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CAPITOLO 2

LA LINGUA NEL CERVELLO

La sintassi delle lingue umane si basa sull’organizzazione gerarchica delle parole malgrado esse si
dispongano secondo un ordine sequenziale.
Si ipotizza che i limiti della sintassi delle lingue umane sono dovuti a una matrice di stampo
biologico;
questa conclusione si basa:
- su dati di tipo comparativo, che trovano identità di struttura in lingue molto distanti tra loro
- sull’osservazione dell’apprendimento della lingua madre dei bambini, che seppur esposti a dati
frammentati, mostrano di convergere verso la sintassi senza passare attraverso un percorso di errori
casuali > nessun bambino inverte l’ordine dello specificatore e del complemento, nei sintagmi;
compiono invece errori morfologici

Con l’aggettivo “biologico” si passa su un piano di lavoro diverso: si passa dalla riflessione sulla
sintassi alla riflessione sul cervello.
Attraverso nuove tecniche si cercherà di illustrare come esse corroborino in modo nuovo l’ipotesi di
una guida biologicamente determinata per la sintassi.
In particolare, si dimostrerà come la struttura neuro-funzionale del cervello, di un essere umano
adulto, sia sensibile alla differenza tra:
- regole che seguono i principi universali della sintassi
- regole che violano i principi universali della sintassi
fornendo dati a favore dell’ipotesi che il linguaggio umano sia limitato dall’architettura funzionale
del cervello.

Del cervello si sa molto in termini neuroanatomici e cito-architettonici, ma si sa poco sulla sua


fisiologia e sul suo funzionamento, e sulle facoltà cognitive, soprattutto sul linguaggio.

L’indagine sul cervello in vivo si è avvalsa della combinazione della neuroradiologia e


dell’informatica generando tecniche di indagine come:
- la fMRI > risonanza magnetica funzionale
- la PET > tomografia a emissione di positroni

Sulla correlazione tra neuroscienze cogniti e linguistica teorica:


nel XIX secolo, il neurologo e antropologo francese Pierre-Paul Broca, descrisse un paziente con
gravi disturbi linguistici, chiamati “afemia”.
Il paziente aveva sempre risposto a qualsiasi domanda con una sola sillaba “tan”, ripetuta due volte
> da qui il soprannome affibbiatogli “il signore Tantan”.
Broca si accorse che il paziente non presentava disturbi di controllo muscolare della lingua e dei
muscoli facciali: egli era discretamente intelligente ed era capace di svolgere normali compiti di
tipo cognitivo.
Dopo la morte del paziente, Broca lo esaminò: l’autopsia rivelò un danno sulla terza
circonvoluzione della corteccia cerebrale del giro frontale inferiore dell’emisfero sinistro del
cervello > questa zona da allora fu chiamata “area di Broca”.
In questo modo Broca:
- scoprì l’asimmetria funzionale e morfologica dei due emisferi cerebrali
- verificò l’ipotesi che una porzione specifica della corteccia cerebrale, ovvero il giro inferiore
frontale dell’emisfero sinistro, fosse la sede del linguaggio.

*Il termine “afasia di Broca” indica oggi la perdita della capacità di produrre un eloquio fluente e la
concomitante omissione di morfemi grammaticali liberi o legati.

Oggigiorno, però, si ritiene che non vi esista una singola “area del linguaggio”, così come non esista
nessuna singola area dedicata a nient’altro: le aree sono zone di coinvolgimento preferenziale.

I lavori del neurologo Carl Wernicke, circa vent’anni più recenti di quelli di Broca, mostrano che
altre aree corticali sono coinvolte nelle patologie del linguaggio, come la metà posteriore del giro
superiore temporale dell’emisfero sinistro.

Le basi empiriche che hanno portato alla costruzione della linguistica e della neurobiologia del
linguaggio sono incommensurabili o possono essere raffrontate?
Nessuno ad oggi sa come si passi dalle regole utilizzate per comporre una frase ai neuroni o alle
aree corticali che sottendono a questo compito.

Dall’inizio degli anni 80, è iniziata l’esplorazione del cervello in vivo: non è stato più necessario
aspettare un guasto o ricorrere all’autopsia per avere dati sul suo funzionamento.

Il cervello è diviso in due emisferi simmetrici, collegati tra loro da una lamina orizzontale di
sostanza bianca, detta corpo calloso, costituita da un insieme di fibre nervose che, partendo dai
neuroni presenti sulla corteccia, mettono in contatto tra loro altre parti della corteccia, dello stesso e
dell’altro emisfero;
inoltre, ricevono e trasmettono al midollo spinale impulsi nervosi.
La superficie è ricoperta da una sostanza grigia, detta corteccia cerebrale, costituita da strati
variabili di neuroni e da numerose pliche, che dividono gli emisferi in lobi;
a loro volta, i lobi sono divisi in circonvoluzioni da altre pliche meno profonde.
La corteccia cerebrale svolge un ruolo fondamentale: tutte le attività cognitive dipendono
dall’attività elettrica dei neuroni.
Nel IV secolo a.C., Aristotele riteneva che la funzione del cervello fosse quella di raffreddare il
sangue, mentre le funzioni psicologiche erano attribuite ad altri organi
ES: il termine usate per definire la depressione era “melanconia”, ovvero bile nera

Per tutto il Medioevo, invece, si riteneva che le facoltà cognitive, sensoriali e motorie venissero
regolate dal liquido cefalorachidiano, che scorre nelle meningi e nei ventricoli cerebrali.
I ventricoli erano tre e ad ognuno di essi apparteneva una distinta attività cognitiva:
- la phantasia
- la ratio
- la memoria

Ad oggi si sa che i ventricoli sono quattro cavità situate all’interno della massa encefalica, aventi la
funzione di tenere il cervello a riparo da scossoni troppo bruschi.

Nel XVI secolo ebbe inizio la transizione dalla “teoria dei ventricoli” alla “teoria della corteccia”:
dal momento che anche gli animali possedevano un sistema ventricolare sofisticato, non poteva
essere ciò il responsabile delle differenze intellettive superiori dell’essere umano.

Solo con il lavoro di Thomas Willis, nel XVII secolo, si arrivò all’ammissione del ruolo centrale
della corteccia nelle attività intellettive: Willis comparò le circonvoluzione dell’essere umano con
quelle delle altre specie animali.

Ma soltanto con Broca si arriverà ad una teoria definitiva sulla corteccia.

Nel cervello di un individuo vi sono circa 20 miliardi di neuroni, e se si contano i contatti che i
neuroni stabiliscono tra loro mediante ramificazioni chiamate “sinapsi”, il numero cresce
esponenzialmente.
Non si sa come si formino i contatti sinaptici, ma si sa che sono guidati da fattori di crescita e che
l’esperienza individuale è capace di incidere sulla plasticità della rete in modo significativo.

Quanto tra due neuroni si trasmette un impulso elettrico, si utilizza energia fornita dal metabolismo
cellulare, che dipende strettamente dall’apporto di ossigeno proveniente dal sangue.
Sia la PET che la fMRI sono strumenti che possono misurare l’afflusso di sangue nelle varie regioni
della corteccia cerebrale.

PET: In altre parole: le molecole d’acqua contenenti


al soggetto viene iniettata una variante radioattiva di un l’isotopo dell’ossigeno servono da traccianti
atomo biologicamente compatibile tramite molecole all’afflusso sanguigno, che è proporzionale all’attività
d’acqua; metabolica dei neuroni.
la sostanza radioattiva entra in circolo e raggiunge il
cervello, producendo così positroni, particelle positive Queste rivelazioni sono poi proiettate su mappe
che annichilendosi con gli elettroni delle molecole anatomiche del cervello.
vicine si manifestano emettendo in direzione opposta a
180 gradi due fotoni gamma.
I fotoni sono, dunque, rilevati da un “anello” di sensori
posto intorno alla testa del soggetto che è in grado di
ricostruire il punto di provenienza delle particelle
emerse.
ricostruisce l’immagine sulla base della quantità e la
provenienze dell’energia.
A differenza della PET, che utilizza radiazioni
ionizzanti, la fMRI è considerata una tecnica non Il soggetto viene posto entro un forte campo magnetico
invasiva, in quanto non espone a radiazioni ionizzanti. e gli vengono emessi fasci di luce pulsanti, di breve
durata, di radioonde che danno indicazioni sui vari
fMRI: parametri della fisiologia e dell’anatomia dei tessuti.
ammassi di atomi posti in un forte campo magnetico
A seconda dell’ambiente molecolare in cui si trovano
modificano il loro orientamento > vengono disposti in
gli atomi di idrogeno è possibile
modo ordinato.
Se a questi atomi viene somministrata energia
Durante questo processo, è possibile misurare, inoltre,
sottoforma di radioonde di una determinata frequenza,
le diverse concentrazioni di ossiemoglobina e
il loro movimento di rotazione acquista energia e varia
deossiemoglobina: la loro diversa misurazione in una
direzione entrando in risonanza con l’energia delle
certa area dà il risultato dell’emodinamica di quella
radioonde.
porzione di corteccia.
Quando l’energia cessa, gli atomi restituiscono parte
dell’energia acquisita sottoforma di segnale radio, I risultati sono poi proiettati su mappe anatomiche del
ritornando in uno stato di equilibrio. cervello
Dunque, un sistema di antenne predisposto alla
captazione dell’energie riemessa dagli atomi,

Immaginando, però, di utilizzare su un soggetto entrambi gli strumenti PET e fMRI (entrambi
possiedono una struttura ad anello all’interno della quale si posiziona la parte del corpo che si vuole
prendere in esame) per individuare l’attività encefalica dedicata, ad esempio, al compito della
lettura di un testo scritto nella lingua madre del soggetto, è possibile notare che tutta la corteccia è
impegnata nello svolgimento di funzioni cognitive e non > egli infatti può:
- muovere gli occhi per leggere
- sentire caldo o freddo
- provare emozioni
- notare particolari non rilevanti per l’esperimento
In tutto ciò non si potrebbe riconoscere l’attività legata alla sola lettura, perché il cervello è
impegnato anche in altre attività.

Un metodo per mettere in risalto una certa attività che interessa studiare rispetto a tutte le altre, è il
metodo sottrattivo: si basa sull’ipotesi che se si sottraggono valori emodinamici della corteccia nelle
rilevazioni ottenute, dove sulla corteccia venivano attivati valori uguali, i valori si annullano tra
loro, lasciando in evidenza soltanto la parte in cui i valori sono diversi.

Con il metodo sottrattivo l’idea è di “mascherare” le attivazioni non rilevanti rispetto a ciò che si sta
indagando, sottraendo le attività di due compiti diversi.
Primo esperimento > in PET
si è escogitato un modo per verificare almeno una delle proprietà fondamentali della sintassi: la sua
autonomia dagli altri componenti della grammatica.

*per autonomia della sintassi non si intende che la sintassi sia indipendente dal resto della
grammatica, ma si intende rimarcare il fatto che le regole di combinazione delle parole non sono
totalmente riducibili ad altri componenti grammaticali: i principi che regolano la sintassi hanno
leggi proprie.

Dunque, come si verifica se la sintassi è autonoma, se i processi cui sovrintende avvengono


simultaneamente ad altri processi?
Occorre trovare un modo per confrontare due compiti, con il risultato di isolare il componente
sintattico dagli altri aspetti del linguaggio, ciò però non è possibile perché ogni compito linguistico
coinvolge la sintassi
ES: se un soggetto legge o ascolta una frase > compito che coinvolge la sintassi, automaticamente
coinvolgerà anche la componente semantica, fonologica e morfologica.
Usare un’indagine basata sul metodo della sottrazione non è, perciò, possibile.

Una possibilità è quella di sfruttare la nozione di “errore” utilizzandola in modo euristico: si


possono produrre degli errori selettivi in tutti i componenti e verificare se la reazione corticale al
riconoscimento di errore sintattico è diversa o meno da quella di altri tipo di errori.

1) per evitare che l’errore sintattico si ripercuota sulla semantica, bisognerà utilizzare parole o frasi
non dotate di alcun significato, chiamate pseudo-parole e pseudo-frasi: si inventano solo le radici
lessicali delle parole delle classi aperte.

- classi aperte: insieme di parole che possono sempre essere aumentate di numero, come verbi,
aggettivi, nomi e alcuni avverbi
- classi chiuse: insieme di parole che non aumentano mai di numero, come articoli e preposizioni, e
non si riferiscono a oggetti, proprietà o concetti del mondo, ma collegano tra loro le parole delle
classi aperte
Nessuna delle frasi elencate si può dire se sia vera o falsa, perché nessuna delle parole delle classi
aperte si riferisce a concetti o insieme del mondo;
inoltre, manca del tutto la punteggiatura, per evitare di dare informazioni di tipo intonativo.

L’aspettativa era:
- nel produrre errori di tipo sintattico si evitava di avere effetti sul piano semantico > la semantica
stessa era evitata
- si sa per certo che l’elaborazione di strutture contenenti parole dotate di significato attiva zone
corticali delle regioni temporali, ci si aspettava di non avere attivazioni in quelle regioni
Una volta eliminata la semantica, occorre costruire errori selettivi a livello fonologico,
morfosintattico e sintattico

*la morfosintassi è l’effetto morfologico legato alla struttura sintattica;


si parla di errore morfosintattico quando è sbagliata la desinenza morfologica del verbo rispetto al
soggetto
2) pseudo-frasi con errori a livello fonologico > le frasi utilizzate presentano una parola che
potrebbe essere potenzialmente pronunciabile, ma che nella lingua italiana non è considerata
naturale

3) pseudo-frasi con errori a livello morfosintattico > le frasi utilizzate presentano “accordi” scorretti
di genere e numero tra nomi, verbi, aggettivi e articoli

4) pseudo-frasi con errori a livello sintattico > le frasi utilizzate non presentano un ordine tra le
parole

Dunque, per isolare il componente sintattico, visto che la sintassi non può essere separata in nessun
enunciato dagli altri componenti grammaticali, occorre passare attraverso compiti di riconoscimento
di errore ai diversi livelli grammaticali.
Se al riconoscimento di questi errori fossero corrisposte attivazioni corticali diverse, si avrebbero
avuto i dati che la sintassi attivi circuiti neuronali autonomi.

I soggetti dell’esperimento, 11 maschi italiani, italofoni, destrimani, entravano nella macchina e


veniva iniettata loro una soluzione di molecole d’acqua con isotopo radioattivo dell’ossigeno come
tracciante.
Il loro compito consisteva nel leggere le pseudo-frasi e poi premere un pulsante se ritenevano
corretta o se identificavano errori nella frase.

Il primo risultato mostra, in un immagine tridimensionale dell’encefalo, le aree corrispondenti alla


sottrazione della lettura di pseudo-frasi corrette dalla lettura di frasi contenenti errori di tutti e tre i
domini grammaticali.
Ciò afferma che il riconoscimento degli errori è visibile a livello corticale come fatto isolato;
inoltre, l’assenza dell’attivazione di aree temporali mostra come la scelta di eliminare la semantica,
tramite l’invenzione di parole prive di significato, sia stata efficace

I risultati dell’errore morfosintattico mostrano che la porzione di corteccia attivata in è ridotta


rispetto al precedente risultato > si attiva una componente profonda dell’area di Broca

I risultati dell’errore sintattico mostrano la somiglianza con l’attivazione delle aree corticali relativa
all’errore morfosintattico.
La conclusione è, dunque, che non ci siano differenze tra il riconoscimento di un errore sintattico e
morfosintattico?
In realtà, soltanto nell’errore si attivano zone che comprendono:
- la componente profonda dell’area di Broca e il suo omologo nell’emisfero destro
- il nucleo caudato di sinistra
- il lobo dell’insula

Se questi esperimenti verranno confermati, si potrà concludere che la sintassi è isolabile, non
soltanto in termini di regole linguistiche, ma anche in termini di flusso ematico sulla corteccia
cerebrale e in componenti subcorticali.

Secondo esperimento > in fMRI


si trattava si elaborare delle regole grammaticali che violassero il principio di dipendenza dalla
struttura e nasconderle ai soggetti tra le regole naturali, per verificare il loro comportamento
nell’apprenderle e misurare le attivazioni corticali relative ai diversi compiti.

* il principio dalla dipendenza della struttura stabilisce che le regole sintattiche delle lingue naturali
non possono basarsi sul conto di una certa posizione in una sequenza.

L’esperimento prevedeva che 8 soggetti, 4 uomini e 4 donne, destrimani, mai esposti ad altra lingua
se non il tedesco, venissero esposti a brevi lezioni grammaticali di una lingua straniera > l’italiano

Le regole grammaticali da apprendere erano:


- 3, che seguivano l’effettiva grammatica italiana > regole possibili
- 3, che violavano il principio di dipendenza dalla struttura > regole impossibili

Regole possibili:
- il soggetto può essere omesso
- nelle frasi passive si ha una trasformazione delle frasi attive, con verbo transitivo, in cui l’oggetto
o la persona che subiscono l’azione diventano dei soggetti, mentre colui che compie l’azione (il
soggetto) diventa opzionale
- l’ordine di una frase dipendente coincide con l’ordine della frase principale

Regole impossibili:
- la negazione si forma col “no” posto sempre al quarto posto di una frase affermativa
- una frase interrogativa si forma invertendo l’ordine delle parole di una frase affermativa
- il primo articolo indeterminativo di una frase si accorda sempre con l’ultimo nome della stessa
frase

Però, a causa della relazione tra la lingua italiana e la lingua tedesca > appartengono a lingue della
famiglia indoeuropea, si è deciso di esporre i soggetti ad una lingua “lontana”, come il giapponese.

Anche con la lingua giapponese si utilizzarono tre regole grammaticali possibili e tre regole
grammaticali impossibili.

Regole possibili:
- l’ordine degli elementi, testa e complemento, nella frase principale è invertito
- l’ordine degli elementi nella frase passiva
- l’ordine delle frasi subordinate, ovvero il parametro testa-complemento è capovolto

Regole impossibili:
- nella frase negativa la parola “nai” occupa sempre il quarto posto delle frasi affermative
- nella frase interrogativa si inverte l’ordine di parole delle frasi affermative
- nella frase al passato si aggiunge il suffisso -ta sempre nella quarta posizione di una frase
Una volta apprese queste regole, i soggetti decidevano se la frase letta seguisse o meno le regole e,
dunque, schiacciare un bottone con un dito della mano sinistra.

Se le seguenti ipotesi fossero vere


- la dipendenza della struttura è biologicamente determinata
- l’area di Broca è coinvolta in modo selettivo nell’elaborazione di tipo sintattico
- il cervello utilizza le reti neuronali, dedicate al linguaggio, per elaborare dati di tipo sintattico
ci si aspetterebbe di vedere che l’area di Broca si attiva per le regole possibili, ma non per quelle
impossibili, o per lo meno si comporta in modo diverso.

I dati ottenuti, inerenti agli esperimenti in entrambe le lingue, sono:


- nell’apprendimento di una lingua straniera si attiva l’area di Broca > ciò significa che anche non
una lingua non conosciuta, l’attività corticale significativa coincide con l’attività riservata ai
compiti di tipo sintattico
- al crescere dell’accuratezza delle risposte sui giudizi di grammaticalità, l’attività dell’area di Broca
aumenta per le regole possibili, mentre diminuisce per quelle impossibili > non si sa quale sia l’area
deputata a trattare le regole impossibili

Dunque, il cervello smista i dati sintattici, senza che i soggetti ne abbiano conoscenza, e elabora
solo le frasi che preservano la dipendenza dalla struttura, dall’area predisposta per i compiti
sintattici > area di Broca;
mentre nell’elaborazione delle frasi che non rispettano la dipendenza dalla struttura, l’attività nella
stessa area diminuisce progressivamente.

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