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Neurofobia: chi ha paura del cervello

Capitolo 1 - Le scienze del cervello e della mente tra il secondo e il terzo millennio

Le neuroscienze studiano le strutture e le attività del sistema nervoso dell’uomo e degli animali da
tutti i punti di vista e a tutti i livelli della realtà biologico, dai neuroni e dalle sinapsi all’interno del
cervello, dalle molecole al comportamento e all mente. 

Negli ultimi 30’anni le neuroscienze hanno prodotto numerosissime nuove conoscenze anche grazie
allo sviluppo di metrologie avanzate che hanno consentito di fare ricerche in campi prima totalmente
inesplorati a causa delle limitazioni tecniche. A sostegno di ciò il periodo 1990-1999 è stato
designato come il “Decennio del Cervello”.
Il termine “Neuroscienze” fu coniato all’inizio degli anni 60’ quando Frank Schmitt fondò il
Neuroscience Research Program. Venne poi adottato dalla Society for Neuroscience nordamericana,
istituita nel 1969, dalla European Neuroscience Association, fondata nel 1977, e da molte riviste
apparse a partire dal 1963, data della pubblicazione del primo numero del Neurosciences Research
Program Bulletin. Attualmente il catalogo della National Library of Medicine elenca 213 riviste di
carattere neuroscienti co, fra le quali oltre cento includono nel titolo il termine "neuroscience" o
“neurosciences". Tuttavia il concetto di neuroscienze (inteso come sforzo di riunire e coordinare
molte, se non tutte, le discipline inerenti al sistema nervoso in un settore scienti co
onnicomprensivo) è nato molto prima del termine stesso.

I rapporti fra scienze psicologiche e psichiatriche da una parte e neuroscienze dall'altra sono stati e
sono tuttora caratterizzati da controversie e contraddizioni. Il fatto che processi mentali normali e
patologici dipendano in de nitiva da processi cerebrali non signi ca che psicologia e psichiatria
possano accettare di essere incorporate senza riserve e obiezioni nelle neuroscienze. L'autonomia
scienti ca della psicologia e della psichiatria è fondata sulla giusti cata convinzione che esista un
livello della realtà, quello mentale, che va studiato e conosciuto con i metodi e le categorie
concettuali e terminologiche che gli pertengono. Una reazione depressiva scatenata da una causa
psicologica (per esempio, la morte di una persona cara o la perdita del lavoro) ha indubbiamente dei
corrispettivi cerebrali, ma l'individuo depresso conosce e può comunicare allo psichiatra e allo
psicologo solo la sua so erenza soggettiva, non certo i cambiamenti di attività dei suoi neuroni e dei
suoi neurotrasmettitori.

Oggi, tuttavia, la maggior parte degli psicologi e degli psichiatri aderisce al grande progetto delle
cosiddette neuroscienze cognitive, un settore interdisciplinare che mira a collegare sistematicamente
i problemi della mente studiati dai cognitivisti con le conoscenze e con le idee neuroscienti che.

Lo studio dei rapporti fra attività cerebrali e attività psichiche si è basato per molti decenni, e ancora
in parte si basa, sulle analisi dei disturbi provocati da lesioni di diverse parti del cervello.
L'associazione tra comportamento e cervello sembra documentata già nel 1700 a.C. in un papiro
dove la di coltà a esprimersi viene attribuita a una malattia del cervello, il collegamento tra paralisi
del lato destro del corpo e la di coltà della parola è descritto in un salmo ebraico del vI secolo a. C.,
mentre il rapporto tra lesione del lato destro del cervello e spasmi della parte sinistra del corpo era
già noto a Ippocrate nella Grecia del v secolo a.C. Tuttavia è solo nell'Ottocento che l’esame
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anatomico e istologico postmortem del cervello ha consentito di rintracciare associazioni speci che
tra disturbi clinici (per esempio la perdita del linguaggio) e la sede della lesione (corteccia frontale
inferiore sinistra). Degno di nota è che importanti conoscenze sul funzionamento cerebrale furono
ottenute già a partire dalla ne dell'Ottocento con la stimolazione elettrica o meccanica del cervello.
La possibilità di registrare l'attività elettrica del cervello, spontanea o provocata, con elettrodi posti
sulla super cie del cranio di animali da esperimento era già stata dimostrata nel 1875 da Caton,
professore di Fisiologia a Liverpool. I primi sistematici studi sull'uomo si devono invece a Hans
Berger, psichiatra dell'Università di Jena.

L'elettroencefalogra a (EEG) occupa una posizione di primissimo piano nella neuro siologia e nella
neurologia clinica dei decenni dal 1930 al 1960. In quegli anni l’EEG si rivelò uno strumento decisivo
in neuro siologia per lo studio della fenomenologia e dei meccanismi del ciclo sonno-veglia
nell'uomo e negli animali, e indispensabile in clinica per la diagnostica dell'epilessia, dei tumori
cerebrali e degli stati alterati di coscienza, incluso il coma. Importanti conoscenze derivarono dalla
stimolazione e dalla registrazione diretta dell’attività cerebrale, tecniche usate sistematicamente
sull'uomo già negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso dai neurochirurghi del Montreal
Neurological Institute guidato da Wilder Pen eld (Pen eld, Rasmussen, 1950). Poiché la
manipolazione della corteccia cerebrale non produce dolore, dopo anestesia locale dello scalpo si
può esporla, piazzare un elettrodo su di essa, e stimolarla o registrare la sua attività elettrica mentre il
soggetto è sveglio. Si tratta tuttavia di tecniche molto invasive, giusti cate solo a ni terapeutici, per
esempio per la scelta del tessuto da asportare in caso di tumore cerebrale.

A conferma degli esperimenti sugli animali, la stimolazione della corteccia motoria dell'uomo provoca
a seconda del punto stimolato movimenti selettivi di parti controlaterali del corpo, come la mano, il
braccio, il piede. Analogamente, la stimolazione della corteccia somatosensoriale induce sensazioni
tattili sulla mano, sulla faccia, sulla gamba, o sul piede del lato opposto, secondo una regola
somatotopica che tiene in considerazione l'importanza funzionale di ciascuna parte del corpo.

La magnetoencefalogra a (MEG) è una moderna e so sticata tecnica funzionale non invasiva,


utilizzata per registrare i debolissimi campi magnetici indotti dall'attività elettrica dei neuroni tramite
sensori posti in prossimità dello scalpo. La tecnica è molto costosa, richiede ambienti
magneticamenti isolati e un complesso armamentario matematico per l'estrazione del segnale.
Mentre l'EEG registra solo i potenziali legati a correnti tangenziali, la MEG capta solo i campi
magnetici indotti da correnti radiali. Pur avendo il limite di poter captare solo l’attività corticale
super ciale, e quindi di non poter fornire informazioni sulle attività dei tessuti profondi corticali e
sottocorticali, la MEG ha eccellente risoluzione sia spaziale sia temporale.

Tecniche non invasive di stimolazione cerebrale

La stimolazione magnetica transcranica (SMT) è una tecnica molto utilizzata a ni sia diagnostici
sia di ricerca. Essa sfrutta il principio dell'induzione elettromagnetica per il quale un campo
magnetico generato da una bobina in vicinanza di una regione cranica induce deboli correnti
elettriche che attraversando i tessuti cutanei, muscolari e ossei raggiunge la corteccia cerebrale
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sottostante in uenzando l'attivita dei suoi neuroni. Uno degli e etti più frequentemente osservati nel
caso di stimolazioni ripetitive (SMTP) e prolungate è il blocco del tutto temporaneo e reversibile della
funzione dell'area corticale interessata.

Tra le tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva si è recentemente molto a ermata la


stimolazione elettrica transcranica, che prevede l'applicazione di deboli correnti elettriche (~1-2mA)
erogate tramite due elettrodi posizionati sullo scalpo, attraverso uno stimolatore di corrente
alimentato a batterie. Tra le più usate è l'applicazione continua (stimolazione transcranica a corrente
continua, tDCS), che non induce veri e propri potenziali d'azione ma polarizza i neuroni riducendone
o aumentantone la frequenza di scarica con conseguenti e etti di riduzione o aumento
dell'eccitabilità corticale. La modulazione dell'attività corticale può durare diversi minuti, essere
utilizzata come promotore di neuroplasticità (e quindi come adiuvante per la riabilitazione di varie
malattie neurologiche come l'ictus) e nel potenziamento cognitivo e nell’apprendimento.

L'era delle neuroimmagini funzionali

L'inizio dell'era delle immagini cerebrali è contrassegnato dal passaggio dalle tecniche
elettro siologiche a quelle che per mettono di analizzare il usso sanguigno o l'attività metabolica in
speci che regioni cerebrali durante eventi o stati siologici o mentali, nonché dallo sviluppo di
tecniche tomogra che computerizzate per la visualizzazione in vivo dell'anatomia cerebrale.

Le due tecniche principali, ma non le uniche, sono la tomogra a a emissione di positroni (PET,
Positron Emission Tomography) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI, Functional Magnetic
Resonance Imaging).

Entrambe si basano sulla nozione che incrementi di attività neurale in una data regione cerebrale si
accompagnano a un aumento del usso sanguigno e del consumo di ossigeno e di glucosio nella
stessa regione. Poiché il cervello ha minime riserve di ossigeno e di glucosio, le sue richieste
energetiche devono essere soddisfatte dall'apporto di queste sostanze ai neuroni da parte del
sangue. Ogni aumento di attività neurale produce un innalzamento del consumo di ossigeno seguito
dopo circa due secondi da un aumento del usso sanguigno che raggiunge un plateau dopo cinque-
otto secondi. Questo caratteristico andamento siologico costituisce il limite principale della
risoluzione temporale di queste tecniche, che però permettono di visualizzare le strutture profonde e
l'interno dei solchi corticali altrettanto bene delle regioni super ciali del cervello, a di erenza degli
elettrodi sullo scalpo nelle tecniche elettro siologiche, che registrano segnali provenienti
prevalentemente o solo dalla super cie corticale.

1. Tomogra a a emissione di positroni. La tecnica richiede l'iniezione endovenosa di un


tracciante radioattivo con emivita breve di circa due minuti, come l’acqua con ossigeno
marcato. Quando il tracciante raggiunge il cervello, la radioattività misurabile dall'esterno del
cranio è maggiore nelle zone dove c'è maggior quantità di sangue, cioè nelle zone
metabolicamente più attive, che richiamano un usso sanguigno maggiore e quindi più
tracciante. Compiti mentali diversi impegnano aree corticali diverse e quindi producono
quadri diversi di distribuzione regionale del usso, nonche della radioattività, nel cervello.

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2. La risonanza magnetica funzionale (fMRI) si basa sulla tecnica BOLD (blood oxygen
level dependent contrast, cioè contrasto basato sul livello di ossigenazione sanguigna) e
sulle diverse proprietà magnetiche dell'emoglobina ossigenata e di quella deossigenata.
L'aumento del consumo di ossigeno dovuto a un aumento dell'attività neurale è
ipercompensato dall'incremento del usso sanguigno, per cui nel sangue re uo da una zona
attiva il rapporto emoglobina deossigenata/emoglobina ossigenata è inferiore rispetto a una
zona meno attiva. I segnali BOLD sono basati sulle variazioni regionali del rapporto
emoglobina deossigenata/ emoglobina ossigenata, e sui segnali BOLD sono costruite le
mappe di attivazione e dattivazione corticale in varie situazioni siologiche e psicologiche.
Gli studi di fMRI utilizzano la logica sottrattiva: la presunta maggiore attivazione di un'area
durante un dato compito può essere dimostrata sottraendo all'attivazione durante
l'esecuzione di quel compito l'attivazione in stato di riposo o durante l'esecuzione di un
compito sicuramente estraneo all'area di interesse.

Risonanza magnetica statica e trattogra a in vivo. Lo sviluppo della risonanza magnetica


funzionale, è successivo a quello della risonanza magnetica "statica", vale a dire la tecnica
radiologica che ha consentito di visualizzare le strutture corporee con una risoluzione spaziale
elevatissima e quindi con un dettaglio mai visto prima se non in preparati istologici postmortem. La
tecnica si basa sul fatto che i tessuti del nostro corpo contengono molta acqua e quindi molti atomi
di idrogeno (protoni) che hanno un preciso comportamento quando sono sottoposti all'in uenza di
un campo magnetico. I protoni allineano il proprio asse con quello del campo magnetico, e questo
stato di equilibrio può essere perturbato da impulsi di radiofrequenza. Il disallineamento dei protoni o
il loro riallineamento alla cessazione degli impulsi radio producono a loro volta dei segnali
elettromagnetici nell'ambito delle radiofrequenze, che opportunamente elaborati consentono di
costruire immagini anatomiche tridimensionali dei tessuti e degli organi esaminati. La risonanza
magnetica "statica" dell'encefalo e del midollo spinale fornisce informazioni strutturali che
visualizzano quadri patologici come un infarto o un' emorragia cerebrale o zone di atro a nel compiti
malattie degenerative.

Mentre la classica risonanza statica consente di distinguere la sostanza bianca da quella grigia, con
la DITI si possono tracciare dettagliatamente le varie vie di connessione. Inoltre, poiché nei tessuti
ischemici il movimento molecolare dell’acqua rallenta già pochi minuti dopo la lesione, la tecnica è in
grado di evidenziare molto precocemente (entro una/ due ore) l'e etto di ischemie, consentendo così
di instaurare tempestivamente la terapia al primo comparire di disturbi, per esempio della parola.

Tecniche basate sulla luce

La topogra a ottica, sperimentata per la prima volta alla ne degli anni Settanta sui gatti, è in grado
di fornire informazioni a dabili sul consumo di ossigeno nei tessuti cerebrali. Il metodo della
topogra a ottica, detto anche spettroscopia "nel vicino infrarosso" (near-infrared [NIR] spectroscopy,
NIRS), dipende dalla diversa trasparenza dei tessuti alle radiazioni elettromagnetiche prossime all'
infrarosso, cioè alle componenti dello spettro aventi una lunghezza d'onda maggiore di quella della
luce visibile. I fotoni di questa parte dello spettro hanno maggior potere di attraversare i tessuti
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rispetto a quelli della luce visibile e possono essere rilevati quando ne riemergono. Siccome le due
forme conformazionali di emoglobina (ossi- e desossiemoglobina) assorbono la luce in di erenti parti
dello spettro, analizzando la lunghezza d'onda della luce inviata e di quella ricaptata all'emergenza
dai tessuti, è possibile misurare il consumo di ossigeno nella struttura “illuminata”. La risoluzione
spaziale della NIRS è minore di quella della fMRI, ma quella temporale è nettamente migliore.

Sappiamo che, mentre la fMRI ha una elevata risoluzione spaziale e una bassa risoluzione temporale,
la registrazione EEG, anche se ad alta densità (cioè con molti elettrodi registranti) ha le
caratteristiche opposte. È quindi importante saper scegliere lo strumento da adottare in relazione al
problema da esaminare. Di rilievo per uno dei punti riguardanti la neuromania considerati nel capitolo
successivo è il tipo di logica su cui si basa ciascuna tecnica. Dal punto di vista della logica che le
ispira, tutte le tecniche appartengono a una di due grandi classi: correlazionale o causativa.

a. Correlazione → si basa sullo studio della relazione tra un dato comportamento (per
esempio, percezione dell'orientamento di una faccia, rotazione mentale di un oggetto,
decisione se mentire in una determinata interazione sociale) e l'attività in un determinato
sistema neurale per esempio, il lobo occipito-temporale, parietale o la corteccia prefrontale).
Questo approccio consente però di stabilire non se la struttura attivata è responsabile de
comportamento in analisi ma soltanto se e quando (nel caso i cui la tecnica abbia su ciente
risoluzione temporale) la struttura sia coinvolta nel comportamento stesso.

b. Causativa → rientrano tecniche in grado di modi care l'attività neurale di una determinata
struttura nervosa al ne di esaminare se tale interferenza modi chi la capacità di mettere in
atto undato comportamento. Si immagini per esempio l’inattivazione temporanea (diciamo a
causa di una stimolazione elettrica di breve durata) o permanente (può essere il caso di una
lesione) di quella parte del lobo frontale che comprende l'area di Broca.

Combinazione di tecniche

Lo sforzo tecnico e concettuale è dunque quello di combinare varie metodiche a seconda del
quesito sperimentale. La combinazione di TMS e fMRI potrebbe per esempio consentire di
esaminare l'e etto dell’interferenza (indotta dalla stimolazione magnetica transcranica) sul consumo
di ossigeno (fMRI). Riprenderemo in considerazione questo aspetto in relazione alle accuse di
sciatteria e super cialità rivolte ai “neuromaniaci". I dati forniti dalla PET e dalla fMRI possono essere
considerati complementari. La PET consente di studiare i centri e le connessioni di sistemi neuronali
che utilizzano speci ci neurotrasmettitori, come la dopamina, la serotonina, le catecolamine,
l'acetilcolina. I'fMRI è in grado di visualizzare con elevata risoluzione spaziale, in base al livello di
ossigenazione, l'attività cerebrale durante compiti speci ci.

Il cervello e il cambiamento

Alla ne del xIx secolo era già noto che i neuroni non hanno la capacità di riprodursi dopo la nascita,
e che pertanto la costituzione cellulare del sistema nervoso centrale tende a rimanere invariata se
non per la perdita siologica di alcuni neuroni nel corso della vita. Le ipotetiche basi neuronali
dell'apprendimento e della memoria erano e sono tuttora attribuite alla plasticità sinaptica, cioè alle
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modi cazioni funzionali della comunicazione fra i neuroni o per modulazione della trasmissione dei
segnal in sinapsi già esistenti, o per la formazione ex novo di sinapsi fra neuroni precedentemente
non collegati fra loro.

II dogma di Cajal può spiegare la limitazione assoluta di certe forme molto speciali di apprendimento
a periodi critici della prima parte della vita, non certo il fatto conclamato che anche in vecchiaia è
possibile apprendere nuove conoscenze e nuove capacità d'azione. A questa plasticità cognitiva e
comportamentale corrisponde sul versante ner.voso la continua formazione di nuove connessioni
sinaptiche, rese possibili da una notevole capacità dei prolungamenti dendritici e degli assoni dei
neuroni di modi care i propri rapporti strutturali. Questa modi cabilità strutturale, dimostrata
defnitivamente negli ultimi decenni del secolo scorso, è presente anche nel cervello adulto e in quello
senescente. Sono inoltre presenti nel cervello dei mammiferi, incluso l'uomo, zone circoscritte (per
esempio, la regione ippocampale, notoriamente coinvolta in varie forme di apprendimento) nelle quali
durante tutta la vita sono prodotti nuovi neuroni che stabiliscono rapporti sinaptici con altri neuroni in
circuiti già esistenti. I cambiamenti di rappresentazione cerebrale legati a particolari abilità non sono
permanenti ma reversibili, come è stato elegantemente dimostrato con la tecnica di stimolazione
magnetica transcranica in un esperimento su soggetti lettori di Braille. Peraltro le modi cazioni del
sistema nervoso conseguenti a un'attività motoria ripetitiva non sono sempre e necessariamente utili
allo svolgimento di quell'attività o al buon funzionamento in genere. Un esercizio strenuo e improprio
con una parte del corpo può indurre modi cazioni dannose e addirittura una forte disorganizzazione
delle parti corrispondenti del sistema nervoso.

Le lingue nel cervello

Nel corso degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso la PET e la fRi hanno cominciato a fornire
dati sulle aree cerebrali coinvolte in quella particolarissima facoltà umana che è il linguaggio nelle sue
funzioni di comprensione e di espressione. Il confronto fra i risultati di questi primi studi in soggetti
sani e quelli forniti nei precedenti centocinquant'anni dall'analisi dei disturbi del linguaggio a seguito
di lesioni cerebrali ha messo in luce delle evidenti convergenze. È stato confermato che nei soggetti
adulti destrimani di praticamente tutte le culture l'utilizzo del linguaggio causa prevalentemente
attivazioni dell'emisfero sinistro, in pieno accordo con l'a ermazione ottocentesca dell'antropologo
francese Paul Broca secondo cui noi parliamo con quell’emisfero. Le neuroimmagini sono anche
state utilizzate per studiare attività cerebrali potenzialmente legate al linguaggio in bambini molto
piccoli. In bambini di madrelingua francese di appena tre mesi è stata monitorata l'attività cerebrale
durante l’ascolto di una storia registrata in francese e della stessa storia registrata al contrario in
modo da risultare incomprensibile a un adulto. I dati suggeriscono un ruolo potenziale importante di
aree corticali sinistre nella comprensione del linguaggio già in fasi molto precoci dello sviluppo, e
inoltre indicano che già a quei pochi mesi di vita stimoli verbali possono attirare l’attenzione

Attività cerebrale nel cervello che riposa

Un'importante scoperta di Marcus Raichle e del suo gruppo di ricerca alla Washington University di
Saint Louis ha rivelato l'esistenza di aree corticali che non solo non si attivano durante l'esecuzione
di compiti cognitivi, ma addirittura diminuiscono la loro attività quando si passa da una condizione di
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riposo all'esecuzione di un compito. L'insieme di queste regioni è denominato default mode network,
che si può tradurre, sia pure in modo non letterale, come "rete per il funzionamento di base”.
L'attività a riposo potrebbe probabilmente ri ettere i processi introspettivi di dialogo con se stessi
durante i quali la coscienza uttua e vaga senza focalizzarsi su argomenti speci ci. L'attività in
questo sistema potrebbe inoltre aver a che fare con la uttuazione degli stati di coscienza.

La forza del pensiero

Negli ultimi anni lo sforzo combinato di neuroscienziati e bioingegneri ha consentito la costruzione


delle cosiddette interfacce cervello-computer (BCI, brain-computer interface) che decodi cano e
classi cano i segnali elettrici cerebrali e li traducono in comandi per un dispositivo arti ciale, virtuale
(per esempio un avatar) o reale (per esempio un robot). Nella forma standard, i soggetti indossano
una cu a entro la quale sono incorporati elettrodi che rilevano l'attività EEG mentre i soggetti
paralizzati immaginano di compiere azioni su oggetti presenti nel loro campo visivo. L'attività
cerebrale corrispondente a queste operazioni mentali viene interpretata da un classi catore di
segnali e tradotta in comandi che fanno eseguire a un robot il comando voluto dal soggetto.
L'operazione ha successo se il segnale cerebrale utilizzato esprime fedelmente l’intenzione del
soggetto e se l'interfaccia interpreta correttamente il segnale e invia i comandi appropriati al
dispositivo che esegue l'azione. La possibilità di registrare il segnale direttamente dal tessu-

to nervoso che si attiva con l'intenzione aumenta le probabilità di successo.

I neuroni specchio

Tra le scoperte di rilievo nelle neuroscienze della ne del secolo scorso ve ne fu una e ettuata
all'Istituto di siologia di Parma da un gruppo di neuro siologi guidato da Giacomo Rizzolatti, ossia
la descrizione di un tipo di neurone con proprietà molto particolari. Questi neuroni, originariamente
individuati in regioni tradizionalmente considerate motorie, presentavano proprietà sia motorie sia
sensoriali. In particolare essi aumentavano la propria attività non solo durante l'esecuzione di una
determinata azione ma anche quando la stessa azione era osservata o ne veniva udito il suono. Gli
scopritori di queste cellule le chiamarono "neuroni specchio”. L'interesse suscitato dalla scoperta è
stato enorme non solo nel campo della neuro siologia e delle neuroscienze cognitive ma anche nel
campo delle scienze umane. A queste cellule è stato attribuito un possibile ruolo in una grandissima
quantità di processi, dall'attaccamento materno alla comprensione degli stati sici e mentali degli
altri individui, dall'anticipazione degli stati altrui alle patologie della socialità (come per esempio i
disturbi dello spettro autistico) all'evoluzione del linguaggio.

Capitolo 2 - Il fascino (in)discreto del cervello

Fra tutte le scienze naturali le neuroscienze sono uniche perché oggi sono in grado di dimostrare
correlazioni dirette fra determinati eventi che si svolgono nella struttura sica di un cervello e
determinate esperienze coscienti del possessore del cervello medesimo. Una correlazione non
implica un rapporto di causa ed e etto, ma per i neuroscienziati, e si può dire anche per la
maggioranza dei non addetti ai lavori, nessun fenomeno cosciente, dalla percezione alla memoria al
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pensiero alle emozioni ecc., può aver luogo in assenza del rispettivo correlato cerebrale. È questa la
cosiddetta tesi della correlazione, che peraltro dal punto di vista loso co è compatibile con le più
diverse posizioni meta siche, dal dualismo di sostanza a quello di proprietà, dal monismo
interazionista all'identità psico sica e addirittura al panpsichismo. Si possono invece osservare
numerosi stati e cambiamenti funzionali cerebrali che non hanno correlati mentali, anche quando
danno origine a comportamenti complessi organizzati e diretti a scopi precisi. Due forme ben
studiate di comportamento inconscio sono l’apprendimento implicito e la memoria implicita
(Kihlstrom, 2009). Soggetti esposti ripetutamente a una serie di stimoli diversi che si susseguono
secondo una regola complessa, a un certo punto riescono a predire la comparsa degli stimoli con
buona precisione. Eppure, loro stessi non riescono a spiegarsi questa capacità, dato che non sanno
assolutamente enunciare le regole che determinano la sequenza, come se le regole le avessero
imparate grazie a un apprendimento implicito che opera a un livello inaccessibile alla loro coscienza,
pur consentendo l'esatta previsione dello stimolo. Analogamente, vi sono memorie implicite di eventi
del passato che in uenzano dimostrabilmente le esperienze, il pensiero e le azioni del soggetto
senza che il soggetto medesimo abbia la minima consapevolezza di possedere codeste memorie,
come se le avesse depositate in un registro vietato alla coscienza o completamente dimenticate.

Capitolo 3 - Il neuro consentito e il neuro proibito

Diverse sottodiscipline dell'oceanico settore delle neuroscienze portano da decenni nomi con il
pre sso "neuro" senza per questo destare alcun allarme. Molte di queste discipline, che si
identi cano in società scienti che e in riviste specialistiche autonome, condividono "paci camente"
larga parte di un determinato settore di indagine. Potrebbe darsi che il pre sso "neuro" non faccia
paura nei casi sopra considerati perché nessuna di quelle discipline a ronta problematiche che
riguardano direttamente il rapporto tra il cervello e la mente.

E interessante notare che il termine neuropsichiatria è stato usato per decenni a indicare i disturbi
mentali da alterazioni cerebrali prima della netta separazione (avvenuta in Italia circa trenta anni fa)
culturale e professionale, largamente presente anche adesso, fra neurologia e psichiatria,
separazione per la quale i disturbi "organici" sono prevalentemente di pertinenza della prima e quelli
"funzionali" della seconda.

I termini con pre sso "neuro" che suscitano irritazione e innescano l'accusa di neuromania sono
collegati a discipline con una tradizione di ricerca indipendente che hanno dato vita a una
produzione scienti ca specializzata, tale da aver giusti cato la fondazione di riviste e società
scienti che dedicate.

Neuropsicoanalisi

Che la psicologia del profondo fosse inerentemente legata al cervello era nozione chiarissima già a
Freud che peraltro, come è noto, cominciò la sua carriera come neurologo clinico apportando
interessanti contributi alla conoscenza dei disturbi del linguaggio (afasie) e del riconoscimento di
oggetti (agnosie) in pazienti con lesioni cerebrali. Tuttavia è altrettanto noto che, interpretando i
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disturbi psichici come malattie della persona e della società anziché del cervello, la psicoanalisi ha
preso nel tempo strade e derive indipendenti e addirittura ostili rispetto alle scienze neurologiche. La
motivazione per un possibile riavvicinamento fra psicoanalisi e neuroscienze è fornita da numerose
ricerche sperimentali e cliniche secondo le quali gran parte del comportamento umano dipende da
un controllo inconscio. Si tratta del cosiddetto inconscio cognitivo (Kihlstrom, 2009), ben diverso
dal passionale inconscio psicoanalitico, ma pur sempre inconscio nel senso che molte azioni
complesse, perfettamente appropriate a raggiungere il loro scopo, risultano avvenire in completa
assenza di una simultanea esperienza cosciente.

Anche molte operazioni della memoria si svolgono al di fuori della coscienza, tanto è vero che tracce

di memorie "implicite" di cui non v'è alcuna consapevolezza, possono in uenzare signi cativamente
il comportamento sia di soggetti intatti sia di pazienti con amnesie organiche o funzionali. E non si
tratta di memorie represse secondo le concezioni psicoanalitiche, perché la loro natura non richiede
alcun ipotetico intervento di repressione o censura.

Un monumentale progetto "implicito" sviluppato da tre psicologi sociali di Harvard (Tony Greenwald,
Brian Nosek e Mahzarin Banaji) ha dimostrato che anche inclinazioni e tendenze proprie di quasi tutti
gli individui, come il senso di appartenenza a un determinato gruppo sociale, politico, religioso o il
tifo per una squadra di calcio, abbiano basi implicite non coscienti. Un e cace strumento per
valutare questi fenomeni sono i test di associazione implicita che valutano la rapidità con la quale si
e ettuano speci che associazioni senza rendersene conto. Questi test possono rivelare come un
individuo maschio, "esplicitamente" dichiaratosi del tutto a favore della parità di genere in
un'intervista, abbia in realtà pregiudizi più o meno sottili nei confronti delle donne a livello “implicito”.

L'accumulo di conoscenze di questo tipo ha stimolato l’idea che neuroscienze e psicoanalisi


possano combinare i rispettivi approcci al ne di generare una nuova visione dei rapporti tra mente e
cervello, nonostante persistano ampie riserve sulla scienti cità della psicoanalisi, anche alla luce
degli e etti disastrosi di alcuni rigidi approcci normativi alle psicoterapie.

Su alcuni temi fondamentali, quale quello delle percezioni, rappresentazioni e memorie non coscienti
o implicite, v'è l'esigenza di conciliare da una parte il punto di vista del neuroscienziato cognitivo e
del neurologo, che valutano in modo "oggettivo" le funzioni mentali e i loro de cit, e dall'altra quello
soggettivo dello psicoanalista che usa per esempio il metodo delle libere associazioni come
strumento per analizzare l'inconscio. Gli stati di coscienza e le loro uttuazioni, il sogno, la relazione
tra emozione e ragione, le confabulazioni e i deliri, la formazione delle false memorie, solo per fare
alcuni esempi, possono attualmente essere studiati sia tramite i metodi oggettivi delle neuroscienze
sia attraverso 'introspezione psicoanalitica, al ne di a rontare lo stesso tema da due di erenti
prospettive e trarre mutui bene ci dall'interazione. Secondo alcuni la neuropsicoanalisi non è che
una branca della neuropsicologia nata dal senso di colpa della neuropsicologia stessa per aver
prestato scarsa attenzione all'inconscio " cognitivo”.

Neuroeconomia

Trattasi di una delle neurodiscipline la cui comparsa sembra turbare maggiormente coloro che
mettono in guardia dalla neuromania. Eppure è un campo che ha prodotto nell'arco di poco più di
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dieci anni una grande quantità di contributi scienti ci di alto livello, attirando un enorme interesse da
parte degli addetti ai lavori e del grande pubblico.

Il principale argomento delle ricerche (eseguite sia sull'uomo sia sugli animali, ma in particolare sui
primati non umani) riguarda i fenomeni e i meccanismi alla base della presa di decisioni de nibili
come economiche perché portano a guadagni o a perdite. Il settore è fortemente interdisciplinare
perché utilizza le teorie e i metodi dell'economia sperimentale e comportamentale, della matematica
e delle scienze computazionali, della psicologia cognitiva e sociale, e ovviamente delle neuroscienze
dei sistemi complessi.

L'importanza della psicologia per la spiegazione di molti fenomeni economici, pur nota da vari
decenni, è sottolineata dall'assegnazione del premio Nobel per l'Economia 2002 al già ricordato
psicologo Daniel Kahneman. Insieme a Amos Iversky, Kahneman ha sviluppato la teoria secondo la
quale le scelte economiche degli individui non sono puramente razionali, contrariamente a quanto
previsto dalle teorie economiche classiche. Infatti molte decisioni sono prese dopo valutazioni
basate su rozze sempli cazioni e scorciatoie mentali, spesso sotto la guida di indizi emotivi e
impliciti in quanto non accessibili alla consapevolezza linguistica.

Poiché specialmente nell'uomo molte decisioni economiche coinvolgono altri individui e sono
dunque squisitamente sociali, la neuroeconomia si avvale del contributo della psicologia sociale in
generale e di quella dei gruppi e delle organizzazioni in particolare.

Grazie a questa convergenza di saperi sono stati sviluppati so sticati paradigmi sperimentali in
grado di riprodurre un certo grado di verosomiglianza le circostanze di vita quotidiana. Le
neuroscienze contribuiscono a questo sforzo multidisciplinare rendendo disponibile la tecnologia
necessaria a esplorare i correlati neuroni della presa e messa in atto delle decisioni.

Naturalmente nessuno può negare l'importanza della psicologia per lo sviluppo dei paradigmi
sperimentali che hanno portato alla nascita e allo sviluppo della neuroeconomia. La percezione del
rischio, specie nelle situazioni di incertezza, e l’in uenza di variabili non "razionali" fanno infatti
riferimento a concetti squisitamente psicologici (gioco dell’ultimatum).

Molto legato al campo della psicologia delle emozioni complesse è il concetto di avversione alle
perdite potenzialmente associate a una data decisione, specialmente in relazione al rimpianto
conseguente alla valutazione di quello che si sarebbe potuto ottenere con una scelta diversa.

Ritolte delle decisioni che prendiamo si basano sul valore atributro al guadagno previsto. E stato
dimostrato, sia nell'uomo sia nel macaco, che all'aumento del valore attribuito alla posta in gioco,
aumenta l'attività in speci che strutture neurali come l'area intraparietale laterale, la corteccia
ventromediale e orbitofrontale nel lobo prefrontale e i gangli della base. Il valore percepito di quello
che si può ottenere con una determinata scelta diminuisce in funzione dell’intervallo temporale che
separa la scelta dal guadagno o dalla penalizzazione che ne consegue (Ainslie, 1992). Questo
fenomeno è stato denominato temporal discounting (diminuzione del valore nel tempo) e viene
messo in evidenza in condizioni sperimentali controllate utilizzando compiti di scelta intertemporale
nei quali i soggetti devono scegliere tra un compenso immediato e sso (per esempio venti euro
subito) e un compenso di entità superiore rispetto a quello immediato, ma dilazionato nel tempo (per
esempio, venticinque euro dopo una settimana o trenta euro dopo due). La relazione tra il declino nel
valore soggettivo attribuito alle varie opzioni e l'incremento dell’intervallo tra la scelta e la
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ricompensa è descritta da una funzione matematica, detta di discounting, che varia per ciascun
individuo, con un indice di valore soggettivo di discounting maggiore in soggetti impulsivi che in
soggetti pazienti. Utilizzando compiti di scelta intertemporale è stato visto che il valore soggettivo
attribuito alle varie opzioni è strettamente legato all'attivazione dello striato ventrale, della corteccia
prefrontale e del cingolo, tutte regioni che fanno parte del sistema neurale per le grati cazioni e le
ricompense.

Le scelte adottate da ciascun individuo in compiti di interazione economica (come il gioco


dell'ultimatum o il dilemma del prigioniero, che presuppone di darsi della persona con cui si
interagisce) sono in uenzate dal comportamento del partner di gioco. Questo risultato suggerisce
che il circuito per la ricompensa attivato dal comportamento di colui con il quale si interagisce è
meno attivo quando si hanno informazioni a priori sull’altro.

E stato altresì dimostrato che oltre al temporal discounting esistono anche delle componenti sociali
che in uenzano il valore soggettivo attribuito a un guadagno.

Questo studio ha dimostrato che la distanza sociale tra il partecipante e l'altra persona fa diminuire
in modo iperbolico il valore soggettivo attribuito al guadagno da cedere all’altro. Questo fenomeno è
stato denominato social discounting. Più recentemente compiti di scelta intertemporale sono stati
utilizzati per valutare come il valore soggettivo conferito a un’o erta economica sia condizionato
dalla relazione tra le caratteristiche personali dell'o erente e quelle del soggetto ricevente.

Di grande interesse risultano gli studi di neuroeconomia comparata, come per esempio la
dimostrazione da parte del gruppo di Frans de Waal che gli scimpanzé non solo sono in grado di
e ettuare il gioco dell'ultimatum, ma adottano pure la stessa strategia di ri uto degli esseri umani,
anche se non sappiamo se esattamente per le stesse ragioni. Di assoluto rilievo sono anche gli studi
di Camillo Padoa-Schioppa e John Assad (2007), che hanno scoperto nella corteccia prefrontale
della scimmia dei particolari neuroni selettivamente attivati quando l'animale sceglie tra due tipi di
cibo in base al loro valore soggettivo.

Gli studi di neuroeconomia sono relativamente recenti visto che i primi contributi risalgono a poco
più di dieci anni fa.

Neuroestetica

Tra i settori più sospettati di aver alimentato l'accusa di neuromania, la neuroestetica ha un proprio
manifesto (Zeki, 1999), basato sull'assunto di un legame inscindibile tra cervello e arte, e una propria
missione, ossia l'analisi dei correlati neuronali della percezione e della rappresentazione artistica.

Nata inizialmente come studio dell'in uenza delle regole funzionali del sistema visivo sulla
produzione pittorica, ha poi esteso i suoi interessi ad altri settori artistici, dalla scultura, alla danza,
alla musica, con contributi forniti da neuroscienziati, psicologi, storici dell'arte, artisti, ecc.

Sempli cando, si può dire che la disciplina si occupa di esplorare le attività nervose collegate a due
capacità tipicamente umane: la capacità di creare oggetti che possano evocare emozioni estetiche
(propria degli artisti) e di provare tali emozioni di fronte a creazioni artistiche.

Anche nel caso della neuroestetica si procede sulla doppia via dell'analisi dell'attivazione di
particolari regioni cerebrali durante esperienze estetiche, e dello studio dei cambiamenti nella
creazione artistica e nel giudizio estetico dopo lesioni cerebrali con diversa localizzazione.

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Le principali obiezioni all'aspirazione della disciplina a una propria autonomia scienti ca sono legate
alla convinzione che l'esperienza estetica non sia riducibile a regole siche e neurologiche. Inoltre si
obietta che l'esperienza estetica fa parte delle emozioni, che sono già di per sé ine abili e che si
possono comunque analizzare solo in condizioni ecologiche naturali, non certo in quelle arti ciali di
un laboratorio di risonanza magnetica. Quindi, per i suoi critici, la neuroestetica non ha ragione di
esistere, perché il cervello non spiegherà mai l’arte. La tecnologia che ha reso possibile l'uso di un
EEG portatile ha consentito di passare dalle condizioni "innaturali" del laboratorio a situazioni molti
simili a quelle della vita quotidiana.

Neuroetica

La bioetica si occupa delle implicazioni etiche della ricerca biologica e medica sugli animali e
sull'uomo, nonché della regolamentazione delle pratiche connesse alla ricerca stessa.

Il termine è stato coniato alla ne degli anni Venti del secolo scorso, ma una vera incidenza della
bioetica nella coscienza e nelle leggi delle società occidentali risale alla ne degli anni Settanta. La
neuroetica è quella parte della bioetica che si occupa del sistema nervoso. Il termine neuroetica è
stato usato in vari contesti negli anni Settanta e poi negli anni Novanta, ma ha assunto il signi cato
corrente molto più tardi, in occasione di un convegno sul tema tenutosi a San Francisco (Sa - re,
2002), cui ha fatto seguito una grande attenzione mediatica sia da parte di giornali scienti ci come
Nature o Neuron sia da parte della stampa non specializzata. Nel 2006 è stata fondata la
International Neuroethics Society.
La neuroetica si articola in due loni principali, l'etica delle neuroscienze e le neuroscienze
dell'etica
a. Il primo lone si riferisce alle questioni morali, legali e sociali che emergono quando si
prendono decisioni cliniche in pazienti con lesioni del sistema nervoso e quando si
progettano è si eseguono ricerche sperimentali e cliniche in neuroscienze. Le questioni non
riguardano solo casi " estremi" come i trapianti di cellule nervose embrionali umane per la
cura di patologie neurologiche, o la continuazione di assistenza in casi di perdita irreversibile
della coscienza, ma anche casi meno drammatici come l'uso di neurotecnologie che,
cambiando il cervello per cambiare un dato comportamento, potrebbero cambiare l'intera
personalità di un individuo. In questi casi la neuroetica si sovrappone parzialmente al
neurodiritto. Fra gli interventi che possono avere e etti rilevanti per la neuroetica e il
neurodiritto si possono citare le interfacce cervello-computer; la stimolazione cerebrale;
l'assunzione di sostanze chimiche al ne di migliorare prestazioni cognitive per ni non
terapeutici. Si tratta della cosiddetta "cosmesi farmacologica" che mira ad aumentare le
prestazioni della mente, con la conseguente possibilità che si arrivi ad abusi simili a quelli
intesi ad aumentare le prestazioni del corpo (eritropoietina, viagra, ecc.). Di ovvia pertinenza
della neuroetica sono la regolamentazione già esistente delle sostanze stupefacenti come la
cocaina e l'eroina, e quella non ancora normata delle sostanze stimolanti e potenzianti
l'attività nervosa, come la ca eina, gli steroidi anabolizzanti, le anfetamine.

b. Le neuroscienze dell'etica, considerate anche come l'equivalente neuro della psicologia e


della loso a morale, hanno lo scopo di identi care le attività cerebrali correlate con la presa
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di decisioni etiche e morali anche tragiche. Ciò dimostra che l'ammissibilità morale di
un'azione con gravi conseguenze non è basata unicamente sul freddo ragionamento, ma può
essere fortemente in uenzata da fattori emozionali e irrazionali. Pertanto in questi casi il
ragionamento morale dipende da almeno due processi psicologici distinguibili: nel primo
caso prevale lo scopo utilitaristico di salvare cinque vite contro una, nel secondo prevale
l'emozione negativa associata con un intervento diretto su una persona che morirà di
conseguenza.

Utilizzando la risonanza magnetica funzionale, Greene e collaboratori (2001) hanno
dimostrato con la fMRI che l'attivazione di aree legate alle emozioni e alla gestione dei
con itti, come per esempio la corteccia cingolata posteriore, era molto maggiore quando ci
si confrontava con dilemmi morali personali rispetto a quelli impersonali. Ma anche in questo
caso gli studiosi non si sono limitati a studiare le correlazioni. Per esempio, il gruppo di
ricerca guidato da Antonio Damasio negli Stati Uniti ha dimostrato che pazienti con lesioni
della corteccia prefrontale subite in età molto precoce presentavano da adulti de cit nella
capacità di ragionare secondo criteri morali. Di fronte a dilemmi morali del tipo sopra
descritto i pazienti con lesioni della corteccia ventromediale prefrontale acquisite in età
adulta, come nel famoso caso di Phineas Gage, propendono nettamente per salvare più vite
indipendentemente dalla circostanza, ignorando del tutto le componenti emozionali del
dilemma personale (Koenigs et al., 2007). Evidenze convergenti sul ruolo causale della
corteccia ventromediale prefrontale nel ragionamento morale provengono da una serie di
studi indipendenti condotti dal gruppo di ricerca guidato da Giuseppe di Pellegrino
all'Università di Bologna. Anche nei pazienti studiati da questi ricercatori, la lesione della
corteccia prefrontale ventromediale riduceva o eliminava il peso del con itto emotivo
solitamente generato dal dilemma personale, ma anche a livello inconscio con l’assenza delle
risposte cutanee psicogalvaniche alla situazione di con itto. Pertanto in questi casi il
ragionamento morale dipende da almeno due processi psicologici distinguibili: nel primo
caso prevale lo scopo utilitaristico di salvare cinque vite contro una, nel secondo prevale
l'emozione negativa associata con un intervento diretto su una persona che morirà di
conseguenza.

Un tema di grande rilievo riguarda il potenziamento cognitivo" tramite farmaci o tramite stimolazione
cerebrale non invasiva. Meno complicato ma comunque degno di attenzione è il tema di come il
cervello e il comportamento potranno essere modi cati dall'utilizzo delle interfacce cervello-
macchine, che consentiranno molto presto il controllo di agenti arti ciali, avatar o robot, tramite
segnali neurali appropriatamente decifrati.

Naturalmente, anche nel settore della neuroetica non mancano ai critici della neuromania gli
argomenti per censurare e vituperare l'fmRI. Un esame eseguito a scopo non diagnostico

ma di ricerca in un individuo ritenuto sano può rivelare l'esistenza di una patologia cerebrale
insospettata come un tumore o un aneurisma. In questo caso non ci sono di erenze rispetto ad altre
tecnologie di indagine biomedica riguardanti l’intero organismo, e non solo il sistema nervoso, per le
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quali sono già previste sul piano bioetico le modalità di comunicazione di un reperto patologico
occasionale.

Gli aspetti potenzialmente spinosi dell'fmRI cerebrale riguardano la cosiddetta "neuro privacy", vale
a dire I’invasione e l'oggettivazione di una sfera particolarmente intima di cui la persona stessa puo
avere una conoscenza scarsa o nulla. Oltre all’ovvia domanda su chi debba avere accesso a questi
dati, ci si chiede quali e etti possa avere su un individuo la rivelazione di aspetti previamente
sconosciuti della propria personalità. personalità. L'idea che il cervello possa essere una "terra
incognita” ha grande rilevanza dal punto di vista della responsabilità personale di chi delinque, ed è
dunque centrale per il neurodiritto.

Neurodiritto

Il neologismo, coniato nel 1991 da J. Sherrod Taylor e dai suoi collaboratori, indica un campo di studi
fortemente interdisciplinare che utilizza concetti della loso a, della psicologia e della criminologia, e
si occupa dell'impatto che le conoscenze delle neuroscienze dei sistemi complessi hanno o
potranno avere sui sistemi legali e giudiziari. Tra i temi di indagine, tutti particolarmente sensibili,
spicca per complessità e pericolosità quello dell'uso dell' oggettività" neuroscienti ca (per esempio
la presenza di un tumore cerebrale) al ne di decidere su colpa e dolo e sulle conseguenti pene.

Nonostante alcune evidenti sovrapposizioni con la neuroetica, il progetto diritto e neuroscienze ha


rivendicato la sua autonomia catalizzando a partire dal 2007 energie intellettuali ed economiche
allotropo di fra si che la conoscenza scienti ca aiuti a riscrivere e a migliorare i sistemi legislativi.

Una delle controversie di base nel campo riguarda le evidenze scienti che ammissibili durante il
processo penale, e quale importanza e valore attribuire a ciascuna di esse. In teoria, le sviluppo di
modelli concettuali appropriati e le prove fornite dai dati oggettivi delle neuroscienze dovrebbero
portare a notevoli progressi nella capacità di discriminare meglio i colpevoli, predire quelli ad alta
probabilità di recidiva e, cosa assai complessa, decidere che tipo di pena assegnare. Sempre in
teoria, tutto questo potrebbe aiutare a generare sistemi giudiziari equi per quanto possibile. Uno dei
temi più caldi nell'ambito del neurodiritto ha a che vedere con l'uso di dati neuroscienti ci per
dimostrare l'infermità mentale di individui incolpati di reati.

Non tutti i sistemi giudiziari sono pronti ad accettare elementi di giudizio forniti dalle nuove
tecnologie neuroscienti che, perché nel caso di una novità così cospicua la prudenza è d'obbligo e il
processo di controllo della validità delle evidenze deve essere ferreo.

Come abbiamo già notato, le possibili evidenze maggiormente criticate sono quelle fornite dalle
neuroimmagini, sia come moderne "rivelatrici di menzogne” sia a come indicatori della probabilità
che un pregiudicato torni a delinquere. Attribuendo un valore non ancora dimostrato ai potenziali
apporti neuroscienti ci alle indagini di polizia e alle decisioni giudiziarie, si rischia di fare delle
promesse che poi non si possono mantenere e di compromettere l'immagine delle neuroscienze agli
occhi del pubblico.

NON TUTTI I PREFISSI "NEURO" SONO UGUALI (MA TUTTI SAREBBERO PERICOLOSI)

Fra i molti neologismi con pre sso "neuro", alcuni fanno riferimento a contesti molto ristretti dai quali
non è prevedibile le che nascano campi di studio con caratteristiche indipendenti.

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Neuropolitica

Quanto più elevata è la complessità dell'ambiente sociale, tanto maggiore è la necessità di


adattamenti resi possibili da abilità “politiche”. Tuttavia complesse funzioni emotive e cognitive di
tipo politico, come la capacità strategica di manipolare gli altri su cui si basa l'intelligenza
machiavellica, sono state dettagliatamente descritte negli scimpanzé "politici" Essendo le società
umane tra le più complesse, già nei fondamenti della loso a è contenuta la nozione che uomo sia
per sua natura un animale politico.

Inoltre, alleanze e coalizioni "dinamiche" che richiamano gli stili della politica umana sono state
descritte in varie comunità animali, in particolare in del ni ed elefanti.

Alla psicologia politica, che tradizionalmente analizza i rapporti che intercorrono tra il soggetto e la
politica si è recentemente a ancata una branca emergente delle neuroscienze sociali, la
neuropolitica, che analizza i correlati cerebrali delle preferenze, degli orientamenti e dei
comportamenti politici, dall'adesione a partiti e coalizioni, alla partecipazione a manifestazioni, alla
decisione del voto.

A di erenza dello studio delle basi genetiche delle preferenze politiche individuali, ossia la
geopolitica, che non ha suscitato particolare clamore, la neuropolitica è stata ed è un bersaglio
favorito delle denunce e delle critiche antineuro.

In realtà gli studi classi cabili come neuropolitici sono elativamente pochi. Un elenco abbastanza
esauriente comprende alcuni studi sulle correlazioni tra l'orientamento politico e l’attivazione di
speci che aree cerebrali, dimostrata con fmRI o strutturale o con lettroencefalogra a, nonché
attraverso studi psico siologici sull’attenzione sociale o sulla reattività del sistema nervoso
autonomico (come inferibile da cambiamenti di sudorazione) di fronte a situazioni politiche.

L'emergenza dell'interesse per le basi neurali dei comportamenti politici e la comparsa sulla scena
della neuropolitica coincidono con la campagna presidenziale UsA del 2004.

È stato e ettuato uno studio fmRI classi cabile come neuropolitico da un gruppo interdisciplinare
guidato da uno psicologo sociale, Drew Westen, che nel 2008 ha pubblicato un corposo volume
intitolato The Political Brain: The Role of Emotion in Deciding the Fate of the Nation (La mente
politica. Il ruolo delle emozioni nel destino di una nazione: molto interessante notare come la
versione italiana del libro abbia sostituito “cervello politico" con "mente politica", insospettendo forse
ancora di più i custodi dei limiti del neuro).

Utilizzando la risonanza magnetica funzionale i ricercatori guidati da Westen hanno esaminato la


relazione tra appartenenza politica e “ragionamento motivato", una forma di regolazione inconscia
delle emozioni che porta a minimizzare gli stati attettivi negativi indotti da una minaccia per il sé. La
minaccia può provenire da individui classi cati come appartenenti al proprio o a un diverso gruppo.
Soggetti progressisti o conservatori giudicavano la contraddittorietà di alcune a ermazioni del
proprio candidato del candidato dell'altra parte, e di un personaggio famoso politicamente neutro
come un giornalista o un attore. In una fase successiva, per ciascuna contraddizione veniva fornita
una spiegazione a discolpa di cui i soggetti dovevano giudicare l'e cacia. Nonostante fossero
costruite a tavolino le a ermazioni erano tutte plausibili.

I risultati comportamentali hanno mostrato chiaramente che i democratici ritenevano massimamente


contraddittorie le parole di Bush e meno quelle di Kerry, verso il quale mostravano la stessa
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tolleranza alla contraddizione mostrata nei confronti del giornalista o dell'attore. Per contro, i
repubblicani ritenevano massimamente contraddittorie le parole di Kerry e poco contraddittorie
quelle di Bush in confronto a quelle del giornalista o dell'attore. La stessa preferenza per il proprio
candidato si registrava nella fase della richiesta di giudicare quanto erano convincenti le spiegazioni
a discolpa. La registrazione dell'attività cerebrale con la risonanza magnetica funzionale ha
dimostrato che le spiegazioni partigiane erano associate ad attivazioni di aree cerebrali coinvolte
nell'analisi delle emozioni implicite, e non di aree coinvolte nella modulazione razionale dei
comportamenti. L'importanza di questo studio risiede nell'aver dimostrato per la prima volta i
correlati neurali dei processi impliciti coinvolti in comportamenti, come quello politico, che in teoria

dovrebbero essere guidati dalla ragione.

La sola ricerca che ha nora messo in relazione la struttura cerebrale con l'orientamento politico ha
tra gli autori il celebre attore inglese Colin Firth, noto per le sue nette posizioni di sinistra (Kanai et al.,
2011). Novanta soggetti sani hanno dichiarato la loro appartenenza politica su una scala dove 1
indicava molto di sinistra (very liberal, essendo in Inghilterra), 2 di sinistra (liberal), 3 di centro
(middle-of-the-road - scrivono cosi davvero), 4 di destra (conservative) e 5 molto di destra (very
conservative). Con un particolare tipo di risonanza magnetica strutturale, hanno determinato il
rapporto sostanza grigia (neuroni) e bianca ( bre nervose avvolte dalla mielina) nelle varie regioni
cerebrali. E emerso che nei soggetti che si dichiaravano di sinistra vi era un aumento di sostanza
grigia nella corteccia cingolata anteriore, una regione attiva durante la gestione di vari tipi di con itto.
Nei soggetti di destra, invece, vi era maggior sostanza grigia nell'amigdala, una regione legata alla
paura. In uno studio intitolato Neurocognitive correlates of liberalism and conservatism ("Correlati
neurocognitivi di liberalismo e conservatorismo") è stato dimostrato come in un compito in cui
bisogna inibire una risposta prepotente (nel senso di automatica e di cilmente sopprimibile) i
soggetti di sinistra se la cavano meglio di quelli di destra, vale a dire i primi tollerano maggiormente il
con itto.

Ne emerge un quadro in cui l’orientamento politico progressista, spesso cortelato anche con tratti di
personalità come l'apertura mentale, va di pari passo con un'e ettiva capacità di monitorare e
gestire il con itto tra risposte in competizione tra loro e con il “marcatore neurale” di questo
comportamento. Naturalmente si può osservare, a ragione, che questi tipi di studi non chiariscono se
gli e etti osservati sono conseguenza dell'orientamento politico o viceversa.

Al ne di fornire una spiegazione siologica alle di erenze tra destra e sinistra, studiosi di diversa
estrazione (scienziati politici, psicologi, psichiatri, genetisti comportamentali) hanno e ettuato una
ricerca nella quale soggetti selezionati per avere posizioni nette, favorevoli o contrarie alle politiche
protettive nei confronti della nazione, della famiglia e delle tradizioni, osservavano stimoli, visivi o
auditivi, capaci di indurre paura.

La misurazione di risposte siologiche come la conduttanza cutanea (che misura lo stato di


attivazione del sistema nervoso autonomo) o l'attività elettrica del muscolo facciale preposto allo
sbattere delle ciglia ha consentito di rilevare che gli individui con atteggiamenti più favorevoli a
politiche come l'aumento delle spese militari, la guerra in Iraq o la pena di morte e più sfavorevoli a
temi quali l'immigrazione, i matrimoni gay, il controllo delle armi o l'aborto presentavano le risposte
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siologiche più marcate, suggerendo così una relazione tra paura sica e paura sociale. Anche
questo studio è stato criticato come favorente la neuromania in quanto non dichiara esplicitamente
nel sommario l’impossibilità di stabilire con questo approccio se l’orientamento politico a causare i
cambiamenti automatici o viceversa.

Nel tentativo di legare il "tratto" politico di ciascun individuo con situazioni speci che he sono poi
l'essenza dei cambiamenti improvvisi, il gruppo di ricerca di SALVATORE AGLIOTI ha studiato
nell'Italia del 2009 la reattività degli elettori allo sguardo dei politici utilizzando un’avanzata
tecnologia a infrarossi per la registrazione dei movimenti oculari, questionari volti a esaminare la
personalità e l'orientamento politico dei soggetti sperimentali e un classico paradigma di studio
dell'attenzione sociale. In particolare hanno analizzato la capacità degli elettori di centrodestra e di
centrosinistra di e ettuare un movimento degli occhi senza farsi in uenzare dello sguardo di un
determinato leader politico.

A 15 elettori di centrosinistra e 13 di centrodestra è stato chiesto di ssare un punto nero nello


schermo di un computer e di e ettuare un movimento degli occhi, verso destra quando il punto
cenarle diventava rosso e verso sinistra quando di veltava blu.

Veniva enfatizzata la necessità di ignorare qualsiasi evento distraente. L'evento distraente era
costituito dal volto del personaggio co chiaro orientamento politico di centro desta (Berlusconi e
Vespa) e centrosinistra (Prodi e Di Pietro).

Il volto in questione poteva muovere gli occhi nella stessa o in una diversa direzione indicata ai
soggetti sperimentali dal cambiamento i colore del quadrato centrale. In pratica lo sguardo dei leader
di centrodestra in uenzava gli elettori dello stesso gruppo politico molto più di quanto lo sguardo dei
leader di centrosinistra in uenzasse gli elettori dello stesso gruppo. Va sottolineato che ciascun
soggetto sperimentale aveva compilato test speci ci per valutare la somiglianza tra la sua
personalità e quella di ciascuno dei personaggi mostrati dello sesso gruppo. E’ emersa chiara
relazione tra:

• Somiglianza percepita tra gli elettori e leader e

• L'essere in uenzati dallo sguardo del personaggio politico.

In particolare, l'incapacità di resistere allo sguardo di Berlusconi era maggiore nei soggetti che si
derivano personologicamente simili al leader che nel momento della raccolta dei dati sperimentali
mostrava un enorme consenso nel Paese. I risultati hanno suggerito che gran parte dell’in uenzata
del leader che ha dominato la scena degli ultimi 20 anni (Berlusconi) sembra legata a un meccanismo
di identi cazione personologica tra elettori e leader. La capacità predittiva dell'indice di cattura dello
sguardo da parte del politico è stata veri cata in uno studio successivo e ettuato nel Lazio a ridosso
delle elezioni per la carica di governatore vinti dalla candidatura di centrodestra Renata Polverini.

Neuro loso a

Il primo tentativo di a rontare in chiave neuroscienti ca problematiche storicamente di pertinenza


della loso a della mente è rappresentato dal libro pubblicato più di venticinque anni fa (1986) da
Patricia Churchland e intitolato Neurophilosophy: Toward a Uni ed Science of the Mind-Brain
("Neuro loso a: verso una scienza uni cata della mente e del cervello”).

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Tema centrale di questo ambito di studi è il rapporto cervello- mente e il ruolo delle neuroscienze
nello stabilire nessi causali tra il primo e la seconda. Mentre per alcuni studiosi la mente rimarrà
sempre un epifenomeno dell'attività cerebrale, per la Churchland e per suo marito Paul, che come
abbiamo visto è un convinto sostenitore dell'eliminativismo, le neuroscienze dimostreranno
incontrovertibilmente che le attività del cer- vello generano la mente. La neuro loso a non si è
a ermata come disciplina autonoma e indipendente ma più che altro come settore speci co di
studio sui rapporti tra loso a e neuroscienze.

Neuroarchitettura e Neurodesign

Nessuno di questi 2 termini corrisponde a una disciplina indipendente, con consolidata tradizione

ricerca, e in realtà sono stati usati come trastormazione di altri neutri

• Jhon Eberhard, presidente e fondatore de Academy of Neuroscience tor Architecture, in un


articolo di opinione pubblicato nel 2009 sulla rivista Neuron, parla semplicemente di applicare
le neuroscienze all architettura, visto che alcuni concetti (es lo spazio) sono centrali per
entrambe e discipline

• Donald Arthur Norman nel suo Emotional Design. dedicato a capire perché amiamo (o
odiamo) gli oggetti della vita quotidiana", spiga come la nostra scleta degli oggetti che ci
circondano dipenda dalle in uenze che gli oggetti stessi esercitano sui nostri sensi e sulle
nostre emozioni. Di fatto la neuro architettura ha molto a che vedere con la neuroestetica e il
neurodesign con la neuroeconomia e il fatto che né la neuro architettura né il neurodesign
aspirino al momento ad avere un loro status indipendente suggerisce una certa
autoregolamentazione nel ambito delle neurodiscipline

Neuroteologia

Il termine è usato molto poco e si riferisce parlare di neuroscienze della spiritualità e religiosità. Si
tratta di studi che utilizzano sia le metodologie delle neuroimmagini, con le quali si possono ricercare

i correlati cerebrali delle attitudini spirituali e religiose di una persona, sia l’approccio
neuropsicologico classico dell'individuazione di alterazioni selettive delle suddette attitudine, come
ad es. un' esaltazione degli aspetti della personalità a seguito di speci che lesioni cerebrali.
L'insorgenza di sensazioni di misticismo e le attitudini religiose nel corso i crisi epilitiche temporali è
un'evidenza da lungo tempo nota in neurologia clinica, e quindi anche la stimolazione cerebrale può
essere utilizzata per in uenzare le tendenze mistiche I metodi oggettivi delle neuroscienze sono oggi
ampliamente utilizzati anche per conoscere gli e etti psicologici e neurologici di pratiche volte a
sviluppare la coscienza di sé come la mediazione di stati alterati di coscienza indotti dall'ipnosi o
dall'assunzione di sostanze psicotrope.

Neuropedagogia

La plasticità cerebrale. indispensabile per qualunque forma di apprendimento, costituisce


collegamento logico fra le neuroscienze e la pedagogia. L' apprendimento accompagna tutta la vita
somala. A ogni forma di apprendimento corrisponde una modi cazione del sistema nervoso centrale.
A prima vista organizzazione cellulare del sistema nervoso centrale sembra poco predisposta
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modi cabilità funzionale. Le metodologie moderne di datazione con il radiocarbonio hanno


confermato che alla morte l età dei neuroni presenti nella corteccia cerebrale corrisponde a quella
dell'individuo. Solo pochi neuroni in ristrette regioni non corticali del cervello possono essere
generati durante tutta la vita, ma il signi cato funzionale di questa neuro genesi del cervello adulto è
ancora scuro. Il meccanismo fondamentale delle modi cabilità funzionale del sistema nervoso
consiste soprattutto nel rattorzamento indebolimento di speci che sinapsi già esistenti nei circuiti
neuronali, oppure nella formazione di nuove sinapsi e quindi di nuovi circuiti neuronali. Il cervello è
plastico nel corso di tutta lai vita, ma la sua capacità di modi carsi in risposta alle stimolazioni
ambientali varia in funzione dell'età. Vi sono periodi critici durante i quali la reattività plastica del
cervello a un particolare tipo di stimolazioni aggiunge il massimo.

NEUROPEDAGOGIA: fa riferimento ai contributi che la conoscenza del funzionamento del cervello


durante lo sviluppo, la maturazione e l'apprendimento può fornire alla pedagogia. Gli attuali sistemi
educativi teorici e pratici sono indubbiamente in uenzati dai risultati dei classici studi
neuropsicologici sulla lettura, scrittura, memorizzazione, ma persistono dubbi che la conoscenza del
funzionamento del cervello possa rivoluzionare la pedagogia. Quindi, se da un lato conoscere il ruolo
di alcune aree in un certo compito cognitivo non aiuta a far funzionare: programmi educativi,
dall'altro viene riconosciuto che sarebbe utile avere indicatori neuro siologici che aiutino a cogliere
difetti comportamentali anche in fase iniziale e a delineare strategie di intervento. Gli autori
denunciano il riduzionismo delle neuroscienze e le loro limitate possibilità di studiare i gruppi che
sono l'essenza della pedagogia. Gli autori denunciano che le neuroscienze sono costose e lente ma
soprattutto, con grande sincerità, sono preoccupati dal fatto che potrebbero cannibalizzare la
pedagogia.

Neurocultura e neurosocietà

Un assunto centrale largamente condiviso dalle discipline con pre sso neuro è che il cervello umano

sia fondamentale per tutte le attività cognitive e per il controllo del comportamento della nostra
specie. NEUROCULTURA: studi su cervello e cultura

Da una parte si studia come il cervello umano generi la cultura dando vita a tutte le attività sociali
dell'uomo, incluse le espressioni della creatività umana nella scienza, nella letteratura, nell'arte e
nella morale. Dall'altra si studia come la cultura agisca sul cervello e lo cambi.

In senso generale, la neurocultura può essere vista come la somma di tutte le neurodiscipline
interessate a comprendere come la cultura delle diverse società in uenzi e modi chi il
funzionamento cerebrale e i comportamenti a ess di volta in volta associati. Al di là delle varie
etichette molte discipline sopra elencate hanno elementi comuni dal punto di vista dei temi di ricerca
e dell’approccio utilizzato. Tuttavia parlar semplicemente di neuroscienze della decisione non
darebbe l'idea delle molteplici convergenze delle discipline. Nessun neuroscienziato sostiene che
parlare di cervello economico, etico, politico implichi aver un cervello diverso per ciascuna disciplina.
Esistono elementi comuni la resa di decisone, ma anche speci cità legate al tipo di decisone che
possono essere ri esse nell’uso di speci ci sottosistemi cerebrali.

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Capitolo 4 - Neurofobia

Amore e odio per il cervello

Il termine neurofobia è stato coniato nel 1994 da Ralph Jozefowicz, neurologo dell'Università di
Rochester nello Stato di New York, che l'ha inventato per descrivere una condizione di disagio se
non di so erenza non ancora elencata nei cataloghi u ciali di classi cazione delle malattie (tipo il
Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, o DSM). Secondo Jozefowicz (1994) la
neurofobia colpisce circa la metà degli studenti di medicina quando a rontano la notoria complessità
anatomica e siologica del sistema nervoso e si trovano nella di coltà di applicarne le conoscenze
alla clinica neurologica.

Gli studenti a etti da neurofobia sono confusi e annoiati dalla didattica del sistema nervoso, incerti e
spesso impreparati agli esami, frustrati e spaventati di fronte ai malati neurologici.

Il carattere familiare della sindrome è suggerito dal fatto che essa è un po' più frequente nei gli di
medici che erano stati neurofobici da studenti. Successivamente la neurofobia è stata riscontrata in
studenti nord e centro-americani, inglesi irlandesi, ed è stata ritenuta abbastanza di usa e
invalidante da richiedere l'applicazione di speci ci interventi correttivi.

Non sorprendentemente è stato dimostrato che la neurologia risulta di solito ostica anche ai medici
di base e ai medici ospedalieri generici, che spesso si esimono dall'esaminare pazienti con sospetti
disturbi neurologici indirizzandoli direttamente agli specialisti.

Un caso a sé di neurofobia è rappresentato da alcune correnti della psichiatria, che nella sua ricerca
di autonomia disciplinare ha storicamente avuto con il sistema nervoso rapporti complessi, di cili e
talvolta di completo distacco, anche se oggi l'opinione prevalente fra gli psichiatri è che la loro
professione non può più permettersi di essere neurofobica e "scervellata", cioè avulsa dalle
neuroscienze, come in passato.

Ma il sistema nervoso davvero è sempre così repellente?


Non secondo Geraint Fuller, neurologo al Royal Hospital di Gloucester, in Inghilterra, che ha
recentemente proposto di denominare neuro lia una sindrome opposta alla neurofobia.

In farmacologia il termine neuro lia indica l'a nità chimica di una sostanza per il tessuto nervoso, ma
Fuller (2012) l'ha utilizzato per descrivere una sindrome psicologica consistente in una specie di
fascinazione per il sistema nervoso e per le malattie che lo colpiscono.

Neuroautobiogra e si possono poi considerare le descrizioni in prima persona pubblicate da pazienti


perfettamente coscienti ma incapaci di muoversi, come i malati a etti da sclerosi laterale amiotro ca
o dalla sindrome locked-in, che riescono a comunicare solo tramite codici basati su movimenti
residui minimali degli occhi o delle palpebre.

Abbiamo visto come fra tutte le scienze naturali le neuroscienze siano uniche perché oggi sono in
grado di dimostrare correlazioni dirette fra determinati eventi che si svolgono nella struttura sica di
un cervello e determinate esperienze coscienti del possessore del cervello medesimo. Abbiamo
anche visto che una correlazione di per sé non implica un rapporto di causa ed e etto o di identità,
ma per i neuroscienziati, e si può dire anche per la maggioranza dei non addetti ai lavori con un
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minimo di cultura, nessun fenomeno cosciente, dalla percezione alla memoria al pensiero alle
emozioni ecc., può aver luogo in assenza del rispettivo correlato cerebrale.

Si possono invece osservare numerosi stati e cambiamenti funzionali cerebrali che non hanno
correlati mentali, anche quando danno origine a comportamenti complessi organizzati e diretti a
scopi precisi.

Sappiamo oggi con certezza che il cervello possiede un'organizzazione allo stesso tempo statica, nel
senso che la stragrande maggioranza dei suoi neuroni nasce e muore con il proprietario del cervello
stesso, e dinamica, nel senso che le connessioni fra i neuroni variano durante tutta la vita grazie alla
plasticità sinaptica. In breve le neuroscienze stanno proponendo una nuova visione antropologica
nella quale l’uomo, pur mantenendo tutte le sue caratteristiche mentali e spirituaii, è essenzialmente
un uomo cerebrale o neuronale, in quanto si assume che quelle medesime caratteristiche siano
realizzate per intero da attività nervose. È vero che i grandi successi nella ricerca di collegamenti fra
mente e cervello dell'uomo, resi possibili da progressi metodologici impensabili no a pochi anni fa,
hanno spinto esponenti delle neuroscienze a fare a ermazioni esagerate o trionfalistiche,
paragonabili per improbabilità ai collegamenti proposti in passato fra singoli geni e tendenze
comportamentali complesse come la fedeltà coniugale o la propensione a tradire. Questi tratti non
dipendono né da singoli geni né da singoli pezzi di cervello, ma da un cervello plastico che si è
sviluppato insieme al resto del corpo per istruzione di qualche decina di migliaia di geni e durante
una storia personale di continue interazioni con l’ambiente.

MA ESISTE DAVVERO UN FASCINO PERVERSO DELLE NEUROSCIENZE?

Abbiamo visto come il libro Neuro-mania di Legrenzi e Umiltà (2009) dia per scontato che due lavori
sperimentali ab. biano dimostrato scienti camente la capacità delle neuroimmagini di agire sulla
credulità del grande pubblico, e non solo di quello. Secondo McCabe e Castel (2008), il potere
insidioso e fuorviante di fascinazione e persuasione delle immagini cerebrali dipenderebbe dal
collegamento diretto che esse stabiliscono fra un pensiero astratto e una regione cerebrale,
soddisfacendo forse a un bisogno intrinseco di ridurre il mentale al sico. Il lavoro di Weisberg e
collaboratori (2008) ha suggerito che per in uenzare il giudizio di inesperti riguardo all'attendibilità di
a ermazioni delle neuroscienze non è necessario mostrare neuroimmagini, basta menzionarle come
elementi probativi. Per dirla in poche parole, la comprensione dei dati e delle idee delle neuroscienze
da parte del pubblico sarebbe inquinata da fattori irrazionali che interferiscono con la capacità
critica.

L'idea che le immagini cerebrali abbiano il potere di in uenzare il ragionamento scienti co esce assai
male, se non addirittura smontata da diverse ricerche.

Come sostengono Hook e Parah (2013), la plausibilità dell'idea che le immagini cerebrali esercitino
una specie di fascinazione può essere interessante di per se stessa, ma ciò non la rende
necessariamente vera. Migliore sorte ha avuto il lavoro di Weisberg e collaboratori, che ha ricevuto
una conferma almeno parziale nello studio di Michael e collaboratori. Va però considerato che il
lavoro di Weisberg e collaboratori non è immune da pecche di disegno sperimentale, dato che il
ragionamento dei soggetti non esperti potrebbe essere in uenzato da qualsiasi riferimento anche
non neuroscienti co (per esempio basato su un test puramente psicologico) che possa far sembrare
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più "scienti ca" un'a ermazione che lo contenga. In altre parole, il risultato descritto da Weisberg e
collaboratori potrebbe consistere nell'arcinoto e etto che a ermazioni generiche come "è
scienti camen- te provato che" hanno sulla credulità dell'individuo medio, a prescindere dalle
neuroscienze cognitive e dalle sue immagini.

Questo potenziale fattore di confusione è stato completamente ignorato nel lavoro di Weisberg e
collaboratori, che peraltro ammettono onestamente di non credere che i loro risultati siano
necessariamente limitati alle neuroscienze o anche alla psicologia, ma che possono in teoria
riguardare tutte le scienze.

Ma anche ammettendo l'attendibilità dei suoi risultati, la risonanza magnetica funzionale del cervello
è stata assimilata da molti neurofobiti a una novella frenologia, capace al meglio di confermare le
antiche localizzazioni funzionali basate sugli e etti delle lesioni cerebrali, e per lo più irrilevante ai ni
della psicologia cognitiva. In realtà, le neuroimmagini della risonanza magnetica funzionale hanno
enormemente aumentato la conoscenza dell'organizzazione funzionale del cervello umano,
localizzando con precisione specializzazioni relative sia alle categorie di informazioni elaborate, sia al
tipo di processi di elaborazione delle informazioni. Varie aree specializzate per diverse categorie di
informazioni visive sono state identi cate con la risonanza magnetica funzionale nella corteccia
occipito-temporale laterale e inferiore. Vi sono aree che rispondono preferenzialmente o
esclusivamente a stimoli visivi complessi come facce, parti del corpo, oggetti, stimoli geometrici,
case e panorami. Ciascuna di queste aree ha una sua propria collocazione nella corteccia occipite-
temporale.

D'altro canto, la risonanza magnetica funzionale ha contribuito signi cativamente anche alla
localizzazione di processi per l'elaborazione di informazioni che prescindono dal tipo di informazione
elaborata. Fra i molti possibili esempi, si possono citare l'attribuzione ad aree prefrontali di diversi
processi di memorizzazione e di recupero delle memorie, indipendentemente dal loro contenuto, e
l'attribuzione del controllo di diversi aspetti dell'attenzione ad aree parietali.

L'attività neuronale legata ai segnali BOLD può essere esaminata soltanto combinando la risonanza
magnetica funzionale con la registrazione dell'attività elettrica di singoli neuroni, il che per ora è stato
tatto sistematicamente solo nella sperimentazione animale. Nell'uomo una tecnica moderna che si è
rivelata utilmente complementare alla risonanza magnetica funzionale è la stimolazione magnetica
transcranica ripetitiva, che serve a inattivare temporaneamente l'area corticale a cui è applicata.

Altri esponenti delle scienze cognitive come Miller (2010), che pure rivendicano con forza
l'indipendenza della psicologia dalle neuroscienze, sono invece essi stessi utilizzatori della risonanza
magnetica funzionale del cervello e ricevono nanziamenti per le loro ricerche con questa tecnica.
Per il neuropsicologo "ultracognitivo" Max Coltheart (2006) nora la risonanza magnetica funzionale
ha senza dubbio fornito interessanti conoscenze sulla localizzazione neuroanatomica dei processi
cognitivi, ma praticamente non ha dato alcun contributo alla comprensione di come funzioni la
mente.

Una delle accuse frequentemente rivolte alle neuroscienze contemporanee è quella di commettere
una fallacia mereologica, cioè di attribuire a una parte una proprierà del tutto, quando equiparano il
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sistema nervoso alla persona. Varie fallacie mereologiche delle neuroscienze sono elencate in un
libro di quattrocentocinquanta pagine del losofo P.M.S. Hacker e del neuro siologo M.R. Bennett
(2003). Secondo la loso a analitica del linguaggio alla Wittgenstein di questi autori, non ha senso
dire che il cervello è cosciente, sente, pensa, conosce o vuole, perché queste sono prerogative delle
persone e non dei loro cervelli. In realtà gli studiosi del sistema nervoso usano da molto tempo
queste espressioni.

Anche l'uso del termine informazione da parte delle neuroscienze è un bersaglio delle critiche di
Hacker e Bennett (2003), oltre che del già citato Tallis(2010), Perché secondo loro le persone, e non i
neuroni, si scambiano informazioni.

Ouanto alla fallacia mereologica dell' equiparazione del sistema nervoso alla persona, essa è
espressa nelle leggi dei Paesi civilizzati, per le quali la morte è la perdita irreversibile di tutte le
funzioni dell'encefalo, coscienza inclusa. Una persona privata de nitivamente delle funzioni
encefaliche è legalmente morta, anche in presenza di segni di attività funzionale in altri organi
corporei come il cuore o il midollo spinale. In alcuni casi queste attività residue, adeguatamente
sostenute anche per lungo tempo con mezzi arti ciali, hanno permesso che un cadavere legalmente
de nito come tale portasse a termine con successo una gravidanza. Se è vero che in condizioni
normali la mente si esprime attraverso il comportamento, e una persona è di regola de nita
cosciente in base a ciò che fa e dice, è altrettanto vero che nella patologia neurologica si pone
sempre più spesso la necessità di accertare la presenza o assenza di coscienza in persone incapaci
di muoversi e di parlare. Il

problema interessa acutamente anche l'opinione pubblica, e di conseguenza il legislatore, perché


per molti non sarebbe accettabile sopravvivere, magari per anni o decenni, in completa incoscienza,
nonché in totale e gravosa dipendenza dall'assistenza altrui.

Contrariamente alla credenza di usa che un imprigionamento nel proprio corpo possa costituire una
condizione terri cante, forse paragonabile a una sepoltura in vita, i pazienti locked-in mostrano
un'accettazione pacata e quasi serena del proprio stato, della cui gravità sono peraltro pienamente
consapevoli. Oggi la presenza di coscienza in pazienti che non sono in grado di comunicare può
essere diagnosticata tramite mezzi strumentali, fra i quali la risonanza magnetica funzionale occupa
una posizione di primo piano.

esistenziali. Le attività cerebrali rilevate con metodi di imaging ed elettroencefalogra ci possono


anche essere utilizzate per controllare congegni robotici che realizzano comportamentalmente le
intenzioni del paziente immobilizzato

LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (E ALTRE TECNICHE NEUROSCIENTIFICHE)


POSSONO CONSENTIRE LA VALUTAZIONE DEGLI STATI DI COSCIENZA)

La psicologia scienti ca considera le attività mentali consce come esperienze private del soggetto,
che però le può comunicare a terzi, volontariamente o involontariamente, tramite il linguaggio o con il
comportamento non verbale. Anche variabili siologiche non comportamentali, come la pressione
arteriosa o la frequenza cardiaca, possono dare informazioni su eventi mentali, soprattutto nel caso
di reazioni emotive. Ma se le attività della coscienza dipendono totalmente da attività del sistema
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nervoso, come sembra vero ai più, dovrebbe essere possibile individuare sia i correlati neuronali o
cerebrali dello stato di coscienza sia quelli speci ci di ogni esperienza cosciente. Alla giusta
a ermazione che una correlazione fra attività neuronali ed eventi mentali non implica
necessariamente un nesso di causa o e etto in un senso o nell'altro, si può rispondere che si
conoscono molte attività del cervello umano che non sono accompagnate da attività coscienti, ma
non si conoscono attività coscienti che non siano correlabili ad attività neuronali.

Nella storia della ricerca dei correlati cerebrali delle attività mentali si è passati dalle tecnologie che
consentono di di erenziare la veglia dal sonno o dal coma a quelle che rivelano i correlati cerebrali
dei contenuti di coscienza.

Già metodi elettro siologici come 'elettroencefalogra a e l'elettrooculogra a avevano consentito alla
metà del secolo scorso di individuare durante il sonno lo stadio dei movimenti oculari rapidi che
corrisponde a uno stato di coscienza particolare, quello del sogno. Dalla ne degli anni Ottanta del
secolo scorso ai metodi elettro siologici si sono aggiunte le tecniche delle neuroimmagini, prima la
tomogra a a emissione di posittoni (PET) e poi la risonanza magnetica funzionale, che hanno dato
convincenti indicazioni che a eventi mentali diversi corrispondano e ettivamente quadri di attività
cerebrale almeno parzialmente diversi.

Come abbiamo visto, le immagini cerebrali funzionali ci hanno insegnato che imparare a leggere
determina, nella parte inferiore dell'emisfero cerebrale sinistro, al con ne occipito-temporale, il
costituirsi di una regione corticale specializzata nel riconoscimento, anche a livello preconscio, delle
immagini visive delle lettere. Questa specializzazione cerebrale non si trova negli analfabeti, e quindi
si può pensare che un'attività di natura a prima vista mentale come imparare a leggere sia in grado di
modi care il cervello.

Va tuttavia considerato che per ciascuna delle attività impegnate nella lettura - percezione,
attenzione e memoria visiva, controllo dei movimenti oculari - esistono corrispondenti attività
neuronali, ed è verosimilmente a queste attività che va attribuita la formazione della regione corticale
specializzata nella lettura.

La necessità di accedere alla coscienza di un individuo e di comunicare con lui o lei per mezzo delle
sue attività cerebrali, indipendentemente dal suo comportamento, si manifesta drammaticamente in
gravi patologie neurologiche che non aboliscono la coscienza ma interferiscono con la capacità di
parlare e muoversi. In questi casi nella pratica clinica l'accertamento che il paziente è cosciente è
basato sulla sua capacità di utilizzare movimenti residui per comunicare con l'esaminatore, per
esempio eseguendo degli ordini verbali come “stringimi la mano" o "chiudi gli occhi".

• Nella sindrome locked-in, causata da una lesione del tronco dell'encefalo a livello pontino o da
degenerazione dei motoneuroni e delle vie motorie nella sclerosi laterale amiotro ca, alcuni
pazienti possono rivelare il loro stato di coscienza e comunicare con gli altri tramite minimi
movimenti residui, utilizzando un codice di comunicazione basato su movimenti verticali degli
occhi o palpebrali.

• Ma altri casi locked-in incapaci di eseguire qualsiasi movimento possono comunicare i loro
bisogni, le loro intenzioni e i loro pensieri modulando volontariamente la loro attività
elettroencefalogra ca. Immaginando di muovere la mano destra o la mano sinistra, oppure i
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piedi, essi generano quadri elettroencefalogra ci distinguibili che servono come risposte
a ermative e negative a domande appropriate scritte o orali.

Anche le neuroimmagini ottenute con la risonanza magnetica funzionale possono essere utilizzate
per comunicare con pazienti che sembrano in stato vegetativo ma in realtà non lo sono.

• Lo stato vegetativo è una condizione caratterizzata da uno stato di veglia nella quale manca
qualsiasi reattività comportamentale che possa attestare la presenza di coscienza.

Tuttavia, in ricerche recenti il 17% dei pazienti con diagnosi di stato vegetalivo basata su criteri clinici
unicamente comportamentali. Si mostravano capaci di generare appropriatamente, istruzione
verbale, quadri diversi di immagini cerebrali all’esame con la risonanza magnetica funzionale,
rivelando cosi di essere consci e reattivi invece che in stato vegetativo

Recentemente Owen e collaboratori hanno utilizzato 'elettroencefalogra a per svelare la presenza di


coscienza in pazienti in stato vegetativo sulla base di attività cerebrali correlabili al tentativo di
compiere movimenti in risposta a un comando verbale (Cruse et al., 2012). In un'altra ricerca del
gruppo di Owen (Naci et al., 2013) la risonanza magnetica funzionale è stata utilizzata per dimostrare
in giovani individui con cervello intatto che l'attività di zone cerebrali speci che può fungere
e ettivamente da risposta cosciente a domande autobiogra che presentate oralmente. I soggetti
dovevano focalizzare l'attenzione uditiva sulle parole si o no a seconda della risposta giusta da dare,
e l'attività dei loro circuiti attenzionali ri etteva con precisione la risposta stessa

Il gruppo italo-belga guidato da Marcello Massimini ha utilizzato un di erente approccio strumentale,


basato sulla elettroencefalogramma fra ad alta densità e sulla stimolazione magnetica transcranica,
per il reperimento di indici dello stato di coscienza indipendenti da stimoli sensoriali e da interazioni
ambientali. Sempli cando, nel cervello intatto sveglio la stimolazione di un punto corticale con la Ts
produce una risposta EEG locale che si propaga nella corteccia in varie direzioni, anche a notevole
distanza, a dimostrazione dell'esistenza di una connettività funzionale intercorticale attivata dalla
stimolazione. In pazienti in stato vegetativo, come in soggetti intatti durante il sonno siologico senza
sogni

o in anestesia generale, la TMS evoca una semplice risposta locale non propagata, a segnalare
un'interruzione della connettività funzionale intercorticale verosimilmente necessaria alla coscienza.
Recentemente Massimini e collaboratori hanno elaborato un indice quantitativo che compendia le
misure della risposta locale e della sua propagazione, e permette di identi care diversi livelli di
coscienza durante gli stadi del sonno siologico e vari stati alterati di coscienza dovuti a danno
cerebrale o ad azione di farmaci neurotropi.

Un indice elettro siologico dell'emergenza della coscienza nell'infanzia è stato recentemente


proposto da Kouider e collaboratori (2013) che hanno registrato potenziali cerebrali in risposta alla
presentazione visiva di facce alla soglia percettiva per gli adulti. Un'onda a lunga latenza della
risposta, che negli adulti corrisponde alla percezione cosciente, è stata riscontrata anche in infanti di
cinque mesi, ma con una latenza tripla rispetto a quella degli adulti. Questa latenza si riduce con
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l'avanzare dell'età, a suggerire che i meccanismi cerebrali per la percezione cosciente sono presenti
precocemente, ma subiscono un processo di accelerazione con la maturazione cerebrale.

Sempre utilizzando la risonanza magnetica funzionale e una so sticata tecnica di analisi dei dati
(detta machine learning analysis) è stato dimostrato che il tipo di segnale BOLD nella corteccia visiva
durante l'inizio del sonno era in grado di far prevedere il racconto sul tipo di sogno che i soggetti
stavano facendo in quel determinato momento dimostrando quindi una corrispondenza tra l’attività
della corteccia visiva e il contenuto dei sogni.

Considerato che poter ottenere indici oggettivi di coscienza in soggetti che sembrano non averne è
una grande s da clinica e sociale, che il controllo della gestione del dolore rappresenta uno dei
grandi problemi della medicina contemporanea e che i sogni sono un tema di fondamentale rilevanza
scienti ca e clinica, si comprende come anche la bistrattata fMRI mantenga un suo importante ruolo
scienti co, sanitario e sociale.

IO SONO IL MIO CERVELLO (SE IL CERVELLO NON SPIEGA CHI SIAMO, CHI O COSA LO
SPIEGA?)

Ogni uomo è un corpo e ha un corpo. Essere un corpo signi ca essere un'"individualità biologica
caratterizzata da uno speci co assetto ereditario (il genotipo) e da altrettanto speci che
caratteristiche strutturali e funzionali (il fenotipo). L'individualità biologica è proprietà di tutti gli esseri
viventi, e si manitesta a tutti i livelli della corporeità. Il corpo di un animale multicellulare (come è
l'uomo) è una struttura sica complessa n che si vuole, ma non è nient'altro che un insieme
organizzato di organi, in cui ciascun organo non è che un insieme organizzato di cellule, e ogni
cellula non è altro che un insieme organiizzato di molecole.

Il concetto di identità personale include quello di individualità biologica, ma è più ampio perché
include anche le caratteristiche mentali dell'individuo. Un individuo con un’identità personale è un
individuo dotato, almeno potenzialmente, di una mente caratteristicamente umana, autocosciente e
capace di esprimersi e comunicare tramite il linguaggio. L’individuo autocosciente si distingue
soggettivamente dall'ambiente circostante animato e inanimato come entità autonoma senziente,
pensante e agente che si modi ca nel tempo, ma mantiene una natura unitaria e continua attraverso
il susseguirsi dei minuti come degli anni. 'autocoscienza è una consapevolezza intrinseca
dell'esistenza ininterrotta di un "io" che dal tempo dell'infanzia è stato, è e sarà il soggetto unico e
certo di tutte le esperienze e di tutte le azioni personali precedenti, attuali e previste.

Ma per le neuroscienze cio che può de nite al meglio l’identità personale non è la continuità di una
particolare vita mentale, ma ciò che la realizza materialmente: la continuità dell’attività di un cervello
unico e particolare.

Nelle sue grandi linee il piano generale dell'anatomia cerebrale umana è lo stesso per tutti gli
individui, ma i ni dettagli dell'insieme complessivo delle connessioni sinaptiche fra i neuroni - il
connettoma - variano da individuo a individuo, e sono soggetti entro ciascun individuo a continue
variazioni in funzione delle interazioni con il resto del corpo e con l'ambiente esterno. Pertanto
ciascun cervello umano, pur avendo un'architettura generale comune a tutti gli esemplari della
specie di Homo sapiens, contiene già alla nascita combinazioni uniche e irripetibili di connessioni fra
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i neuroni, tanto è vero che i gemelli monozigotici, che condividono gli stessi geni e appaiono identici
riguardo a molte caratteristiche somatiche, hanno cervelli morfologicamente diversi n dalla nascita,
e ben distinguibili fra di loro in età adulta.

Dopo la nascita l'apprendimento accompagna tutta la vita umana, dall'imparare a camminare e a


parlare nell’infanzia all'adattarsi continuamente alle contingenze della vita' quotidiana nella vecchiaia
sana. A queste varie forme di apprendimento, note a tutti per semplice osservazione e quanti cabili
scienti camente con l'analisi comportamentale, corrispondono altrettante modi cazioni del sistema
nervoso centrale: vivendo si impara con il cervello, e il cervello si trasforma continuamente in un
usso continuo.

Tutto ciò che riguarda o coinvolge il cervello è biologico, ma spesso si creano confusioni
equiparando biologico a genetico e contrapponendo biologico a sociale.

ritiene. Ciò che è sicuramente sbagliato è la tendenza a contrapporre fattori biologici e fattori sociali
nel determinismo di vari tratti dell'umanità, come se i due tipi di fattori fossero mutualmente esclusivi
e non interagenti a livello del cervello. In ogni dato momento della vita di una persona la sua
organizzazione cerebrale compendia la sua storia complessiva, dai geni alla mente. Né i geni né
l'anatomia cerebrale alla nascita sono l'equivalente moderno delle Parche - il destino di un individuo
si snoda a mano a mano che il suo cervello si modi ca in contatto con l’ambiente.

Capitolo 5 - La ducia nella scienza e i suoi nemici

Corbellini esamina alcuni dei tipici luoghi comuni delle critiche alla scienza, smascherandone i molti
elementi di debolezza e concludendo che grazie al progresso scienti co le società hanno
enormemente accresciuto il loro livello di benessere e sono diventate più libere, meno violente, più
razionali.

Corbellini sposa edmespande le teorizzazioni del padre riconosciuto della sociologia della scienza,
Robert K. Merton (1973), secondo il quale la scienza è fondamentalmente portatrice di valori.

Merton ha sintetizzato i principi che ispirano l'ethos e la buona ricerca scienti ca con l'acronimo
inglese CUDOS (communalism, universalism, disinterestedness, originality, skepticism), il cui suono
ricorda volutamente la parola greca kudòs, il riconoscimento elargito a una grande impresa (Merton,
1942). Le “norme mertoniane" prescrivono: che i risultati scienti ci debbano essere proprietà di tutti
(communalism); che le persone di tutte le razze, nazionalità, cultura, genere possano contribuire alla
scienza (universalism); che gli scienziati agiscano per il bene cio della comunità e non per guadagno
personale (disinterestedness); che le ricerche scienti che debbano apportare innovazioni
nell'approccio, nel metodo, nella spiegazione dei fenomeni, nelle teorie (originality); che le ricerche
scienti che debbano essere sottoposte a uno scrupoloso vaglio critico prima di essere accettate
(organized skepticism).

In realtà riesce di cile credere che l'atteggiamento dominante nella società contemporanea sia
quello della ducia nella scienza. Nel suo libro Defending science - within reason, la losofa Susan
Haack (2003) dice che l'atteggiamento pubblico verso la scienza varia dall'estremo di
un'ammirazione acritica all'altro estremo della denigrazione e dell'ostilità dichiarata, passando
attraverso posizioni intermedie di di denza, risentimento e invidia. Cinque parole o locuzioni
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negative contro una positiva fanno pensare che l'atteggiamento medio verso la scienza non sia per
niente favorevole, o quanto meno confuso e contraddittorio.

Le persone di media cultura ammirano i progressi teorici della scienza e ne vedono con favore le
ricadute tecnologiche che migliorano la qualità della vita, ma temono anche che alcuni sviluppi della
ricerca scienti ca possano determinare conseguenze negative come l'inquinamento dell'ambiente e
pericoli per la salute umana. La sperimentazione sugli animali, tuttora indispensabile per la ricerca
scienti ca nelle discipline biologiche e per le applicazioni in medicina, incluso il controllo per legge
della tossicità dei farmaci, genera in chi la ritiene inaccettabile sul piano etico reazioni di avversione
che non raramente sfociano in violenze del tutto ingiusti cate e irrazionali e in palese violazione della
legge. Di queste violenze la ricerca in neuroscienze è stata ed è tuttora vittima, spesso del tutto
innocente. Alla ne degli anni Ottanta un gruppo di attivisti appartenenti alla PETA (People for the
Ethical Treatment of Animals), associazione contraria alla sperimentazione animale, prese di mira il
laboratorio di Edward Taub all'Istituto di ricerca comportamentale di Silver Spring nel Maryland e,
con l'accusa di maltrattamento e incuria (accuse da cui Taub venne poi scagionato), fece sospendere
le ricerche su alcune scimmie nelle quali erano state interrotte le comunicazioni sensitive e motorie
tra sistema nervoso periferico e sistema nervoso centrale al ne di studiare le capacità residue.

La ricerca, che ha e ettivamente ispirato una serie di pratiche riabilitative tuttora usate nell'uomo, era
cominciata molti anni prima. Non volendo rischiare di sprecare anni di lavoro, il professor Taub tece
trasferire le scimmie nel laboratorio di un giovane ricercatore, Tim Pons, purtroppo poi
prematuramente scomparso. La registrazione dell'attività neuronale in queste scimmie ha fomito
l'importante dimostrazione che il sistema nervoso adulto è molto più plastico di quanto ritenuto
prima.

GENETICA ED EPIGENETICA

Tra le realizzazioni importanti delle scienze della vita contemporanee va annoverato il Progetto
Genoma Umano, u cialmente avviato nel 1990 dal dipartimento per l'energia e l'Istituto nazionale
della salute degli Stati Uniti (NIH) e successivamente sostenuto anche da altri enti pubblici (inclusi
vari governi nazionali) e privati di Europa, Asia e Australia. Originariamente programmato per una
durata quindicennale, è stato completato con due anni di anticipo, esattamente cinquant'anni dopo
la scoperta della struttura a doppia elica del DNA, che valse il premio Nobel a James Watson e
Francis Crick. Nel corso del progetto, costato intorno ai tre miliardi di dollari, sono stati identi cati
circa venticinque/trentamila geni, sono state determinate le sequenze delle basi chimiche del DNA
umano, sono stati compiuti molti miglioramenti tecnologici. Tra le molte preoccupazioni riguardanti
aspetti eticamente e legalmente sensibili, come per esempio la riservatezza dei dati e il loro possibile
uso, è qui importante sottolineare quella secondo la quale la conoscenza del genoma avrebbe
"meccanizzato e biologizzato" l'uomo a scapito delle sue caratteristiche "metabiologiche". È
importante perché critiche simili e anche più decise vengono rivolte agli studi del cervello e della
mente.

In realtà proprio le conoscenze derivanti dal Progetto Genoma hanno rivelato che lo stesso gene si
può esprimere molto diversamente nell'uomo e nella scimmia, così come un dato gene può
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esprimersi diversamente in individui diversi e in diverse circostanze ambientali. In particolare è stato


dimostrato il processo di espressione genica basato sull'alternative splicing (congiungimenti
alternativi) per e etto del quale un singolo gene, composto da DNA, può codi care per di erenti
RNA messaggeri e quindi per proteine di erenti.

Nei nuclei cellulari il DNA si trova in una forma associata a complessi proteici che costituiscono la
cromatina, una struttura dinamica che presenta vari stati di attivazione dai quali dipende quali geni
verranno trascritti. L'epigenetica riguarda tutti i processi che comportano cambiamenti
dell'espressione genica senza che ci siano cambiamenti nella sequenza del DNA. Molti segnali
esterni (per esempio farmaci, dieta, eventi stressanti sici e mentali) sono coinvolti in questi processi
di regolazione, alcuni dei quali possono essere trasmessi da una generazione all'altra. Per
comprendere la fondamentale importanza dell'epigenetica per le neuroscienze e la psicologia si
pensi a come spiegare il fatto che gemelli monozigotici e quindi con identico patrimonio genetico
presentano diversa suscettibilità a sviluppare patologie neurologiche (per esempio l'Alzheimer, il
Parkinson) o psichiatriche (per esempio, il disturbo bipolare, caratterizzato dall'alternanza di
depressione ed euforia patologica), oppure grandissime di erenze nella personalità, nel
comportamento, negli stili cognitivi ed emotivi (per esempio un gemello estremamente conservatore
e uno estremamente progressista). In estrema sintesi, l'epigenetica sembra poter aprire una nestra
completamente nuova sull'antico problema di quale sia la rispettiva in uenza esercitata sui viventi

dalla "natura" (in uenza dei geni) e dalla "cultura" (in uenza dell'ambiente). Il rilievo di questi concetti
per il presente libro è che la complessità e diversità degli organismi è di gran lunga superiore a quel
che si potrebbe pensare in una visione rigida e predeterminata dell'espressione genica. Complessità

che aumenta ulteriormente quando si passa a considerare la più complessa tra le strutture esistenti,
vale a dire il cervello.

DAL GENOMA AL CONNETTOMA

Il termine connettoma è stato utilizzato per la prima volta da Olaf Sporns, professore all'Università
dell'Indiana, e da Patric Hagmann, allora studente di dottorato all'Università di Losanna, per far
riferimento al complesso di connessioni strutturali e funzionali tra le varie regioni del cervello. Il
connettoma è concepito come un'entità che svolge funzioni più complesse di quelle espletate da
singoli neuroni, anche quando sono molto complessi come nel caso dei neuroni specchio o di quelli
che rispondono speci camente alle facce o che codi cano lo spazio, grazie a collegamenti speci ci
fra regioni cerebrali anche molto distanti tra di loro.

Secondo Seung, la connettività neuronale del cervello caratterizza ciascun individuo ancora di più
del patrimonio genetico, perché nei gemelli monozigoti il DNA è identico e la connettività cerebrale
no, Certo mappare la connettività di un cervello umano è impresa incomparabilmente più complessa
che mapparne i geni, dato che il nume ro delle sinapsi è enormemente superiore a quello dei geni. A

questa considerazione puramente numerica va aggiunto il fatto che la connettività cambia


fortemente nel corso della vita, tramite i meccanismi che Seung identi ca con quattro R, cioè
reweighting, la modulazione in più o in meno dell'e cacia di trasmissione da parte di ogni data
sinapsi, reconnection, la formazione o l'eliminazione di sinapsi, rewiring, la formazione di nuove
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connessioni fra neuroni e fra aree cerebrali, e recreation, la creazione e l'eliminazione di neuroni. Il
controllo di questi meccanismi è codi cato dai geni ma fortemente in uenzato da una quantità di
fattori ambientali, specie durante lo sviluppo, in un processo di continuo cambiamento che rende
ciascun individuo non solo diverso da tutti gli altri, ma anche diverso da se stesso in tempi diversi. In
quest'ottica, così come è in uenzato da modi cazione siologiche, il connettoma può essere il
bersaglio di alterazioni patologiche, tanto che vari tipi di "connettomopatie" possono causare una
serie di disturbi neurologici sia in età adulta sia in età evolutiva.

La concezione del connettoma e qualche dato empirico già a disposizione suggeriscono che
l'acquisizione di nuove abilità motorie comporta la formazione di nuovi collegamenti strutturali e
funzionali grazie alle quattro R sopra descritte. Tuttavia non sappiamo ancora se e come le
presupposte riorganizzazioni di parti del connettoma dipendano da modi cazioni dell'espressione
genica indotte da fattori epigenetici o da meccanismi diversi che prescindono dall'espressione
genica. Resta vero che il concetto di connettoma fornisce una plausibile ipotesi di come il cervello
possa mantenere per tutta la vita la possibilità di modi care la propria organizzazione al servizio delle
attività mentali e del controllo del comportamento, pur mantenendo una quota di stabilità di
funzionamento alla base dell'unicità e della continuità temporale dell’individuo.

SPLENDORI E MISERIE DELLE NEUROSCIENZE DEI SISTEMI COMPLESSI

Le neuroscienze sono state da taluni identi cate con le ricerche eseguite con la risonanza magnetica
funzionale. Si tratta di un’identi cazione totalmente misti catrice che non può essere tollerata
neppure quando è proposta in perfetta buona fede. Il continuo sviluppo tecnologico consente studi
sempre più so sticati e controllati, come per esempio l'analisi (tramite la combinazione della
risonanza magnetica funzionale con la magnetoencefalogra a) della rapida riorganizzazione dei
collegamenti funzionali tra aree cerebrali nel corso di varie operazioni mentali. Le interazioni
dinamiche tra diverse regioni cerebrali utilizzano particolari codici come la sincronizzazione per
speci che bande di frequenza di oscillazione dell'attività neuronale.

All'emergenza di nuove tecnologie e nuovi campi di indagine neuroscienti ca, come l'uso della luce
per stimolare i tessuti cerebrali, si accompagna un a namento e un uso sempre più controllato di
tecniche ormai collaudate come la risonanza magnetica funzionale. Ciononostante la maggior parte
di coloro che denunciano lo strapotere delle neuroscienze continuano a mettere in risalto e a
stigmatizzare i presunti difetti di alcune tecniche, soprattutto della fMRI, e a ribadire ciò che a parer
loro queste tecniche non ci consentono di fare, restando muti, per ignoranza o per scelta, riguardo ai
continui sforzi di miglioramenti concettuali e tecnici da parte delle neuroscienze. Di fatto il rapido
avanzamento tecnologico consente di dire, sia pur con una certa esagerazione, che le ricerche di
soltanto qualche anno fa possono essere considerate obsolete.

Tuttavia fra le ricerche neuroscienti che con un potenziale grande impatto per la società ve ne sono
alcune che utilizzano al meglio tecniche da lungo tempo collaudate e altre che si avvalgono di
tecniche in via di sviluppo, forse pre gurando le principali direzioni della ricerca neuroscienti ca nel
futuro immediato e prossimo.

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FORTUNE DELLE (FAMOSE) NEUROSCIENZE: PUNTI DI FORZA

Abbiamo già precisato che i dati delle neuroscienze non si identi cano con le neuroimmagini
funzionali, e che queste ultime non sono solo quelle fornite dalla risonanza magnetica funzionale.
Tuttavia, a onta dell'accusa di essere vecchia e sbagliata, la fMRI è in continuo sviluppo
metodologico-tecnico e si dimostra in grado di fornire informazioni di grande importanza.

Neurofeedback basato sulla fMRI

Con il termine di neurofeedback si fa riferimento alla capacità di utilizzare segnali biologici,


specialmente elettroencefalogra ci, per controllare il proprio comportamento o comunicare tramite
segnali provenienti direttamente dal cervello. Un soggetto che osserva in tempo reale il proprio
elettroencefalogramma può essere addestrato a modi carlo in maniera speci ca con un
procedimento di condizionamento operativo, fornendo un rinforzo positivo al soggetto stesso ogni
volta che riesce a produrre la modi cazione desiderata. Una volta appresa, questa capacità può
essere sfruttata, per esempio, per selezionare dalle lettere dell'alfabeto presentate alla vista quelle
necessarie a formare parole e frasi, rendendo così possibile la comunicazione con persone a ette da
malattie che bloccano ogni forma di comportamento come la sclerosi laterale amiotro ca.
Acquisendo rapidamente e in maniera continua immagini sequenziali fMRI si ottengono quadri di
attività cerebrale corrispondenti a determinati compiti mentali che sono osservabili in tempo reale dal
soggetto. Il soggetto può così imparare a controllare l'intensità del segnale cerebrale che
accompagna una speci ca operazione mentale, modulando l'attività di una data area cerebrale
selezionata in base al ruolo che essa svolge nell'operazione stessa.

I soggetti apprendono il compito richiesto utilizzando vari tipi di strategia, spontaneamente,


immaginando di muoversi quando devono controllare il segnale in aree motorie, o seguendo
istruzioni speci che, come quando si esercitano a controllare l'umore pensando a un evento allegro
per modulare il segnale BOLD nell'insula anteriore, regione coinvolta nelle regolazioni emozionali. A
di erenza dell’EEG, che ri ette l'attività soltanto di parti della corteccia, la fmRI è in grado di
visualizzare l'attività di tutte le strutture cerebrali e quindi di consentire procedimenti di
neurofeedback basati su qualsiasi area cerebrale e sulle funzioni a esse associate.

L'e cacia del neurofeedback basato su fMRI in soggetti sani come in pazienti con disturbi
neuropsichiatrici è descritta in un interessante e chiaro articolo di un pioniere nel campo, ma
trattandosi di un approccio recente è legittimo attendersi ulteriori convalide e approfondimenti. Da-

ti preliminari suggeriscono che la procedura può essere utilizzata come un'interfaccia tra cervello e
computer.

È stato inoltre dimostrato che l'autoregolazione del segnale nella corteccia inferiore frontale di
destra, controlaterale all'area di Broca, migliora la capacità di cogliere le caratteristiche prosodiche
del linguaggio e che apprendere a controllare il segnale BOLD nella corteccia premotoria ventrale,
una regione coinvolta nella programmazione motoria, migliora gli indici neuro siologici di controllo
motorio di un arto reso emiparetico da una lesione della corteccia motoria primaria.

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SFORTUNE DELLE (FAMOSE) NEUROSCIENZE

L'accusa di banalità, e addirittura di ina dabilità, rivolta alle tecniche delle neuroimmagini, fMRI in
testa, porta di conseguenza alla denuncia che i risultati di queste tecniche potrebbero esercitare
in uenze indebite e pericolose sulla discussione di temi di rilevanza sociale e politica. Posto che la
conoscenza in sé non è mai un rischio, ma che può esserlo l'uso che se ne fa, non si possono
ignorare le implicazioni etiche, politiche e sociali delle nuove conoscenze ottenibili con le tecniche
delle neuroscienze. Un'invasione delle neuroscienze nel campo del diritto e dell'etica può risultare
indebita e ingiusti cata per molti, e in ogni caso potrebbe avere conseguenze molto più pesanti di
quelle di una simile invasione in altri campi, come per esempio nell'estetica. Le neuroscienze
possono infatti in uenzare il pensiero etico e giuridico da almeno tre punti di vista. In primo luogo v'è
il grande problema loso co, antico quanto la loso a stessa, della possibilità della libertà
dell'azione umana in un universo materiale deterministico, di cui ovviamente fa parte il cervello. In
secondo luogo, una questione di grande attualità riguarda l'importanza che si può dare in tribunale a
evidenze di carattere neuroscienti co, e l'in uenza che esse possono esercitare sui sistemi giuridici,
soprattutto in campo penale, dal punto di vista sia della giurisprudenza sia della dottrina. In terzo
luogo, le neurotecnologie possono essere oggetto di sfruttamento commerciale, con conseguenti
implicazioni etiche riguardo a molteplici aspetti (per esempio, utilizzo dei dati e privacy).

Il cervello e il libero arbitrio (di commettere reati)

Densa di implicazioni loso che, sociali e persino religiose è la ricerca neuroscienti ca sul controllo
delle inibizioni e della volontà. Quando non è soggetto a coercizioni l’individuo normale si sente
libero di scegliere e responsabile delle proprie scelte, e attribuisce le stesse facoltà alle altre persone.
Sentirsi libero di scegliere signi ca assumere che nelle stesse identiche condizioni si sarebbe potuto
fare una scelta diversa, e sentirsi responsabile signi ca percepire se stesso come iniziatore e arte ce
di ogni propria azione intenzionale. Tuttavia la psicologia sperimentale e le neuroscienze hanno
dimostrato che i processi mentali e cerebrali che indirizzano la decisione di compiere una
determinata azione iniziano ben prima che l'agente abbia la consapevolezza di aver deciso. Inoltre
sappiamo dall'esperienza clinica della neurologia che in conseguenza di determinate lesioni
cerebrali, soprattutto a carico della corteccia parietale di destra, i pazienti possono convincersi di
aver eseguito un movimento volontario che invece non è a atto avvenuto.

La situazione è in un certo senso complementare a quella che si veri ca nella sindrome di Tourette,
caratterizzata dalla presenza di tic, movimenti incontrollabili che il paziente non ha intenzione e non
si accorge di compiere. Azioni coatte che il paziente compie senza averne l'intenzione si osservano
anche in forma localizzata nella sindrome della mano anarchica e in quella della mano aliena,
conseguenti a lesioni della corteccia cerebrale in aree addette alla piani cazione motoria. In
entrambe queste condizioni cliniche la mano controlaterale alla lesione si muove apparentemente
per volontà propria anziché per volontà del paziente, tanto che nel caso della mano aliena la mano
stessa è percepita come appartenente a un altro individuo.

Utilizzando la stimolazione diretta della corteccia cerebrale in soggetti sani svegli, il gruppo di ricerca
di Angela Sirigu ha dimostrato che la stimolazione della corteccia parietale inferiore induce una torte
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intenzione di muovere determinate parti del corpo. Aumentando l'intensità di stimolazione si induce
una netta sensazione di aver realmente compiuto dei movimenti, anche se i controlli elettromiogra ci
mostrano ineguivocabilmente l'assenza di qualunque contrazione muscolare. Per contro, la
stimolazione della regione premotoria induce evidenti movimenti di parti corporee, nonostante i
pazienti neghino decisamente di essersi mossi.

D'altra parte è ormai noto da decenni che molti dei nostri processi psichichi sono più o meno
impermeabili alla consapevolezza cosciente. Durante episodi di sonnambulismo si possono
compiere sequenze di azioni molto complesse. Si pensi, per esempio, al caso dell'uomo che ha
ucciso la suocera in stato di sonnambulismo, senza peraltro essere condannato perché aveva agito

inconsapevolmente. La psicologia e la neuropsicologia hanno descritto molte circostanze nelle quali


si mettono in atto comportamenti diretti a uno scopo senza averne coscienza. Fra i processi inconsci
che in uenzano il comportamento si possono menzionare le memorie implicite che si esprimono
negli atti ma non nella coscienza, gli apprendimenti percettivi taciti generati da esposizioni ripetute
allo stimolo, il condizionamento delle decisioni razionali da parte di reazioni vegetative non percepite,
l'attivazione di associazioni semantiche da parte di parole presentate troppo brevemente per poter
essere lette, e anche le radici inconsce di varie forme di pensiero creativo. La distinzione fra
comportamenti consci e inconsci, fra atti voluti e atti involontari, è chiaramente rilevante ai ni della
discussione dello spinoso tema del libero arbitrio e della responsabilità individuale.

E molti dei sistemi legali conosciuti, specie quelli che fanno riferimento alla teoria meramente
retributiva della pena (ossia la sanzione penale ha in sé un valore positivo e deve servire a punire il
colpevole per il male causato dal suo atto illecito), si basano sull'assunto che le persone siano dei
"ragionatori pratici" in grado di prendere le decisioni perché in grado di scegliere. Ma se il patrimonio
genetico o quello neurale dettano ferreamente le regole del comportamento, le fondamentali scelte
dell'esistenza, in particolare quelle compiute al momento del reato, le persone non sono poi così
libere. E il fatto che una determinata azione non sia separabile dal substrato neurobiologico che ne
consente la realizzazione ha delle ovvie implicazioni legali. In quest'ottica è stato sostenuto da vari
autori che le scoperte neuroscienti che sono destinate a modi care completamente l'assetto dei
sistemi giudiziari, in particolare di quelli basati sulla responsabilità morale individuale derivata dal
libero arbitrio. Associare una visione di questo genere alle neuroscienze accresce nel grande
pubblico la di denza verso di esse, che legittimerebbero a ermazioni del tipo "Nessuno è
responsabile e dunque nessuno è punibile". In realtà l'idea che la giustizia non possa prescindere
dalla possibilità del reo di mantenere determinati livelli etici (che verrebbe meno in mancanza di libero
arbitrio) è stata sviluppata dal losofo inglese Bradley (1894) ben più di un secolo fa.

Le neuroscienze nei tribunali

Sappiamo dunque che la relazione tra mens rea e actus reus può modi care l'entità della pena. Per
molti decenni nessuno è sembrato sorpreso, turbato o scandalizzato dal fatto che le decisioni sulla
capacità di intendere e di volere del reo fossero a date al discernimento dei periti, alla sapienza e
all’intuito degli psichiatri. Eppure, appare lampante che questo tipo di delicatissime decisioni si basa
su valutazioni di carattere assolutamente soggettivo. Anche ammettendo la totale e completa buona
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fede del professionista di turno, gli studi sul cervello "incognito" (ossia sul fatto che molti stereotipi e
pregiudizi umani si formano e vengono messi in atto senza che se ne abbia consapevolezza)
indicano chiaramente l'elevato rischio di errori di valutazione. La di denza nei confronti di evidenze
“oggettive" nel processo ha caratterizzato i dati di genetica comportamentale prima ancora di quelli
neuroscienti ci. A metà degli anni Novanta studi di manipolazione genetica hanno dimostrato la
possibilità di aumentare o diminuire l'aggressività dei topi in uenzando l'espressione dell'enzima
monoaminossidasi, che controlla la concentrazione dei neurotrasmettitori catecolaminergici nel
sistema nervoso.

E sorprendente ma provato che i portatori di una determinata con gurazione genica hanno una
probabilità di commettere reati di natura sessuale tredici volte maggiore di quella dei non portatori.

fratello dello stupratore omicida

Va precisato che questi episodi non vanno attribuiti a un rigido determinismo genetico, perché la
storia personale può in uire sull’espressione dei polimor smi genetici (varianti del tipo principale) dai
quali dipende la concentrazione di catecolamine.

La dimostrazione di interazioni fra in uenze ambientali ed espressione genica, unitamente alle nuove
scoperte dell'epigenetica sui meccanismi di queste interazioni, indicano inequivocabimente che il
determinismo genetico è molto relativo. L'utilizzo della genetica comportamentale, combinato con
speci ci test neuropsicologici, ha importanti precedenti nel sistema giudiziario italiano, grazie
all'attività di un gruppo di neuroscienziati e genetisti italiani.

sull'argomento. Finora le neuroimmagini sono state considerate come evidenze processuali


accessorie e utilizzabili più per mitigare che per inasprire la pena, ma le cose potrebbero cambiare in
un futuro non lontano. In Francia, ricercatori consultati dai politici hanno sconsigliato l'uso delle
neuroimmagini per ni commerciali e hanno adottato una posizione tendenzialmente negativa o
quanto meno ambigua riguardo all'autorizzazione al loro utilizzo in tribunale (Ouillier, 2012).
Naturalmente anche i neuroscienziati, come da lungo tempo fanno i neurologi, gli psichiatri e gli
psicologi, hanno il dovere di mettere le loro competenze ed esperienze al servizio della giustizia,
partecipando ai processi come consulenti.

illusione.

Se l'organismo è il risultato dell'interazione fra geni e ambiente, l'individuo non può scegliere né i
propri geni né l'ambiente dove nasce e spesso neanche quello dove vive, e quindi non gli si

può attribuire la responsabilità dei propri comportamenti. In linea con questo ragionamento Sapolsky
(2004) ritiene che le condizioni neurobiologiche di base, vale a dire le carte per il gioco della vita, non
si possano scegliere ma ci vengano date, e che l'adattabilità sociale sia legata alla fortuna di avere i
geni e il cervello giusto. Siamo uguali davanti alla legge, ma con di erenze di personalità, di
prospettive, di mezzi d'azione. A parità di condizioni ambientali, una persona può soccombere alla
tossicodipendenza e un'altra no, non per di erenze di controllo volontario, ma per di erenze nei
circuiti cerebrali per la grati cazione. Pertanto Sapolsky (2004) ritiene che il modello di giustizia non
possa che essere di tipo utilitaristico e che i criminali vadano puniti unicamente per modi care il loro
comportamento e per proteggere la società, e non per retribuire la società stessa per una violazione
dell'ordine sociale che non è stata decisa da loro ma dalla loro biologia.

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Nel considerare la potenziale in uenza dei dati neuroscienti ci sulla giustizia, Stephen Morse (2004),
pur consapevole che tutti i comportamenti sono causati dal cervello, a erma con forza che i crimini
sono commessi da persone, non da cervelli, e stigmatizza il fondamentale errore psico-legale di
basare il giudizio di responsabilità penale non sul comportamento in sé e sulla capacità di intendere
e di volere, ma sulla presunta causa del comportamento stesso. Chi discute la responsabilità penale
soltanto con argomentazioni basate sul cervello so re secondo Morse di una sindrome patologica di
a ermazioni esagerate autorizzate dal cervello (BOS, brain overclaim syndrome).

Inoltre nessuno scienziato può sostenere che geni sbagliati, neuroni anomali, genitori inadeguati e
persino cattiva stella, possano rappresentare una ragione per non punire i criminali, che vanno messi
in condizione di non nuocere alla società anche se sono stati abusati da bambini o se hanno una
particolare con gurazione genica o cerebrale. Conoscere meglio la biologia, in particolare quella del
cervello, può consentire un cambiamento verso un approccio che non si limiti alla condanna ma
promuova, ove possibile, la riabilitazione. Nonostante le conoscenze su questo speci co aspetto del
tema siano del tutto preliminari, il reperimento di marcatori neurocognitivi a dabili del rischio di
recidivare ha ovviamente importanti implicazioni per la prevenzione.

I pericoli del neuromarketing

La di usione delle neuroscienze al di fuori dello stretto ambito della ricerca teorica o pratica pone
ulteriori problemi di carattere etico e politico-sociale. In ambito commerciale il cosiddetto
neuromarketing suscita perplessità e timori simili a quelli discussi da decenni riguardo alle tecniche
di persuasione occulta e subliminale della pubblicità tradizionale. La conoscenza delle critiche
sacrosante rivolte ad alcuni settori del neuromarketing aiuta a rintuzzare la tendenza a estendere
ingiustamente le stesse critiche alle neuroscienze in generale.

Un esempio che presta fortemente il anco alle critiche di neuromania, neppute tanto a buon
mercato visti gli interessi economici in ballo, è il suggerimento pubblicitario di un vero e proprio
innamoramento per l'iPhone. Martin Lindstrom è un guru della pubblicità, conosciuto in tutto il
mondo, che nel celebre libro del 2011 Brandwashed: Tricks Companies Use to Manipulate Our
Minds and Persuade Us to Buy (uscito in italiano col titolo Le bugie del marketing. Come le aziende
orientano i nostri consumi) ha spie- gato i trucchi utilizzati dagli esperti di pubblicità per manipolare
le nostre menti e spingerci ad acquisti. In una rubrica di opinio- ne del The New York Times,
Lindstrom descrive un esperimento da lui condotto insieme a un'azienda di neuromarketing (che lui
nomina ma noi no) in cui si studia l'attività cerebrale evocata in soggetti maschi e femmine dalla vista
o dal suono del proprio cellulare. Poiché questi stimoli visivi o sonori attivano la corteccia insulare,
notoriamente importante per emozioni come l'empatia e la compassione, Lindstrom con grande
disinvoltura sostiene che i soggetti dell'esperimento amano il loro cellulare come se fosse una
persona. Si noti che questo studio non è mai apparso in riviste scienti che e quindi non ci sono
prove che sia mai stato sottoposto a un serio vaglio da parte di esperti. Abbiamo già segnalato in
questo volume che, con analoga faciloneria, prima del vaglio da parte di riviste scienti che e forse
anche su istigazione di un'azienda di neuromarketing, dei ricercatori han- no riferito al The New York
Times che la stessa area cerebrale di cui sopra si attiva alla vista di personaggi della politica in
funzione delle proprie simpatie e tendenze politiche. Abbiamo anche riferito che la super cialità di
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queste osservazioni ha suscitato la reazione durissima da parte di un gruppo di importanti esperti di


neuroimmagini, convinti che si atte registrazioni dell’attività cerebrale non possano fornire indicatori
attendibili di pensieri, desideri ed emozioni.

Altrettanto delicato, e strettamente legato ai rapporti fra neuroscienze e giustizia, è l'utilizzo delle
neuroimmagini per scoprire se un'a ermazione è vera o falsa, La classica “macchina della verita"
usata già molti anni fa si basa sulla registrazione di misure siologiche autonomiche indipendenti dal
controllo volontario, come il battito cardiaco, la frequenza respiratoria spontanea e la conduttanza
elettrica della cute. Lo sviluppo di tecniche di imaging termico, che non necessita dell'applicazione di
elettrodi, puo in teoria consentire di registrare i cambiamenti della reattività autonomica anche
quando i soggetti non sanno di essere monitorati e quindi non possono mettere in atto tecniche per
confondere la macchina. Le macchine della verità sono basate sul dubbio principio che la menzogna
è sempre accompagnata da un’attivazione emozionale che in uenza il sistema neurovegetativo.

Presunti indicatori di questo tipo della verità o falsità di a ermazioni di un sospetto di reato non sono
accettabili in tribunale. In linea di principio l'fmRI dovrebbe poter cogliere la di erenza fra i due tipi di
attività cerebrale. Tuttavia questa possibilità sembra ancora lontana, e spaccia- re la risonanza
magnetica funzionale come una moderna Macchina della verità è una pubblicità ingiusti cata che
non giova all'immagine delle neuroscienze.

COME CAMBIERANNO LE NEUROSCIENZE?

Il futuro che è già arrivato

Alcuni tra i più importanti giornali scienti ci interdisciplinari (per esempio Science e Nature Methods)
attribuiscono all'optogenetica grandi potenzialità di innovazione, tanto è vero che essa ha un ruolo
fondamentale nel progetto BRAIN (brain research through advancing innovative neurotechnologies).

Questo progetto ha lo scopo di indagare l'organizzazione morfofunzionale del cervello con


un'altissima risoluzione spaziale ( no alla singola cellula) e una risoluzione temporale dell'ordine dei
millesimi di secondo. Combinando tecniche genetiche e ottiche, l'optogenerica dovrebbe consentire
di visualizzare e in uenzare l'attività dei neuroni cerebrali in vivo, anche in cervelli complessi come
quelli dei primati non umani e per certe applicazioni anche nell’uomo.

Il primo passo è quello di introdurre tramite vettori virali nel DNA dei neuroni dei geni che causano
l'espressione di proteine uorescenti o bioluminescenti che emettono fotoni, oppure di proteine
fotosensibili come le opsine presenti nei fotorecettori della retina.

Una volta sintetizzate, le proteine bioluminescenti sono incorporate nella membrana cellulare ed
emettono luce in risposta all'attività elettrica dei neuroni. 2013). A loro volta le proteine fotosensibili
sono incorporate nella membrana cellulare come canali proteici che possono essere aperti o chiusi
da stimolazioni luminose con speci che lunghezze d'onda (per esempio luce blu o gialla),
appropriate a indurre cambiamenti di conformazione delle molecole fotosensibili. Le conseguenti
modi cazioni dei ussi ionici attraverso questi canali danno luogo ad attivazioni e inibizioni
dell'attività dei neuroni fotomarcati, la cui illuminazione può così essere utilizzata per in uenzare i
comportamenti che dipendono dai neuroni medesimi. Un altro importante risultato con la tecnica
optogenetica è stato ottenuto dal gruppo di ricerca diretto da Susumu Tonegawa (premio Nobel nel
1987 per la scoperta della genetica della diversità degli anticorpi) che ha marcato singole cellule
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ippocampali di topi durante un compito di esplorazione di un ambiente e la conseguente formazione


di una memoria spaziale nelle cellule marcate. Successivamente, in un diverso ambiente, i topi
ricevevano una sgradevole scossa elettrica e contemporaneamente la stimolazione con la luce delle
cellule marcate, detentrici della memoria del primo ambiente. Una volta rimessi nel primo ambiente,
in cui non avevano avuto alcuna esperienza negativa, gli animali mostravano lo stesso
comportamento di paura esibito nell’ambiente in cui avevano ricevuto la scossa elettrica, a
dimostrazione che la stimolazione combinata aveva creato una falsa associazione fra la memoria
spaziale e il ricordo della scossa.

Il futuro alle porte

Come abbiamo già visto, i tentativi di far controllare dispositivi esterni come avatat, robot o altri da
parte di segnali cerebrali hanno già avuto successo e sono in grandissima espansione. Il gruppo di
neuroingegneria primatologica guidato da Nicolelis ha sperimentato nella scimmia con un certo
successo la possibilità di far azionare dispositivi meccanici da parte dell'attività registrata
simultaneamente di quasi duemila neuroni. Rispetto ai segnali provenienti da singole cellule i segnali
multineuronali esprimono più realisticamente le intenzioni del soggetto, consentendogli così di
migliorare le stesse interazioni con l'ambiente circostante animato e inanimato.

IMMAGINARE LE NEUROSCIENZE DEI PROSSIMI DECENNI

Posto che immaginare a lunga distanza di tempo i progressi delle conoscenze neuroscienti che è
poco più di un salto nel buio, si possono azzardare delle previsioni sui settori nei quali le
neuroscienze avranno probabilmente un ruolo di protagonista.

Stimolazioni non invasive altamente selettive

Almeno in teoria, l'optogenetica è capace di rivelare in animali da esperimento l'attivazione di singole


popolazioni neuronali e di in uenzarne l'andamento con la stimolazione luminosa

Esistono metodi di stimolazione focale anche solo paragonabili al optogenetica, utilizzabili per
normalizzare attività neuronali che si dimostrino sregolate nell'uomo? I sistemi esistenti per la
stimolazione cerebrale non invasiva nell'uomo, come la TMS (e anche la tDCS), agiscono su zone
relativamente ampie del cervello, con un diametro superiore al centimetro, e quindi la mente una
data struttura o via nervosa, data anche la notevole variabilità interindividuale dell'anatomia
cerebrale. Un'ottima risoluzione spazio-temporale si ottiene con la stimolazione elettrica diretta della
corteccia o con l'optogenetica, entrambe tecniche molto invasive che richiedono l’apertura del
cranio e nel secondo caso anche manipolazioni genetiche di una certa complessità. Nessuna di
queste due tecniche è quindi utilizzabile per ricerche con ni puramenti conoscitivi.

Un approccio completamente nuovo alla stimolazione cerebrale non invasiva si basa sulla
considerazione che in tutte le membrane eccitabili, comprese quelle dei neuroni, la deformazione
meccanica può aprire canali ionici con il conseguente innesco di potenziali d'azione. Con la
stimolazione ultrasonica focale è possibile deformare meccanicamente la membrana di neuroni in
zone molto più circoscritte nello spazio rispetto a quelle a ette dalla TMS.

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Nella corteccia motoria del topo sono stati ottenuti e etti attribuibili ad attivazioni con una risoluzione
spaziale dell’ordine di 2 mm, quindi circa dieci volte meno estese di quelle indotte tramite TMS.
Inoltre, a di erenza della TMS, la stimolazione ultrasonica è in grado di penetrare nel tessuto nervoso
e in uenzare strutture profonde senza indurre e etti collaterali. È prevedibile che il perfezionamento
di questa tecnica ne consentirà presto l'applicazione su larga scala al cervello umano, ampliando di
molto la possibilità di studiare non invasivamente, e con alta risoluzione spazio-temporale, il ruolo
causale di speci che strutture cerebrali in una vasta gamma di capacità tipicamente umane, dal
linguaggio al pensiero astratto.

Percepire l’impercepibile: "sentire" la luce infrarossa con la corteccia somatosensitiva

Il sistema visivo dei mammiferi utilizza la parte dello spettro elettromagnetico che chiamiamo luce,
ma non è in grado di percepire i raggi ultravioletti o infrarossi. Eppure grazie allo sviluppo di una
"neuroprotesi" i ricercatori del laboratorio di Miguel Nicolelis, sempre lui, sono riusciti a far sì che i
ratti percepiscano "tattilmente l’infrarosso”. Gli studiosi hanno applicato degli elettrodi stimolanti
sulla porzione di corteccia somatosensitiva che rappresenta le vibrisse in ratti che erano stati allenati
a scegliere tra varie alternative il punto dello spazio nel quale si accendeva una luce per ottenere una
ricompensa. Da un certo punto in poi, il luogo della ricompensa era segnalato non più da luce visibile
ma da stimoli infrarossi che l'animale non era in grado di vedere così da fare le scelte giuste. Tuttavia
le diverse sorgenti di infrarosso erano accoppiate alla stimolazione di regioni diverse della corteccia
somatosensitiva dove erano impiantati gli elettrodi, con il risultato che i ratti imparavano ad associare
una regione dello spazio a un tipo di sensazione tattile, riuscendo così a e ettuare il compito con alta
e cienza. È stato dunque creato un legame tra neuroni tattili e un segnale sico per la cui
percezione non esistono nei mammiferi sistemi sensoriali specializzati. In teoria sarà possibile
sviluppare neuroprotesi che forniscano la capacità di percepire qualunque tipo di energia, da quella
termica a quella elettrica, a quella meccanica.

Sviluppo di interfacce cervello-cervello

Un particolare tipo di comunicazione da "cervello a cervello” è stata sviluppata in due recenti studi.
Nel primo, il ratto con il ruolo di "codi catore" impara a discriminare tra stimoli tattili. I segnali neurali
evocati durante l'apprendimento nella corteccia somatosensitiva del primo ratto vengono trasmessi
direttamente in forma di stimolazione della corteccia somatosensitiva sotto forma di un secondo
ratto (che ha la funzione di “decodi catore”). I risultati mostrano che il secondo ratto è capace di fare
la discriminazione tattile unicamente sulla base delle informazioni fornite dalla stimolazione
cerebrale. Nel secondo, un dispositivo CI viene utilizzato per comandate uno stimolatore ultrasonico
che eccita la corteccia motoria di un ratto e induce movimenti della coda dello stesso.

Nonostante la presenza del wireless sia molto di usa nella nostra società, si è ancora lontani dal dire
che si sta comandando un altro individuo con in ussi diretti da cervello a cervello e da comunicazioni
inter-individuali o in uenzamenti interpersonali di un individuo sull'altro (magari a sua insaputa). Ma
apre una prospettiva concreta per coloro che avessero l’obiettivo di creare cyborg o diventare tali
essi stessi.

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NEUROFRONTIERE E FANTASCIENZA

Creare cervelli

Prospettive futuribili ma già abbastanza concrete si intravedono da un recentissimo studio apparso


sulla rivista Nature. Cellule staminali pluripotenti della cute umana, poste in un bagno di sostanze
nutrienti e stimolate a produrre tessuto neuroectodermico, si assemblano in organoidi che a un
esame super ciale presentano molte caratteristiche del tessuto cerebrale, inclusa una corteccia
contenente popolazioni di cellule progenitrici capaci di produrre sottotipi di neuroni corticali maturi.
Gli organoidi cerebrali formati con le cellule staminali derivanti dalla pelle di un individuo
microcefalico avevano solo pochissime regioni con neuroni progenitori e le loro ridotte dimensioni si
accordavano con il piccolo volume del cervello dell'individuo. Anche se la scoperta richiede
conferme e più approfondite interpretazioni, essa ha in un certo senso infranto un tabù, dimostrando
che le istruzioni contenute nei geni di cellule umane pluripotenti hanno la capacità di formare non
solo organi dal funzionamento relativamente semplice come il fegato o il rene, ma il cervello stesso,
massima espressione della complessità tissutale e funzionale e organo della mente.

COSA NE SARÀ DELLA CONCEZIONE CEREBROCENTRICA DEL VIVERE?

La pervasività delle neurodiscipline ha alimentato in alcuni la paura del eurocentrismo, de nito come
la tendenza a spiegare il comportamento umano guardando soltanto o soprattutto al cervello, e
trascurando la "vera essenza dell'individuo umano". Le ragioni di un tale atteggiamento possono
essere molteplici. Alla causa delle neuroscienze non giovano le posizioni "eliminativiste" estreme che
negano la realtà ontologica dei costituenti della cosiddetta folk psychology (i desideri, le credenze, le
intenzioni ecc.) assimilandoli al ogisto, al uido calorico e alla pietra losofale, che con il progresso
della scienza sono spariti dalla nostra concezione del mondo sico.

Non ci può essere dubbio che desideri, speranze, scopi, paure ecc. sono tutti inscindibilmente legati
ad attività neuroisiologiche collegate. Per l'uomo contemporaneo i costituenti della folle psychology
sono contenuti di coscienza immediati e spontanei che dirigono la condotta individuale e le
interazioni sociali. Non merita certo l'accusa di eurocentrismo il ritorno odierno alla considerazione
delle malattie psichiatriche come malattie del cervello.

Satel e Lilienfeld (2013) contestano il fatto che le dipendenze siano considerate malattie del cervello,
pur ammettendo che sia la struttura sia le funzioni cerebrali sono profondamente cambiate in
individui entrati nel tunnel delle sostanze, del gioco d'azzardo, ecc. Sostengono che la concezione
neuro non considera in alcun modo come le persone "dipendenti" pensino. E insistono nel dire che
attribuire troppa importanza agli studi sul cervello implica trascurare lo studio della mente e
confondere le neuroscienze con la psicologia, riproponendo la logica per nulla nuova degli steccati a
separazione del proprio orticello. A ermazioni di questo genere sembrano basarsi sulla certezza che
nessuna analisi funzionale del cervello possa gettare luce sulle funzioni mentali, come se i pensieri
fossero generati in una qualche terra di nessuno, inaccessibile e inesplorabile.

In ogni caso è molto probabile che la visione del mondo centrata sul cervello diventi tanto più attuale
quanto più ci si rende conto che praticamente tutti i nostri comportamenti, inclusi quelli di alto livello
(dai sentimenti e le emozioni morali alla ducia negli altri e al rispetto delle norme sociali) sono
fortemente dipendenti dal mantenimento di precisi equilibri neurochimici.

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In aggiunta alle modi che del comportamento in senso criminogeno causate da lesioni cerebrali, è
interessante so ermarsi sui profondi cambiamenti della personalità in pazienti con morbo di
Parkinson, una malattia caratterizzata primariamente da disturbi del movimento rigidità e tremore) e
prodotta dalla degenerazione di una regione del tronco cerebrale (la substantia nigra) che riduce
drasticamente il livello della dopamina, ossia della sostanza che ne modula la funzionalità.

La dopamina esercita le sue funzioni legandosi a diversi tipi di recettori (da D1 a DS), e media
l'attività di diversi circuiti e funzioni cerebrali. Pragmaticamente il punto fondamentale è cercare di
capire se e come questo tipo di conoscenze possa essere utilizzato per migliorare la condizione
umana. Sono in corso tentativi di curare varie forme di dipendenza utilizzando il neurofeedback
basato sulla fMRI sopra descritto, facendo vedere per esempio a fumatori accaniti la loro attività
cerebrale evocata da fotogra e di sigarette. L'attività delle regioni maggiormente attivate dalla
"brama" di fumare viene convertita in una barra la cui altezza è proporzionale all'intensità
dell'attivazione cerebrale. Il soggetto deve imparare a ridurre l'altezza della barra, cioè l’intensità
dell'attività cerebrale, riducendo così la propria voglia di fumare. Ancorché preliminari, i risultati sono
incoraggianti e fanno intravedere la possibilità di estendere questo tipo di paradigma ad altre forme
di dipendenza. Constatare l'utilità dell'approccio cerebrocentrico in casi del genere non nega in alcun
modo la dimensione mentale della dipendenza né l'opportunità e l'interesse di studiarla dal punto di
vista dello psicologo, pur nella convinzione che ogni reperto psicologico sia in ultima analisi
riconducibile ad attività cerebrali note o da scoprire.

LE NEUROSCIENZE COME SCIENZA DELLE MENTI?

Riguardo al rapporto tra mente-cervello, studiosi di grande fama sposano tesi di upo

Elminativistico. Sostenute in loso a da Paul CHURCHLAND, a ermando che siamo "solo una
manciata” neuroni.SI tratta di una posizione netta che contribuisce a creare anticorpi contro le
neuroscienze e a suscitare la formulazione di teorie opposte altrettanto estreme, che collocano la
mente fuori dal corpo e quindi fuori dal cervello. Come è già avvenuto con I’evoluzionismo, la
concezione cerebrocentrica della mente è accusata di vedere nel uomo solo animale, di
meccanizzarlo, di castigarne I’umanita. Implicitamente sI assume che il riduzionismo materialistico
metta a repentaglio le regole superion religione e timor di Dio inclusi, che proteggono l'ordine sociale
e consentono la convivenza civile. In realtà, il senso dell'etica non sembra dipendere solo dalla
religione poiché è molto sviluppato in alcune società del tutto secolarizzate. Sulla religiosità le
neuroscienze possono dire molto poco, se non constatare che in tutte le sue espressioni essa è una
caratteristica di una buona parte dell'umanità ma non di altre specie animali, per cui deve essere in
qualche modo legata da attività speci che del cervello umano. Lo studio scienti co di queste attività
cerebrali speci che legate a esperienze mistiche è iniziato molto di recente.

Lo studio scienti co di queste attività cerebrali speci che legate a esperienze mistiche è a stati di
comunicazione con la trascendenza e l'aldilà è iniziato molto di recente. Certamente le neuroscienze
non possono dire niente sul concetto di anima, intesa come essenza immateriale che sopravvive alla
morte del corpo. Essa è infatti tutt'altra cosa dalla mente, che per le neuroscienze (e anche per le
leggi dei Paesi civilizzati) è una funzione encefalica che scompare con la morte dell'encefalo. La
discussione della possibilità che con la resurrezione della carne l'encefalo si ripigli la sua mente
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esula completamente dalle neuroscienze e va lasciata ai teologi. Le neuroscienze possono invece


dire qualcosa sulle cosiddette esperienze di premorte durante le quali una percezione luminosa
segnalerebbe il distacco dell'anima dal corpo.

Una recente ricerca ha dimostrato che nel ratto, nei primi 30 secondi da un arresto cardiaco, prima

che l'elettroencefalogramma diventi piatto e prima della morte si registra un aumento di attività

elettroencefalogra ca rispetto al normale stato di veglia. Si tratta di un'attività ordinata e altamente


coerente ordinata e altamente coerente nella banda di frequenza gamma, che è tipicamente
associata ad attività cognitive complesse. Non è stato ovviamente possibile chiedere al ratto cosa ha
visto, ma non è implausibile che questa attività possa spiegare l'esperienza luminosa che persone
vicine a morire ma che riprendono coscienza attribuiscono all'essere stati brevemente nell'aldilà.

Un esempio di come le neuroscienze si occupano della relazione tra la mente e il cervello è


l'utilizzazione del neuro-feedback e della fMRI per rendere visibili alla coscienza stimoli previamente
invisibili. Facendo volontariamente aumentare il segnale BOLD in aree corticali legate alla percezione
emotiva delle facce la soglia per quel tipo di stimoli si abbassa, mentre la riduzione volontaria del
segnale BOLD nelle stesse aree la innalza. Si dice anche che le neuroscienze non sono in grado di
cogliere le in uenze culturali e sociali che si pensa possano conferire alla mente, anzi alle menti,
proprietà che le rendano autonome dal substrato sico. È importante notare che il pregiudizio si
manifestava a livello inconsapevole ma non a livello cosciente. strana e non familiare, non era
associabile ad ad un gruppo etnico. In perfetto accordo con gli studi che mostrato l'in uenza
culturale sul pregiudizio e la possibilità che possa essere attenuato, la reattività alla mano di uno
sconosciuto alieno, ma non ancora associato a pregiudizio, indica che non siamo innatamente
predisposti al razzismo. Del resto, mentre lo stereotipo è un meccanismo primitivo ma e cace per
distinguere rapidamente il sé dall'altro e giudicare se si è in presenza di pericoli o potenziali
ricompense, il pregiudizio rappresenta una deviazione non adattativa perché porta al con itto e ai
rischi a esso connessi. Le neuroindagini, dunque, possono cimentarsi con lo studio delle menti
umane aiutando a comprendere meglio alcuni fenomeni complessi, e possono addirittura suggerire
le migliori scelte politiche (e qui la neuropolitica non c'entra) per combattere le discriminazioni sociali.

E a proposito dell'adeguatezza dei paradigmi sperimentali per studiare il cervello sociale, vogliamo
far notare che la nascita di questi nuovi campi di indagine ha dato una forte spinta allo sviluppo
tecnologico, il quale ha reso possibile studiare le interazioni tra cervelli/menti diversi. In particolare i
legami cerebrali e mentali tra più individui si baseranno sempre di più Sul cosiddetto dual brain
processing, grazie al quale sarà possibile osservare l'attività di due o più individui che e ettuano, da
soli o insieme, diversi tipi di compiti.

DIFENDERE LE (NEURO)SCIENZE

Le neuroscienze sono "sotto attacco". Accuse di vario tipo vengono a esse rivolte. Il primo gruppo di
accuse non è nuovo e si applica alla scienza in generale. Infatti, a fronte della visione positiva di
Merton, non tutti considerano il "sistema scienza” realmente aderente alle norme CUDOS
(comunitarismo, universalismo, disinteresse, originalità, scetticismo sistematico), ma a delle
contronorme assai meno edi canti. In particolare Mitro (1974) ritiene che al comunitarismo si
contrapponga sovente la "solitarietà", che spinge il ricercatore a tenere segreti.

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Pubblicare su giornali scienti ci implica passare il vaglio di due o più giudici con esperienza nel
campo consultati dal direttore della rivista. Questo processo, detto revisione tra pari (peer review)
implica che i giudici possano chiedere chiarimenti e ha lo scopo di assicurare 'attendibilità scienti ca
della pubblicazione. L’esito di questo processo può essere positivo per l'autore, con l'accettazione
del lavoro per l'inclusione nel giornale, o negativo, con il ri uto del lavoro. Le riviste che per
qualsivoglia ragione hanno reputazione migliore sono in genere quelle con percentuali di ri uto più
elevate. E sono anche le più ambite, non già per masochismo degli autori ma perché sono quelle in
grado di dare alla ricerca un grande risalto mediatico, che non è necessariamente positivo. Il ri uto
da parte di riviste esclusive non comporta che la ricerca non verrà mai pubblicata, perché quasi
sempre viene sottoposta al giudizio di altre riviste no a essere accettata.

Il fatto che quasi tutte le ricerche siano prima o poi pubblicate, e che addirittura sono segnalati casi
di riviste in apparenza peer review che non esercitano alcun controllo, arrivando a non accorgersi di
lavori completamente inventati e completamente implausibili, abbassa il livello del controllo della
qualità del prodotto. "ricerca". Questo fenomeno, se da un lato rende più democratico il processo
dando la possibilità di far conoscere il proprio lavoro anche ai ricercatori esterni ai circoli esclusivi,
talvolta vere e proprie lobby, dall'altro non elimina la tendenza a basarsi sulle "contro-norme" della
non condivisione (per arrivare primi) e dell'interesse (le carriere dei singoli sono spesso legate
all'impatto dei lavori pubblicati). Inoltre, pur essendo un sistema animato da ottime intenzioni, il peer
review non elimina eventuali interessi personali. Anzi, l'accesso alle riviste esclusive può essere
in uenzato implicitamente, o talvolta addirittura esplicitamente, non solo dalla qualità del prodotto
ma anche dalle caratteristiche degli autori.

Al di là di ogni critica, resta vero che la scienza rimane portatrice di valori suoi propri, e che chi si
dedica alla scienza ha un'opportunità di apprendere l'etica del rigore e dell’onestà ben maggiore di
quella della media degli individui della società in cui vive. È l'etica del rigore e dell'onestà che deve
regolare il funzionamento interno delle comunità scienti che, specialmente laddove gli interessi sono
dichiaratamente pubblici e non privati.

Mentre le contronorme sopra considerate riguardano la scienza in generale, quella del particolarismo
è particolarmente rilevante per la psicologia e per le neuroscienze. È stato infatti notato che la
stragrande maggioranza delle ricerche in questi campi vengono condotte sulle persone WEIRD, un
acronimo che sta per western, educated, industrialised, rich, democratic (occidentali, istruiti,
industrializzati, ricchi, democratici) che è anche un po' un gioco di parole (in inglese weird signi ca
"estremamente strano", “inusuale").

E possibile che questi nuovi settori delle neuroscienze con gurino un'invasione di campo di ambiti
disciplinari tradizionalmente appartenenti all'antropologia e alla psicologia, ma la dignità scienti ca
della motivazione dell'invasione di campo sollecita la collaborazione, non la difesa corporativa.

Dal nostro punto di vista la comunità (neuro)scienti ca sta facendo vari sforzi per autoregolarsi (per
esempio nei confronti del publication bias) e non prestare il anco alle tante critiche che la sua
stessa natura suscita. Fra le cose da fare per ridurre o eliminare le critiche di neuramania c'è
certamente la riduzione o l'abolizione della cattiva comunicazione, nella quale l'inesperienza e anche
la possibile vanita del neuroscienziato si combina alla ricerca della notizia eclatante da parte dei
giornalisti, che spesso non hanno una formazione scienti ca.
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