che spesso sono colpiti dalla miopatia, atrofici);
• Deambulazione anserina: andatura con ondeggiamento del bacino; insufficienza bilaterale dei
glutei medi

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Sbobine 2.0

• Difficoltà a salire le scale;


• Manovra di Gowers: consiste in una manovra di arrampicamento sulle gambe. Negli stadi
avanzati può diventare impossibile alzarsi da terra, e una manovra simile a quella descritta
può essere usata per alzarsi dalla sedia. È un test funzionale motorio nel passaggio dalla
posizione seduta a quella eretta: un soggetto normale o si alza direttamente, il pz
miopatico esegue una sorta di arrampicata su se stesso perché i muscoli erettori della
colonna (estensori del rachide e glutei per l’allungamento dell’arto inferiore) sono
deficitari, nel farlo il pz può cadere. Indica insufficienza funzioale dei
muscoli quadricipite e glutei

Nei rari casi di interessamento dei muscoli distali degli arti inferiori la deambulazione è steppante, e il
paziente non riesce a stare in piedi sulle punte o sui tacchi.
DD. Regola generale: nelle neuropatie periferiche (es Charcot Marie Tooth, che può colpire mielina, MIOPATIA vs
tipo I, o assone, tipo II) il coinvolgimento degli arti è più distale, mani e piedi, mentre nella malattia NEUROPATIA
SENISITIVO-
muscolare in genere sono coinvolti i cingoli scapolari o pelvici o i segmenti prossimali. Un segno clinico MOTORIA
ereditaria (CMT)
comune è la riduzione dei riflessi e il deficit di forza. —>
interessamento
prossimale vs
distale
3. Esami di laboratorio
Per valutare l’integrità della cellula muscolare e del metabolismo muscolare sia in condizioni di riposo che
di sforzo.
• Valutazione enzimatica (valutano l’integrità funzionale): >Enzimi di danno
muscolare

o CPK (MM: muscolare, MB: cardiaca);


o LDH: si può misurare la curva dell'acido lattico durante uno sforzo
standardizzato; o ALT/AST (presenti anche nel muscolo);
o Aldolasi.
• Dosaggio dell'acido lattico:
o Ischemico: si pone il bracciale della pressione al braccio in modo da generare
ischemia e poi si chiede di fare al soggetto uno sforzo con la mano (hand-grip,
metabolismo anaerobico con produzione di acido lattico). La misurazione
dell'acido lattico ci permetterà di fare la diagnosi: se ad es. l'acido lattico non si
forma vuol dire che manca un enzima glicolitico (come nella S. di McArdle o
glicogenosi tipo V, in cui si hanno mutazioni nel gene della miofosforilasi, enzima
alla base dell’utilizzo di glicogeno, quindi il muscolo non può usare il glicogeno e
la curva si appiattisce, “curva alattacidemica”). Se invece si forma troppo acido
lattico vuol dire che c'è un deficit del metabolismo aerobio, come nelle malattie
mitocondriali. Entro 12 min dallo sforzo si ritorna alle condizioni basali.
o Aerobio.

4. elettromiografia
L'EMG è lo strumento fondamentale per fare la diagnosi differenziale tra atrofia muscolare primitiva e
neurogena (v. EMG in semeiotica strumentale). Tuttavia esso ci dà poche indicazioni circa la natura di
una eventuale miopatia primitiva.
Riassumendo brevemente il quadro della miopatia primitiva, all'EMG avremo reperti tipici:
• Assenza di attività spontanea (presente invece nell'atrofia neurogena);
• Potenziali di unità motoria (PUM, durante la contrazione volontaria) di durata e ampiezza
ridotta (a causa della riduzione di fibre nella singola unità motoria)
• aumento della polifasia (nel tracciato miogeno si parla di interferenza precoce, questo
significa che anche per sforzi minimi recluta tutte le fibre dell’unità motoria utilizzate).
• Raggiungimento precoce del quadro d'interferenza, che sarà di ampiezza ridotta.
DD. In condizioni di riposo in una neuropatia periferica avremo potenziali di denervazione e tracciati giganti

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Sbobine 2.0

durante la contrazione, assenti qui.


5. Biopsia muscolare
La biopsia rappresenta spesso l'elemento che consente la diagnosi di natura della malattia muscolare.
Poiché il campione raccolto deve essere sottoposto a metodiche particolari, la biopsia deve essere fatta
in centri specializzati. Si prendono dei tralci di tessuto che NON vanno fissati in formalina (che altera una
seri di parametri e caratteristiche fondamentali), ma vanno congelati a – 80 ° in isopentano e sottoposti a
varie processazioni (sono indagini di II livello). L'indagine bioptica consta infatti di:
• Analisi morfologica;
• Immunoistochimica: per la ricerca di proteine e altre macromolecole;
• Istoenzimatiche: per visualizzare attività dell’enzima;
• Western blot: per la ricerca e la quantificazione di alcune proteine muscolari attraverso ab specifici
verso la proteina. Ad es. nella distrofia di Becker, gene coinvolto su cr. 21, ci sarà una banda per la
distrofina più piccola del controllo, nella Duchenne, gene coinvolto su cr. X, tale banda è addirittura
assente. In base alla tipologia di mutazione, si può avere una mutazione out of frame, che causa un
codone di stop, (Duchenne), assenza della proteina oppure se la mutazione mantiene il registro di
lettura, mutazione in frame, si ha una proteina con caratteristiche alterate oppure è ridotta
(Becker).
• Studio ultrastrutturale (microscopio elettronico).

In alcuni casi nemmeno la biopsia riesce a chiarire l'esatta natura della malattia muscolare, pertanto può
essere necessario ricorrere all'analisi del DNA (è il caso della distrofia miotonica, in cui la biopsia è poco
indicativa, mentre l'analisi del DNA è diagnostica e ha valore prognostico), è l’indagine di III livello, utile
per le malattie ereditarie.

Altri test e parametri da considerare:


- Test da sforzo: In un malato muscolare si deve indagare la fatica muscolare o l’intolleranza
all’esercizio. In questo ambito si possono utilizzare dei test da sforzo che riproducono l’esercizio
fisiologico (isometrici, isotonici, massimali, su stimolo elettrico, continui, intermittenti, contro
resistenza ecc).
- Parametri di misura della fatica muscolare: Forza muscolare, Segnale elettrico, Parametri
metabolici, cinetici, di funzione non muscolari (cardiorespiratori, cricolatori, neuroendocrini che
accompagnano lo sforzo muscolare).

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Sbobine 2.0

CLASSIFICAZIONE DELLE MIOPATIE


• Ereditarie
1) Distrofie muscolari: patologie degenerative del muscolo
2) Miopatie congenite: si presentano alla nascita o nel periodo neonatale e hanno una
prognosi variabile (da benigna a infausta)
3) Miopatie metaboliche: un deficit metabolico ereditario porta ad alterato utilizzo
delle fonti energetiche, rendendo impossibile la produzione di ATP e quindi la
contrazione muscolare.
1) Miopatie mitocondriali: legate a deficit di un gene mitocondriale; ereditate per via
materna.
2) Canalopatie: patologie associate a mutazioni dei canali ionici (Na+, K+, Ca2+, Ci-).
• Acquisite
o Miopatie infiammatori
o Miopatie associate a malattie sistemiche o endocrine
o Miopatie tossiche
• Miopatie di incerta classificazione
o Miosite ossificante
o Sindrome dell'uomo rigido
o Neuromiotomie

Sono malattie eterogenee che coinvolgono il tessuto muscolare, molto rappresentano nell’organismo. Il
più delle volte sono condizioni rare (a differenza di AD e ictus, malattie età correlate). Ad esempio, la
DMD (distrofia muscolare di Duchenne, forma più emblematica delle distrofie muscolari, malattia
pediatrica in cui all’età di 10 aa il pz perde la capacità di stare in piedi, in più si ha insufficienza respiratoria
e miocardiopatia per coinvolgimento sistemico dei muscoli) ha prevalenza di 1/100.000 abitanti. Il gene
responsabile è il gene della distrofina, trasmesso per via X-linked. Nella distrofia di Becker il deficit di
distrofina è parziale, quindi è una condizione più lieve rispetto alla Duchenne.
Se si mettono insieme le varie forme però i valori non sono trascurabili. Tuttavia, i numeri non sono da
sottovalutare se si considerano forme ereditarie, acquisite, quelle di incerta classificazione (che danno
iperCPKemie oligosintomatiche, CPK indicatore fedele della malattia muscolare), miopatie da statina
compressione nervo—> irritazione—> iperattività del nervo—> contrazione muscolare dolorosa
(alterazione del sarcolemma), ecc. sforzo eccessivo—> esaurimento ATP—> difettoso rilasciamento
Riassumendo, gli elementi clinici sono: deficit di forza, fatica muscolare (intolleranza allo sforzo),
variazioni di massa muscolare (ipo-atrofia e pseudoipertofia), dolori muscolari, contratture e crampi
muscolari (sono due condizioni di iperattività neuromuscolare, ma il crampo è generato dal nervo
motore, es crampo dello scrivano comporta la compressione del nervo da parte dei muscoli; mentre la
contrattura è una condizione legata all’esaurimento metabolico del muscolo quando ci affatichiamo, con
depauperamento dell’ATP, in cui il processo di rilasciamento muscolare che necessita di ATP non può
avvenire).
Talvolta un dolore muscolare può derivare da un’iperattività delle fibre algogene (miopatia
infiammatoria ecc.).

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Sbobine 2.0

DISTROFIE MUSCOLARI
Le distrofie muscolari sono patologie genetiche primitive degenerative del muscolo. Si distinguono dalle
miopatie congenite per il loro decorso generalmente progressivo e per le caratteristiche istologiche del
muscolo, ovvero:
• Degenerazione necrotica delle fibre muscolari;
• Fibrosi;
• Sostituzione grassa.

Si distinguono vari sottotipi in base a: età d’esordio, decorso rapido, tipo di muscoli interessati (es distrofia
dei cingoli, distrofia distale ecc.). ognuna di esse ha un gene responsabile e una proteina di volta in volta
diversa, ma importante nell’integrità della cellula muscolare.
La degenerazione muscolare si vede con una biopsia, comune a tutte le forme (ematossilina eosina): pallide
fibre degenerate prenecrotiche e e invase da macrofagi che ne causeranno la scomparsa e la sostituzione con
tessuto fibroadiposo.

DISTROFINOPATIE
Si definiscono distrofinopatie le distrofie muscolari causate da una mutazione del gene che codifica per la
distrofina, localizzato sul braccio corto del cromosoma X (Xp21). La distrofma è una proteina strutturale
localizzata all'interno della membrana sarcolemmale, legata da un lato all'actina, e dall'altro, tramite un
complesso di proteine, alla membrana basale. L'intero complesso ha funzione di stabilizzare la membrana, la
quale, in presenza di un difetto di uno qualsiasi dei componenti, diventa meno resistente all'effetto traumatico
dei cicli di contrazione-decontrazione. Questo porta alla rottura della membrana sarcolemmale, con ingresso di
ioni calcio e morte cellulare.
A seconda della mutazione che colpisce il gene della distrofina (delezione, duplicazione, mutazione
puntiforme) e dell'effetto trascrizionale dell'alterazione genica, si avranno fenotipi gravi con totale assenza
di distrofina (distrofia di Duchenne) o fenotipi meno gravi, con presenza di distrofina in quantità ridotta o
alterata qualitativamente (distrofia di Becker).

Distrofia muscolare tipo Duchenne


La distrofia muscolare di Duchenne ha un'incidenza bassa, colpendo 28/100.000 maschi nati vivi. Si manifesta
solo nei maschi (X-linked), in cui circa 1/3 dei casi è sporadico e 2/3 familiare. Le femmine portatrici sono
quasi sempre asintomatiche; si possono avere tratti clinici o laboratoristiche (CPK elevate) in caso di estrema
(e sfortunata) lyonizzazione, in cui si accende il cr. X mutato (con segni miopatici). I figli maschi di una donna
portatrice hanno il 50% di possibilità di essere malati. Donne con lyonizzazione dell’X
sano possono manifestare:
Dal punto di vista clinico presenta dei tratti peculiari: -iperCPKemia isolata
- forme fruste di distrofia
• Esordio precoce: i deficit motori diventano evidenti all'età di 2-3 anni, con difficoltà nella
deambulazione e frequenti cadute.
• Ritardo nello sviluppo motorio: inizio della deambulazione dopo i 18 mesi.
• Degenerazione muscolare evidente ai cingoli: deambulazione anserina e manovra di
Gowers positiva. Deficit cognitivo:
- NON sempre presente
• Spesso presente un ritardo mentale - NON sempre configura vera e
propria insufficienza mentale

Il decorso è progressivo: intorno ai 12 anni il bambino perde la capacità di deambulare. Intorno ai 20 anni,
senza la terapia, il soggetto va incontro al decesso per deficit dei muscoli respiratori e la concomitante
cardiomiopatia dilatativa. Con le terapie attuali i soggetti affetti riescono ad arrivare oltre i 40 anni.
Il CPK raggiunge valori di migliaia, la distrofina è subsarcolemmale e se alterata comporta alterazioni delle
funzioni a livello della membrana che sono il primo evento che scatena il processo necrotico.

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La diagnosi viene formulata sulla base di:


• Caratteristiche clinico-anamnestiche;
• Misurazione degli enzimi muscolari: la CPK può raggiungere valori centinaia di volte superiori alla
norma già nei primi mesi di vita, prima che la malattia sia evidente;
• Biopsia muscolare: all'esame immunoistochimico la distrofina risulta totalmente assente. Questo
test è l'unico in grado di distinguere una Duchenne da una Becker;
• Analisi genetica;

Non esiste una vera e propria terapia per la DMD. La terapia si basa attualmente sull'uso di corticosteroidi
a lungo termine che sembrano migliorare la prestazione muscolare e rallentare il decorso della malattia di
almeno 2 aa (l’ipotesi è che faciliti il turnover di alcune proteine muscolari). genoma o trascrittoma-> RNAantisenso
Il futuro della terapia risiede invece nella manipolazione genetica; ad oggi una tecnica utilizzata con
successo (correzione del difetto in più dell'80% dei bambini affetti) è l'iniezione sottocute di oligonucleotidi
antisenso. Questi vengono costruiti sulla base del difetto genetico individuale, e vanno a legarsi alle
sequenze di mRNA della distrofina escludendo dalla lettura l'esone contenente la mutazione. Questo porta
alla produzione di una forma più corta di distrofina, ma almeno parzialmente funzionante. In realtà, la terapia
genica si sta iniziando a fare soprattutto nei casi in cui si verifica una mutazione di stop, ci sono delle
strategie di terapia molecolare che sono in grado di saltare questo codone di stop e riuscire a riprendere la
sintesi della proteina, che alla fine sarà parzialmente integra, ma sarà in grado di svolgere una parte della
sua funzione.
E' fondamentale ovviamente anche la terapia di supporto per i disturbi respiratori e cardiaci e il trattamento
riabilitativo motorio. >Becker—> mutazione missenso, con distrofina
parzialmente funzionante

> Duchenne—> mutazione missenso, con distrofina


Distrofia muscolare tipo Becker NON funzionante/ codone di stop
La distrofia muscolare di Becker è la variante "benigna" delle distrofinopatie, in quanto è caratterizzata da
una distrofina parzialmente presente e funzionale.
A differenza della Duchenne questa:
• Esordisce tra i 5 e i 20 anni; esordio più tardivo

• Ha un decorso lento.
La variabilità fenotipica all'interno della malattia è ampia, potendosi manifestare con forme lente ma
comunque invalidanti, forme molto lente che non comportano perdita della deambulazione, forme in cui è
presente solo una cardiomiopatia dilatativa o intolleranza all'esercizio fisico. Becker:
>patologia notevolmente meno
severa della Duchenne;
DISTROFIE MIOTONICHE età di exitus media: 5^ decade
>notevole variabilità interindividuale

Le distrofie miotoniche sono malattie multisistemiche che colpiscono sempre il muscolo scheletrico (con
difetti di conduzione, cardiomiopatia dilatativa) e in varia misura:
• corpo vitreo: cataratta
• gonadi: atrofia e sterilità
• sistema endocrino: ipotiroidismo e diabete
• muscolo liscio: disturbi GI
• SNC: ritardo mentale, scadimento cognitivo
• annessi cutanei: calvizie precoci Ne

Sono state caratterizzate due forme:


• Distrofia di Steinert: causata da difetto del gene della miotonina protein-kinasi (DMPK).
• PROMM (PRoximal Myotonic Myopathy - miopatia miotonica prossimale): causata da difetto del
gene della proteina Zinc Finger Protein 9.

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Entrambe le forme sono determinate da espansione di triplette (più ripetizioni ci sono più è grave la malattia
e più precocemente si manifesta). Come dice il nome sono distrofie miotoniche: in esse pertanto coesiste
difetto di la distrofia, ovvero la degenerazione muscolare, e il fenomeno miotonico.
rilasciament
o? Il fenomeno miotonico è una prolungata contrazione muscolare che persiste dopo la sospensione
dell'attività volontaria. Questo fenomeno può essere documentato sia clinicamente (ad es. difficoltà a
lasciare la presa di un oggetto) che all'EMG. In questo esame si registrano una serie di potenziali a riposo
non appena viene inserito l'agoelettrodo. Questo fenomeno è dovuto ad un'alterazione della permeabilità
ionica di membrana, ed è caratteristico infatti delle miotonie da canalopatie.
insufficienza mentale è
eslcusiva delle forme
Distrofia miotonica di Steinert congenite

Questa distrofia miotonica è caratterizzata dall'interessamento distrofico (la proteina mutata oltre a non
funzionare si aggrega e dà un effetto tossico nei confronti della cellula) di tutta la muscolatura, ma in
particolare della muscolatura mimica e distale.
Può presentarsi come forma congenita (gravissima), infantile (grave), oppure dell'adolescenza e dell'adulto
(più comuni). Nelle forme dell'adulto è evidente il coinvolgimento multisistemico, in particolare la
compromissione della muscolatura scheletrica e cardiaca, delle capacità cognitive, cataratta, diabete,
alterazioni della tiroide ecc. quindi si hanno manifestazioni variabili ed eterogenee: ci sono casi dell’adulto
e infantili (più gravi).

Nella distrofia di Steinert alla componente distrofica muscolare (distruzione numero fibre) si associa un
disturbo che colpisce non tanto la componente contrattile, quanto l’alterazione dell’eccitabilità di membrana,
e qui si realizza il fenomeno miotonico (per questo è detta anche distrofia miotonica): disturbo nella fase di
rilasciamento muscolare (il pz stringe la mano, ma il movimento di rilasciamento è lento e si sblocca solo dopo
alcuni secondi). Il sarcolemma invece di raggiungere uno stato di silenzio elettrico continua a generare dei
potenziali di membrana, alla base del persistente stato di contrazione che impedisce il rilasciamento
muscolare). È uno stato di eccitabilità che si protrae oltre il dovuto e il segnale è generato dal sarcolemma
stesso per mutazione del canale del sodio, che altera l’eccitabilità.

La mutazione genetica deriva dall’espansione di triplette, CTG, a livello del cr.19; è autosomica dominante. Nei
soggetti normali è presente fino a 45 ripetizioni, in questi soggetti si arriva a centinaia di ripetizioni. Più sono
le ripetizioni e più è grave.

ALTRE DISTROFIE
Distrofie da alterazione di altre proteine strutturali (diverse dalla distrofina)
Queste distrofie si manifestano clinicamente come distrofie dei cingoli o miopatie distali. In generale
troviamo raccolte in questo gruppo tutte le miopatie genetiche da alterazione di proteine strutturali
diverse dalla distrofina (sarcoglicani, caveolina, titina, miotilina, telethonina ecc.).
Nelle distrofie dei cingoli si ha interessamento simmetrico dei muscoli
prossimali degli arti superiori e inferiori. La diagnosi differenziale con la
distrofia di Becker può essere fatta solo tramite biopsia, poiché come
esordio e decorso sono molto simili. In queste distrofie tuttavia non è
presente l'interessamento cardiaco. Si classificano a seconda che siano
autosomiche dominanti o recessive.
A questo gruppo di malattie appartengono anche delle distrofie in cui
l'alterazione delle proteine strutturali porta a miopatie distali. Curioso
notare che esiste una miopatia a corpi inclusi che possiede caratteristiche
simili alla miosite a corpi inclusi, ma che è geneticamente determinata.

Distrofia da alterazione delle proteine di membrana nucleare


In questo gruppo rientra la distrofia muscolare di Emery-Dreifuss. Dal punto di vista clinico presenta un
fenotipo grave con esordio nella prima decade, ipotrofia e debolezza muscolare nei distretti scapolare e

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peroneale; a questo si associa compromissione cardiaca con blocchi di conduzione o cardiomiopatia dilatativa.
Distrofia muscolare facio-scapolo-omerale
E' una malattia autosomica dominante con espressione clinica variabile.
Esordisce intorno ai 20-30 anni, colpisce i muscoli facciali e si presenta
comunemente con debolezza dei muscoli orbicolari degli occhi e della
bocca, con conseguente incapacità di strizzare gli occhi, gonfiare le guance
o fischiare. A questo si associa ipotrofia e deficit di forza dei muscoli
prossimali degli arti superiori, con difficoltà ad abdurre le braccia. Tipico è
lo stacco e la rotazione della scapola ("scapola alata"), per compromissione
dei muscoli che dovrebbero fissarla (soprattutto il gran dentato).
Dal punto di vista patogenetico è un po' bizzarra questa malattia: infatti è causata da una
delezione in una regione non codificante del cromosoma 4. Tuttavia questa delezione sembra causare
un'inappropriata depressione trascrizionale con attivazione dei geni più prossimali.

Distrofia muscolare oculo-faringea


E' una distrofia caratterizzata da uniformità è tipicità di presentazione: è
autosomica dominante, esordisce in quinta decade con ptosi palpebrale (talora
oftalmoparesi) e disfagia; può associarsi debolezza agli arti, ma raramente
invalidante. L'aspetto bioptico è tipico di questa malattia: le fibre muscolari
contengono vacuoli orlettati e inclusioni filamentose nucleari.
L'alterazione molecolare è un'espansione di triplette a carico del gene della
proteina poly(A)-binding protein 2 (PABP2). La forma mutata polimerizza nel
nucleo ed espleta una funzione tossica per la cellula.

Distrofie muscolari congenite


Le distrofie muscolari congenite esordiscono alla nascita con ipotonia e debolezza muscolare diffuse, ritardo
nelle tappe motorie, difficoltà nella suzione e deglutizione, associate spesso a malformazioni osteoscheletriche
e alterazioni dello sviluppo del SNC.
Sono riconducibili a due tipi di difetti molecolari:
• Difetti delle proteine della matrice extracellulare (merosina, collagene IV): ad es. miopatia di Bethlem
e distrofia di Ullrich
• Difetti dell'alfa-distroglicano e degli enzimi che portano alla sua glicosilazione (POMTI , POMGnTl): ad
es. sindrome di Walker-Warburg e muscle-eye-brain disease.
Per la differenziazione delle singole forme è necessaria la biopsia muscolare con analisi delle proteine.

MIOPATIE CONGENITE
Le miopatie congenite (ereditarie, presenti già alla nascita) sono
malattie che colpiscono quasi esclusivamente il tessuto muscolare
scheletrico. Sono accumunate dalla presenza di alcuni tratti:
• Alla nascita il neonato è ipotonico (''floppy baby") o a
"neonato fantoccio", con motilità spontanea ridotta o
assente, pianto flebile e difficoltà a succhiare, malformazioni
osteo-articolari e ligamentose; talvolta è presente una
cardiomiopatia. Non sempre tuttavia questo fenotipo è
evidente alla nascita.
• Il decorso è variabile, da molto grave a lentamente
evolutivo. Una forma, detta "centrai-core" per la sua
presentazione bioptica, può presentarsi fenotipicamente con
l'ipertermia maligna, quindi solo in caso di effettuazione di
un'anestesia generale.

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Sbobine 2.0

• L'alterazione genetica causale riguarda un gene di una proteina strutturale della fibra muscolare.

Il termine miopatia congenita è in realtà confondente: infatti alcune forme sono solo pauci/a-sintomatiche (ad
es. iperCKemia) o si manifestano solo in determinate condizione (ipertermia maligna). In genere hanno prognosi
benigna, alcune più gravi sono distrofie muscolari congenite. Abbiamo alterazioni rilevabili alla biopsia
(alterazione di struttura, migrazione nucleare, istochimica, presenza di corpi inclusi).

MIOPATIE METABOLICHE
Le miopatie metaboliche sono causate da difetti genetici autosomici recessivi di enzimi coinvolti nel
metabolismo glucidico e lipidico.
glicogeno— (maltasi acida)—> glucosio
MALATTIE DEL METABOLISMO GLUCIDICO
glicogeno— (miofosforilasi)—> gucosio-P
Si dividono in due gruppi a seconda del deficit metabolico:
• Difetti enzimatici della sintesi o del catabolismo del glicogeno: ad es. malattia di Pompe o
glicogenosi II (deficit di maltasi acida, enzima lisosomiale che degrada il glicogeno a glucosio e
fosfato); è caratterizzata da ipotonia diffusa, epatomegalia e cardiomegalia
• Difetti enzimatici della glicolisi anaerobia: ad es. malattia di McArdle. scompenso
cardiaco
non una patologia da accumulo lisosomiale! nell’infanzia
(miofosforilasi non è un enzima lisosomiale)
La malattia di McArdle (glicogenosi V) è dovuta a deficit di fosforilasi muscolare, l'enzima che stacca
molecole di glucosio-1-fosfato dal glicogeno. Questo porta a riduzione della fonte immediata di energia
per far fronte a sforzi brevi e intensi (anaerobi). E' caratterizzata da crampi e mialgie in occasione di
sforzi muscolari; si può accompagnare a rabdomiolisi con mioglobinuria e tossicità renale.
intolleranza allo sfozo;
facilità alla rabdomiolisi

Un test semplice che si può eseguire è il test


ischemico da sforzo: durante uno sforzo breve
e intenso un soggetto normale, tramite la
glicolisi anaerobia produce grandi quantità di
acido lattico, invece il soggetto con deficit di
fosforilasi muscolare non ne produce affatto
poiché non è in grado di utilizzare il glicogeno
stockato all’interno delle cellule muscolari. La
diagnosi è comunque bioptica e deve dimostrare l’assenza della fosforilasi nel tessuto muscolare.

MALATTIE DEL METABOLISMO LIPIDICO


Si riconoscono tre deficit principali:
• Deficit primario di carnitina (vettore di trasporto degli acidi grassi nei mitocondri):
clinicamente somiglia ad una distrofia.
• Deficit di carnitina-palmitoil-transferasi (enzima che trasporta gli acidi grassi a catena lunga
nel mitocondrio): è la causa più frequente di mioglobinuria ricorrente, ed entra pertanto in
diagnosi differenziale con la malattia di McArdle. E' infatti caratterizzata da crampi muscolari
dopo sforzi prolungati con rabdomiolisi e mioglobinuria.
• Deficit degli enzimi della beta-ossidazione: si presentano clinicamente con forme anche gravi
che coinvolgono il muscolo scheletrico e il SNC.

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Sbobine 2.0

MALATTIE MITOCONDRIALI
Si tratta di patologie interessanti, sia perché rappresentano dei nuovi modelli di patogenesi, sia perché spesso
sconfinano dal sistema nervoso o dall’apparato muscolare, coinvolgendo organi o tessuti extraneurologici,
costituendo quindi patologie internistiche, cardiologiche, gastroenterologiche, etc.
Il mitocondrio rappresenta una nozione biologica di vecchia data: già alla fine del XVII secolo c’erano le prime
evidenze istologiche, confermate alla fine dell’800 da evidenze sperimentali. Tuttavia, è solo dagli anni ’80 del
secolo scorso che venne documentata l’origine mitocondriale di alcune patologie.

IL MITOCONDRIO
Il mitocondrio è un organulo dalla morfologia bastoncellare (al microscopio elettronico ricorda l’impronta del
primo uomo sulla superficie lunare), che, grazie alle sue caratteristiche morfologiche, molecolari e
biochimiche, sovrintende ai processi che utilizzano l’ossigeno per la sintesi aerobica di ATP. Ciò avviene
mediante la catena respiratoria, localizzata sulla membrana mitocondriale interna, un processo che finalizza
una serie di vie metaboliche, prima su tutte ciclo di Krebs, che rappresenta a sua volta la via finale comune di
glicolisi e lipolisi. La catena respiratoria avviene grazie a cinque complessi enzimatici, costituiti da multiple
subunità proteiche, che svolgono la funzione di trasferimento di elettroni e, in ultima analisi, la sintesi di ATP.
Sono coinvolti alcuni substrati: NADH, FADH2 e il coenzima Q10.
Sembra che il mitocondrio abbia acquisito questo ruolo all’interno della cellula eucariote tramite una simbiosi
funzionale, venendo ospitato da una cellula più complessa, a cui assicura una serie di funzioni fondamentali
per la sopravvivenza. In seguito a questa scoperta, a partire dagli anni ’90, molti studi hanno approfondito
come una patologia a carico del mitocondrio possa essere alla base di patologie, alcune già note, altre scoperte
successivamente.

FISIOPATOLOGIA DELLE MALATTIE MITOCONDRIALI


Al suo interno, il mitocondrio possiede del materiale cromatinico, che rappresenta l’unica sede extranucleare
di DNA della cellula eucariote. Oltre che per i tRNA, il mtDNA codifica per alcune proteine, che sono parte delle
subunità che costituiscono i complessi enzimatici all’interno del mitocondrio stesso. Un’altra parte delle
subunità è codificata dal genoma nucleare: è avvenuta un’integrazione ottimale tra prodotti di geni nucleari,
trasportati nel mitocondrio, e prodotti proteici codificati dai geni contenuti nel DNA mitocondriale.
Quest’ultimo appare come una molecola circolare a doppia elica, di circa 16’000 basi, presente in multiple
copie in ciascun organello. Poiché all’interno della singola cellula sono presenti centinaia di mitocondri,
ciascuno dei quali contiene molte molecole di DNA mitocondriale, il mtDNA è presente in migliaia di copie per
ciascuna cellula, una situazione nota come poliplasmia. Quando si realizzano malattie mitocondriali su base
genetica (il mitocondrio può andare incontro a disfunzione anche per cause acquisite), il processo mutazionale
non colpisce necessariamente il 100% dei mitocondri, ma potrà riguardare una quantità discreta della
componente mitocondriale, si parla dunque di eteroplasmia. Inoltre, la percentuale di DNA mutato rispetto al
DNA wild type, può correlare con la gravità del fenotipo. L’ereditarietà di queste patologie è matrilineare, dato
che, nel corso della fecondazione, i mitocondri provengono dalla cellula uovo. Quando una parte dei genomi
mitocondriali sono mutati, la proporzione di mutazione dello zigote può segregare in modo asimmetrico nelle
divisioni mitotiche: nello stesso individuo ci saranno cellule con diverso carico di mutazione. Tutto ciò giustifica
l’eterogeneità e la variabilità dell’espressione clinica di queste patologie. Un altro concetto importante è
l’effetto soglia: le disfunzioni tissutali si manifestano solo se si raggiunge una porzione critica di mtDNA
mutato.
Poiché le subunità dei complessi enzimatici della catena respiratoria, un possibile bersaglio delle malattie
mitocondriali, sono in parte a codifica nucleare, occorre distinguere tra malattie legate a mutazione del DNA
mitocondriale e a mutazioni di geni del DNA nucleare che codificano per proteine mitocondriali.

MANIFESTAZIONI CLINICHE
Si tratta di situazioni fenotipicamente molto variabili, con frequente coinvolgimento extraneurologico.
- Manifestazioni muscolari
o Ptosi palpebrale

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Sbobine 2.0

o Oftalmoplegia esterna
o Intolleranza all’esercizio fisico
o Debolezza muscolare
o Crampi
o Mialgie
- Manifestazioni neurologiche
o Episodi tipo stroke
o Crisi epilettiche, mioclonie molto varie

o Parkinsonismi
o Atassia
o Neuropatie periferiche
o Cefalea
o Ritardo mentale
o Demenze
o Ipoacusia neurosensoriale
o Degenerazione retinica, atrofia ottica
- Manifestazioni cardiologiche
o Blocchi di branca
o Cardiomiopatie Possibile eziopatogenesi
- Manifestazioni renali
- Manifestazioni metaboliche
- Manifestazioni endocrinologiche
- Manifestazioni staturali
- Manifestazioni ematologiche: linfomatosi

Questi sintomi si possono correlare in sindromi abbastanza patognomoniche, come la CPEO, la MELAS,
la MERFF, la NARP, la Leigh (trattate nel resto della lezione).
Alcune di queste (CPEO, MELAS) sono legate a mutazioni del DNA mitocondriale, altre a mutazioni del DNA
nucleare, altre ancora sono legate a un difetto di comunicazione intergenomica.

Alcune malattie mitocondriali sono forme infantili, come la sindrome di Leigh, una gravissima encefalopatia
che porta a morte, oppure alcune forme epatorenali congenite dovute a una deplezione di mtDNA; a volte
colpiscono soggetti adulti, hanno evoluzione lenta e non riducono l’aspettativa di vita.

DIAGNOSI
Il primo elemento è il ricorso a test da sforzo muscolare, dato che la funzione principale del mitocondrio è
assicurare ATP mediante il metabolismo aerobio. Si possono svolgere test ischemici (sono test anaerobi,
eseguiti per controprova, mostrano un eccesso di produzione di lattato) e test aerobici su cicloergometro a
carico incrementali, in cui si evidenzia un eccesso di sintesi lattacidemica durante gli sforzi muscolari:
essendoci una carenza di sintesi aerobia di ATP, la cellula predilige la glicolisi anaerobia, che ha come prodotto
finale l’acido lattico.
Oltre al lattato, un importante marcatore è la CPK, soprattutto se c’è una componente muscolare della
malattia, dato che l’isoforma MM del CPK riproduce fedelmente l’integrità delle cellule muscolari.

A questi test sono associate altre indagini, che integrano il percorso diagnostico, a seconda delle
manifestazioni che si uniscono al quadro della sindrome, per esempio studi elettrofisiologici (EMG, velocità
conduzione).
In particolare, si eseguono tre tipi di indagine, che consentono di confermare il sospetto di malattia
mitocondriale e di arrivare alla diagnosi definitiva:
- RM spettroscopica
- Biopsia muscolare

ragged-red-fibers

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Sbobine 2.0

- Analisi genetica

La risonanza magnetica spettroscopica per il fosforo (con il P31) è in grado di fornire informazioni sul
contenuto biochimico del tessuto, in particolare, di captare i picchi di ATP, acido lattico e il pH. Questo esame
può confermare la presenza di un disturbo del metabolismo aerobico.

Più diretti appaiono gli esami che valutano la disfunzione mitocondriale in termini patologici: biopsia
muscolare (gold standard) e analisi genetiche e biochimiche (dosaggio degli enzimi coinvolti nel metabolismo
anaerobio), necessari per la diagnosi definitiva.

La biopsia evidenzia con la colorazione tricromica la presenza di fibre


rosse stracciate (ragged red fibers), espressione dei mitocondri alterati,
che si ammucchiano disordinatamente alla periferia della cellula.

Ricorrendo a tecniche istochimiche, si


evidenziano alcune cellule (che appaiono
bianche), in cui, a causa della mutazione, non è espressa l’attività della
citocromo ossidasi, o complesso 4 della catena respiratoria (fibre COX
negative).

Studi biochimici e indagini genetiche definiscono la patologia, individuando l’attività enzimatica e i geni
mutati.

FORME SPORADICHE
Si associano più frequentemente a delezione singola del mtDNA. Le mutazioni possono essere le stesse del
DNA nucleare (inserzioni, sostituzioni, delezioni multiple, macrodelezioni, microdelezioni), in particolare,
queste sindromi sono frequentemente associate a una macrodelezione del mtDNA.
Le principali sono:
- Oftalmoplegia esterna progressiva cronica (CPEO). Si manifesta con ptosi palpebrale bilaterale
asimmetrica e difficoltà del movimento oculare (oftalmoplegia esterna progressiva), disfagia, disatria e
deficit di forza degli arti. È la forma più comune di malattia mitocondriale.
- Sindrome di Kearns-Sayre (KSS): PEO + retinite pigmentosa + blocchi di conduzione (aritmie anche fatali)
+ atassia + sordità.
- Sindrome di Pearson: anemia sideroblastica refrattaria, vacuolizzazione dei precursori del midollo e
insufficienza pancreatica esocrina

FORME EREDITATE PER VIA MATRILINEARE


- MELAS o EncefaloMiopatia mitocondriale, Acidosi lattica, episodi tipo Stroke
Si manifesta con:
o debolezza muscolare (deficit di forza, è una miopatia in cui si hanno le “fibre red ragged” cioè
rosse raggiate, alla biopsia, indice di proliferazione mitocondriale)
o acidosi lattica
o episodi tipo stroke (a patogenesi metabolica, da insufficienza di metabolismo aerobio che si
localizza spesso alle aree parieto-occipitali).
I pazienti, generalmente giovani, possono manifestare improvvisi deficit focali a carico del sistema nervoso
centrale, che non sono legati a un’encefalopatia ischemica da ipoafflusso, ma a un deficit energetico, che
determina un’incapacità di utilizzare l’ossigeno in un’area cerebrale, il che si traduce in un danno cellulare.
Alla risonanza magnetica (o TC) si evidenziano alterazioni con le caratteristiche tipiche di un danno

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ischemico (lesione cerebrale vera e propria, ma senza pattern vascolari tipici dell’ictus). Questa sindrome
è legata a diverse mutazioni, la più frequente delle quali è la A3243G, nel gene codificante per il tRNA
della Leucina.
- MERRF o Mioclono, Epilessia, fibre rosse sfilacciate (Ragged Red Fibers)
La manifestazione clinica più importante è l’epilessia mioclonica. Se si effettua una registrazione
elettromiografica, si rileva un corrispettivo dell’alterazione elettroencefalografica. L’epilessia mioclonica
si manifesta con movimenti ripetitivi, parcellari, che possono coinvolgere più gruppi muscolari, che
avvengono con preservazione dello stato di coscienza. Il meccanismo patogenetico è l’attivazione
dell’eccitabilità neuronale. La mutazione più frequente è la A8344G, nel gene che codifica per il tRNA della
Lisina.
- NARP o Debolezza muscolare neurogena (Neuropatia), Atassia, Retinite Pigmentosa
Associata a mutazione T8993G nel gene che codifica per la subunità 6 del complesso enzimatico V (ATPasi
mitocondriale).
- SINDROME DI LEIGH
Si manifesta molto precocemente, con ritardo nello sviluppo psicomotorio, incoordinazione dei
movimenti oculari, epilessia, acidosi lattica. Si tratta delle funzioni che fanno capo ai sistemi che
attraversano o sono localizzati nei nuclei della base, nel tronco cerebrale e nel cervelletto, infatti questa è
una variante clinica a interessamento prevalentemente cerebrale.

CANALOPATIE
Fanno parte delle malattie muscolari, un capitolo vario, che include:
- Le distrofie muscolare, forme geneticamente determinate, caratterizzate da un’alterazione strutturale
che porta alla progressiva degenerazione del muscolo. Esistono, a seconda del gene coinvolto, forme gravi,
tipiche del bambino e forme paucisintomatiche, che possono manifestarsi in età adulta.
- Le miopatie metaboliche, che includono le malattie mitocondriali, sono geneticamente determinate,
caratterizzate da mutazioni di enzimi coinvolti nel metabolismo muscolare. A seconda delle vie
metaboliche coinvolte si dividono in: glicogenosi, miopatie lipidiche, malattie mitocondriali.
- Le miopatie congenite sono un gruppo di patologie muscolari geneticamente determinate, che
esordiscono molto precocemente, anche se, con la scoperta dei geni coinvolti, la denominazione è stata
estesa a includere un gruppo di patologie con caratteristiche istologiche ben definite, che generalmente
non si associano a quadri distrofici, ma a un’alterazione della struttura del muscolo, che possono anche
avere esordio precoce o tardivo.
- Le canalopatie sono malattie muscolari geneticamente determinate, legate a una disfunzione dei canali
ionici presenti a livello del sarcolemma, caratterizzate da un’alterazione dell’eccitabilità di membrana.
Sono un gruppo eterogeneo di malattie che possono colpire muscolo, cuore, SNC. Sono patologie rare
(1/100'000), ma, nell’ambito delle malattie neuromuscolari, non sono infrequenti. Un sottogruppo (n.d.s.
paralisi periodiche iper- o ipokaliemiche) può manifestarsi acutamente e portare il paziente ad accedere
in pronto soccorso, pertanto devono essere riconosciute.

Quando un canale ionico non funziona, c’è un’alterazione dell’eccitabilità di membrana, quindi si possono
verificare due condizioni opposte:
- Miotonia: a causa della persistenza dell’eccitabilità, il muscolo rimane contratto, non può essere rilasciato
- Paralisi: il sarcolemma è reso ineccitabile dallo stimolo, il paziente non riesce a muoversi

QUADRI DI CANALOPATIA
Diverse mutazioni determinano quadri clinici caratteristici. Possono essere coinvolti i canali de sodio, del cloro,
del calcio: mutazioni dei canali del sodio e del cloro si associano più tipicamente a quadri caratterizzati da
miotonia, mentre alcune mutazioni del canale del sodio e le mutazioni dei canali del calcio si associano a
paralisi, ma esistono anche quadri caratterizzati dalla sovrapposizione dei due aspetti, ovvero la coesistenza
di mioclonia e di fenomeni di paralisi.

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Le forme tipiche di canalopatia sono rappresentate da 3 quadri:


- Miotonia congenita (malattie miotoniche non distrofiche): caratterizzate dal fenomeno miotonico,
tipicamente dovuta a una mutazione del canale del cloro;
- Paramiotonia congenita: caratterizzata dal fenomeno miotonico e da paralisi periodiche, dovuta a una
mutazione del canale del sodio;
- Paralisi periodiche: caratterizzate da episodi temporanei di impotenza funzionale,
o iperkaliemiche, generalmente dovuta a una mutazione del canale del sodio
o ipokaliemiche, generalmente dovuta a una mutazione del canale del calcio

In senso stretto anche le distrofie miotoniche (Steinert e PROMM) possono essere considerate malattie dei
canali ionici, poiché presentano il fenomeno miotonico (l’alterazione genetica però non è carico di un canale
ionico!).
ma della MDPK: myotonic distrophy protein kinase

TIPO CANALI CARATTERISTICHE CLINICHE


Miotonie non ci- Malattia di Thomsen e malattia di Becker: caratterizzate da miotonia
distrofiche generalizzata ad esordio infantile, con caratteristico aspetto atletico
per le masse muscolari ipertrofiche.
Na+ Sindromi miotoniche non evolutive, più o meno gravi, peggiorate dalla
somministrazione di potassio orale (utile test diagnostico)

Paralisi periodiche e Na+, K+, Ca2+ -Durata della paralisi limitata nel tempo (solitamente <24h).
paramiotonie -Il difetto motorio assume le caratteristiche di un deficit nervoso
periferico, con riduzione della forza fino a paralisi flaccidi e areflessia.
Sono solitamente risparmiati i muscoli mimici e respiratori (non
necessarie misure rianimatorie).
Nello stadio di paralisi il muscolo è ineccitabile anche con stimolazione
elettrica.
-Con il progredire del tempo può svilupparsi una miopatia a carattere
evolutivo e invalidante.

MIOTONIA CONGENITA
Viene distinta in due sottoforme: la miotonia congenita di Becker (trasmissione autosomica recessiva) e la
miotonia congenita di Thomsen (trasmissione autosomica dominante). La diversa modalità di trasmissione è
legata al fatto che le due forme sono dovute a mutazioni diverse.
La forma dominante tende ad avere un fenotipo più lieve, mentre nella forma recessiva sono frequenti i
fenotipi più complessi. In entrambi i casi, il sintomo della miotonia prevale a livello della muscolatura degli
arti. Nella Becker prevale la miotonia degli arti inferiori, nella Thomsen degli arti superiori.
Un altro segno caratteristico della miotonia congenita è la mancata modificazione della miotonia in risposta
all’abbassamento della temperatura. Nei pazienti compare il fenomeno del warm-up: il sintomo peggiora nel
paziente fermo e migliora con il movimento.
La muscolatura facciale non è interessata, il che distingue questa forma dalla paramiotonia congenita.
Possono essere presenti, soprattutto nella forma di Becker, episodi transitori di paralisi, soprattutto nella fase
di iniziazione del movimento.

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Sbobine 2.0

Si tratta di pazienti riconoscibili, con conformazione della corporatura ercolina: a differenza delle altre forme
miopatiche, hanno un aspetto della muscolatura molto trofico, apparentemente sproporzionato rispetto alle
caratteristiche del paziente.
L’espressione della malattia, e con essa le caratteristiche cliniche, possono variare: ci sono quadri floridi, a
insorgenza giovanile, in cui la diagnosi è semplice, e forme subdole, che vengono diagnosticate tardivamente
(ma i pazienti spesso ricordano episodi in età infantile e giovanile compatibili con la malattia).

PARAMIOTONIA CONGENITA
Dovuta a una mutazione del canale del sodio. Ha una trasmissione sempre autosomica dominante, la
penetranza può essere incompleta, quindi l’assenza di casi diagnosticati in famiglia non deve escludere la
diagnosi. L’esordio è generalmente precoce, seppur con una certa variabilità, sono descritti anche casi ad
esordio neonatale (la patologia consente la sopravvivenza e l’accrescimento).
A differenza della miotonia congenita, la patologia colpisce molto frequentemente la muscolatura del volto
e, in progressione, anche la muscolatura degli arti. Inoltre, la paramiotonia congenita è molto sensibile al
freddo (spesso il paziente riferisce di non poter fare il bagno in mare, perché l’acqua fredda causa
l’impossibilità di aprire gli occhi e l’irrigidimento di tutta muscolatura). Non è presente il fenomeno del warm-
up (n.d.s ovunque è scritto che è presente un peggioramento paradosso con l’esercizio). Come nella Becker,
possono essere presenti episodi di paralisi.

LARINGOSPASMO EPISODICO NEONATALE SEVERO (SNEL)


(N.d.s. Causato dalla mutazione del gene che codifica per un canale del sodio)
È caratterizzato dalla comparsa di stridore intermittente alla nascita o ad alcune ore dalla nascita, con
difficoltà ad alimentarsi, con laringospasmo, talvolta associato a rigidità muscolare diffusa, con ipossia e
cianosi. Si tratta di neonati che necessitano di supporto, ma, superata la fase critica, la prognosi può essere
buona. Talvolta la diagnosi può essere posta retrospettivamente solo dopo anni.

DIAGNOSI
- ANAMNESI: Il paziente riferisce episodi di rigidità e paralisi, talvolta associati a dolore.
- ESAME CLINICO: La miotonia può essere apprezzata clinicamente, così come le masse muscolari
ipertrofiche.
- ESAMI EMATOCHIMICI: Utili per la diagnosi differenziale. Potassio, elettroliti, CPK (può essere lievemente
alterato, ma non si osserva una degenerazione muscolare, quindi non è un indice specifico).
- ELETTROMIOGRAFIA: Consente di apprezzare il fenomeno miotonico. Inoltre, è possibile effettuare
attività motorie ripetute, per valutare all’EMG il fenomeno del warm-up. Si tratta di un’indagine che, in
era pre-molecolare, consentiva di ipotizzare il canale alterato alla base della patologia. Si possono anche
effettuare registrazioni dopo aver immerso la mano in acqua calda o fredda, per valutare la sensibilità alla
temperatura.
- Oltre al freddo, altri fattori che possono esacerbare la sintomatologia sono i pasti ricchi di carboidrati e
l’attività motoria (che, in alcuni casi, può migliorare il disturbo).

TERAPIA
La terapia è sintomatica, mira ad alleviare la miotonia. Si avvale di farmaci che agiscono sui canali di
membrana, soprattutto antiepilettici (fenitoina, carbamazepina, lamotrigina) e antiaritmici (procainamide,
flecainide, profanenone e, soprattutto, la mexiletina). Il più utilizzato è la mexiletina, un vecchio antiaritmico,
non più utilizzato in cardiologia, ma molto efficace per il trattamento dei pazienti con canalopatie, in cui può
migliorare drasticamente la qualità di vita. La risposta dipende dal tipo di mutazione: esistono pazienti non
responder alla mexiletina, altri che hanno un beneficio soltanto parziale. Oggi, si sta cercando di individuare
questi pazienti, per cui si può testare, anche in vitro, la risposta a diversi farmaci.

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PARALISI PERIODICHE
Sono patologie relativamente frequenti, talvolta si riscontrano dei cluster di prevalenza in alcune regioni e in
alcune famiglie. Spesso al primo episodio il paziente si presenta in pronto soccorso, dove viene posta in
diagnosi differenziale con le cause secondarie di ipopotassiemia e con altre tipologie di paralisi (come la
Guillain-Barré).
Ha una trasmissione autosomica dominante, la mutazione più frequente (80% dei casi) coinvolge il gene
CACNA1S, che codifica per una subunità del canale del calcio Cav1.1. Più raramente, può essere mutato il
canale del sodio. Spesso all’anamnesi familiare emergono episodi, anche esitati nell’exitus del paziente per
insufficienza respiratoria, compatibili con questa patologia.
Ne esistono due tipologie: paralisi periodiche iperkaliemiche (estremamente rare) e paralisi periodiche
ipokaliemiche.
Possono manifestarsi con un quadro lieve o con una tetraparesi, talvolta con coinvolgimento della muscolatura
respiratoria. Le crisi di paralisi periodica ipokaliemica si verificano soprattutto la notte e la mattina presto,
momenti in cui può ridursi il livello sierico di potassio, gli episodi possono essere scatenati da un pasto ricco
di carboidrati. insuline—> - kaliemia
La terapia è rappresentata dall’assunzione di potassio, che il paziente deve avere sempre con sé e
somministrarsi non appena percepisce l’imminenza di un episodio.
Pur trattandosi di una patologia genetica, l’esordio non è sempre infantile, la diagnosi può essere tardiva,
anche perché le prime crisi possono essere lievi e non giungere all’attenzione del medico, ma possono
emergere all’anamnesi.

La diagnosi di queste patologie è cambiata: in passato si cercava arrivare a sospettare il gene coinvolto
mediante la clinica e l’elettromiografia. Oggi, la diagnosi genetica non avviene gene per gene, ma si possono
valutare interi pannelli, che includono tutti i geni la cui mutazione è associata canalopatie (MGS).
Quest’evoluzione, se ha facilitato la diagnosi, ha tuttavia complicato l’interpretazione: è necessario capire se
le varianti genetiche presenti sono patogenetiche. Il lavoro del clinico è pertanto sempre fondamentale: solo
mediante una descrizione efficace del fenotipo si può attribuire un significato del genotipo. In letteratura,
spesso viene affermato che “il genotipo espande il fenotipo”: lo stesso gene può essere associato a
manifestazioni diverse, ma questo concetto può portare ad attribuire erroneamente una mutazione al
fenotipo.

MIOPATIE ACQUISITE
Le miopatie acquisite comprendono tutte le affezioni che colpiscono iltessuto muscolare per cause
esogene e rappresentano un'importante percentuale tra le patologie muscolari, comprendendo forme:
• Infiammatorie
• Infettive
• Disendocrine
• Tossiche
• Carenziali
• Secondarie ad altre patologie internistiche

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Nella tabella vediamo alcune caratteristiche delle miopatie acquisite e i criteri differenziali più importanti
rispetto alle malattie primitivamente muscolari:

TIPO PATOLOGIA CARATTERISTICHE


Infiammatorie Polimiosite Coinvolge 1 muscoli prossimali come le malattie muscolari
primitive, tuttavia presenta importanti caratteristiche
differenziali
-indiciinfiammatori elevati
-autoautoanticorpi (anti-Jo, anti-Mi-2...)
-biopsia muscolare presenta pattern peculiari
Dermatomiosite Coinvolge, oltre ai muscoli, la cute (eritema
eliotropo, papule di Gottron). Anche in questo caso abbiamo
indici infiammatori elevati e una biopsia muscolaresuggestiva.

Miosite a corpi inclusi Coinvolge inizialmente i distretti distali, ma con


il tempo interessa anche il tronco. La biopsia permette di
distinguerla dalla miopatia distale a corpi inclusi.

Disendocrine Patologie tiroidee Miopatia prossimale con CPK normale


(nell'ipotiroidismo può essere aumentata).
Tossiche Fibrati, statine Miopatia necrotizzante
Amiodarone
Clorochina
Colchicina
Antiretrovirali (NRTI) Miopatia mitocondriale (l'NRTI blocca la
polimerasi mitocondriale!)
Neurolettici Sindrome maligna da neurolettici (rigidità
muscolare, febbre, disregolazione del SNA)

203
Sbobine 2.0

TERAPIE NELLE MALATTIE MUSCOLARI


Le malattie muscolari sono patologie genetiche dovute ad alterazioni che interessano direttamente o
indirettamente la cellula muscolare, dovute ad alterazioni a livello di componenti strutturali, enzimi
(miopatie di tipo metabolico) e meccanismi che regolano la trascrizione di altri geni.

Rappresentano l’emblema delle malattie neurologiche incurabili. Negli ultimi anni, anche grazie al
progredire delle tecniche di analisi del DNA, è stato possibile identificare il gene responsabile in molte delle
malattie neuromuscolari. Dallo studio dei meccanismi con cui questi stessi geni sono regolati e funzionano
nell’organismo, si passa a modelli in vitro (in laboratorio) e in vivo (modelli animali), per sperimentare nuovi
approcci terapeutici e, finalmente, alla sperimentazione clinica. Ad oggi 30-40% delle patologie non ha ancora
una caratterizzazione genetica definitiva.

L’avanzamento delle tecniche diagnostiche ha consentito di raggiungere la diagnosi più velocemente.


Identificare la fase temporale della malattia e la sua storia naturale consente di definirne la prognosi e di
impostare il percorso terapeutico più appropriato.

MALATTIA DI POMPE
La prima malattia di pompe ad essere stata descritta è la glicogenosi di tipo II, malattia autosomica recessiva
causata dal deficit di alfa-glucosidasi (GAA). Questa carenza enzimatica porta ad accumulo di glicogeno e
degenerazione della cellula muscolare. Si distinguono quindi:
• Forme severe, ad esordio in età neonatale. I sintomi si presentano
generalmente entro il primo anno d’età, con decorso rapidamente
progressivo e morte entro il primo anno d’età per coinvolgimento del cuore
con cardiomiopatia;
• Forme moderata e lievi, ad esordio in età più avanzata. La progressione è
più lenta e il decorso clinico è molto variabile. In questi casi la diagnosi è
molto difficile, in quanto si presenta con debolezza prossimale di intensità
variabile (segno aspecifico).

La diagnosi precoce però è di fondamentale importanza perché consente di intervenire subito e prevenire la
perdita di funzionalità. Si effettua quindi una terapia enzimatica sostitutiva con miozima ricombinante per
via endovenosa ogni 14 giorni. In questo modo si stabilizzano le funzioni muscolari, cardiache e polmonare e
si migliora notevolmente la qualità di vita del paziente. È importante sottolineare che il tessuto cardiaco
risponde meglio del tessuto muscolare scheletrico. La risposta varia in base al quadro clinico del paziente e a
quando viene iniziata la terapia.

Infine, esiste una terapia sostitutiva di seconda generazione ancora in fase sperimentale basata sul neoGAA.

DISTROFINOPATIE
Le distrofinopatie sono dovute alla mutazione del gene della distrofina, con ereditarietà X-linked recessiva.
A seconda del tipo di alterazione si può avere:
• Distrofia muscolare di Duchenne, forma più grave dovuta alla mancata produzione della proteina;
• Distrofia muscolare di Becker, forma più leggera dovuta alla ridotta sintesi della proteina.

Colorazione della distrofina sul contorno Distrofia di Becker: ridotta colorazione delle Distrofia di Duchenne: assenza di distrofina
delle fibre muscolari di soggetto sano fibre 204
Sbobine 2.0

STORIA NATURALE DELLA DUCHENNE


La distrofia muscolare di Duchenne ha scarsa variabilità clinica e la diagnosi viene effettuata intorno ai 2-3
anni. Si caratterizza per:
• Precoci difficoltà deambulatorie, frequenti cadute, andatura anserina;
• Precoce perdita della deambulazione (12 anni);
• Progressivo e generalizzato difetto di forza, viene conservata la motilità distale delle dita.
• Sebbene il coinvolgimento della muscolatura sia generalizzato, alcuni gruppi muscolari sono più
interessati di altri e questo può determinare coinvolgimenti asimmetrici e favorire lo sviluppo di
retrazioni articolari e scoliosi.
• Alla III decade di vita si presentano poi:
o Insufficienza respiratoria per coinvolgimento dei muscoli respiratori;
o Cardiomiopatia dilatativa e scompenso cardiaco per coinvolgimento del miocardio; Sebbene
l’interessamento sia
o Aspirazione e disfagia per coinvolgimento dei muscoli faringei; precipuamente del

• Alterazione della muscolatura del tratto gastrointestinale.


muscolo scheletrico,
sono interessati altresì
miocardio e muscolo
liscio

TERAPIA
Attualmente, l’obiettivo della terapia è quello di trasformare la Duchenne in Becker, cercando di stimolare
la produzione della proteina.

La somministrazione di corticosteroidi consente di ridurre il rischio di scoliosi e deformazioni ostearticolari,


migliora la forza e stabilizza della funzione polmonare Nonostante i noti effetti avversi correlati all’assunzione
cronica di tali farmaci, il soggetto non deve mai sospendere la terapia. A tal proposito, il farmaco preferito è
il Deflazacort a dosaggi di 0.9 mg/kg al giorno in quanto presenta minori effetti collaterali.
Il successo degli steroidi è da ricercarsi nella componente infiammatoria secondaria ai meccanismi di
neurodegenerazione alla base della patologia.

Di recente, si sta cominciando a parlare di terapia genica mutazione-specifica. I farmaci in questione sono
oligonucleotidi antisenso in grado di legarsi al sito di mutazione:
• Nel 60-70% dei casi sarà una delezione, per la quale si utilizzano farmaci come Eterlipsen e
Drisapersen che sfruttano il principio di exon-skipping. In questo modo si riuscirebbe ad ottenere
distrofina parzialmente funzionante. Le terapie sono ancora in fase di sperimentazione e sono
diverse a seconda del tipo di delezione;
• Nel 10% dei casi sarà una puntiforme nonsenso, per la quale si utilizza l’Ataluren (TRASLARNA). Deve
essere somministrato per via orale ogni giorno in 3 dosi ed è riservato ai pazienti deambulanti di età
pari ad almeno 5 anni (si sta cercando di anticipare l’età d’inizio a 3 anni). I dati ottenuti sul
miglioramento della distanza percorsa a piedi in 6 minuti sono molto incoraggianti.

205
Sbobine 2.0

ATROFIA MUSCOLARE SPINALE (SMA)


L’atrofia muscolare spinale è una malattia autosomica recessiva dovuta alla mutazione dei geni SMN1 e
SMN2 con degenerazione del secondo motoneurone. Esistono essenzialmente 4 forme cliniche:
• SMA1, forma più grave, con esordio a 0-6 mesi. I bambini non sono in
grado di deambulare o stare seduti, necessitano di assistenza
respiratoria ed è presente anche disfagia. La prognosi è
particolarmente infausta;
• SMA2, forma leggermente meno grave, con esordio a 6-18 mesi. I
bambini non sono comunque in grado di deambulare;
• SMA3, forma più leggera, con esordio >12 mesi. I bambini sono in
grado di deambulare ma possono perdere questa capacità con il
progredire della malattia;
• SMA4, forma più lieve in assoluto, con esordio in età adulta.

Nel complesso ha un’incidenza di 1/10.000 nati vivi e rappresenta la più comune causa genetica di morte
infantile.

La terapia si basa sulla somministrazione di un oligonucleotide antisenso che inattiva un sito di splicing a
livello di SMN2, aumentando la stabilità dei trascritti SMN2 e i livelli di proteine SMN. Mascherare il sito di
splicing è più semplice che andare ad agire su SMN1, in cui tipicamente si hanno delezioni che portano alla
formazione di proteine misfolded.

Nell’adulto la terapia è ancora sotto ispezione da parte dell’AIFA. Nella popolazione pediatrica invece i
risultati sono stati ottimi (bambini incapaci di deambulare sono riusciti ad andare in bici) e la terapia è stata
approvata.

Nusinersen (SPINRAZA) viene somministrato per via intratecale. Vengono prelevati quindi 5mL di liquido
intratecale e iniettati 5mL di farmaco. È prevista una dose di carico con 3 infusioni a distanza di 14 giorni
l’una dall’altra e una quarta infusione a distanza di 30 giorni dalla terza, a cui segue una dose di
mantenimento ogni 4 mesi.

206
Sbobine 2.0

DISTURBI DEL SONNO


STRUTTURA DEL SONNO
Il sonno viene suddiviso in:
• Sonno NON REM (stadio 1,2,3,4)  caratterizzato da onde sempre più lente e ampie,
regolarizzazione degli atti respiratori e riduzione della frequenza cardiaca.
• Sonno REM  per essere rilevata necessita dell’EMG sottomentoniero e dell’EOG, perché è
importante valutare l’atonia muscolare e la presenza dei movimenti oculari rapidi. In questa fase
alcune aree sono ancora più attive che in veglia.
• Fase di inerzia di sonno “Post sleep”: nel momento in cui ci si risveglia.

Questo è un istogramma, ovvero una rappresentazione cronologia dei vari stadi del sonno durante la
notte: si comincia con l’approfondimento N1, N2, N3, N4 e poi si risale nella fase REM che si verifica a
‘spot’ ogni 60-120 minuti in episodi di durata sempre maggiore nel corso della notte. Ogni episodio REM
chiude un ciclo, e ce ne sono di solito 4 o 5 in un soggetto adulto normale.
La prima parte del sonno è la più importante (il sonno delta o N3 o
profondo), connessa al meccanismo omeostatico del sonno, per cui più si
sta svegli maggiore è la quantità del sonno delta.

Nell’anziano il ciclo tende a diventare polifasico; in un soggetto demente


terminale (o in un Parkinson) il sonno e la veglia si alternano in maniera
irregolare.

CLASSIFICAZIONE
I disturbi del sonno sono oltre 60, e la classificazione internazionale comprende:
• Insonnie;
• Disturbi respiratori correlati al sonno (OSAS, CSAS);
• Ipersonnie di origine centrale (narcolessia, iperinsonnia ricorrente, iperinsonnia idiopatica,
iatrogena);
• Disturbi del ritmo circadiano;
• Parasonnie;
• Disturbi del movimento collegati al sonno;
• Altri disturbi del sonno.

207
Sbobine 2.0

INSONNIA
Malattia neurologica più frequente nella popolazione generale (fino al 40%). Nel 30-50% dei casi si tratta
di insonnia transitoria, mentre nell’8-10% di insonnia cronica. Il 40% dei pazienti nel contesto della
Medicina Generale soffre di insonnia.
Categorie maggiormente a rischio di insonnia sono:
• Anziani;
• Lavoratori turnisti;
• Sesso femminile: picchi nel periodo del menarca e della menopausa e, durante la gravidanza;
• Comorbidità: maggior prevalenza di insonnia in pazienti con malattie psichiatriche
(depressione), neurodegenerative (Parkinson e Alzheimer) e in pz affetti da sindromi dolorose
croniche.

CRITERI PER DISTURBO DI INSONNIA CRONICA


Prima del 2004, l’insonnia cronica veniva frazionata in tanti piccoli capitoli (insonnia primaria, insonnia
secondaria, insonnia comorbida, insonnia del bambino, ecc), mentre ora è considerata come un’unica
entità. Spesso si associa a comorbidità ed è difficile stabilire il rapporto causa-effetto. Per l’instaurazione
di abitudini scorrette e soprattutto di una ideazione scorretta, l’insonnia tende a vivere di vita propria e
deve avere un trattamento specifico dedicato.
Il paziente riferisce, o un genitore o caregiver riferiscono, uno o più dei seguenti sintomi notturni:
• Difficoltà ad iniziare il sonno (più di 30 min);
• Difficoltà a mantenere il sonno (microrisvegli dalla durata totale > di 30 min di veglia infrasonno);
• Risveglio più precoce del desiderato (di almeno 20-30 minuti);
• Resistenza ad andare a letto ad orari adeguati (tipico del bambino, ma anche dell’adulto che non
dorme senza il televisore);
• Difficoltà a dormire senza un parente o caregiver, tipico dei dementi.
È sparito tra i sintomi notturni il sonno non ristoratore, perchè si è valutato che non fa tanto parte
dell’insonnia, quanto di altri due disturbi del sonno, la OSAS e la fibromialgia.
Il pz riferisce, o un genitore o un caregiver del paziente riferiscono, uno o più dei segueni sintomi diurni:
• Fatica/malessere;
• Compromissione di attenzione, concentrazione o memoria;
• Compromissione delle prerstazioni sociali, familiari, lavorative o scolastiche;
• Disturbo dell’umore/irritabilità;
• Sonnolenza diurna (l’insonne lamenta sonnolenza, ma molto difficilmente si addormenta se va a
letto, ha iperarousal sia di notte che di giorno: questo aiuta nella dd);
• Problemi comportamentali (iperattività, impulsività, aggressività);
• Ridotta motivazione/energia/iniziativa;
• Propensione a errori/incidenti;
• Preoccupazioni riguardo il sonno (non dormo, non dormirò, come farò ad affrontare la giornata...)
o insoddisfazione per il sonno.
I disturbi sonno/veglia non possono essere spiegati soltanto con inadeguata opportunità (sufficiente
tempo destinato al sonno) o inadeguate circostanze (l’ambiente è sicuro, buio, silenzioso e confortevole)
per il sonno.

208
Sbobine 2.0

REPERTI OBIETTIVI
• Marcata variabilità da notte a notte nelle misure del sonno, nell’ora di coricarsi e di alzarsi.
• In generale, i pz con insonnia tendono a sottostimare la durata del sonno e a sovrastimare la latenza
e i risvegli, mentre un ‘buon dormitore’ tende a sovrastimare la durata e a sottostimare la latenza e i
risvegli. Questo disadattamento soggettivo-obiettivo può essere relato all’iperarousal fisiologico e
può essere uno degli aspetti centrali dell’insonnia.
MARKERS DI QUALITA’ DEL SONNO
• Durata (efficienza del sonno);
• Profondità (stadio N3 o SWS);
• Continuità (risvegli coscienti);
• Stabilità (microrisvegli periodici o CAP): pattern ciclico che si ripete ogni 20-40 secondi a costituire
un ritmo che è il CAP, pattern alternante ciclico. Quando una perturbazione stimola la corteccia,
essa inizialmente tenta di preservare la continuità del sonno, attraverso una sincronizzazione
fasica EEG (A1); se lo stimolo è intenso, si hanno alterazioni EEG A2 ed A3 che tendono a svegliare
il soggetto; infine, se lo stimolo è molto intenso, il soggetto si sveglia. La valutazione del CAP ha
fornito una base neurofisiologica all’alterata percezione del sonno che è una caratteristca
dell’insonnia, che quindi non è solo un disturbo psichiatrico, ma è un disturbo neurofisiologico.
Nei soggetti normali, la quantità dei risvegli è di circa 38; negli insonni, è quasi il doppio, il 60%.

NEUROIMMANIGI
Le neuroimmagini forniscono reperti suggestivi:
• Fisiologicamente, nel passaggio dalla veglia al sonno c’è riduzione di attività nelle aree della
reticolare attivante (TE), che non si verifica negli insonni. Si parla quindi di iperarousal serale. Un
piccolo numero di studi con neuroimaging funzionale sono stati condotti durante sonno e veglia
in insonni e gruppi di controllo: questi studi suggeriscono un incremento regionale specifico del
metabolismo del glucosio in insonni rispetto ai controlli. Inoltre, i soggetti svegli hanno iperatività
della corteccia prefrontale, dedicata alle funzioni esecutive; gli insonni hanno un’ipoattività di
queste aree che si associa alla riduzione di sonno.
• È stato dimostrato che i pazienti con insonnia cronica, rispetto ai “buoni dormitori”, presentano
una riduzione bilaterale del volume degli ippocampi, di entità paragonabile a condizioni quali
depressione, disturbo post traumatico da stress e disturbo borderline di personalità.
• I soggetti insonni mostrano anche un minor volume di sostanza nella corteccia orbitofrontale di
sinistra, coinvolta nelle emozioni e nei processi decisionali e nel problem solving.
• Tecniche di spettroscopia a risonanza magnetica, condotte a livello di talamo, gangli della base,
sostanza bianca e corteccia temporale, parietale ed occipitale, hanno evidenziato nei soggetti
insonni una riduzione di circa il 30% del GABA rispetto ai controlli. Il reperto di riduzione del GABA,
nel corso della veglia, nei soggetti con insonnia primaria, supporta il modello dell’iperarousal. I
livelli del neurotrasmettitore mostrano inoltre una correlazione inversa con la veglia infrasonno
valutata con metodiche oggettive e soggettive.
• Negli insonni c’è disregolazione del cortisolo circadiano: nei soggetti normali, il picco del cortisolo
si verifica la mattina e i suoi livelli si riducono moltissimo nelle ore serali; negli insonni, il cortisolo
aumenta nelle ore serali. Questo rende conto di alcune alterazioni somatiche degli insonni: non si
riduce né la temperatura né la frequenza cardiaca.

209
Sbobine 2.0

GRAVITA’ DELL’INSONNIA
Fermo restando che ogni pz ha un proprio fabbisogno di sonno, stabilito dall’ipnotipo (breve o lungo
dormitore), la gravità dell’insonnia dipende dal numero di notti insonni per settimana. L’insonnia è grave
quando è presente per almeno tre notti alla settimana e per almeno un mese.

FENOTIPI DI INSONNIA
• Insonnia iniziale, per difficoltà di addormentamento (> 30 min). Può essere dovuta a:
o Scarsa igiene del sonno (errate abitudini di vita che contrastano il sonno);
o Insonnia psicofisiologica o condizionata (preoccupazione di non riuscire a dormire e delle
ripercussioni sull’attività diurna);
o Sindrome delle gambe senza riposo (irrequietezza degli arti, soprattutto inferiori);
o Disturbo del ritmo circadiano da “fase di sonno ritardata” (bisogno di dormire avvertito
solo a ore tarde);
o Ansia;
o Uso di sostanze psicostimolanti;
o Stress psicosociali.
• Insonnia centrale se il sonno è frammentato;
• Insonnia terminale se il risveglio al mattino è precoce.
In questi ultimi due casi, la causa può essere:
o Disturbi psichiatrici (depressione, ansia);
o Patologie internistiche;
o Sindromi dolorose;
o Eccesso di alcolici: l’alcool è spesso usato come ipnoinducente, ma poi predispone a
risvegli prolungati durante la notte.
o Farmaci;
o Russamento abituale e apnee notturne;
o Mioclono notturno;
o Disturbo del ritmo circadiano da “fase del sonno anticipata” (bisogno di dormire avvertito
già nelle prime ore serali).
o Disturbi ambientali.

INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO DEL PAZIENTE CHE NON DORME


L’indagine anamnestica, medica, neurologica, psichiatrica, psicologica e l’esame obiettivo del paziente
giocano un ruolo chiave. L’utilizzo di scale ad hoc consente di inquadrare il disturbo, mentre l’utilizzo delle
tecniche strumentali può essere utile per escludere la presenza di altri tipi di disturbi del sonno come la
sindrome delle apnee notturne che possono manifestarsi con sonno disturbato.
Linee guida (AASM)
1. Valutazione anamnestica (presenza di disturbi medici, neurologici, psichiatrici);
2. Esame obiettivo;
3. Valutazione dei disturbi del sonno con intervista semistrutturata e questionari standardizzati;
4. Se si sospettano altri disturbi del sonno tipo OSAS, è indicata la prescrizione della polisonnografia;
5. Se si sospetta un disturbo del ritmo circadiano è indicato l’uso dell’actigrafo.
Domande da fare al pz:
• Durata: da quanto tempo non dorme?
o Poco tempo, < 1 settimana: insonnia acuta.
o Qualche tempo, < 3 mesi: insonnia transitoria.

210
Sbobine 2.0

o Molto tempo, > 3 mesi: insonnia cronica.


• Tipologia: quali sono i problemi di sonno?
o Non si addormenta: insonnia iniziale.
o Si sveglia molte volte durante la notte: insonnia centrale.
o Si sveglia molto presto al mattino: risveglio mattutino precoce.
Pittsburgh sleep quality index (PSQI)
È un questionario di autovalutazione compost di 9 item per la valutazione della qualità, della durata,
dell’efficienza del sonno e dell’impatto della sonnolenza sull’efficienza diurna. Valuta le abitudini di sonno
durante un intervallo di tempo relativo al mese precedente e a quello della valutazione e così distingue i
problemi transitori da quelli persistenti. È anche utilizzata per valutazioni ripetute, cioè per valutare
l’andamento della qualità del sonno anche dopo il trattamento dei disturbi del sonno. Il questionario può
essere utilizzato per la valutazione della qualità del sonno di adulti e adolescenti che presentano un sonno
disturbato nella popolazione generale e nella popolazione con disturbi medici e cronici di diversa eziologia
e natura.

TRATTAMENTO
Ad oggi, circa il 55% degli insonni non è trattato. Del restante 45% trattato, invece, un 15% non risponde
alla terapia e un 30% risponde alla terapia.
Le principali classi di farmaci utilizzate nel trattamento dell’insonnia sono:
• Benzodiazepine: agiscono sul recettore GABA-A.
• Agonisti non benzodiazepinici del recettore GABA-A (Z-drugs): recenti ipnotici sedativi con
vantaggi farmacocinetici, in quanto agiscono in modo seletivo a livello di recettori omega1
responsabili della sedazione, ma non sui siti omega2 che sono concentrati nelle aree cerebrali che
regolano la cognizione, la memoria e il funzionamento motorio. Sono agonisti parziali, quindi
dipendenza, tolleranza e astinenza sono rari. La loro emivita è influenzata dalla produzione di
metaboliti attivi, da clearance rapida che a sua volta può essere alterata da malattie concomitanti,
età e fattori individuali, interazioni farmacologice (soprattutto con farmaci psicotropi), uso acuto
o cronico (con benzodiazepine a lunga durata di azione, aumento di 5 volte dell’emivita).
Effetti collaterali dei farmaci ipnotici (BDZ e agonisti non benzodiazepinici del recettore GABA-A):
• In acuto: amnesia anterograda, sedazione diurna, alterazioni cognitive e psicomotorie;
• In cronico: tolleranza, dipendenza. Generalmente sono effetti rari per dosaggi e tempi di
trattamento raccomandati per l’insonnia.

Questi farmaci vanno somministrati in base alla loro emivita plasmatica e alla clinica: per esempio, per la
difficoltà di addormentamento sono indicati farmaci ad azione breve., mentre nell’insonnia con risveglio
mattutino precoce quelli ad azione intermedio-lunga. Tuttavia, anche con una BDZ a lunga emivita il
paziente può svegliarsi precocemente. Questo fenomeno si spiega considerando i vari NT che regolano il
sonno. La prima parte del sonno, costituita soprattutto da onde delta, ha come principale mediatore il
GABA; la seconda parte del sonno (REM), invece, ha come trasmettitore l’acetilcolina, ed è in questa fase
che il pz tende a svegliarsi perché il farmaco GABAergico tende a non funzionare. Per questo motivo è
necessario rivolgersi ad ipnotici non-GABA:
• Antidepressivi: Trazodone che aumenta TST e sonno profondo (SWS), riduce il sonno REM,
diminuisce il sonno instabile (CAP), attenua l’attivazione vegetativa (alfa-litico), effetto
antidepressivo, scarsa tolleranza. Altri: Amitriptilina, Mirtazapina, Citalopram.
• Melatonina: agisce legandosi a due recettori, MT1 (che modula l’effetto di induzione del sonno),
e MT2 (che modula lo shift di fase). Ha scarsi effetti collaterali. L’efficacia è evidente soprattutto
in gruppi di pazienti selezionati, quali pz con deficit cognitivi (ritardo mentale, demenza),

211
Sbobine 2.0

comorbidità (effetto positivo su emicrania, reflusso gastro-esofageo, disturbo comportamentale


in sonno REM), insonnia con componente cronobiologica (turnisti). È possibile la terapia add-on
melatonina + benzodiazepine. Non sono ancora stati stabiliti in modo univoco i dosaggi terapeutici
e gli orari di somministrazione. Anche gli agonisti melatoninergici hanno un ruolo importante
(agomelatina).
• Neurolettici: Quetiapina (25-100mg/sera): utilizzato per i disturbi del sonno nei pz affetti da
demenza. Si usano soprattutto gli atipici e quelli con minori effetti collaterali.
• Antistaminici;
• Fitofarmaci.
Nel controllo dell’insonnia, assume un ruolo fondamentale anche la terapia cognitivo-comportamentale
(con o senza farmaci).

IPERSONNIA
IPERSONNIE DI ORIGINE CENTRALE
Includono un gruppo di disturbi del sonno il cui sintomo principale è l’eccessiva sonnolenza diurna, non
correlata ad un disturbo del sonno notturno e del ritmo circadiano. Possono comunque essere presenti
altri disturbi del sonno che, prima di poter formulare una diagnosi di ipersonnia centrale, dovranno essere
adeguatamente diagnosticati e trattati.
La sonnolenza può variare per gravità ed è più probabile che compaia in situazioni noiose e monotone che
non richiedono la partecipazione attiva del soggetto. In alcuni casi è associata ad un aumento del tempo
totale di sonno nelle 24 ore, comunque non ristoratore. In altri casi può essere alleviata da sonnellini pur
ricomparendo dopo un breve periodo. La sonnolenza, qualora particolarmente grave, può risultare in
comportamenti automatici, che consistono nel proseguire le attività in atto in uno stato di semicoscienza
senza ricordare di averle compiute. In molti casi l’eccessiva sonnolenza diurna è un disturbo cronico. È
necessario che sia comparsa almeno 3 mesi prima della diagnosi.

VALUTAZIONE DELLA SONNOLENZA


• Metodiche soggettive:
o Anamnesi;
o Diario del sonno;
o Scala di Epworth, è una misura della sonnolenza diurna. Si chiede al pz di immedesimarsi e di
dire la probabilità che avrebbe di addormentarsi in situazioni, più o meno soporifere. Uno
score fra 0 e 10 è normale, fra 11-15 moderato, fra 16-24 la sonnolenza è grave.
• Metodiche oggettive:
o Polisonnografia
 Test delle latenze multiple al sonno o MSLT (LM, SOREMPS): 5 registrazioni
polisonnografiche (EEG, EMG, EOG) nel laboratorio del sonno ogni 2 ore. La prova termina
dopo 20 minuti se il soggetto non si addormenta, o dopo 15 min dall’addormentamento.
La latenza al sonno viene stabilita ala prima epoca di sonno: se il tempo di
addormentamento medio è <8 minuti è patologico; si valuta anche la comparsa di sonno
REM: normalmente la fase REM viene raggiunta dopo aver attraversato stadi di sonno
profondo, dopo circa 90 min, invece questi soggetti arrivano in REM dopo soli 20 min (si
parla di SOREMPS, REM che compare precocemente). Il soggetto può fare anche due
addormentamenti in sonno REM.
 Test di mantenimento della vigilanza (per la risposta ai farmaci);
 Polisonnografia dinamica ambulatoriale.

212
Sbobine 2.0

o Actigrafia: registrazione EEG con computerino, di 24h, in situazione di vita reale.

CLASSIFICAZIONE IPERSONNIE DI ORIGINE CENTRALE


• Narcolessia tipo I: malattia rara;
• Narcolessia tipo II: malattia rara;
• Ipersonnia idiopatica;
• Sindrome di Kleine-Levin (ipersonnia periodica);
• Ipersonnia dovuta a condizioni mediche;
• Ipersonnia dovuta a farmaci o sostanze;
• Ipersonnia associata a disturbi psichiatrici;
• Sindrome da sonno insufficiente;
• Sintomi isolati e varianti normali;
• Lunghi dormitori.

NARCOLESSIA
È una malattia cronica associata alla mancanza di neuropeptide orexina, coinvolto nei sistemi che
promuovono il mantenimento dello stato di veglia: tiene sotto controllo la reticolare attivante e il nucleo
ventrale postero-laterale. Ha una prevalenza di 0,2-2 casi ogni 1000 abitanti ed è tendenzialmente
sottodiagnosticata: in Italia sono diagnosticati meno di 800 casi a fronte dei 25000 attesi. Tende a
comparire sporadicamente, secondo una curva bimodale, con picchi a 15 e a 25-35 anni, senza distinzione
tra i sessi. L’1% dei casi di narcolessia sono familiari (AD). Il rischio di riscontro di narcolessia fra parenti di
primo grado è dell’1-2%, quindi 30-40 volte più alto della popolazione generale. Questo significa che la
narcolessia è una malattia nella quale necessariamente giocano un ruolo fondamentale fattori genetici
ma anche ambientali.
All’istopatologia dell’ipotalamo in pz narcolettici, si evidenzia una riduzione dell’85-95% delle cellule
secernenti orexina. Nel CSF, si ha assenza o marcata riduzione dell’orexina.
Ipotesi patogenetica autoimmune:
L’85-100% dei pz narcolettici presenta positività per antigeni del sistema HLA (DQB1*0602), presente nel
20-30% dei soggetti normali. È stata dimostrata l’associazione con il polimorfismo del locus del recettore
alfa delle cellule T. In casi sporadici, all’esordio della malattia, sono stati evidenziati elevati tassi di
anticorpi antistreptococco. Nei bambini, all’esordio, è frequente la presenza di un complesso disturbo del
movimento simile alla corea di Sydenham. Picco di incidenza della narcolessia in seguito a influenza H1N1
o somministrazione del relativo vaccino. Ipotesi immuno-eziologica della narcolessia con la possibilità di
attivazione di una reazione autoimmune specifica contro i neuroni HCRT ipotalamici da parte di un fattore
ambientale. Nel sangue e nel liquor di questi pz, riscontro di linfociti T CD8+ autoreattivi specifici per il
peptide pre-pro-orexina, precursore dell’orexina.

SINTOMI
• Colpi di sonno (sonnolenza diurna): eccessiva sonnolenza diurna e attacchi di sonno
pluriquotidiani, non procrastinabilli e talora non preavvertiti che possono presentarsi nelle
situazioni più disparate. Gli attacchi di sonno sono relativamente brevi e ristoratori. Tra un attacco
e l’altro la vigilanza può essere normale. Sono presenti comportamenti automatici: il pz continua
a svolgere per diversi secondi la propria attività anche se addormentato, esponendosi così ad un
notevole rischio qualora sia impegnato in attività che richiedono costante vigilanza. È il sintomo
di esordio.
• Cataplessia (60%): improvvisa perdita del tono muscolare con coscienza conservata,
generalmente provocata dalle emozioni. I muscoli respiratori sono preservati. Alle volte la perdita

213
Sbobine 2.0

del tono muscolare è totale, altre volte interessa solo i muscoli del collo o della mandibola o delle
palpebre, o degli arti superiori con caduta di oggetti.
• Allucinazioni ipnagogiche (30%): allucinazioni visive vivide, spesso associate a paura,
all’addormentamento o al risveglio
• Paralisi del sonno (25%): il paziente è sveglio, ma transitoriamente non riesce a muoversi nè a
parlare, nella transizione tra sonno e veglia. Allucinazioni e paralisi sono sintomi causati
dall’intrusione di sonno REM durante la veglia o all’addormentamento.
• Insonnia (frequenti risvegli, cattiva qualità del sonno).

CLASSIFICAZIONE
• Tipo 1, narcolessia con cataplessia. I criteri da rispettare sono:
o Il pz lamenta eccessiva sonnolenza diurna che si verifica tutti i giorni per almeno 3 mesi.
o La presenza di uno o entrambi:
 Cataplessia + Latenza media nel MSLT < 8 minuti + 2 SOREMPS-MSLT;
 Ipocretina (orexina) liquorale < 110 pg/ml.
• Tipo 2, narcolessia senza cataplessia. I criteri da soddisfare sono:
o Il paziente lamenta eccessiva sonnolenza diurna che si verifica tutti i giorni per almeno 3
mesi.
o LM-MSLT< 8 minuti + 2 SOREMPS-MSLT
o Cataplessia assente
o Ipocretina liquorale o non misurata o >110 pg/ml
o La sonnolenza e/o i rilievi MSLT non sono meglio spiegati da altre cause come un sonno
notturno insufficiente, OSAS, disturbo da ritardo di fase, uso di farmaci o sostanze e loro
sospensione.

TRATTAMENTO DELLA NARCOLESSIA


• Per la sonnolenza:
o Sonnellini programmati: da pochi minuti fino ad un’ora. È importante cercare di essere
regolari negli orari di addormentamento e di risveglio (igiene del sonno).
o Caffeina: può essere usata come stimolante negli adulti, ma NON nei bambini. Un effetto
si nota con 3-4 caffè al giorno, circa 15-30 minuti dall’assunzione e dura poche ore. Lo
zucchero e in generale i cibi dolci e ricchi di carboidrati tendono ad aumentare la
sonnolenza diurna; viceversa, uno studio ha mostrato che diete povere di carboidrati, nei
pz adulti, migliorano la sonnolenza diurna.
o Modafinil (Provigil), simpatico-mimetico ad azione centrale che agisce come promotore
della veglia, con caratteristiche diverse dalle anfetamine, non più impiegate.
o Ossibato di sodio
• Per la cataplessia:
o Ossibato di sodio
o Antidepressivi triciclici (imipramina, clomipramina)
o SSRI
o NSRI (venlafaxina)
Ossibato di sodio o sale sodico del gamma-idrossibutirrato (Xyrem): proposto per il controllo sia della
sonnolenza che della cataplessia. La struttura di questo farmaco è simile a quella di un neurotrasmettitore
cerebrale naturale del nostro cervello, con proprietà sedative e anestetiche: il gamma-idrossi-butirrato,
che agisce sia attraverso i suoi recettori che i recettori GABA-B. Si assume sotto forma di sciroppo durante

214
Sbobine 2.0

la notte. Gli effetti positivi sulla sonnolenza diurna sembrano dipendere dall’aumento di sonno profondo
indotto dal sodio oxibato.
Pitolisant: antagonista/agonista inverso del recettore dell’istamina H1, determinando aumento
dell’istamina nel vallo sinaptico; è risultato non inferiore al Modafinil come efficacia.

IPERSONNIA IDIOPATICA
Rara forma di ipersonnia grave (20 volte più rara della narcolessia, ma non ha la garanzia di essere
riconosciuta come malattia rara). Risponde incostantemente alla terapia farmacologica e può essere
molto invalidante. Solitamente esordisce nell’adolescenza. Caratteristica di questa patologia è
soprattutto l’inefficacia del sonno nel risolvere la sonnolenza: anche dopo aver dormito molte ore (fino a
18 ore), i pz rimangono assonnati e stanchi. Il risveglio è spesso molto difficoltoso con uno stato
prolungato di “ubriachezza da sonno” (“sleep inertia”). Gli episodi diurni di sonno tendono ad essere
protratti (circa un’ora o più) e non sono ristoratori.
La patogenesi è sconosciuta: l’orexina e normale e le monoamine sono risultate inconcludenti. Nel liquor
di questi soggetti, uno studio di Atlanta, ha evidenziato la presenza di un fattore ipnotico, ma ciò non è
stato dimostrato da studi successivi.
La terapia si avvale degli stessi presidi usati nella narcolessia (stimolanti). I sonnellini, in questo caso, non
fanno parte del piano terapeutico perchè non sono efficienti.

SINDROME DI KLEINE-LEVIN
Colpisce di solito giovani in età adolescenziale. Si caratterizza per:
• Ipersonnia (periodica): gli attacchi di sonno durano giorni o settimane; il sonno qualitativamente
non differisce da un sonno normale, ma è marcatamente aumentato in durata (17-20 ore su 24).
• Iperfagia: introduzione compulsiva di cibo.
• Ipersessualità: in un terzo dei pz maschi, solitamente solo verbale.
La patogenesi sembra essere di tipo autoimmune, di origine ipotalamica.
Questi episodi tendono a diventare più brevi, l’intervallo tra gli episodi tende ad allungarsi, e nell’arco di
7-10 anni tendono ad esaurirsi.
La terapia in fase acuta si avvale degli stessi farmaci impiegati nella narcolessia. Litio ed antiepilettici
(Valproato) possono ridurre la frequenza e la durata degli attacchi.

IPERSONNIA CATAMENIALE
Sono episodi ricorrenti di ipersonnia coincidenti con il ciclo mestruale da verosimile squilibrio ormonale.
Risponde alla terapia con contraccettivi orali.

IPERSONNIA DA DISTURBO MEDICO


Diversi disturbi neurologici possono causare ipersonnia:
• OSAS: si pensa che si sia creato un danno al sistema monoaminergico.
• Malattia di Parkinson: considerare i sintomi notturni non controllati come l’acinesia e il carico di
dopaminoagonisti.
• Trauma cranico: possibile danno ai neuroni orexinergici; possibile OSAS post-traumatica.
• Malattie genetiche: malattia di Niemann-Pick, sindrome di Prader-Willi, Distrofia di Steinert,
sindrome dell’X fragile.
• Stroke, soprattutto ictus del mesencefalo mediale.
• Sclerosi multipla (placca a livello della reticolare).
• Tumori;
• Demenza di Alzheimer;

215
Sbobine 2.0

Nel sottotipo di ipersonnia residua dopo trattamento di OSAS, la latenza di sonno media all’MSLT può
essere > 8 minuti.
Qualora i criteri per narcolessia siano soddisfatti, una diagnosi di narcolessia tipo 1 o 2 da disturbo medico
dovrebbe essere preferita a quella di ipersonnia da disturbo medico.
Nei pz con disturbo medico o neurologico grave per i quali non è possibile effettuare uno studio del sonno,
la diagnosi si può basare su criteri clinici.

IPERSONNIA DA FARMACI O SOSTANZE


Il pz ha episodi quotidiani di irrefrenabile necessità di dormire o di addormentamento durante il giorno.
La sonnolenza diurna si verifica come conseguenza di terapia in atto, uso di sostanze o rimbalzo da
sospensione di una terapia con sostanze che promuovono la veglia.
Può essere causata da:
• Farmaci sedativi, ipnotici, oppiacei, antiepilettici, alcuni antidepressivi (triciclici), antistaminici,
dopaminoagonisti, melatonina, antinfiammatori, betabloccanti, antibiotici; pz anziani in
politerapia.
• Sostanze da abuso, alcool, oppiacei, marijuana.
• Sospensione di stimolanti, caffè, nicotina.

IPERSONNIA ASSOCIATA A DISTURBI PSICHIATRICI


• Ipersonnia associata a disturbi dell’umore: depressione atipica, bipolare II (ipomania), disturbo
affettivo stagionale (craving per carboidrati, fatica, perdita di concentrazione, aumento di peso).
L’MLST è generalmente normale, si tratta di una sonnolenza soggettiva, piuttosto che obiettiva. Il
pz trascorre molte ore a letto e non dorme (clinofilia).
• Ipersonnia associata con disturbi somatoformi o da conversione: pseudo-ipersonnie, pseudo-
narcolessie, pseudo-cataplessie.

SINDROME DA SONNO INSUFFICIENTE


L’eccessiva sonnolenza diurna è il risultato di una riduzione del fabbisogno individuale di sonno,
biologicamente determinato. Circa il 30% degli adulti negli USA dorme meno di 7 ore per notte. Circa un
terzo della popolazione adulta mondiale soffre di privazione cronica di sonno. Frequente nei giovani,
interessa in ugual misura uomini e donne. La privazione cronica di sonno si può manifestare anche come
irritabilità, irrequietezza, difficoltà di concentrazione e disforia.
Il trattamento consta nell’igiene del sonno, evitando la privazione di sonno. I sintomi migliorano
rispettando il proprio fabbisogno.

CONCLUSIONI
• Assicurarsi che sia vera sonnolenza e non stanchezza o fatica;
• Raccogliere l’anamnesi anche con un testimone;
• Esludere cause di sonno insufficiente o di scarsa qualità (diario del sonno, actigrafo);
• Valutare l’associazione con altre patologie;
• Storia farmacologica, incluse le abitudini ad utilizzare alcool.

216
Sbobine 2.0

PARASONNIE
Eventi fisici o eperienze indesiderabili che si verificano all’inizio del sonno, durante il sonno o al risveglio
(AASM, 2014). Comprendono movimenti, comportamenti, emozioni, percezioni anormali correlate al
sonno e all’attivazione del SNA. Distinguiamo le parasonnie NON REM e parasonnie REM.

PARASONNIE RELATE AL SONNO NREM (disturbi dell’arousal).


Sono caratterizzate da:
• Risveglio confusionale: confusione e disorientamento durante e dopo un risveglio.
• Terrore nel sonno (30 sec-3 min), è tipico del bambino, ed è caratterizzato da: sonno a onde lente
(stadio 3-4 NREM) arousal improvviso paura e urlo  assunzione di posizione
sedutaintensa scarica autonomica (tachicardia e intensa sudorazione, midriasi
confusione/disorientamento mancata risposta ai familiari. I tentativi di risveglio da parte dei
famigliari aumentano la confusione. Al risveglio il bambino ha amnesia per l’evento.
• Sonnambulismo: con grado crescente di complessità: cucinaremangiaresuonare uno
strumentopulire la casauscire o guidare. Il risveglio a volte è difficile, ma non dannoso. La
durata è variabile da 3-5 minuti fino ad un’ora. Anche in questo caso si ha amnesia mattutina.

I disturbi dell’arousal si manifestano tipicamente durante il sonno ad onde lente (stadio 3-4), ma possono
occorrere anche in stadio 2 NREM. Tali parasonnie insorgono nel primo terzo della notte, quando il sonno
ad onde lente è predominante. Sono pertanto favoriti da situazioni che determinano un sonno più
profondo (es. deprivazione di sonno a cui segue notte di recupero, età giovanile, febbre), o più
frammentato (es. dolore, cefalea, situazioni ambientali). Sono inoltre provocabili da stimoli esterni
durante il sonno profondo (es. vicino di letto che russa).
È stata dimostrata una dissociazione dell’attività di aree corticali (alcune sveglie, altre addormentate), in
particolare:
• Deattivazione delle aree corticali prefrontali e parietali associative;
• Attivazione circuiti talamo-corteccia limbica.
Il trattamento consiste in:
• Tranquillizzare i genitori sulla benignità;
• Organizzare la casa in maniera sicura;
• Non svegliare il bambino;
• Principi di igiene del sonno;
• Riduzione dei fattori stressanti e/o scatenanti;
• Risvegli programmati;
• Farmacoterapia, se episodi >1/settimana, negli adulti: Benzodiazepine riducono SWS, Triciclici
(Imipramina) riducono SWS, L-5-idrossitriptofano (precursore 5HT).

PARASONNIE RELATE AL REM


Manifestazioni:
• Sogni terrifici, frequenti nel bambino. Il bambino è risvegliabile, ricorda molto bene il sogno (a
differenza del terrore nel sonno) e non avviene la scarica autonomica. Si cerca di tranquillizzare il
bambino e di stimolarlo a immaginare un bel finale del sogno con terapia immaginifica. Possono
essere causati anche da: febbre, farmaci (beta-bloccanti, L-dopa, dopaminoagonisti), sospensione
di farmaci che sopprimono il sonno REM (negli adulti soprattutto benzodiazepine, barbiturici,
etanolo), disturbo post-traumatico da stress, depressione, psicosi.

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Sbobine 2.0

• Disturbo comportamentale in sonno REM (RBD), è caratterizzato da:


o Perdita dell’atonia muscolare del sonno REM;
o Intensa attività motoria, in genere esplosiva;
o Spesso (>70%) ferite a sè o a compagni di letto;
o Correlata all’attività onirica (sogni paurosi, vividi, sgradevoli >90%; il più ricorrente è
essere aggrediti da animali o persone sconosciute);
o Prevalente nella seconda parte della notte (prevalenza del REM), senza risveglio;
o Ricordo la mattina successiva.
Interessa soggetti adulti di sesso maschile (55-60 anni). La frequenza degli episodi variabile da
pochi attacchi al mese ad attacchi polinotturni. Nel 60% dei casi si associazione ad una malattia
neurologica. Può precedere di anni una patologia neurodegenerativa: valore predittivo positivo
per alfa-sinucleinopatie > 90%.
Può essere causato da terapie in atto (antidepressivi triciclici, SSRI, venlafaxina, mirtazapina), che
devono essere sospese, oppure sospensione di farmaci (alcool, barbiturici, nitrazepam).
Il trattamento consta in:
o Clonazepam: sopprime l’eccessiva attività motoria fasica in REM; è efficace nel controllo
sia dei sogni disturbati che del comportamento di messa in atto del sogno.
o Melatonina: si usa prima del Clanazepam; ripristina l’atonia muscolare in REM; ha effetto
additivo con il Clonazepam.
Va in DD con l’epilessia notturna del lobo frontale (NFLE). In questa forma di epilessia solo nell’8% dei
casi si riscontrano anomalie specifiche all’EEG, nella maggior parte dei casi infatti o vi sono anomali
aspecifiche o sono assenti anomalie. Per la dd è fondamentale quindi confrontare fra di loro gli episodi,
che risultano identici nell’epilessia, ma non nelle parasonnia. La semeiologia motoria, in caso di epilessia
notturna del lobo frontale, è assolutamente stereotipata. La crisi può essere più o meno lunga, ma segue
sempre la stessa dinamica perchè si attiva sempre lo stesso circuito; è più polimorfa nel caso delle
parasonnie. Quindi è importante registrare tanti video per poi esaminarli.
Le crisi della regione frontale orbitale e mesiale si possono presentare con movimenti bizzarri con
stereotipie gestuali degli arti superiori (mulinello delle mani), arti inferiori (pedalamento, monimenti
ritmici di flessoestensione), movimenti dei cingoli (dondolamento del bacino), in alcuni casi
deambulazione.
Spesso la DD è difficile e talora impossibile solo sul piano clinico, anche per epilettologi esperti e medici
del sonno, questo perché:
• Gli elementi semeiologici soggettivi sono spesso assenti e la descrizione del partner non è sempre
affidabile;
• I tools diagnostici attuali per gli episodi motori notturni non sono sufficientemente validi;
• I pattern comportamentali nelle RBD e NFLE sono molto simili;
La spiegazione a manifestazioni così simili è data dalla teoria di Tassinari del central pattern generator
(CPG): aggregazioni di neuroni che si trovano nel ponte, nel mesencefalo e nel midollo spinale che
contribuiscono a comportamenti motori innati per l’esistenza come la deambulazione, l’alimentazione.
Epilessia e arousal possono determinare la perdita del controllo corticale e attivare certi CPG con
emergenza di pattern motori innati stereotipati.

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Sbobine 2.0

DISTURBI DEL MOVIMENTO NEL SONNO E PARASONNIE


SINDROME DELLE GAMBE SENZA RIPOSO (RLS)
Ci sono 4 criteri essenziali per la diagnosi clinica:
• Impellente necessità di muovere le gambe, spesso accompagnata da varie sensazioni sgradevoli
e di fastidio, formicolio e/o dolore;
• I sintomi peggiorano nelle ore serali e di notte.
• I sintomi iniziano/peggiorano con il riposo
• I sintomi migliorano con il movimento, specialmente camminando.
La RLS costituisce il 15% delle cause di insonnia osservate presso i centri del sonno sul territorio italiano.

Sintomi sensitivi
Il pz lamenta smania, tortura, nervosismo, sensazione di tirare i nervi, punture di spilli, scariche elettriche,
trapanamento, formicolio, indolenzimento, acqua che scorre, fasciatura che comprime, animaletti in
movimento dentro le gambe. Si possono avere anche sensazioni termiche, fuoco interno, freddo, gelo.
Componente motoria
Comprende agitazione, nervosismo, irrequietezza, inquietudine, smania, impazienza. Queste sensazioni si
interrompono solo con il movimento. Le strategie motorie sono: camminare, muoversi e stirarsi nel letto,
massaggiarsi, sfregarsi, pestare a terra i piedi nudi, ginnastica, cyclette, pedalamento a letto.
I movimenti principalmente coinvolti (PMLS, movimenti periodici in sonno), sono: estensione dell’alluce,
flessione della caviglia, flessione del ginocchio, raramente flessione dell’anca.
Talvolta i pz possono essere asintomatici e i movimenti vengono segnalati da un osservatore.

PATOGENESI
Nella patogenesi è implicato il sistema dopaminergico sottocorticale, in particolare è coinvolta l’area VIP
che termina, a livello spinale, sui nuclei intermedio-laterali e corna grigie posteriori. La sua disfunzione
potrebbe determinare una ipereccitabilità spinale.
L’ipotesi dopaminergica associata ad un’ipotesi sideropenica è sostenuta da:
• Forma secondaria a farmaci dopamino-antagonisti (neurolettici) o malattia di Parkinson;
• Andamento circadiano della dopamina;
• Correlazione tra RLS e sideropenia: il ferro è un importante coenzima dell’enzima tirosina
idrossilasi, enzima limitante della via anabolica della dopamina;
• Alla doppler transcranico c’è ipoecogenicità della SN (per ridotta concentrazione di ferro).

CLASSIFICAZIONE
• Forme idiopatiche
o Familiari (40-50%)
o Sporadiche (5%)
• Forme sintomatiche
o Carenza di ferro (43%): dosare soprattutto le scorte di ferro (ferritina);
o Gravidanza (27%);
o Insufficienza renale (17-40%);
o Diabete mellito (7-17%);
o Artrite reumatoide (25-30%);
o Malattie neurologiche: Parkinson (30%), MSA (parkinsonismi);
o Farmaci antidopaminergici.

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Sbobine 2.0

TRATTAMENTO
Il trattamento deve risolvere i sintomi sensitivi, l’insonnia e i movimenti periodici nel sonno.
Indicazioni per il trattamento cronico:
• Presenza di insonnia;
• Grave affaticamento e stanchezza quotidiana;
• Condizionamenti forzati delle abitudini di vita;
• Grave sintomatologia sensoriale.
Trattamento non-farmacologico
• Eliminare eventuali fattori precipitanti o scatenanti il disturbo:
o Farmaci, antipsicotici, antiemetici, antidepressivi (l’unico che non causa mai RLS è il
trazodone), antistaminici;
o Sostanze contenenti caffeina, alcool;
• Osservare le regole di igiene del sonno;
o Utilizzare alcune strategie comportamentali la sera: camminare o svolgere attività fisica
prima di coricarsi; bagno caldo o doccia fresca prima di coricarsi; massaggiare le gambe;
non contrastare il desiderio di movimento.
• Programmare le attività sedentarie al mattino, quando i sintomi sono minori.
Terapia farmacologica
Indicazioni:
• Frequenza dei sintomi: 2-3 episodi a settimana;
• Intensità dei sintomi: >15-20 RLS rating scale;
• Accordo del pz previa informazione della cronicità del trattamento;
• Insonnia/sonnolenza;
• Qualità di vita;
• Periodic limbs movements (PLM).
Farmaci principalmente impiegati:
• Carbidopa/L-DOPA
• Dopamino-agonisti (non-ergot): Ropinirolo, Pramipexolo. Per prolungare l’azione, esistono
formulazioni patch.
• Benzodiazepine: Clonazepam.
• Antiepilettici: Gabapentin.
• Oppioidi: codeina, etc, si usano soprattutto nelle forme resistenti.
• Integrazione con Ferro, se carente.
Il 15% di questi pz, pur avendo sintomi sensitivi e PLM ben controllati, continuano ad avere insonnia.
L’unica differenza che è stata evidenziata tra soggetti che continuano a manifestare insonnia e soggetti
che la risolvono, sono gli anni trascorsi senza trattamento. Si pensa che la malattia, agendo su un individuo
geneticamente predisposto, è in grado di scatenare l’insonnia che è perpetuata per comportamenti
scorretti dell’individuo.
RLS intermittente: RLS giornaliera: RLS refrattaria:
• Carbidopa/levodopa a basse dosi • Dopamino-agonisti: 1° scelta. • Passare ad un altro dopamino-agonista
• Dopamino-agonisti (es. pramipexolo) • Gabapentin • Sostituire o aggiungere un 2° farmaco
• Analgesici oppioidi a bassa potenza • Oppioidi a media-bassa (Gabapentin, ipnotico, oppioide)
(tramadolo, codeina o propoxifene) potenza (codeina, ossicodone, • Passare ad un oppioide ad alta potenza
• Ipnotici sedativi come Clonazepam tramadolo) • Considerare “drug holiday”

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Lezione x, Neurologia, Sartucci, 19.11.2019

EMERGENZE NEUROLOGICHE
Patologie più freqeuntemente diagnosticate in emergenza:
 Ictus cerebri ischemico o emorragico;
 Emorragia subaracnoidea;
 Ipertensione endocranica;
 Ipertermia maligna;
 Paralisi periodiche diskaliemiche;
 Traumi encefalo-midollari;
 Comi dismetabolici;
 Poliradicolonevriti subacute;
 Miastenia Gravis;
 Delirium tremens;
 Infezioni del SN e/o dei suoi involucri ad esordio acuto/subacuto (encefaliti/meningiti);
 Neuropatie associate a dolori nevralgici;
 Tumori del SN.

Sindromi che giustificano una emergenza neurologica:


 Disturbi acuti del comportamento;
 Amaurosi acuta complete;
 Sindromi dolorose gravi;
 Cefalea gravativa, trafittiva, pulsante, intensa come nessuna sofferta in precedenza;
 Disturbi non ricorrenti dello stato di coscienza;, transitori e non;
 Amnesia acuta;
 Prima crisi epilettica o stato di male;
 Deficit neurologici focali ad esordio acuto;
 Deficit di forza degli arti ad esordio acuto/ subacuto;
 Insufficienza ventilatoria di grado moderato/ marcato; Contratture muscolari persistenti con o
senza rabdomiolisi;
 Disfagia grave;
 Gravi e persistenti disturbi del sonno.

ANALISI DEL PAZIENTE IN EMERGENZA


Ci sono degli elementi da osservare in emergenza, anche se il tempo è poco ed è difficile valutare molti
elementi:
1. Si comincia dall’inquadramento sindromico del tipo di emergenza;
2. Successivamente si deve fornire support alle funzioni vitali, se necessario, e terapia sintomatica;
3. Ricerca del meccanismo eziopatogenetico;
4. Terapia eziopatogenetica e supporto riabilititativo.

È necessario eseguire una valutazione neurologica in emergenza, le domande da porsi riguardano:


 Natura focale o non focale dei sintomi;
 Natura deficitaria (perdita di funzione) o irritativa (parestesie, crisi epilettiche, dolori) dei sintomi;
 Comparsa improvvisa o graduale dei sintomi;
 Intensità massima o meno dei sintomi focali alla comparsa, eventuale carattere progressivo dei
sintomi;
 Quali parti del SNC o SNP sono interessate dai sintomi.

È inoltre necessario valutare:


 Presenza/assenza di fattori predisponenti;

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Lezione x, Neurologia, Sartucci, 19.11.2019

 Presenza/assenza di fattori scatnanti l’evento acuto;


 Presenza/assenza di patologie note da cui è affetto il pz;
 Fattori di accompagnamento dell’evento acuto.

ICTUS CEREBRI COMPLETATO


Sindrome clinica caratterizzata da sintomi che si sviluppano rapidamente e/o da segni di danno focale, a volte
anche globale (nei pz in coma) delle funzioni cerebrali, della durata di oltre 24 ore o che portano a morte
senza un’apparente causa che sia diversa da quella di origine vascolare.

La distinzione tra ictus ischemico ed emorragico è importante in termini di gestione, prognosi e prevenzione
secondaria, in tal caso è necessario eseguire una TC cranio che permette di distinguere:
 Lesione emorragica (iperdensa);
 Lesione ischemica (generalmente ipodensa);
 Presentazione ictale di altre patologie (>> neoplasia).
Nello stadio iperacuto di ictus ischemico la TC può non evidenziare la tipica ipodensità, gli infarti sono più
facilmente visibili alla TC dopo alcuni giorni.
Fondamentale è il ruolo del neurologo di stabilire insieme con il neuroradiologo la correlazione clinico-
radiologica di fronte ad una TC che mostri un evento vascolare.

Trattamento dell’ictus ischemico: Trattamento dell’ictus emorragico:


 Antiedemigeni: mannitolo, glicerolo;  Correggere qualsiasi anomalia della
 Trombolisi, se possibile; coagulazione;
 Antiaggreganti? Anticoagulanti?  Farmaci antifibrinolitici;
 Neuroprotettori?  Terapia chirurgica?
I “?”indicano le differenti gestioni a seconda della situazione.

QUESTO TRATTAMENTO NON SI ESEGUE IN PZ CON :


INSORGENZA DEI SINTOMI DA PIU’ DI 4:30 ORE, ETA’ > 80 ANNI,
TERAPIA ANTICOAGULANTE ORALE, INTERVENTO CHIRURGICO
DA POCO, INR >1.7 IN PZ CON TERAPIA EPARINICA.

EMORRAGIA SUBARACNOIDEA
Condizione a eziologia multipla:
 Aneurismi cerebrali;
 Traumi;
 MAV;
 Neoplasia cranio-vertebrali;
 Coagulopatia;
 Vasculiti.

SEGNI E SINTOMI:
 Cefalea intensa, insorta improvvisamente e seguita da dolore che si irradia alle regioni occipitale e
cervicale;
 Rigidità nucale;
 Vomito, fotofobia, letargia;
 Perdita di coscienza che può essere di breve durata o permanente con coma apallico, stato vegetativo
o morte cerebrale;
 Possibili deficit neurologici focali da ischemia a valle o emorragia meningo- cerebrale;
 Possibili convulsioni.

SOSPETTO CLINICO E ESAMI STRUMENTALI:


Il clinico deve nutrire forte sospetto che una cefalea improvvisa, grave e inspiegata, possa rappresentare
un’emorragia subaracnoidea acuta.

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Lezione x, Neurologia, Sartucci, 19.11.2019

Non appena si sospetti questa diagnosi va eseguita immediatamente una TC cranio:


 TC positiva: la puntura lombare (liquor emorragico) non è necessaria e va evitata per il rischio di
risanguinamento dell’aneurisma;
 TC negativa: la puntura lombare diviene centrale per la diagnosi anche quando la storia è tipica.
Una volta che la TC o la rachicentesi abbiano confermato la diagnosi, va eseguita una angiografia digitale o
una Angio-RM, per evidenziare l’aneurisma o altra malformazione vascolare eventualmente presente e, in
caso positivo, vanno consultati neurologo e neuroradiologo per la scelta terapeutica definitiva.

TERAPIA
Dopo un ESA, la pressione arteriosa va strettamente monitorata e controllata. Un’ipertensione aumenterà la
probzabilità di un risanguinamento dalle complicanze catastrofiche.
Il trattamento farmacologico preoperatorio comprende:
 Anticonvulsionanti;
 Nimodipina per EV: per contrastare il vasospasmo dei vasi non coinvolti nelll’emorragia;
 Corticosteroidi (anti-edemigeni);
 Anti-ipertensivi (al bisogno).

PARALISI RESPIRATORIA ACUTA NEUROGENA


Molte malattie (vascolari, infettive, infiammatorie, neoplastiche) del SNC possono provocare insufficienza
respiratoria attraverso il danneggiamento del centro respiratorio bulbare o delle sue connessioni con il
midollo spinale cervicale o toracico. Ovviamente anche traumi, intossicazioni, dismetabolismi, abuso di
farmaci sedativi, possono condurre a paralisi respiratoria.
Porta a insufficienza ventilatoria da patologia neuro-muscolare, di solito si tratta di neuropatie, malattia
della giunzione o miopatie.
SINTOMI
 Debolezza e fatica;
 Affanno quando parla o deglutisce;
 Utilizzo dei muscoli accessori della respirazione (pettorali, scaleni, sternocleidomastoidei, elevatori
delle narici);
 Debolezza del diaframma, rilevata dalla rientranza della parete addominale durante l’inspirazione;
 EGA compatibile con IR tipo II (>pCO2, <pO2);
 Disfagia: se presente è un fattore prognostico negativo.
CONDIZIONI CHE POSSONO PROVOCARE PARALISI RESPIRATORIA:
 Malattie dell’unità motoria:
o Affezione motoneurone corno anteriore: SLA, H.zoster, Poliomielite;
o Patologie della trasmissione neuromuscolare: Miastenia gravis, Botulismo;
o Malattie del muscolo: distrofia muscolare, miositi, lesioni traumatiche del diaframma,
malattie metaboliche del muscolo;
 Alterazioni sovrasegmentali: lesioni dei centri del respiro/soppressione centri del respiro con
barbiturici o BDZ, Parkinson, lesioni del tratto cervicale del midollo spinale, malattie cerebrovascolari
(ictus).

CRISI EPILETTICHE
EPIDEMIOLOGIA
Prevalenza del 3-4% della popolazione, di questi pz tutti accuseranno almeno una crisi sintomatica acuta nella
vita. L’1% accuserà una crisi epilettica non provocata e il 2% prima del V anno di età sarà affetto da una crisi
convulsiva febbrile.
VALUTAZIONE IN EMERGENZA DI UNA NUOVA CRISI CONVULSIVA
1. ABC: Airway, Breath, Circulation;
2. Descrizione dell’evento;
3. Esame fisico:
 Segni di lato;

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 Rigidità nucale;
 Esame del fondo oculare.

STATO DI MALE EPILETTICO


Rappresenta la vera emergenza neurologica. Lo stato di male epilettico tonico-clonico è una delle forme, ma
non la più frequente, tuttavia a differenza della maggior parte degli altri tipi.
Quadro clinico:
 All’esordio: attacchi sotto forma di crisi subentranti, ma distinte di grande male.
 Con il passare del tempo l’attività motoria convulsiva si modifica diventa continua;
 Infine le clonie divengono meno marcate e gravi fino a cessare del tutto. Da questo momento in poi
il paziente cadrà in una forma di profonda incoscienza e la prognosi è sfavorevole.
Questi stadi non si verificano in tutti i pazienti, essi possono essere modificati dalla terapia farmacologica
concomitante e il periodo di tempo tra uno stadio e l’altro è variabile.

MISURE GENERALI DI INTERVENTO:


 FASE I: valutare la funzione cardiorespiratoria, quindi liberare le vie aeree e rianimazione;
 FASE II: istituire un regolare monitoraggio, una terapia antiepilettica di emergenza. Eseguire indagini
di emergenza. Somministrare glucosio e/o tiamina per trattare l’acidosi;
 FASE III: stabilire l’eziologia, identificare e trattare le complicanze;
 FASE IV: monitoraggio EEG, è importantissimo. Terapia antiepilettica di mantenimento a lungo
termine.

COMPLICANZE DELLO STATO DI MALE:


 Cerebrali:
o Danno cerebrale ipossico-metabolico;
o Danno cerebrale indotto dalle convulsioni;
o Edema cerebrale con ipertensione endocranica;
o Emorragie e infarti cerebrali;
o Trombosi dei seni venosi;
 Cardiovascolari, respiratorie e autonomiche:
o Ipotensione/ipertensione;
o Insufficienza cardiaca, tachi/bradicardia;
o Arresto cardiaco;
o Shock cardiogeno;
 Metaboliche:
o Disidratazione;
o Insufficienza renale acuta;
o Insufficienza epatica acuta;
 Altre:
o CID;
o Insufficienza multiorgano;
o Rabdomiolisi, dovuta a contrazioni muscolari.

TERAPIA FARMACOLOGICA DI EMERGENZA IN STATO DI MALE TONICO-CLONICO


 Stato di male iniziale: Diazepam EV, Lorazepam EV. Se necessario si può passare a somministrazione
via fleboclisi di quantità variabili a seconda del risultato.
NB Diluire sempre le BDZ e monitorare la somministrazione, per evitare l’arresto respiratorio;
 Stato di male conclamato: Fenitoina EV e/o Fenobarbital in bolo;
 Stato di male refrattario: anestesia generale, continuare l’anestetico per 12-24 ore dalle ultime
convulsioni cliniche o EEG-grafiche.

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IPERTENSIONE ENDOCRANICA
EZIOLOGIA PRINCIPALE:
 Traumi cranici: ematomi extradurali, subdurali, etc;
 Cerebrovascolari: emorragie, infarto, etc;
 Idrocefalo;
 Tumori;
 Infezione SNC;
 Encefalopatie metaboliche;
 Stato di male epilettico.

SINDROME DA IPERTENSIONE ENDOCRANICA


Condizione caratterizzata dall’aumento della pressione endocranica oltre il valore soglia di 20-25 mmHg.
Oltre tale valore si osserva la desaturazione dell’ossigeno.
La pressione endocranica viene misurata tramite cateterismo ventricolare.
Si può misurare anche tramite l’analisi del fondo oculare, il cui è visibile il papilledema.

MECCANISMI
 Ostacolo al deflusso liquorale per ostruzione del sistema ventricolare;
 Riduzione dello spazio utilizzabile nella cavità cranica ad opera della lesione o dell’edema associato;
 Ostruzione del sistema di riassorbimento;
 Ostruzione al sistema venoso di deflusso.

SINTOMATOLOGIA: recenti cefalee, nausea, vomito, visione offuscata/confusa, diplopia.

DIAGNOSI
 Sospetto clinico dall’anamnesi, storia di vomito improvviso e cefalee;
 EO oftalmologico positivo: doplopia, papilledema all’analisi del fundus;
 TC cranio: indagine decisiva + valutazione medica generale;
NB non eseguire mai una puntura lombare in pz con sospetto aumento della pressione endocranica anche se
non è presente papilledema.

TRATTAMENTO
Dipende dalla diagnosi presunta dopo la TC, viene stabilito assieme ai neurochirurghi:
 Tumore desametasone EV +/- chirurgia;
 Ascessi aspirazione, escissione;
 Idrocefalo derivazione del liquor.
Nei pazienti in stato di incoscienza è necessario:
 Intubazione e ventilazione assistita;
 Mannitolo EV in caso di aggravamento.
EMICRANIA
Cefalea benigna e ricorrente, accompagnata da nausea e/o vomito e/o altri sintomi neurologici (fotofobia,
sensazione di testa vuota, dolorabilità del cuoio capelluto, vertigini, parestesie, alterazione dello stato di
coscienza) in varie combinazioni.
Colpisce il 15% elle donne e il 6% degli uomini.

TIPOLOGIE:
 Emicrania senza aura;
 Emicrania con aura.
L’aura si manifesta con sintomi visivi, sensoriali, alterazione del linguaggio e motori.

EMICRANIA SENZA AURA

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 Durata 4-72 ore;


 Almeno due delle seguenti caratteristiche:
o Unilaterale;
o Pulsante di frado moderato-severo;
o Aggravata dall’attività fisica.
 Almeno uno dei seguenti sintomi:
o Nausea e vomito;
o Fotofobia;
o Fonofobia.

EMICRANIA CON AURA


 Uno o più sintomi transitori focali dell’aura;
 Sviluppo graduale dei sintomi dell’aura in almeno 4 minuti Terapia profilattica:
- topiramato / beta-bloccanti / TCA /
 Durata dell’aura da 4 a 60 minuti; SNRI /GPCR-antagonists


Terapia in acuto:
Entro 60 minuti emicrania. - triptani
-diidroergotamina
- pracetamolo 1000/ tachicaf
TRATTAMENTO EMICRANIA: - NSAIDs (vari)

Verosimile inefficacia della terapia praticata fino a quel momento o attacchi di maggiore severità rispetto alla
norma:
 Sumatriptan sottocute, efficace nel 80-90% dei pz e ripetibile dopo 1 ora. Non deve essere utilizzato
a fini diagnostici perché le altre cefalee posso rispondere positivamente;
 Diidroergotamina in pazienti refrattari a metoclopramide o clorpenazina. Controidincata in pazioni
con sepsi, ipertensione, malattie CV;
 Desametasone: per stato emicranico.

CEFALEA A GRAPPOLO
 Rapporto uomo-donna 5:1; dolore unilaterale,
temporale/sovraorbitario +
 Dolore di breve durata; segni di disfunzione
autonomica acuti
 Forma episodica e forma cronica;
 Variazione di frequenza con le stagioni;
 Ritmo circadiano.

Sintomatologia: dolore unilaterale molto severo a sede sovraorbitaria o temporale, associato a iniezione
congiuntivale, lacrimazione, congestione nasale, rinorrea sudorazione, miosi, ptosi, edema palpebrale.

TRATTAMENTO CEFALEA A GRAPPOLO:


 Inalazione di ossigeno di facile somministrazione: non ci sono effetti collaterali e agisce
rapidamente. 8 L/min per 10-15 minuti.
 Sumatriptan sottocute;
 Diidroergotamina.

INFEZIONI DEL SNC


Diversi fattori contribuiscono alla minaccia da parte delle malattie infettive:
1. Crescita di due set di pazienti: epidemia di HIV e trattamenti aggressivi di tumori e trapianti che
hanno allungato la sopravvivenza ma alterato gravemente le difese dell’ospite;
2. Aumento degli spostamenti internazionali che hanno consentito una trasmissione rapida dell’agente
su larga scala globale;
3. Diffusione spesso sconsiderata dell’uso di antibiotici.

EZIOLOGIA:
 H. influenzae: diminuzione dell’80% dopo introduzione del vaccino;

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 S. pneumoniae: organismo più comune sia nei bambini che negli adulti di cui rappresenta quasi il
40%. Stanno aumentando i casi per l’aumento delle resistenze agli antibiotici;
 N. meningitidis: seconda causa in tutte le età;

SINTOMATOLOGIA: i segnali iniziali ella malattia sono tipici ma non immediatamente riconducibili alla
patologia, riguardano forti dolori alla testa, fotofobia, fonofobia, febbre, nausea, vomito, rigidità del collo e
compara di macchie rosse sulla pelle.
Febbre, rigidità nucale, alterazione dello stato di coscienza sono segni presenti dei 2/3 dei pazienti. Uno ei
tre seni è sempre presente.
Sono possibili anche crisi epilettiche in circa il 23% dei casi.

ESAME OBIETTIVO: sono presenti delle manovre che è possibile effettuare per avvalorare l’ipotesi
diagnostica di meningite. Tra questi:
 Rigidità nucale: se si prova ad inclinare in avanti la testa del soggetto questo sposterà in avanti anche
il tronco;
 Segno di Brudzinski: flessione del capo segue quella degli arti inferiori;
 Segno di Kernig: arti inferiori rigidi in flessione, non si distendono applicando forza dall’esterno.
Questi ultimi due segni sono indice di infiammazione delle radici nervose, i riflessi portano il soggetto ad
evitare lo stiramento delle stesse.

DIAGNOSI
L’esame principe è l’analisi del liquor: utilizzata per individua il cepo batterico, passaggio fondamentale per
elaborare una terapia antibiotica efficace e in grado di risolvere velocemente la malattia.
È possibile avere una meningite “asettica”, a liquor limpido, di origine virale: in questo caso è opportuno
approfondire l’analisi del liquor. In questo caso il linfociti aumentano, le proteine sono leggermente alte e il
glucosio è nella norma.
I virus più frequenti sono gli Herpes, Enterovirus, Virus della parotite.
Esistono anche meningite fungine e parassitare.
Le meningiti non infettive sono dovute a:
 Farmaci (FANS, azatioprina, Ig EV, vaccini);
 Malattie sistemiche (LES, sarcoidosim carcinomatosi, Behcet).

TRAUMI CRANIO-ENCEFALICI
Commozione cerebrale: perdita di coscienza con caduta a terra associata a fenomeni neurovegetativi (tipo
KO dei pugili). In base alla durata si definiscono:
 Lieve: < 30 minuti;
 Moderato: < 24 ore;
 Grave: > 24 ore.
Al risvegli si avrà amnesia retrograda ed anterograda.

[Saranno trattati a neurochirurgia]

ENCEFALOPATIE DISMETABOLICHE, DA TOSSICI ENDOGENI, CARENZIALI


Encefalopatie tossiche:
 Epatica;
 Renale;
 Ipercapnica.

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Encefalopatie dismetaboliche:
 Da alterato metabolismo glucidico;
 Da alterato equilibrio idro-elettrico, da ipossiemia.

Encefalopatie carenziali:
 Da deficit di tiamina (vit B1);
 Da defocit di piridossina (vit B6);
 Da deficit di cobolamnina (vit B12);
 Da deficit di tocoferolo (vit E).

ENCEFALOPATIE DA TOSSICI ESOGENI E MEDICAMENTI


Encefalopatia da tossici esogeni non voluttari:
 Metalli pesanti (piombo, mercurio, arsenico, manganese);
 Composti organici (idrocarburi, derivati alogeni, organofosfati, alcoli);
 Monossido di carbonio.
Encefalopatie da tossici esogeni voluttari: Alcol etilico; Cocaina.

Encefalopatia da farmaci: acido valproico, anticolinesterasici, anticolinergici, antidepressivi, baclofen,


barbiturici, benzodiazepine, carbamazepina, L-DOPA e dopamino-agonisti, neurolettici, fenitoina,
morfinici, disulfiram, anfetamine, corticosteroidi, betabloccanti, digossina, teofillina, cimetidina,
betalattamine, isoniazide, tetracicline, metotrexate, litio, alluminio.
RAPIDA E PROGRESSIVA DEBOLEZZA MUSCOLARE
Si può sviluppare a più livelli:
 Muscolo: prediligono muscoli di collo e cingolo scapolare, possibile miocardiopatia, occasionale
coinvolgimento muscolatura respiratoria, possibile mioglobinuria.
Eziologia:
o Cause acquisite: miopatia mioglobinurica (allenamenti eccessivi, come marcie militari
lunghissime), paralisi ipokaliemica, miopatia tossica, polimiosite, miopatia dei reparti di cura
intensiva.
o Cause genetiche: distrofie legate al sesso; distrofia miotonica; miopatia mitocondriale.
 Giunzione neuromuscolare: muscolatura craniale, arti e prossimali. Può interessare muscoli
respiratori, se presinaptica dà segni di disautonomia; se postsinaptica faticabilità.
Eziologia: miastenia gravis, botulismo, ipermagnesemia.
 Nervo periferico: debolezza muscolare e disturbi della sensibilità, iporeflessia osteotendinea.
Eziologia: Guillain-Barré, neuropatia difterica, neuropatia da porfiria, avvelenamento da molluschi,
neuropatia dai reparti di cura intensiva.
 Motoneurone: prevalentemente segni motori, spesso asimmetrica, se SLA iperreflessia
osteotendinea.
Eziologia: SLA, poliomielite (scomparsa).

Miastenia gravis
Malattia autoimmune, legata alla presenza di autoanticorpi diretti contro il recettore dell’acetilcolina.
Segni cardine: debolezza e faticabilità.
Crisi miastenica (15-20% dei pazienti): insufficienza respiratoria e debolezza dei muscoli orofaringei 74% dei
casi entro i primi due anni dalla diagnosi.
Associazione con timoma.
Nel 38% dei casi è scatenata da infezione o da nuovi farmaci assunti (attenzione ai cortisonici assunti ed
interrotti bruscamente).

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MORTE CEREBRALE
Il concetto di morte è cambiato nel tempo. Prima si indentificava con la cessazione dell’attività cardiaca.
Successivamente è stato elaborato il concetto di coma dépassé, irreversibile: questi soggetti avevano il cuore
battente, ma completo silenzio elettrico cerebrale.
Poi si iniziò a parlare di diagnosi di morte del SNC.
Il punto fondamentale è alla fine degli anni ’60: si inizia a parlare di morte come “processo”: la morte è
asincrona per i vari organi e apparati, inoltre ci sono dei tessuti che non hanno terminato la loro capacità
lavorativa al momento della morte del soggetto, tanto è vero che posso essere trapiantati organi post-
mortem del soggetto.
Da questo punto in poi ci si è avvicinati al concetto di morte moderna.

In Italia la morte cerebrale è approvata da:


 Legge 29 dicembre 1993 N.578;
 DM SAN. 22 agosto 1994 N.582;
 DMS 11 aprile 2008.

ACCERTAMENTO DELLA MORTE LEGGE 29 dicembre 1993 N.578


ARTICOLO 1
La morte si idenfica con la cessazioni irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.
Inteso come corteccia e tronco encefalico, non importa del midollo spinale.
L’accertamento della morte per arresto cardiac può essere effettuato da un medico con il rilievo continuo
dell’ECG protratto per non meno di 20 minuti, registrato su support cartaceo o digitale.

ARTICOLO 2
1-La morte per arresto cardiaco si intende avvenuta quando la respirazione e la circolazione sono cessate
per un intevallo di tempo tale da comportare la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo e può
essere accertata con le modalità clinico-strumentali definite con decreto del Ministero della Sanità.

2-La morte nei soggetti affetti da lesion encefaliche e sottoposti a misure rianimatorie si intende avvenuta
quando si verifica la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo ed è accertata con le modalità
clinico-strumentali definite con decreto del Ministero della Sanità.

5-L’accertamento è effettuato da un collegio medico:


- Un medico legale;
- Uno specialista in anestesia e rianimazione;
- Un neurofisiopatologo (neurologo o neurochirurgo esperti in EEG).
Devono essere necessariamente dipendenti di strutture sanitarie pubbliche.

6-In ogni struttura sanitaria pubblica, la direzione sanitaria nomina uno o più collegi medici per
l’accertamento della morte dei soggetti affetti da lesion encefaliche e sottoposti a misure rianimatorie.
Ciascun singolo caso deve essere seguito dallo stesso collegio medico.

7-Il collegio medico è tenuto a esercitare le sue funzioni in strutture diverse da quelle di appartenenza.

8-La partecipazione al collegio medico è obbligatoria e rientra nei doveri d’ufficio del nominato.

9-Il collegio medico deve esprimere un giudizio unanime sul momento della morte.

Art. 2 – requisiti clinico-strumentali per l’accertamento della morte nei soggetti affetti da lesioni
encefaliche e sottoposti a trattamento rianimatorio:
 Assenza dello stato di vigilanza e coscienza, dei riflessi del tronco encefalico e del respire spontaneo;
 Assenza di attività elettrica cerebrale;

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 Assenza di flusso ematico encefalico nelle situazioni particolari:


o Bambini di età inferior a 1 anno;
o Presenza di farmaci depressor del SN di grado tale da interferire sul quadro clinico-
strumentale complessivo. In alternative al rilievo del flusso ematico cerebrale, l’iter può
essere procrastinato sino ad escludere la possibile interferenza dei suddetti farmaci sul
quadro clinic-strumentale complessivo;
o Situazioni cliniche che non consentono una diagnosi eziopatogenetica certa o che
impediscono l’esecuzione dei riflessi del tronco encefalico, del test di apnea o la registrazione
dell’attività elettrica cerebrale.

ARTICOLO 3
Quando il medico della struttura sanitaria ritiene che sussistano le condizioni definite dal decreto del
Ministero della sanità deve darne immediate comunicazione alla direzione sanitaria, che è tenuta a
convocare prontamente il collegio medico di cui.
Accertamento di morte nei soggeti affetti da lesion encefaliche sottoposti a trattamento rianimatorio, è
necessario verificare la contemporanea presenza di:
 Assenza dello stato di vigilanza e di coscienza;
 Assenza dei riflessi del tronco encefalico (riflesso fotomotore, riflesso corneale, reazione a stimoli
dolorifici trigeminali, riflesso oculo-vestibolare, riflesso faringeo, riflesso carenale);
 Assenza di respire spontaneo con valori documentati di CO2 arteriosa <60mmHg e pH ematico non
oltre 7.4, in assenza di ventilazione artificiale.
 Assenza di attività elettrica cerebrale documentata da EEG;
 Assenza di flusso ematico cerebrale preventivamente documentatata nelle situazioni particolari
previste dall’art.2 comma 2. L’assenza di flusso ematico è misurata tramite:
o Angiografia cerebrale;
o Doppler transcranico: presenza di reflusso diastolico, spikes sistolici, assenza di segnale;
o Scintigrafia cerebrale.

DMS 11 Aprile 2008


Regolamento recante le modalità per l’accertamento e la certificazione di morte:
 ART 1: accertamento della morte per arresto cardiac: ECG di almeno 20 minuti;
 ART 2: condizioni che inducono all’accertamento della morte nei soggetti affetti da lesion encefaliche
e sottoposti a misure rianimatorie:
o Stato di incoscienza;
o Assenza dei riflessi del tronco e del respire spontaneo;
o Silenzio elettrico.

Novità introdotte:
1- Riduzione del period per tutti a 6 ore, indipendentemente dall’età;

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2- Esecuzione di soli due esami, uno all’inizio e l’altro alla fine;


3- Possibilità di utilizzare anche apparecchiature con sistema digitale;
4- Affidamento esclusivo al tecnico di neurofisiopatologia, senza alcuna norma transitoria
sull’infermiere.

PERCHE’ I MORTI SI MUOVONO


I riflessi spinali spontanei o provocati, non hanno rilevanza alcuna ai fini dell’accertamento della morte,
essendo compatibili con la conduzione di cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo. Si tratta di
automatismi midollari.

Anche se c’è necrosi encefalica, il midollo può avere una buona ossigenazione anche senza controllo
superiore. Le fasi che si attraversano sono 3:
 Shock midollare;
 Recupero di funzionalità;
 Ipereccitabilità.
L’attività spinale può essere distinta in:
 Riflessa: riflessi osteotendinei, plantari, cutanueo-addominale, cremasterico;
 Spontanea: movimento di flessione/estensione degli arti, segno di Lazzaro (opistotono, flessione del
tronco e movimenti degli arti inferiori). Anche automatismi come il dito del piede ondulante.

MODALITA’ DI ACCERTAMENTO DELLA MORTE


MORTE PER ARRESTO CARDIACO:
 Diagnosi clinica;
 Period di osservazione di 24-48 ore;
 ECG per 20 minuti;
 Visita necroscopica dopo 15-30 ore.
MORTE PER LESIONI ENCEFALICHE:
 Diagnosi clinica;
 Collegio medico-legale: periodo di osservazione di 6 ore;
 Visita necroscopica.

CERTIFICAZIONE DI MORTE
Necessita di Medico necroscopo e/o Polizia mortuaria.
Secondo l’ART. 3, Legge 29 dicembre 1993: necessaria l’assenza di attività elettrica cerebrale (EEG piatto),
documentata all’EEG eseguito secondo le modalità tecniche riportate nell’allegato 1 al presente decreto.
Metodologia EEG:
 Numero di elettrodi = 8;
 Derivazioni mono-bipolari;
 Reattività alla stimolazione;
 Durata e numero di registrazione 30’;
 Registrazione su carta.
Viene utilizzato l’EEG perchè è una metodica semplice, è un buon indice di funzione cerebrale, tuttavia valuta
soltanto la corteccia. Quindi è stata eseguita una prova con elettrodi in profondità, nei nuclei della base: il
risultato è stato che ad un EEG piatto corrisponde un’assenza di attività anche nelle strutture encefaliche
profonde.
Ad un EEG piatto corrisponde la colliquazione dell’encefalo morte cerebrale. Gli altri organi sono ancora
buoni, tanto è vero che si trapiantano. Tutti gli organi si possono trapiantare ad eccezione dei genital (in
Italia).

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Per silenzio elettrco corticale si intende un’attività spontanea e provocata di ampiezza non superior a 2 uV
per almeno 30 minuti.
Anche i potenziali evocati si annullano.

Non ci si deve confondere quando sono presenti delle attività elettriche anomale, dovute asd esempio alla
presenza di un pacemaker. L’EEG non sarà piatto ma il soggetto sarà in morte cerebrale.

EEG piatto Risposte evocate visive piatte Artefatto da pacemake cardiaco

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Sbobine 2.0

COMPLICANZE NEUROLOGICHE DELLE MALATTIE INTERNISTICHE


Per il 20% dei pz ricoverati in reparti di Medicina Interna è richiesta una valutazione neurologica, in
particolare per:
- Alterazioni dello stato di coscienza
- Eventi cerebrovascolari
- Cefalea
- Vertigini
- Sintomi e segni riferibili a danno organico encefalico o midollare
- Disordini del movimento
- Sintomi e segni riferibili a patologie neuromuscolare

COMPLICANZE NEUROLOGICHE DELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI


È il grande capitolo delle patologie cerebrovascolari (trattate separatamente). Le patologie quali disturbi del
ritmo, FA, endocarditi possono essere quindi causa di embolizzazione che coinvolge l’encefalo. In caso di ictus
infatti è fondamentale anche la valutazione cardiologica per cercare di capire quale sia la possibile causa
correlata. dopo 9 minuti, danno
encefalico irreversibile

ARRESTO CARDIACO danno SNC da ipossia anossica

Spesso il neurologo può essere chiamato in caso di arresto per o sviluppo di anossia cerebrale. La patogenesi
del danno cerebrale è dovuta ad accumulo intracellulare di calcio, aumento delle concentrazioni
extracellulare di glutammato, aspartato e radicali liberi. Il danno può svilupparsi anche dopo 7-10gg
dall’evento e manifestarsi come coma o encefalopatia demielinizzante. Si possono avere gravi
compromissioni della funzione cognitiva, segni piramido-extrapiramidali, convulsioni, alterazioni della
personalità, mioclonie. La compromissione del midollo spinale è più rara e generalmente interessa solo i
territori al di sotto di T5.

Se la durata dell’arresto cardiaco è inferiore a 5 minuti si ha solo una temporanea perdita di coscienza.

COMPLICANZE NEUROLOGICHE DELLE MALATTIE POLMONARI


INSUFFICIENZA RESPIRATORIA
L’IR può essere conseguente a malattie di tipo neuromuscolare (SLA, distrofia muscolare, malattia di Pompe
o glicogenosi di tipo II, miopatie infiammatorie, miastenia gravis). Si sviluppano quadri di sindromi restrittive
che si possono manifestare in modo acuto o cronico. La distrofia muscolare può complicarsi dando
manifestazioni acute tipo polmonite ab ingestis mentre in genere l’IR si sviluppa lentamente. In alcune
patologie, come la malattia di Pompe, l’IR può anche essere il sintomo d’esordio come anche in casto di
miastenia gravis, in cui la manifestazione può essere una crisi respiratoria acuta. Anche l’ictus, se colpisce il
circolo posteriore, può dare alterazioni della funzione respiratoria oppure può coinvolgere l’apparato
respiratorio in maniera indiretta per es. in pazienti che diventano disfagici e possono avere polmoniti ab
ingestis e successiva IR.

In corso di IR con ipercapnia, l’aumento di CO2 induce vasodilatazione cerebrale, ipertensione endocranica e
riduzione del pH, che conducono allo sviluppo di encefalopatia respiratoria.

Le manifestazioni cliniche sono:


- Cefalea >la relazione fra isnufficienza respiratoria e
coinvolgimento neurologico è bidirezione:
- Alterazione stato di coscienza IR<————> patologia neurologica

> l’IR può conseguire a :


- Tremore posturale >compromissione
-quadri neurologici periferici (neuropatie,
“globale” di
patologie neuromusculari, miopatie)
- Mioclonie funzioni:
- superiori - quadri midollari (patologie del motoneurone
inferiore)
- Iperreflessia profonda (vigilanza e
coscienza) - quadri encefalici (ictus cerebri posteriore)

- Edema della papilla ottica - motorie (segni


piramidali ed
extrapiramidali)

234
aumento acuto della ICP per vasodilatazione intracranica
Sbobine 2.0

La rapida correzione dell’ipercapnia può determinare l’insorgenza di crisi epilettiche e alterazioni dello stato
di coscienza, verosimilmente su base ischemica.

NB: cefalea notturna o al risveglio e sonnolenza diurna → sintomi di allarme di un quadro di insufficienza
respiratoria cronica

SINDROME DA ALTA QUOTA


Sopra i 3500 metri di altitudini si sviluppa ipossiemia che si manifesta con cefalea, astenia, disturbi del sonno,
anoressia.
Sopra i 5500 metri insorgono alterazioni dello stato di coscienza fino al coma, atassia, papilledema, emorragie
retiniche, deficit focali, edema cerebrale.

COMPLICANZE IN MALATTIE GASTROINTESTINALI


ENCEFALOPATIA EPATICA
L’encefalopatia epatica è un’alterazione delle funzioni cerebrali che si verifica a causa di una sottostante
insufficienza epatica, spesso conseguente a cirrosi. Si verifica un accumulo in circolo di sostanze
incompletamente metabolizzate o detossificate e carenza di aminoacidi normalmente prodotti dal fegato.
Ne consegue una condizione di iperammoniemia che ha azione tossica sul SNC, interferendo sul metabolismo
proteico, e inoltre determina incremento della trasformazione del glutammato in glutammina. La
glutammina ha azione osmotica sugli astrociti e ciò favorisce la formazione di edema cerebrale.
L’iperammoniemia agisce su molteplici aspetti: meccanismi segnale mediati dal calcio, pH, infiammazione,
morfologia degli astrociti, pressione endocranica, potenziale di membrana, attivazione dei neutrofili, sistema
dei neurotrasmettitori, stress ossidativo, metabolismo energetico, etc. fino a determinare la morte cellulare.
I primi segni di encefalopatia sono solitamente psichiatrici:
- Alterazioni comportamentali e della personalità
- Apatia
- Irritabilità
- Labilità emotiva deficit globali

A questi si associano anche alterazione del ritmo sonno-veglia, deficit di attenzione, stato progressivo di
confusione fino al coma. sistema piramidale

Inizialmente si possono osservare ipertonia, iperreflessia profonda, Babinsky bilaterale, paratonia, atassia,
disartria poi compaiono ipotonia e areflessia. sistema extrapiramidale

Sono comuni anche i segni extrapiramidali quali ipomimia, rigidità, bradicinesia, tremore (flapping tremor),
discinesie.

MORBO DI WILSON
Si tratta di una malattia del metabolismo del rame, trasmessa con modalità autosomica recessiva, il cui gene
è stato localizzato sul braccio lungo del cromosoma 13. La malattia è determinata da un difetto
nell’escrezione biliare del rame, con accumulo di rame a livello epatico, encefalico, renale, corneale e osso.
Rientra in DD con tutti i disordini extrapiramidali perché si può manifestare con un quadro di parkinsonismo,
per questo si deve indagare soprattutto in quei pazienti che presentano aumento costante delle transaminasi
apparentemente non spiegabile. Bisogna ricordare che tale malattia può manifestarsi sia con disturbi
neurologici che solo con segni di disfunzione epatica: il riscontro di controlli seriati di aumento delle
transaminasi, non altrimenti spiegabile, deve condurre a uno studio del metabolismo del rame. Può
succedere che le manifestazioni neurologiche precedano la diagnosi della malattia di Wilson.

ipertransaminasemia
persitente NDD +
parkinsonismo

235
Sbobine 2.0

MORBO DI WHIPPLE
Si tratta di un’affezione multisistemica di verosimile eziologia infettiva, caratterizzata clinicamente da un
corteo sintomatologico complesso e di difficile inquadramento (malassorbimento, steatorrea, artralgia,
artrite non deformante, linfoadenopatia e disturbi neurologici presenti solo nel 10% dei casi).
Il pz non sempre può sempre giungere dal giusto specialista e il quadro sistemico rende più difficile la
diagnosti. I disturbi neurologici sono rari ma cmq importanti. Il quadro neurologico più comune è dato da
progressiva alterazione delle funzioni cognitive (demenza), più raramente disturbi visivi, papilledema,
oftalmoplegia, alterazioni stato di coscienza, etc. La diagnosi è clinica e deve essere sospettata in base
all’interessamento multistisemico e talvolta si può notare la presenza di pleiocitosi linfocitaria e
iperproteinorrachia. Il trattamento può portare a regressione delle manifestazione neurologiche.

MORBO CELIACO
È una malattia autoimmune caratterizzata da malassorbimento, steatorrea, perdita di peso e da lesione a
carico della mucosa del piccolo intestino. Diversi markers biologici (anticorpi antigliadina, anti-endomisio)
possono essere associati a questa malattia, insidiosa e spesso sottostimata.
Le manifestazioni neurologiche in corso di celiachia comprendono: epilessia (25%), mioclono, calcificazioni
occipitali, sindromi atassiche, neuropatie periferiche di tipo assonale e demielinizzate, oftalmoplegie
internucleari. Verosimilmente la causa di tali disturbi è su base immunitario e legato a deficit vitaminici (acido
folico, vit E). La maggior parte dei disturbi neurologici, tranne le neuropatie periferiche, non risente di una
dieta priva di glutine.

COMPLICANZE NEUROLOGICHE IN CORSO DI NEFROPATIE


1. Complicanze in corso di insufficienza renale cronica
- ENCEFALOPATIA UREMICA: nelle fasi iniziali sono presenti turbe mnesiche e
comportamentali, depressione, inversione del ciclo sonno veglia. Negli stadi più avanzati
compaiono stati confusionali, allucinazioni visive ed alterazioni dello stato di coscienza. Sono compromissione
multisistemica;
paragonabile a
inoltre presenti paratonia, iperreflessia profonda, mioclonie multifocali, asterixis, enefalopatia
portosistemica
fascicolazioni e segni meningei. Le crisi epilettiche, più frequenti nei soggetti ipertesi,
possono talora essere in rapporto all’uso di penicillina, cefalosporine o di altri antibiotici. la
presenza di alterazioni elettroencefalografiche diffuse più marcate a livello frontale è tipica
dell’insufficienza renale acuta, mentre nelle forme croniche è stata riscontrata una
correlazione tra la presenza di attività lente (delta e theta) e l’aumento della creatinina.
Alla RM si osserva edema bilaterale vasogenico o citotossico a livello corticale e dei gangli
della base.
- NEUROPATIA UREMICA: prevalentemente assonale. È una forma sensitivo-motoria che
colpisce maggiormente gli arti inferiori, si parla di sindrome dei ‘piedi brucianti’ o delle
‘gambe senza riposo’.
- MIOPATIA UREMICA: i livelli di CPK sono generalmente nella norma. La valutazione
neurofisiologica può confermare la presenza di un pattern di tipo miopatico. La biopsia
muscolare rivela segni aspecifici, con atrofia di tipo II. Alcuni pazienti rispondo al trattamento
con vit D. Una sindrome polimiositica con elevati livelli di CPK è stata osservata nell’IRC in
associazione a diversi farmaci tra cui clofibrato, lovastatina, colchicina.
2. Complicanze della dialisi
- SINDROME DA DISEQUILIBRIO DIALITICO
- DEMENZA DIALITICA
- DIALISI ED ENCEFALOPATIA DI WERNICKE
- EMATOMA SUBDURALE: perlopiù nei dializzati, sarebbe legato in realtà alle turbe della
coagulazione, dovute all’insufficienza renale ed all’uso di anticoagulanti.

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Sbobine 2.0

COMPLICANZE NEUROLOGICHE DEI DISTURBI ELETTROLITICI


IPONATRIEMIA: causa edema cerebrale e aumento della pressione endocranica. Il quadro clinico esordisce
con alterazioni progressive dello stato di coscienza, cui si associa un rallentamento generalizzato dell’EEG.
Quando la sodiemia è < 115mEq/L insorgono le crisi epilettiche. L’iponatriemia non deve essere corretta
troppo rapidamente perché può portare a un quadro di mielinolisi cerebrale pontina (demielinizzazione della
base del ponte con relativo risparmio assonale), che si manifesta con paralisi pseudobulbare e tetraparesi
spastica.

IPERNATRIEMIA: si manifesta alterazione dello stato di coscienza quando la natriemia è > 160 mEq/L.

IPO/IPERPOSTASSIEMIA: danno complicanze a livello muscolare e in particolar modo a livello cardiaco. I


pz possono arrivare in PS con quadri di tetraparesi flaccida. Esistono anche patologie neurologiche associate
a paralisi e bassi livelli di potassio, ovvero le canalopatie. Sono malattie genetiche in cui si ha mutazione dei
canali del sodio e del calcio in cui possono esserci crisi paralitiche indotte dalla riduzione del potassio. Quando
i pz arrivano con questi quadri acuti il neurologo viene chiamato per escludere queste forme genetiche. È
importante, ovviamente, valutare le cause secondarie che sono le più frequenti.
depressione dell’eccitabilità
della muscolatura liscia e
IPERCALCEMIA: si manifesta con affaticabilità muscolare. del muscolo scheletrico.
Quadri di assoluta gravità:
- tetraparesi flaccida
IPOCALCEMIA: crisi epilettiche, confusione, allucinazioni, psicosi, tetania. - ileo paralitico ipokaliemico

IPOMAGNESEMIA: quadro simile all’ipocalcemia.


IPERMAGNESIEMIA: ipo/areflessia osteotendinea, rallentamento dell’attività elettrica cerebrale, letargia,
confusione. Sintomo neurologico prevalente→ debolezza muscolare (o paralisi).

MANIFESTAZIONI NEUROLOGICHE DELLE EMOPATIE


ANEMIA ED EMOGLOBINOPATIE
- Anemia sideropenica
- Anemia da carenza di vit B12: possono verificarsi neuropatia periferica, mielopatia, encefalopatia.
- Anemia da carenza di folati
- Anemia a cellule falciformi
In corso di anemia si sviluppano manifestazioni neurologiche aspecifiche quali: cefalea, vertigini, scotomi,
tinnito, astenia, apatia, anoressia e stati confusionali.
Il nervo ottico è particolarmente sensibile all’ipossiemia→ in corso di grave anemia è frequente l’edema della
papilla ottica.
sostenuti da ipossia
EMOPATIE PROLIFERATIVE leucemia del SNC:
infiltrazione del SNC da
anemica

parte del clone


- Policitemia vera leucemico (santuario) collasso vertebrale da
lesioni osteolitiche “ a
- Leucemia stampino”

- Mieloma multiplo: può dare fenomeni compressivi a livello del midollo spinale, cauda e radici. Ci
possono essere coinvolgimento dei nervi cranici, mieloma intracranico, mieloma meningeo e
neuropatia periferica. gammopathy-associated-
neuropathy: neuropatia
- Macroglobulinemia di Waldestrom demielinizzante da CM anti-MAG

- Linfoma: interessamento del midollo spinale e delle meningi, interessamento intracranico.

DISTURBI DELLA COAGULAZIONE EMATICA neruopatia per


effetto massa
- Emofilia
- Trombocitemia

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Sbobine 2.0

MANIFESTAZIONI NEUROLOGICHE DELLE MALATTIE ENDOCRINE


TIROIDE
- IPERTIROIDISMO E TIREOTOSSICOSI
o Miopatia nell’ipertiroidismo: molti pz con tireotossicosi lamentano fatica, debolezza
generalizzata ed ipotrofia muscolare (debolezza prossimale del cingolo scapolare e pelvico),
sebbene solo una piccola percentuale sviluppi una miopatia clinicamente apprezzabile.
Rabdomiolisi è rara. CK nella norma, EMG conferma un tracciato di tipo miopatico. ROT
normali, talvolta aumentati. È un quadro reversibile con la correzione dell’ipertiroidismo.
o Paralisi periodica da tireotossicosi: è una rara complicanza dell’ipertiroidismo caratterizzata
da attacchi acuti di paralisi di breve durata o della durata di alcuni giorni. La debolezza può
essere generalizzata (tetraplegia) o interessare alcuni distretti muscolari, in genere arti
inferiori. In alcuni casi può essere interessata la muscolatura respiratoria. Si associa a
ipopotassiemia e ipertiroidismo. La causa della paralisi è da ricercare nella depolarizzazione
sarcolemmale che è dovuta all’inattivazione dei canali del sodio. Nella tireotossicosi aumenta
l’attività della pompa Na-K, che spiega l’ipokaliemia e che si osserva durante gli attacchi. La
tp consiste nella correzione dell’ipopotassiemia e della tireotossicosi.

- IPOTIROIDISMO: disturbi della concentrazione, apatia, calo timico, fino alla psicosi. Tutti reversibili
con la terapia.

PARATIROIDI
- MIOPATIA IN IPERPARATIRODISMO
o Iperparatiroidismo primario (adenoma paratiroidi)
o Iperparatiroidismo secondario (es. insufficienza renale cronica)
La miopatia in genere è rara: si manifesta con debolezza ed atrofia muscolare prossimale, senza
miotonia; si può associare a neuropatia periferica nel 25%. In genere il grado di debolezza muscolare
non si correla con i livelli di calcemia ma con i valori di PTH. CK nella norma, aumento calcemia, EMG
con quadro miopatico in assenza di attività spontanea.
- COMPLICANZE MUSCOLARI NELL’IPOPARATIROIDISMO
La causa più frequente è dovuta alle sequele post-chirurgiche. Si sviluppano ipocalcemia e
ipomagnesemia che hanno un effetto di ipereccitabilità sulle fibre nervose, questo induce disestesie,
crampi e spasmi muscolari, segno di Chvostek e di Trousseau. La miopatia è rara
nell’ipoparatiroidismo cronico ma più frequenti debolezza e lieve aumento della CK. La biopsia
muscolare può essere normale o con lievi alterazioni aspechifiche. La tp è a base di vitamina D e
calcio.

GHIANDOLE SURRENALI
- MIOPATIA STEROIDEA
o Cause iatrogene
o MALATTIA DI CUSHING: la miopatia nel Cushing è una manifestazione costante (45-90% dei
casi). Tutti i distretti muscolari possono essere interessati, più frequentemente i distretti
prossimali. Vi può essere prevalente interessamento della muscolatura respiratoria (talora
l’IRA può essere il sintomo d’esordio). L’EMG mostra un quadro di miopatia. Tuttavia, è raro
che venga identificato un Cushing primariamente dal neurologo.
- MALATTIA DI ADDISON: è una condizione di insufficienza surrenalica che si manifesta con miopatia
nel 50% dei casi. Si osserva inoltra severa ipostenia generalizzata, crampi muscolari, fatica precoce e
insufficienza respiratoria. Si associano CK normale, iperpotassemia, iponatriemia, EMG normale. La

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Sbobine 2.0

tp ormonale sostitutiva garantisce la remissione dei sintomi muscolari. Entra in DD di paralisi


periodica ipokaliemica.
- IPERALDOSTERONISMO: si può sviluppare paralisi flaccida associata a biopsia muscolare che mostra
isolate fibre degenerate con immunoistochimica negativa per HLA, MCA, distrofina, disferlina, alfa
sarcoglicano ed esame del DNA negativo per mutazioni associate a paralisi periodiche ipokaliemiche.
- FEOCROMOCITOMA: soprattutto cefalea, raramente emorragia intracranica, crisi epilettiche.

COMPLICANZE NEUROLOGICHE DELLE MALATTIE REUMATOLOGICHE


I disturbi neurologici, prevalenti in alcuni disordini, possono occasionalmente precedere lo sviluppo dei segni
e sintomi propri della malattia di base.
Queste sono alcune delle patologie reumatologiche in cui vi è un coinvolgimento del SN:
- LUPUS ERITEMATOSO SITEMICO
- ARTRITE REUMATOIDE
- SINDROME DI SJOGREN: neuropatie periferiche e centrali, miositi. Il V nc è il più colpito.
- POLIARTERITE NODOSA
- GRANULOMATOSI DI WEGENER: è la principale vasculite necrotizzante causa di complicanze
neurologiche, quali lesioni cerebrali emorragiche intraparenchimali e subaracnoidee e trombosi dei
seni durali. In alcuni casi sono state descritte anche polineuropatie o multineuropatie.
- ARTERITE TEMPORALE A CELLULE GIGANTI: coinvolgimento delle arterie carotidi e vertebrali con
fenomeni ischemici, soprattutto nel territorio vertebrobasilare.
- SARCOIDOSI: La sarcoidosi è una granulomatosi multisistemica a patogenesi autoimmune
caratterizzata da granulomi costituiti da cellule epiteliodi, cellule giganti e linfociti. Il quadro clinico è
caratterizzato da infiltrati polmonari, cutanei e lesioni oculari. L’interessamento del SNC e del SNP,
legato alla diffusione dei granulomi a livello parenchimale, leptomeningeo e vasale, è presente
dall’1% al 16% dei pazienti. La manifestazione neurologica più comune è la meningite asettica
cronica granulomatosa della base. Possono esserci anche neuropatie periferiche a carattere
assonale e demielinizzante e miopatie aspecifiche. Le neuropatie periferiche sono causate da
granulomi a sede epi-perineurale e dalla vasculite granulomatosa dei vasa vasorum. Le crisi
epilettiche sono relativamente frequenti e sono dovute all’invasione granulomatosa del parenchima
cerebrale. Sono stati descritti casi di encefalopatie multifocali con demenza. Il settimo nervo cranico
è spesso interessato (oltre al coinvolgimento anche degli altri nervi cranici) in particolare
bilateralmente.
- POLIMIOSITE/DERMATOMIOSITE: sono patologie reumatologiche che possono richiedere
frequentemente un consulto neurologico perché entrano in DD con altre patologie neuromuscolari.
Miopatia necrotizzante autoimmune→ è una patologia distinta e più frequente della polimiosite.
L’esordio è precoce e acuto e si caratterizza per livelli molto alti di CK, perché si associano a necrosi
massiva a livello delle cellule muscolari. L’infiltrato infiammatorio non è sempre presente. Tale
miopatia può manifestarsi in modo isolato o in seguito ad una infezione virale, associata a patologia
neoplastica, in pazienti con connettivopatie (sclerodermia) o nei pazienti che assumono statine.

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Sbobine 2.0

COMPLICANZE NEUROLOGICHE ASSOCIATE AL TRAPIANTO D’ORGANO


Le complicanze neurologiche associate al trapianto d’organo sono dei quadri di recente insorgenza nella
letteratura medica, che variano dal 30% al 60% in relazione al tipo di trapianto e si correlano
significativamente con un incremento del rischio di mortalità, specie nel trapianto di fegato.

Inoltre, i candidati al trapianto sono spesso affetti da disturbi neurologici correlati alla insufficienza d’organo
terminale di cui sono portatori. Il neurologo riveste quindi un ruolo cruciale nella valutazione del paziente
inserito nel programma dei trapianti d’organo.

Le complicanze neurologiche post-trapianto sono quindi:


• Complicanze legate alla terapia immunosoppressiva;
• Interessamento del SNC (coma, emorragia intracranica, stroke ischemico, edema cerebrale,
encefalopatia, S.me di Korsakoff);
• Interessamento del SNP (polineuropatia immunomediata, polineuropatia del malato critico
associato a sepsi, polimiosite).

COMPLICANZE ORGANO-SPECIFICHE
Trapianto di fegato: Trapianto di rene:
• Encefalopatia da iperammonemia; • Neuropatia;
• Crisi comiziali; • Encefalopatia uremica;
• Stroke; • Stroke;
• Cefalea; • Linfoma.
• Tremore;
• PRES;
• Demielinizzazione osmotica;
• Mielopatia epatica.
Trapianto di polmone: Trapianto di cuore:
• Polineuropatia; • Stroke;
• Encefalopatia; • Toxoplasmosi con coinvolgimento del SNC.
• Miopatia;
• Infezione del SNC (legate a Rituximab).

COMPLICANZE LEGATE ALLA TERAPIA IMMUNOSOPPRESSIVA


Le principali complicanze sono legate all’utilizzo di farmaci immunosoppressivi, in particolar modo possono
insorgere:
• Leucoencefalopatie multifocali progressive (PML);
• Sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (PRES);
• Riattivazione delle infezioni;
• Neoplasie occulte e recidive.

Inoltre, nel 45% circa dei pazienti sottoposti a trapianto e a lunghi periodi di terapia immunosoppressiva è
stata rilevata all’autopsia la presenza di infezioni micotiche sistemiche. In un terzo di questi pazienti vi era
un coinvolgimento del SNC.
I microorganismi più comuni sono Criptococcus, Listeria, Aspergillus, Candida, Nocardia, Histoplasma,
Toxoplasma e Citomegalovirus.

240
Sbobine 2.0

LEUCOENCEFALOPATIA MULTIFOCALE PROGRESSIVA (PML)


La leucoencefalopatia multifocale progressiva (Progressive multifocal leukoencephalopathy) è una malattia
virale caratterizzata da un danno progressivo o da un processo di infiammazione della sostanza bianca
cerebrale. Insorge quasi esclusivamente nelle persone che soffrono di grave immunodeficienza.
A causare la PML è un particolare tipo di poliomavirus chiamato virus JC. Tale virus è presente nell'86% della
popolazione, sebbene rimanga latente nella maggior parte dei casi, e può dare origine alla malattia soltanto
nel momento in cui il sistema immunitario sia fortemente indebolito, come nel post-trapianto.
demielinizzazione—> danno assonale—> morte
PATOGENESI neuronale—> neurodegenerazione (RRMS->SPMS)

Una volta riattivato, il virus infetta l’oligodendroglia, determinandone la demielinizzazione. Questo pattern
patogenetico è molto interessante perché coincide, in pratica, con il 3° modello di demielinizzazione descritto
nella SM.
Si realizzano quindi focolai di demielinizzazione nella sostanza bianca sottocorticale del cervello e, in misura
minore, del cervelletto e del tronco. L’elemento
istologico più caratteristico è la presenza di
inclusioni nucleari basofile nelle cellule
dell’oligodendroglia, osservabili alla periferia delle
lesioni.
Gli assoni, anche se non primitivamente attaccati,
vanno rapidamente in necrosi, innescando una
reazione fagocitaria indistinguibile da quella che si
osserva negli infarti.

QUADRO CLINICO
L’esordio è subdolo, con astenia. La clinica comunque è aspecifica e si riesce ad attribuirla alla PML se
contestualizzata al quadro clinico del malato.
La progressione è rapida e devastante in pochi giorni o settimane e si arriva a deficit del visus, cambiamenti
comportamentali o di personalità, disturbi della memoria e dell’orientamento fino a quadri veri e propri di
confusione mentale, crisi epilettiche.

La diagnosi si effettua tramite esame del DNA del virus JC nel liquor e al momento non si hanno terapie
efficaci.

SINDROME DA ENCEFALOPATIA POSTERIORE REVERSEBILE o PRES


La PRES (Posterior Reversible Encephalopathy Syndrome) è una sindrome neurologica acuta caratterizzata
da edema diffuso della sostanza bianca cerebrale prevalente in sede occipitale. Si verifica dopo
somministrazione di ciclosporina e tacrolimus (inibitori della calcineurina) e altri immunosoppressori.

Il quadro RM è aspecifico, simile a quelli di pazienti affetti da encefalopatia ipertensiva. La clinica è


caratterizzata da:
• Ipertensione arteriosa;
• Confusione mentale;
• Deficit del visus;
• Stato epilettico.

La diagnosi si basa, oltre che sulla conoscenza del quadro complessivo del paziente (di per sé fortemente
suggestivo), sulla RM con e senza gadolinio. Una volta identificata, è fondamentale la sospensione del
farmaco fino alla risoluzione dei sintomi, che avviene piuttosto rapidamente.

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Sbobine 2.0

Contrasto RM Flair RM Diffusione RM

RIATTIVAZIONE DELLE INFEZIONI


La riattivazione delle infezioni è una complicanza molto comune in quanto la terapia immunosoppressiva
riduce notevolmente la risposta anticorpale. Può riguardare anche microrganismi molto banali.

COMPLICANZE DEL SNC


La complicanza più comune che riguarda il SNC è l’encefalopatia (con o senza crisi epilettiche). Essa è inserire
nel contesto della sindrome da insufficienza multiorgano (MODS) o di un’infezione intracranica.
Sulla base dell’encefalopatia possono quindi installarsi due quadri rari che richiedono una rapida diagnosi:
l’iperammoniemia idiopatica e la Sindrome di Wernike-Korsakoff (di più frequente riscontro nei trapianti
epatici e renali).

ENCEFALOPATIA DI WERNICKE-KORSAKOFF
L’encefalopatia di Wernicke-Korsakoff è una polioencefalite emorragica superiore, dovuta al deficit di
tiamina (vitamina B1). È caratterizzata da disturbo oculomotorio (nistagmo, paralisi dei nervi abducenti),
paralisi dei movimenti oculari coniugati, andatura atassica e stato confusionale. I sintomi hanno
generalmente esordio improvviso e possono verificarsi singolarmente o, più spesso, in associazioni e
combinazioni diverse.

Sono inoltre frequenti segni di alterazioni cardiovascolari, come


tachicardia, dispnea da sforzo e ipotensione ortostatica.
La psicosi di Korsakoff, invece, è l’espressione psichica della patologia ed è
caratterizzata da grave sindrome anamnestica associata a confabulazione.

L’elemento anatomo-patologico caratteristico sono emorragie


puntiformi, per lo più localizzate a livello della sostanza grigia (da cui la
definizione di polioencephalitis hemorrhagica superioris) che circonda il 3°
e 4° ventricolo e l’acquedotto di Silvio (si presentano come iperdensità
nell’immagine RM T2-pesata).

DISORDINE LINFOPROLIFERATIVO POST-TRAPIANTO (PTLD)


Il disordine linfoproliferativo post-trapianto (PTDL) descrive un gruppo eterogeneo di malattie
linfoproliferative che si manifestano nel corso della terapia immunosoppressiva successiva al trapianto, che
variano dalla proliferazione benigna policlonale dei linfociti B ai linfomi maligni. Nella maggior parte di casi
si tratta di linfomi CD20+ mentre il linfoma follicolare non è comune. Spesso hanno localizzazione cerebrale.

La prevalenza media nella popolazione generale è 1/3.800 mentre tra i pazienti trapiantati, la prevalenza
varia a seconda dell'organo trapiantato e dell'agente immunosoppressivo utilizzato.
La patogenesi spesso è strettamente correlata ad un’infezione del virus di Epstein Barr (EBV) e può essere
localizzata oppure generalizzata e può coinvolgere l'organo trapiantato.

242
Sbobine 2.0

Dal momento che i sintomi iniziali come la febbre, il malessere e la perdita di peso sono aspecifici, la PTLD
dovrebbe essere presa in considerazione in tutti i pazienti che ricevono un trapianto.

Negli ultimi anni è stato osservato un aumento della sopravvivenza attraverso le misure di profilassi
(prevenzione dell'infezione da virus di Epstein Barr nei pazienti sieronegativi) e di terapia (gestione
dell'immunosoppressione).

I pazienti EBV- sottoposti a trapianto d’organo da un donatore EBV+, presentano il maggior rischio di
sviluppare disordini linfoproliferativi post-trapianto.

MIELINOLISI PONTINA CENTRALE


La Mielinolisi Pontina Centrale (CPM) è una malattia neurologica
causata da un grave danno a carico della guaina di mielina delle
cellule nervose nel tronco encefalico, più precisamente nel
ponte. Può verificarsi anche in altre zone cerebrali esterne al
ponte, per questo alcuni autori ritengono più corretto il termine
sindrome da demielinizzazione osmotica.
La causa della malattia è prevalentemente iatrogena. Si
caratterizza per l'insorgenza di paralisi acuta, disfagia (difficoltà
a deglutire), disartria (difficoltà a parlare), e altri sintomi
neurologici.

Si presenta più comunemente come complicanza del trattamento dei soggetti affetti da grave iponatriemia,
spesso a seguito di concentrazioni di sodiemia che mettono a rischio la vita del paziente. La sindrome si
verifica come conseguenza di un rapido aumento della tonicità sierica dopo trattamento di individui con
iponatremia grave e cronica, che presentano adattamenti intracellulari allo stato di ipotonia persistente in
cui versano. Al fine di prevenire la mielinolisi pontina centrale, l'iponatriemia deve essere corretta ad una
velocità non superiore a 12-20 mmol/L di sodio al giorno.

Anche se è meno comune, la sindrome può anche presentarsi in soggetti con una storia di alcolismo cronico
o di altre condizioni legate ad una ridotta funzionalità epatica. In questi casi, la condizione è spesso correlata
alla correzione delle concentrazioni di sodio o dello squilibrio elettrolitico.

PATOLOGIE CEREBROVASCOLARI
Le patologie cerebrovascolari sono strettamente correlate all’invecchiamento delle arterie. Si configurano
come conseguenze di ipertensione e dislipidemia, che possono essere ricondotte agli effetti avversi di alcuni
farmaci immunosoppressori. Si possono quindi avere:
• IMA;
• Ictus ischemico;
• Ictus emorragico.

COMA
Il coma viene definito come un profondo stato di incoscienza che può essere provocato da intossicazioni
(stupefacenti, alcool, tossine), alterazioni del metabolismo (ipoglicemia, iperglicemia, chetoacidosi; cause
più comuni) o danni e malattie del sistema nervoso centrale (ictus, traumi cranici, ipossia).

La gravità e la profondità dello stato di coma si misura in termini di Glasgow Coma Scale (scala GCS) che, in
base alle risposte a vari stimoli, va da 3 (coma profondo) a 15 (paziente sveglio e cosciente). Esistono degli
stati intermedi di innocoscienza in cui si ha un minimo controllo della coscienza (dal 5% al 75-80%).

243
Sbobine 2.0

Il coma è diverso dallo stato vegetativo che a volte può susseguire ad esso: un paziente in stato vegetativo
ha perso le funzioni neurologiche cognitive e la consapevolezza dell'ambiente intorno a sé, ma mantiene
quelle non-cognitive e il ciclo sonno/veglia; può avere movimenti spontanei e apre gli occhi se stimolato, ma
non parla e non obbedisce ai comandi.

Il coma metabolico è una condizione particolare che insorge in seguito a:


• Ipossia;
• Ischemia, con diminuzione del flusso cerebrale;
• Ipoglicemia;
• Insufficienza epatica;
• Insufficienza renale;
• Disturbi dell’equilibrio acido-base.

ENCEFALOPATIA DOPO TRAPIANTO RENALE


L’encefalopatia dopo trapianto renale è caratterizzata dalla progressiva insorgenza di manifestazioni
neuropsichiche, come delirio e convulsioni. È spesso secondaria a lesioni occupanti spazio o infezioni da
immunosoppressione, come meningoencefaliti batteriche o virali, micosi, linfomi, emorragie o crisi
ipotensive. Si effettua una terapia causale quando possibile.

COMPLICANZE DEL SNP


Le principali complicanze del SNP che insorgono a seguito del trapianto sono:
• Polineuropatia immunomediata;
• Polineuropatia del malato critico associato a sepsi;
• Polimiosite.

POLINEUROPATIA IMMUNOMEDIATA
La polineuropatia immunomediata è caratterizzata dalla distruzione dei nervi periferici. Sono rappresentate
da:
• Sindrome di Guillain-Barrè (GBS);
• Poliradicolonevrite infiammatoria demielinizzante cronica (CIDP);
• Neuropatie croniche con auto-Ab verso i nervi periferici.

SINDROME DI GUILLAIN-BARRÈ
La sindrome di Guillain-Barrè è una poliradicolonevrite acuta, ad esordio rapido, che può evolvere in paralisi
totale e insufficienza respiratoria nell'arco di giorni dall'esordio. È spesso preceduta da infezioni o
vaccinazioni che sono considerati fattori "scatenanti". La malattia è autolimitante, con recupero spontaneo
nell'arco di 6- 8 settimane, ma talora permangono degli esiti.

È cruciale la precocità dell'intervento terapeutico, che si avvale di


immunoglobuline endovena o plasmaferesi. Non bisogna somministrare
cortisone, in quanto ne determina la cronicizzazione.

Una variante della Guillain-Barrè è la sindrome di Miller-Fisher. È una


poliradicolo nevrite alta che interessa i nervi cranici, per cui si manifesta con
una triade clinica rappresentata da atassia durante la deambulazione,
areflessia e oftalmoplegia (ptosi palpebrale).

La diagnosi è banale ed è effettuata tramite il riscontro di blocchi di conduzione


con differenze nell’ampiezza del CMAP da stimolazione ditale (maggiore) a
quella prossimale, onde F abnormi e denervazione del muscolo con
fibrillazione.

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Sbobine 2.0

POLIRADICOLONEVRITE INFIAMMATORIA DEMIELINIZZANTE CRONICA


La poliradicolonevrite infiammatoria demielinizzante cronica (CIDP) è considerata la variante cronica della
Guillain-Barrè, e può presentarsi con attacchi ripetuti o con andamento lentamente progressivo.

NEUROPATIE CRONICHE CON AUTO-AB VERSO I NERVI PERIFERICI


In alcune neuropatie, si sono identificati anticorpi diretti contro specifici componenti del nervo periferico, tra
cui la Glicoproteina Associata alla Mielina (MAG), i gangliosidi (GM1, GD1a, GD1b), i sulfatidi.

POLINEUROPATIA DEL MALATO CRITICO (CRITICAL ILLNESS NEUROPATHY)


La polineuropatia del malato critico è una polineuropatia acuta assonale sensitivo-motoria che complica il
decorso di pazienti in condizioni critiche. È importante sottolineare che circa il 50% dei pazienti ricoverati in
terapia intensiva sviluppa effetti avversi sul SNC, il più precoce dei quali è l’encefalopatia settica, che si
manifesta nel 70% dei pazienti con SIRS1.

I principali fattori di rischio sono sepsi, insufficienza multiorgano, sesso femminile, uso di corticosteroidi,
iperglicemia, alterazioni idroelettrolitiche, malnutrizione e immobilizzazione.

Le caratteristiche morfologiche della CIP comprendono la degenerazione assonale primitiva delle fibre
sensitive e motorie periferiche senza evidenza di infiammazione.
• Il tessuto muscolare mostra isolate fibre atrofiche nella denervazione acuta e gruppi di fibre
atrofiche nella denervazione cronica;
• Nel SNC si osserva cromatolisi centrale delle cellule delle corna anteriori e la perdita di cellule dei
gangli dorsali a causa del danno assonale nei nervi periferici.

I criteri per la diagnosi di CIP sono quindi:


• Presenza di SIRS;
• Difficoltà di svezzamento dalla ventilazione meccanica, per coinvolgimento del nervo frenico;
• Debolezza degli arti;
• Segni elettrofisiologici di degenerazione assonale:
o Riduzione di ampiezza dei potenziali d’azione dei nervi periferici, con latenza di risposta
normale;
o Potenziali di denervazione EMG (fibrillazione, fascicolazioni);
• Livelli di CPK normali.

Il trattamento comprende terapia della sepsi e della MOF (focolaio infettivo, volumi, aritmie, coagulazione),
terapia della insufficienza respiratoria, fisioterapia e terapie riabilitative (almeno 4 mesi).

MIOPATIE
Patologie come la miopatia acuta quadriplegica, la miopatia acuta da unità Intensiva, la miopatia acuta con
lisi selettiva dei filamenti di miosina e la miopatia acuta necrotizzante da unità Intensiva si sviluppano
secondariamente ad un ricovero quando si utilizzano elevate dosi di corticosteroidi (>1 gr/die).

Si hanno solo segni motori, con riflessi tendinei profondi ridotti o assenti e i livelli di CPK possono essere
moderatamente aumentati, tranne che nel corso di miopatia acuta necrotizzante. La biopsia muscolare
mostra una perdita distinta di filamenti di miosina e livelli variabili di atrofia e necrosi delle fibre muscolari.

1
La SIRS (sindrome da risposta infiammatoria sistemica) è caratterizzata da:
• Tc < 36° o > 38°C;
• Fc > 90 bpm;
• Fr > 20 atti/min;
• pCO2 < 32 mmHg;
• Conta leucocitaria < 4.000 o > 12.000.

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