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BIOLOGIA E PSICOANALISI: LEGGENDO KANDEL

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27 maggio 2003

Le frontiere della conoscenza sulla mente umana si spostano progressivamente grazie alle
recenti scoperte delle neuroscienze che possono utilizzare sofisticatissime tecniche di
indagine non immaginabili quando Freud, nel 1985, scrisse il suo “Progetto di una
psicologia”.
La formazione biologica di Freud è stata già messa in evidenza in questa rivista da Rossana
Ceccarelli  1 e da Luigi Baldari 2 e il dibattito sul rapporto tra neuroscienze e psicoanalisi ha
avuto notevoli sviluppi nei decenni passati. Negli anni ’70, autori come K. Pribram e M. Gill
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sottolineavano l’esistenza di una continuità tra il Progetto e i successivi scritti del Maestro,
così come F. Sulloway, storico della scienza, evidenziava il fatto che Freud fosse in “biologo
della mente” 4
.
Il XX secolo quindi, assiste alla nascita di due grandi modelli che influenzeranno il pensiero
dell’uomo: il modello psicoanalitico, e il modello della struttura del DNA, che proprio in
questi giorni compie 50 anni. Per molti anni, le prospettive di indagine e forse gli stessi
oggetti di ricerca sembravano assai distanti. Tuttavia, i percorsi sono andati
progressivamente accostandosi ed incrociandosi finché, nel 1998, il premio Nobel Eric R.
Kandel 5 traccia “una nuova cornice intellettuale per la psichiatria”. L’articolo esamina
dettagliatamente le posizioni della psichiatria americana ad orientamento psicoanalitico e
contemporaneamente riassume le più importanti scoperte della biologia molecolare.
L’inquadramento concettuale di Kandel pubblicato dall’American Journal of Psychiatry,
rappresenta un’imprescindibile possibilità di leggere unitariamente le neuroscienze e la
psichiatria, separatesi agli inizi del secolo scorso.
Eric R. Kandel, docente alla Columbia University di New York, premio Nobel per la Medicina
e le Neuroscienze nel 2000 grazie agli studi effettuati sulla lumaca di mare Aplysia, è il
massimo esperto dei meccanismi cellulari e molecolari della memoria e del
condizionamento. Gli studi iniziano nel 1963, e renderanno l’Aplysia il mollusco più celebre
delle neuroscienze, un animale dal sistema nervoso molto semplice con un comportamento
modificabile attraverso sollecitazioni che inducono apprendimento e analizzabile nei dettagli
a livello cellulare.
Negli anni ’60, la psichiatria americana ad orientamento psicoanalitico era diventata il
modello prevalente per la comprensione delle malattie mentali e di alcune malattie
somatiche. Il suo allontanamento dalla biologia era stato determinato in parte da
cambiamenti interni alla psichiatria stessa, e in parte dal progresso delle neuroscienze. La
biologia del cervello degli anni ’40 non era tecnicamente né concettualmente matura e la
relazione tra cervello e comportamento era dominata dall’idea che diverse funzioni mentali
non si potessero localizzare in regioni cerebrali specifiche. Si riteneva che la corteccia
cerebrale fosse equipotenziale, con le funzioni mentali superiori diffusamente
rappresentate. Questa posizione condivisa da psichiatri e biologi rendeva il comportamento
non analizzabile secondo i metodi d’indagine propri della biologia empirica. Negli agli ’70 la
psichiatria tornò a confrontarsi con le neuroscienze grazie ai nuovi trattamenti
farmacologici che lavoravano in modo specifico. Parallelamente, negli anni ’80 si assiste
alla scoperta delle relazioni anatomo-funzionali di differenti distretti cerebrali.
Il quadro concettuale presentato da Kandel nell’articolo citato è costituito da cinque principi
che rappresentano, in forma semplificata, il pensiero corrente dei biologi sulla relazione tra
mente e cervello:

I. Tutti i processi mentali, anche quelli psicologici più complessi, derivano da operazioni del
cervello. Il principio centrale di questo punto di vista è che ciò che noi chiamiamo “mente”
è una gamma di funzioni svolte dal cervello. Le azioni del cervello sono alla base non solo
di comportamenti motori relativamente semplici, come il camminare e il mangiare, ma di
tutte le azioni cognitive complesse, consce e inconsce, che noi associamo a un
comportamento specificamente umano, come il pensare, il parlare, o creare opere d’arte.
Di conseguenza, i disturbi del comportamento che caratterizzano la malattia psichiatrica
sono disturbi delle funzioni cerebrali, anche quando loro cause sono chiaramente di origine
ambientale.
Conoscenze parziali di come funzionano i geni hanno generato due malintesi: il primo è che
i biologi siano convinti della rigida determinazione dell’azione genica; il secondo è che i
geni abbiano la sola funzione di trasmettere l’informazione ereditaria da una generazione
all’altra.
È necessario definire le due funzioni del gene. La prima è la funzione modello
(trasmissione), che fornisce alle generazioni successive le copie di tutti i geni presenti
nell’individuo. Il modello può essere alterato solo da mutazioni, rare e spesso casuali.
Questa funzione è al di fuori di interferenze individuali o sociali. La seconda è la funzione
trascrizionale che si riferisce alla capacità di un dato gene di dirigere la produzione di
specifiche proteine in una data cellula. Questa funzione esercita un’attività di regolazione
sensibile a fattori ambientali. (Figura 1):

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II. I geni e i loro prodotti proteici sono determinanti importanti del modello di
interconnessione tra neuroni nel cervello sia dal punto di vista strutturale che da quello
funzionale. I geni, e specialmente le loro combinazioni, quindi, esercitano un controllo
significativo sul comportamento. Dunque la genetica contribuisce allo sviluppo delle più
importanti malattie mentali.

III. L'alterazione dei geni, da sola, non spiega tutta la variabilità di una data malattia
mentale. Un contributo molto significativo proviene anche da fattori sociali o dello sviluppo.
Proprio come le combinazioni di geni contribuiscono al comportamento, compreso quello
sociale, così il comportamento e i fattori sociali possono esercitare retroattivamente delle
azioni sul cervello fino a modificare l'espressione genica e di conseguenza la funzione di
cellule neuronali. L'apprendimento, incluso quello risultante da una disfunzione
comportamentale, produce alterazioni nell'espressione genica. Così tutta la "cultura" è in
definitiva espressa come "natura". (Figura 2).

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IV. Alterazioni nell'espressione genica indotte dall'apprendimento danno luogo a


cambiamenti nei modelli di connessione neuronale. Questi cambiamenti non solo
contribuiscono alle basi biologiche dell’individualità ma sono probabilmente responsabili
dell’insorgenza e del mantenimento di anomalie del comportamento indotte da circostanze
sociali.

V. La psicoterapia produce modifiche a lungo termine nel comportamento, probabilmente


mediante l’apprendimento, provocando modifiche nell’espressione genica che alterano la
forza delle connessioni sinaptiche e causando modifiche strutturali che alterano i modelli
anatomici di interconnessione tra cellule nervose del cervello. Il miglioramento delle
tecniche di visualizzazione cerebrale, dovrebbe eventualmente permettere una valutazione
quantitativa del risultato della psicoterapia.
Il concetto nuovo emergente dalle ricerche nel campo della biologia molecolare è che il
genoma presenta una variabilità di espressione molto più plastica di quello che si poteva
immaginare un tempo. È importante sottolineare che nell’Homo Sapiens le regioni
codificanti per le proteine rappresentano appena il 2 % del genoma totale, costituito,
secondo recenti stime da circa 35.000 – 40.000 geni. Le sequenze di genoma non
codificanti invece rappresentato più del 98 %, ed il 50 % di esse è costituito da sequenze
ripetute (trasposoni, pseudo-geni, sequenze ripetute semplici, duplicazioni segmentali). Il
genoma non codificante tuttavia non viene più considerato come “DNA spazzatura”, ma
come una componente che svolge importanti ruoli di controllo e di regolazione
dell’espressione genica attraverso meccanismi di tipo “epigenetico”. C’è quindi uno
spostamento di accento verso quella che oggi viene definita la genomica funzionale. Quello
che si profila è uno scenario ben lontano dall’epoca di Freud, e dei primi tentativi di
descrivere le funzioni mentali.
Nel suo lungo saggio, Kandel si riferisce indistintamente a figure professionali diverse quali
lo psichiatra, lo psicoterapeuta e lo psicoanalista rivolgendo il suo appello a tutti coloro che
da posizioni differenti si occupano del rapporto tra mente e cervello. La sua esortazione
comunque è di non disperdere il grande patrimonio di conoscenze cliniche della psicoanalisi
e di utilizzarlo come strumento di orientamento della ricerca biologica in psichiatria.

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