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FONDAMENTI ANATOMO-FISIOLOGICI
I fondamenti anatomofisiologici sono le conoscenze base della biologia del comportamento, ovvero le
decisioni che prendiamo, l’immagine che abbiamo del mondo, il comportamento osservabile. Lega
l'osservazione del comportamento a misure dell'attività cerebrale e delle cellule nervose.
Circuiti nervosi
Grazie alle scoperte degli ultimi 20 anni siamo in grado di visualizzare l'attività celebrale, misurandone
indirettamente l'attività, e si è potuto scoprire che le area celebrali si attivano perché si attivano le relative
cellule nervose (che sono diverse e specializzate per determinati compiti) che, nonostante non siano le
uniche cellule del sistema nervoso, esse sono le uniche che hanno il compito di ricevere, elaborare e
trasmettere le informazioni.
Le cellule nervose agiscono perché comunicano tra loro tramite siti specializzati, ovvero le sinapsi,
formando così un circuito nervoso, ovvero un insieme di cellule nervose connesse tramite sinapsi. Ogni
circuito nervoso deve provvedere ad un determinato comportamento: esso può essere semplice, ovvero
formato da due sole cellule, quella che riceve e quella che trasmette le informazioni, e serve per esercitare
azioni automatiche ed immediate come i riflessi, oppure puo essere più complicato, quindi con più cellule
connesse, ad esempio i circuiti addetti alla lettura, le cui cellule devono essere in grado di trasmettere
l'impulso luminoso, leggere le lettere e darci un significato.
Attraverso l'apprendimento si possono creare nuovi circuiti nervosi, ma non tutti hanno bisogno di
apprendimento: alcuni circuiti nervosi sono in nostro possesso fin dalla nascita e sono uguali per tutti, altri
invece ce li abbiamo tutti ma sono diversi a seconda delle diverse esperienze, altri ancora sono unici,
formati dalle esperienze personali.
Diverse attività attivano diverse aree del cervello, quindi queste attività posso essere messe in atto solo se
si possiedono i circuiti adatti. Stessa cosa vale per la nostra visione del mondo: noi vediamo la realtà
solamente in base ai circuiti che abbiamo per vederla, in pratica è una visione altamente soggettiva. La
realtà è una costruzione del nostro cervello e dipende quindi dalla formazione dei diversi circuiti nervosi
durante lo sviluppo e da come si modificano tramite l'esperienza.
La comunicazione delle cellule nervose tramite sinapsi è l'elemento fondamentale dei circuiti nervosi.
Il potenziale di membrana
Le cellule nervose ricevono, elaborano e trasmettono segnali, ed essi sono di tipo elettrici e chimici. Per
poterli misurare bisogna registrarli esattamente come si registra un qualsiasi segnale elettrico, con l'unica
differenza che lo strumento deve essere un micro elettrodo, ovvero molto più piccolo. Per farlo si misura la
differenza di potenziale elettrico tra l'interno e l'esterno di una cellula, quindi servono due elettrodi, uno
interno negativo e l’altro esterno positivo.
Se essi vengono tenuti entrambi fuori dalla cellula, ovvero nel compartimento extracellulare, si misura una
differenza di potenziale elettrica pari a zero (tessuti isoelettrici).
Se invece con l'elettrodo più sottile entro dentro la cellula vedo che c'è una differenza di potenziale con
l'interno negativo (considero l’esterno pari a zero) e questa differenza di potenziale si chiama potenziale di
membrana (chiamato Vm) e il suo valore cambia tra cellula e cellula (Vm=V interno – V esterno, con V
esterno pari a zero). I neuroni hanno tra i -60 e i -65 mV e tutte le cellule viventi hanno questa differenza di
potenziale con l'interno negativo. Questa differenza è come una pila, la cellula accumula la differenza di
cariche ai capi della membrana (all’interno ci sono cariche negative e all’esterno positive) che userà per
generare segnali nervosi. Il potenziale di membrana a riposo quindi ha queste proprietà:
• nelle cellule animali è negativo e varia tra –40 e –100 mV
• non varia se la pipetta del microelettrodo penetra più profondamente nell’interno della cellula
(potenziale uniforme)
• la differenza di potenziale costituisce una sorgente energetica
ll potenziale di Nernst
La concentrazione intracellulare del potassio (K+) è di 145 mM, mentre la concentrazione extracellulare è
2,5 mM. La membrana in condizioni di riposo ha canali passivi che consentono il passaggio di K+, che quindi
passa dall'interno all'esterno della cellula attraverso questi canali seguendo il gradiente di concentrazione.
All'interno della cellula ci sono grossi anioni proteici (A-) che per la loro mole non passano attraverso i
canali. Quindi ogni K+ che esce dalla cellula rimane confinato nelle immediate vicinanze della cellula attirato
da A-. La fuoriuscita di K+ crea un gradiente elettrico dovuto allo spostamento di carica. Man mano che K+
esce si crea e aumenta un potenziale elettrico che ostacola sempre più la fuoriuscita di K+. Si raggiunge un
equilibrio dinamico fra il K+ che esce a causa del gradiente di concentrazione e il K+ che entra a causa del
potenziale elettrico causato dalla stessa fuoriuscita. In questo equilibrio elettrochimico, la forza chimica è
uguale e contraria a quella elettrostatica e il flusso complessivo di K+ che attraversa la membrana è pari a
zero. La spinta lungo il gradiente di concentrazione e quella lungo il gradiente elettrico si equilibreranno a
un livello intermedio, con gli anioni intracellulari parzialmente compensati. Si avrà quindi una situazione di
equilibrio in cui il potassio tenderà ad entrare per gradiente elettrico e ad uscire per gradiente di
concentrazione. All’equilibrio il flusso netto di potassio attraverso la membrana = 0.
Per ogni ione è possibile misurare il valore di potenziale, chiamato potenziale di equilibrio, al quale lo ione si
troverà in equilibrio tra il gradiente elettrico e gradiente di concentrazione, utilizzando l’equazione di
Nernst: Vext-Vint = -RT/zF ln [C]ext/[C]int
Se la membrana di una cellula è permeabile ad un singolo ione, l’equazione di Nernst ci dice il potenziale di
riposo della cellula, come succede per le cellule gliali: il potassio è l'unico ione permeabili e quindi il suo
potenziale di Nernst è uguale al potenziale di riposo. Il potenziale di riposo è infatti quel potenziale a cui il
flusso netto è 0 e se un solo ione è coinvolto, coincide con il potenziale di Nernst, ovvero con il potenziale di
equilibrio per quello ione.
I segnali nervosi
Essi sono variazioni del potenziale di membrana rispetto al potenziale di riposo, quindi se i valori del
potenziale di membrana e del potenziale di riposo sono diversi vuol dire che la cellula sta segnalando.
Alla base del ciclo del potenziale di azione sta il ciclo autorigenerativo della corrente sodio, anche noto
come a feedback positivo: aumentando la permeabilità al sodio sposta Vm verso ENa e cioè a potenziali
positivi depolarizzati. La depolarizzazione a sua volta aumenta la conduttanza per il sodio e quindi la
corrente. In pratica un feedback positivo fa in modo che la risposta del sistema sia positiva, quindi è come
una specie di ciclo che si autoalimenta e si ferma solo quando il potenziale di membrana raggiunge il
potenziale di equilibrio del sodio. Mentre per il ciclo di feedback negativo la risposta del sistema, al
contrario di quella del feedback positivo, spegne la perturbazione, facendo partire il ciclo del potassio.
Ci sono due tipi di segnali:
1. Analogici, che presentano ampiezza e duratura variabili e dipendenti dall'intensità dello stimolo.
Possono essere:
• iperpolarizzanti, dovuti all’uscita del potassio, quindi alla rimozione delle cariche positive dal
citoplasma (risposta passiva). Esso ha una corrente positiva e dipende o da uno ione positivo
che esce o da uno ione negativo che entra.
• depolarizzanti, dovuti all’entrata del sodio, quindi al rifornimento delle cariche positive nel
citoplasma (risposta passiva). Esso ha una corrente negativa e dipende o da uno ione positivo
che entra o da uno ione negativo che esce.
2. Digitali, ovvero quando lo stimolo è sufficiente ad innescare una risposta attiva, come per il
potenziale d’azione. L'ipotesi di Hodgkin e Huxley è basata sulla forma, si innesca con un segnale
depolarizzante che deve avere l'ampiezza maggiore della soglia, in seguito si depolarizza
velocemente per poi iperpolarizzarsi fino ad arrivare al di sotto dell’equilibrio per poi riequilibrarsi.
L’ascendenza è dovuta all'ingresso del sodio che entra, mentre la discendenza per l'aumento del
potassio.
Il potenziale d’azione
I neuroni possiedono questi particolari canali ionici, chiamati voltaggio dipendenti, che in risposta a stimoli
possono aprirsi o chiudersi. La chiusura dei canali del potassio o l'apertura dei canali del sodio determina un
accumulo di cariche positive all'interno delle cellule. In questo modo il potenziale di riposo da -70 mV si alza
perché l'ambiente interno è meno negativo. Se raggiunge i -55 mV si scatena un importante evento: la
depolarizzazione della membrana. Al potenziale di -55 mV si aprono i canali sodio voltaggio dipendenti, il
sodio a questo punto entra massimamente per la grande differenza di concentrazione. In questo modo il
potenziale della membrana non solo viene dissipato ma addirittura invertito: ora ci sono più cariche positive
all'interno della cellula che all'esterno. Per questo motivo questa fase viene definita di depolarizzazione.
Durante la depolarizzazione il potenziale sale fino a un massimo di +35 millivolt, dopodiché i canali sodio
voltaggio dipendenti si inattivano, impedendo l'ulteriore ingresso di sodio nella cellula. La riduzione della
negatività della membrana però non ha aperto solo i canali del sodio, ma anche quelli del potassio voltaggio
dipendenti che, per loro natura, sono più lenti ad aprirsi e subentrano con un certo ritardo. Questi canali
lasciano uscire il potassio secondo gradiente di concentrazione ad un flusso elevatissimo, molto più alto di
quello permesso dai canali potassio passivi costantemente aperti nella fase di riposo. La fuoriuscita delle
cariche positive, rappresentate dal potassio, ripristina il potenziale di membrana, e questi canali dovrebbero
richiudersi, ma così come erano lenti nell'apertura lo sono anche nella chiusura, così la fuoriuscita di
potassio è tale da ripristinare non solo il potenziale di membrana, ma di renderlo ancora più negativo dei
famosi -70 millivolt. La membrana quindi si iperpolarizza. Il potassio, ora che è libero di fluire secondo
gradiente, attraversa la membrana dai canali passivi finché non si crea una differenza di potenziale tale da
essere respinto indietro nonostante il gradiente di concentrazione. Questo potenziale di equilibrio è vicino
ai -90 millivolt ed è per questo che la cellula si iperpolarizza in questa fase. Quando il potenziale della
membrana torna negativo il canale del sodio torna dalla sua conformazione inattiva a quella chiusa. La
membrana è tornata con un potenziale negativo ma questa non è la situazione di riposo: nonostante il
potenziale elettrico sia tornato più o meno a posto, quello chimico è ancora alterato. Nella cellula sono
rimaste ancora grandi concentrazioni di ioni sodio, all'esterno invece è concentrato il potassio. La
concentrazione di riposo si ripristina con il lento passaggio degli ioni attraverso la membrana dai canali
passivi, e il costante funzionamento della pompa sodio potassio ATPasi che ripristina gli equilibri chimici.
Rivediamo schematicamente tutti questi eventi elettrici, che nel complesso prendono il nome di potenziale
di azione:
• In condizione di riposo il potenziale di membrana viene mantenuto a -70 millivolt dalla pompa sodio
potassio e dal lento flusso di ioni potassio attraverso la membrana
• Uno stimolo induce un lieve aumento del potenziale di membrana. Se questo stimolo
depolarizzante non è in grado di raggiungere i -55 mV viene ignorato ed il potenziale di riposo si
ripristina lentamente.
• Se invece raggiunge la soglia critica si attivano i canali del sodio voltaggio dipendenti. Nella cellula
entra un enorme flusso di sodio (feedback positivo) ed il potenziale di membrana si inverte.
• Raggiunti i +35 mV i canali del sodio si inattivano e la membrana è refrattaria a qualunque altro
stimolo. Per questo motivo questo stato è definito refrattarietà assoluta.
• A questo punto però si sono aperti i canali del potassio che ripristinano il potenziale di membrana,
facendo uscire le cariche positive rappresentate dal potassio (feedback negativo).
• A causa della lentezza di risposta alle variazioni del potenziale il potassio continua ad uscire fino a
raggiungere i -90 mV, iperpolarizzando la cellula. In questa fase in teoria la cellula può avviare un
nuovo potenziale di azione in seguito ad uno stimolo, ma dato che la membrana è iperpolarizzata è
difficile che lo stimolo raggiunga i -55 millivolt, a meno che esso non sia molto intenso. Per questo
motivo questo stato è definito refrattarietà relativa.
• Infine il ripristino delle corrette concentrazioni intra ed extracellulari si raggiunge tramite l'attività
della pompa sodio potassio e la trasmissione attraverso la membrana degli ioni dai canali passivi.
La soglia
L'innesco del potenziale d'azione avviene solo se si supera questa soglia. Per poter generare il PdA la
corrente sodio deve superare la corrente potassio, quindi devono essere aperti tanti canali sodio voltaggio
dipendenti. Se la depolarizzazione non raggiunge la soglia la corrente sodio voltaggio dipendente viene
controbilanciata dall’aumento della corrente potassio passiva della membrana, questo perché quando si
depolarizza la membrana non solo si aprono le porte voltaggio dipendenti per il sodio, ma aumenta anche la
forza elettromotrice per il potassio. La soglia è il momento in cui la corrente del sodio supera la corrente
passiva del potassio, ed è quindi il momento di innesco del ciclo. La soglia cambia tra cellule diverse ma
anche tra compartimenti della stessa cellula: in punti diversi nella stessa cellula la soglia può variare da -50 a
-35 mV, cioè il monticolo assonico, punto nel quale, proprio a causa della bassa soglia, si genera il PdA.
I canali
Le porte da dove passano gli ioni sono molecole proteine che cambiano conformazione, consentendo o
meno il passaggio degli ioni. Esse si chiamano canali ionici, sono formati da una rete proteica che crea un
foro di comunicazione tra l'esterno e l'interno.
Le specie ioniche non possono attraversare la membrana perché essa è costituita da un doppio strato
fosfolipidico e dato che lo ione carico attrae le molecole d'acqua ( guscio d’idratazione) essi vengono
respinti dalla membrana. I canali ionici sono letteralmente infilati nella membrana, per questo vengono
anche chiamati proteine integrali della membrana.
• Formano un poro acquoso permeabili a ioni positivi o negativi;
• Sono selettivi;
• Possono avere dei meccanismi di apertura;
• Sono anche identificabili in base alle loro cinetiche di attivazione (tempistiche)
• Vengono bloccati da neurotossine, ma anche da farmaci o da ioni.
Le dimensioni del poro sono dell'ordine del diametro dello ione, quindi per attraversare il punto più stretto
del poro (filtro di selettività) uno ione dovrebbe essere liberato dal guscio di idratazione, questo avviene
grazie a delle protuberanze presenti nel canale, amminoacidi carichi negativamente in modo opposto allo
ione permeabile al canale. Lo ione si lega ad esse perdendo le molecole d’acqua, che verranno nuovamente
attratte non appena uscirà dal canale.
Il tempo di legamento degli ioni nel canale è di un milionesimo di secondo, ciò vuol dire che più di un
milione di ioni al secondo non possono passare attraverso il canale. Inoltre, più è ampia la corrente
maggiore è la dissipazione termica, quindi nel nostro sistema non c'è molta dissipazione dato che la
corrente all'interno dei canali è nell'ordine del Picoampere.
I canali si comportano come delle resistenze, gli ioni vengono spinti a passare per la forza elettromotrice e
la corrente che passa dipende dalla differenza di potenziale.
[Legge di Ohm: I=V/R]
[(Vm- EK) . gK = IK] (g=conduttanza=1/R)
[f.e.m.= Vm – EK]
Il potenziale di riposo è dovuto all'esistenza dei canali passivi che a potenziale di riposo sono normalmente
aperti, ma quando il neurone vuole generare segnali deve variare il potenziale di membrana quindi utilizza
altri canali ionici detti attivi.
1. I canali potassio voltaggio dipendenti e i canali sodio voltaggio dipendenti, quelli controllati dal
voltaggio, che sono chiusi a riposo e si aprono con la depolarizzazione
2. I canali a controllo meccanico, che si aprono con la deformazione della membrana e con la loro
esistenza danno alla cellula nervosa la capacità di rispondere alle cellule meccaniche
3. I canali a controllo ligando, che si aprono a risposta al legame con una determinata specie proteica
con un meccanismo chiamato chiave serratura
4. I canali a controllo di fosforilazione, la loro apertura o chiusura può essere dovuta grazie all'enzima
che attacca la struttura proteica del canale, ovvero un gruppo fosfato che lo regola aprendolo,
chiudendolo o bloccandolo, fornendo quindi un preciso controllo.
Il potenziale d’inversione
Il potenziale di inversione è una correnti ionica ed è uguale alla conduttanza per la forza elettromotrice
degli ioni. Corrisponde al valore del potenziale di membrana per il quale la corrente ionica che passa da quel
canale è 0 mA, ed è diverso per le diverse correnti ioniche. La sua curva in un grafico che mette in relazione
la corrente e i valori del potenziale di membrana, è una retta e corrisponde al punto in cui si attraversa
l'ascissa ovvero l'intercetta. Questo vuol dire che il canale ionico ha una resistenza che non cambia, e più la
curva pende più la conduttanza è ampia. Si chiama così perché l’intercetta corrisponde a quel potenziale di
membrana in cui la curva inverte di segno, perché passa da essere negativa a positiva, da corrente
polarizzante entranti negative a depolarizzanti uscenti positive.
Ci sono correnti monoione, canali selettivi per un solo ione, per le quali il potenziale di inversione è uguale
al potenziale di equilibrio dello ione, e correnti miste, che hanno un potenziale di inversione che non
corrisponde a nessun potenziale di equilibrio, questo vuol dire che la somma di tutte le correnti ioniche è 0.
[Calcolo del potenziale di inversione per una corrente trasportata da due specie ioniche, I1 e I2, per le quali
il canale ionico ha conduttanza rispettivamente gI1 e gI2 → E(inv)=(g1*E1+g2*E2)/g1+g2]
Il potenziale di inversione serve a:
• dirci quali ioni passano dal canale
• dirci se la corrente è mista o no
• se la corrente è sinaptica, dirci se è eccitatoria o inibitoria, questo perché se il potensiale degli ioni è
maggiore di -20 mV la corrente Ionica è superiore alla soglia, quindi è eccitatoria (di solito sono
all'incirca 0 mV). Invece se è al di sotto di -60 mV è inibitoria dato che mantiene il potenziale di
membrana negativo.
La corrente in mA vale 0, mentre i mV dipendono dal potenziale degli ioni.
Proprietà di membrana
La soglia è più bassa al monticolo che negli altri compartimenti, questo vuol dire che è da lì che si innesca il
potenziale: se nelle cellule nervose il potenziale d’azione si potesse attivare ovunque ci sarebbero collisioni
tra i vari potenziali, quindi si è scelto un singolo punto. Per innescare il potenziale serve che si aprono i
canali voltaggio dipendenti sodio e potassio ed essi si trovano in gran numero sul monticolo assonico. In
questo modo si specializza Il compartimento.
La cellula acustica (a cespuglio) lavora sul tempo di arrivo dei suoni ed è precisissima, riesce a localizzare un
suono in un millisecondo. Invece, la cellula della retina (a bastoncello) ci fa vedere anche con poca luce, essa
lavora sul tempo di arrivo della luce e lo fa in un secondo. La differenza del tempo tra le due cellule è
dovuta al fatto che la prima deve localizzare il suono, quindi deve essere molto reattiva, mentre le seconde
non servono per localizzare ma per catturare la massima luce possibile. Le cellule nervose obbediscono ad
un principio comune ma in modo diverso, perché hanno proprietà di membrana diverse, quindi tipo e
numero di canali ionici inseriti in quel tratto di membrana diversi. Alcuni ci sono in tutti i compartimenti e in
tutti i neuroni, altri sono in quasi tutti i neuroni ma in un solo compartimento, altri ancora sono in un solo
compartimento ma in un solo tipo di neurone. Questa divisione dei compiti si chiama proprietà di
membrana, ovvero quello che differenzia compartimenti nella stessa cellula in cellule diverse per funzioni
diverse
In determinati compartimenti neuronali ci sono i canali sodio voltaggio dipendenti, in alta concentrazione
nel monticolo assonico (massima concentrazione) e nell’assone (compartimenti di integrazione, necessità di
innescare i PdA, e di conduzione del PdA, rispettivamente), o anche i canali calcio voltaggio dipendenti,
necessari per la trasmissione sinaptica, presenti nel terminale assonico (compartimento di uscita).
Altri canali sono presenti in determinati tipi di neurone, ad esempio:
1. i canali a controllo meccanico. Le cellule che ce li hanno vengono chiamate meccani recettori e
rilevano gli stimoli meccanici;
2. i canali potassio calcio voltaggio dipendenti (che sono permeabile al potassio e aperti alla presenza
dello ione calcio, infatti il potassio è lo ione che entra mentre il calcio è lo ione che permette
l'apertura dei canali) presenti nel compartimento d’ingresso. Il calcio è uno ione positivo ed è
depolarizzante, ha una concentrazione bassissima e attiva enzimi che modificano le strutture del
canale oltre che attivare il canale.
• Adattamento: Una cellula dell'ippocampo che riceve un segnale artificiale viene depolarizzata e
genera due o tre potenziali d'azione che piano piano si diradano e poi alla fine smettono di
propagarsi: questo meccanismo viene chiamato adattamento, ovvero si smette di rispondere
allo stimolo presente inizialmente, all'inizio si risponde poi progressivamente diminuisce la
risposta e alla fine smette. Se nella stessa cellula venisse bloccato l'ingresso del calcio si ferma
l'adattamento, questo vuol dire che il calcio conferisce alla cellula la proprietà
dell’adattamento. L’iperpolarizzazione è dovuta alla presenza dei canali potassio calcio
dipendenti, la cellula cercherà di far andare via il calcio per trasmettere lo stimolo.
L'adattamento serve a filtrare le informazioni che riceviamo selezionando le più rilevanti, la
cellula con questi canali può modificare la sua capacità di elaborare e trasmettere informazioni
e può essere totale o parziale, invece le cellule senza questo tipo di canale hanno risposte più
stereotipate.
3. I canali calcio a bassa soglia: il calcio ha a disposizione diversi canali per entrare, due ad alta soglia
(>-40 mV del potenziale di membrana: Canali L, lunga durata, presenti a livello cardiaco, muscolare,
celebrale, responsabili delle contrazioni cardiache e muscolari e della liberazione del
neurotrasmettitore; Canali N, neuronali, responsabili del signaling neuronali), e uno a bassa soglia
(<-50 mV del potenziale di membrana). Questi a bassa soglia a a potenziale di riposo sono inattivi e
chiusi, ma quando la cellula si iperpolarizza i canali si attivano, mentre poi quando si depolarizza
entra tantissimo calcio che causa l'apertura dei canali. La cellula si iperpolarizza di nuovo, poi di
nuovo si depolarizza. La cellula è impegnata ad essere ritmicamente attiva e non trasmette altre
informazioni sul mondo esterno.
• Il sonno a onde lente: l'attività delle cellule nervose è per onde, ritmico, e durante il sonno
profondo sono a bassa frequenza ovvero con distanza tra loro, di grande ampiezza ma più
lente, per questo si definisce a onde lente. Le cellule nervose sono o tutte attive o tutte spente,
durante il primo caso il segnale è ampio, il secondo caso è il periodo di bassa attività
dell’encefalogramma. Oscillano tutte insieme da un massimo a un minimo, questo a causa della
presenza dei canali calcio a bassa soglia e dei canali voltaggio dipendenti presenti nelle cellule
nervose del talamo, inattivi a potenziale di riposo anche alla presenza di una depolarizzazione.
L'inattività è sbloccata dall’iperpolarizzazione: all’iperpolarizzazione della membrana i canali
calcio a bassa soglia si attivano, e una successiva depolarizzazione li fa aprire, facendo entrare
tanto calcio che provoca una depolarizzazione forte, facendo innestare i canali voltaggio
dipendenti del sodio e del potassio, in seguito quelli del potassio fanno cessare l'attività della
cellula, per poi far ripartire il ciclo. Questa attività si trasferisce alle cellule corticali ed è
registrabile.
La guaina mielinica
Ci sono diversi modi per far viaggiare il potenziale d'azione in modo più sicuro: il diametro assonale, ovvero
il fatto che più è grande l’assone maggiore è la sua conducibilità. Se la costante di spazio è grande, il segnale
si propagherà a distanza con minore decremento, determinando l’insorgenza di un secondo potenziale
d’azione a maggior distanza dal primo e riducendo il tempo necessario per percorrere una certa distanza.
[Diametro assonale grande → Costante di spazio grande → Velocità di conduzione maggiore ]
Dato che perché non tutti gli animali possono avere assoni così grandi, esiste un secondo metodo per
facilitare la conduzione del PdA: la guaina mielinica, presente solo sull’assone. Ha tre effetti: rende la
conduzione più veloce, più sicura e meno costosa di energia. La mielinizzazione consiste nell’ avvolgimento
degli assoni da parte di una guaina lipidica che ha come componente principale la mielina. Nei nervi
periferici questi avvolgimenti sono prodotti da un tipo di cellula gliale detta cellula di Schwann, all’interno
del sistema nervoso centrale invece la mielina è prodotta da un altro tipo di cellula gliale detto
oligodendrocita. La guaina è formata da cellule gliali e consiste nell’avvolgimento attorno ad un tratto
dell'assone di una cellula gliale. Essa si attacca a una parte dell’assone grande quanto sei stessa e strizza il
suo citoplasma in corrispondenza del nucleo, quindi resta solo la membrana cellulare che avvolge l'assone.
• Velocità: La presenza di una capacità di membrana introduce un ritardo tra corrente e variazione
del voltaggio di membrana. Per far cambiare il potenziale di membrana è necessario che le cariche
accumulate sulla faccia interna ed esterna della membrana si muovano. Questo avviene senza
passaggio di cariche attraverso la membrana, è solo un riarrangiamento delle cariche depositate
sulle due facce della membrana. Per spostare le cariche dalle facce della membrana occorre tempo
e questo tempo sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà il numero di cariche accumulate, ovvero
quanto maggiore sarà la capacità di membrana. La mielinica riduce la capacità di membrana e
quindi velocizza la conduzione: più bassa è la velocità di membrana, più tempo c'è per spostare le
cariche, quindi le cariche vanno più veloci. Se la capacità di membrana è bassa, la variazione di Vm
sarà più rapida, quindi ci sarà una velocità di conduzione maggiore.
• Sicurezza: riducendo la perdita verso l’esterno delle correnti elettrotoniche, ne consente la
propagazione a maggior distanza dalla zona di innesco e quindi rende la conduzione più sicura.
Nonostante questi accorgimenti, negli assoni mielinizzati la propagazione elettrotonica non riesce a
percorrere l’intero assone. I tratti mielinizzati dell’assone sono quindi interrotti da corti tratti
amielinici ricchi di canali sodio voltaggio-dipendenti, detti nodi di Ranvier, in cui si possono generare
nuovi potenziali di azione. Questo tipo di propagazione viene detto “saltatorio”.
Il fattore di sicurezza dato dalla mielina è tale che il blocco della capacità di generare potenziali
d’azione in due o tre nodi di Ranvier consecutivi non blocca la conduzione del potenziale d’azione
lungo quell’assone: la corrente elettrotonica è in grado di innescare un potenziale d’azione al nodo
di Ranvier successivo a quelli bloccati.
• Risparmio: il lavoro delle pompe Na/K dipende dalla quantità di cariche che hanno attraversato la
membrana neuronale durante un PdA. Maggiore è il numero di tali cariche, maggiore sarà il lavoro
delle pompe per ripristinare le concentrazioni ioniche interne di Na e K. Se l’assone è nudo, le
cariche potranno attraversare la membrana su tutta la sua superficie. Se è mielinizzato, potranno
attraversare la membrana solo ai nodi di Ranvier. In quest’ultimo caso, il numero di ioni che
attraverserà la membrana sarà molto minore che nel primo, ed anche il lavoro delle pompe sarà
minore.
Non tutti gli assoni del sistema nervoso sono mielinizzati, tuttavia gli assoni mielinizzati hanno velocità di
propagazione maggiore (20-100 m/sec) rispetto a quelli non mielinizzati (0,5-2 m/sec). L’importanza della
mielinizzazione per il funzionamento del sistema nervoso è evidenziata dai gravi deficit che si hanno nelle
malattie demielinizzanti come ad esempio la sclerosi multipla.
Riflesso patellare
È un circuito nervoso semplice, formato da due cellule alla base del riflesso, stereotipato e non modulabile
dall'esperienza. Se un muscolo viene violentemente stirato, in risposta all’allungamento si contrae. La prima
cellula misura l'allungamento e quindi è meccanorecettore, se il segnale dall’allungamento è una
depolarizzazione esso viaggia lungo l'assone, i canali ionici si aprono, si innesca il potenziale d'azione che si
propaga fino al suo terminale nel midollo, dove c'è la trasmissione sinaptica al moto neurone ovvero la
seconda cellula, che darà segnale al muscolo di contrarsi.
1. ll meccanorecettore rileva l’allungamento del muscolo;
2. La cellula nervosa con i canali ionici risponde alla deformazione meccanica facendo aprire i canali;
3. Entrano ed escono ioni che vengono spinti per la forza elettromotrice;
4. Passa corrente ionica che tenderà a portare il potenziale della membrana verso il suo potenziale di
inversione, che è verso valori positivi perché il potenziale sta depolarizzando. L’ampiezza e la durata
dell'allungamento determineranno l’ampiezza e la durata del segnale depolarizzante, questo vuol
dire che è un segnale analogico;
5. Questa depolarizzazione innesca il potenziale d'azione nel monticolo perché ha più canali sodio
voltaggio dipendenti;
6. Questi potenziali d'azione sono gli unici che viaggiano lungo l'assone perché il segnale analogico si è
estinto per la distanza, mentre i potenziali d'azione vengono rigenerati con la corrente
elettrotonica;
7. Si arriva al terminale assonico e il messaggio deve essere passato al motoneurone.
La trasmissione si basa ora su un segnale chimico e non più elettrico. Il segnale chimico è analogico, sono
molecole trasmesse dal neurotrasmettitore. Il primo codice con cui funzionano i potenziali di azione è in
frequenza, quindi ne vengono generati di più ma con la stessa ampiezza, questo vuol dire che più c'è lo
stimolo più potenziali d'azione ci sono (ogni cellula ha un codice che corrisponde allo stimolo esterno, ora
sappiamo anche che il tempo in cui arriva il singolo potenziale d'azione è un'informazione)
Trasmissione sinaptica
Le nervose comunicano tra loro scambiano informazioni attraverso meccanismi specializzati a livello
anatomico morfologico: la definiamo sinapsi (che vuol dire congiungo). Essa, chiamata anche trasmissione
sinaptica, collega il post sinaptico e il presinaptico, (ovvero il compartimenti d’uscita del neurone che
trasmette ed il compartimento d’entrata del neurone che riceve), e l’informazione deve passare per il vallo
sinaptico (lo spazio tra il presinaptico ed il postsinaptico, 20-40 nanometri). Il presinaptico deve produrre,
impacchettare, rilasciare e riprendere in neurotrasmettitore, mentre il post sinaptico lo deve ricevere. Nel
sistema nervoso ci sono due tipi di trasmissione:
1. Elettrica: l'elemento che trasmette informazione tra il terminale assonico (ovvero la parte d'uscita)
e l'albero dendritico (ovvero la parte di ingresso) è la stessa corrente elettrica che trasporta il
segnale nell'elemento presinaptico. La corrente del presinaptico attraversa la membrana ed è la
stessa che arriverà al postsinaptico, senza complicazioni perché le correnti ioniche si trasmettono
dal presinaptico al postsinaptico. Quando una sinapsi elettrica deve trasmettere il terminale
presinaptico si avvicina al postsinaptico e lo spazio tra i due (fessura o vallo sinaptico) ha dimensioni
minori (2-4 nanometri)
2. Chimica: ha bisogno di più elementi ed è quindi più complicato. Il segnale presinaptico, ovvero il
potenziale d'azione, arriva al terminale che viene depolarizzato, questo causa l'apertura dei canali
calcio voltaggio dipendenti. Entra il calcio, le vescicole (che si trovano nel presinaptico e che
contengono il neurotrasmettitore) si fondono con la membrana del presinaptico e rilasciano il
neurotrasmettitore, questo processo avviene perché le vescicole sono chiuse e quando devono
rilasciare vengono schiacciate con la membrana, le due membrane si fondono e quindi la
membrana è più ampia, in questo modo l'interno delle vescicole è in contatto con l'esterno.
L’apertura dei canali calcio è essenziale per il rilascio del neurotrasmettitore, più calcio entra, più
vescicole si aprono e più neurotrasmettitore viene rilasciato. Il neurotrasmettitore va nel vallo
sinaptico, esso diffonde e si lega ai recettori, che sono nel postsinaptico, e questo permette
l’apertura dei canali. Una volta aperti i canali passano gli ioni permeabili a tali canali, e a seconda
degli ioni che passano il segnale potrà essere una depolarizzazione o una iperpolarizzazione. Il
segnale chimico determina la trasformazione del segnale elettrico che si trasforma in chimico per
poi ridiventare elettrico. In sintesi:
• arriva il potenziale d'azione al presinaptico che ne determina la depolarizzazione;
• a causa della depolarizzazione si aprono i canali calcio voltaggio dipendenti;
• la corrente calcio determina l’apertura delle vescicole ed il rilascio del neurotrasmettitore;
• il neurotrasmettitore si lega ai recettori facendo aprire i canali nel postsinaptico;
• passano gli ioni e si genera il segnale postsinaptico.
I recettori postsinaptici
Il postsinaptico ha dei recettori sinaptici, molecole che legano i neurotrasmettitori. Nei recettori sinaptici il
“nome” (ovvero la prima parola) definisce il neurotrasmettitore che si lega al recettore, il “cognome” (la
seconda parola) ci dice che tipo di recettore colinergico è, quindi che corrente passa, e deriva dall’agonista
più efficaci su quel recettore.
Il protagonista è il neurotrasmettitore apposta per quel recettore, l'agonista aiuta il protagonista, ovvero ha
lo stesso effetto del neurotrasmettitore; l'antagonista si oppone al protagonista, ostacola la sua azione,
ovvero impedisce il legame al neurotrasmettitore con il recettore.
Ne esistono di due tipi:
1. Recettori ionotropici, ovvero canali ionici a controllo di neurotrasmettitore. Sono come dei canali a
controllo di ligando, ovvero che si aprono con l'arrivo del loro determinato neurotrasmettitore.
Una volta aperto il canale-recettore passano gli ioni permeabili ad esso e la corrente determina il
cambiamento del potenziale di membrana del postsinaptico, quindi avviene il segnale. Nel
recettore ionotropico non c'è ritardo perché il recettore è esso stesso il canale ionico.
2. Recettori metabotropici, che non sono canali. Il neurotrasmettitore ci si lega, lo fa attivare e
tramite una cascata biochimica viene regolata l'apertura di canali del postsinaptico. È più lento
come recettore perché devono avvenire più passaggi.
L'effetto postsinaptico (depolarizzante o iperpolarizzante) non dipende dal neurotrasmettitore ma
solamente dal recettore al quale si lega, quindi se il segnale è una depolarizzazione (segnale eccitatorio) o
una iperpolarizzazione (segnale inibitorio) dipende solamente dal recettore con cui il neurotrasmettitore si
è legato. Questo perché il “segno” del segnale dipende dal segno della corrente che passa, ed essa dipende
da quali tipi di ioni passano, e quindi dalla diversa permeabilità agli ioni dei canali ionici, che sono i recettori
(esistano comunque delle eccezioni).
(Il segnale evocato è chiamato potenziale postsinaptico e se è analogico i canali da cui si genera sono
ligando dipendenti (e non voltaggio dipendenti)
L’ipotesi di Hebb
Hebb fu uno psicobiologo famoso. Formulò l'ipotesi (quando non si sapeva nulla del recettore MNDA) per
spiegare l'apprendimento associativo, in cui si associano due elementi prima non associati.
Se si ha due cellule nervose, A e B, collegate tra loro, e se il neurone A, quindi il presinaptico, è
ripetutamente attivo nell'attivare il B, il postsinaptico, la sinapsi A-B si rinforza ed è più efficace; se, al
contrario, A fallisce ripetutamente nell'attivare il bersaglio B, si indebolisce. Lui proponeva una regolazione
dinamica con effetti a lungo termine, regolata dall'attività tra il presinaptico ed il post sinaptico: se una
sinapsi è di successo si rinforza fisicamente, sennò si indebolisce.
Quando si scoprì il recettore NMDA sembrava la molecola perfetta per interpretare l'ipotesi: se il recettore
è attivo, il presinaptico e il postsinaptico sono attivi insieme. Fu l'elemento cruciale, rilevò la coincidenza
temporale tra il presinaptico ed il postsinaptico. Questo tipo di plasticità (che può cambiare forma, in
questo caso modifico il circuito per l'esperienza) trova nel MNDA l’elemento per far partire i processi per la
trasmissione sinaptica.
Glutammato e GABA
Il glutammato esercita sempre l’azione eccitante sia per i recettori ionotropici sia per quelli metabotropici,
essendo il principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale.
Il principale neurotrasmettitore inibitorio è invece il GABA (acido gamma amino butirrico) che viene
sintetizzato a partire dal glutamato, per l’azione dell’enzima biosintetico GAD (glutamic acid decarboxilase).
Ha sia il recettore ionotropico, il GABA-A, che metabotropico, il GABA-B, e con entrambi è inibitorio.
Solo questi due neurotrasmettitori (il glutammato ed il GABA) sono solo eccitatori e solo inibitori, per gli
altri la proprietà eccitatoria o inibitoria dipende dal recettore al quale si legano.
Il GABA ha agonisti usati come farmaci che potenziano la sua attività, il benzodiazepine e i barbiturici.
Neuromodulatori
Le trasmissioni sinaptiche a secondo messaggero influenzano l’eccitabilità della cellula postsinaptica
causando l’attivazione di cascate biochimiche che regolano l’apertura o la chiusura di canali posti su tutta la
membrana postsinaptica, provocando un cambiamento nella cellula. È l'attività di alcuni neurotrasmettitore
(che possiedono solo recettori a secondo messaggero) che provocano una risposta piccola o nulla, ma
facilitano o riducono la risposta di questo neurone ad altri ingressi sinaptici. Questi neurotrasmettitori
vengono detti neuromodulatori, e fanno parte dei peptidi, piccole catene proteiche.
Ad esempio, si blocca la trasmissione tra i neuroni della cellula dolorifica. Gli oppiacei, modulatori della
trasmissione dolorifica, hanno come esogeno l’oppio e i suoi derivati, ma vengono chiamati anche analgesici
endogeni perché è un sistema che consente all'organismo di controllare l'entità della percezione dolorifica.
L’azione degli oppioidi sulla trasmissione del dolore è mediata da sinapsi che modulano l’efficacia della
sinapsi tra la fibra nocicettiva afferente e il neurone che trasmette l’informazione dolorifica centralmente.
L’encefalina, oppioide endogeno, ovvero prodotto e rilasciato dal neurone, genera una forte
iperpolarizzazione sia nel presinaptico che nel postsinaptico. L’azione del neurone encefalinergico modula la
trasmissione dolorifica alla sinapsi fra il neurone sensoriale e il neurone di ritrasmissione, in particolare la
riduce con effetto analgesico.
Un altro esempio è la noradrenalina che, agendo sui recettori, impedisce l'apertura dei canali calcio
voltaggio dipendenti dell'ippocampo, modulando risposta dei neuroni dell'ippocampo a stimoli sensoriali.
Il bersaglio privilegiato sono:
• i canali potassio passivi, bloccandoli si cambia eccitabilità della cellula;
• i canali potassio voltaggio dipendenti, bloccandoli quando viene provocato un potenziale d'azione
esso durerà di più nel tempo, ma si perde la velocità per la trasmissione delle informazioni;
• i canali calcio passivi, si rimuove l'adattamento;
• i canali calcio voltaggio dipendenti, si controlla il rilascio del neurotrasmettitore.
La plasticità sinaptica
Il nostro comportamento è modificabile per l'esperienza, grazie a questo impariamo nuove abilità, ma ci
sono specie che non hanno questa capacità e sono in grado di effettuare solo comportamenti stereotipati.
Una specie di serpente, di fronte ad una minaccia, fa il morto. Anche noi abbiamo questo meccanismo,
ovvero ci paralizziamo dalla paura, e questo può essere anche un vantaggio in quanto si riduce la probabilità
di essere visti dal predatore, oltre al fatto che molti predatori non si cibano di animali morti. Il serpente
attua questo comportamento, ma se il predatore toccandolo lo fa girare, lui si rigira di nuovo per
riassumere la posizione del morto che aveva assunto prima. Questa strategia non è producente in quanto se
si muove il predatore capisce che non è morto realmente, il suo comportamento però, al contrario del
nostro, non è modificabile dall'esperienza, quindi lui non riesce a modificare questa sua abilità.
Questa nostra qualità contribuisce anche alle differenze delle varie capacità sia in noi stessi che con gli altri,
i circuiti sono diversi da individuo a individuo ma anche nello stesso individuo. La modifica dei circuiti è la
base della frase “esperienze diverse, cervelli diversi”
Modulo 2
Anatomia funzionale del sistema nervoso
Il cervello è fatto di miliardi di neuroni che hanno almeno 10 alla quarta connessioni con altrettanti neuroni.
Per orientarci all'interno di un sistema complesso come il cervello abbiamo bisogno di punti di riferimento.
C'è una differenza tra il tipo di coordinate tra i punti di riferimento tra gli animali “ventre a terra” e gli
umani:
• Per gli animali la parte posteriore (la coda) è la parte caudale; la frontale è la rostrale; il ventre è
ventrale; il dorso è dorsale
• Per gli umani avviene una rotazione: nella spina dorsale la caudale è la parte bassa; la parte alta è
la rostrale; il davanti è ventrale; il dietro è dorsale. Nel caso del cervello è uguale agli animali.
Ci sono inoltre diversi tipi di taglio:
• Il taglio orizzontale
• Il taglio coronale
• Il taglio sagittale
Il sistema nervoso centrale ha la parte centrale e il midollo spinale, dove le cellule sensoriali o le meccaniche
mandano messaggi al cervello, o il cervello manda messaggi motori al corpo
Organizzazione anatomica dalla parte caudale alla rostrale, quindi dal basso verso l'alto:
1. Midollo Spinale - Spinal cord
2. Bulbo (midollo allungato, medulla oblongata o mielencefalo)
3. Ponte-Pons
4. Mesencefalo - Mid brain
• 2+3+4 = Tronco celebrale o Brain stem
5. Cervelletto – Cerebrellum
6. Diencefalo (Talamo e ipotalamo)
7. Telencefalo (Emisferi celebrali)
• 6+7 = Cervello o Brain
Il midollo spinale rappresenta la parte più caudale del sistema nervoso centrale. Riceve e analizza le
informazioni sensitive provenienti dalla cute, dalle articolazioni e dai muscoli degli arti e del tronco e
controlla i movimenti degli arti e del tronco.
Le sezioni del midollo spinale sono ad H. Nella parte dorsale entrano le informazioni sensoriali, mentre le
informazioni motorie che vengono dalle zone centrali escono dalla parte ventrale. Esistono 31 entrate degli
organi periferici
Tronco encefalico
II midollo spinale prosegue rostralmente nel tronco dell'encefalo, nel quale decorrono le informazioni che
vanno e vengono dal midollo spinale e dal cervello; esso contiene anche numerosi raggruppamenti distinti
di cellule nervose chiamati nuclei dei nervi cranici che sono il soma dei neuroni che inviano i propri
assoni dai nuclei all'esterno del tronco dell'encefalo a formare i nervi cranici (in totale sono 12)
Alcuni di questi nuclei ricevono informazioni dalla cute e dai muscoli del capo; altri provvedono al controllo
motorio dei muscoli della faccia, del collo e degli occhi.
Altri nuclei sono specializzati per l'analisi delle informazioni che provengono dagli organi di senso come
l'udito, il senso dell'equilibrio e il gusto; il tronco dell'encefalo regola anche i livelli di coscienza e lo stato di
all'erta mediante Ie strutture diffuse della formazione reticolare.
Il bulbo
Il bulbo (medulla oblongata): Posizionato direttamente sopra al midollo spinale comprende numerosi
centri responsabili di alcune funzioni viscerali di importanza vitale come la digestione, il respiro e il
controllo del ritmo cardiaco. Insieme al ponte regola la pressione sanguigna e la respirazione. Contiene poi
cellule che formano le prime componenti delle vie che mediano il gusto, l'udito e il mantenimento
dell'equilibrio e neuroni coinvolti nel controllo dei muscoli del collo e della faccia
Il ponte
Posto sopra il bulbo e trasporta informazioni relative al movimento che provengono dagli emisferi cerebrali
e sono destinate al cervelletto
Posto rostralmente al ponte controlla molte funzioni sensitive e motorie, ivi compresi i movimenti oculari.
Importante stazione di ritrasmissione per stimoli visivi e acustici.
Il Cervelletto (cerebrellum)
Posto rostro-dorsalmente al ponte è connesso al tronco encefalico tramite fasci nervosi detti peduncoli.
Modulatore di forza e ampiezza dei movimenti è implicato nel mantenimento della postura, per la
coordinazione dei movimenti del capo, degli occhi e degli arti. E' inoltre coinvolto nell'apprendimento di
programmi motori.
Riceve informazioni somatosensoriali dal midollo, informazioni circa il senso dell'equilibrio dagli organi
vestibolari dell'orecchio interno e informazioni motorie e sensoriali da molte aree celebrali (via i nuclei
pontìni).
Il Diencefalo
Il Talamo: compie un'analisi preliminare su tutte le informazioni sensoriali (OLFATTO escluso) che
raggiungono la corteccia cerebrale. Non solo ritrasmissione ma filtro delle informazioni. Connette
cervelletto e nuclei della base a altre strutture celebrali coinvolte nel controllo motorio e funzioni cognitive.
L'Ipotalamo
Nonostante sia anatomicamente molto piccolo svolge funzioni vitali controllando il sistema nervoso
autonomo. E' implicato nei processi della fame, della sete, nella regolazione della temperatura, nei
comportamenti atti alla riproduzione e molto altro. L'ipotalamo controlla anche la ghiandola pituitaria
(IPOFISI) che a sua volta svolge un ruolo fondamentale nella secrezione di quasi tutti gli ormoni.
1. I nuclei della base: prendono parte alla regolazione delle prestazioni motorie e
dell'apprendimento motorio.
2. L'ippocampo: coinvolto in alcuni aspetti della conservazione delle tracce mnemoniche
3. Il nucleo dell'amigdala: deputato a coordinare le risposte endocrine e del sistema nervoso
autonomo
I 4 Lobi cerebrali
La corteccia celebrale è caratterizzata dalla presenza di numerose fissure (solchi) e regioni a forma convessa
(giri) ed è divisa in 4 LOBI
• Lobo parietale
• Lobo frontale
• Lobo occipitale
• Lobo temporale
Fanno parte della corteccia celebrale anche due altre formazioni:
• La corteccia del cingolo (o cingolata) che riveste la superficie dorsale del corpo calloso e svolge
un ruolo importante nella regolazione di emozioni e aspetti cognitivi
• La corteccia dell'Insula coperta dai lobi frontale (la parte di corteccia che la copre è chiamata
opercolo), parietale e temporale che è importante per la regolazione dell'omeostasi e delle
emozioni
1. Cellule recettoriali
2. Neuroni sensoriali del primo, del secondo...ordine
3. Neuroni sensoriali talamici
4. Neuroni sensoriali della corteccia sensoriale primaria
5. Neuroni sensoriali delle aree associative unimodali
6. Neuroni sensoriali delle aree associative polimodali
1. Ogni sistema contiene stazioni di ritrasmissione. Esistono in molte partì del sistema nervoso
centrale dei nuclei di ritrasmissione che non solo ritrasmettono l'informazione ma anche
partecipano alla sua elaborazione. Possono contenere sia interneuroni locali (mediatori sinaptìci
eccitatori/inibitori) che neuroni di proiezione che portano l'informazione a stadi di elaborazione
successivi
2. Ogni sistema comprende vie diverse. All'interno del sistema visivo c'è una distinzione piuttosto
netta per esempio fra la via del WHAT e del WHERE. Il sistema somatosensoriale distingue fra tatto
e dolore ecc.
3. Ogni via è organizzata in maniera topografica. Esempio sono l'organizzazione retìnotopica del
sistema visivo o quella tonotopica del sistema acustico. Ma sono organizzate spazialmente anche le
mappe somatosensoriale e quelle motorie.
4. La maggior parte della vie sono crociate. Molte vie nervose sono bilaterali e simmetriche. Gli
incroci di vie che avvengono nel tronco encefalico e nel midollo spinale si dicono DECUSSAZIONI. Le
strutture formate solo fibre di decussazione si chiamano Commessure: Commessura anteriore,
centrale (corpo calloso), caudale (splenio).
Altro principio: i neuroni della corteccia cerebrale sono organizzati in strati e colonne
Broadman utilizzò i criteri di sviluppo relativo degli strati sopra e sotto il IV, la dimensione delle cellule e la
densità cellulare per definire 47 regioni distinte della corteccia cerebrale
A: Sezione SOMATICA. Fornisce al sistema nervoso centrale informazioni sensitive sullo stato dei muscoli, la
posizione degli arti e sull'ambiente esterno. Questa sezione comprende neuroni delle radici dorsali e dei
gangli annessi ai nervi cranici che innervano cute, muscoli e articolazioni.
B: Sezione AUTONOMA. Conosciuto comunemente come SISTEMA MOTORIO AUTONOMO è il sistema che
controlla gli organi interni, la muscolatura liscia (quella il cui movimento è involontario) e le ghiandole
esocrine.
Il sistema visivo
La percezione visiva
La percezione, visiva, tattile, acustica, olfattiva, gustativa ci consente di metterci in relazione con gli altri, di
acquisire informazioni sul mondo esterno, di guidare il nostro comportamento. La percezione è il risultato
di una complessa serie di operazioni compiute da circuiti neurali specifici situati a diversi livelli nei sistemi
sensoriali. I segnali sensoriali vengono elaborati in codici per portarli dalla periferia al centro, tutto quello
che noi conosciamo è mediato dai sensi. Non esiste un contatto diretto con ciò che è reale. Percepire vuol
dire portare una sorta di conoscenza basandosi su degli indizi che poi il cervello deve elaborare e costruirci
un senso di realtà. Che cosa noi siamo in grado di percepire e come lo percepiamo dipende dalle
caratteristiche delle singole cellule sensoriali, dalle caratteristiche dei circuiti che esse formano ma anche
dalle interazioni dei sistemi sensoriali con gli altri sistemi cognitivi. Infatti, la percezione è un processo
cognitivo che si base in parte su competenze innate ed in parte su competenze apprese
Il funzionamento del sistema visivo è stato spesso paragonato a quello di una macchina fotografica. Infatti,
come accade per la macchina fotografica, le lenti dell' occhio mettono a fuoco su una "pellicola sensibile",
la retina, un' immagine rimpiccolita ed invertita degli oggetti.
L'analogia, però, finisce qui: infatti il processo della visione non è un processo passivo di riproduzione di una
immagine, ma è un processo attivo, conoscitivo. Vedere è il risultato della trasformazione del mondo
esterno, fisicamente esistente, nel mondo percettivo, che implica l'attivazione di specifiche cellule visive ma
anche la nostra precedente conoscenza, il nostro stato d'animo, la nostra cultura. Percepiamo quello che le
nostre cellule ci consentono di percepire, ma anche quello che abbiamo imparato a percepire Il
comportamento dipende dai sensi, siamo limitati da come lavorano loro.
La catena di eventi che portano alla visione comincia dalla messa a fuoco sulla retina delle immagini visive e
dalla trasformazione, da parte di cellule specializzate della retina, dell' energia luminosa in segnale nervoso,
che è un segnale elettrico. I segnali nervosi vengono comunicati alle altre cellule visive della retina e
subiscono una prima elaborazione, vengono poi inviati lungo le vie visive fino alle aree corticali, per
l'elaborazione che conduce alla percezione visiva cosciente di quelle stesse immagini. Anzi, è solo a questo
punto che posso parlare di immagine visiva.
Tutti i processi percettivi iniziano con la trasduzione: la trasduzione segna il passaggio fra evento esterno ed
evento sensoriale e pone il primo limite all' intervallo del percepibile, ciò che è suono per il gatto non è
suono per noi, ciò che è luce per gli insetti non lo è per noi, ciò che è luce di un certo colore per molti di noi
non lo è per altre persone come gli anomali del colore. Una volta trasdotta in segnale nervoso,
l'informazione relativa agli eventi esterni viene elaborata lungo le vie sensoriali specifiche per condurre alla
percezione.
La organizzazione dei circuiti di elaborazione pone altri limiti alle nostre capacità percettive e ne definisce le
caratteristiche: a volte non vediamo quello che è presente, a volte vediamo quello che non c’è. Non siamo
sensibili ai valori assoluti ma alle differenze (Contrasto simultaneo). Vediamo quello che abbiamo imparato
a vedere. Il fenomeno di apprendimento percettivo rapido che consente di riconoscere immagini in
condizioni impoverite.
Il sistema visivo è in grado di fornire il livello di descrizione di un oggetto richiesto in quel momento. In
effetti, a seconda dei casi, la caratteristica di maggior interesse di un oggetto può essere la sua forma, il suo
colore, la sua distanza, la sua posizione. A seconda delle richieste il sistema visivo sembra recuperare dalla
stessa distribuzione di luminanza in ingresso diversi tipi di informazione, ad esempio il colore e la forma, e
sembra metterne altre in secondo piano.
Questo modo di procedere suggerisce che il sistema visivo è in grado di svolgere in parallelo una
molteplicità di compiti e che, a seconda delle richieste, è in grado di focalizzare l'attenzione sul risultato di
uno o più processi simultanei. Dalla stessa rappresentazione iniziale, la distribuzione di luminosità a livello
dei fotorecettori, le informazioni relative ai parametri diversi di uno stimolo, quali il contrasto o la
posizione, verrebbero estratte in parallelo con processi successivi e smistate lungo vie nervose diverse, che
terminano in aree corticali separate.
In alcuni casi potremmo proprio dire che noi vediamo quello che ci serve vedere. L'idea è che per dare
l'impressione di ricchezza in una scena non c’è alcun bisogno che la ricchezza sia tutta nella mente. Quello
che serve nella testa è semplicemente un algoritmo per andare a prendere l'informazione in una scena. Un
algoritmo di questo tipo sono i movimenti oculari o gli spostamenti dell'attenzione. Se siamo interessati ad
un dettaglio in una scena, ci basta muovere gli occhi o spostare l'attenzione su quel dettaglio, ed esso
diventa immediatamente disponibile. Non immagazziniamo tutta l'informazione sul mondo esterno nel
cervello, ma abbiamo l'impressione che tutto quello che c'è da vedere lo vediamo perché se ci spostiamo gli
occhi o l'attenzione lo vediamo. Così, anche se solo una piccola parte di una scena è disponibile ad ogni
istante per l'elaborazione visiva, abbiamo l'impressione di elaborare tutta la scena allo stesso livello in
parallelo. L'impressione di vedere tutto quel che c'è da vedere in una scena contemporaneamente è un'
illusione.
L’occhio umano
La rifrazione
L'occhio è fatto da lenti, ed esse non hanno la consistenza dell'aria, quindi la luce passando dall’aria alle
lenti subisce la rifrazione.
La rifrazione dipende della densità ottica. L’acqua è più densa dell' aria. Grazie alla legge di Snell possiamo
calcolare l’angolazione della luce che attraversa materiali con indici diversi.
n1 sin 01 = n2 sin 02
Le lenti
I mezzi diottrici dell'occhio permettono la messa a fuoco delle immagini sulla retina capovolgendola, quindi
l'immagine retinica è invertita. Esistono diversi tipi di lenti:
• ci sono quelle biconvesse, ovvero convesse da entrambi i lati. Esse piegano i raggi, che arrivano
parallelamente all’infinito, in punti del fuoco successivi alla lente (convergente);
• ci sono quelle biconcave, ovvero concave da entrambi i lati. Esse piegano i raggi , che arrivano
parallelamente all’infinito, in punti di fuoco antecedenti alla lente, quindi il punto di fuoco sarà
negativo (divergente).
La potenza di una lente si calcola come il rapporto tra l'indice di rifrazione con la distanza focale: essendo la
distanza focale dell’occhio 22mm, si può calcolare che l'occhio ha 60 diottrie, 44 della cornea e 16 del
cristallino.
La cornea è una lente a menisco la cui potenza è di 42 diottrie (ricordiamo che una diottria è l'inverso di un
metro). Se la cornea fosse l'unica lente dell'occhio, un oggetto all'infinito formerebbe la sua immagine circa
8 mm dietro la retina (P= n/f ) e, man mano che l'oggetto si avvicinasse, la posizione della sua immagine si
allontanerebbe ulteriormente dalla retina.
Questa è la situazione in cui viene a trovarsi l'occhio privo di cristallino, asportato in quanto opaco
(cataratta). La sola cornea non è quindi sufficiente per portare l'immagine di un oggetto all'infinito a fuoco
sulla retina. Per questo è necessario il contributo del cristallino. Il cristallino è una lente biconvessa la cui
potenza è di circa 20 diottrie. Combinando insieme la potenza della cornea e quella del cristallino si ottiene
la potenza totale dell'occhio che è di 60 diottrie.
Con questa potenza l'immagine di un oggetto all'infinito sarà a fuoco sulla retina, anzi sarà a fuoco
esattamente sullo strato dei fotorecettori, le cellule retiniche che sono in grado di trasdurre il segnale
luminoso in segnale nervoso. Un occhio che abbia queste caratteristiche si dice emmetrope.
Il cristallino
La retina possiede cellule che catturano l'energia e la trasdurranno da fotoni a segnali neurali. Il segnale
viaggia lungo le cellule gangliari, che formano il nervo ottico, per raggiungere la zona occipitale. Il processo
visivo si basa sulla riflessione della luce sugli oggetti che noi catturiamo: noi vediamo la luce riflessa da tali
oggetti (a parte per gli oggetti che emettono loro stessi luce).
Tutti i raggi luminosi devono andare a fuoco sul punto oculare, la retina. Per far sì che si raggiunga
precisamente questo punto il cristallino può cambiare la sua potenza perché è collegato a microfilamenti
ciliari, e può essere schiacciato o disteso aumentando la curvatura delle sue facce. Variando la sua potenza
varia anche il raggio di curvatura, così facendo la luce derivata da quell’oggetto arriva sempre alla retina,
indipendentemente dalla sua distanza dall'occhio. Se il cristallino non fosse in grado di variare la sua
potenza, un oggetto vicino (che non arrivi dall'infinito) sarebbe fuori fuoco dato che, essendo già la
traiettoria divergente, il fuoco andrebbe oltre la retina. La variazione della potenza del cristallino che
aumenta la sua potenza secondo la formula P=(ni-n2)/rc [dove n1 e n2 sono gli indici di rifrazione del
materiali, rc è il raggio di curvatura] è un processo che si chiama accomodazione.
L’accomodazione
L'accomodazione necessaria per vedere nitidamente un oggetto posto a distanza X dall'occhio è di 1/X
diottrie. Per mettere a fuoco un punto a distanza di 1 metro sarà necessaria un'accomodazione di 1 diottria;
per mettere a fuoco un punto distante 33 cm saranno necessarie 3 diottrie.
Il potere di accomodazione massimo, cioè il valore massimo che l'accomodazione può raggiungere, è di
circa 12-14 diottrie nel bambino (che corrisponde alla possibilità di mettere a fuoco oggetti fino a 7 cm di
distanza). L'accomodazione decresce con l'età: è di circa 5-6 diottrie nell' adulto intorno ai 35-40 anni ma
nelle persone anziane scende sotto 1 diottria, causando la ben nota difficoltà di mettere a fuoco oggetti
vicini (presbiopia).
Anche l’occhio emmetrope ha dei limiti, ovvero il limite dell'acuità visiva (risoluzione spaziale)
Nella tabella di Snellen ogni lettera è 5*5 quadratini, e ogni quadratino rappresenta un primo. Essi possono
essere bianchi e neri, e il variare dei quadratini bianchi e quelli neri formano le lettere. La corretta visione
delle lettere si basa sul riconoscere la differenza tra i quadratini bianchi e neri, in pratica questa differenza
genera segnali che arrivano nel nostro occhio e ci fanno capire che lettera è.
Angolo visivo
Si definisce angolo visivo sotto cui è visto un oggetto di altezza Y l'angolo formato da due semirette che, in
prima approssimazione possiamo considerare uscenti dal punto nodale dell'occhio e passanti per gli
estremi del segmento Y. Se Y è piccolo rispetto alla distanza dall'occhio X allora si ha che l'angolo visivo Alfa,
in gradi, è dato da Alfa = (Y/X)*(360/2n).
Un oggetto alto 1 m e distante 100 m dall'occhio è visto sotto un angolo visivo di 0.57 gradi, così come un
oggetto alto 10 cm e distante dall'occhio 10 m. Dall'angolo sotto cui è visto un oggetto dipende la
dimensione della sua immagine retinica. Per un oggetto Y che sottende un angolo visivo Alfa le dimensioni
della sua immagine retinica Y' saranno Y' = Alfa*L, dove L è la distanza del punto nodale dalla retina,
nell'uomo 16.5mm.
Le dimensioni dell'immagine retinica di un oggetto saranno tanto maggiori quanto più grande sarà l'angolo
visivo sotto cui è visto l'oggetto. Oggetti che sottendono lo stesso angolo visivo hanno sulla retina immagini
di uguale dimensione. Il cervello conosce il mondo attraverso l'occhio, ovvero la proiezione dell’oggetto sul
fondo dell'occhio, e la grandezza dell'oggetto è definita dalla distanza dall'occhio quindi dalla sua
proiezione. Un oggetto lontano e grande e un oggetto vicino e piccolo hanno gli stessi angoli visivi, ovvero
hanno la stessa misura della proiezione. Per questo il cervello lavora attivamente per far sì che non cambi la
grandezza percepita degli oggetti.
La retina contiene i neuroni coinvolti nella fototrasduzione e nella elaborazione dell' informazione visiva. L'
unica uscita dalla retina è costituita dagli assoni delle cellule gangliari retiniche che formano il nervo ottico.
La retina è costituita da strati che contengono i 5 tipi di neuroni, all'interno stanno le gangliari, all'esterno i
fotorecettori, quindi la luce attraversa gran parte della retina prima di arrivare ai fotorecettori. La fovea è
una struttura specializzata per la massima risoluzione spaziale, grazie anche al fatto che in questa zona le
cellule gangliari e le cellule bipolari si spostano per fare entrare la luce evitando quindi scontri con esse che
provocherebbero la diffusione dei raggi e distorsioni (lo scattering).
Noi abbiamo una struttura ottica fatta a puntini, ovvero le cellule della retina distribuite sul fondo oculare.
Il punto di massima potenza è definito fovea che, tra gli altri vantaggi, non ha cellule davanti a se. La retina
è scansionata in varie tipi di cellule che costituiscono due tipi diversi di percorsi, quello verticale e quello
orizzontale:
I fotorecettori
I fotorecettori hanno due classi di cellule dedicate a catturare energia e a trasdurla: i coni e i bastoncelli,
che sono funzionalmente e morfologicamente distinti (nonostante entrambi abbiano la stessa forma del
nucleo e la una parte esterna fatta a pettine):
• I bastoncelli hanno una sensibilità elevata, infatti sono specializzati per la visione notturna e sono
più sensibili alla luce diffusa, anche per il fatto di avere molto fotopigmento, grazie al quale
catturano molta luce. Inoltre hanno un’amplificazione elevata.
Hanno però una bassa risoluzione temporale, ovvero dopo un po' non riescono a catturare la
variazione di luce (limite di frequenza o soglia temporale)
Il sistema dei bastoncelli è caratterizzato da bassa acuità visiva, con vie retiniche altamente
convergenti, inoltre non è presente nella fovea ma solo in periferia.
È acromatico, presentano un solo tipo di pigmento
• I coni sono gli unici che permettono la visione dei colori. Sono nella parte ad alta risoluzione,
ovvero la parte centrale, dato che essendo tozzi si possono compattare e ce ne entrano di più.
Hanno migliore risoluzione spaziale, rendono la retina più nitida.
Hanno una sensibilità inferiore, sono specializzati per la visione diurna avendo quantità inferiori di
fotopigmento, e hanno anche un’amplificazione minore. Possiedono un’elevata risoluzione
temporale, quindi danno una risposta rapida, tempo di integrazione breve.
Il sistema dei coni è caratterizzato da un’acuità visiva elevata, vie retiniche meno convergenti, ed è
particolarmente concentrato nella fovea. Inoltre è cromatico: esistono tre tipi di coni, ciascuno dei
quali possiede un pigmento diverso ed è particolarmente sensibile a una parte dello spettro visibile
La fototrasduzione
Ogni evento accade in una molecola di rodopsina che cattura la luce, ed ogni volta che il processo avviene
la zona è in periodo refrattario. C’è una grande amplificazione dato che 1 molecola di rodopsina può
determinare l'idrolisi di 100000 cGMP.
Punti di chiusura:
Il processo visivo è a tunnel: il sistema usa la parte della fovea, dove sono compattati i coni, per avere alta
risoluzione, ma la zona restante è sfumata e aromatico. Non vediamo nitidamente il tunnel perché la
maggior parte delle cose che vediamo sono illusione del cervello.
Ma se la luce ambientale è scarsa, quindi in condizioni di luce scotopica (penombra), ci serviremo della
grande sensibilità dei bastoncelli per vedere, che riescono a catturare anche pochi fotoni, mentre se la luce
ambientale è elevata, i bastoncelli saranno saturati e ci serviremo dei coni.
L'esistenza di due tipi di recettori con soglie e punti di saturazione diversi ed il fatto che entrambi adattino,
potendo così lavorare su un ampio intervallo di quantità di luce disponibili, fa si che noi siamo in grado di
usare il nostro sistema visivo a fronte di variazioni della quantità di luce disponibile di un fattore 10 alla
undicesima. Ovvero, tra la minima quantità di luce per cui riusciamo ancora ad intravedere i contorni degli
oggetti e la massima quantità di luce oltre la quale siamo abbagliati c'è un rapporto di 100 miliardi. Nessuna
macchina fotografica è in grado di fare questo, bisogna cambiare la pellicola, passando da pellicole molto
sensibili a pellicole poco sensibili. Ebbene, i coni ed i bastoncelli sono come due pellicole, una poco sensibile
e l'altra molto sensibile, e si "cambiano da soli", in funzione della quantità di luce.
È un sistema logaritmico: la sensibilità dello strumento usato dipende dall'intensità dello stimolo, è una
sensibilità dinamica.
L’adattamento al buio avviene quando l'intensità della luce che attiva i coni si abbassa, i coni non riescono
più a codificare e si attivano i bastoncelli.
L’integrazione
La sensibilità dei bastoncelli supera di circa 1000 volte quella dei coni, e ciò spiega la maggiore sensibilità
della visione scotopica rispetto a quella fotopica. Gruppi più o meno estesi di coni e di bastoncelli sono
connessi con una sola cellula bipolare, la quale a sua volta si connette con una delle cellule gangliari da cui
originano le fibre del nervo. Tale organizzazione determina un notevole grado di convergenza dei segnali,
dato che stimoli provenienti da diversi fotorecettori vengono convogliati in una sola cellula gangliare. Le
gangliari che hanno 4-5 fotorecettori collegati non capiscono quale tra loro si attiva, quindi noi non
sappiamo da quale recettore avviare il segnale, conosciamo solo la cellula gangliare. In questo modo
aumenta la sensibilità, ma diminuisce la risoluzione spaziale. Questo fenomeno viene chiamato
integrazione, ed è un fenomeno che si realizza nel momento in cui informazioni appartenenti a diverse
modalità sensoriali vengono identificate e processate come appartenenti ad un singolo evento.
Il grado di convergenza varia nelle diverse regioni della retina, diminuendo progressivamente dalle regioni
periferiche verso la fovea. A questo livello la convergenza manca del tutto, poiché ogni cono è connesso
tramite una cellula bipolare con una sola fibra afferente. Questo processo avviene grazie ad una
connessione punto a punto (un fotorecettore, una cellula bipolare e una cellula gangliare), in questo modo
ho meno sensibilità ma più risoluzione spaziale. La visione a tunnel abbassa la risoluzione spaziale, ma alza
la sensibilità, in questo modo reagisce prima agli stimoli.
I colori
Ogni singolo colore percepito può essere sia l'effetto di una radiazione monocromatica (ad esempio
un'onda a banda ristretta di 700 nm in grado di generare la visione del rosso) sia l'effetto del sommarsi in
un'unica stimolazione di più radiazioni, ciascuna di lunghezza d'onda differente.
Questa osservazione porta in primo piano un'importante caratteristica della percezione visiva, che la rende
profondamente differente, ad esempio, dalla percezione uditiva. Mentre, infatti, l'orecchio è in grado di
discriminare, in un accordo musicale, le singole note componenti, l'occhio non è in grado di separare, in una
stimolazione luminosa composta dalla mescolanza di più luci diverse, le singole frequenze componenti.
La percezione visiva è sintetica piuttosto che analitica: una luce rossa ed una luce verde che colpiscono
insieme un medesimo punto della retina avranno come risultato la percezione del giallo, non vedremo né il
rosso né il verde. Ciò significa che, nel contatto della radiazione elettromagnetica con i recettori della
retina, l'informazione sulla lunghezza d'onda si perde. Al suo posto rimane la misura dell'eccitazione
suscitata, che è proporzionale sia all'intensità della luce incidente sia alla sensibilità del recettore in quella
particolare zona dello spettro a cui appartiene la radiazione che lo ha colpito.
Tutto ciò che vediamo è luce riflessa, ed i colori che vediamo dipendono dal tipo di luce che viene riflessa,
ovvero da che tipo di radiazione elettromagnetica. Il colore non è oggettivo, è costruito dalla mia
percezione, dipende dalla mia capacità di utilizzare le lunghezze d'onda della luce emesse da una sorgente
o riflesse da un oggetto. Per l’uomo la fascia visibile delle radiazioni comprende i 400 e 700 nm, ed è l'unica
parte di radiazioni che possiamo vedere.
La luce quando incontra un oggetto viene riflessa o trasmessa o assorbita: c'è uno spettro di riflettanza che
combinato con quello di riflessione definisce quello di luminanza, ciò che arriva all'occhio. Un'onda
elettromagnetica è caratterizzata dalla lunghezza e dalla frequenza. Le gangliari riportano un certo numero
di potenziali d'azione relativo alla luce catturata.
Ci sono tre classi di coni, ognuno dei quali ha un fotopigmento diverso a causa del diverso tipo di opsina:
Non basterebbe un solo tipo di coni per discriminare nella luce, allo stesso tempo, intensità e colori
differenti. Per capire il perché consideriamo l’esistenza di un unico tipo di recettore e consideriamo che il
differente grado di sensibilità di questo unico ipotetico tipo di recettori fotosensibili, rispetto a luci
monocromatiche di differente lunghezza d'onda, sia rappresentato da una curva su un grafico. Inoltre
consideriamo una radiazione monocromatica A1 avente una lunghezza d'onda corrispondente quasi alla
massima sensibilità del recettore, ed altre radiazioni monocromatiche A2 ed A3 aventi la medesima
intensità, che è la stessa della radiazione A1, ma lunghezza d'onda differente, alla quale il recettore risulta
tre volte meno.
Con tre tipi di coni possiamo distinguere in modo affidabile diverse lunghezze d'onda, ma in un sistema di
questo tipo l'informazione sulla lunghezza d'onda si perde, lasciando in sua vece solo la percezione
dell'intensità dello stimolo. Infatti A2 ed A3 daranno la stessa percezione di intensità e sarà possibile
eguagliare l'intensità della percezione dipendente dalla radiazione A2 ed A3 con quella della radiazione A1
aumentando di tre volte l'intensità della radiazione A2 ed A3. In questo caso la percezione visiva suscitata
da A1, A2 ed A3 sarebbe del tutto uguale; con un simile sistema si possono percepire differenze di intensità
luminosa, ma non di lunghezza d'onda. Non è possibile la discriminazione del colore, dal momento che
vedremmo come uguali due radiazioni monocromatiche dotate invece di differente lunghezza d'onda.
Questo è ciò che accade, all'incirca, nella visione scotopica dipendente dai soli bastoncelli, essi infatti
possiedono un solo tipo di opsina, e quindi un solo fotopigmento, la rodopsina. I coni possiedono invece tre
tipi di opsina. Combinando le risposte dei tre diversi tipi di coni è possibile discriminare lunghezze d’onda
diverse e quindi avere una visione a colori.
Per ogni fotopigmento, l'energia luminosa viene preferenzialmente assorbita per determinate lunghezza
d'onda della luce. Il fotopigmento dei bastoncelli, la rodopsina, ha un massimo di assorbimento a 498 nm
(lunghezza d'onda che genera la percezione del turchese). I tre fotopigmenti dei coni hanno un massimo di
assorbimento, rispettivamente, a 420 nm (blu), 534 nm (verde), 564 nm (rosso). La presenza di tre diversi
fotopigmenti nei coni è necessaria per avere una normale visione dei colori, noi vediamo i colori perché
abbiamo tre tipi di coni che riescono a dare le coordinate del colore dell'oggetto. La mancanza di un
fotopigmento produce vistosi difetti nella visione dei colori.
Teoria di Young-Helmoltz.
Per avere allo stesso tempo discriminazione dell'intensità luminosa e del colore abbiamo bisogno di almeno
due tipi differenti di recettori sensibili al colore. Con due tipi di recettori diventa possibile, ad esempio,
eguagliare la percezione visiva dipendente da una singola radiazione monocromatica alla percezione visiva
dipendente dalla miscela di due radiazioni monocromatiche di differente lunghezza d'onda.
Al principio dell''800 il fisico inglese Thomas Young propose una teoria della visione in cui si sosteneva la
presenza di tre differenti tipi di recettori, ognuno dei quali in grado di percepire un particolare colore: dalla
combinazione delle sensazioni provenienti da ciascuno di essi, risulterebbe la percezione dei colori nello
spettro visibile. Nella sua ipotesi iniziale, Young indicò come colori primari, cioè quelli alla base di ogni
possibile combinazione, il rosso, il giallo e il blu. Successivamente modificò la sua teoria indicando come
primari il rosso, il verde e il violetto. Le tesi di Young furono riprese circa mezzo secolo dopo dal tedesco
austriaco Hermann von Helmholtz. Da allora la cosiddetta teoria tricromatica della visione, basata cioè
sull'azione combinata di tre diversi tipi di recettori fotosensibili, è nota anche come teoria di Young-
Helmoltz.
Il singolo cono è "cieco" ai colori, così come il singolo bastoncello. Per estrarre l'informazione sulla
composizione spettrale della luce è necessario confrontare il segnale dei diversi tipi di coni.
Questo viene fatto a livelli successivi dell' elaborazione dell' informazione lungo le vie visive.
Il campo recettivo è il punto in cui la luce attiva le cellule, è la finestra sul mondo della cellula. Più
tecnicamente, il campo recettivo è l'area dello spazio esterno (che comprende i fotorecettori) che, se
stimolato, provoca una risposta nella cellula. Da alcuni esperimenti si è visto che il campo recettivo delle
cellule gangliari è circolare, e che il tipo di risposta dipende dal fatto che la luce lo colpisca nel centro o
nella periferia, e questo tipo di risposte sono opposte. Infatti le gangliari si dividono in:
• centro on: in condizioni di buio hanno un'attività di base. Quando viene proiettata luce nel suo
centro lei alza il suo tasso di risposta, mentre se si proietta luce in periferia, la risposta è opposta a
quella di prima, quindi è una risposta inibitoria, che porta la cellula a scaricare meno o addirittura a
smette di scaricare, fino a che la luce viene proiettata nella periferia.
• centro off: sono il contrario delle centro on, una proiezione di luce al centro le inibisce, mentre in
periferia fa aumentare il tasso di risposta.
Mettere in opposizione queste due zone serve a calcolare il contrasto: il sistema visivo calcola la differenza
di luce in una certa zona del campo visivo.
Griglia di Hermann
Quando guardiamo un punto la parte periferica non è messa a fuoco, quindi l'occhio confondere la parte
scura e quella chiara. Le macchie scure spariscono quando le guardiamo sono un’interazione tra il campo
recettivo centro-periferia con quello in fovea più piccolo, quindi tra centro off e on che abbassano la
percezione della zona chiara.
Ogni cono nella fovea ha una sinapsi con due cellule bipolari che fanno sinapsi con due cellule gangliari.
Solo in fovea succede questo, e grazie a questo fatto non c'è integrazione. Le due cellule bipolari sono una
off e una on, e anche le gangliari sono rispettivamente off e on. La finalità è prendere informazioni sulla
luce e portarla fuori dall'occhio, e questo è l'unico percorso.
Le cellule gangliari on hanno un attività base 100 m al secondo, ma con la luce si attivano e da 10 Hz passa a
12 Hz. La cellula si accorge immediatamente che qualcosa è cambiato, ovvero si rende conto
dell’incremento, mentre si accorge più lentamente di un decremento. Per le cellule gangliari off è il
contrario: si accorgono più lentamente di un incremento e più velocemente di un decremento. Tutto ciò
rende il sistema simmetrico, ci si accorge subito sia dell’incremento sia del decremento, permettendo
l'analisi di cambi veloci di luminosità.
Centro-periferia
Le cellule orizzontali connettono orizzontalmente i fotorecettori e trasferiscono i segnali tra i coni, per
questo il campo recettivo comprende le cellule al centro più quelle intorno a lui connesse tramite le cellule
orizzontali. Però quando un segnale da un cono esterno viene trasferito a quello centrale, cambia di segno,
facendo passare il segnale da depolarizzante a iperpolarizzante. Qualunque risposta sia al centro le cellule
intorno hanno attività opposta, quindi potrebbero far rilasciare un neurotrasmettitore inibitorio piuttosto
che uno eccitatorio. Per questo il segnale sulle gangliari è centro periferia, perché dipende sia dal segno del
cono al centro sia da quelli che arrivano dalla periferia.
La frequenza spaziale
Il centro periferia è il filtro per la frequenza spaziale, distingue gli stimoli. Facendo centrare la luce nella
zona eccitatoria del campo recettivo ed il buio nella parte inibitoria la condizione è ottimale, essendo la
parte inibitoria in ombra quindi non essendoci inibizione. Questo porta ad un picco di sensibilità nella
conduzione, la frequenza coincide con le zone centro periferia. L'occhio ha una sensibilità variabile che si
correla con la grandezza degli oggetti.
Ogni immagine è fatta da tanti pezzi, le frequenze spaziali. In un'immagine naturale ci sono tutte le
frequenze, alte, medie e basse, ma ogni segnale può essere scomposto: togliendo le frequenze alte vanno
via i dettagli dell’immagine e si vede l'immagine sfocata, togliendo invece le frequenze basse e medie si
lasciano i dettagli ma va via la base delle immagine.
Il sistema scompone l'immagine, riesce a capire le frequenze che ci sono, fa un’analisi del contrasto e del
colore, e molte informazioni vengono estratte dall'organizzazione centro-periferia.
Le cellule gangliari hanno modalità di attivazione complesse: lo stimolo ottimale è uno stimolo di contrasto,
che da la possibilità di costruire una prima idea, anche se vaga, di quello che abbiamo davanti. I campi
recettivi hanno centri di dimensioni che vanno da 1' nella fovea fino a 3-5° in periferia. Le gangliari possono
dividersi in:
La via P, la via K e la via M sono vie in parallelo che analizzano aspetti diversi di uno stimolo visivo: queste
vie manterranno una relativa separazione lungo le vie visive, per cui sarà possibile individuare aree visive
specializzate nell'analisi del colore e della forma, mentre altre si specializzeranno nell'analisi del
movimento.
Questa capacità del nostro cervello di elaborare in parallelo aspetti diversi di uno stesso stimolo è una
misura delle grandi capacità di elaborazione dei nostri circuiti cerebrali ed è anche alla base della nostra
capacità di elaborare con maggiore attenzione un aspetto di uno stimolo piuttosto che un altro a seconda
delle necessità.
Usciamo ora dalla retina e vediamo come l'elaborazione dell'informazione visiva prosegue analizzando le
proprietà delle cellule visive nelle altre stazioni lungo le vie visive.
Le vie visive
Usciti dal l'occhio abbiamo queste informazioni che viaggiano in diversi percorsi: le informazioni basse sono
nel percorso M, mentre quelle alte sono del percorso P, e le cromatiche nel percorso K.
Dall'occhio per il nervo ottico le informazioni passano dalla zona frontale a quella occipitale.
Le immagini vengono riflesse alle retine ed arrivano al chiasma ottico, dove vanno incontro alla
denidecussazione delle fibre retiniche, ovvero si incrociano le emiretine nasali. Dopo il chiasma tutto ciò
che accade a sinistra è ha carico della parte destra e viceversa. Poi si va nel tratto ottico che contiene la
rappresentazione completa dell’emicampo controlaterale.
1. Area pretettale mesencefalica: media i riflessi pupillari, movimento involontario a carico dell'iride
2. Collicolo Superiore: media i movimenti saccadici (oculari). È una zona con quattro palline, le
superiori sono del sistema visivo, le inferiori del sistema acustico.
3. Nucleo Genicolato Laterale: la parte del talamo visivo, unica delle tre aree a elaborare I segnali
visivi.
A ciascun nucleo genicolato laterale arriva l’informazione relativa all'emicampo visivo contralaterale. Gli
strati 1 e 2 del genicolato ricevono dalle cellule gangliari M e danno origine al canale M. Gli strati dal 3 al 6
fanno parte del canale P. Le K terminano negli strati intralaminari. Continua l’elaborazione in parallelo di
aspetti diversi dell' immagine. Le cellule sono tutte monoculari. I campi recettivi sono simili a quelli retinici.
Il genicolato non opera grandi trasformazioni dell’ingresso dalla retina. Però riceve connessioni da centri
come la sostanza reticolare che regolano lo stato di veglia (nel sonno una cellula del NGL non risponde a
stimoli visivi mentre una cellula gangliare della retina risponde).
Dal nucleo genicolato laterale si va verso la corteccia. Dal talamo si aprono le radiazioni ottiche, che
scendono a innervare il solco calcarino, l'area visiva primaria. Il segnale entra nella corteccia visiva primaria
(o striata).
La corteccia ha sei strati, e ogni percorso va a finire in uno strato diverso: il sistema M si infila e finisce nello
strato 4CAlfa (recettivo), il sistema P finisce soprattutto nel 4CBeta, alcune nell'1. La corteccia visiva
contiene anche piccole aree costituite da cellule con attività metabolica particolare, dette "blob". Le cellule
dei blob appartengono agli strati 2-3 e sono coinvolte nel riconoscimento dei colori. Esse ricevono ingresso
dalla via P (attraverso le cellule dello strato IV) e dalla via K (diretta).
Le cellule piramidali mandano fuori il segnale o scendono in altre aree corticali, fungendo da mediatore.
La cellule corticali
1. Le cellule corticali rispondono agli stimoli delle linee verticali, hanno una selettività
all'orientamento per le barrette di luce verticali, quando una linea è orizzontale la cellula è silente.
Ottengono la capacità di percepire gli orientamenti spaziali a causa delle cellule gangliari a loro
collegate: con quattro cellule gangliari, che hanno campo recettivo circolare, si proietta su una
cellula corticale per il principio di integrazione, quindi il campo recettivo della cellula corticale è
l'insieme dei campi recettivi delle cellule gangliari, che sono orientati nello spazio in una forma di
barretta verticale.
2. Sono selettive per la direzione del movimento. Le cellule gangliari segnalano solo lo spostamento,
mentre le cellule corticali sono in grado di distinguere la direzione del movimento.
3. Sono semplici e complesse: nelle semplici troviamo campi recettivi definiti; nelle complesse il
campo non è definito, ovvero le aree on e off e zone non sono molto ben definite, questo per dare
al sistema tolleranza alle variabili (le oscillazioni del corpo) in modo tale che l’analisi rimanga valida.
Alcune cellule semplici o complesse sono selettive anche per la lunghezza della barra luminosa
(cellule con margini di arresto), fanno quindi un calcolo della zona attivabile e oltre la quale sono
inibitorie.
4. Sono binoculari, ovvero rispondono a una zona osservabile da entrambi gli occhi, ma non sempre
simmetricamente. Le cellule non corticali rispondono o ai segnali di un occhio o dell'altro, quindi
sono segnali monoculari, mentre le cellule della corteccia visiva primaria sono le prime del sistema
visivo che ricevono informazione da entrambi gli occhi. Possono essere:
• Monoculari, ovvero rispondono ad un solo occhio;
• Binoculari, danno lo stesso segnale per entrambi gli occhi;
• Binoculari dominata da un occhio, o per il destro per il sinistro, ovvero per un occhio
rispondono di più.
Queste cellule binoculari, presenti negli strati 2-3 e 5-6, sono eccitabili dalla stimolazione di una
sola piccola area di campo visivo (campo recettivo) che però è vista da entrambi gli occhi. Le cellule
binoculari sono in grado di valutare la profondità e permettono si stimare la distanza a cui siamo
dagli oggetti. Infatti, a parte la zona della fovea, gli oggetti proiettano negli occhi in modo diverso,
quindi il cervello dovrebbe farci vedere due immagini degli oggetti differenti, una relativa ad un
occhio e una relativa all’altro, ma lui sfrutta le due immagini per avere una percezione precisa della
profondità, questo è il vantaggio di avere due occhi nello stesso piano. Il cervello calcola questa
disparità binoculare per calcolare la distanza.
Colonne e ipercolonne
Tutto nella corteccia è organizzato in colonne. Le zone corticali hanno caratteristiche diverse che si
raggruppano in strutture a forma di colonna, quindi le cellule con uguale orientamento preferenziale sono
raggruppate nelle stesse colonne. Il raggruppamento delle varie colonne forma l’ipercolonna, struttura del
cervello che ha tutti i meccanismi per estrarre tutte le informazioni visibili in una certa zona del campo. Le
ipercolonne sono come dei microrganismi verticali che analizzano rispettivamente diverse zone.
Connessioni orizzontali
I moduli con proprietà simili sono connessi tra loro da connessioni orizzontali. Queste connessioni
orizzontali, che corrono cioè parallele alla superficie corticale connettendo colonne diverse, consentono di
integrare l'informazione su zone di campo visivo molto più grandi delle dimensioni dei campi recettivi delle
singole cellule corticali. Come risultato della loro esistenza, una cellula può essere influenzata da stimoli al
di fuori del suo campo recettivo e può quindi cambiare la sua risposta in funzione del contesto in cui lo
stimolo visivo cui risponde è inserito.
Questo è un punto importante, perché è stato suggerito che la presenza di gruppi di cellule che mostrano
attività correlata, fenomeno che sembra facilitato durante stati in cui c'è un'alta attività sulle frequenze
gamma (40-70 Hz), potrebbe essere sfruttata per segnalare relazioni funzionali selettive durante stati di
attesa o di attenzione focalizzata e questi pattern dinamici di attività potrebbero consentire il
raggruppamento e la selezione di risposte neuronali distribuite nello spazio corticale per inviarle come un
"unicum" ad ulteriori stadi di elaborazione.
Ora, supponiamo che un oggetto attivi una certa popolazione di neuroni nella corteccia visiva, ogni neurone
attivato da diverse caratteristiche dello stimolo a seconda del tipo di campo recettivo posseduto. L'attività
oscillatoria sincrona di diverse popolazioni neuronali che condividono le stesse caratteristiche (risposta a
bordo verticale, risposta a contrasto cromatico, risposta allo stesso grado di disparità retinica) potrebbe
costituire un "legame" fra popolazioni che rispondono a caratteristiche differenti dello stesso oggetto.
Questa informazione potrebbe favorire il "legare insieme" queste caratteristiche per giungere ad un
percetto unico (asta verticale verde e rossa, posta di fronte ad un muro bianco). Il grado di sincronia
dell'attività di queste cellule dipenderebbe anche dall'arrivo di segnali da aree visive superiori, in
particolare segnali legati all'attenzione. L'attenzione è un requisito essenziale affinché le diverse
caratteristiche di un oggetto vengano a confluire in un percetto coerente.
Dalla corteccia visiva primaria V1 le proiezioni arrivino tutte alla corteccia visiva secondaria V2 e come da
qui si dipartano due vie di proiezione, una diretta verso le aree corticali inferotemporali (via ventrale) ed
una diretta verso le aree parietali (via dorsale). La via ventrale è principalmente coinvolta nel
riconoscimento degli oggetti e nell'analisi del colore(What). La via dorsale è principalmente coinvolta
nell’analisi del movimento (Where). Aree visive superiori diverse si attivano per stimoli diversi, colore e
stereogrammi attivano entrambi la V1 ma selettivamente il colore attiva aree IT (V4) mentre lo
stereogramma attiva l'area medio-temporale (MT). In pratica è un riepilogo dell'analisi in parallelo di
movimento, colore, tridimensionalità e forma nella aree visive superiori. Esistono più di 30 aree visive, è la
modalità sensoriale più rappresentata nel cervello umano
I neuroni nella corteccia inferotemporale rispondono alla presentazione di stimoli complessi. La corteccia
medio¬temporale (MT, via del "dove") è responsabile della percezione del movimento. Recentemente
l'utilizzo della stimolazione transcranica magnetica ha consentito di studiare nell'uomo gli effetti dovuti al
disturbo recato all'attività di cellule corticali in aree ben precise.
La lesione del lobo parietale destro causa una eminegligenza dell' emicampo visivo sinistro.
L'attività di V1 non è sufficiente alla percezione cosciente. Come può dall'attività di cellule in aree diverse
emergere una consapevole, unitaria esperienza percettiva, che contenga tutte le caratteristiche di un
oggetto?
Il sistema acustico
La percezione acustica
Il suono è caratterizzato da rarefazione e compressione. Gli oggetti rigidi perturbati trasmettono energia
che sposta le molecole del mezzo in cui è immerso, per questo nello spazio non ci sono rumori, perché non
c'è il mezzo di trasmissione e le molecole non si possono propagare. L'oggetto spinge le molecole nel mezzo
elastico, ed esse si comprimono e poi si rilasciano. In natura non esistono toni puri, ovvero formati da più
frequenze. L’unico tono puro conosciuto è quello del diapason, se toccato lui fa propagare un suono nello
spazio ben definito con un’onda sinusoidale.
Tutti i suoni, a parte il diapason, sono complessi, ma comunque scomponibili in seni e coseni. Un suono ad
onda quadra è una sinusoide fondamentale.
• La corrispettiva psicologica della frequenza è l'altezza del suono. La frequenza di un' onda è
l'inverso del periodo: quindi, se un' onda ha un periodo di 100 msec, la sua frequenza sarà di 10
periodi/sec. 1 periodo (o ciclo)/sec è 1 Hertz (1 Hz). Un' onda con periodo 100 msec avrà la
frequenza di 10 Hz. La frequenza di un' onda determina l'altezza del suono percepito: frequenze
basse corrispondono a suoni gravi, frequenze alte corrispondono a suoni acuti. Noi siamo in grado
di percepire come suono onde di vibrazione con frequenze che vanno da circa 20 Hz a circa 20.000
Hz. Come abbiamo già detto per l'intervallo del visibile, altre specie hanno intervalli dell' udibile
diversi, in particolare carnivori e roditori sono sensibili a frequenze più alte di 20.000 Hz
(ultrasuoni).
• L'ampiezza dell'onda determina l'intensità del suono: più grande è l'ampiezza, più intenso è il
suono. Psicologicamente corrisponde al volume. L'intensità è definita in decibel ed è il livello della
pressione del suono che preme sulla membrana rispetto alla pressione di soglia. L'intensità del
suono viene espressa frequentemente in maniera relativa, ovvero in rapporto alla intensità minima
percepibile per le frequenze sonore cui siamo più sensibili (la frequenza di riferimento è di 4000
Hz). Livello della pressione del suono L(dB) = 20 * log10 P/P. P = pressione in esame.
Pr = pressione di riferimento pari alla soglia umana per suoni di frequenza 4 kHz.
20 dB= 1 log
• Il timbro è la forma dell'onda ed è legato ai meccanismi delle armoniche di un suono (le armoniche
sono somma di onde) La forma d'onda determina il timbro del suono, ed è data dalla cassa
armonica dello strumento. A parità di frequenza di una nota, è possibile riconoscere facilmente se
essa è stata emessa da un violino piuttosto che da una viola e, con un po' di esercizio, si può
distinguere la "voce" di due diversi violini.
L’orecchio
1. La zona esterna, chiamata anche pinna o padiglione, è formata da cartilagine piegata per far
riconoscere il suono e la sua posizione. Inoltre cattura i suoni frontali e inibisce quelli posteriori. I
suoni entra attraverso l‘orecchio esterno che li convoglia nel canale uditivo.
Il timpano segna la fine dell’orecchio esterno e l’inizio della zona mediale. Esiste un muscolo
timpanico che irrigidisce le strutture ossee per salvare le membrane in presenza di onde troppo
forti, attenua i suoni. Ha un tempo di reazione di 40 millisecondi e se l'intensità è troppo forte
irrigidisce gli ossicini o la tensione della membrana. Si è evoluto per salvare l'orecchio dai tuoni.
2. La zona media, che inizia col timpano, viene messa in vibrazione e mette in movimento i tre ossicini
al suo interno, ovvero il martello, l’incudine e la staffa , che fanno propagare le vibrazioni dal
timpano fino alla membrana della finestra ovale grazie alla staffa che vi è appoggiata. È una
vibrazione meccanica. Gli ossicini trasmettono il segnale, ma inoltre lo amplificano e mettono in
sicurezza il sistema se l'intensità è troppo alta. La finestre ovale segna la fine della zona media e
l’inizio della zona interna.
3. La zona interna è la coclea, ovvero “la retina del sistema acustico”, in cui si trasducono i segnali.
La coclea
Il primo passo verso l'udito è la cattura dell' energia meccanica delle onde di pressione, la sua trasmissione
all' orecchio interno e la trasduzione in segnale nervoso, compiuta dalle cellule ciliate dell' orecchio interno.
L'energia arrivata all’elicotrema deve essere fatta uscire dalla finestra rotonda, membrana che fa uscire
l'energia. Quando la coclea vibra la membrana basilare si modifica e vibra in maniera verticale. Sulla
membrana basilare le ciliate interne hanno nella parte superiore dei filamenti chiamati stereociglia che
toccano sopra la membrana tettoria. Le stereociglia sono congiunte da legami di punta che a riposo sono
un po' in tensione, quindi la cellula è sempre un po' depolarizzata. Quando arriva la vibrazione oscilla la
membrana e i legami si possono comprimere, aumentano quindi la loro tensione, o rilassare, e fanno
effetto sui canali ionici. La compressione aumenta la depolarizzazione, mentre la distensione aumenta
l’iperpolarizzazione. Il pattern di segnali neurali generano potenziali d'azione.
La vibrazione del timpano viene trasmessa alla finestra ovale per mezzo degli ossicini dell'orecchio medio,
viene trasmessa quindi al liquido della scala vestibolare che si sposta deformando la membrana che chiude
la finestra rotonda. In questo modo i movimenti dei liquidi endococleari determinano l'oscillazione della
membrana basilare. Questo determina sulla membrana basilare (MB) l'insorgenza di un'onda viaggiante di
vibrazione il cui massimo si raggiunge in punti diversi della MB a seconda della frequenza del suono. Le
cellule ciliate poste a distanza diversa dalla base della MB e le fibre del nervo acustico che le innervano
mostrano sensibilità massima a frequenze acustiche diverse. Ogni cellula ha preferenze, in punti diversi
preferiscono suoni con frequenze diverse. Suoni con toni diversi mettono in vibrazione tutta la membrana,
ma in particolare solo una zona. La MB è stretta alla base e larga all'apice: la base vibra bene su frequenze
più alte (10 kilohertz), la zona media sulle frequenze medie e l'apice su frequenze basse. Questo da una
frequenza caratteristica alle ciliate per la quale la cellula è particolarmente sensibile. In questo modo la MB
fa un'analisi tonotopica del suono in ingresso. Il sistema acustico in questo modo scompone le frequenze.
La morfologia delle cellule ciliate (CCE) (corte alla base, lunghe e flessibili all'apice) conferisce loro una certa
selettività per le frequenze acustiche che è in corrispondenza con quella locale della membrana basilare
(fibre corte e rigide alla base, lunghe e flessibili all'apice). Le CCE attive possono quindi amplificare
l'oscillazione locale attraverso i loro movimenti oscillatori. Dato che l'ampiezza dell'oscillazione delle CCE
dipende dall'entità della loro depolarizzazione, tale ampiezza sarà massima in una ristretta regione della
membrana basilare, dove l'oscillazione della membrana basilare è massima. In questo modo, le CCE
contribuiscono ad amplificare selettivamente la risposta oscillatoria della membrana basilare, e quindi il
segnale delle cellule ciliate interne, in una ristretta zona della membrana basilare. La presenza di
amplificazione locale aumenta la selettività della coclea per la frequenza dell'onda sonora. Hanno un ruolo
di amplificazione, senza si confonderebbero i picchi di intensità dei suoni e non si distinguerebbero,
amplifica la zona più in vibrazione e rendono più nitida la percezione acustica.
L'attivazione delle cellule ciliate esterne ne causa l'accorciamento. Le ciliate esterne possono allungarsi a
seconda della depolarizzazione o iperpolarizzazione. La loro lunghezza cambia la probabilità meccanica di
vibrazione. A causa delle caratteristiche meccaniche della membrana basilare (più larga ed elastica all'
apice, più stretta e rigida alla base) e del contributo attivo dato dalle cellule ciliate esterne, la membrana
basilare svolge sostanzialmente una prima analisi della frequenza dei suoni.
Le cellule ciliate poste a distanze progressivamente maggiori dalla base rispondono progressivamente a
frequenze acustiche più basse. Una volta che il segnale è trasdotto dalla coclea, quindi una volta ottenuta la
codifica di scissione delle frequenze, le proiezioni degli assoni delle cellule ciliari interne fanno sinapsi con le
fibre delle cellule del ganglio del Corti, i cui assoni centrali formano il nervo acustico, che proietta sui nuclei
cocleari. Le fibre del nervo acustico mostrano quindi una risposta massima per una precisa frequenza
acustica (frequenza caratteristica) che dipende dalla posizione lungo la membrana basilare della ciliata
interna che contattano. La scarica delle cellule del ganglio del Corti declina rapidamente allo spostarsi della
frequenza acustica rispetto alla frequenza caratteristica. La frequenza del suono è quindi codificata dalla
posizione lungo la coclea in cui avviene il contatto sinaptico dell’assone (codice di luogo) e dalla frequenza
di scarica dell'assone (curva di selettività)
Questo arrangiamento spaziale ha consentito lo sviluppo di protesi, dette impianti cocleari, che possono
supplire a situazioni di sordità dovute alla degenerazione o al mancato sviluppo delle
cellule ciliate. La protesi consta di un microfono per captare i suoni e tradurli in segnali elettrici, un
processore per scomporli in frequenze semplici ed una serie di elettrodi per stimolare le fibre del nervo
acustico. Sapendo che le fibre progressivamente più lontane dalla base avrebbero portato il segnale
relativo a frequenze acustiche progressivamente più basse, i segnali sulle diverse frequenze in uscita dal
processore vengono inviati agli opportuni elettrodi, piazzati lungo la coclea, dalla base all' apice.
I nuclei cocleari, che hanno varie zone e ricevono diversi afferenze (codice di frequenza) per analizzare in
parallelo le parti diverse del suono (alte, apicali; basse, basali).
Dai nuclei cocleari emergono diverse vie parallele (tono, timing). Le cellule dei nuclei cocleari sono tutte
monoaurali e mostrano morfologie e proprietà di risposta diverse.
• Le cellule a cespuglio codificano con grande precisione per il tempo d'arrivo dei suoni e sono
considerate importanti per la localizzazione della direzione di provenienza del suono lungo il
meridiano orizzontale.
• Le cellule fusiformi hanno proprietà di risposta tali da farle considerare importanti per la
localizzazione del suono lungo il meridiano verticale.
• Le cellule stellate codificherebbero con particolare accuratezza l'intensità e la frequenza del suono,
• le cellule octopus l'intensità (cellule diverse codificano per intervalli di intensità diversi).
Anche nel sistema acustico si creano vie parallele che analizzano aspetti diversi dello stimolo
(frequenza, localizzazione). Nel sistema visivo le vie parallele iniziano a differenziarsi dalla retina, nell'
acustico le troviamo in maniera netta a partire dai nuclei cocleari.
A livello del tronco encefalico il bulbo proietta su strutture del ponte dove ci sono i nuclei olivari superiori,
che sono la prima stazione di trasmissione del segnale dove le cellule ricevono i segnali da tutti e due gli
orecchi, quindi confronta i due segnali per costruire una mappa spaziale. Integrati i segnali si fa la
ritrasmissione sui collicoli inferiori, che si trovano nel mesencefalo. In seguito si fa proiezione a livello del
talamo acustico sul nucleo genicolato mediale, e in seguito si proietta al lobo temporale dove c'è la
corteccia temporale acustica primaria.
La localizzazione del suono avviene in base ad indizi binaurali (localizzazione lungo il meridiano orizzontale)
e monaurali (localizzazione lungo il meridiano verticale).
Gli indizi binaurali dipendono da precise relazioni temporali (timing) nella differenza tra il tempo di arrivo
del suono ai due orecchi (differenza di tempo interaurale) e dalla differente intensità del suono fra
l'orecchio ipsi e controlaterale (differenza di intensità interaurale).
I primi sono utilizzati ed elaborati da neuroni con alta sensibilità al timing nell'oliva superiore mediale. I
secondi sono utilizzati ed elaborati da neuroni nell'oliva superiore laterale.
Gli indizi monaurali derivano dal fatto che la forma e la disposizione delle pliche dei padiglioni auricolari
opera un filtraggio diverso sulle frequenze del suono a seconda di dove è posizionata la sorgente sonora
(alto-basso).
Ci sono due meccanismi complementari per il piano orizzontale: differenza di intensità interaurale e
differenza di tempo interaurale.
• Propagazione fisica dei suoni che interagiscono con la testa: l'intensità dei suoni che colpiscono un
orecchio è maggiore dell'intensità che colpisce altro, questo perché la testa è fonoassorbente, cioè
assorbe l'energia di una parte del suono e crea una zona in ombra. Il sistema si è voluto in modo
che a livello dei nuclei olivari superiori laterali (LSO) la parte laterale confronta l’intensità di quello
che arriva all'orecchio destro e al sinistro. Il complesso delle olive superiori laterali riceve segnali o
dalla zona posteroventrale ipsilaterale o dalla zona controlaterale. Se riceve dalla zona ipsilaterale,
che è a sinistra, il segnale è eccitatorio, mentre se la riceve dalla parte controlaterale il segnale fa
sinapsi al corpo trapezoidale, che mette in collegamento il nucleo di destra con quello di sinistra,
ma gli fa cambiare di segno, quindi il segnale inizialmente eccitatorio arrivato dal nucleo cocleare
posteroventrale controlaterale diventa inibitorio. Se l’inibizione supera l’eccitazione l'intensità del
controlaterale è più alta, quindi il suono proviene da destra, se è il contrario quindi se avviene una
depolarizzazione l'intensità ipsilaterale deve essere più alta della controlaterale, quindi il suono
deve venire da sinistra. A seconda dell’iperpolarizzazione o dalla depolarizzazione si capisce da
dove viene il segnale. L'altro nucleo deve ottenere il codice inverso, fa la stessa cosa ma al
contrario. I suoni davanti hanno un vantaggio di intensità a causa della forma del padiglione. Un
suono ad alta frequenza è bloccato bene dalla testa, ma per frequenze più basse è più difficile
capire la differenza d’intensità, quindi questo metodo funziona bene per frequenze sopra i 6k
Hertz. Le frequenze alte danno una differenza di intensità che correla la posizione del suono nello
spazio, ma con frequenze più basse c’è differenza fra i livelli di intensità perché la frequenza bassa
può circumnavigare la testa, sono frequenze che si disperdono più lentamente, al contrario delle
altre, che si disperdono più velocemente.
• Modello di Jeffress. Si basa sulla velocità di propagazione e sulle linee di ritardo, lo fanno le MSO,
nuclei olivari superiori mediali: un suono proveniente da sinistra arriva prima all’orecchio sinistro
che al destro. La differenza di tempo di arrivo viene analizzata dal sistema come un codice, usato
per localizzare il suono. Un suono che arriva frontalmente non crea differenza di arrivo, arriva cioè
insieme a tutti e due li orecchi, stessa cosa vale per un suono proveniente da dietro, mentre la
differenza diventa massima se un suono proviene o da destra o da sinistra. Questo metodo lavora
bene su frequenze più basse. Essi costituiscono un sistema di cellule binaurali che funzionano
come detettori di coincidenza, ovvero cellule che hanno bisogno di ricevere da due cellule vicine
contemporaneamente per essere attivate. Il detettore di coincidenza riceve da due cellule e ha
una soglia che se non riceve da entrambe contemporaneamente non scarica. Il suono entra
dall’ipsilaterale e dal controlaterale da direzioni opposte, e fanno sinapsi con un detettore a
seconda del timing con cui arrivano. A seconda di che detettore cellulare viene attivato, che deve
ricevere sia dall’ipsilaterale sia dal controlaterale contemporaneamente, capiamo da dove c'è
ritardo, si sa la differenza di tempo tra i due segnali, quindi da dove arriva il segnale. Tutte le
strutture sono in face-lock: i face-lock sono neuroni che scaricano selettivamente per una fase
dell'onda, questo perché avere neuroni del genere ci aiuta a fare un campionamento distribuito,
ovvero un codice digitalizzato; le cellule si dividono i compiti per codificare tutto il segnale,
distribuisce un’analisi acustica, un codice temporale.
La zona esterna dell’orecchio convoglia i suoni nel canale uditivo, ma non essendo mobile un suono emesso
dietro l'orecchio emette energia piatta su tutta la banda delle frequenze, ovvero emette lo stesso su tutte
le frequenze. Quando colpisce il padiglione nelle pieghe dell'orecchio le onde di frequenza diversa si
riflettono in modo diverso, vengono scompattate per ragioni di natura fisica. All'interno del canale alcune
frequenze saranno state inibite, altre lasciate così come sono, altre ancora saranno state amplificate.
Questa interazione tra il padiglione e le varie frequenze dipende dall'angolazione di arrivo del suono, in
particolare se arriva dall'alto o dal basso. A seconda della frequenza e a seconda della posizione verticale di
arrivo del suono, arriverà al timpano il suono con una certa energia, ed ogni volta che arriva un suono la sua
posizione spaziale viene memorizzata dal cervello, e mano a mano che il cervello memorizza e impara
costruisce una mappa spaziale. Il padiglione trasforma informazioni dallo spazio esterno in qualcosa che il
cervello capisce. Ogni volta che vengono codificati questi valori, il cervello può creare mappe nuove senza
sovrascrivere la vecchia, si abitua ad apprendere altre informazioni senza sovrascrivere la precedente.
Mappa tonotopica
Il collicolo inferiore è una struttura estremamente complessa, fatto da strati concentrici, ed ogni strato
possiede cellule con la stessa frequenza caratteristica, in pratica ogni strato rappresenta un’unità che
codifica una determinata frequenza, in questo modo costituiscono la mappa tonotopica che si estende in
direzione perpendicolare agli strati. Sono neuroni binaurali, sensibili sia al ritardo che alla differenza di
intensità interaurale, codificano le informazioni della localizzazione, che proiettano al nucleo talamico
acustico, il nucleo genicolati mediali. In questa struttura è presente una organizzazione tonotopica e le
risposte dei neuroni sono estremamente selettive per la frequenza caratteristica, più che nei neuroni del
collicolo inferiore. In seguito si proietta alla corteccia acustica primaria, nel lobo temporale. Il sistema
acustico, diversamente da quello visivo, ha la corteccia primaria in una zona vicino all'organo esterno,
l'orecchio.
La corteccia acustica
Possiede tre aree, A1, R, e RT, che costituiscono il nucleo della corteccia, il core. Queste aree proiettano ad
8aree secondarie localizzate nella "cintura" corticale che circonda il "core", il belt, ognuna con la solita
codifica tonotopica. Intorno ci sono altre aree, che formano il parabelt, che possiedono neuroni sempre più
sensibili a stimoli acustici di alto livello. Le aree più esterne fanno analisi più complesse.
Neuroni delle aree della "cintura" rispondono bene solo a stimoli complessi e rilevanti. I neuroni dell'area
AL sono abbastanza selettivi per il tipo di stimolo. Al contrario i neuroni dell'area CL rispondono in modo
selettivo per la posizione della sorgente sonora e non per la composizione in frequenza dello stimolo
Colonne di isofrequenza
Nella corteccia acustica primaria, i neuroni sono binaurali, selettivi per le frequenze acustiche e sono
organizzati in colonne di isofrequenza ed in colonne alternate di sommazione o soppressione. Nelle colonne
di isofrequenza, tutti i neuroni hanno la stessa frequenza caratteristica. Nelle colonne di sommazione i
neuroni sono eccitati dalla stimolazione di entrambe le orecchie, anche se l'orecchio controlaterale è in
genere dominante. Nelle colonne di soppressione i neuroni sono eccitati dalla stimolazione di un orecchio
ed inibiti dalla stimolazione dell' altro orecchio.
L’organizzazione colonnare è quindi presente anche nella corteccia acustica. Le colonne di isofrequenza
sono organizzate in bande che corrono grosso modo in direzione medio-laterale. Quindi, una particolare
frequenza è rappresentata come una banda di tessuto corticale, spessa come lo spessore della corteccia.
Queste bande progrediscono dalle frequenze alte nella regione caudale di A1 alle frequenze basse nella
regione rostrale di A1, al bordo con l'area R. Qui c'è una inversione del gradiente, con le frequenze basse
nella parte caudale di R e le alte alla parte rostrale, e di nuovo una inversione per RT.
Mentre c'è il flusso seriale si fa contemporaneamente un’analisi in parallelo, che ci fa distinguere che cosa è
un suono, via del What, a carico del sistema ventrale, rispetto a dove è un suono, via del Where, parietale.
La via ventrale del riconoscimento dei suoni (via del "What"); la via dorsale della localizzazione del suono
(via del "Where").
Nell' uomo, il sistema acustico, oltre a fornire i mezzi per orientarsi e localizzare sorgenti sonore, è
implicato nel riconoscimento dei suoni e, normalmente, nell' elaborazione del linguaggio.
Come è evidente da quanto detto sopra, abbiamo pochissime informazioni su come i suoni di carattere
linguistico vengono elaborati dai singoli neuroni acustici. Lo studio di pazienti con lesioni e le tecniche di
neuroimmagine consentono di localizzare con precisione le aree corticali coinvolte nell' elaborazione
linguistica nell' uomo ma la mancanza di modelli animali per l' elaborazione del linguaggio non consente di
avere modelli in cui arrivare a livello dell' attività dei singoli neuroni.
Il sistema somatosensoriale
Avere un'idea della propria identità in un contesto di altri individui simili è un'attività che si genera dal
riconoscere se stessi come entità. Tutto ciò che vediamo è altro da noi, e se la modalità visiva non ti aiuta
cosa definisce l'entità? In filosofia l'identità nasce con gli organismi unicellulari, l'idea di un essere contro il
resto del mondo. Ma cosa siamo noi biologicamente? Noi siamo il nostro corpo e l'idea che abbiamo di esso
grazie al sistema somatosensoriale. Esso si riferisce ad un sistema di meccanismi che definiscono il
funzionamento dell'essere. Il sistema somatosensoriale è formato da quattro sistemi diversi: il tatto, la
propriocezione, la percezione termica e la percezione nocicettiva.
1. Il tatto, sensazioni meccaniche sulla pelle, energia meccanica degli oggetti che entrano in contatto
con la pelle;
2. La temperatura, essendo mammiferi abbiamo il meccanismo dell'omeostasi, che mantiene la
nostra temperatura corporea costante spendendo energia, e quando veniamo a contatto con un
altro tipo di temperatura abbiamo dei termorecettori che ce la fanno percepire.
3. Propriocezione, avere un'idea di come è posizionato il nostro corpo;
4. Nocicezione, ovvero la trasmissione delle informazioni dolorifiche.
È un sistema diviso in quattro forme di energia tutte veicolate dai detettori periferici, che codificano il
segnale e lo inviano dalla periferia al centro, ovvero il midollo spinale, attraverso i neuroni dei gangli delle
radici dorsali, un cavo unico formato da tante connessioni. Mentre le informazioni della testa, ovvero il
sistema somatosensoriale della parte superiore, sono portate dal trigemino, il quinto nervo cranico.
Il recettore trasduce le informazioni e le trasmette al nervo ganglio, alcune vanno verso il centro inferiore,
altre ai riflessi spinali. Il midollo spinale ha nella parte dorsale agli innesti del nervo ganglio, che vanno nel
gracile o nel cuneato. Mentre quando il cervello prende decisioni, quindi è lui che deve mandare il segnale,
induce risposta motoria veicolata alla periferia attraverso la parte ventrale.
I terminali periferici dei neuroni dei gangli delle radici dorsali sono di due tipi: terminazioni nervose nude o
terminazioni nervose incapsulate
• quelle lunghe non hanno la capsula e trasducono il segnale con la cascata di eventi chimici,
mediano le informazioni termiche e nocicettive;
• quelle incapsulate, hanno il trasduttore avvolto da una struttura che lo incapsula, mediano le
informazioni tattili e propriocettive.
Il sistema tattile
La pelle è l'organo di senso più grande che abbiamo, disteso è grande 2 metri quadrati e ha 4 kg di peso. I
meccanorecettori sono recettori meccanici che devono tradurre i segnali provenienti da un'informazione
della pelle. La pelle ha una tensione di base che se deformata fa attivare i meccanorecettori. I
meccanorecettori sono divisi in quattro:
• due tipi di recettore sono collocati negli strati superficiali della pelle, il recettore di Merkel ed il
recettore di Meissner,
• due nel tessuto sottocutaneo, i recettori del Pacini ed i recettori del Ruffini.
Quelli superficiali sono più sensibili alla deformazione delle increspature, percepiscono la variazione di
tensione, mentre quelli in profondità sono sensibili ad un'area della cute più ampia e alla pressione più
forte. Si differenziano anche per caratteristiche funzionali, non sono fisiologiche:
• I recettori di Meissner ed i recettori del Pacini sono a rapido adattamento, cessano cioè
rapidamente di rispondere ad uno stimolo costante. Rispondono ai transienti della stimolazione,
codificano l'inizio della stimolazione e quando finisce, non è un'attività sostenuta, non dichiarano
per quanto tempo c'è lo stimolo ma scaricano i potenziali d'azione quando inizia e quando finisce,
quindi danno il codice temporale.
• I recettori di Merkel e del Ruffini sono invece a lento adattamento, rispondono allo stimolo
continuo, scaricano per tutto il tempo e adattano la scarica all'intensità dello stimolo.
Nelle colonne dove vengono raggruppati i meccanorecettori si trovano sempre sia quelli a rapido
adattamento sia quelli a lento adattamento, in ordine alternato, in modo tale da avere sia un’analisi del
timing sia dell’intensità dello stimolo.
Nella cute con peli i principali meccanorecettori a rapido adattamento sono i recettori dei bulbi piliferi,
sensibili allo spostamento del pelo che emerge dal bulbo.
Campo recettivo
Per stabilire che i campi recettivi tattili sono più grandi o più piccoli in determinate zone si da una
stimolazione tattile con un oggetto con due estremità in diverse zone. Quando questo oggetto si troverà
sulle punte delle sue dita il soggetto, bendato, dirà che ci sono due contatti, ovvero le due estremità, che
riuscirà a percepire. Ma se lo stesso oggetto viene messo sul palmo le due estremità cadranno nello stesso
campo recettivo, il cervello quindi percepirà una sola stimolazione, quindi per lui è solo una sola entità.
Soglia dei due punti è di 2 mm sulle punte delle dita, 4 mm sulle labbra, 10 mm sul palmo, 40 mm sulla
coscia e sul polpaccio.
I recettori di Meissner hanno una frequenza più alta, da 3 a 40 eventi al secondo, e ci consentono di sentire
se qualcosa ci scivola da una mano.
I corpuscoli del Pacini hanno una frequenza da 40 a 500 Hertz, servono per regolare la pressione del
contatto tra qualcosa che stiamo tenendo ed un'altra superficie.
I recettori del Ruffini hanno una frequenza del 100 500 Hertz, servono sia per lo stiramento della pelle sia
per lo scivolamento, inoltre per calibrare la presa degli oggetti.
Il sistema propriocettivo
La propriocezione è il senso della posizione e dei movimenti dei propri arti e del proprio corpo. Quest'
ultima è nota anche come cinestesia. Queste informazioni sono essenziali per il controllo dei movimenti e
della postura ma sono anche parte essenziale della percezione del nostro corpo. Ci sono tre tipi di
meccanorecettori con funzione propriocettive nei muscoli e nelle articolazioni:
• I propriorecettori dei fusi neuromuscolari, che si avvolgono intorno a fibre muscolari specializzate
all' interno di una struttura chiamata fuso neuromuscolare e collocata all' interno del muscolo. Tali
recettori segnalano la lunghezza del muscolo.
• I recettori tendinei del Golgi, che si collocano all' interno dei tendini e segnalano la tensione
esercitata sul tendine a un gruppo di fibre muscolari.
• I recettori articolari, collocati nelle capsule articolari, segnalano la flessione o l'estensione
dell'articolazione.
La propriocezione è parzialmente a carico dei meccanorecettore tattili perché si hanno distensione della
pelle. Il nostro corpo è legato a noi perché il nostro cervello lo conosce attraverso questi meccanismi. La
somatoparafrenia è una condizione patologica in cui non si riconosce il proprio corpo, si dissocia l'idea di sé
come cosa innata e come informazioni che arriva al corpo.
Il sistema nocicettivo
Le zone del dolore sono le zone sensibili al dolore che rispondono al livello del dolore percepiti dai
nocicettori. Questo sistema appartiene a tutte le dimensioni, ci segnala che qualcosa può mettere a
repentaglio le funzionalità del sistema. È un meccanismo di difesa, serve per salvaguardare l'individuo.
Il sistema termocettivo
Calcola la differenza di temperatura tra un oggetto che fa contatto e la pelle spessa. Ci sono per il freddo,
sentono la riduzione di temperatura fino a un tot che poi passa il dolore, stessa cosa per quelli del caldo.
Le vie somatosensoriali
Ogni sistema del somatosensoriale è complementare con gli altri, essi riguardano la periferia, ma tutte le
informazioni vanno veicolate verso l'alto tramite le vie somatosensoriali, che sono due e differenziano le
informazioni trasportate dai recettori incapsulati (informazioni tattili e propriocettive) e quelli del terminale
del gangli della spina dorsale nudi (informazioni nocicettive e termocettive)
1. Il sistema colonne dorsali-lemnisco mediale, che convoglia informazioni per le modalità tattile e
propriocettiva. Le informazioni di questa via salgono nella corteccia somatosensoriale, che è nel
lobo parietale, nella via spinale attraverso il sistema delle colonne dorsali. Le cellule dei gangli delle
radici dorsali proiettano i nuclei gracile e cuneato, poi al talamo, e poi all’area S1. È una via che si
incrocia a livello del tronco encefalico, al bulbo, quindi tardi
2. il sistema anterolaterale che convoglia informazioni termiche e nocicettive. Le cellule dei gangli
delle radici dorsali proiettano a interneuroni spinali, che danno origine a vie spino talamiche, spino
reticolari, spino tettali; solo le informazioni che, tramite il talamo, giungono alla corteccia, danno
origine a sensazioni coscienti). Via che crocia subito dopo l'innesto
Se un esperienza ti ha fatto male diventa un’esperienza negativa, quindi da non ripetere, questo tramite
queste strutture. La nocicezione attiva sia la S1 che la corteccia insulare e cingolata.
Quando vediamo qualcuno che si fa male si attiva le empatia, nonostante non si attivi la S1 perché riguarda
la dimensione edonistica del dolore, si attivano lo stesso la insulare e la cingolata. È il primo sistema
collegato in una dimensione edonistica, legato comunque ad una dimensione più affettiva.
La corteccia somatosensoriale
La S1 si divide in quattro aree: 3a, 3b, 1 e 2. La 1 e 2, che sono state identificate prima, ricevono da 3a e 3b.
La S1 proietta alla corteccia somatosensoriale secondaria, S2, che proietta alla corteccia parietale
posteriore PPC. S2 proietta, via la corteccia insulare, ad aree del lobo temporale, importanti per la memoria
tattile.
La PPC integra l'informazione tattile e quella propriocettiva e riceve anche ingressi visivi. E' quindi
importante per il riconoscimento di un oggetto nella sua globalità, che integra informazioni raccolte da
esplorazione manuale (stereognosiche) e visiva.
Non esiste una via tronco-encefalica spinale, ma esistono numerose vie che dal tronco dell’encefalo vanno
al midollo spinale. Questo significa che ci sono neuroni che si trovano nel tronco dell’encefalo e che
proiettano al midollo spinale, che però danno origine a vie di proiezione con significato funzionale diverso.
Queste vie sono:
• le vie laterali, che proiettano ai motoneuroni che innervano i muscoli distali per i movimenti fini
• le vie mediali, che proiettano principalmente ai motoneuroni che innervano i muscoli assiali
Quando effettuiamo un movimento volontario con le dita, quindi partito dalla corteccia motoria, come
sottosistema di controllo useremo le vie tronco encefaliche laterali. Quando invece avviene uno
sbilanciamento, quindi uno spostamento inaspettato del baricentro, il tono posturale viene modificato in
modo da evitare di cadere in avanti, questo perché viene mandato un comando alla muscolatura assiale per
mantenere un assetto, tramite le vie mediali.
La corteccia motoria ha sia una proiezione diretta al midollo spinale, sia una proiezione al tronco
dell’encefalo.
Il pool motoneuronale
Il pool motoneuronale è l'insieme dei motoneuroni che innervano un muscolo preciso o muscoli
funzionalmente correlati. I motoneuroni Alfa e Gamma sono organizzati in gruppi funzionalmente definiti
nelle lamine IX del corno anteriore; i motoneuroni situati medialmente innervano la muscolatura assiale del
collo e del dorso e quelli situati lateralmente innervano la muscolatura prossimale e distale degli arti, i
motoneuroni situati dorsalmente innervano i muscoli flessori e quelli situati ventralmente innervano i
muscoli estensori, i motoneuroni mediali sono collegati tramite neuroni intersegmentali con lunghi assoni e
motoneuroni laterali, tramite neuroni intersegmentali con assoni più brevi. Il cilindro, che si prolunga per
più di un segmento spirale della lamina IX, rappresenta la distribuzione dei motoneuroni inferiori che
innervano un muscolo specifico o muscoli funzionalmente correlati.
I motoneuroni Gamma
Nel midollo spinale abbiamo i motoneuroni Alfa e Gamma. I motoneuroni Gamma innervano la parte
contrattile delle fibre intrafusali, ovvero la parte polare; gli Alfa innervano le fibre extrafusali, ovvero quelle
che fanno contrarre il muscolo. Entrambi ricevono comandi da aree superiori, in quello che viene chiamato
co-attivazione alfa-gamma, cioè dalla simultanea contrazione delle fibre extrafusali ed intrafusali. Quando
un muscolo si contrae il fuso si affloscia, e l’attività dei fusi si riduce o sparisce. Usando sempre l’attività dei
propriocettori per monitorare la posizione degli arti, quando faccio una contrazione questa attività mi
scomparirebbe. Non scompare perché lo stesso comando che arriva ai motoneuroni Alfa e che fa contrarre
le fibre extrafusali ed accorciare il muscolo, arriva anche ai Gamma che fanno contrarre la parte polare
delle fibre intrafusali facendo allungare il fuso, la parte centrale. Quando il muscolo si accorcia, il fuso si
allunga grazie ai motoneuroni Gamma, quindi l’attività dei propriocettori non cessa. Quando effettuiamo
dei movimenti c’è sempre l’attività dei Gamma che si assicurano che il fuso sia in tensione anche se il
muscolo si accorcia.
I riflessi spinali
Uno stimolo provoca una risposta, e il circuito alla base della risposta si chiama circuito del riflesso. Il
riflesso è caratterizzato da risposte stereotipate. Lo stimolo è trasdotto dai recettori sensoriali, trasformato
in segnale nervoso, ovvero una depolarizzazione che genera un PdA che viaggia lungo l’assone del neurone
sensoriale, passa ai gangli delle radici dorsali e entra nel midollo, e fa sinapsi su un’altra cellula nervosa.
I riflessi possono dare origine a movimenti ritmici complessi come il riflesso da grattamento, che è anche un
esempio in cui i neuroni sensoriali e i motoneuroni si trovano distanti, infatti i neuroni sensoriali possono
essere quelli che innervano la cute dietro le orecchie e i motoneuroni sono quelli dell’arto, quindi ci
saranno degli interneuroni che trasportano l’informazione dal lungo d’ingresso dei nocicettori fino al corpo
cellulare dei motoneuroni. Questo da origine al movimento ritmico.
Distinguiamo tra riflessi monosinaptici e riflessi polisinaptici (l’uscita è sempre il motoneurone):
• se fra il neurone sensoriale e il motoneurone non c’è nessun motoneurone, quindi gli fa sinapsi
direttamente, è monosinaptico. Il neurone sensoriale si attiva, depolarizza il motoneurone, e il
motoneurone fa contrarre il muscolo, e quindi ho la risposta riflessa.
• se invece fra il neurone sensoriale e il motoneurone sono interposti degli interneurone è detto
riflesso polisinaptico, può essere disinaptico se c’è solo un interneurone, (sensoriale-interneurone,
prima sinapsi; interneurone- motoneurone, seconda sinapsi) ma può anche essere trisinaptico.
La via fra il neurone sensoriale e il midollo spinale è detta via afferente (porto verso). Una via afferente è
una via che porta informazione verso il midollo spinale, quindi la via sensoriale. La via motoria efferente
(porto via) è quella dei motoneuroni. In un riflesso abbiamo sempre una via afferenze e una via efferente,
nel mezzo ci possono essere altri circuiti, quindi sarà polisinaptico, oppure no, quindi monosinaptico. Di un
riflesso possiamo dare il circuito e la funzione
Il riflesso da stiramento
Il riflesso da stiramento è un riflesso monosinaptico ed ha la funzione di tenere sotto controllo la lunghezza
di un muscolo misurandola tramite i fusi, elaborando l’informazione, e poi ritrasmettendola alla via
efferente. È un riflesso attraverso il quale si tiene sotto controllo la lunghezza di un muscolo.
La branca afferente è costituita dai propriocettori dei fusi neuromuscolari, la branca efferente è costituita
dai motoneuroni Alfa che innervano lo stesso muscolo. Quando un muscolo viene allungato, i
propriocettori dei fusi neuromuscolari segnalano lo stiramento, eccitano i motoneuroni che innervano lo
stesso muscolo, i quali faranno contrarre il muscolo che quindi si riaccorcia. Il sintesi, allungando il muscolo
la risposta riflessa è la sua contrazione, quindi esso ritorna alla lunghezza prefissata.
Quando più muscoli concorrono allo stesso movimento, vengono definiti sinergici di quel particolare
movimento. Con il termine agonista si definisce il principale muscolo che si contrae durante un determinato
movimento, a cui si contrappone un muscolo chiamato antagonista. Quando uno dei due è contratto, l’altro
sarà allungato e viceversa. Quindi i muscoli antagonisti vengono fatti rilassare: se si contrae il quadricipite,
che è un muscolo estensore, estendiamo la gamba, mentre se si contrae il tricipite, che è flessore, flettiamo
la gamba. Per estendere la gamba quindi ci deve essere la contrazione del quadricipite ma senza la
contrazione del tricipite, perché altrimenti la tirerebbe per farla flettere. Questo avviene perché mentre
mandiamo al quadricipite il comando monosinaptico, contemporaneamente, tramite un interneurone
inibitorio che viene chiamano interneurone 1a, mandiamo un comando inibitorio ai motoneuroni che
innervano l’antagonista, in questo caso il tricipite, il quale si rilassa.
Al contrario flettere la gamba mandiamo un comando eccitatorio ai motoneuroni che innervano i muscoli
flessori, mentre ai motoneuroni che innervano gli estensori arriverà un comando inibitorio.
Quindi, il riflesso da stiramento è monosinaptico nel controllo del muscolo che si è allungato, però ha una
componente disinaptica tramite gli interneuroni inibitori 1a.
Il circuito completo quindi è quello monosinaptico:
• branca afferente: propriocettori dei fusi neuromuscolari,
• branca efferente: motoneuroni Alfa che innervano il muscolo omonimo e i sinergici, i quali si
contraggono,
In più c’è la parte disinaptica:
• i fusi neuromuscolari fanno sinapsi sull’interneurone 1a inibitorio che va ad inibire i motoneuroni
che innervano i muscoli antagonisti.
La funzione del riflesso di stiramento è quella di mantenere costante la lunghezza di un muscolo, questo ci
potrebbe far comodo quando dobbiamo bilanciare un peso sulla nostra mano, misurando la lunghezza del
bicipite e fissando la posizione. Questo ce lo consentono i motoneuroni Gamma che mandano il comando
iniziale: attivati faranno allungare un po’ i fusi fissandone la lunghezza desiderata del fuso, e questo causa
un’attivazione dei propriocettori che attiveranno gli Alfa, e questi ultimi manterranno il muscolo in
contrazione, stabilizzando la posizione. Caricato il peso, appena il bicipite tende ad allungarsi, il riflesso da
stiramento lo farà contrarre. Mi basta tenere sotto controllo i piccoli motoneuroni Gamma, e per farlo
basta una piccola quantità di neurotrasmettitore, per mantenere costante la posizione dell’articolazione a
fronte di una situazione progressivamente in cambiamento, ovvero quella del peso che aumenta, non
misurando il peso ma l’effetto che esso ha sulla lunghezza del bicipite.
Il riflesso di retrazione
Il riflesso di retrazione è un riflesso protettivo, ci consente di ritrarre l’arto da una potenziale minaccia. È
polisinaptico, la branca afferente sono i nocicettori cutanei, che rilevano il dolore eccessivo che li attiva. I
PdA viaggiano lungo gli assoni e arrivano al midollo. Nel midollo attraverso interneuroni eccitatori attivano i
motoneuroni Alfa dei muscoli flessori, quindi si ritrae il braccio, e attraverso interneuroni inibitori vanno a
inibire i motoneuroni Alfa dei muscoli estensori.
Attraverso degli interneuroni detti commisurali, ovvero che proiettano all’altra metà del midollo spinare,
possono influenzare l’altro arto, cosa molto importante per gli arti inferiori: il riflesso include la retrazione
dell’arto offeso e la contemporanea stabilizzazione della postura dell’altro arto. Questa informazione va
anche verso il cervello perché poi percepiamo coscientemente la percezione del dolore. È la via
anterolaterale: il nocicettore fa sinapsi su un neurone del midollo che proietta immediatamente, crocia e
poi ascende lungo le vie anterolaterali. Il riflesso è protettivo, la branca afferente sono i nocicettori e la
branca efferente sono i motoneuroni Alfa dei flessori, che ci fanno retrarre l’arto dalla potenziale sorgente
di danno, e gli Alfa degli estensori, ce si inibiscono in modo tale da favorire la flessione dell’arto.
Le funzioni motorie
I riflessi sono il primo livello di controllo, la loro funzione è modulata dalle vie discendenti che provengono
dagli altri livelli di controllo, il tronco dell’encefalo, la corteccia ed eventualmente il cervelletto, questo per
integrare i riflessi in una funzione motoria, quindi per coordinarli. Le principali funzioni motorie sono la
postura, la locomozione e il movimento volontario, ed ogni funzione motoria ha dei riflessi reclutati nel suo
programma.
La postura
Con la postura o il tono posturale intendiamo la posizione desiderata, quindi impostata dal soggetto, che il
corpo mantiene, sia a riposo sia durante il movimento, contro la forza di gravità, a fronte anche di
destabilizzazioni dovute ad altri pesi che fanno spostare il baricentro. È un processo attivo fatto da specifici
circuiti, ma è anche automatico. L’impostazione del tono posturale, quindi la lunghezza desiderata dei
muscoli, va a carico del riflesso da stiramento.
Abbiamo diverse vie di controllo per mantenere il tono muscolare che utilizzano tre tipi di ingressi:
• l'ingresso propriocettivo
• l'ingresso visivo, il sistema visivo mi dice che devo caricare più forza sui muscoli antigravitari in
presenza di ostacoli o cambiamenti del percorso
• gli ingressi vestibolari, i recettori vestibolari sono cellule ciliate sensibili all'assetto del corpo
rispetto alla gravità.
Vie di cruciale importanza per il controllo del tono posturale sono le vie mediali dal tronco dell’encefalo.
Esse partono dalle strutture del tronco dell'encefalo che sono poste medialmente. Il sistema ventromediale
è composto da quattro vie, che hanno origine in aree diverse del tronco dell’encefalo e contribuiscono
principalmente al controllo posturale e ad alcuni movimenti riflessi. I neuroni di origine di queste 4 vie
ricevono informazioni sensoriali circa la posizione del corpo, l’equilibrio e l’ambiente visivo (propriocettori,
sistema vestibolare, sistema visivo):
• il tratto vestibolospinale prende origine dai nuclei vestibolari che ricevono informazione
dall’orecchio interno. Questa via, controllata dal cervelletto, controlla il mantenimento della
postura utilizzando le informazioni del sistema vestibolare. dando origine a via discendenti che
sono dirette principalmente ai motoneuroni assiali e prossimali per il mantenimento della postura
• Il tratto tettospinale ha origine dal collicolo superiore (tetto) nel mesencefalo. Il collicolo superiore
riceve informazione visiva dalla retina ma anche informazione uditiva e somatosensoriale.
Attraverso la rappresentazione multisensoriale dell’ambiente formata dal collicolo superiore, la via
tettospinale contribuisce all’orientamento, specialmente quello visivo, e al controllo del tono dei
muscoli del collo.
• I tratti pontinospinale e bulbospinale costituiscono la via reticolospinale che ha origine dai nuclei
della formazione reticolare del tronco dell’encefalo, ed in particolare dalla formazione reticolare
pontina e bulbare. La formazione reticolare riceve ingressi molteplici, tra cui visivi e
somatosensoriali, e si estende per l’intera lunghezza del tronco dell’encefalo. I tratti pontino e
bulbo-spinale controllano entrambi la postura: il tratto pontino, sotto il controllo del cervelletto,
potenzia i riflessi spinali antigravitari, mentre il tratto bulbo-spinale, sotto il controllo della
corteccia motoria, ha l’effetto opposto, rilasciando la tensione dei muscoli coinvolti in questi
riflessi.
Il tratto tettospinale è principalmente coinvolto con l'assetto posturale del collo e della testa, mentre la
formazione reticolare mediale e i nuclei vestibolari con l'assetto globale. Inoltre le via reticolospinale e
vestibolospinale sono importanti per la postura e l’equilibrio, mentre la via tettospinale è importante per la
coordinazione dei movimenti degli occhi e del capo.
Recluto il riflesso da stiramento dei muscoli appropriati per mantenere in maniera automatica un assetto
muscolare che ho preimpostato, quindi mando i comandi ai motoneuroni Gamma dei muscoli antigravitari
della schiena e del collo e poi faccio si che il riflesso da stiramento me lo mantenga. Il comando viene
mandato dalle vie mediali del tronco dell'encefalo, utilizzo informazioni propriocettive, visive e vestibolari
per comandare, attraverso le vie del tronco dell'encefalo, l'assetto del riflesso da stiramento.
Recluto il riflesso da stiramento dei muscoli appropriati per mantenere in maniera automatica un assetto
muscolare che ho preimpostato, quindi mando i comandi ai motoneuroni Gamma dei muscoli antigravitari
della schiena e del collo e poi faccio si che il riflesso da stiramento me lo mantenga. Il comando viene
mandato dalle vie mediali del tronco dell'encefalo, quindi se mi sposto un po' me lo dicono i neuroni
vestibolari, i propriocettori e il sistema visivo. Utilizzo informazioni propriocettive, visive e vestibolari per
comandare, attraverso le vie del tronco dell'encefalo, l'assetto del riflesso da stiramento.
La locomozione
La locomozione è un comportamento volontario, però come anche la postura una volta avviato lo
mantengo automaticamente. È usata per lo spostamento e ha la caratteristica di avere un inizio e una fine
volontari, ma il mantenere la ritmicità dell’attività è un processo automatico, questo attraverso i riflessi
spinali.
Il circuito può sembrare complicato: ci deve essere un comando volontario, quindi dalla corteccia motoria,
ma il mantenimento della locomozione è a carico di una struttura mesencefalica che si chiama regione
locomotrice mesencefalica. La corteccia motoria la attiva ed attraverso la sua attività mantiene attivi i
circuiti del midollo spinale che assicurano l'attività ritmica. Il circuito ritmico quindi è nel midollo spinale ma
per essere attivato ha bisogno di un comando che viene dalla regione mesencefaliche. Una volta attivo
mantiene la ritmicità contemporaneamente monitorando la situazione in maniera leggera.
Il mesencefalo risponde alla corteccia, quindi al comando volontario, e attiva il midollo spinale,
contemporaneamente tengo sotto controllo l’equilibrio attraverso il riflesso del cervelletto e tengo sotto
controllo l'ambiente circostante attraverso l'ingresso visivo, che viene ovviamente dalla corteccia visiva,
essa infatti proietta a strutture sottocorticali (anche al cervelletto) che tengono sotto controllo la
locomozione, quindi recluto circuiti spinali riflessi, ovvero quelle ritmici presenti nel midollo spinale.
Il movimento volontario
Il movimento volontario richiede assolutamente la funzione della corteccia motoria e quindi delle proiezioni
dalla corteccia motoria al midollo spinale, che si chiamano vie cortico-spinali.
Per avviare il movimento volontario serve un piano, ovvero uno scopo, quindi devo selezionare tra i piani
motori che ho appreso quello che ritengo più efficace per raggiungere lo scopo desiderato. Però se stiamo
cercando di apprendere un movimento complicato il piano motorio è ovviamente più complesso da
mettere in atto. Quindi, il piano motorio corrisponde alla soluzione di un problema motorio per raggiungere
un determinato scopo, questo fa si che io debba elaborare internamente il movimento prima di metterlo in
atto. Posso farlo anche con muscoli diversi, quindi cambiando il piano motorio, e lo metto in atto
automaticamente perché lo scopo è lo stesso, tutto quello che conta è elaborazione dello scopo.
Quando faccio il movimento posso destabilizzare la postura: se devo prendere un oggetto mando un
comando alla muscolatura distale per compiere il movimento, ma mando anche un comando al sistema
posturale, quindi alla muscolatura assiale, per aggiustare la postura in modo da mantenere l'equilibrio al
fronte del movimento da attuare. Questo si chiama controllo anticipatorio, e normalmente lo attuiamo
sempre. Però ci possono essere cambiamenti inattesi, ad esempio un oggetto che pesa più del previsto, e
questo causa un aggiustamento postumo. Tutto ciò si fa sulla base dell'esperienza.
La via corticospinale
La corteccia motoria proietta al midollo spinale con due vie:
• in via indiretta: la corteccia motoria proietta alle vie mediali del tronco dell'encefalo, e le vie
mediali del tronco dell'encefalo proiettano al midollo spinale. La via indiretta proietta alla
muscolatura assiale, quindi è responsabile del controllo del tono muscolare.
• in via diretta: cellule della corteccia motoria, che hanno quindi il corpo cellulare nella
cortecciamotoria, vanno con il loro assone fino al motoneurone spinale. Questa è la via cortico-
spinale diretta, anche detta via piramidale. La via diretta, detta anche piramidale o via laterale,
parte dalla corteccia motoria primaria e premotoria e anche dalle aree somatosensoriali, si incrocia
al livello del bulbo e proietta direttamente ai motoneuroni delle muscolatura distale. È tipica dei
primati, ovvero degli animali che con la muscolatura distale fanno un uso più raffinato, infatti è
responsabile dei movimenti fini e complessi. La via piramidale si chiama così perché dove croce nel
tronco dell'encefalo gli assoni, essendo tanti, fanno dei rigonfiamenti simili a delle piramidi, visibili
anche ad occhio nudo.
Per quanto riguarda il movimento volontario è essenziale la corteccia motoria, non solo per l'avvio e per la
fine, ma anche come guida degli assi motori. Durante l'esecuzione del movimento il controllo continuo
viene esercitato dalle vie corticospinali che si dividono in dirette o indirette.
La corteccia è suddivisibile in 6 strati e ognuno ha il suo ruolo:
• il primo, quello con meno cellule, è quello meno studiato, quindi ne sappiamo poco
• il 2 e il 3 sono gli strati di associazione cortico-corticale, i loro neuroni proiettano ad altre strutture
corticali dello stesso emisfero o anche da altri emisferi
• lo strato 4 è lo strato di ricezione dal talamo, quindi ad esempio le cortecce sensoriali hanno uno
strato 4 molto sviluppato, mentre la corteccia motoria primaria che dallo strato 4 non riceve ce
l’avrà meno sviluppato
• lo strato 5 è lo strato di proiezione a strutture sottocorticali profonde
• lo strato 6 è lo strato di proiezione al talamo
I neuroni che danno origine alla via corticospinale sono allo strato 5, hanno neuroni con un assone molto
grande e anche molto lungo, perché il loro corpo cellulare è nella corteccia motoria e possono proiettare ai
motoneuroni che si trovano a livello lombare, per questo la conduzione deve essere ben mielinizzata.
Se si danneggia la via piramidale non è che non sappiamo più muovere il braccio, perché la corteccia
motoria comunica comunque con i motoneuroni spinali, però non si potrà più avere la presa di precisione.
La via piramidale non è l'unica via di comunicazione tra la corteccia motoria e i motoneuroni spinali (c'è
anche la via polisinaptica) ma è l'unica che è in grado di guidare i movimenti fini.
Forza e direzione
Registrando l’attività dei neuroni corticospinali durante l'esecuzione di un movimento vedo che l'intensità
della loro scarica codifica per la forza da esercitare, quindi se devo esercitare una forza maggiore i neuroni
della corteccia motoria che si attivano sono sempre gli stessi, ma aumenta la loro frequenza di scarica. Con
la frequenza di scarica codificano quindi per la forza, perché si deve reclutare un numero maggiore di
motoneuroni spinali e quindi si contrarrà un numero maggiore di fibre muscolari.
Per quanto riguarda la direzione del movimento la codifica viene dal codice di popolazione, ovvero per un
movimento in una direzione non si identifica il neurone che si attiva quando faccio il movimento in una
certa direzione, ma identifico una popolazione di cellule della corteccia motoria primaria che sono
principalmente attive quando muovo il braccio in una certa direzione. C'è una raggiera di possibili direzioni
di movimento, e per ogni direzione c'è l'attività di una cellula nervosa della corteccia motoria primaria che
proietta al midollo spinale. La corteccia non codifica in una singola direzione, quindi il singolo neurone non
è molto preciso, ma dato che recluto una popolazione di neuroni, ognuno con la sua direzione
caratteristica, mettendoli insieme viene fuori il movimento preciso. Quindi, la forza la codifica un singolo
neurone nella via piramidale, mentre la direzione la codifica una popolazione di neuroni.
I neuroni specchio
I neuroni specchio sono neuroni motori la cui esistenza è stata considerata nelle aree premotorie della
scimmia, o nelle equivalenti aree premotorie dell'uomo. Sono neuroni motori, quindi a comando del
movimento laterale, ma la loro caratteristica è quella che sono attivi non solo quando collaborano a
mettere in atto il movimento, ma anche quando il soggetto osserva lo stesso movimento eseguito da un
altro soggetto. Questo movimento deve essere però nel repertorio comportamentale dall'animale, quindi
deve essere un movimento che il soggetto già sa fare. Alcuni di questi neuroni si attivano alla vista dell'atto,
altri si attivano in risposta al rumore dell'atto, che deve essere però un suono che qualifica l'azione.
Quando si scoprirono questi neuroni si ipotizzò che essi codificassero la rappresentazione interna, quindi
siano le rappresentazioni interne del movimento. Codificano per il concetto dell'azione, ma per possedere il
concetto dell’azione devo essere in grado di metterlo in alto, quindi deve far parte del mio repertorio
comportamentale. I primi esperimenti dell'uomo sono stati tutti esperimenti di neuroimmagine.
L’utilità di avere una rappresentazione interna cognitiva grazie ai neuroni a specchio è quella di essere in
grado nell'imitazione, ma c'è anche un’ipotesi che essi siano legati allo sviluppo della teoria della mente,
ovvero la capacità di mentalizzare le convinzioni, le intenzioni e anche le emozioni del soggetto di cui
stiamo cercando di capire le intenzioni. I neuroni specchio farebbero parte di quelli che possiamo chiamare
precursori della teoria della mente.
Il cervelletto
Il cervelletto è una struttura piccola, è il 10% del volume totale del cervello, tuttavia possiede tantissimi
neuroni di piccole dimensioni, quindi impacchettati, che sono circa la metà del numero totale dei neuroni
presenti nel cervello. Ha un'architettura molto regolare: una sostanza grigia, una sostanza bianca, e nuclei
interni profondi nella sostanza bianca, il fastigio, l’interposito, e il dentato. Ha principalmente funzione
motoria, in particolare controlla la postura, l'esecuzione del movimento, ma anche l'apprendimento
motorio. Non dà inizio al movimento volontario quindi lesioni al cervelletto non producono paralisi ma
producono alterazioni del movimento
Ha tre ruoli: controllo della postura, controllo online dell’esecuzione del movimento, e apprendimento
motorio. Svolge tutti e tre questi ruoli per poter valutare che io sto eseguendo correttamente un
movimento:
• È in grado di valutare la differenza fra l’intenzione e l’azione, ovvero fra il comando motorio inviato
(riceve copia del comando inviato al midollo spinale) e l’effettivo movimento eseguito (riceve
afferenze propriocettive dal midollo spinale e afferenze visive). Il cervelletto deve possedere una
copia del comando motorio (cosa devo fare) e monitorare il movimento che sto eseguendo (cosa
sto facendo);
• E’ in grado di correggere un movimento on line (proiezioni dirette al tronco dell’encefalo ed alla
corteccia motoria, strutture che controllano direttamente i circuiti spinali). Se quello che sto
facendo non si discosta da quello che volevo fare, non interviene, mentre se quello che sto facendo
non è quello che dovevo fare, allora il cervelletto corregge on line il movimento, attraverso
proiezioni dirette al tronco dell'encefalo e alla corteccia motoria, controllano poi i circuiti spinali;
• E’ in grado di correggere un piano motorio (apprendimento motorio, proiezioni alla corteccia
motoria e premotoria) essendo le sinapsi del cervelletto modificabili con l’esperienza. Coopera a
modificare il piano motorio per perfezionarlo.
Lesioni del cervelletto non alterano le soglie sensoriali e non provocano paralisi, provocano però perdita di
accuratezza spaziale e temporale della coordinazione del movimento, compromissione dell'equilibrio, e
anche compromissione dell'apprendimento motorio, anche alcune funzioni cognitive possono essere
compromesse.
La plasticità sinaptica
La plasticità sinaptica determina la flessibilità del comportamento. I circuiti neurali sono flessibili e possono
cambiare in risposta all’esperienze, sia quando apprendiamo un'attività motoria sia quando apprendiamo
nozioni. Il successo dell'apprendimento, quindi la formazione di robuste tracce di memoria, è legato al fatto
che sono cambiati circuiti celebrali specifici in risposta alle esperienze. La modificabilità dei circuiti nervosi
non è solo legata all'effetto dell'esperienza per l'apprendimento, ma è anche legata all'effetto
dell'esperienza sulle capacità e sulle caratteristiche dei singoli individui, quindi a fattori genetici e alle
esperienze individuali. Se quello che noi percepiamo del mondo esterno dipende dalla costruzione del
nostro cervello, allora dipende da come funziona il nostro cervello, quindi da come si sono formate durante
lo sviluppo e da come si sono modificate le nostre sinapsi nervose.
La modifica di un circuito nervoso in risposta all'esperienza è la proprietà che definiamo plasticità, che
include anche il mantenimento della modifica. Per plasticità neurale si intende la capacità dei circuiti
nervosi di modificarsi in risposta all'esperienza e questa capacità è presente in tutte il sistema nervoso
centrale ed è particolarmente evidente a livello dei circuiti della corteccia celebrale. Senza la plasticità
neurale noi saremmo una specie condannata, avremmo un comportamento stereotipato e non avremmo
capacità di memoria. La plasticità neurale è molto forte durante lo sviluppo, tuttavia rimane per tutta la
vita. Studiare la plasticità sinaptica è utile in quanto tramite questi studi si possono correggere deficit dei
circuiti nervosi oppure potenziare le abilità di apprendimento e di memoria
In un circuito nervoso quando l'esperienza lo modifica avviene un cambiamento nella efficacia dei contatti
sinaptici, in risposta ai cambiamenti dell'attività elettrica che l'esperienza determina, quindi l'esperienza si
traduce nel tipo di cambiamento dell'attività elettrica.
Questa non è tutta la plasticità neurale, c'è un altro esempio di plasticità neurale che non coinvolge la
modifica dei contatti sinaptici ma coinvolge la generazione di nuove cellule nervose e si chiama
neurogenesi, però avviene solo nell'adulto e solo nelle strutture del bulbo olfattivo e nell’ippocampo.
Il meccanismo Hebbiano
Non tutte le esperienze inducono fenomeni di plasticità, quindi non tutti i cambiamenti di attività elettrica
in un circuito inducono plasticità. Esiste un meccanismo, chiamato meccanismo Hebbiano di plasticità, che
consiste nel rafforzamento delle sinapsi più efficaci.
Una sinapsi è efficace quando il neurone che trasmette, ovvero l’elemento presinaptico, attiva con
successo, quindi ripetutamente, il neurone bersaglio, ovvero l’elemento postsinaptico
Una sinapsi non è efficace quando il presinaptico attiva raramente l'elemento postsinaptico. Questo
meccanismo è una regola che rafforza le sinapsi più efficaci ed è stata proposta quasi un secolo fa da Hebb,
il quale ipotizzo che se il neurone presinaptico attiva ripetutamente e con successo il suo bersaglio
postsinaptico la connessione sinaptica tra A e B si rafforza, viceversa se A fallisce ripetutamente
nell'attivare B la connessione sinaptica si indebolisce.
Tutto questo si traduce nel fatto che se il presinaptico è attivo e il post sinaptico gli risponde attivamente
saranno attivi insieme, se invece il postsinaptico non risponde al presinaptico, il preservativo sarà attivo ma
il postsinaptico no, ma si potrebbe anche verificare che il postsinaptico avrà altri ingressi presinaptici a cui
risponde, quindi lui è attivo mentre il presinaptico no.
Un esempio è dato durante lo sviluppo nella corteccia visiva: un neurone dello strato 2 riceve ingressi dalle
cellule monoculari dello strato 4. All'inizio dello sviluppo riceve ingressi sia dalle cellule guidate dall'occhio
destro che delle cellule guidate dall'occhio sinistro, ma col procedere dello sviluppo succede che l'attività
dei neurone piramidale, data la simmetria del numero di contatti sinaptici guidati dall'occhio destro
rispetto a quelli guidati dall'occhio sinistro, è più probabile che il neurone postsinaptico risponda
all'ingresso dell'occhio destro, che ha un insieme di contatti più forti, rispetto a quello che accade
nell'occhio sinistro. Dato che i due occhi sono distanti, quando noi rimuoviamo l'attività delle cellule
guidate dall'occhio destro potrebbe essere leggermente diversa da quella delle cellule guidate nell'occhio
sinistro, quindi potrebbe succedere che col passare del tempo i contatti già deboli si indeboliscono
ulteriormente e contatti più forte si rafforzano ulteriormente, finché alla fine del processo di sviluppo
questa cellula è diventata monoculare.
Un altro esempio è dato dai campi recettivi delle cellule gangliari: due cellule, che hanno campi recettivi in
posizioni diverse, proiettano alla stessa cellula, che avrà quindi come campo recettivo la somma dei loro
campi recettivi. All'inizio dello sviluppo la cellula ha un campo recettivo grande, essendo la somma dei due
ingressi, ma alla fine avrà un campo recettivo più piccolo perché ha perso gli ingressi deboli che ricevevano
informazioni su un altro punto del campo visivo. Questi processi avvengono durante lo sviluppo,
correggiamo le dimensioni dei campi recettivi delle cellule visive con un parametro molto robusto ovvero la
risoluzione spaziale: più i campi recettivi sono piccoli, più la risoluzione spaziale sarà elevata. Questo
processo di selezione farà sì che i campi recettivi diventino sempre più piccoli e l'acuità visiva matura.
Le false memorie
Esperimento che ci fa vedere come le sinapsi obbediscono talmente tanto alla regola di Hebb che le posso
sfruttare per creare false memorie:
Giorno 1. Un topolino viene messo in un ambiente nuovo che chiameremo contesto A. In questo ambiente
lui inizia un processo di esplorazione che attiverà le cellule dell'ippocampo. Questo animale formerà una
mappa spaziale dell'ambiente. Le cellule dell'ippocampo, con la loro attività, codificano per il contesto.
Giorno 2. L'animale viene messo in un altro ambiente, il contesto B, e qui avviene un episodio spiacevole:
l'animale formerà un'associazione fra la mappa spaziale del contesto B e l'ingresso doloroso legato allo
stimolo spiacevole e formerà una memoria di paura condizionata non allo stimolo ma al contesto. Se a
distanza di tempo lo mettete di nuovo nel contesto B senza eventi spiacevoli correnti l'animale dimostrerà
tutti i segni della paura: questa è una normale memoria di paura non allo stimolo ma al contesto, se in un
ambiente è avvenuto un episodio negativo quando ritorna in quella ambiente l’animale ha una reazione di
ansia e di paura, ho associato l'ambiente all'elemento negativo. Questo è un condizionamento classico,
quindi la vera memoria.
Mentre l'animale è nel contesto B ed è presente lo stimolo incondizionato, con un trucco neurobiologico
vengono riattivate le cellule che codificano per il contesto A e che quindi si trovano ad essere attive mentre
è presente lo stimolo incondizionato.
Rimettendo l'animale nel contesto A, dove non gli era successo niente di spiacevole, l'animale mostrerà
segni di paura, questo perché le cellule dell'ippocampo che codificano per il contesto erano attive mentre
era presente lo stimolo negativo. La regola di Hebb è stata rispettata anche per queste cellule, il contesto è
diventato aggressivo. Questa è una falsa memoria perché nel contesto A non è accaduto mai niente di
spiacevole al soggetto. Se l'animale viene messo in un contesto mai esplorato, o se esplorato mai attivato
durante un evento negativo, l'animale non mostra nessuna risposta di paura.
La falsa memoria è stata costruita sperimentalmente sfruttando i meccanismi che regolano la plasticità
sinaptica, in particolare sfruttando la regola di Hebb. Circuiti nervosi obbediscono a regole, ad esempio la
regola di Hebb, che lavorano sia durante lo sviluppo che nell'adulto
Sintesi
I passi che conducono ad una modifica duratura dei circuiti neurali in risposta all'esperienza coinvolgono
diversi fattori
1. Verifica regola di Hebb (recettori NMDA). Se blocco l'attività del recettore NMDA non parte nessun
fenomeno di plasticità di tipo Hebbiano
2. Si attiva il recettore, la sua corrente comprende il calcio che attiva i primi enzimi intracellulari, ed
essi determinano i primi cambiamenti, la rapida migrazione nella membrana di recettori sinaptici
per il glutammato, questo nell’elemento postsinaptico della sinapsi efficace.
3. Se vogliamo consolidare ci servono i fattori di trascrizione, questo perché non ci bastano più gli RNA
messaggeri già trascritti, ma dobbiamo trascrivere di nuovi, tramite fattori di trascrizione come
CREB. Bloccando il fattore di trascrizione blocchiamo il consolidamento.
4. Se però vogliamo mantenerlo nel tempo dobbiamo cambiare la probabilità dell'espressione genica,
quindi ci servono i meccanismi epigenetici. Bloccando il meccanismi epigenetici si blocca il
consolidamento e il mantenimento.
Meccanismo epigenetico
Esso è presente non solo per la plasticità sinaptica. Una coppia di gemelli monozigoti hanno lo stesso
patrimonio genetico, e per ogni coppia di cromosomi c'è la presenza di marcatori epigenetici, in particolare
di marcatori repressivi, ovvero di gruppi metile aggiunti al DNA.
In gemelli di tre anni di età quello che è metilato nel primo gemello lo è anche nel secondo, quindi ciò che è
poco trascrivibile in un gemello lo è anche nell'altro.
In gemelli di cinquant’anni di età quello che è metilato nel primo gemello non lo è nel secondo gemello, e
viceversa, nonostante il genotipo sia sempre lo stesso, ma dal punto di vista funzionale è di molto diverso
perché se un gene metilato non viene trascritto, la proteina per cui codificano non viene prodotta. Questo
vuol dire che i gemelli di cinquant’anni producono proteine in maniera diversa tra di loro, quindi
nonostante il genotipo sia sempre lo stesso, il loro fenotipo sarà diverso. Cosa c'è di differente tra gemellini
di tre anni e i gemelli di cinquant’anni? Cinquant’anni di vita. L'esperienza si scrive sul codice genetico non
perché lo modifico, ma perché ne modifica la trascrizione. Se un gene c'è ma non viene trascritto è come se
non ci fosse.
Il sistema limbico
Secondo gli anatomici le aree limbiche costituivano un anello di corteccia filogeneticamente antica che fa
da soglia per l'ingresso della neocorteccia, che è quella sovrastante. È un insieme di aree che si trovano
nella parte ventrale mediale degli emisferi frontali e temporali quindi il lobo temporale mediale, la
corteccia prefrontale mediale e la corteccia prefrontale orbitofrontale. Mentre la corteccia dorsolaterale
associativa fa parte della pianificazione.
Il sistema limbico è costituito da numerose zone localizzate nella parte ventrale mediale dei lobi temporali
e frontali, a cui si aggiungo strutture sottocorticali come l'amigdala, l'ippocampo e strutture dei nuclei della
base (il nucleo striato ventrale)
Lesioni alla parte mediale del lobo temporale caratterizzano un quadro molto diverso da quello delle lesioni
della parte esterna del lobo temporale. Se viene asportato l'intero lobo temporale si manifesta scarsa
capacità di riconoscere gli oggetti (corteccia inferotemporale), amnesia anterograda e retrograda (questo fa
parte del ippocampo, quindi la parte mediale), scarse reazioni emotive e docilità (a carico di una
componente sia nell'ippocampo che dell'amigdala, che va ad influenzare il comportamento emozionale).
Quindi questa sindrome porta ad un insieme di sintomi, ognuno legato ad un pezzo del lobo temporale.
Il lobo temporale è simultaneamente parte di aree associative posteriori e multisensoriali, ma anche, nella
sua parte mediale, del lobo limbico. Con il lobo temporale mediale associamo due tipi di memoria: con
l'ippocampo associamo la memoria dichiarativa, con l'amigdala associamo la memoria emozionale.
L'omeostasi
Il concetto di omeostasi nacque quando una scuola di fisiologi francesi notarono come l'ambiente interno,
quindi le condizioni dell'organismo, fossero relativamente stabili a fronte di grandi variazioni dell'ambiente
esterno: la temperatura corporea è in genere sui 37 gradi, sia se fuori ci siano 40 gradi sia se fuori ci siano
12 gradi; I liquidi circolanti sono più o meno sempre gli stessi, sia se noi viviamo in un ambiente umido e
piovoso, sia se noi viviamo in un ambiente secco e asciutto. L'ambiente interno è stabile perché è
controllato e si agisce per mantenerlo stabile, quindi si coniò il termine “omeostasi” (rimanere lo stesso). Si
ipotizzò che ci fossero dei meccanismi che misurassero parametri cruciali di riferimento dell'organismo,
attivando poi dei sistemi di controllo, quindi dei sistemi regolatori, che mantengono stabile il parametro
misurato se esso si discosta troppo dal valore di riferimento.
Abbiamo:
• un parametro, in questo caso la temperatura corporea, che chiamiamo variabile controllata,
• un livello di riferimento, che per i mammiferi è circa 37 gradi,
• poi devo avere dei termorecettori che misurano la temperatura corporea e che saranno i primi
sistemi di controllo. Essi misurano la variabile controllata e confrontano la temperatura corporea
con il valore di riferimento. Se c'è un discostamento allora si innesca il sistema di controllo che,
limitando la dispersione di calore e generando calore riporta la temperatura in alto se si è
abbassata, viceversa aumentando la dispersione di calore e riducendo la riporta in basso se si è
alzata.
• In più l'ipotalamo, attraverso le sue connessioni con la struttura della corteccia limbica, determina il
disagio cosciente e mi motiverà a far qualcosa.
La febbre si discosta da questo: quando c'è un processo infiammatorio batterico che causa un aumento
della temperatura, quella che chiamiamo febbre, cambia il valore di riferimento quindi improvvisamente il
nostro valore di riferimento della temperatura diventa 40 gradi. L'ipotalamo a questo punto mette in atto
tutto quello che serve per portare la nostra temperatura a 40 gradi, inducendo anche il brivido per
provocare calore. In questo caso il sistema di controllo lavora per portare la temperatura a 40 gradi perché
è cambiato il valore di riferimento.
L’ipotalamo
L'ipotalamo regola l'omeostasi dell'organismo, e lo fa integrando le funzioni di vari sistemi: il sistema
nervoso autonomo, simpatico e parasimpatico; il sistema endocrino, quindi il sistema ghiandolare; il
sistema comportamentale cosciente. Per controllare il sistema endocrino si serve dell'ipofisi, mentre il
sistema nervoso autonomo lo controlla direttamente attraverso connessioni nervose.
L'ipotalamo è costituito da tanti piccoli nuclei, tutti specializzati in una funzione:
• I nuclei anteriori. Un nucleo è quello suprachiasmatico: le cellule gangliari fotorecettrici ci servono
per sincronizzare il ritmo di questo nucleo con il ritmo luce-buio del luogo in cui siamo.
• I nuclei mediali possono controllare la secrezione ormonale e possono anche direttamente
produrre ormoni.
L'ipotalamo è una struttura molto piccola di sostanza grigia, è collocato subito sopra il chiasma ottico (per
questo il suo nucleo anteriore è chiamato nucleo suprachiasmatico), subito sotto l'ipotalamo c'è la
ghiandola dell'ipofisi.
Per controllare l'omeostasi l'ipotalamo deve poter misurare le variabili di interesse, quindi temperatura,
risorse energetiche, liquidi circolanti, ioni circolanti. Per questo ha bisogno di sensori da cui ottenere
l'informazione, poi deve possedere il valore di riferimento con cui controllare il valore misurato, e poi delle
uscite che gli consentono di attivare i sistemi di controllo che riportano la variabile controllata.
Le fibre afferenti che forniscono informazioni sensoriali all'ipotalamo sono fibre che provengono dalla
periferia sensoriale, ad esempio le cellule gangliari fotorecettrici con i loro assoni arrivano al nucleo
soprachiasmatico e forniscono informazioni sulla luminosità dell'ambiente, oppure i termorecettori che con
i loro assoni porteranno informazioni sulla temperatura dell'ambiente.
La maggior parte delle afferenze sensoriali, con l'eccezione del sistema visivo e del sistema olfattivo che
proiettano direttamente all’ipotalamo, arrivano all'ipotalamo attraverso il nucleo del tratto solitario.
Informazioni nocicettive, quindi dolorifiche, giungono dal sistema somatosensoriale, quindi riceve
informazioni sensoriali in ingresso, ma riceve anche informazioni limbiche viscerali che correlano con lo
stato interno, quindi possiede anche dei neuroni sensoriali propritermorecettori locali, che sono all'interno
dell'ipotalamo. Nel bilancio fra l'importanza dell'informazione ricevuta da termorecettori cutanei ed
all'informazione ricevuta dai termorecettori ipotalamici, è quest'ultima che prevale: manteniamo costante
la temperatura di un nucleo interno (asse testa-tronco) e non di tutto l'organismo.
I valori di riferimento sono nei singoli nuclei ipotalamici, e se si discostano il valore misurato da quello di
riferimento allora si attiva il circuito di controllo:
• la variabile controllata, la temperatura, ovvero l'ingresso, che viene misurata dai termorecettori
ipotalamici e dai termorecettori periferici. Questo valore viene confrontato nel centro ipotalamico
di controllo con il valore di riferimento.
• Se il valore misurato è diverso da quello di riferimento l'ipotalamo, in uscita, ha bisogno di poter
attivare il sistema nervoso autonomo con innalzamento del battito cardiaco con vasocostrizione
periferica quindi disperde meno calore e mandamelo sangue in periferia (simpatico e
parasimpatico); l'ipofisi, attraverso la quale si attiva il sistema endocrino e la tiroide che attiva il
metabolismo; un'uscita ormonale diretta, infatti l’ipotalamo ha due ormoni ipotalamici; le aree
corticali e genera una sensazione cosciente di disagio.
Il risultato dell'attivazione del sistema dello stress è un aumento del cortisolo e dell’adrenalina circolanti,
che producono effetti positivi, ad esempio mobilitano le risorse energetiche che devono essere consumate
perché l'organismo si prepara a fronteggiare un pericolo, ma può essere anche il freddo, quindi dobbiamo
bruciare più carburante e quindi dobbiamo mobilitarci.
È un esempio di sistema ipotalamico volto a preservare l'omeostasi dell'organismo. Non mira a controllare
la singola variabile, ma la sua funzione è quella di massimizzare la probabilità che un individuo possa con
successo far fronte a sfide che provengono dall'ambiente, che possono essere molto banali ma anche più
complesse. Mobilitare risorse e direzionarle in maniera opportuna.
Tutto parte da una valutazione della situazione: lo stimolo vuol dire che nell'ambiente esterno o
nell'ambiente interno, cioè nella mia percezione della situazione, attiva il sistema. L'attivazione viene da
strutture corticali oppure dei miei sistemi cognitivi, o anche da uno stimolo emozionale, ed è individuo
specifica. Questo stimolo attiva i neuroni ipotalamici, che sono quelli che producono l'adrenalina.
L'adrenalina stimola il sistema nervoso simpatico provocando aumento del battito cardiaco e aumento
della pressione arteriosa ma in maniera direzionale: se devo fronteggiare un pericolo metterò il flusso
ematico nei distretti muscolari, sottraendolo ai distretti viscerali, dirottando quindi le risorse dai sistemi
digerenti all'attività circolare, compromettendo la funzione digerente. L’adrenalina fa parte delle stessa
categoria della noradrenalina, si lega a recettori adrenergici e produce gli stessi effetti della noradrenalina,
che è il mediatore dei neuroni postgangliari del sistema simpatico. Si produce un aumento della pressione
arteriosa, un aumento del battito cardiaco, una mobilizzazione della disponibilità di glicogeno e glucosio per
il consumo metabolico, quindi un attivazione generalizzata. Allo stesso tempo il cortisolo determina, oltre a
un aumento della pressione arteriosa e del battito cardiaco, un dirottamento del flusso ematico nei distretti
muscolari, sottraendolo ai distretti viscerali, inibendo quei processi che non sono ritenuti essenziali per la
sopravvivenza in quel momento. Questo meccanismo deve succedere per poter reagire agli eventi che ci
fronteggiano, è uno stress positivo. L'attivazione del sistema HPA è un attivazione fisiologica e funzionale.
Sistema di autospegnimento
Diventa uno stress negativo quando questo ciclo si cronicizza: il sistema dello stress va spento in qualche
modo, se il cortisolo circolante è sempre alto vuol dire che c'è qualcosa che non va. Per essere sicuri che si
spenga non appena non è più necessario il sistema dello stress ha un sistema di feedback negativo di
autospegnimento.
Il cortisolo circolante agisce ovunque trova i suoi recettori, e li trova anche a livello dell'ipotalamo e
dell'ippocampo. Legandosi con i recettori, sia quelli ippocampali sia quelli ipotalamici, riduce la produzione
di CRF, questa riduzione riduce la produzione di ACTH, e questa riduzione riduce la produzione del cortisolo
stesso, in questo modo il sistema si autospegne. Se l'ippocampo o l'ipotalamo non rispondono
correttamente al cortisolo, il sistema di spegnimento non funzionerà.
L'ippocampo possiede la più alta densità di recettori per il glucocorticoidi presenti in una struttura
cerebrale, quindi non solo è cruciale per l'autospegnimento, ma i glucocorticoidi sono anche cruciali per la
funzione dell'ippocampo. Il primo ruolo dell'ippocampo è quindi quello di facilitare lo spegnimento del
sistema, se però l'ippocampo ne produce pochi allora il cortisolo non troverà dove legarsi, e quindi lo
spegnimento sarà meno efficace. Una situazione che riduce la presenza di recettori per i glucocorticoidi
nell'ippocampo è costituita da esperienze negative di vita precoci, che possono avere effetti a lungo
termine. La densità dei recettori per il glucocorticoidi può cambiare da un individuo all'altro, sia su base
genetica sia su base legata all'esperienza stessa del soggetto, quindi la nostra esperienza ci può rendere più
o meno vulnerabili agli effetti di eventi stressogeni.
Il nostro asse HPA può essere fisiologicamente attivabile, ma può anche essere cronicamente attivo. Le
cellule ippocampali hanno altre densità di recettori per i glucocorticoidi, quindi la funzione ippocampale è
estremamente sensibile ai livelli di cortisolo circolanti. La curva della Rausal si può applicare ai neuroni
ippocampali proprio per la presenza di cortisolo: se il cortisolo è molto basso i neuroni ippocampali non
funzionano al loro meglio, se però i livelli di cortisolo salgono ulteriormente l’effetto sarà ancora più
negativo, fino ad arrivare a situazioni di estrema stimolazione dell'asse HPA in cui addirittura si può
produrre una amnesia. Eccessivi livelli critici di glucocorticoidi possono rendere le cellule ippocampali più
vulnerabili, addirittura fino a portare i neuroni ippocampali alla morte, diventando deleteria anche per i
processi cognitivi. La funzione ippocampale funzionerà al meglio in presenza di una moderata quantità di
cortisolo circolante.
Le emozioni
Un'emozione ha una componente cosciente e una componente corporea, che è l'unica che noi mostriamo
agli altri ma che comunque sperimentiamo anche noi. Le alterazioni fisiche sono tutte sensazioni che
accompagnano un'emozione, ed entrambe queste componenti fanno parte delle emozioni.
La componente corporea implica l'attivazione dell’ipotalamo, quella cosciente è mediata da strutture
corticali, in particolare limbiche, quindi è collegata col comportamento emozionale.
L'ipotalamo quindi fa parte del sistema emozionale, non perché è cruciale per esperire le emozioni, ma
perché è quello che manda in esecuzione la componente corporea: le strutture corticali proiettano
all'ipotalamo ma anche all'amigdala, la struttura cruciale per il comportamento emozionale di paura, quindi
lo stimolo arriva all'ipotalamo da strutture corticali e sottocorticali. Le emozioni sono il risultato di una
interazione dinamica tra strutture sottocorticali, come l'amigdala, fattori periferici messi in atto
dall’ipotalamo, e fattori coscienti centrali che sono a carico della corteccia celebrale.
Un tempo si pensava che l'ipotalamo fosse il centro della emozione della rabbia. Ora sappiamo che non è
vero, perché l'ipotalamo è l'esecutore finale, l'emozione viene controllata da altre strutture che la mettono
in esecuzione e la fanno esperire coscientemente.
Il circuito ipotalamico che mette in atto una reazione di aggressione consiste nel cercare di convincere un
potenziale avversario che noi siamo più forti di lui, quindi l'ipotalamo mette in atto l’azione di
l'innalzamento dei peli, e lo fa però viene è controllato dalla corteccia e dall'amigdala. Questa visione del
sistema limbico dove l'ipotalamo è un esecutore e chi veramente controlla lo stato emozionale è l'amigdala
e le strutture corticali, che a loro volta controllano l'amigdala, è diventata nota come il sistema dei tre
cervelli:
1. cervello dei rettili: un cervello primitivo, nel senso che lo condividiamo con specie di vertebrati che
non hanno un comportamento particolarmente flessibile controllato dalla corteccia, comprende il
tronco dell'encefalo e l'ipotalamo
2. cervello dei mammiferi: è la corteccia celebrale per esempio l'ippocampo
3. cervello dei primati: la neocorteccia, che caratterizza i primati
Queste tre strutture, che fanno tutte parte del nostro sistema, interagiscono continuamente. Se c'è una
situazione di pericolo, che viene valutata da strutture sottocorticali e corticali, le quali mettono in atto la
reazione più appropriata e per farlo si servono dell'ipotalamo, quindi del cervello dei rettili, che è sempre
costantemente sotto controllo.
Nell'ipotesi iniziale l'ippocampo faceva parte del sistema emozionale in maniera forte. Adesso sappiamo
che ha un ruolo importante, ma non è la struttura che mette in atto la reazione emozionale, quella è
l'amigdala. L’ippocampo ha il suo ruolo nei circuiti emozionali, ad esempio se mi trovo in un ambiente in cui
è successo un evento negativo ho un’attivazione dell'asse HPA e una sensazione di ansia e di minaccia:
l'ambiente è stato riconosciuto dall'ippocampo, ma la sensazione di ansia e di minaccia me la fa sentire
l'amigdala.
Se a due soggetti, uno con una lesione all'ippocampo e uno con una lesione all'amigdala, applichiamo un
protocollo di condizionamento classico, entrambi i soggetti sviluppano un’associazione ad uno stimolo
condizionato. Se presentate lo stimolo condizionato da solo nel soggetto con lesioni all'amigdala, esso
ricorderà lo stimolo ed il contesto in cui è avvenuto, ma non avrà nessuna reazione emozionale.
Il soggetto con lesione all'ippocampo invece avrà la reazione emozionale forte, però non ricorda di essere
stato in quel posto e non ricorda di aver sentito quello stimolo, quindi manca la memoria cosciente ma
rimane la memoria emotiva
Se viene lesionato il sistema limbico nella sua parte del lobo temporale avremo:
• una assenza di reazioni emotive, questo perché è stata asportata l’amigdala,
• una mancanza di memoria esplicita, questo perché è stato asportato l'ippocampo
• una difficoltà a riconoscere gli oggetti, questo perché sono state asportate le aree visive
inferotemporali
Quindi ogni aspetto della sindrome è legato ad una diversa struttura presente nella parte limbica costituita
dal lobo temporale.
Le evidenze che l'amigdala è struttura una cruciale per le emozioni sono le lesioni ma anche il fatto che una
stimolazione dell'amigdala provoca un forte stato di paura cosciente e viscerale, quindi il soggetto esperisce
sia la componente cosciente che la componente implicita delle emozioni. Inoltre l’amigdala si attiva anche
ai soggetti a cui vengono presentati stimoli emotivi di paura. Si attiva anche per emozioni negative come la
tristezza, mentre nel caso di un emozione attiva come la rabbia si attivano anche altre strutture limbiche
corticali. Se l'amigdala è lesionata non solo il soggetto non prova l'emozione della paura, ma non è in grado
di riconoscerla negli altri, quindi è importante per il comportamento sociale. Un soggetto con lesioni
all'amigdala non impara mai contingenze negative, quindi non sviluppare azioni di paura dove sarebbe
assolutamente fisiologico che le sviluppasse.
L’amigdala è al centro del sistema limbico, da cui riceve e da cui proietta. Le informazioni all'amigdala
arrivano da due vie: una via corticale cosciente, e una via sottocorticale non cosciente. Il vantaggio è che
questa seconda via è che è più rapida, dato che non devo aspettare l’arrivo dell’attività dalla corteccia,
quindi si mette in atto una reazione di paura prima ancora di aver coscientemente analizzato lo stimolo,
mettendo in atto la reazione difensiva più rapidamente. La via che viene dalla corteccia, chiamata via lunga,
è l’unica cosciente.
Tutte le informazioni arrivano all'amigdala laterale dal nucleo basolaterale che poi proietta dall'amigdala
centrale, nel nucleo centrale dell'amigdala, che è la vera uscita dell'amigdala, ed è essa che proietta
l'ipotalamo e quindi attiva la risposta viscerale, ma proietta anche a strutture corticali per esperire la parte
cosciente delle emozioni.
Aree del sistema limbico, in particolare la corteccia prefrontale, controllano l'amigdala regolando la messa
in atto delle emozioni. Sempre una parte del sistema limbico, la corteccia orbitofrontale, fa parte di quelle
strutture che non solo controllano l'amigdala, ma comprendono anche l’assegnare un valore alle cose,
quindi a sostenere la motivazione. In esperimenti nella scimmia era stato era stato rimosso il lobo frontale,
compresa la parte prefrontale. Come risultato l'animale diventava estremamente docile. Questo ha portato
a fare questo tipo di operazioni sull'uomo, con lo scopo di controllare persone con comportamenti
aggressivi. Questa operazione, che si chiama lobotomia frontale perché veniva asportato più di metà del
lobo frontale, fu ideata dal neurochirurgo Egger Moniz. Adesso conoscendo il ruolo della corteccia
prefrontale ed essendo più esperti nell’interpretare i risultati, il giudizio su questo tipo di intervento è
ovviamente estremamente negativo: la rimozione del lobo prefrontale in soggetti umani li ha portati ad
essere completamente senza alcun tipo di motivazione, la loro esistenza era priva di qualunque scopo.
L’empatia
L'empatia è una capacità che noi sperimentiamo spessissimo. Vuol dire provare un sentimento di un altro,
quindi partecipare alle emozioni di un altro. Ci fu uno studio in cui si mostrò che partecipare alla sofferenza
di una persona, quindi un'empatia per sensazioni negative, attiva nei soggetti gli stessi sistemi che si
attivano nei soggetti sottoposti alla sofferenza.
Nell’esperimento c'era un osservatore e un partecipatore: l’osservatore era l'oggetto dello studio, il
partecipato era il partner del soggetto osservatore. Al partner veniva applicato un piccolo stimolo doloroso
mentre era nel tubo di risonanza magnetica, e l'osservatore, anche lui nel tubo di risonanza magnetica,
poteva osservarlo tramite un sistema di specchi. Si misurò le aree che si attivano nel soggetto che prova lo
stimolo doloroso e le aree che si attivano nel soggetto affettivamente legato ma che non prova lo stimolo
doloroso. Nel soggetto che prova lo stimolo si attiva il sistema somatosensoriale e le vie nocicettive, che
non si attivano nel soggetto che osserva, ma nel soggetto che osserva però si attivano, così come nel
soggetto che prova lo stimolo, le aree limbiche, ad esempio la corteccia cingolata anteriore e parte
dell'insula, che danno la sensazione negativa dell'esperienza sensoriale. L'esperienza empatica si basa su un
attivazione celebrale ben precisa di un'area estesa del sistema dolorifico, ovvero le parti che danno la
sensazione negativa, e maggiore è il grado dei soggetti di empatizzare maggiore è l'attivazione celebrale.
Anche il giudizio morale sulla persona osservata influenza il grado di effettiva: se osservate non una
persona cara ma una persona di cui abbiamo un giudizio positivo, e una persona di cui abbiamo un giudizio
negativo, l'esperienza empatica è completamente diversa. L'empatia è regolata nei processi affettivi e dai
processi di giudizio morale.
La sinapsi dopaminergica
All'interno di questo sistema svolge un ruolo particolare il sistema dopaminergico. Il sistema dopaminergico
è un sistema a proiezione diffusa: i neuromodulatori sono neurotrasmettitori caratterizzati dall'avere
un'origine molto ristretta, quindi piccoli gruppi di cellule che danno origine ad un sistema. Il sistema
dopaminergico parte da numerosi nuclei situati all'interno del tronco dell'encefalo e che proiettano sia al
nucleo accumbens che all'amigdala che all'ippocampo, ma anche ad altre strutture coinvolte
nell'assegnazione di valore.
Le prime idee sul sistema della ricompensa endogena, la cui attività corrisponde per il soggetto ad una
sensazione di soddisfazione e di piacevolezza, nascono da evidenze su studi in modelli animali nei quali,
tramite degli elettrodi, venivano stimolate diverse zone per stimolare l'attività neuronale. Questi elettrodi
generavano delle correnti eccitatorie facendo emettere potenziali d’azione dalle cellule nervose intorno
alle elettrodi, e la stimolazione della corrente era controllata dall'animale stesso una leva.
Si osservò che quando l'elettrodo era in una particolare posizione all'interno del cervello dell'animale,
quest’ultimo iniziava a premere la leva in maniera compulsiva. Questo avveniva quando l’elettrodo stimola
una struttura che fa parte dei nuclei della base del corpo striato nella sua porzione più ventrale, ovvero il
nucleo accumbens: stimolando nelle vicinanze del nucleo accumbens l'animale lo trovava piacevole, la
stimolazione poteva essere paragonata ad un rinforzo positivo.
L'altra struttura di interesse è una struttura mesencefalica che si chiama area tegmentale ventrale e fa
parte del sistema dopaminergico. L'area tegmentale ventrale nella parte dorsale ha un ruolo
principalmente legato al sistema motorio, ma proietta anche dalla parte ventrale, nel corpo striato e in
particolare al nucleo accumbens. Il circuito della ricompensa sarebbe formato dalla proiezione
dopaminergica dall’area tegmentale ventrale al nucleo accumbens, infatti la stimolazione elettrica efficace
era quella che attivava la proiezione dopaminergica al nucleo accumbens.
I neuroni del nucleo accumbens proiettano ad altre strutture tra cui anche la corteccia prefrontale e in
particolare quella limbica.
Nella sinapsi dopaminergica fra i neuroni dell'area tegmentale ventrale e il nucleo accumbens il terminale
presinaptico, che è l'azione dei neuroni dell'area tegmentale ventrale, produce il rilascio dopamina, e i
neuroni del nucleo accumbens avranno i recettori dopaminergici. È un neuromodulatore, quindi ha un
sistema a secondo messaggero: una volta che la dopamina si è legata si attivano proteine G specifiche che
determineranno la produzione di un secondo messaggero che, tramite l’effettore primario, provocherà gli
effetti desiderati, anche a lungo termine. La stimolazione cruciale è quella che determina un aumento del
rilascio di dopamina da parte dei neuroni dell'area tegmentale ventrale verso il nucleo accumbens. Quando
aumenta l'attività dei neuroni dell'area tegmentale ventrale aumenta la quantità di dopamina rilasciata nel
nucleo accumbens. Le ricompense naturali, ovvero la soddisfazione di bisogni primari, hanno un effetto
soddisfacente e piacevole perché evocano il rilascio di dopamina nel nucleo accumbens. Sono motivato a
cercare queste ricompense naturali perché ho la sensazione di disagio che provoca la loro mancanza, ed
anche perché nella mente anticipo la sensazione di piacevolezza e soddisfazione che il cibo, cioè la
ricompensa, mi procurerà.
La dipendenza
Il sistema endogeno della ricompensa può essere dirottato, ovvero se ne possono impadronire, attraverso
fenomeni di plasticità sinaptica maladattiva, delle sostanze da cui si sviluppa dipendenza.
L'area tegmentale ventrale proietta alla sostanza nera che proietta allo striato dorsale
L’area tegmentale ventrale che proietta allo striato ventrale.
La corteccia proietta e riceve dai nuclei della base, e questo vale anche per il nucleo accumbens, quindi la
corteccia proietta al nucleo accumbens e il nucleo accumbens proietta alla corteccia.
Facendo uso di un farmaco che potrebbe portare dipendenza, il principio attivo si diffonde e arriva
all'intero cervello, in particolare al nucleo accumbens. Il suo arrivo nel nucleo accumbens determina un
aumento nel rilascio di dopamina da parte degli assoni dei neuroni dell'area tegmentale ventrale, quindi
l'animale diventa dipendente dal farmaco. La somministrazione del farmaco risulta piacevole come se fosse
una ricompensa naturale.
La sostanze che evocano il rilascio di dopamina nel nucleo accumbens sono tutte le sostanze note che
danno dipendenza: nicotina, etanolo, stimolanti come la cocaina e le anfetamine, oppiacei, cannabinoidi. Lo
sviluppo della dipendenza, qualunque sia la sostanza, si traduce in un’attivazione incongrua del sistema
endogeno della ricompensa: inizialmente sostiene la piacevolezza iniziale, poi però la ripetuta
somministrazione attraverso appunto fenomeni di plasticità maladattiva, modifica il sistema stesso.
L'animale trasferisce la motivazione dai bisogni primari al bisogno acquisito, ovvero ottenere di nuovo la
somministrazione del farmaco. Queste sostanze determinano un'attivazione anomala del circuito della
ricompensa endogena, l’eccesso di attività dopaminergica sconvolge la valorizzazione e la gerarchica, le
sostanze d'abuso diventano la motivazione principale del soggetto, e dall'uso si passa all’abuso.
I nuclei della base sono coinvolti nello sviluppo di comportamenti routinari, sabroutin già fatte, che metto
in atto senza doverci spendere troppe attenzioni. Sono anche coinvolti nello sviluppo degli effetti di un
condizionamento operante, quindi trasferire l'attivazione dopaminergica dalla ricompensa naturale allo
stimolo ad esso associato. Nel caso delle sostanze d'abuso si evoca plasticità sinaptica nel nucleo
accumbens per l'effetto diretto delle sostanze d'abuso, o sul rilascio di dopamina nel nucleo accumbens, il
che fa sviluppare un comportamento ripetitivo che si aggiunge alla difficoltà per un soggetto di smettere
l'assunzione della sostanza. L'assunzione di sostanze che danno dipendenza rende anche i soggetti più
vulnerabili allo stress perché modifica la risposta del sistema endogeno della ricompensa, che poi si riflette
anche sull' asse HPA che diventa ipereccitabile.
Se alla base della dipendenza c'è una plasticità maladattiva potrebbe essere possibile promuovere dei
fenomeni di plasticità adattivi che facilitano la vita al soggetto e che potrebbero contrastare i precedenti
fenomeni maladattivi.
I sistemi di memoria
La memoria è il risultato di un processo di apprendimento attraverso il quale possiamo acquisire nuove
informazioni ma anche nuove capacità, ed infatti un processo di apprendimento si qualifica come tale se
porta alla formazione di una traccia di memoria. Una volta acquisita una traccia di memoria essa va
incontro ad un processo di consolidamento che la rende progressivamente più robusta e più stabile.
Quando la traccia di memoria viene immagazzinata in modo da poter essere poi recuperata per utilizzo a
distanza di tempo parliamo di memoria a lungo termine.
Al processo che conduce la formazione di memoria a lungo termine si affiancano processi di memoria di
lavoro, ovvero la capacità di mantenere in memoria informazione per tempi brevi e lavorandoci a livello
della corteccia prefrontale.
I risultati combinati di neuropsicologia e psicobiologia hanno individuato quelli che chiamiamo i sistemi di
memoria, ovvero un insieme di strutture in cui avvengono processi che permettono di formare, conservare
e richiamare la traccia di memoria. Ogni sistema di memoria è associato con un tipo di memoria e la sua
funzione può essere dissociata dalla funzione di un sistema diverso che si occupa di un altro tipo di
memoria. Sulla base di evidenze concordanti siamo arrivati a proporre quello che potremmo chiamare la
tassonomia della memoria:
La memoria a lungo termine si distingue in memoria dichiarativa e memoria non dichiarativa, e a volte
anche memoria esplicita e memoria implicita.
• Per memoria dichiarativa intendiamo quel tipo di memoria che può essere coscientemente
richiamato e anche dichiarato, quindi non è solo informazione verbale o visiva ma è anche memoria
episodica. La memoria esplicita ha come strutture tutte quelle che fanno parte del lobo temporale
mediale, in particolare l'ippocampo e le cortecce circostanti, strutture diencefaliche talamiche e la
neocorteccia. La memoria dichiarativa viene divisa in memoria semantica e memoria episodica.
- La memoria semantica è decontestualizzata, ovvero informazioni che non hanno associato
nessun altro tipo di informazioni.
- La memoria episodica è contestualizzata nel tempo e nello spazio, fanno parte della memoria
episodica tutti gli aspetti della memoria spaziale.
• La memoria implicita non dichiarativa ha tanti sistemi di memoria quante sono le forme di memoria
implicita, per esempio la memoria procedurale, l’acquisizione di abilità motorie, le abilità
percettive, associazioni stimolo-ricompensa, il condizionamento operante, lo sviluppo di
comportamenti abituali, tutte le azioni che compiamo senza un controllo cognitivo esplicito. Queste
abitudini ci scaricano del controllo cognitivo e sono a carico dei nuclei della base, diversamente
dalla memoria dichiarativa di cui se ne fa carico l’ippocampo.
Nei soggetti in cui mancano entrambi i nuclei dell'ippocampo o che comunque presentano lesioni si
formano amnesie anterograde e permanenti, quindi non formando nessuna nuova memoria. L’amnesia
retrograda è invece più graduata: nei soggetti che hanno perso i nuclei ippocampali comunque rimane una
traccia di memoria passata, ciò vuol dire che una copia della memoria è stata trasferita da strutture
corticali. L'acquisizione di nuove informazioni, quindi nuove memorie episodiche o semantiche, richiede
l'ippocampo intatto, ma il richiamo di memorie dichiarative già acquisite richiedere l’ippocampo per
qualche anno.
La memoria dichiarativa
L'ippocampo e altre strutture del lobo temporale mediale vengono considerate ugualmente necessarie per
tutti e due i tipi di memoria dichiarativa, quella episodica e quella semantica, alcuni ritengono però ci siano
due sistemi di memoria dichiarativa a lungo termine: uno che è quello dell'ippocampo ed è essenziale per la
memoria episodica, l’altro invece può fare a meno dell'ippocampo, e comprende strutture del lobo
temporale mediale intorno all’ippocampo, per esempio la corteccia peridinale, utilizzata per una forma di
memoria dichiarativa più semplice di quella episodica, ovvero il riconoscimento, e potrebbe fare a meno
dell’ippocampo. Nella memoria dichiarativa ci può essere solo il senso di familiarità che non è
contestualizzata e non necessita l’ippocampo, mentre quando una memoria viene contestualizzata, quindi
per la memoria episodica, stiamo usando l'ippocampo.
L'ippocampo destro è specializzato per la memoria spaziale, l'ippocampo sinistro è specializzato per la
memoria verbale. L'ippocampo è al centro di un circuito che parte e torna alle aree associative del cervello,
quindi aree associative unimodali e polimodali, che proiettano alla corteccia del lobo temporale mediale, ad
esempio la corteccia peririnale, che proiettano alla corteccia entorinale che è contemporaneamente il
principale ingresso e la principale uscita dell'ippocampo.
Apprendimento percettivo
Il miglioramento delle capacità percettive in una modalità sensoriale si può illustrare con un esempio sulla
modalità uditiva degli animali facendogli imparare a discriminare due toni la cui frequenza diventa
progressivamente più simile con un paradigma che si chiama paradigma Oxford: c'è una sequenza di stimoli
tutti uguali e nel messo ne viene emesso diverso, e l'animale impara l'istruzione che quando arriva lo
stimolo diverso deve premere un tasto. All'inizio si parte con la sequenza dello stimolo infrequente OD, cioè
incongruo, che ha una frequenza molto diversa da quella degli altri stimoli, quindi il compito è inizialmente
facile. Una volta che l'animale ha acquisito un'istruzione si comincia a rendere la frequenza dello stimolo
progressivamente più simile a quella degli altri stimoli, finché l'animale non li distingue più. Con
l'allenamento la minima frequenza distinguibile, quindi la minima differenza di frequenza discriminabile,
diventa sempre più piccola e il soggetto diventa sempre più bravo a discriminare le frequenze.
Nella corteccia uditiva ci sono colonne di isofrequenza e le cellule nello spessore della corteccia in una
determinata zona rispondono tutte con la loro frequenza caratteristica. Alla fine dell'apprendimento quello
che si vede è che il numero di cellule della corteccia uditiva primaria che ha come frequenza caratteristica
quella appresa dall’animale è aumentato, si è quindi espansa la mappa di questa frequenza ai danni della
rappresentazione delle altre frequenze. C'è un reclutamento di un numero maggiore di neuroni che lavora
sulla frequenza di interesse
Nel caso dell'apprendimento motorio si dimostrava che il reclutamento di neuroni aggiuntivi avveniva
perché connessioni tra neuroni vicini venivano potenziate con fenomeni di potenziamento a lungo termine,
e per provare il potenziamento si misurava l'emisfero che guidava il muscolo che svolgeva il compito
rispetto all'altro. Inoltre se si provava ad indurre artificiosamente il potenziamento a lungo termine
stimolando elettricamente queste connessioni non ci si riusciva perché le connessioni erano già potenziate.
Nel caso del sistema uditivo queste due evidenze non ci sono, quindi mi limito a dire che anche
nell'apprendimento percettivo uditivo si osserva un cambiamento nelle mappe corticali, probabilmente
tramite un potenziamento a lungo termine delle connessioni tra neuroni vicini, per questo ne recluto di più,
però non lo posso dire con certezza perché non è stato dimostrato.
In un compito di apprendimento visivo, in cui stavolta l'animale diventa progressivamente più bravo a
discriminare stimoli visivi resi progressivamente più simili, nella corteccia visiva primaria c'è sempre una
modifica della mappa, ma in questo caso è stata fatta la misura dell'efficacia delle connessioni tra neuroni
vicini, e si vede che sono potenziate dalla apprendimento, quindi se provo a potenziarle artificiosamente
non ci riesco. Ne concludo che l'apprendimento ha potenziato le connessioni fra neuroni vicini,
aumentando di neuroni che lavora su un certo compito.
Sostanzialmente possiamo dire che abbiamo delle evidenze correlative: quando i soggetti apprendono una
determinata abilità cambia la mappa della corteccia coinvolta in quel compito (motoria, visiva o uditiva) ma
non è un evidenza causale. Posso proporre che il cambio è causato dall’apprendimento, però la causalità ce
l’ho solo negli esperimenti in cui vado a vedere l'efficacia delle connessioni sinaptiche tra cellule vicine della
corteccia di interesse. In alcuni casi ho evidenze solo correlative, in altri più causali.
Il riconsolidamento
La frequenza classica dei fenomeni di apprendimento e memoria è: acquisisco informazioni; la codifico;
avvengono fenomeni di plasticità Hebbiana se il recettore NMDA si attiva; i fenomeni di plasticità se sono
lungo termine sostengono la memoria a lungo termine. Una traccia di memoria per essere a lungo termine
deve avere la fase di consolidamento e mantenimento, che rende stabile il cambiamento d’efficacia
sinaptica, fasi che si basano su cambiamenti nella presenza di proteine quindi nella traduzione da RNA già
presente, e poi nella trascrizione trascrizione da tratti di genoma, inoltre ci sono anche i meccanismi
epigenetici che influenzano a lungo termine la trascrivibilità di specifici geni.
L'idea è che una volta avvienuto il consolidamento, la memoria consolidata non la posso più perdere.
In realtà non sembrerebbe così: ogni traccia di memoria, almeno per i primi anni della sua vita, quando
viene riattivata torna di nuovo labile, e per poter essere mantenuta a lungo termine, quindi recuperata
ancora successivamente, deve essere di nuovo consolidata. Questo è il fenomeno che chiamiamo
riconsolidamento, è un consolidamento ripetuto su memorie già consolidate.
Le prime evidenze in modelli animali sono state ottenute relativamente a memorie emotive di paura,
quindi riguardo l'amigdala: l'animale dopo un protocollo di condizionamento classico ha sviluppato una
risposta piuttosto solida di paura condizionata allo stimolo condizionato. Se io gli presento lo stimolo
condizionato, quindi riattivo la traccia di memoria di paura condizionata, la traccia ritorna labile, e me ne
accorgo perché dopo averla riattivata uso un farmaco che blocca le molecole cruciali per il consolidamento,
ed il giorno dopo la traccia di memoria è sparita.
Un’altra evidenza è data dalla registrazione dei neuroni dell'amigdala: al termine di un protocollo di
condizionamento classico compaiono dei neuroni che rispondono fortemente allo stimolo condizionato.
Verifico che questo sia vero, poi presento lo stimolo condizionato e tratto farmacologicamente l'animale: la
risposta di paura comportamentalmente scompare, e quando vado a registrare di nuovo i neuroni
dell’amigdala non rispondono più allo stimolo condizionato, quindi ho cancellato la traccia.
Il riconsolidamento è un qualcosa che deve essere attivato, e viene attivato quando richiamo la traccia di
memoria, e solo a questo punto partono i processi che normalmente ci portano a riconsolidarla, ma se
interferisco con il consolidamento la memoria sparisce, nel caso della memoria emozionale ho cancellato il
potenziamento a lungo termine avvenduto nell'amigdala.
Ci sono soggetti umani che mostrano una risposta esagerata a stimoli emotigeni o che hanno un intrusione
di memoria emozionale che interferiscono con la qualità della vita del soggetto, quindi poter intervenire
riducendo la risposta emozionale negativa attraverso un protocollo di riattivazione e il successivo
intervento potrebbe riportare i soggetti a risposte emotive normali, ecco perché gli studi sul
consolidamento sono cominciati con le memorie emozionali.
Il ricondizionamento esiste anche per altri tipi di memoria, ad esempio per la memoria motoria: il giorno
uno si fa apprendere ad un soggetto una frequenza motoria semplice, il giorno due gli si fa apprendere
un'altra sequenza. Se fate ripetere al soggetto la prima e la seconda sequenza esso risulterà capace in
entrambe, quindi ha appreso e consolidato la prima e il giorno dopo ha appreso e consolidato la seconda.
Adesso le fate interferire con un protocollo di interferenza: il giorno uno acquisisce la prima sequenza, al
giorno due gliela fate rieseguire e subito dopo fate partire l'apprendimento della seconda sequenza. Al
terzo giorno se fate mettere in pratica al soggetto la sequenza uno e la sequenza due il soggetto risulterà
bravo nella sequenza due ma avrà perso tutti gli effetti dell'apprendimento della sequenza uno, questo
perché gliel'abbiamo fatta riattivare ed è tornata labile, mettendoci al suo posto l'apprendimento dell'altra
sequenza. So che non è una questione di effetto dell'aver appreso la sequenza due perché se non faccio
riattivare la prima sequenza, come nel protocollo iniziale, se le ricorda entrambe. Utilizzando protocolli di
interferenza retroattiva è stato dimostrato per diversi tipi di memoria che ci sono fenomeni di
riconsolidamento.
Il vantaggio è che la nostra traccia di memoria può essere aggiornata, nonostante ci rimetta la veridicità
della testimonianza perché se quando richiamo una traccia di memoria la posso modificare essa sarà
sempre diversa da quella originale, quindi quando io richiamo le memorie più vecchie quello che ricordo
ora potrebbe non essere esattamente quello che è accaduto, questo perché nel revocarla potrei averla
aggiornata. L'utilità è quella di poter aggiornare ed adattare le tracce di memoria alla mutata situazione
contestuale. La molecola cruciale per la formazione di una memoria di riconoscimento visiva e cruciale
anche per il riconsolidamento, quindi la protein chinasi CaMKII.
Se io dovessi applicare all'uomo un trattamento farmacologico che interferisce con il consolidamento tutte
le memorie di recente formazione verrebbero cancellate, questo non avviene perché una memoria per
essere riconsolidata va riattivarla, quindi anche le memorie che si sono formate esattamente nello stesso
momento ma che non vengono riattivate non vengono disturbate. Potenzialmente il trattamento che
potrebbe essere proponibile per l'uomo c'è, tramite un altro farmaco antagonista della noradrenalina e
dell'adrenalina, questo perché quando il soggetto è in allerta, quindi l’asse HPA è attivo, cercare di ridurre
la risposta emozionale negativa è più difficile rispetto al caso in cui il soggetto è in una situazione di quiete
emozionale.