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Neuropsicologia
Università degli Studi Suor Orsola Benincasa
57 pag.
-scopo euristico: per esplorare la struttura funzionale della mente e i suoi correlati neurali –
NEUROPSICOLOGIA SPERIMENTALE-;
Le due componenti sono collegate, e inoltre, da un lato gli avanzamenti delle conoscenze si trasferiscono
nella pratica clinica e dall’altra parte l’osservazione clinica spesso fornisce spunti per la ricerca
sperimentale.
Il termine “neuropsicologia” venne usato a partire dalla seconda metà del secolo scorso, quando si distinse
dalla neurologia e psicologia. Simbolicamente possiamo far risalire la sua origine nella fondazione della
rivista “neuropsychologia” (Hècaen) in Francia nel 1963 e della rivista “cortex” (De Renzi) in italia nel 1964.
La neuropsicologia alle sue origini integrava diverse conoscenze: la neurologia (la branca della medicina che
studia le malattie del sistema nervoso) e la psicologia (la scienza della vita mentale). Oggi invece si avvale
del contributo di diverse discipline.
-cenni storici
Le prime osservazioni che suggeriscono un’associazione tra deficit delle funzioni mentali e lesioni celebrali
risalgono all’antichità, a partire dai disturbi del linguaggio, come l’afasia dopo un trauma cranico-celebrale,
descritta nel papiro di Smith e circa i deficit non verbali, la negazione della cecità (agnosia) riferita da
Seneca. All’inizio dell’800 Gall e Spurzheim svilupparono una teoria esplicita delle relazioni mente-cervello
(localizzazionismo) che ipotizzava:
Inoltre Gall e Spruzheim ipotizzarono che l’esistenza di numerose facoltà mentali, e dei relativi organi
celebrali, ma non ebbero alcun riscontro sperimentale. Gall tuttavia ipotizzò anche l’esistenza di facoltà
quali “il linguaggio” la cui base cerebrale fu determinata a metà dell’800, dando inizio alla neuropsicologia
moderna. Le idee di Gall sono state riprese in quanto l’idea di un’organizzazione della mente in componenti
distinte, localizzate in parti diverse del cervello è oggi il paradigma prevalente nelle neuroscienze cognitive.
Inoltre Bouillaud attraverso lo studio di pazienti cerebrolesi, suggerisce che il linguaggio è localizzato nei
lobi frontali.
Tra il 1861 e 1920 –il periodo “classico”della neuropsicologia- furono descritti i principali deficit delle
funzioni mentali superiori e le loro basi cerebrali: disordini del linguaggio (afasia), i deficit di identificazione
degli oggetti (agnosia) e del movimento volontario (aprassia ); vennero inoltre osservati disordini
caratterizzati dalla mancata consapevolezza della malattia (anosognosia) e deficit della memoria. Nel
periodo “classico” la struttura delle funzioni mentali superiori fu concepita secondo lo schema centri e
connessioni .
Centri: rappresentazioni localizzate in regioni specifiche della corteccia celebrale (sostanza grigia).
Connessioni : fasci di sostanza bianca che collegano i centri, consentendo il trasferimento
dell’informazione e la trasformazione di una rappresentazione in un’altra (ricodifica);
Il modello di Werniche: che ipotizza l’esistenza di un secondo centro (per le immagini acustiche-
verbali, area di Werniche) localizzato nella parte posteriore del giro temporale superiore e
collegato da un fascio di sostanza bianca con il centro per le immagini motorie verbali (area di
Broca); In questo modello i deficit neurologici possono essere determinati, oltre che dalla
distruzione di centri, dall’interruzione delle connessioni tra loro;
Il modello di Lichtheim: aggiunge a sua volta ulteriori centri e connessioni. Esso illustra inoltre come
questi modelli possano essere “basati” o “non basati” sul cervello, a seconda che i diversi centri
funzionali siano localizzabili o meno in specifiche regioni cerebrali.
Basati sul cervello: ogni centro-connessione è localizzato in una struttura cerebrale specifica;
Non basati sul cervello: non c’è corrispondenza tra i centri-connessioni e le strutture cerebrali;
Misti: alcuni centri sono localizzati in determinate strutture, mentre altri non hanno una particolare
sede specifica
Un’analisi clinica quantitativa dei deficit del paziente, spesso assai perspicace;
Se possibile, il successivo esame post mortem del cervello del paziente, per determinare la sede e
l’estensione della lesione cerebrale responsabile dei sintomi e dei segni osservati in vita. In questo
modo si stabiliva la correlazione anatomo-clinica.
Alla fine dell’800 diversi neurologi preferirono un approccio più unitario e meno localizzazionista. Da un
punto di vista metodologico a partire dal secondo dopoguerra del secolo scorso, molti ricercatori
osservarono che nel periodo “classico” le osservazioni empiriche erano limitate a pochi pazienti, studiati
individualmente (casi singoli), in quanto la presenza di un deficit grave ed evidente aveva attirato
l’attenzione del ricercatore (casi positivi). Non venivano esaminati i cosiddetti casi negativi , pazienti
cerebrolesi non affetti dal deficit di interesse. Infatti è possibile concludere che una determinata regione
cerebrale rappresenta la base fisica di una certa funzione F 1 non solo se la sua lesione determina la
comparsa di un deficit di F1 in tutti i pazienti esaminati, ma anche se il deficit di F 1 non è presente nei
pazienti in cui la regione in questione è risparmiata.
Inoltre nel periodo “classico”per misurare le prestazioni dei pazienti non si usavano test standardizzati e
tarati, non era presente un gruppo di soggetti neurologicamente indenni (“di controllo”) paragonabile a
quello del paziente, la cui prestazione a prove identiche a quelle somministrate al paziente può fornire una
misura del comportamento “normale” dei soggetti non cerebrolesi. In conclusione il metodo usato nelò
periodo “classico” dava osservazioni cliniche in pazienti singoli, difficilmente replicabili, in quanto i metodi
di indagine comportamentale erano puramente di osservazione.
A partire dagli anni 50’ del secolo scorso diversi neuropsicologi sostennero un approccio diverso i cui punti
fondamentali erano:
o La ricerca neuropsicologica ha luogo in gruppi di pazienti non selezionati sulla base della presenza
di un particolare deficit evidente all’osservazione clinica, ma piuttosto del lato ed eventualmente
della sede della lesione cerebrale;
o L’esame neuropsicologico è costituito da test standardizzati, che forniscono una misura
quantitativa (punteggio) del comportamento dei pazienti;
Dalla fine degli anni 60’ del secolo scorso i progressi della psicologia cognitiva con i modelli scatole e frecce
di analisi dell’informazione (box-and-arrow information processing models) hanno messo in evidenza come
l’organizzazione della mente sia assai articolata. L’uso di modelli interpretativi delle funzioni mentali del
tipo scatole e frecce hanno dato nuovo vigore allo studio di casi singoli. Differentemente dal periodo
“classico”,lo studio del caso singolo è condotto con test standardizzati e la prestazione del paziente è
paragonata a un gruppo di controllo. Il primo ese. di quest’approccio è lo studio del caso H&M (condotto da
Milner nel 1957, indagato per oltre 50 anni).
Negli anni 60’ del secolo scorso sono stati descritti, sulla base di modelli scatole e frecce dell’attività
mentale diversi tipi di dislessia acquisita e deficit della memoria a breve termine verbale. Negli anni 80 del
secolo scorso, alcuni neuropsicologi, hanno preso una posizione estrema. Data la complessità del sistema
cognitivo, è assai improbabile che una lesione cerebrale comprometta in modo identico le funzioni mentali
in due pazienti diversi. E’ quindi difficile formare gruppi di pazienti omogenei rispetto al deficit oggetto
dell’indagine.
Sulla base di queste premesse gli studi neuropsicologici vanno condotti solo in singoli pazienti, non
classificati in alcun modo a priori (neuropsicologia “senza sindromi”). Questo tipo di neuropsicologia “solo
casi singoli” rende difficile la replica delle osservazioni tra paziente e paziente e l’indagine dei correlati
neurali dei deficit neuropsicologici e delle funzioni compromesse. Quest’approccio basato sui modelli
scatole e frecce (la cosiddetta neuropsicologia cognitiva) ha avuto due effetti principali:
ᵠ Una ripresa dello studio di singoli pazienti (casi singoli), con test tarati e standardizzati;
ᵠ Una riflessione sui fondamenti epistemici della neuropsicologia;
Attualmente le ricerche neuropsicologiche indagano i deficit determinati da lesioni cerebrali sia in singoli
pazienti che in gruppi , nei quali i pazienti sono omogenei rispetto al deficit neuropsicologico per il quale
sono selezionati, con l’uso di test standardizzati e la prestazione dei pazienti è paragonata con quella di
soggetti non cerebrolesi “di controllo” mediante analisi statistica.
Infine i metodi di neuroimmagine strutturale e funzionale che, in vivo, visualizzano la sede e l’estensione
della lesione responsabile del deficit e forniscono misure dell’attività cerebrale, hanno dato nuovo vigore
agli studi di correlazione anatomo-clinica.
Esistono due tipi di relazione tra i deficit neuropsicologici osservabili in un paziente e in un gruppo di
pazienti :
Associazione sindrome
Dissociazione semplice/doppia
L’associazione è un particolare insieme di segni che si verifica con frequenza elevata, costituendo una
sindrome. La sindrome è utile per la diagnosi , in quanto suggerisce un meccanismo patogenetico comune
ai deficit associati. In neuropsicologia la sindrome suggerisce che la lesione di un’area specifica sia la causa
probabile della comparsa di quei particolari deficit. Ci sono vari tipi di sindrome:
Sindrome funzionale : l’associazione tra N deficit (N 1, N2, N3…Nn) è determinata da un unico meccanismo,
che altera la funzione F1.
I deficit associati nella sindrome funzionale non possono verificarsi l’uno indipendentemente dall’altro (es.
N1 e N2 ma non N3 e N4 o viceversa) in quanto la funzione F1 è unitaria. Se ciò accadesse la funzione F 1 non
sarebbe unitaria, ma vi sarebbero in realtà due o più funzioni indipendenti (F 1, F2, F3, F4….Fn) con il risultato
che i processi in esame sono più complessi e articolati. Questo processo è chiamato “frazionamento”.
Sindrome anatomica: l’associazione (N1,N2,N3,… Nn) è determinata dal fatto che diverse funzioni (es. F 1,F2)
sono localizzate in aree cerebrali contigue, che quindi possono essere lese assieme con frequenza.
Sindrome anatomo- funzionale: due funzioni (F 1 e F2) la cui lesione determina i deficit (per danno di F 1 si
manifestano i deficit N1,N2,N3,N4; per danno di F2 invece N5,N6,N7,N8) sono localizzate in due regioni
anatomicamente vicine (R1 ed R2). Se la lesione cerebrale coinvolge sia R1 che R2, come spesso può accadere
per ragioni di contiguità anatomica, la sindrome si manifesta nella sua interezza (N 1-N8). Se è lesa solo R1
compaiono solo i deficit N1,N2,N3,N4 (e non N5,N6,N7,N8) se è lesa solo R2 viceversa.
La dimostrazione che una funzione è indipendente da un’altra si basa su un insieme di prestazioni a prove
comportamentali chiamato dissociazione tra deficit. Esistono due tipi di dissociazioni:
Dissociazione semplice: quando un gruppo di pazienti o un paziente svolge bene il compito B e male
il compito A; se la prestazione in B rispecchia la funzione F b e quella in A la funzione Fa, allora Fa è
indipendente da Fb.
Dissociazione semplice “forte” o “classica”: quando la prestazione peggiore del paziente (compito
A) è inferiore a quella di un gruppo di soggetti neurologicamente indenni di controllo, mentre
quella migliore (compito B) è nei limiti della norma; cioè in parole povere la prestazione è
deficitaria in A, normale in B.
Dissociazione semplice “debole”: quando le prestazioni del paziente a entrambi i compiti A e B sono
inferiori a quelle dei soggetti di controllo; in parole povere la prestazione è deficitaria sia in A che in
B, ma peggiore in A.
Entrambe le dissociazioni (forte e debole), sulla base del fatto che la prestazione del paziente è peggiore nel
compito A suggeriscono l’esistenza di due funzioni indipendenti (F 1 esaminata dal compito A, F2 esaminata
dal compito B) di cui una (F1) selettivamente danneggiata. L’interpretazione della dissociazione semplice
debole è resa complessa dal fatto che la prestazione del paziente a entrambi i compiti è comunque
scadente, infatti si potrebbe anche ipotizzare un deficit supplementare che riduca la prestazione in modo
globale. La dissociazione semplice forte, non può essere però considerata come una dimostrazione
pienamente convincente dell’indipendenza di due funzioni. Infatti è possibile che il compito A, in cui la
prestazione più scadente, sia più “difficile”, cioè richieda l’impegno di più risorse rispetto al compito B.
Un interpretazione basata sulle risorse/difficoltà del compito risulta illogica perché per P 1 sarebbe più
difficile B e per P2 sarebbe più difficile A. Questa disuguaglianza sarebbe contraddittoria ed è quindi
possibile concludere che la presenza di una doppia dissociazione indica che le due funzioni sono
indipendenti.
La doppia dissociazione non è solamente funzionale (due componenti sono indipendenti) ma anche
anatomica (queste componenti sono localizzate in regioni diverse del cervello). Una doppia dissociazione
anatomo-funzionale permette di concludere non solo che due funzioni sono distinte ma anche che le loro
basi neurali sono organizzate in due regioni diverse del cervello. Questa duplice osservazione rafforza la
conclusione che le funzioni sono effettivamente indipendenti.
La valutazione delle condizioni cognitive avviene attraverso un attento esame, che può comprendere un
esame di base relativamente comune a tutti i pazienti, ma soprattutto modalità diverse che variano da caso
a caso. Infatti l’esame deve essere via via più mirato secondo il profilo che emerge nel corso della
valutazione. Sarà l’esaminatore, medico o psicologo di formazione, purché con la necessaria preparazione
neuropsicologica a stabilire quali test somministrare sulla base delle caratteristiche del paziente. Una volta
raggiunta la diagnosi bisognerà vedere le possibilità di trattamento e illustrare le aspettative a breve e a
lungo termine al paziente e ai suoi familiari.
ᵠ DIAGNOSI. Mira a dare un quadro completo di un paziente, dando informazioni sulle sue abilità
cognitive, e in alcuni casi può addirittura essere uno strumento diagnostico indispensabile;
ᵠ PROGNOSI. La valutazione neuropsicologica deve dare informazioni sull’esito di alcune patologie,
come i trauma cranici;
ᵠ PIANIFICAZIONE DELL’ASSISTENZA E DEGLI INTERVENTI, cioè al di là della diagnosi, molti pazienti
sono invitati al neuropsicologo da altri professionisti per ottenere informazioni dettagliate sullo
stato cognitivo e sulla presenza di alterazioni comportamentali e di personalità, con la richiesta di
valutare come i pazienti si adeguano alla disabilità. I pazienti stessi e coloro che li assistono,
devono conoscere come la malattia neurologica ha modificato il comportamento e quali sono i
limiti che ne conseguono nella vita quotidiana;
ᵠ RIABILITAZIONE. Valutare la necessità di un trattamento e in caso affermativo, indirizzare un
progetto riabilitativo mirato a ripristinare (o sostituire) le funzioni deficitarie, individuando
contemporaneamente le abilità visive. L’indagine neuropsicologica serve a fornire sia una terapia,
ma anche a guidare il programma terapeutico durante tutta la sua attuazione e a monitorarne
l’efficacia. Permette inoltre di valutarne gli effetti di terapie mediche e chirurgiche sull’efficienza
cognitiva del paziente;
ᵠ LEGALE-ASSICURATIVA cioè in seguito a un atto criminale, può essere richiesto se c’è ragione di
sospettare che il danno cerebrale abbia contribuito a determinare il comportamento oppure
richiesta da descrizione di uno stato. Si può cioè essere chiamati a svolgere un esame
neuropsicologico per ottenere in sede una certificazione dei disturbi cognitivi residuati o meno in
seguito a un trauma cranico occorso in occasione di un incidente stradale oppure sul lavoro;
ᵠ RICERCA, in quanto una conoscenza migliore dei processi funzionali che sottendono alle abilità
cognitive, nonché dei substrati neuro anatomici può permettere lo sviluppo di tecniche
diagnostiche e riabilitative più mirate.
Il motivo per cui viene richiesta una visita neuropsicologica fornisce una prima informazione rilevante. Può
giungere spontaneamente( es persone anziane con sospetto di deterioramento cognitivo), perché si è
accorto o teme di avere difficoltà cognitive della vita di tutti i giorni; più spesso il paziente è accompagnato
dai familiari che si sono accorti che il parente non è più quello di prima. A volte il paziente (con una diagnosi
neurologica di lesione cerebrale) può essere inviato dal medico curante o da uno specialista o da qualche
centro di assistenza per una consulenza, una diagnosi o un inquadramento, ma anche per motivi di tipo
legale-assicurativo. Oppure ancora possono essere persone apparentemente sane che desiderano
Prima visita: ottenere un profilo neuropsicologico per poter formulare un’ipotesi interpretativa sui deficit
riscontrati.
La valutazione neuropsicologica comprende una serie di vantaggi, che iniziano con un incontro con il
paziente. Obbiettivo della prima visita è quello di ottenere un profilo neuropsicologico, sommario, per
formulare un ipotesi interpretativa sui deficit riscontrati. La prima visita comprende le seguenti fasi:
La prima informazione da ricavare è sul perché e da chi il paziente è stato invitato per definire il
problema.
Una seconda informazione è quella di ricostruire quando il disturbo è iniziato e come si è evoluto,
ciò è molto importante perché permette di restringere il campo delle possibili cause. Un disturbo il
cui esordio non è definibile in un momento preciso, e che si è evoluto nel tempo in senso
peggiorativo, indirizza verso una patologia di tipo degenerativo o neoplastico. Un disturbo esordito
improvvisamente, rimasto stabile nel tempo o addirittura migliorato, indirizza verso una patologia
vascolare.
Una terza informazione è il tipo di vita che il paziente conduceva prima dell’evento morboso: ciò
serve per capire se i deficit sopraggiunti hanno modificato in modo rilevante le abitudini e allo
stesso tempo permette di individuare la personalità morbosa del paziente. Questi sono elementi
che indirizzano verso una patologia di tipo frontale oppure è semplicemente un’incapacità del
paziente (mancanza di cultura su determinati argomenti), indipendenti dalla presenza di deficit
cognitivi.
Durante l’anamnesi è importante avere informazioni sullo stato di salute dei familiari, in particolare
su eventuali patologie che hanno colpito i parenti di primo grado.
L’anamnesi cognitivo – comportamentale va condotta con domande mirate. I familiari e il paziente
stesso possono focalizzarsi su alcuni sintomi ed episodi eclatanti, tralasciando di riferire altri
elementi, che risultano invece essenziali per la diagnosi .
Un elemento essenziale che deve emergere dall’anamnesi è l’impatto che i disturbi hanno sulla vita
quotidiana del paziente , quali limitazioni impongono e se costituiscono una modificazione
rilevante rispetto alla situazione precedente.
Al termine dell’anamnesi è utile richiedere gli esiti di eventuali visite ed esami strumentali (TC, MRI,
SPET) che il paziente può avere eseguito. E’ probabile che sia già stata effettuata una valutazione
Il COLLOQUIO CLINICO CON IL PAZIENTE: si tratta di una breve conversazione che ha tra l’altro, lo scopo di
spiegare in cosa consisterà l’esame e quali sono le finalità. Durante questo colloquio si esplorano le varie
aree cognitive, ponendo semplici domande sui motivi che hanno condotto il paziente alla visita.
Nel corso del colloquio bisogna innanzitutto osservare se il paziente è attento alle domande e collabora
attivamente, qual è il tono dell’umore, se è depresso per la situazione oppure se è euforico e indifferente ai
problemi. Il comportamento del paziente può essere più o meno adeguato al contesto. Attraverso il
colloquio quindi emerge la consapevolezza della malattia e dei deficit, o viceversa la presenza di
anosognosia. Inoltre , va osservato se il paziente ignora una parte dello spazio (negligenza spaziale
unilaterale) oppure viene distratto da qualsiasi stimolo irrilevante come un suono (ciò suggerisce una
patologia prefrontale) è importante anche analizzare l’eloquio; bisogna capire se sono presenti difficoltà nel
trovare le parole (anomia) parafasie, parole passe-partout (“coso” “robo” “affare”) o errori morfosintattici
(assenza di preposizioni o errori nell’accordo sostantivo – aggettivo).
Una volta spiegato al paziente in che cosa consisterà l’esame e quali finalità esso si propone , ha inizio la
somministrazione di test neuropsicologici, il cosiddetto SCREENING . I test non sono altro che uno degli
strumenti che il neurologo ha a disposizione per effettuare la diagnosi. In nessun caso la diagnosi può
essere formulata solo in presenza di una prestazione ai test al di sotto dei limiti della norma, ma in presenza
di un’anamnesi negativa per modificazioni significative delle capacità cognitive. La somministrazione dei
test consiste nella misurazione obiettiva e standardizzata di un campione di comportamento, che si
suppone rappresentativo della totalità. Un test ben costruito non è altro che un equivalente di un tipo di
comportamento della vita quotidiana.
Una misurazione obbiettiva valuta il comportamento del paziente nella prova somministrata,
paragonandolo con quello di un campione della popolazione neurologicamente indenne della stessa età e
scolarità. L’esame neuropsicologico è standardizzato perché prevede regole precise di somministrazione e
attribuzione di punteggi, ed esiste un valore normativo cui fare riferimento. E’ fortemente raccomandato
l’uso di test che siano stati tarati su un campione sufficientemente ampio della popolazione, di cui esistono
quindi dati normativi. I test effettuati durante la prima visita forniscono un quadro generale delle abilità
cognitive del paziente: quindi dovranno indagare l’orientamento, il linguaggio, la memoria, la percezione, la
programmazione del movimento, l’attenzione, la cognizione spaziale e la cosiddetta intelligenza (cioè i
principali ambiti).
La prima visita termina con il colloquio con i familiari. Tale colloquio, se non si era reso necessario in
precedenza può anche avvenire in una visita successiva, una volta che sia stata redatta la relazione
Il colloquio con i familiari ha una duplice finalità : deve dare informazioni sia all’esaminatore che sia ai
familiari del paziente .
Conoscere l’ambiente familiare del paziente per rendersi conto se vi è un sufficiente supporto e
disponibilità a farsi carico delle cure e dell’assistenza del paziente;
Conoscere come il paziente si comporta quando è in casa , cioè nel suo ambiente abituale.
Deve rendere i familiari consapevoli della situazione e della possibile evoluzione o nel senso di un
miglioramento o di una stabilizzazione, nel qual caso potrebbe essere necessario provvedere a
modificazioni ambientali per facilitare la vita del paziente.
Poi bisogna fornire ai familiari la corretta interpretazione dei comportamenti del paziente;
a) Il comportamento generale del paziente durante la visita, osservando le sue capacità di interazione
e comunicativa;
b) La prestazione a prove neuropsicologiche generali, facendo attenzione più agli aspetti qualitativi
(quali sono le abilità compromesse) che quantitativi.
La domanda che ci si deve porre è se la prestazione sia comparabile con il presunto livello premorboso di
prestazione. Il livello premorboso è valutabile in base alla scolarità e all’attività lavorativa svolta dal
paziente, nonché dal tipo di vita sociale condotta. Se la prestazione osservata appare diversa da quella
presunta in epoca premorbosa, la domanda successiva è se il deficit sia “organico” (determinato da una
lesione o disfunzione dimostrabile del sistema nervoso centrale) o “funzionale” ovvero di natura
“psichiatrica”, non associato a una lesione o disfunzione neurologica macroscopica. Nel caso il deficit sia
organico è necessario stabilire se esso sia focale o globale; se il deficit è focale l’apprendimento diagnostico
ne valuterà le relazioni con la lateralizzazione, la sede e l’estensione della lesione o disfunzione cerebrale. I
risultati della valutazione della prima visita guideranno la visita (e la valutazione) successiva.
La visita successiva ha caratteristiche diverse secondo le finalità: può trattarsi di un approfondimento delle
funzioni deficitarie, di un controllo dell’evoluzione temporale del disturbo o dell’efficacia di un trattamento
oppure può essere effettuata per impostare un trattamento riabilitativo.
Nel primo caso conoscere quali componenti sono risparmiate permette di impostare un trattamento
riabilitativo che sfrutta le componenti indenni. Quando la finalità è quella di programmare un intervento
riabilitativo , sarà opportuno somministrare prove cosiddette ecologiche, che permettono di evidenziare le
situazioni che creano difficoltà al paziente. Bisogna individuare le disabilità, cioè l’impatto che il deficit ha
nella vita di tutti i giorni. Inoltre gli aspetti di cui tenere conto nella valutazione neuropsicologica a fini
riabilitativi sono di tipo sia quantitativo (quanto è grave la compromissione) sia qualitativo( quali
-esami elettrofisiologici
Elettroencefalogramma (EEG)
Potenziali evento-correlati (ERPs)
Magnetoencefalografia (MEG)
ELETTROENCEFALOGRAMMA – EEG-
registrazione della attività elettrica cerebrale spontanea mediante elettrodi posti sulla superficie cranica;
l’EEG dispone di un unità (da 8 a 32 o più) capaci di registrare l’attività elettrica cerebrale e amplificarla da
molte regioni dello scalpo contemporaneamente. I ritmi cerebrali sono visualizzati sullo schermo di un
computer come alcune linee parallele simultanee o “canali”, che mostrano la variazione del voltaggio nel
tempo. Ogni canale rappresenta la differenza di potenziale elettrico tra due elettrodi. I canali sono
organizzati in montaggi standard che permettono di paragonare l’attività elettrica da una regione cerebrale
con quella delle altre; la configurazione più diffusa delle coppie di elettrodi (il “montaggio”), è il cosiddetto
“sistema internazionale 10-20”, che utilizza 10 elettrodi su ciascun lato del cranio. Questa attività generata
nella corteccia cerebrale, riflette il flusso di correnti elettriche negli spazi extracellulari e rappresenta la
sommatoria di potenziali sinaptici eccitatori e inibitori.
L’uso in campo neuropsicologico clinico è limitato, perché non produce un immagine diretta del cervello
(misura indiretta) e ha una scarsa capacità localizzatoria (scarsa risoluzione spaziale), ed è stato quindi
soppiantato dalla tomografia computerizzata e dalla risonanza magnetica nucleare. Le sue applicazioni
cliniche sono nelle diagnosi di epilessia e di alcune malattie infettive, e per il monitoraggio di pazienti
sottoposti a interventi neurochirurgo, sono usati nello studio del sonno (polisonnografia) e nella diagnosi di
morte cerebrale.
Esogene:
Endogene:
Le principali componenti endogene (tardive, con una latenza maggiore di 100 ms) degli ERPs comprendono:
N1 o N100 “onde negative” specifiche per la modalità sensoriale di presentazione dello stimolo,
collegate ai processi precoci di attenzione selettiva;
N2 o N200 complesso di onde modalità-specifiche, evocate da stimoli rari (oddballs)registrano
variazioni in una sequenza monotona di eventi;
P3 o P300 indipendente dalla modalità sensoriale dello stimolo, evocabile in diverse situazioni in cui
il soggetto deve compiere operazioni mentali. Uno dei compiti utilizzati è il paradigma oddball,
compito in cui stimoli rari “odd”, che devono essere analizzati attivamente dal soggetto, ad es.
discriminandoli da altri, presentati frammisti a una sequenza di stimoli più frequenti, devono essere
attivamente analizzati dal soggetto. L’ampiezza della P300 dipende dalla difficoltà del compito
utilizzato e ha una relazione inversa con la frequenza dell’evento inatteso o odd; anche la latenza
della risposta è modulata dalla difficoltà del compito.
N400 onda negativa evocata da stimoli verbali inattesi e semanticamente incongruenti con i
precedenti
Contingent Negative Variation (CNV) generata quando uno stimolo segnala la comparsa entro
breve tempo di un evento successivo che richiede una risposta.
MAGNETOENCEFALOGRAFIA –MEG-
Registra i campi magnetici generati dai potenziali sinaptici dei neuroni piramidali corticali. Il vantaggio è
che i campi magnetici registrati mediante MEG vanno incontro a una distorsione del segnale, determinata
dall’osso cranico, minore di quella dei campi elettrici. Ha un potere localizzatorio spaziale maggiore. La sua
applicazione clinica riguarda soprattutto il mappaggio preoperatorio dell’attività cerebrale e il suo uso
durante la chirurgia dell’epilessia.
-esami di neuroimmagine
Questi dati possono essere messi in relazione con il deficit neuropsicologico, consentendo una correlazione
anatomo- clinica nel singolo paziente.
E’ basata sul fatto che l’osso, il liquido cerebro-spinale e i diversi tessuti (sostanza grigia e bianca) contenuti
all’interno della scatola cranica hanno differenti densità e coefficienti di assorbimento della radiazione X
(fotoni ad alta energia). Appositi detettori registrano l’attenuazione del fascio X. Per ciascuna sezione
dell’encefalo presa in esame, la rilevazione è ripetuta per diversi punti di entrata del fascio di radiazioni e a
diverse angolazioni. I dati relativi all’assorbimento della radiazione, sono immagazzinati in un computer
dedicato; la loro elaborazione mediante algoritmi specifici che producono immagini bidimensionali in
qualunque piano di sezione del cervello (solitamente sezioni assiali o coronali).
TC- angiografia :permette la visualizzazione dei grossi vasi cervicali e delle vene cerebrali, mediante
l’introduzione endovenosa di un colorante.
Si basa sulla proprietà di alcuni nuclei atomici ( isotopi endogeni), posti in un campo magnetico e stimolati
da onde radio, di riemettere (rilassamento protonico) dell’energia assorbita sotto forma di segnale. Un
esame MRI viene eseguito collocando il paziente all’interno di un potente campo magnetico che determina
l’allinearsi di particolari isotopi (atomi) endogeni dei tessuti e del liquido cerebro-spinale nell’orientamento
longitudinale del campo stesso. L’applicazione di brevi (ms) impulsi radio nel campo magnetico modifica
l’asse di allineamento degli atomi. Dopo la cessazione dell’impulso radio gli isotopi ritornano al loro
allineamento originale. L’energia radio assorbita e poi riemessa determina un segnale magnetico, che è
registrato da dettettori elettromagnetici . Per creare immagini di contrasto tra i vari tessuti l’impulso radio
è ripetuto molte volte (una sequenza di impulsi). I segnali emessi sono registrati in un computer dedicato e
successivamente analizzati per elaborare un’immagine del cervello. La MRI può usare diversi isotopi
endogeni; Le tecnologie attuali utilizzano segnali derivati da atomi di idrogeno in quanto l’idrogeno è il più
abbondante elemento nei tessuti e determina il segnale magnetico più forte. L’immagine ricostruita è
quindi essenzialmente una mappa del contenuto di idrogeno dei tessuti, che riflette il contenuto d’acqua,
ma anche l’ambiente chimico-fisico circostante. Tessuti diversi hanno tassi diversi di rilassamento protonico
(fase in cui il protone si libera dio energia ), determinando diverse intensità del segnale e, quindi, contrasto
tissutale.
T1 e T2 sono le costanti temporali per il rilassamento protonico. La tecnica FLAIR (Fluid Attenuated
Inversion Recovery) fornisce un segnale elevato per lesioni tissutali e basso per i fluidi (il liquor),
sopprimendone il segnale: mette bene in evidenza le lesioni infiammatorie demielinizzanti. Il gadolinio, un
agente paramagnetico somministrato endovena, aumenta il processo di rilassamento protonico durante la
La MRI ha un potere di risoluzione spaziale e tissutale maggiore, consentendo un’ottima visualizzazione dei
solchi, delle circonvoluzioni e delle strutture cerebrali profonde, nonché la ricostruzione tridimensionale sia
dell’encefalo che delle eventuali lesioni. Questo esame è oggi il metodo principale per la visualizzazione
della maggioranza delle lesioni cerebrali. È soprattutto indicata per evidenziare situazioni di atrofia selettiva
tipiche di alcune forme di demenza.
Angiografia MRI: permette di visualizzare i vasi cerebrali senza la somministrazione di alcun mezzo
di contrasto
Tecnica DWI (diffusion-weighted imaging): permette di cogliere i segni più precoci dell’ictus
ischemico
Tecnica PWI (perfusion-weighted imaging): utilizzata per evidenziare regioni in cui il flusso
sanguigno è ridotto
Trattografia: permette la ricostruzione 3D e la visualizzazione delle fibre di sostanza bianca
Le principali controindicazioni derivano dalla presenza di oggetti ferromagnetici nel corpo del paziente che
potrebbero essere mossi dal campo magnetico; la presenza di stimolatori cardiaci; claustrofobia; inoltre
fondamentale deve essere la cooperazione da parte del paziente nel restare fermo e ciò implica una
limitazione d’uso nei bambini e nelle persone compromesse cognitivamente, essendo richiesta la
sedazione.
TC
Vantaggi:
Svantaggi :
MRI
Vantaggi:
Svantaggi:
IMMAGINE DI PERFUSIONE
Produce un’immagine della distribuzione in qualunque sezione del corpo di un radionucleotide (tracciante)
precedentemente somministrato al soggetto. Quando i positroni sono assorbiti nella materia, si genera una
radiazione di annichilazione, che fornisce un’immagine a elevata risoluzione della distribuzione spaziale del
radionuclide in una data sezione del tessuto, il cervello. La concentrazione del radionuclide nelle diverse
parti del cervello è determinata mediante detettori collocati attorno alla testa del paziente. Immagini
tomografiche della distribuzione del tracciante sono poi costruite mediante computer dedicati, in modo
analogo a quanto avviene per la CT e per la MRI. La PET permette di misurare il flusso ematico cerebrale
regionale (regional cerebral blood flow RCBF) e il metabolismo di sostanze quali il glucosio e l’ossigeno, e
vari neurotrasmettitori.
Le sue applicazioni cliniche sono nella stadiazione dei tumori cerebrali, localizzazione di foci epilettogeni
differenziazione tra diverse forme di demenza, deposizione della proteina β-amiloide nella malattia di
Alzheimer. Inoltre la complessità delle apparecchiature necessarie (la disponibilità di un ciclotrone) non lo
rende un esame diagnostico di routine.
La SPECT consente di determinare il RCBF fornendo ricostruzioni tomografiche tridimensionali del cervello,
sotto forma di sezioni assiali. Al paziente è somministrato un tracciante radioattivo. La radiazione gamma
emessa dal tracciante (un singolo fotone) è registrata da detettori collocati attorno alla testa del paziente. I
dati acquisiti sono successivamente elaborati da un computer dedicato, che fornisce immagini
tomografiche della distribuzione dell’isotopo nel cervello. Consente di determinare il flusso ematico
cerebrale, fornendo ricostruzioni tomografiche tridimensionali del cervello.
Le sue applicazioni cliniche sono: Ictus cerebrale ischemico ; Distinzione tra forme di Alzheimer e atrofie
cerebrali focali ; Tumori a rapido accrescimento ; Convulsioni ; Localizzazione di foci epilettici.
ULTRASONOGRAFIA
Metodo totalmente non invasivo, che utilizza un trasduttore che converte energia elettrica in onde di
ultrasuoni di frequenza tra 5 e 20 kHz, i quali sono poi trasmessi al cervello attraverso la scatola cranica. I
differenti tessuti hanno diverse impedenze acustiche e mandano indietro echi al trasduttore, che li registra
come onde di diversa ampiezza. Questo metodo è rilevante per lo studio clinico del cervello del feto e del
neonato. Nel caso dei vasi cerebrali, mediante uno strumento simile (doppler transcranico) è possibile
mettere in evidenza una riduzione del diametro delle arterie.
ANGIOGRAFIA
ANGIOGRAFIA MR e CT
Queste tecniche non sono invasive, visualizzano le arterie intracraniche e cervicali; stanno quindi
progressivamente sostituendo l’angiografia convenzionale, con una capacità di risoluzione dell’immagine
molto vicina, ma senza i rischi della caratterizzazione selettiva delle arterie. L’angiografia CT richiede la
somministrazione di un mezzo di contrasto, mentre quella MR usa la tecnica “time-of-flight”, che produce
un’immagine collegata con il flusso ematico nel vaso, invece che quella della sua forma, ottenuta mediante
l’opacità del mezzo di contrasto.
-ELEMENTI DI NEUROLOGIA –
La patologia neurologica si estrinseca in stretta dipendenza alla sede di lesione. Lesioni in sedi diverse si
manifestano con quadri clinici diversi anche quando sono provocate dalla stessa malattia e, viceversa,
malattie neurologiche diverse possono provocare gli stessi sintomi e segni, pur con modalità di esordio e di
progressione differenti, qualora il processo patologico interessi le stesse zone del sistema nervoso.
Il procedimento diagnostico inizia dalla storia clinica del soggetto (anamnesi) volta a indagare la presenza
dei disturbi (sintomi), le loro modalità di esordio e di progressione. Per la loro natura, questi aspetti
richiedono un’indagine che va condotta non solo con il paziente, ma anche, e talvolta in misura prevalente,
con un informatore (parente o testimone) in tutti i pazienti affetti da patologie neurologiche, vanno
particolarmente considerati gli effetti delle terapie in atto o pregresse infatti oltre alla considerazione di
tutti i possibili effetti iatrogeni, è da tener conto che molti farmaci, possono avere effetti diretti o indiretti
sull’efficienza cognitiva. Ciò vale anche per l’assunzione di sostanze a scopo voluttuario. L’esame obbiettivo
neurologico, cioè la rilevazione dei segni di un eventuale lesione del sistema nervoso, si avvale di una serie
di procedure e manovre standardizzate, volte a indagare l’integrità dei diversi sistemi funzionali elementari
(motori, sensitivi, sensoriali), da completare con l’esame non formalizzato delle funzioni cognitive.
L’integrazione tra dati anamnestici e obbiettività neurologica permette, nella maggior parte dei casi, di
formulare una (o più) ipotesi localizzatoria (ciò in quale sede si trova la lesione nel cervello) e una (o più)
ipotesi diagnostica (cioè qual’è la malattia che l’ha causata). Le indagini diagnostiche strumentali (esami di
neuroimmagine , indagini neurofisiologiche, ricerca di marcatori biologici) vanno quindi selezionate in base
alle ipotesi da verificare.
Traumi cranici
Patologie vascolari
Patologie infettive
Patologie neoplasiche
Malattie infiammatorie demielinizzanti
Demenza
Malattia di Parkinson
Deterioramento Cognitivo Lieve
Effetti collaterali dei farmaci
PATOLOGIE VASCOLARI
I neuroni (cellule nervose) sopravvivono per brevissimo tempo (pochi minuti nel caso di un arresto totale
dell’afflusso di sangue) alla mancanza di ossigeno e di glucosio dopo di che si innesca una catena di
alterazioni metaboliche che conduce alla morte cellulare. L’estensione della lesione e l’eventuale
regressione dei disturbi dipendono dalla possibilità di meccanismi di limitazione e di compenso del danno
vascolare (efficienza di circoli collaterali o interventi terapeutici). Qualora i segni/sintomi regrediscano
completamente entro 24 ore, l’evento viene definito attacco ischemico transitorio (transiter ischemic
attack, TTA).
-ictus ischemico
Oltre ai fattori di rischio non modificabili ( età, sesso, razza,struttura genetica), i fattori di rischio modificabili
più importanti sono l’ ipertensione arteriosa, patologie cardiache (compresa la cardiopatia ischemica),
diabete mellito, dislipidemie, obesità, fumo abuso d’alcol, oltre ad alcune condizioni geneticamente
determinate come la trombofilia (eccessiva facilità di trombosi), oppure l’iperomocisteinemia.
ictus in territorio carotideo (circolo cerebrale anteriore): segni e sintomi dal lesione dei lobi
frontali, parietale e temporale (in rapporto al lato dell’emisfero leso);
ictus in territorio vertebro-basilare (circolo cerebrale posteriore): segni e sintomi dal lesione del
tronco cerebrale e/o del cervelletto e lesione lobi occipitali e parietali posteriori;
Al danno ischemico iniziale si aggiunge l’effetto dell’edema (aumento contenuto H2O) nei tessuti
circostanti, che attraverso un “effetto massa”, può aumentare l’estensione dell’area danneggiata, con
conseguente peggioramento del quadro clinico fino alla morte.
Traumi cranici
Ipertensione arteriosa
Rottura di aneurismi
Malformazioni artero-venose (MAV)
Le emorragie cerebrali sono provocate dalla rottura di un vaso sanguigno all’interno della scatola cranica.
La causa più frequente è rappresentata dall’ipertensione arteriosa e la rottura di aneurismi ( dilatazione
circoscritte di un tratto della parete di un vaso) e di malformazioni artero-venose. Cause più rare sono i
disturbi della coagulazione e le emorragie all’interno di un tumore.
Primaria emorragia ipertensiva: avviene in sedi dette “tipiche” come nuclei della base, cervelletto,
ponte del tronco cerebrale
Emorragia sub aracnoidea ESA (sangue nel liquor contenuto negli spazi subaracnoidei tra pia madre
e aracnoide). Essa si manifesta con quadro clinico tipico: cefalea acuta, improvvisa, tipicamente
nucale, perdita di coscienza all’esordio, crisi epilettiche . E’ presente un effetto meccanico di
accumulo di sangue che comprime e disloca i tessuti circostanti. La causa più frequente di ESA è
dovuta a rottura di aneurismi intracranici, talvolta di origine congeniti, singoli o multipli.
Emorragia epidurale (sangue tra teca cranica e dura madre).
Emorragia subdurale (sangue sotto la dura madre)
La diagnosi differenziale dei diversi tipi di ictus, in particolare la discriminazione tra ischemia ed emorragia,
si avvale di procedure diagnostiche neuroradiologiche. Particolarmente indicata la TC perché è affidabile
per evidenziare la presenza di sangue e quindi di emorragia.
PATOLOGIE INFETTIVE
Il quadro clinico risulta dalla combinazione di segni di irritazioni delle meningi (sindrome meningea:
cefalea, vomito/nausea, rigidità nucale, alterazioni dello stato di coscienza fino al coma), spesso iperpiressia
e talvolta crisi epilettiche, con segni focali dipendenti dalla localizzazione del processo infettivo. Il quadro
infettivo meglio conosciuto è quello dell’encefalite berpetica (mortalità 30-70 %), provocato dal virus
herpes simplex tipo 1, che comporta gravi sequele cognitive. Il virus si localizza preferibilmente a livello
della corteccia temporale, fronto-orbitaria e del lobo libico.
E’ un gruppo di malattie caratterizzate dalla perdita di mielina (guaina che riveste gli assoni delle cellule
nervose ), con relativo risparmio degli assoni stessi, su base autoimmune. Il prototipo di questa patologia è
costituito dalla sclerosi multipla (SM) tipica dell’età giovanile. E’ caratterizzata da lesioni demielinizzanti
multifocali con comparsa in tempi diversi. Più spesso il decorso clinico della SM ha un andamento
ricorrente-remittente (attacchi ripetuti con successivo recupero più o meno completo) ma esistono anche
forme progressive. La sintomatologia clinica riflette di volta in volta la sede focale di demielinizzazione. La
compromissione cognitiva è frequente e indipendente dalla durata della malattia.
PATOLOGIE NEOPLASTICHE
Il SNC può essere sede di neoplasie primitive (che originano dalle diverse cellule presenti nel SNC) o
metastasi da tumori sviluppatisi in altri organi e talvolta misconosciuti. Tra i tumori primitivi, gli gliomi sono
i più frequenti seguiti dai meningiomi. Il grado di malignità/benignità è determinato, come per tutti i
tumori, dal grado di differenziazione delle cellule neoplastiche, che condizionano la rapidità di crescita e
l’invasività, ma nel caso dei tumori cerebrali anche dalla sede. Il glioblastoma multiforme rappresenta la
forma più maligna di tumore cerebrale.
I tumori cerebrali possono presentarsi acutamente con crisi epilettiche e stati confusionali, ma più spesso si
manifestano con alterazioni delle funzioni cerebrali (motorie, sensitive, cognitive) a esordio subdolo e
progressione graduale. Il più frequente sintomo di accompagnamento (sintomo) è la cefalea, causata da
ipertensione endocranica o da effetto diretto su strutture sensibili al dolore; lo sviluppo di ipertensione
endocranica dipende dall’aumento della massa tumorale edemigena all’interno della scatola cranica. Altri
sintomi sono rallentamento ideo-motorio, confusione e sintomi dipendenti dalla sede delle cellule
neoplasiche.
Quadri neurologici particolari sono rappresentati dalle sindromi paraneoplastiche, cioè da effetti a distanza
di neoplasie al di fuori del sistema nervoso. Tali sindromi possono interessare qualsiasi parte del SNC e
periferico e possono comparire prima che sia nota la diagnosi del tumore primitivo.
PATOLOGIE DEGENERATIVE
Il prototipo delle malattie degenerative con prevalenti disturbi motori è la malattia di Parkinson. La
sintomatologia clinica motoria consiste in bradicinesia (lentezza dei movimenti), rigidità (aumento del tono
muscolare) e tremore al riposo (cioè non sempre presente). L’esordio è graduale, spesso asimmetrico, e il
decorso lentamente ingravescente, tale per cui la malattia porta gravissima disabilità se non viene trattata
adeguatamente. La diagnosi è fondamentalmente clinica. La terapia medica della malattia di Parkinson
presenta oggi diverse opzioni che tengono conto di fattori individuali (età del paziente), caratteristiche della
malattia (il sintomo più disturbante) e le possibili complicanze iatrogene (disturbi psicotici). La complessità
del trattamento riguarda soprattutto i casi a esordio giovanile e le terapie croniche di lunga durata. In casi
selezionati è indicata la tecnica neurochirurgica della stimolazione cerebrale profonda (deep brain
stimulation, DBS) che consiste nell’impianto di uno stimolatore cerebrale che invia impulsi in aree cerebrali
critiche per l’attività dopaminergica.
Un breve cenno merita infine l’entità nosografica delle malattie del motoneurone, caratterizzate da
degenerazione selettiva delle cellule nervose motorie, per cause tutt’ora sconosciute. La malattia
comunemente nota come sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e comprende diverse varianti a seconda
dell’interessamento dei motoneuroni centrali o di quelli periferici, di gruppi diversi di motoneuroni e della
differente rapidità di decorso. La sintomatologia clinica consiste in una debolezza muscolare
progressivamente ingravescente, che col tempo si estende a gruppi muscolari adiacenti fino a interessare la
muscolatura respiratoria.
-Deterioramento Demenziale
Sindrome clinica a carattere degenerativo caratterizzata dalla progressiva compromissione delle funzioni
corticali superiori che danno origine a deficit cognitivi multipli in grado di interferire con le attività di vita
quotidiana. La demenza NON è una tappa obbligatoria del normale processo di invecchiamento. Diversi
processi patologici possono portare ad un quadro di demenza.
a. Demenze senza segni motori preminenti. Queste demenze sono caratterizzate dalla preminenza di
sintomi comportamentali, di disturbi del linguaggio e di disturbi affettivi a fronte di una relativa
conservazione della memoria recente.
-Demenza di Alzheimer,
-Demenza frontotemporale
-Malattia di Pick
-Malattia di Creutzfeldt-Jakob (“mucca pazza”)
b. Demenze con segni motori preminenti. Demenza con corpi di Lewi; Particolarmente frequente
(tanto quanto la demenza vascolare). Fin dalle fasi iniziali sono presenti segni parkinsoniani e
sintomi allucinatori. Dal punto di vista cognitivo, è caratterizzata da un rallentamento del pensiero
e dell’azione. I sintomi tendono a fluttuare.
DEMENZE VASCOLARI
Causate da uno o più piccoli infarti, da infarti di grandi dimensioni o da ipoperfusione. Costituiscono circa il
10 % si tutte le demenze. Sono stati proposti dei criteri per la diagnosi di demenza vascolare probabile:
Demenza muli-infartuale
Demenza da singoli infarti strategici
Demenza da lesione emorragica
DEMENZE REVERSIBILI
Disturbo subclinico e isolato della memoria episodica o all’attenzione (ma non a entrambe le funzioni)
senza impatto nelle funzioni strumentali né sulle funzioni di base della vita quotidiana .Si ritiene che possa
rappresentare in alcuni casi la fase prodromica della demenza di Alzheimer. Studi longitudinali hanno infatti
indicato che i soggetti anziani affetti da tale disturbo abbaiano una probabilità di sviluppare AD
significativamente maggiore dei controlli: 10-15 % all’anno, 20 - 50 % in 2-3 anni ;Tale variabilità è in parte
dovuta all’eterogeneità dei campioni studiati differenze nei criteri clinici applicati e nelle valutazioni
neuropsicologiche utilizzate nel selezionare i pazienti affetti da MCI. 26
PATOLOGIA TRAUMATICA
I traumi cranici rappresentano la principale causa di disabilità nell’età giovanile (fino ai 45 anni). Il cervello
è anatomicamente protetto dalla teca cranica, dalle meningi e dalla presenza del liquor cerebro spinale ed
è relativamente mobile all’interno di un contenitore (la scatola cranica) non espansibile. La superficie
interna della parete cranica è irregolare per la presenza di prominenze ossee e il cervello stesso è
parzialmente ancorato al livello del tronco.
La frattura ossea può lacerare un vaso arterioso meningeo, provocando acutamente un emorragia
epidurale, ma anche un trauma non fratturativo può essere causa di un emorragia subaracnoidea o
subdurale, per la rottura delle vene a ponte tra dura madre ed encefalo. L’emorragie post traumatiche sono
per lo più di interesse neurochirurgo.
Gli effetti di un trauma cranico possono essere molto variabili, infatti può essere:
Lieve o minore: caratterizzato dal mantenimento dello stato di coscienza (trauma non commotivo)
o da breve perdita di coscienza o amnesia peritraumatica (trauma commotivo);
Moderato: con perdita di coscienza di durata maggiore e/o prolungato stato confusionale o
amnestico;
Grave o maggiore: caratterizzato da coma più o meno prolungato e gravi lesioni, spesso con
sequele permanenti.
La misura comunemente usata per valutare la gravità del trauma cranico in relazione allo stato di coscienza
è la Glasgow Coma Scale (GCS). Anche un trauma cranico lieve può causare sintomi persistenti per
settimane o mesi, ciò viene di solito indicato con il termine sindrome postraumatica. Conseguenze molto
più rilevanti conseguono ai traumi cranici o gravi. Alcuni pazienti dopo uno stato protratto di coma,
mantengono parametri vitali normali, e sembrano apparentemente vigili. Tale condizione, viene
comunemente indicata come uno stato vegetativo persistente.
Nella maggior parte dei pazienti si verifica un recupero ottimale delle condizioni di vigilanza ma persistono
deficit cognitivi di natura e gravità variabili in rapporto alla sede delle lesioni. I deficit più frequenti sono a
carico dell’attenzione e delle funzioni frontali, talvolta con disturbi del comportamento che impediscono la
ripresa delle attività precedenti al trauma.
Una crisi epilettica consiste nell’alterazione transitoria di una funzione del sistema nervoso centrale
conseguente ad una scarica elettrica anomala (parossistica) dei neuroni cerebrali. La scarica elettrica può
limitarsi a un gruppo circoscritto di neuroni (crisi parziali o focali) oppure coinvolgere tutti i neuroni fin
dall’esordio (crisi generalizzate primarie) o per diffusione del focolaio iniziale (crisi con generalizzazione
secondaria).
Le manifestazioni cliniche corrispondono all’eccessiva attività delle cellule coinvolte, a cui segue una fase di
esaurimento. La crisi cosiddetta di grande male rappresenta il prototipo della crisi generalizzata: è
caratterizzata da un improvvisa perdita di coscienza, cui segue una fase di irrigidimento (fase tonica), e poi
dalla comparsa di contrazioni ritmiche e ripetitive della muscolatura degli arti (fase tonico-clonica o
convulsiva). Segue una fase di coma di durata variabile e vi è infine ripresa della coscienza (fase postcritica).
Tutte le crisi generalizzate si accompagnano ad amnesia per l’episodio.
Per quanto riguarda le crisi parziali la fenomenologia clinica può essere strettamente varia a seconda della
sede di origine (focolaio epilettogeno) di particolare interesse sono le crisi parziali cosiddette complesse
(per distinguerle dalle crisi semplice in cui lo stato di coscienza è normale), caratterizzate da una particolare
alterazione dello stato di coscienza (stato crepuscolare) associata a fenomeni allucinatori (dejà-vu o dejà-
vècu: un’esperienza soggettiva di familiarità, di già visto).
1. Frasi
2. Parole
3. Morfemi (unità elementari di informazioni)
Le parole di una lingua sono a loro volta composte da un set di unità elementari dette fonemi che
costituiscono gli elementi distintivi tra parole. Ogni fonema è composto a sua volta da tratti distintivi che ne
descrivono gli aspetti motori e uditivi, cioè come esso è realizzato al livello dell’apparato fono-articolatorio
e percepito dall’apparato uditivo.
La grammatica di una lingua descrive le unità di una lingua e le regole con cui esse si combinano a
formare le unità di livello superiore.
La fonetica descrive le caratteristiche dei tratti e come i singoli tratti intervengono a formare un
fonema
La fonologia descrive le caratteristiche dei fonemi di una lingua e le regole secondo cui questi si
combinano a formare morfemi e parole
La morfologia descrive i morfemi di una lingua e le regole secondo cui questi si combinano a
formare parole complesse.
La sintassi descrive le regole secondo cui le parole si combinano in una frase per trasmettere un
certo significato. A ogni parola (il significante) corrisponde un concetto (il significato)
La semantica è il sistema che immagazzina le conoscenze concettuali e ne regola l’organizzazione
per formare rappresentazioni mentali più complesse.
Ogni atto comunicativo richiede di regola un individuo che produce un messaggio e un individuo
destinatario del messaggio che lo decodifica. Questa dicotomia tra elaborazione in entrata “chi riceve il
messaggio” e elaborazioni in uscita “chi produce il messaggio”si riproduce nelle due principali forme di
comunicazione del linguaggio umano:
PRODUZIONE
COMPRENSIONE
L’afasia è un disturbo della formulazione e della comprensione di messaggi linguistici, che consegue a
lesioni focali cerebrali, in persone che avevano in precedenza acquisito un uso normale del linguaggio. Il
deficit prevede una lesione dell’emisfero cerebrale sinistro e coinvolge in linea di massima:
Tuttavia tra un caso e l’altro ci sono differenze considerevoli ciò è dovuto al diverso grado di
compromissione che si verifica in ciascun paziente afasico per le singole unità e modalità linguistiche.
3 PREMESSE STORICHE
Tradizionalmente la descrizione di deficit del linguaggio è fondata sulla dicotomia che contrappone disturbi
del linguaggio con prevalenti deficit di comprensione (afasia recettiva o sensoriale) e disturbi con
prevalente deficit di produzione (afasia espressiva o motoria). Questa dicotomia ha origine dalle assunzioni
formulate nel diagramma di elaborazione del linguaggio dal neurologo tedesco Wernicke e modificato
successivamente da Lichtheim.
nel 1861 lo studio autoptico del famoso paziente “tan-tan”, il cui eloquio era per l’appunto limitato a
questo frammento sillabico, il quale permise a Broca di confermare, nel 1865, il ruolo del lobo frontale, del
solo emisfero sinistro, nel regolare la produzione del linguaggio articolato e di localizzare questa funzione
nel piede della terza circonvoluzione frontale.
nel 1874 formulò il primo diagramma di elaborazione del linguaggio e lo verificò tramite l’osservazione di
pazienti afasici in seguito a lesioni cerebrali.
Il modello di Wernicke prevede una dicotomia tra due centri rispettivamente al deposito delle immagini
uditive e motorie delle parole. I due centri sono localizzati al livello delle aree associative uditive e motorie
e sono connessi tra loro da un fascio di fibre che Wernicke ipotizzò per correre il fascicolo arcuato (capsula
esterna). Le rappresentazioni uditive e motorie sono unità di elaborazione indipendenti tra loro, ma
assieme costituiscono l’immagine della parola. Si tratta della rappresentazione lessicale fonologica.
Wernicke ipotizza inoltre un altro sistema di rappresentazioni concettuali (il significato delle parole). Si
tratta di una rete di conoscenze che Wernicke esplicitamente sottolinea essere distribuite su gran parte
della corteccia dei due emisferi cerebrali e non costituire un centro localizzato. La rete di conoscenze
concettuali è connessa ai centri di rappresentazione lessicale uditiva e motoria. Il diagramma così concepito
Questo modello predice l’esistenza di diverse forme di afasia, vi sono da un lato due forme afasiche
principali:
Danno del centro A delle immagini uditive delle parole (afasia sensoriale successivamente chiamata
afasia di Wernicke);
-prevede un disturbo afasico fluente con compromissione relativamente omogenea di fonologia
lessico e morfosintassi;
-lesioni della porzione medio-posteriore della prima circonvoluzione temporale sinistra;
Danno del centro B delle immagini motorie delle parole (afasia motoria successivamente chiamata
afasia di Broca);
-disturbo afasico non-fluente, conseguente a un disturbo di programmazione articolatoria, con un
linguaggio orale caratterizzato da difficoltà di articolazione e in genere agrammatismo, con
comprensione relativamente preservata;
-lesione del piede della terza circonvoluzione frontale e della pars triangularis, spesso è interessata
anche l’insula;
Il modello predice inoltre due disturbi specifici per la compromissione del processo di analisi uditiva
(sordità verbale pura) o del processo di programmazione motoria articolatoria (anatria pura).
Sordità verbale pura è un disturbo specifico per la compromissione del processo di analisi uditiva, e
consiste nell’incapacità di analizzare e discriminare i suoni del linguaggio, in assenza di deficit del
linguaggio orale, e di altri disturbi di riconoscimento di suoni non verbali;
-lesione bilaterale della corteccia uditiva associata o da una disconnessione di queste regioni
dall’area di Wernicke.
Anatria pura è un disturbo specifico per la compromissione del processo di programmazione
motoria articolatoria; -lesione dell’emisfero sinistro, non dipende da deficit motori primari.
b = anatria pura
AB = afasia di conduzione
L’approccio psicolinguistico permette una descrizione dei disturbi afasici molto più accurata rispetto alla
afasiologia classica e rende conto della variabilità sintomatologica. Permette di spiegare:
I neuropsicologi cognitivi hanno sostenuto che le sindromi afasiche classiche non costituiscono un insieme
di sintomi unitario e teoricamente fondato e che i diversi pazienti raggruppati sotto una certa etichetta
sindromica soffrono di un complesso di sintomi che sono spesso associati tra loro per ragioni anatomiche,
funzionali o neuropatologiche.
L’uso di modelli psicolinguistici ha permesso di descrivere i disturbi afasici di singoli pazienti in modo più
accurato e “su misura” e di spiegare la grande varietà di sintomi tra pazienti.
CONVERSIONE CONVERSIONE
UDITIVO- SISTEMA ORTOGRAFICO-
FONOLOGICA FONOLOGICA
CONCETTUALE
LESSICO LESSICO
FONOLOGICO ORTOGRAFICO
D’USCITA D’USCITA
/parola/ PAROLA
I modelli spiegano la compromissione dissociata che talvolta si osserva nei disturbi afasici tra classi
grammaticali (nomi, verbi) e tra categorie lessicali (oggetti naturali, oggetti artificiali).
L’ELOQUIO SPONTANEO
La valutazione dei deficit di linguaggio di un paziente afasico inizia con l’analisi dell’eloquio. A tale scopo si
chiede al paziente di descrivere la storia della propria malattia, la composizione del proprio nucleo
familiare, la propria attività lavorativa o le occupazioni del tempo libero. Mentre il soggetto sta
conversando si valutano:
A tale scopo l’esaminatore dovrà formulare domande che permettano di valutare l’eventuale deficit a
decodificare i pronomi e avverbi interrogativi – chi? Quando? Dove?-
-DIFFICOLTA’ ARTICOLATORIE un paziente afasico può presentare deficit nella realizzazione articolatoria del
messaggio linguistico . Questo messaggio può essere di natura paretica o conseguire a un deficit di
programmazione e sequenziamento dei movimenti atti a realizzare i suoni del linguaggio.
Il disturbo paretico consegue quasi esclusivamente a lesioni emisferiche bilaterali, del tronco cerebrale o
del cervelletto. La caratteristica principale di questo disturbo è una realizzazione articolatoria inefficace dei
suoni, inoltre determina una fuga d’aria dal naso, con conseguente ipernasalità dei suoni e una ridotta
capacità di differenziare tra loro i suoni vocalici, ciò si accompagna ad altri fenomeni del controllo motorio
buccofacciale non articolatorio come il disturbo di deglutizione e la scialorrea (perdita incontrollata della
saliva).
Vi è poi un altro disturbo designato come “anatria” che è un deficit di articolazione che consegue a una
lesione del solo emisfero sinistro e che non dipende da paresi dei movimenti articolatori. Nella sua forma
più classica il deficit è detto sindrome di disintegrazione fonetica e consiste nella capacità di integrare
spazialmente e temporalmente l’attività dei singoli muscoli e quindi dei singoli organi articolatori che
intervengono nella realizzazione dei suoni del linguaggio.
Inoltre la presenza di un deficit di programmazione articolatoria è sottolineata dal termine aprassia
articolatoria (apraxia of speech).
Parafasie fonemiche:
omissioni
aggiunte
sostituzioni
trasposizioni
duplicazioni
Conduites d'approche
Neologismi fonemici
Gergo fonemico (neologistico)
Anomie
Parafasie semantiche o verbali
Latenze anomiche
Forme passe-partout
Circonlocuzioni
Gergo semantico
-DEFICIT MORFOSINTATTICI un deficit morfosintattico può realizzarsi con una semplificazione della
struttura frasale, l’omissione di parole grammaticali ( preposizioni,articoli,pronomi e ausiliari) e
frequentemente di verbi.
Agrammatismo
L’eloquio che ne deriva assume un aspetto telegrafico edParagrammatismo
è detto agrammatismo. In altri casi il deficit
struttura frasale semplificata maerrori
morfosintattico si realizza con normale complessità delle frasi, di concordanza
con errori di concordanza e nella scelta
linguaggio telegrafico (omissione di sostituzione di paroleda
grammaticali
dei funtori cioè paragrammatismo. Gli errori paragrammaticipossono anche risultare contaminazioni
parole grammaticali) struttura frasale normocomplessa
(blendings) tra due soluzioni sintattiche diverse che generano una frase grammaticalmente errata ( in modo
sostituzione di forme flesse con forme contaminazioni ( blendings)
facile e facilmente = in modo facilmente).
meno marcate
Automatismi
Perseverazioni
Ecolalia
Una volta terminata la valutazione del linguaggio spontaneo, si esaminano le capacità linguistiche residue
mediante prove specifiche per le diverse unità del linguaggio e per le diverse sub componenti descritte nei
modelli psicolinguistici contemporanei.
Di OGGETTI
Su DEFINIZIONE VERBALE
Prove di FLUENZA per lettera iniziale o categoria
La seguente figura riassume le diverse prove per valutare i deficit di recupero lessicale in denominazione di
figure e di elaborazione di parole e non-parole in compiti di ripetizione,lettura e scrittura.
/parola/ PAROLA
-COMPITI DI DENOMINAZIONE allo scopo di studiare la capacità di recupero lessicale si usano prove di
denominazione di oggetti o figure di oggetti. Gli errori che possono emergere con maggior frequenza sono
nuovamente le anomie e le circonlocuzioni ( efficaci o inefficaci). La parola non reperita non è persa in
assoluto: essa non è accessibile al paziente in quel momento, ma può essere facilitata mediante frasi o
espressioni automatiche, oppure essere reperita in un’altra occasione. Alternativamente, la parola
bersaglio può essere sostituita con un’altra parola di significato affine – parafasie semantiche- o non
collegato –parafasie verbali-.
L’ovvio limite di un compito di denominazione visiva è che le parole possono solo essere oggetti o azioni
concrete. Il recupero lessicale può anche essere valutato su “definizione” (come si chiama quella cosa che si
beve ?) o tramite prove di fluenza per lettera iniziale ( F-L-P) o per categoria ( marche d’auto). In queste
prove il soggetto deve produrre il numero maggiore possibile di parole che sottostanno al criterio proposto
in una determinata unità di tempo (1 o 2 min).
-COMPRENSIONE ORALE deve essere esaminata per parole isolate (comprensione lessicale) e per frasi. Nel
primo caso si chiede al paziente di indicare un oggetto bersaglio tra diverse alternative postegli di fronte
-DECISIONE LESSICALE il compito di decisione lessicale orale è una prova costituita da una sequenza di
parole e non-parole pronunciate in ordine casuale dall’esaminatore. Per ciascuno degli stimoli il soggetto
esaminato ha il compito di giudicare se si tratta o no di una parola appartenente al lessico della propria
lingua. La decisione lessicale può essere svolta anche in forma scritta.
Test dei gettoni (token test) la prova consiste in una serie di ordini di complessità crescente che richiedono
operazioni da compiere su gettoni di varia forma, dimensione e colore . Il compito misura un insieme di
abilità connesse con la comprensione lessicale e sintattica, tra cui la memoria a breve termine fonologica. Il
test dei gettoni permette di discriminare tra pazienti afasici e non afasici ed è relativamente sensibile per la
diagnosi di deficit di linguaggio di grado lieve e in soggetti con bassa scolarità . La prestazione al test non è
influenzata da eventuali deficit intellettivi associati.
-RIPETIZIONE la capacità di ripetere stimoli verbali è una prova critica per la classificazione dei deficit afasici
secondo il modello di Wernicke. Una prestazione deficitaria o intatta alla prova di ripetizione permette di
discriminare tra sottotipi di afasia e in particolare tra afasia di conduzione e afasia trascorticale sensoriale .
Un deficit di ripetizione riflette generalmente un disturbo primitivo di elaborazione fonologica che si
manifesta con un numero elevato di parafasie fonemiche, neologismi fonemici e conduites d’approche.
Per l’esame della ripetizione si usano stimoli di diversa lunghezza e complessità . La memoria verbale a
breve termine è valutata tramite la ripetizione di sequenze di cifre o di parole in numero progressivamente
maggiore.
-ANALISI UDITIVA E VISIVA l’abilità di percepire correttamente una sequenza fonologica è valutata tramite
un compito di discriminazione di coppie di sillabe. L’esaminatore pronuncia ad alta voce coppie di sillabe
consonante-vocale che possono differire per uno dei due suoni che compongono la sillaba e chiede al
paziente di giudicare se le sillabe di ciascuna coppia sono uguali o diverse tra loro. Un deficit di analisi visiva
viene identificato attraverso un compito di discriminazione tra coppie di lettere maiuscole e minuscole che
corrispondono alla stessa lettera o a lettera diversa.
-LETTURA E SCRITTURA l’integrità delle capacità di lettura è valutata mediante compiti di decisione lessicale
scritta, lettura ad alta voce di parole, non-parole e frasi di diversa lunghezza, comprensione scritta di parole
(indicazione del bersaglio corretto tra due o più figure) e frasi con diversa complessità sintattica (esecuzione
di ordini scritti o indicazione di una figura-bersaglio tra due o più alternative). Per un esame della scrittura si
ricorre al dettato di lettere isolate, di parole, di non-parole e di frasi e alla denominazione scritta di figure.
In accordo con i modelli cognitivi contemporanei, un esame della lettura ad alta voce e della scrittura su
dettato deve includere parole con ortografia regolare, parole con ortografia irregolare e non-parole.
-ESAMI DEL LINGUAGGIO STANDARDIZZATI il principale scopo di ogni esame della’afasia è quello di
valutare la presenza ed eventualmente gravità e tipo di disturbo afasico.
Valutare l’evoluzione del disturbo nel tempo e dell’efficacia di un determinato programma riabilitativo. I
diversi test in uso sono generalmente composti di un insieme di prove per valutare le capacità linguistiche
Di seguito sono riportate le principali batterie di test per l’afasia e in particolare quelle in uso per la lingua
italiana:
1approccio neurolinguistico clinico Il test capostipite per la diagnosi dei deficit di linguaggio, nella
prospettiva neuro psicolinguistica, è il Boston Diagnostic Aphasia Examination BDAE. Il test descrive i
disturbi afasici per il grado di compromissione di ciascuna unità linguistica (fonologia, lessico e
morfosintassi) e nelle principali modalità (produzione e comprensione del linguaggio orale e scritto). Il
BDAE definisce inoltre i criteri psicometrici per una diagnosi clinica per le principali sindromi afasiche
classiche. I principali test in uso per una diagnosi clinica dei deficit afasici in lingua italiana sono:
3 APPROCCIO PRAGMATICO altri test infine sono mirati alla valutazione del disturbo di linguaggio in
un’ottica pragmatica, che mira ad individuare il deficit di comunicazione in una condizione più naturale di
quanto solitamente avviene in un esame del linguaggio standardizzato . Il più noto è :
BATTERIA PER L’ANALISI DEI DEFICIT AFASICI (BADA) permette una diagnosi disfunzionale accurata, ma la
lunghezza lo rende uno strumento poco idoneo alla diagnosi clinica, specie di pazienti gravi e con bassa
scolarità. L’assenza dei dati normativi rende spesso incerta la decisione deficit/non deficit e il confronto tra
prestazioni alle diverse sottoprove e in caso di follow-up. La versione ridotta del test –ENPA- ha una durata
di somministrazione compatibile con un’indagine clinica di routine e può essere somministrata anche a
pazienti con disturbo afasico grave.
La classificazione dei deficit di linguaggio basata sulla dicotomia che contrappone i disturbi di espressione
(afasia motoria) a quelli di comprensione (afasia sensoriale) è risultata inadeguata a descrivere le
caratteristiche dei deficit afasici, perché la grande maggioranza dei pazienti afasici non presenta deficit
esclusivamente motori o sensoriali, bensì deficit del linguaggio come sistema , dove le modalità di entrata e
di uscita e così pure del linguaggio orale e scritto, sono coinvolte in modo parallelo.
AFASIE FLUENTI
L’eloquio di un afasico fluente è abbondante e non vi sono deficit prosodici o dell’articolazione. Le frasi
sono lunghe e con struttura sintattica complessa. La presenza di anomia e di parafasie semantiche indica
una compromissione delle abilità semantico- lessicali, la presenza di parafasie fonemiche e di neologismi un
danno delle abilità fonologiche. Quando il deficit è molto grave, le parafasie fonemiche e semantiche
possono essere così numerose da ridurre la produzione del paziente a una sequenza di parole inesistenti
Afasia di wernicke in questa forma afasica fluente si ha una compromissione relativamente omogenea
delle diverse componenti (fonologia, lessico e morfosintassi). L’area cerebrale tradizionalmente coinvolta in
questo tipo di afasia è il tratto medio-posteriore della prima circonvoluzione temporale sinistra ( area 22 di
Brodmann, detta area di Wernicke).
Afasia di conduzione Questa forma di afasia si distingue nella classificazione di Wernicke-Lichtheim per
un prevalente deficit di ripetizione e relativo risparmio della comprensione orale. Nella forma classica detta
afasia di conduzione di riproduzione il danno era addebitato a un danno del fascicolo arcuato di sinistra e
conseguente disconnessione tra l’area delle immagini uditive e quella delle immagini motorie delle parole
ma può essere spiegato anche con un prevalente deficit fonologico (solitamente presente anche in
denominazione, lettura ad alta voce e nel linguaggio spontaneo) e un relativo risparmio delle capacità
semantico-lessicali e sintattiche.
Afasia amnestica In questa forma di afasia vi è un prevalente deficit di recupero lessicale cioè anomia
che di solito emerge tanto ai compiti di denominazione che nell’eloquio spontaneo, senza –o con solo lievi-
deficit fonologici e morfosintattici e senza deficit di comprensione. Il disturbo può avere queste
caratteristiche fin dall’insorgenza o può realizzarsi come l’evoluzione di un’afasia fluente più grave, di cui
residua il solo deficit di accesso lessicale. L’afasia amnestica consegue in consegue in generale a lesioni
temporo-parietali sinistre che di solito risparmiano l’area di Wernicke.
L’eloquio spontaneo dei soggetti afasici non fluenti è scarso, le parole sono prodotte con fatica; le frasi
sono brevi e con struttura sintattica semplificata; spesso vi è un deficit dell’articolazione o inerzia verbale.
Afasia di broca questa forma afasica è proto tipica tra i disturbi di linguaggio non fluenti. La
semplificazione della struttura frasale si manifesta con l’omissione di pronomi, ausiliari, articoli e
Afasia globale è la forma più grave tra i deficit di linguaggio non fluenti. L’eloquio di un paziente con
questa afasia è limitato a poche forme stereotipate (frammenti sillabici ricorrenti) e vi è quasi sempre un
grave deficit del controllo motorio articolatorio. Comprensione e ripetizioni sono anch’esse alterate in
modo grave, la lettura ad alta voce e la scrittura sono nella maggior parte nulle, ma talvolta la
comprensione di parole scritte è ancora possibile per nomi concreti ad alta frequenza d’uso. Le lesioni che
causano afasia globale coinvolgono l’intero territorio dell’arteria cerebrale media di sinistra ( corteccia
perisilviana pre- e postrolandica e le strutture emisferiche profonde sottostanti) . In alcuni casi il disturbo
può evolvere anche a distanza di alcuni anni, ad afasia di Broca.
Afasia transcorticale motoria l’aspetto più caratteristico del disturbo è la riduzione della produzione
spontanea orale e scritta che,tuttavia, si associa a una capacità relativamente intatta di denominare ,
ripetere,leggere ad alta voce e scrivere sotto dettatura. Più che un vero deficit afasico è la manifestazione a
livello linguistico dell’inerzia psicomotoria (inerzia verbale ) che solitamente consegue a lesioni prefrontali.
Il disturbo è stato descritto dal neuropsicologo sovietico Luria con il termine di afasia dinamica.
In casi più rari il deficit di linguaggio può compromettere in modo relativamente isolato l’analisi uditivo-
fonologica, la sola programmazione motoria articolatoria o la sola elaborazione del linguaggio scritto, in
assenza dei deficit fonologici, lessicali o morfosintattici. Il primo di questi disturbi è detto sordità verbale
pura, il secondo anatria pura, i disturbi isolati del linguaggio scritto sono l’alessia pura, l’agrafia pura e
l’alessia con agrafia.
Afasia crociata nella grande maggioranza dei soggetti destrimani il linguaggio è lateralizzato
nell’emisfero sinistro, così che solo lesioni di questo lato causano di norma deficit del linguaggio. La
lateralizzazione sinistra delle abilità linguistiche vale anche per il 60% dei soggetti mancini, mentre nel
restante 40% il linguaggio è rappresentato a destra o in ambedue gli emisferi. La comparsa di afasia per
lesioni destre è quindi un evento che ha una discreta incidenza nei soggetti mancini. Nei soggetti destrimani
la lateralizzazione del linguaggio a destra – e di conseguenza la comparsa di disturbi afasici dopo una
lesione di questo emisfero- è invece un evento assai più raro.
Un disturbo di linguaggio causato da una lesione emisferica destra in un soggetto destrimane è detto afasia
crociata. Evento raro, 5% dei casi. Tipo e gravità di afasia causata da lesioni emisferiche destre in soggetti
con lateralizzazione destra del linguaggio non differiscono in modo sostanziale dai deficit che conseguono a
lesioni sinistre.
L’afasia è un disturbo del linguaggio che consegue a lesioni acquisite dal sistema nervoso centrale. La
grande maggioranza delle afasie che sono osservate sono su base vascolare. In questi casi la distribuzione
tra forme afasiche fluenti e non fluenti è circa pari, con una lieve prevalenza nei maschi rispetto alle
femmine. Significativo è l’effetto dell’età, con una maggioranza di afasie non fluenti tra i soggetti più giovani
e di afasie fluenti tra i soggetti più anziani . I dati relativi all’età per tipo di afasia paiono indicare una
progressiva modificazione dei processi linguistici e della loro base anatomica nel corso del ciclo di vita, con
maggior automatizzazione ( e quindi resistenza al danno cerebrale) dei processi articolatori e
morfosintattici.
Vascolare
Pari distribuzione tra afasie fluenti e non fluenti
Lieve prevalenza nei maschi rispetto alle femmine
Effetto età:
-soggetti giovani: maggioranza di afasie non fluenti
-soggetti anziani: maggioranza di afasie fluenti
Neoplastica
Maggioranza afasie fluenti
Traumatica
Maggioranza afasie fluenti
-DISSOCIAZIONI PER CATEGORIA E PER CLASSE GRAMMATICALE
Alcuni pazienti possono presentare deficit sproporzionati per entità naturali - fragola, zebra…- e risparmio
per oggetti artificiali - pettine, forbice.. - o viceversa, di deficit per oggetti artificiali e risparmio per quelli
naturali.
Deficit prevalenti per gli oggetti naturali Deficit prevalenti per gli oggetti artificiali
Lesioni: temporali inferiori sinistre Lesioni: parietali sinistre
I deficit possono occasionalmente evidenziarsi nelle sole prove di denominazione, ma più spesso
coinvolgono le abilità semantico-lessicali globalmente e sono quindi evidenti anche in conversazione , in
compiti di comprensione o in altri compiti atti ad esaminare le abilità concettuali sottostanti.
Infine anche studi di neuro immagine funzionale in soggetti neurologicamente sani hanno confermato
l’esistenza di diverse aree di elaborazione per oggetti naturali e artificiali.
Sono due le principali ipotesi che sono state proposte per spiegare i meccanismi che sottostanno ai deficit
dissociati tra nomi e verbi:
Peso relativo delle caratteristiche percettive e funzionali che sottostanno a nomi e verbi ; infatti ai
verbi sottostarebbe un minor grado di informazioni sensoriali.
Nella grande maggioranza dei pazienti afasici con insorgenza acuta ( ad es.ictus) il disturbo afasico mostra
un’evoluzione migliorativa nel corso dei primi mesi dall’insorgenza.
Numerosi studi su gruppi di pazienti o con la metodologia del caso singolo hanno dimostrato che la
rieducazione del linguaggio svolta da terapeuti professionisti è in grado di determinare un miglioramento
del deficit di linguaggio maggiore di quello prevedibile sulla base del solo recupero spontaneo.
Una prima lista effettivamente utilizzata nel corso degli esercizi riabilitativi
Una seconda lista usata solo in fase di valutazione.
L’eventuale recupero emerso dalla prima lista indica l’efficacia e la specificità del materiale e della
procedura usata per il trattamento. L’eventuale recupero emerso dalla seconda lista è espressione della
generalizzazione dell’esercizio svolto anche a materiale non trattato ed è quindi indice di una reale
modificazione delle capacità linguistiche. Un’ulteriore momento di valutazione è necessario a verificare che
il paziente sia in grado di utilizzare le capacità acquisite col trattamento anche nell’interazione comunicativa
quotidiana. Infine è necessario verificare il mantenimento del recupero acquisito a un intervallo di tre-sei
mesi dalla sospensione del trattamento.
La rieducazione deve essere effettuata da figure professionali specifiche con tecniche appropriate, sedute
quotidiane, programmi di trattamento mirato e controlli ripetuti del trattamento svolto. Presso molti
ospedali e ambulatori pubblici esistono centri specializzati per questo tipo di terapia.
Tradizionalmente il termine “afasia” non era usato per i disturbi del linguaggio su base degenerativa.
Questa consuetudine è venuta negli anni’80 in seguito alla descrizione di alcuni pazienti affetti da patologia
degenerativa cerebrale caratterizzata da un disturbo progressivo che, nei primi anni di malattia , coinvolge e
sole abilità linguistiche.
Questi disturbi del linguaggio lentamente ingravescenti dovuti a degenerazione corticale vanno sotto il
nome di afasia progressiva primaria –APP- .
I pazienti affetti da APP sono di solito distinti lungo la dicotomia fluente/non fluente:
Fluente
Non fluente
APP variante semantica: degrado delle conoscenze concettuali e lessicali. Eloquio fluente interrotto da
anomie. Si associa a disgrafia e disturbi della comprensione. La degenerazione è localizzata in sede
temporale anteriore sinistra (o bilaterale)
APP variante logopenica: Eloquio fluente ma con frasi semplificate e possibile agrammatismo. Presenza di
parafasie fonemiche e deficit della memoria a breve termine fonologica. Associata a degenerazione
parietale inferiore e temporale posteriore di sinistra.
APP variante non-fluente: Progressivo impoverimento della struttura sintattica. Associato spesso ad
alessia e disgrafia fonologica, meno frequentemente ad anomia. L’atrofia interessa il giro frontale
inferiore di sinistra, con possibile coinvolgimento di aree più dorsali.
-INTRODUZIONE
Stadi “centrali” si fa riferimento alle fasi di elaborazione che comportano l’uso di conoscenze
semantico-lessicale e i processi sublessicali di conversione grafema/fonema e fonema/grafema.
Stadi “periferici” si considerano tali i processi che operano solo nel riconoscimento dello stimolo
scritto (nella lettura) o nella trasformazione dell’informazione ortografica astratta nei formati di
produzione specifici (nella scrittura)
I meccanismi di memoria di lavoro sono una sorta di cuscinetto fra meccanismi centrali e periferici.
I meccanismi coinvolti nella lettura e nella scrittura sono i seguenti:
I primi studi sulla neuropsicologia del linguaggio scritto sono stati centrati sulla correlazione fra disturbi di
lettura – dislessia- e di scrittura – disgrafia- e altri deficit cognitivi e/o linguistici.
L’interesse si è spostato sugli aspetti qualitativi dei deficit di lettura e di scrittura verso la metà degli anni
70’ del secolo scorso, quando un numero crescente di ricerche ha applicato il metodo della psicologia
cognitiva allo studio dei disturbi del linguaggio scritto. Quest’approccio ha permesso di proporre modelli
complessi dell’organizzazione dei processi di lettura e scrittura.
ES. l’insieme dei tratti semantici (animale, felino grandi dimensioni, manto giallo e nero, zanne…) attiva
la parola TIGRE, ma alcuni di questi tratti attivano anche altre rappresentazioni lessicali come, LEONE,
LEOPARDO, GATTO… in condizioni normali TIGRE è attivata al di sopra del livello di soglia, mentre le
altre parole ricevono una modesta attivazione insufficiente a raggiungere la soglia critica. Quindi la
rappresentazione lessicale di TIGRE è selezionata per la produzione.
Questo meccanismo può spiegare la presenza di errori semantici nella produzione orale e scritta in seguito
sia a disturbo semantico, sia a deficit lessicale, infatti se l’informazione nel sistema semantico è impoverita
(come può avvenire in caso di danno celebrale) l’immagine di una tigre può attivare solo alcune
informazioni ( ad es. animale, selvatico, felino, di grandi dimensioni). In queste condizioni TIGRE, LEONE E
PANTERA ricevono la stessa attivazione e una qualunque di esse può essere prodotto.
MECCANISMI SUBLESSICALI questi sono necessaria trasformare sequenze di lettere in sequenze di suoni
(lettura ad alta voce) , o sequenze di suoni in sequenze di lettere (scrittura sotto dettato, attraverso regole
di conversione di segmenti brevi e privi di significato.
Un paziente con alessia fonologica può leggere correttamente tutte o quasi tutte le parole, ma avere
gravissime difficoltà nella lettura di non parole anche se brevi e con struttura semplice.
Un paziente con agrafia fonologica scrive bene tutte le parole di 6 lettere, ma nessuna delle non-parole
della stessa lunghezza, che peraltro ripeteva bene nell’80% dei casi.
Caratteristica dei pazienti con questi disturbi e che nelle lingue con rapporti opachi fra ortografia e
fonologia (ad es., inglese, francese) le risposte errate consistono in sequenze fonologicamente plausibili
(Phonologically Plausible Errors, PPEs);
I dislessici superficiali leggono le parole “come se non le conoscessero” senza tener conto dell’unicità della
loro pronuncia ;
I disgrafici superficiali scrivono le parole “come si pronunciano” senza tener conto dell’unicità della loro
grafia.
In entrambi i casi gli errori derivano dall’incapacità di recuperare le informazioni lessicali che specificano la
parola-bersaglio.
In italiano i rapporti fra ortografia e pronuncia sono molto più trasparenti e quindi disturbi «superficiali»
sono meno apparenti (e più difficili da documentare).
I pochi casi di «opacità» hanno conseguenze diverse :
nella scrittura: alcuni segmenti fonologici possono essere scritti in due modi diversi, e solo la
conoscenza dell’ortografia della parola permette la risposta esatta. Errori tipici nella disgrafia di
superficie sono squola, scuadra, nocie, spece.
nella lettura: un dislessico superficiale di lingua italiana produce correttamente i fonemi della
risposta, ma può mettere l’accento sulla sillaba sbagliata (/sa:bato/; /:salato/; /so:lito/; /:salito/).
Sono stati descritti molti casi di alessia e di agrafia fonologica, e di dislessia e disgrafia superficiale. Ma
disturbi simili possono avere cause diverse, che possono essere identificate solo in base ad analisi
quantitative e qualitative delle prestazioni in tutte le prove rilevanti.
Agrafia fonologica
E’ una difficoltà selettiva nella scrittura di non-parole può dipendere da:
deficit di elaborazione dello stimolo uditivo o riduzione della memoria a breve termine
fonologica
→ difficoltà anche in compiti di ripetizione
danno nella conversione grafema-fonema
→ difficoltà solo in scrittura
Dislessia superficiale
La rappresentazione fonologica della parola-bersaglio può essere indisponibile a causa di un disturbo:
semantico
→ errori in comprensione e denominazione di immagini
→ errori di accento in lettura ad alta voce
→ errori fonologicamente plausibili in scrittura
lessicale
→ errori di accento in lettura
Gli studi su dislessie e disgrafie acquisite hanno accresciuto le conoscenze sull’organizzazione delle
componenti semantico-lessicali e dei sistemi di conversione coinvolti nei due processi. L’analisi delle
prestazioni di soggetti con deficit sublessicali ha permesso di analizzare l’architettura del lessico.
In breve i dati neuropsicologici sono compatibili con l’ipotesi che le rappresentazioni lessicali contengono
informazioni su:
categoria grammaticale;
struttura morfologica delle parole
e che la loro accessibilità (e forse la loro resistenza al danno neuropsicologico) sia influenzata dalla
frequenza d’uso.
-in soggetto senza danno cognitivo : le probabilità che un soggetto scelga una particolare regola di
conversione per la lettura o la scrittura di non-parole è influenzata dalla regola nella parola precedente
-in soggetti con danno neurologico ( deficit semantico lessicali) e meccanismi di conversione intatti:
presenza e qualità degli errori nella lettura e nella scrittura di parole dipendono dallo status dei meccanismi
di conversione. Un soggetto con defcit semantico e meccanismi di conversione integri avrà:
Esempio. BOOK
- Informazione semantica incompleta [fonte di notizie] può attivare nel lessico fonologico e nel lessico
ortografico alcune parole semanticamente correlate, come NEWSPAPER, MAGAZINE, TELEVISION e
BOOK.
-Nella denominazione di immagini il soggetto può produrre una qualunque di queste parole.
- In una prova di lettura lo stimolo book genera sequenze fonologiche plausibili. Fra le parole attivate nel
vocabolario, solo /buk/ corrisponde a tali sequenze. Questa interazione potenzia l’attivazione di /buk/, e/
o blocca la produzione delle altre parole.
-in soggetti con deficit semantico-lessicali e meccanismi di conversione danneggiati (dislessia profonda e
disgrafia profonda): errori semantici in lettura ad alta voce (dislessia profonda) o in scrittura sotto dettato
(disgrafia profonda).
SEMANTICO lo stimolo attiva un’insieme di tratti semantici, che a loro volta attivano la parola
corrispondente nel lessico.
NON-SEMANTICO o DIRETTO che collega direttamente rappresentazioni lessicali ortografiche e
fonologiche nella lettura, e rappresentazioni lessicali fonologiche e ortografiche nel dettato, senza
attivare informazione concettuale –vedi disegno alla prima pagina, linee tratteggiate-
Questa “via diretta” è stata motivata dall’osservazione che alcuni soggetti con deficit di comprensione di
parole singole leggevano bene almeno alcune parole irregolari, ed è stata applicata per analogia anche
nella scrittura.
Per molto tempo si è ritenuto che la scrittura fosse interamente dipendente dalla produzione orale.
Secondo questa ipotesi, che presuppone una mediazione fonologica obbligatoria le rappresentazioni
ortografiche non possono essere attivate direttamente dall’informazione semantica, e la scrittura di parole
presuppone l’attivazione preliminare di informazione fonologica sulle stesse parole.
IPOTESI MEDIAZIONE FONOLOGICA OBBLIGATORIA : l’attivazione del lessico ortografico può avvenire
solo a partire da informazioni recuperate nel lessico fonologico su imput semantico.
Quest’ipotesi della mediazione fonologica obbligatoria contrasta con tre osservazioni in pazienti afasici:
Ciò dimostra l’autonomia delle rappresentazioni ortografiche, infatti si possono comprendere solo se si
ammette che il sistema semantico può attivare direttamente e indipendentemente parole nel lessico
fonologico di output e nel lessico ortografico di output.
Se i due set di rappresentazioni fossero del tutto autonomi un deficit limitato al sistema semantico (o a uno
dei lessici) dovrebbe essere sufficiente a determinare risposte lessicalmente incongrue, come quelle
descritte prima. Invece, pazienti che producono queste sequenze sono molto rari; di regola, in prove come
quelle descritte, soggetti con disturbo semantico producono la stessa parola,giusta o errata che sia.
Alla luce di questi dati possiamo allora ipotizzare che la relazione fra rappresentazioni fonologiche e
ortografiche sia caratterizzata da autonomia e interazione.
Pazienti che producono risposte lessicalmente incongrue in compiti di denominazione doppia sono
molto rari
Con questo termine si intendono i disturbi determinati da lesioni cognitive che interessano fasi della lettura
precedenti l’accesso alle rappresentazioni ortografiche.
Le dislessie periferiche non sono specificamente sensibili alle dimensioni dello stimolo. Fra le dislessie
periferiche sono particolarmente importanti:
DISLESSIE DA NSU
Questi disturbi di lettura si osservano soprattutto dopo lesione emisferica destra, e hanno in comune che
nella lettura di uno stimolo in presentazione canonica (parola scritta orizzontalmente, da sinistra a destra, al
centro della pagina) il paziente commette errori sulle lettere nella metà contro laterale (opposta alla
lesione).
ES. Una persona con dislessia da NSU causata da lesione emisferica destra commette errori come concerto
= “certo” o “deserto” in cui le prime lettere dello stimolo sono omesse o lette erroneamente.
Sono state descritte altre forme di dislessie da NSU, caratterizzate da un diverso comportamento in
funzione delle manipolazioni tipografiche dello stimolo:
Le prime due forme di dislessia da NSU sono tipicamente associate a fenomeni di NSU in compiti di analisi
visuo-spaziale che non implicano conoscenze linguistiche e sono state descritte dopo lesioni nelle aree
dell’emisfero destro interessate nei soggetti con NSU. La dislessia centrata sulla parola è stata descritta più
spesso in corso di lesioni sinistre che destre, spesso in persone con mancinismo.
Le dislessie da NSU possono o meno accompagnarsi a disturbi di scrittura.
LA LETTURA “LETTERA-PER-LETTERA”
Questo disturbo è caratterizzato dalla tendenza a leggere lo stimolo una lettera alla volta. Il soggetto-tipo
legge ad alta voce le lettere dello stimolo, che poi cerca di ricostruire attraverso una sorta di spelling
inverso (casa> “ci,a,esse,a… casa”). Ciò causa tempi di lettura molto lunghi, e proporzionali al numero di
lettere che costituiscono lo stimolo, contrariamente a quanto accade nei soggetti normali, in cui i tempi di
lettura risentono poco della lunghezza dello stimolo.
L’elemento comune a tutti i pazienti che leggono “lettera-per-lettera” è l’incapacità di elaborare la stringa
di lettere in parallelo, che costringe a “frammentare” lo stimolo in singole lettere o in sequenze di due-tre
lettere che poi devono essere assemblate.
Questa dislessia è dovuta a lesioni temporo-occipitali (inferiori o mesiali) che si possono estendere allo
splenio del corpo calloso.
L’inclusione di un meccanismo di memoria a breve termine nel processo di scrittura è giustificata dal fatto
che le rappresentazioni elaborate dai meccanismi“centrali”, lessicali o sublessicali, hanno dimensioni
maggiori di quelle che possono essere processate dai meccanismi “periferici”.
Una memoria a breve termine è necessaria per garantire che gli elementi delle rappresentazioni
ortografiche lessicali o sublessicali rimangano attivi per il tempo necessario alla loro ulteriore elaborazione.
Questo sistema di memoria entra in funzione dopo che la sequenza ortografica è stata recuperata nel
lessico o assemblata dai meccanismi di conversione, ed è una via finale comune per la scrittura di parole e
di non- parole.
Il profilo di prestazioni del soggetto con danno del buffer grafemico può essere così riassunto:
L’analisi degli errori di scrittura commessi da soggetti con disturbo del buffer grafemico ha permesso di
studiare le proprietà delle rappresentazioni ortografiche e le procedure necessarie alla loro produzione.
LE RAPPRESENTAZIONI ORTOGRAFICHE
Per scrivere correttamente una parola è necessario produrre tutte le lettere che la costituiscono nell’ordine
corretto. Un danno della memoria ortografica a breve termine interferisce con queste capacità.
L’informazione ortografica ha una struttura complessa:
Le rappresentazioni ortografiche recuperate nel vocabolario devono essere elaborate un grafema dopo
l’altro, da meccanismi che trasformano la sequenza di grafemi in una sequenza di lettere (scrittura a mano)
di gesti degli arti superiori (scrittura su tastiera) o di nomi di lettere (spelling orale).
Stabilità: le informazioni devono rimanere attive per il tempo necessario alla loro trasformazione
Distinguibilità: le informazioni devono rimanere ben definite
Queste due funzioni sono condivise da tutti i meccanismi di memoria a breve termine e inoltre sono
sufficientemente indipendenti fra loro da poter essere danneggiate separatamente. I deficit possono essere
selettivi:
Instabilità: la probabilità di errore su un grafema aumenta con l’aumentare della distanza dall’inizio
della parola
Ridotta distinguibilità: più probabilità di errore per i grafemi centrali della stringa –flanking effect-
-DISGRAFIE PERIFERICHE
Le rappresentazioni depositate transitoriamente nella memoria ortografica a breve termine consistono in
sequenze di grafemi, ciascuno dei quali deve essere ulteriormente trasformato in un formato specifico per
l’attività in cui il soggetto è impegnato.
-I deficit che riguardano fasi più periferiche hanno effetti selettivi sui singoli compiti di scrittura.
-Pazienti possono presentare disturbi dello spelling orale e integrità dello spelling scritto o viceversa.
Dopo un lungo periodo sui correlati neurali si sono basati esclusivamente su studi lesionali negli ultimi anni
lo sviluppo delle tecniche di neuro immagine, e in particolare della risonanza magnetica strutturale e
funzionale ha permesso di ottenere informazioni sulle relazioni fra cervello e processi di lettura e scrittura
anche da studi con volontari sani.
Buffer grafemico:
aree frontali, parietali posteriori e inferiori, occipitali laterali
-VALUTAZIONE
I. Astrattezza/concretezza
II. Categoria semantica
III. Categoria grammaticale
IV. Struttura morfologica
V. Frequenza d’uso
VI. Regolarità
I. Grado di somiglianza
II. Struttura morfologica
III. Lunghezza
IV. Comprensione e produzione orale e scritta
DISLESSIE PERIFERICHE
DISGRAFIE PERIFERICHE