Psicologia Cognitiva
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89 pag.
L’uomo si è occupato di questioni legate al comportamento, quindi di carattere psicologico, fin dai tempi degli antichi greci e
romani.
La psicologia, intesa però come scienza, è nata quando si è iniziata a studiare l’unità mente e cervello e le sue relazioni con il
comportamento dell’individuo, inserito in un mondo fisico e sociale. La nascita ufficiale della psicologia come scienza viene fatta
risalire al 1879, anno in cui Wundt, fisiologo di formazione e docente di filosofia, fonda a Lipsia il primo laboratorio di psicologia
fisiologica, dando origine allo Strutturalismo.
La psicologia, intesa come scienza, si propone di studiare, in maniera metodologicamente rigorosa, il comportamento umano e i
processi mentali.
La teoria cognitivista nasce nel 1960 come reazione ai limiti del Comportamentismo. Si tratta di una teoria complessa, all’interno
della quale si sono sviluppati differenti orientamenti. I primi approcci consideravano la mente come un elaboratore di informazioni.
Qualche anno più tardi la teoria, che prese il nome di Cognitivismo grazie al volume di Neisser che riassumeva le ricerche sino ad
allora compiute, si incentrò sull’analogia mente-‐computer (corrente Human Information Processing). Si tracciò, in altre parole, un
parallelismo stretto fra il modo di operare della mente e i processi di elaborazione dell’informazione dei computer. Questa forte
analogia portò però ad un allontanamento della ricerca psicologica dai processi della vita quotidiana e dagli ambienti in cui essi si
realizzano. Negli anni successivi, gli autori cercarono di superare questi limiti attraverso un approccio maggiormente ecologico, che
considerava la mente in maniera maggiormente flessibile e capace di adattarsi ai contesti nei quali è inserita. In tempi più recenti, a
partire dagli anni Settanta del Novecento, si è sviluppata la Scienza Cognitiva, un approccio interdisciplinare volto allo studio
dell’intelligenza naturale e artificiale, con lo scopo di indagare l’architettura funzionale della mente per capire come essa decodifica
le conoscenze.
si tratta di una ristrutturazione improvvisa e immediata degli elementi di un dato problema che porta a vederli da un punto di vista
differente così da risolvere la stessa questione problematica
18. Quali sono gli assunti fondamentali della psicologica di Gestalt?
Vi era una distinzione tra realtà fisica (mondo così per com’è) e realtà fenomenica (realtà come appare all’individuo). A partire da
questi due riferimenti, gli psicologi della Gestalt si sono focalizzati sull’organizzazione della percezione e del pensiero. Secondo loro,
tutto precede le parti.
19. Che cosa è il Comportamentismo?
È una delle tante teorie che cerca di dare una risposta alle domande relative alla mente e al comportamento. Il focus di tale teoria
era sul comportamento osservabile. Watson scrisse che l’organismo era una scatola nera (black box) che non è possibile esplorare.
Si indagava quindi il comportamento osservabile intersoggettivamente. A suo parere, nulla è innato ma tutto dipende
dall’ambiente nel quale si è inseriti.
20. Come è strutturata la ricerca con sondaggio?
È una ricerca in cui si pongono delle domande su comportamenti, pensieri e attitudini a persone selezionate per rappresentare una
fetta più ampia della popolazione. Vi sono dei punti di debolezza: bisogna fare attenzione a selezionare un campione che sia
rappresentativo della popolazione che si vuole indagare. L’intervista, inoltre, può includere delle domande tendenziose che
evidenziano soltanto una porzione del problema. Può entrare in gioco il fenomeno della desiderabilità sociale.
21. Quali sono vantaggi e limiti del metodo osservativo?
Si tratta di una ricerca in cui lo sperimentatore osserva un comportamento che avviene naturalmente senza apportare nessuna
modifica alla situazione. Gli svantaggi sono: può essere difficile controllare tutti i fattori che intervengono, non è possibile
intervenire sulla situazione osservata, quindi occorre aspettare, e se le persone sanno di essere osservate potrebbero comportarsi
in maniera diversa rispetto a quanto fanno di solito.
22. Si descrivano le caratteristiche delle rassegne della letteratura.
È una ricerca che passa in esame i dati precedentemente raccolti da altri, come curriculi scolastici, censimento, al fine di verificare
una specifica ipotesi. Ha il vantaggio di essere economica, ma lo svantaggio di poter essere incompleta.
23. Si descriva il metodo osservativo
Si tratta di una ricerca in cui lo sperimentatore osserva un comportamento che avviene naturalmente senza apportare nessuna
modifica alla situazione. Gli svantaggi sono: può essere difficile controllare tutti i fattori che intervengono, non è possibile
intervenire sulla situazione osservata, quindi occorre aspettare, e se le persone sanno di essere osservate potrebbero comportarsi
in maniera diversa rispetto a quanto fanno di solito.
24. Si descriva il metodo sperimentale.
Il metodo sperimentale studia la relazione casuale fra variabili, attraverso la produzione deliberata di un cambiamento in una
varabile. La variabile che viene manipolata si chiama variabile indipendente, mentre la variabile che ci aspetta cambi in seguito alla
manipolazione, è chiamata variabile dipendente. I passaggi per iniziare una ricerca sperimentale fanno riferimento allo sviluppo di
una o più ipotesi.
25. Si descriva la funzione del campione di controllo
Gruppo omogeneo che non riceve nessuna forma di trattamento, permette di essere sicuri che i risultati osservati dipendano dalla
manipolazione sperimentale e non da fattori esterni.
26. Quale è la differenza fra variabile dipendente e variabile indipendente?
La variabile che viene manipolata si chiama variabile indipendente, mentre la variabile che ci aspetta cambi in seguito alla
manipolazione, è chiamata variabile dipendente.
I neuroni seguono la legge del tutto o niente: sono attivati o disattivati. Prima di essere attivato, un neurone si trova in uno stato di
riposo, in cui all’interno della cellula nervosa si ha una carica negativa di circa -‐70 millivolt (ioni negativi > ioni positivi).
Quando un messaggio arriva alla membrana cellulare, essa si apre brevemente per permettere agli ioni caricati positivamente di
precipitarsi; quando la carica positiva raggiunge un livello critico un impulso elettrico, chiamato potenziale d’azione, viaggia lungo
l’assone fino al neurone. Il potenziale d’azione è un impulso nervoso che viaggia attraversi un neurone quando viene attivato da un
“innesco” che cambia la carica da negativa a positiva. Subito dopo che il potenziale d’azione è passato attraverso una sezione
dell’assone, la membrana cellulare in quella regione non può più accettare ioni positivi per qualche millisecondo: refrattarietà
assoluta. Segue poi un periodo in cui, è necessario uno stimolo più forte per permettere la liberazione del potenziale d’azione:
refrattarietà relativa. Dopo qualche millisecondo il neurone torna al suo stato di riposo e la procedura può ripetersi.
37. Quali sono le principali tipologie di neurotrasmettitori?
• Acetilcolina (ACh) è un neurotrasmettitore eccitatorio nel cervello e nel sistema nervoso autonomo, inibitorio altrove. E’
distribuita in tutto il sistema nervoso. Essa è coinvolta in ogni nostro movimento muscolare ed è anche implicata nelle
nostre capacità mnemoniche.
• Glutammato è un neurotrasmettitore eccitatorio. E’ situato nel cervello e nel midollo spinale e gioca un ruolo importante
nella memoria.
• Acido gamma-‐amminobutirrico (GABA) è il principale neurotrasmettitore inibitorio. E’ situato nel cervello e nel midollo
spinale e modera l’alimentazione, l’aggressività e il sonno.
• Dopamina (DA) è un neurotrasmettitore sia eccitatorio che inibitorio. E’ situata nel cervello ed è implicata nel movimento
attenzione e apprendimento. Gioca un ruolo fondamentale nei disturbi muscolari, mentali e nella sindrome di Parkinson.
• Serotonina è un neurotrasmettitore inibitorio. E’ situata nel cervello e nel midollo spinale ed è associata alla regolazione
del sonno, della fame, dell’umore (depressione) e del dolore.
• Endorfine sono neurotrasmettitori prevalentemente inibitori tranne che nell’ippocampo, sono sostante chimiche
prodotte dal cervello. Esse sono associate nella soppressione del dolore, sensazioni piacevoli, appetito e placebo.
38. Come vengono trasmessi i segnali all’interno del neurone e tra differenti neuroni?
Il segnale all’interno del neurone viene trasmesso secondo la legge del tutto o niente: sono attivati o disattivati. I messaggi
all’interno del neurone viaggiano in forma elettrica. Essi in stato di riposo hanno una carica negativa pari -‐70mV, quando arriva un
messaggio alla membrana cellulare, essa si apre brevemente per permettere agli ioni caricati positivamente di precipitarsi; quando
la carica positiva raggiunge un livello critico un impulso elettrico, chiamato potenziale d’azione, viaggia lungo l’assone fino al
neurone. Dopo un periodo di refrattarietà assoluta e uno di refrattarietà relativa il neurone torna al suo stato di riposo e la
procedura può ripetersi. I segnali tra neuroni vengono trasmessi attraverso messaggi di tipo chimico.
Quando un impulso nervoso arriva all’estremità di un assone e raggiunge il bottone sinaptico, viene rilasciato un
neurotrasmettitore (corriere chimico). Quest’ultimo trasporta il messaggio attraverso le sinapsi ad un dentrite di un neurone
ricevente. La comunicazione chimica ha successo solo quando un neuro trasmettitore si infila precisamente in un’area del
recettore. Il messaggio chimico può essere di tipo eccitatorio o inibitorio. Il messaggio eccitatorio rende più probabile l’attivazione
del neurone e lo spostamento del potenziale di azione lungo il suo assone, il messaggio inibitorio diminuisce la probabilità di
attivazione del neurone ricevente. I neurotrasmettitori vengono successivamente eliminati dagli enzimi o riassorbiti dai bottoni
sinaptici in una sorta di riciclo chimico chiamato reuptake.
39. Si descrivano le funzioni del sistema nervoso periferico.
Si divide in due sottoinsiemi:
-‐ Sistema motorio: si divide a sua volta in Sistema somatico e Sistema autonomo. Il Sistema somatico controlla i movimenti
volontari e la comunicazione da e per gli organi di senso. Il Sistema autonomo ha a che fare con la parte del corpo che
lavorano in maniera involontaria e che regolano le nostre funzioni vitali. A sua volta, il Sistema autonomo è diviso in due
sottoinsiemi: Sistema Simpatico (prepara il corpo a reagire alle situazioni di emergenza) e Sistema parasimpatico
(interviene per calmare il corpo che è avvenuta una risposta a una situazione di emergenza).
-‐ Sistema sensoriale: composto da due tipologie di neuroni, la prima riceve informazioni che provengono dall’ambiente
esterno e la seconda trasporta le informazioni che arrivano dal corpo fino al cervello.
Il sistema simpatico e parasimpatico sono le due componenti del sistema autonomo. Esso è a sua volta una componente del
sistema motorio che fa parte del sistema nervoso periferico e che ha la funzione di regolare le parti del corpo che operano senza la
consapevolezza del soggetto e che permettono la sopravvivenza. Nello specifico i sistemi simpatico e parasimpatico lavorano
insieme per regolare molte funzioni, in particolare le situazioni di emergenza. Il Sistema Simpatico prepara infatti il corpo a gestire
situazioni di questo genere; attiva tutte le risorse disponibili per far fronte a un pericolo secondo la logica del “combatti o fuggi”, in
base alla valutazione della gravità dello stesso e delle risorse a disposizione dell’organismo per farvi fronte. Il Sistema Parasimpatico
interviene invece per calmare il corpo dopo che si è trovato a fronteggiare l’emergenza. È inoltre fonte di nutrimento e ossigeno
per mantenere le riserve energetiche del corpo.
La neuroplasticità cerebrale è il fenomeno per cui nel corso della vita il cervello può modificarsi, possono variare le interconnessioni
fra determinati gruppi di neuroni e alcune aree hanno la possibilità di riorganizzarsi. La plasticità cerebrale è massima nei bambini.
Essa rende possibile anche un altro importantissimo fenomeno per la sopravvivenza: la vicarianza. Quando una specifica area del
cervello non può più funzionare adeguatamente a causa di un intervento chirurgico o di un incidente, altre aree cerebrali possono
svolgere quella funzione che solitamente è compiuta dall’area danneggiata.
Si tratta di una questione molto dibattuta alla quale non è ancora stata trovata una soluzione definitiva. Lo psicologo Hilgard
suggerì che l’ipnosi è uno stato di coscienza estremamente differente dagli altri. Chi è sotto ipnosi è infatti fortemente
suggestionabile, riesce meglio a ricordare e a costruire immagini e presenta onde cerebrali differenti. Altri studiosi sostengono
invece che la variazione di onde cerebrali non è un indizio sufficiente per considerare l’ipnosi uno stato di coscienza differente da
altri; non ci sono infatti altri cambiamenti fisiologici a sostegno di tale ipotesi. In tempi più recenti i ricercatori hanno assunto
posizioni intermedie fra le due precedentemente presentate; secondo loro l’ipnosi non è un fenomeno né totalmente diverso né
completamente simile ad altri stati di coscienza.
L’Homunculus somatosensoriale può essere definito come un omino dalle proporzioni bizzarre che fornisce una rappresentazione
corticale del corpo. Alcune parti vengono rappresentate in maniera ampia (ad esempio dita della mano e labbra), mentre altre in
modo ridotto (tronco, gambe, braccia). Più una parte del corpo è ampia, maggiore è il corrispettivo tessuto corticale che la regola.
Tale sproporzione riflette anche la sensibilità tattile ovvero la capacità di discriminare gli stimoli presentati sulla cute. Essa è
massima proprio nelle dita delle mani e nelle labbra.
Il cervello si suddivide in: il nucleo centrale o paleoencefalo, il sistema limbico e la corteccia cerebrale. Nucleo: Si tratta del cervello
primitivo che ha la funzione di controllare i processi di base come l’alimentazione e il sonno. La parte centrale di questa struttura
cerebrale è il romboencefalo che è costituito dal midollo, dal ponte e dal cervelletto. All’interno del proencefalo si trova invece il
talamo: esso riceve le informazioni che provengono dagli organi di senso e le invia alle parti più alte del cervello. Ordina inoltre le
informazioni che riceve da esse per mandarle al midollo e al cervelletto. Proprio sotto il talamo, si trova un'altra piccolissima parte
di cervello, chiamata ipotalamo che, nonostante le sue modeste dimensioni, è fondamentale per il mantenimento dell’omeostasi
(equilibrio) all’interno del corpo. Sistema limbico: È costituito da diverse strutture a forma di ciambella che includono l’amigdala,
l’ippocampo e il fornice. Queste strutture hanno un’importante funzione nella regolazione dell’alimentazione, dell’aggressività e
della riproduzione. Hanno inoltre un ruolo importante nell’apprendimento, nella memoria e nell’esperienza del piacere, come
dimostrato da differenti ricerche. Corteccia cerebrale: Si tratta di una massa di tessuto ondulato, con molte pieghe. Questa forma
così complessa e ripiegata permette una forte interconnessione dei neuroni e un’elaborazione più sofisticata delle informazioni. Dal
punto di vista strutturale la corteccia cerebrale è costituita da quattro lobi, separati da profondi solchi:
• -‐ i lobi frontali sono collocati nella parte anteriore della corteccia;
• -‐ i lobi parietali si trovano subito dietro ai frontali;
• -‐ i lobi temporali si trovano nella parte centrale inferiore;
• -‐ i lobi occipitali sono collocati dietro ai temporali.
Un’altra possibile descrizione del neoencefalo riguarda le funzioni di determinate aree che la compongono. Ci sono tre principali
aree: motoria, sensoriale e di associazione.
52. Che cosa è il sistema limbico e quali sono le sue principali funzioni?
È l’apice del nucleo centrale e ha connessioni con la corteccia cerebrale. È costituito da diverse strutture a forma di ciambella che
includono l’amigdala, l’ippocampo e il fornice. Queste strutture hanno un’importante funzione nella regolazione dell’alimentazione,
dell’aggressività e della riproduzione. Hanno inoltre un ruolo importante nell’apprendimento, nella memoria e nell’esperienza del
piacere, come dimostrato da differenti ricerche.
• -‐ i lobi frontali sono collocati nella parte anteriore della corteccia;
• -‐ i lobi parietali si trovano subito dietro ai frontali;
• -‐ i lobi temporali si trovano nella parte centrale inferiore;
• -‐ i lobi occipitali sono collocati dietro ai temporali.
Un’altra possibile descrizione del neoencefalo riguarda le funzioni di determinate aree che la compongono. Ci sono tre principali
aree: motoria, sensoriale e di associazione.
• -‐ i lobi frontali sono collocati nella parte anteriore della corteccia;
• -‐ i lobi parietali si trovano subito dietro ai frontali;
• -‐ i lobi temporali si trovano nella parte centrale inferiore;
• -‐ i lobi occipitali sono collocati dietro ai temporali.
Il compito del Sistema Endocrino è quello di secernere ormoni, vale a dire sostanze chimiche che circolano nel sangue e influenzano
il funzionamento e la crescita di alcune parti del corpo. Elemento centrale del sistema endocrino è l’ipofisi o ghiandola pituitaria
che si trova vicino all’ipotalamo ed è regolata da esso. Può essere definita come il controllore del sistema endocrino, per questo
motivo è chiamata anche ghiandola maestra. Inoltre, gli ormoni che sono prodotti dall’ipofisi regolano la crescita.
I ritmi circadiani sono il nostro orologio interno e sono composti da processi biologici della durata di circa 24 ore. Per la precisione,
il ritmo circadiano durerebbe 24 ore e 18 minuti. La luce solare e il nucleo sovrachiasmatico del cervello sincronizzano però il ciclo
sulle 24 ore.
Molte funzioni umane sono regolate dai ritmi circadiani: il ritmo sonno-‐veglia, il ciclo mestruale, la temperatura corporea, il battito
cardiaco. Nello specifico ci sono alcune situazioni che portano ad un allontanamento tra l’orologio biologico e il ciclo del sonno che
portano a conseguenze negative. Per esempio, chi fa turni di notte presenta difficoltà cognitive e motorie a causa di un’alterazione
dei ritmi circadiani. Anche il jet lag, una sintomatologia caratterizzata da fatica, sonnolenza e ritmi sonno-‐veglia insoliti, è dovuto a
un’asincronia fra l’orologio interno e quello esterno. Si verifica quando si intraprendono viaggi che comportano un importante
cambiamento di fuso orario.
La fase REM del sonno è caratterizzata da accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione sanguigna, erezioni nei
maschi e soprattutto da movimenti avanti e indietro degli occhi, noti appunto come Rapid Eye Movements (REM) che danno il
nome a questa specifica fase. Il sonno REM viene anche definito sonno paradosso perché in esso compaiono onde cerebrali simili a
quelle dello stato di veglia. In questa fase, i sogni sono maggiormente vividi e facili da ricordare. Il sonno REM presenta alcune
funzioni fondamentali:
-‐ nei bambini l’attività neuronale che si associa a questa fase sembra necessaria per un corretto sviluppo del sistema visivo e forse
anche di altri sistemi sensoriali e del sistema motorio (Siegel, 2005);
-‐ negli adulti ha invece un ruolo centrale nell’apprendimento e nella memoria.
Il sonno è costituito da quattro fasi non REM e da una REM.
-‐ Fase 1: è caratterizzata da uno stato di veglia rilassata, con gli occhi chiusi, a cui corrispondono onde cerebrali piuttosto
veloci e con ampiezza ridotta. In questa fase possono comparire immagini, ma non si tratta ancora del sonno vero e
proprio.
-‐ Fase 2: è caratterizzata da un sonno maggiormente profondo con onde più lente e regolari. Si verificano tuttavia dei
picchi di onde particolarmente alte, i fusi.
-‐ Fase 3 il sonno diventa ancora più profondo e il cervello procede lentamente.
-‐ Fase 4: è caratterizzata da una tipologia di sonno molto profondo e regolare; compare un’insensibilità agli stimoli esterni
e diventa difficoltoso svegliare il soggetto.
-‐ La fase REM è caratterizzata invece da un sonno meno profondo, simile a quello delle prime due fasi di sonno non REM.
Durante questa fase, il battito cardiaco accelera, la pressione sanguigna si alza, si verificano erezioni nei maschi e
soprattutto compaiono movimenti avanti e indietro degli occhi, noti appunto come Rapid Eye Movements (REM) che
danno il nome a questa specifica fase. Il sonno REM viene anche definito sonno paradosso perché è associato a onde
cerebrali simili a quelle dello stato di veglia.
Le Fasi 3 e 4 compaiono in genere nella prima metà della notte, avvicinandosi al mattino si verificano invece prevalentemente le
prime due fasi insieme alla fase REM, nella quale tipicamente si sogna.
I sogni permettono di rielaborare alcune informazioni assimilate durante la giornata. Da un punto di vista evolutivo, è possibile
pensare che questa funzione fosse particolarmente importante per i nostri antenati animali che avevano cervelli troppo piccoli per
elaborare tutte le informazioni utili per la sopravvivenza nelle ore di veglia. In base a questa teoria, i sogni rappresentano
preoccupazioni, insicurezze, indecisioni, idee e desideri della vita quotidiana che vengono elaborate meglio durante le ore di sonno.
Le persone, attraverso il sogno, possono anche consolidare alcune memorie.
Sostiene che il cervello produce energia in maniera casuale durante la fase REM del sonno, probabilmente in seguito ai
cambiamenti nella produzione di alcuni neurotrasmettitori.
Tale energia stimola casualmente alcuni ricordi che sono conservati nel cervello. Tuttavia, anche mentre dormiamo è necessario
che vi sia un’attribuzione di senso a ciò che accade. Per questa ragione, il cervello fornisce un filo logico alle memorie attivate e
crea uno scenario razionale per il sogno.
La meditazione può essere definita, in generale, come una forma di alterazione della coscienza che aiuta a migliorare la conoscenza
di sé e il benessere, raggiungendo uno stato di profonda tranquillità. Nello specifico, la meditazione concentrativa permette alla
persona, minimizzando l’influsso di stimoli esterni, di controllare e regolarizzare il proprio respiro, di assumere determinate
posizioni corporee, di generare immagini mentali e di liberare la mente da ogni pensiero. La meditazione mindfulness insegna
invece a lasciarsi attraversare da pensieri e memorie senza reagire ad essi in alcun modo.
Alcune ricerche hanno dimostrato l’efficacia della mindfulness da differenti punti di vista.Essa sembra produrre effetti positivi sulla
salute in quanto permette alcuni cambiamenti biologici (diminuisce il consumo di ossigeno, il battito cardiaco e la pressione
sanguinea e varia l’andamento delle onde cerebrali). Nello specifico, per quanto riguarda le variazioni positive a livello cerebrale,
una ricerca, che ha utilizzato la risonanza magnetica, ha dimostrato che la meditazione può portare a un ispessimento delle aree
uditive e somatosensoriali della corteccia cerebrale (Lazar et al., 2005). La meditazione sembra inoltre essere in grado di
contrastare il fenomeno della diminuzione dei neuroni che si verifica con il progredire dell’età. Una ricerca ha infatti confrontato 13
persone con almeno tre anni di esperienza di meditazione (gruppo sperimentale) e 13 soggetti di controllo, che non avevano mai
praticato la meditazione. In questo secondo gruppo si è registrata una correlazione negativa tra età e spessore della corteccia
cerebrale che non è invece stata rilevata nel gruppo sperimentale (Pagnoni e Cekic, 2007).
Se è danneggiata la via ventrale si verifica l’agnosia visiva, ovvero l’incapacità di riconoscere volti familiari e di discriminare forma,
dimensione e orientamento di un oggetto. L’oggetto però viene riconosciuto inconsapevolmente e si riesce quindi ad agire con esso
in maniera adeguata. Se è danneggiata la via dorsale, si può verificare l’atassia ottica, si manifesta con errori di direzione quando si
muovono gli arti superiori e/o gli occhi sugli oggetti. È un disturbo di tipo visuo-‐motorio.
Stevens sostiene che le persone sono in grado di valutare l’intensità di una sensazione, associandola ad un numero. Formulò
quindi: Ψ = 𝐾𝐼% . La grandezza soggettiva è dunque proporzionale all’intensità dello stimolo elevata a una potenza. Ψ rappresenta
lo stimolo sensoriale. Quando n è minore di 1, la sensazione aumenta lentamente all’aumentare dello stimolo. Al contrario,
aumenta velocemente.
76. Quali sono le differenze fra la teoria tricromatica della visione e la teoria dei processi opposti di colore?
La teoria tricomatica del colore afferma che esistono tre tipi di coni nella retina, ciascuno dei quali risponde a una specie di varietà
di lunghezze d’onda. Una è più sensibile ai colori blu-‐viola. Una al verde, uno al giallo-‐rosso. Secondo questa ipotesi la percezione
del colore dipende dall’intensità con cui ciascuno dei tre tipi di coni è attivato. Questa teoria fornisce una spiegazione del
daltonismo. Ci sono però dei fenomeni che tale teoria non riesce a spiegare, come il fenomeno dell’immagine residua, che viene
spiegato dalla teoria dei processi opposti del colore. Tale teoria afferma che le cellule recettive sono legate a coppie e lavorano in
opposizione l’una all’altra. Nello specifico, esistono accoppiamenti blu-‐giallo, rosso-‐verde, bianco-‐nero.
la soglia percettiva è la soglia di percezione al di sotto della quale uno stimolo sensoriale non viene avvertito. In realtà la definizione
più corretta è quella di: soglia di percezione al disotto della quale lo stimolo viene percepito nel 50% delle stimolazioni.
Soglia assoluta: corrisponde alla minore intensità di uno stimolo che è necessaria affinché sia percettibile. Corrisponde al limite che
esiste fra gli stimoli non percepibili e quelli che l’individuo riesce a cogliere.
Soglia differenziale: (o Just Noticeable Difference) si definisce come l’incremento minimo dell’intensità di uno stimolo necessario
per percepire la differenza fra i due stimoli.
Sensazione: attivazione di organi di senso a seguito di una sorgente di energia fisica.
Percezione: organizzazione, interpretazione, analisi e integrazione dell’energia fisica o dello stimolo da parte sia degli organi di
senso sia del cervello.
Weber si occupava della discriminazione di stimoli sensoriali come due pesi presentati insieme alla mano destra e alla mano
sinistra. La legge di Weber afferma che la soglia differenziale diventa sempre più alta e quindi la sensibilità sempre meno buona al
∆(
crescere dell’intensità dello stimolo standard. 𝐾 =
(
dove ∆𝐼
è la soglia differenziale e I e l’intensità dello stimolo. K è una
costante di proporzionalità.
Osservò le relazioni tra gli stimoli percepiti e le corrispondenti variabili fisiche che possono essere rappresentate da una funzione in
cui a uguali incrementi in termini di soglie differenziali, corrispondono uguali rapporti nelle unità della variabile fisica. 𝑆 = 𝑐 log 𝑙 ,
dove S rappresenta l’intensità percepita, c è una costante, e L e l’intensità dello stimolo fisico.
La psicofisica è lo studio della relazione tra le caratteristiche fisiche degli stimoli e la nostra sensazione, ossia l’esperienza soggettiva
di questi stimoli sul piano psicologico. Essa ha giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo della psicologia, difatti molti psicologi
si sono cimentati in questioni legate alla psicofisica. Agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso vennero mosse alcune critiche
alla psicofisica classica. Viene posto in evidenza come i soggetti non si comportino come semplici rilevatori ma come soggetti attivi
che valutano e stimano lo stimolo; adattano la sensazione all’ambiente; decidono se rilevare o meno la differenza percepita. Lo
psicologo Stevens afferma che i soggetti sono in grado di valutare l’intensità di una sensazione associandola ad un numero, metodo
chiamato stima di grandezza. Un altro aspetto posto alla luce dalla nuova psicofisica è il fenomeno dell’adattamento sensoriale.
Esso è un aggiustamento delle capacità sensoriali dopo un’esposizione prolungata a stimoli fissi. L’adattamento avviene quando ci
si abitua a uno stimolo e si cambia il proprio quadro di riferimento. Altro fattore è la detenzione del segnale, che considera
l’influenza della presa di decisione sulla rilevanza dell’esistenza o meno dello stimolo da parte del soggetto.
83. In che senso la teoria della detenzione del segnale spiega come diverse persone, sottoposte alle stesse esperienze
sensoriali, possono rispondere in maniera differente?
Questa teoria sostiene che la rilevazione dell’esistenza o meno di uno stimolo da parte del soggetto dipende dall’influenza dei
processi di presa di decisione. La persona ha 4 possibilità:
• Dire si quando il segnale realmente esiste (detenzione corretta, DC)
• Dire si quando il segnale non c’è (falso allarme, FA)
• Dire no quando il segnale c’è (omissione, O)
• Dire no quando il segnale non c’è (rifiuto corretto, RF)
La scelta dipende da due fattori: la sensibilità di discriminazione dell’organismo, e criteri soggettivi di decisione. Rispetto a questo
fattore, ci sono soggetti propensi all’azzardo (gambler), e sceglierando più DC e FA, e soggetti propensi alla prudenza
(conservative), che sceglieranno più O ma anche RF.
Via visiva ventrale: collega l’area visiva primaria del lobo occipitale con regioni del lobo temporale. Via visiva dorsale: collega l’area
primaria del lobo occipitale con regioni del lobo parietale. Con gli studi di Mishkin e Ungerleider si ritiene che le due vie facciano
riferimento a informazioni di tipo diverso: la via ventrale è la via del cosa e a che fare con la percezione degli attributi degli oggetti;
mentre la via dorsale è la via del dove che si occupa dell’analisi della posizione degli oggetti nello spazio. Più recentemente, milner
e Goodale hanno proposto invece che la via ventrale si occupa dell’esperienza consapevole dell’oggetto, la via dorsale guida in
maniera inconsapevole le azioni con esse. Differiscono anche gli output dei due sistemi: mentre la via ventrale manda informazioni
alla memoria a lungo termine per un riconoscimento consapevole, la via dorsale offre un sistema di guida del movimento
immagazzinato nella memoria del lavoro.
La cornea è la parte più esterna, è una finestra protettiva trasparente. Grazie alla sua curvatura, rifrange la luce che la attraversa
per metterla a fuoco più chiaramente. La luce poi attraversa la pupilla, un buco nero al centro dell’iride. La grandezza dell’apertura
della pupilla dipende dalla quantità di luce presente nell’ambiente. Una volta passata attraverso le pupille, la luce entra nel
cristallino, che si trova dentro la pupilla. Esso provoca una curvatura dei raggi di luce tale da focalizzarli nella parte posteriore
dell’occhio. Focalizza la luce cambiando il proprio spessore, secondo un processo di accomodazione: si appiattisce quando si
guardano oggetti distanti, e si arrotonda quando si guardano oggetti vicini. L’immagine poi raggiunge la retina. Qui l’energia
elettromagnetica della luce viene convertita in energia nervosa. L’immagine viene rovesciata durante questo viaggio, quindi viene
proiettata capovolta nella retina. La retina è composta da uno strat sottile di cellule nervose che si trovano sul retro del bulbo
oculare. Esistono due tipi di cellule recettive alla luce: i bastoncelli (sottili e a forma cilindrica, altamente sensibili alla luce; essi
hanno un ruolo importante nella visione periferica e notturna) e i coni (responsabili della mesa a fuoco e del colore). La maggiore
concentrazione di coni si trova nella fovea, mentre i bastoncelli sono collocati all’esterno. La stimolazione nervosa prodotta in
questa sede viene trasmessa ad altre cellule nervose all’interno della retina: le cellule bipolari e le cellule ganglion. Le cellule
bipolari ricevono le informazioni dai coni e dai bastoncelli e le mandano alle cellule ganglion. Queste cellule sintetizzano le
informazioni visive e le inviano al cervello attraverso una fascia di assoni chiamata nervo ottico. Ogni occhio ne possiede uno, e si
incontrano a metà tra i due occhi, chiamato chiasma ottico. Gli impulsi nervosi provenienti dalla metà destra della retina sono
inviati alla parte destra del cervello, così come quelli della parte sinistra. Siccome l’immagine sulle retine è rovesciata, le immagini
che provengono dalla parte destra di ciascuna retina sono originate nella parte sinistra del campo visivo della persona e viceversa.
L’elaborazione finale delle immagini avviene della corteccia visiva del cervello, che le codifica e le organizza.
La radiazione elettromagnetica che stimola l’occhio è la luce. Questa energia fisica viene trasformata dall’occhio per poter essere
utilizzata dai neuroni che portano i messaggi al cervello. L’immagine viaggia prima attraverso La cornea è la parte più esterna, è una
finestra protettiva trasparente. Grazie alla sua curvatura, rifrange la luce che la attraversa per metterla a fuoco più chiaramente. La
luce poi attraversa la pupilla, un buco nero al centro dell’iride. La grandezza dell’apertura della pupilla dipende dalla quantità di
luce presente nell’ambiente. Una volta passata attraverso le pupille, la luce entra nel cristallino, che si trova dentro la pupilla. Esso
provoca una curvatura dei raggi di luce tale da focalizzarli nella parte posteriore dell’occhio. Focalizza la luce cambiando il proprio
spessore, secondo un processo di accomodazione: si appiattisce quando si guardano oggetti distanti, e si arrotonda quando si
guardano oggetti vicini. L’immagine poi raggiunge la retina. Qui l’energia elettromagnetica della luce viene convertita in energia
nervosa. L’immagine viene rovesciata durante questo viaggio, quindi viene proiettata capovolta nella retina. La retina è composta
da uno strat sottile di cellule nervose che si trovano sul retro del bulbo oculare. Esistono due tipi di cellule recettive alla luce: i
bastoncelli (sottili e a forma cilindrica, altamente sensibili alla luce; essi hanno un ruolo importante nella visione periferica e
notturna) e i coni (responsabili della mesa a fuoco e del colore). La maggiore concentrazione di coni si trova nella fovea, mentre i
bastoncelli sono collocati all’esterno. La stimolazione nervosa prodotta in questa sede viene trasmessa ad altre cellule nervose
all’interno della retina: le cellule bipolari e le cellule ganglion. Le cellule bipolari ricevono le informazioni dai coni e dai bastoncelli e
le mandano alle cellule ganglion. Queste cellule sintetizzano le informazioni visive e le inviano al cervello attraverso una fascia di
assoni chiamata nervo ottico. Ogni occhio ne possiede uno, e si incontrano a metà tra i due occhi, chiamato chiasma ottico. Gli
impulsi nervosi provenienti dalla metà destra della retina sono inviati alla parte destra del cervello, così come quelli della parte
sinistra. Siccome l’immagine sulle retine è rovesciata, le immagini che provengono dalla parte destra di ciascuna retina sono
originate nella parte sinistra del campo visivo della persona e viceversa. L’elaborazione finale delle immagini avviene della corteccia
visiva del cervello, che le codifica e le organizza.
Si sono affrontate due teorie: la teoria tricomatica del colore, e la teoria dei processi opposti del colore. La teoria tricomatica del
colore afferma che esistono tre tipi di coni nella retina, ciascuno dei quali risponde a una specie di varietà di lunghezze d’onda. Una
è più sensibile ai colori blu-‐viola. Una al verde, uno al giallo-‐rosso. Secondo questa ipotesi la percezione del colore dipende
dall’intensità con cui ciascuno dei tre tipi di coni è attivato. Questa teoria fornisce una spiegazione del daltonismo. Ci sono però dei
fenomeni che tale teoria non riesce a spiegare, come il fenomeno dell’immagine residua, che viene spiegato dalla teoria dei
processi opposti del colore. Tale teoria afferma che le cellule recettive sono legate a coppie e lavorano in opposizione l’una all’altra.
Nello specifico, esistono accoppiamenti blu-‐giallo, rosso-‐verde, bianco-‐nero.
È un meccanismo di difesa che insorge quando un tessuto sta subendo un danno. La cellula in questa situazione rilascia una
sostanza chimica, la sostanza P, che trasmette messaggi di dolore al cervello. Il dolore può essere acuto (quando insorge entro i
100ms dallo stimolo del dolore) o lento (quando insorge dopo un secondo o più),
La teoria del gate control sostiene che i recettori nervosi specifici a livello del midollo spinale sono collegati a determinate aree del
cervello legate al senso del dolore.Quando i recettori sono attivati, una sorta di cancello per il cervello viene aperto e ci permette di
sentire dolore. Un altro insieme di recettori neurali è però in grado di chiudere il cancello per il cervello, riducendo la sensazione di
dolore. Ci sono due modalità per fare questo:
•
Altri impulsi possono riempire i condotti nervosi legati al dolore distribuiti nel cervello à Stimoli diversi da quelli del
dolore competono e a volte rimpiazzano il messaggio neurale del dolore. Spiega perché sfregare la pelle intorno a una
ferita può aiutare a ridurre il dolore (lo stimolo dello sfregamento allevia gli stimoli del dolore);
• Intervengono fattori psicologiciàA seconda delle emozioni provate dall’individuo, il cervello può chiudere il cancello
mandando un messaggio attraverso il midollo spinale a una parte infortunata del corpo producendo così sollievo o
riduzione del dolore (esempio, i soldati che si feriscono in guerra possono non sentire dolore perché sono contenti di
essere ancora vivi).
E’ anche possibile che le endorfine giochino un ruolo attivo nell’apertura e nella chiusura del cancello del dolore.
90. Quali sono le differenze fra dolore acuto e dolore lento?
Acuto: quando insorge entro i 100ms dallo stimolo del dolore, viene anche detto come lancinante, pungente rapito ed elettrico.
Lento: quando insorge dopo un secondo o più. Viene anche derro urente, pulsante, nauseante o cronico.
Tale teoria afferma che i recettori specifici del midollo osseo sono collocati ad alcune aree del cervello che hanno a che fare con il
senso del dolore. Quando questi recettori sono attivati da una parte del corpo, viene aperto una specie di cancello (gate) per il
cervello che permette di sperimentare il dolore. Esistono però altri recettori che sono in grado al contrario di chiudere il cancello.
Si attiva quando le molecole di una sostanza entrano nelle cavità nasali. Queste sono ricoperte di cellule olfattive, che possiedono
delle ciglia a cui si legano le sostanze odorose. Le ciglia sono immerse in una sostanza mucosa che ha il compito di diluire e fissare
gli odori. In questa zona avviene la traduzione olfattiva e l’impulso nervoso che si è creato viene inviato al bulbo olfattivo che è
connesso alla corteccia olfattiva. L’olfatto possiede una stretta connessione con le aree limbiche.
Tale teoria afferma che i recettori specifici del midollo osseo sono collocati ad alcune aree del cervello che hanno a che fare con il
senso del dolore. Questa teoria potrebbe spiegare le differenze culturali nella percezione del dolore. Ad esempio, in india i
partecipanti al “rito degli uncini”, che celebra il potere degli dei, si conficcano degli uncini di acciaio sotto la pelle e i muscoli della
schiena. Durante il rito, si lasciano dondolare appesi a un’asta a cui sono attaccati tramite i ganci nella pelle. Questo produce uno
stato di leggera euforia e celebrazione, tanto che quando gli uncini vengono tolti, le ferite guariscono velocemente e dopo solo due
settimane non è più visibile alcun segno sulla pelle. Oppure i militari feriti in guerra possono anche non percepire il dolore perché
l’esperienza del dolore è offuscato dal sentimento di essere ancora vivi, cosicchè il cervello invia alla parte ferita il segnale di
chiudere le porte del dolore.
Ampiezza: permette di distinguere tra suoni con volume forte o debole e si misura in decibel. Frequenza: fa riferimento al numero
di vibrazioni complete in un secondo; corrisponde a una tonalità più alta o più grave del suono percepito. La complessità dell’onda
che rende conto del timbro del suono percepito e permette di distinguere se una nota musicale ad esempio è prodotta da diversi
strumenti.
Sostiene che aree diverse della membrana basilare rispondono a differenti tipi di frequenze: la parte più vicina alla finestra ovale è
maggiormente recettiva agli stimoli ad alta frequenza mentre la parte più prossima alla parte interna della coclea risponde meglio
ai suoni a bassa frequenza.
Ogni sensazione gustativa comporta tre eventi: la generazione di uno stimolo, la sua traduzione in stimolo nervoso che va al
cervello e l’interpretazione in termini sensoriali in stimolo nervoso che va al cervello e l’interpretazione in termini sensoriali ed
edonici.
98. Quali sono le principali strutture dell'orecchio e le loro funzioni?
Il suono incontra prima l’orecchio esterno, deputato a raccogliere il suono e a trasmetterlo alle parti interne. Dal padiglione
auricolare, il suono procede nel condotto uditivo, chiamato cosò perché vibra ogni volta che è colpito da un suono. Poi il suono
passa all’orecchio medio, una cavità che contiene tre ossicine chiamate martello incudine e staffa, i quali aumentano l’intensità
della vibrazione che ricevono e la trasmettono alla finestra ovale, una membrana che conduce all’orecchio interno. Il suono quindi
raggiunge la coclea, struttura a forma di chiocciola che contiene la membrana basilare. Tale membrana divide la coclea in due
cavità, superiore ed inferiore. È ricoperta di cellule pelose, che vengono mosse dalle vibrazioni che entrano nella coclea e
consentono l’invio del messaggio neurale al cervello. Il suono però può raggiungere la coclea anche attraverso la conduzione ossea.
Inoltre, nell’orecchio interno sono presenti delle strutture che sono legate al senso dell’equilibrio, ovvero i canali semicircolari, tre
tubicini che contengono un liquido il quale si sposta in seguito ai movimenti della testa. Dopo che il messaggio lascia l’orecchio
giunge alla corteccia auditiva del cervello.
Integrazione tra vista e udito: Se durante una conferenza si osserva un oratore sul palco, l’impressione è che il suono arrivi dalla
stessa direzione delle immagini. In realtà esso arriva da una direzione diversa, cioè dalle casse audio posizionate ai lati o sul retro
della sala. È il cervello che associa i dati sonori a quelli visivi i uno stesso evento, assumendo come decisiva l’ubicazione
dell’immagine. Però a volte la vita non è sempre dominante. Infatti, in un esperimento, ai soggetti veniva chiesto di osservare un
puntino nero lampeggiare su uno sfondo bianco. In una condizione, viene associato un bip alla comparsa del puntino, in un’altra
vengono associati due bit. Si è dimostrato che l’audio influenza l’impressione visiva: nel caso infatti del doppio bit, il puntino
appariva tremolante e non lampeggiante.
100. Si descrivano le differenze fra la teoria psicolinguistica e la teoria neurologica sulle sinestesie.
Teoria psicolinguistica: fondatori Osgood e Markas e in italia da Dogana. I fenomeni sinestetici sono di carattere cognitivo,
permettono quindi l’interpretazione fra processo percettivo e quello cognitivo. Danno luogo inoltre a risposte emotive comuni:
come associare il colore nero alla tristezza.
Teoria neurologica: fondata da Cytowic. Si basa sull’osservazione del funzionamento celebrale attraverso tecniche quali la PEC, TAC
e RM. La sinestesia ha a che fare con l’emisfero sinistro, in particolare con il sistema limbico (amigdala e ippocampo). Per Cytowic
esisteva un’unità sensoriale in cui i sensi erano fusi e indifferenziati, e in seguito si sono diversificati. La percezione quindi può
essere elaborata da due strutture diverse: la corteccia che lavora in maniera analitica; il sistema limbico che fonde tutte le
informazioni provenienti dai differenti canali sensoriali. Tutti possono sperimentare fenomeni sinestesici anche sem per molti il
processo rimane al di fuori della coscienza.
È quel fenomeno per cui una stimolazione che fa riferimento a una specifica modalità sensoriale produce una risposta non soltanto
in quel sistema sensoriale, ma in tutti gli altri.
Mentre stiamo passeggiando per le vie del centro della città natale, possiamo passare di fronte un antico panificio dove andavamo
da piccoli, sentendo il profumo dei prodotti tipici. Improvvisamente possiamo percepire l’odore del pane o dei dolci tipici, cibi che
magari eravamo soliti mangiare con la nonna. Il senso dell’olfatto ha provocato anche una stimolazione gustativa, oltre a un ricordo
dell’infanzia.
Figure nelle quali si ha un’inversione sistematica fra figura e sfondo. È un chiaro segno di instabilità percettiva, poiché è impossibile
percepire contemporaneamente entrambi i due stimoli o come figura o come sfondo.
Se ci basassimo solo sull’immagine retinica, tutte le immagini dovrebbero essere percepite come un mosaico di regioni tra loro
vicine. Invece di solito noi distinguiamo lo sfondo dalla figura, ovvero il contorno tra due regioni appare come il bordo di una
superficie che occlude l’altra. La figura ha un’estensione definita mentre lo sfondo è indeterminato e amorfo.
È un fenomeno per cui gli oggetti fisici vengono percepiti come invariabili e dotati di stabilità, nonostante lo stimolo prossimale
cambi continuamente anche in funzione dei cambiamenti nell’ambiente fisico. Si può affermare che si hanno circostanze percettive
quando la relazione tra stimolo ditale e il percetto rimane invariata anche al variare dello stimolo prossimale. Sono falsificazioni
dell’ipotesi della circostanza che invece presuppone un rapporto costante tra stimolo prossimale a percetto.
Kanizsa disegnò, su una superficie omogenea e bianca, tre settori circolari neri e sei segmenti. Percettivamente si coglie però al
centro un triangolo con dei contorni visibili, di un colore opaco e compatto. I settori circolari appaiono come dischi neri completi,
ma parzialmente nascosti dal triangolo: si tratta di un esempio di assenza dell’oggetto fisico, viene percepito il triangolo centrale
(oggetto fenomenico), anche se esso nella realtà non esiste (l’oggetto fisico è assente).
Kanizsa disegnò, su una superficie omogenea e bianca, tre settori circolari neri e sei segmenti. Percettivamente si coglie però al
centro un triangolo con dei contorni visibili, di un colore opaco e compatto. I settori circolari appaiono come dischi neri completi,
ma parzialmente nascosti dal triangolo: si tratta di un esempio di assenza dell’oggetto fisico, viene percepito il triangolo centrale
(oggetto fenomenico), anche se esso nella realtà non esiste (l’oggetto fisico è assente).
108. Qual è la differenza fra errore dello stimolo e errore dell'esperienza?
Con L’errore dello stimolo si descrive ciò che si sa e non ciò che si vede, come le illusioni ottiche. Con l’errore dell’esperienza si
attribuiscono alla realtà fisica degli attributi che appartengono alla percezione.
Realtà fisica: mondo così com’è. Realtà percettiva: il mondo come viene percepito.
Illusione di Poggendorf: si ha l’impressione che la linea X, se fatta continuare nello spazio tra le due linee parallele, passerebbe
sotto la linea Y anzicchè congiungersi con essa come in realtà avviene. Illusione di Muller-‐Lyer, porta a considerare che la prima
linea sia più lunga della seconda, anche se sono identiche.
La realtà che noi percepiamo non è una copia esatta della realtà fisica, ma il risultato di un processo psicofisico chiamato catena
psicofisica. Immaginiamo che gli anelli di questa catena siano costituiti da tre entità: 1. l’oggetto fisico, prodotto da una molteplicità
di radiazioni di vario tipo e intensità presenti nel mondo fisico. 2. La risposta fisiologica dei recettori del soggetto che percepisce,
stimolazione prossimale. 3. L’ultimo anello è il percetto, il contenuto percettivo dell’esperienza cosciente della persona.
Un vincolo che consideriamo nella percezione di grandezza è la relazione tra grandezza e inclinazione. L’aspetto più impressionante
è la resistenza alle influenze cognitive: anche dopo aver verificato l’esattezza dell’affermazione non riusciamo a convincerci della
sua correttezza.
La legge di Euclide sostiene che la grandezza dell’immagine retinica è inversamente proporzionale alla distanza dell’oggetto
dall’occhio. Nell’esperimento si chiedeva ai soggetti, posti a distanza diverse, di confrontare la grandezza di un disco campione con
altri dischi di confronto. Essi dovevano aggiustare la grandezza di un disco campione con altri dischi di confronto, in modo che la
grandezza percepita corrispondesse a quella del disco bersaglio. Si sono create 4 condizioni percettive: visione bioculare, visione
monoculare, visione monoculare con pupilla artificiale, visione monoculare con pupilla artificiale, tunnel di riduzione. I risultati sono
stati che, nella prima condizione, i soggetti aggiustavano il disco sempre nello stesso modo a tutte le distanze. Nella condizione
monoculare, la costanza era meno accurata, mentre nelle altre due condizioni le persone non aggiustavano sempre allo stesso
modo. La circostanza quindi funziona in condizioni in cui sono presenti ricche informazioni contestuali, se essere sono ridotte o
assenti questa fallisce e prevale la legge di Euclide.
115. Qual è la differenza fra stimolo distale, stimolo prossimale e percetto?
1. l’oggetto fisico, prodotto da una molteplicità di radiazioni di vario tipo e intensità presenti nel mondo fisico. 2. La risposta
fisiologica dei recettori del soggetto che percepisce, stimolazione prossimale. 3. L’ultimo anello è il percetto, il contenuto percettivo
dell’esperienza cosciente della persona.
Principio di vicinanza: a parità di altre condizioni si unificano gli elementi vicini. Principio della somiglianza: a parità di altre
condizioni si unificano gli elementi simili, per uguaglianza di colore. Principio di chiusura: le linee che delimitano una regione chiusa
tendono a unificarsi. Principio della continuità: a parità di altre condizioni, si unificano le unità con continuità di orientamento
spaziale. Principio della pregnanza: a parità di altre condizioni vengono privilegiati stimoli semplici, simmetrici e regolari.
117. Qual è la differenza fra processi della percezione bottom-‐up e processi top-‐down?
Sono due modi diversi di interpretare i nostri dati sensoriali. Oltre alla percezione, mirano all’attenzione e alla memoria.
L’elaborazione bottom up si basa principalmente sullo stimolo fondato sui dati provenienti dall’esterno. Sono le caratteristiche
fisiche dello stimolo visivo. Le informazioni che otteniamo fanno un percorso che parte dal basso verso l’altro. Quando guardiamo
un qualunque oggetto, esempio una sedia, il nostro sistema visivo partendo dalle caratteristiche più semplici (basso) elabora poi
tutte le altre forme più complesse della sedia come gambe, schienale ecc (alto). Con l’insieme di forme tutte integrate possiamo
percepire la sedia nel suo “insieme. Con l’elaborazione top down si intende l’elaborazione basata sui fattori cognitivi. Per ottenere
un input visivo dobbiamo ricorrere alla nostra memoria, alle sue informazioni. Questa volta si và dall’altro verso il basso perché le
informazioni della nostra memoria guidano l’input sensoriale dall’alto al basso. Un tipo di elaborazione non preclude l’altra. Nella
nostra vita quotidiana usiamo entrambi i tipi.
Il geone è una semplice forma 2D o 3D come, ad esempio, il cilindro, il cubo, il cono, il cerchio, il rettangolo che corrispondono agli
elementi più semplici di un oggetto secondo la teoria sul riconoscimento mediante i componenti.
Movimento indotto: l’oggetto può essere percepito in movimento anche se è in quiete. Movimento apparente o phi o
stroboscopio: un oggetto può essere percepito in movimento a partire da stimoli statii a intervalli regolari nel tempo. Movimento
autocinetico: un punto luminoso statico, se osservato in una stanza buia, può essere percepito come in movimento. Non avendo
punti di riferimento, la persona attribuisce i movimenti oculari al punto.
Il concetto di affordance fu coniato da Gibson (1979) per indicare la capacità dell’ambiente di stimolare l’azione nel soggetto
percepente, fornendogli cioè un ventaglio di possibilità d’interazione con esso. Vi era difatti, nell’intenzione dell’autore,
un’innovativa visione della relazione tra percetto e soggetto percepente, attribuendo all’ambiente non la semplice proprietà fisica
di essere manipolato, ma la potenzialità di incarnare le opportunità specifiche di azione offerte ad uno specifico individuo. Si ha
quindi un rapporto maggiormente biunivuco tra l’individuo e gli elementi che lo circondano, la possibilità cioè di relazionarsi con
essi deriva quindi, sia dalle abilità del singolo, che dalla proprietà di elicitazione dell’oggetto stesso. A livello sperimentale, sostegno
all’ipotesi della presenza di affordance, derivano dal cosiddetto effetto compatibilità.
Si basa sull'assunto che lo stimolo visivo è costituito da un insieme di caratteristiche, proprietà ed attributi essenziali che lo
distinguono rispetto ad un altro -‐> superare il problema della variazione di alcuni parametri dello stimolo. Stimoli diversi che
condividono le stesse caratteristiche/pattern. Secondo gli orientamenti più recenti non viene effettuata una
scomposizione/ricomposizione delle caratteristiche dello stimolo, come sostenevano le teorie dell'analisi delle caratteristiche, ma,
piuttosto, l'identificazione si fonderebbe sull'interazione ed integrazione tra le varie componenti fisiche dello stimolo, sulle loro
relazioni strutturali. Fra queste teorie:
Anne Treisman (1980-‐1982) “Teoria dell'Integrazione delle Caratteristiche”,
-‐ Primo stadio: Individuazione delle qualità Primarie -‐> Automatico (non richiede risorse attentive); in questo stadio si ha detezione
o registrazione di alcune caratteristiche salienti di stimolo (inclinazione, luminosità, colore, movimento, implica una elaborazione
parallela);
-‐ Secondo stadio: “Integrazione delle qualità Primarie” -‐> Implica un processo controllato dalla Attenzione e coinvolge
un'elaborazione seriale (analisi sequenziale degli stimoli); si ha Integrazione delle qualità dell'ogg. in componenti di ordine
superiore, per giungere alla percezione.
Biederman (1990) “Teoria del Riconoscimento per componenti” – Teoria della descrizione strutturale:
• Binoculare: indizi che provengono da entrambi gli occhi. La densità binoculare è l’insieme delle differenze fra le immagini
che si formano sulle retine. La convergenza è l’angolo formato dalla linea di mira fra i due occhi, in modo che l’immagine
cada nella fovea di ciascun occhio.
• Monoculare: indizi di profondità individuati tramite le informazioni che provengono da un solo occhio.
Nell’accomodazione, l’osservatore percepisce un’immagine sfocata, che dipende dallo sforzo e dalla curvatura del
cristallino. La densità monoculare è fenomeno del gradiente di densità della microstruttura delle superfici sulla retina. La
prospettiva di movimento è un’informazione veicolata dalle trasformazioni ottiche conseguenti allo spostamento della
vista. Gli indizi pittorici sono: la dimensione relativa, la sovrapposizione, la prospettiva lineare.
Da conto del rapporto che esiste tra percezione e conoscenza. L’esito percettivo dipende da un compromesso probabilistico tra
verosomiglianza e conoscenza a priori. Il peso delle due componenti varia a seconda delle situazioni: quando l’informazione
sensoriale è ambigua o debole, predominano le conoscenze a priori, al contrario il percetto è determinato dallo stimolo.
La stanza di Ames è una camera dalla forma distorta in modo tale da creare un'illusione ottica di alterazione della prospettiva.
Trovandosi in una situazione percettivamente ambigua, predominano conoscenza e aspettative creando illusione. Il sistema
incorpora delle aspettative sulle regolarità statistiche che caratterizzano gli oggetti.
È la disciplina che si occupa di rendere più user friendly gli oggetti tecnologici o gli ambienti artificiali.
127. Si descrivano alcune possibili applicazioni della teoria delle affordance.
Ha importanti implicazioni per chi si occupa di design progettazione. Se certi stimoli suggeriscono alcune azioni indipendentemente
dalle conoscenze pregresse, è importante progettare gli oggetti tenendo conto di queste affordance in modo che l’utilizzo sia
semplice.
La densità binoculare è l’insieme delle differenze fra le immagini che si formano sulle retine. La convergenza è l’angolo formato
dalla linea di mira fra i due occhi, in modo che l’immagine cada nella fovea di ciascun occhio.
Nell’accomodazione, l’osservatore percepisce un’immagine sfocata, che dipende dallo sforzo e dalla curvatura del cristallino. La
densità monoculare è fenomeno del gradiente di densità della microstruttura delle superfici sulla retina. La prospettiva di
movimento è un’informazione veicolata dalle trasformazioni ottiche conseguenti allo spostamento della vista. Gli indizi pittorici
sono: la dimensione relativa, la sovrapposizione, la prospettiva lineare.
Il movimento è sempre apportato a un sistema di riferimento: un oggetto si muove lungo la retina in relazione a uno sfondo
immobile, questa tipologia di percezione tiene coto anche dei movimenti della testa e degli occhi.
Sia per la teoria del filtro attenuato che quella della selezione tardiva l’informazione disattesa viene elaborata per quanto riguarda
il suo significato. La prima sostiene però che la sua identificazione sia un’eccezione, invece la seconda afferma si tratti di una regola.
Il sistema analizza tutta l’informazione e ne valuta la salienza. Se è rilevante, viene lasciata passare dal filtro. Viene collocata dopo i
processi percettivi, nella fase decisionale o di programmazione della risposta.
È una manifestazione emblematica dell’attenzione selettiva, di tipo uditivo, individuata da Cherry, nel 1953. Immaginiamo di essere
in una stanza affollata, come ad un aperitivo, insieme ad alcuni amici e di conversare con uno di loro su un argomento interessante.
Il nostro sistema attentivo è capace di udire e di comprendere la voce di quello specifico amico, ignorando tutto il resto. Anche se,
così facendo, andiamo incontro a una cecità di attenzione, in quanto le informazioni non oggetto del compito tendono a sfuggire.
Si tratta di una tipologia di attenzione selettiva che riguarda la modalità visiva e le informazioni che sono presenti nel campo visivo.
Quando si esplora lo spazio che ci circonda, si utilizzano due modalità di esplorazione: orientamento manifesto (si spostano gli
occhi verso gli oggetti e le posizioni spaziali di interesse) e orientamento implicito, si sposta l’attenzione sullo spazio o sull’oggetto
di interesse, senza muovere occhi o sguardo – “con la coda dell’occhio”.
Attenzione visiva spaziale: Si tratta di una tipologia di attenzione selettiva che riguarda la modalità visiva e le informazioni che sono
presenti nel campo visivo. Quando si esplora lo spazio che ci circonda, si utilizzano due modalità di esplorazione: orientamento
manifesto (si spostano gli occhi verso gli oggetti e le posizioni spaziali di interesse) e orientamento implicito, si sposta l’attenzione
sullo spazio o sull’oggetto di interesse, senza muovere occhi o sguardo – “con la coda dell’occhio”.
Attenzione selettiva: insieme dei meccanismi che permettono di centrare le proprie risorse mentali su alcune specifiche
informazioni, delle quali l’individuo diviene cosciente. Esempio è il fenomeno del cocktail party.
Il filtro è posto tra le informazioni sensoriali rilevanti e tralascia tutto ciò che non è reputato importante e decade nel giro di pochi
secondi. Anche se studi successivi hanno dimostrato che anche l’informazione cui non si presta attenzione subisce un’analisi.
Effetto Stroop: Scriviamo per 4 volte la parola “verde”, con 4 colori diversi: verde, rosso, arancione e blue. Sicuramente si fa fatica
quando manca la corrispondenza tra parola e colore. Questo deriva dal fatto che non è possibile ignorare il significato della parola,
anche se esso è irrilevante per il compito. In questo effetto quindi, l’interferenza è dovuta al significato della parola sul compito di
denominazione dei colori.
Fa riferimento al rallentamento dei tempi di risposta nelle condizioni non corrispondenti rispetto a quelle corrispondeni. Mostra
che la posizione spaziale dello stimolo è decodificata automaticamente anche quando è irrilevante per il compito.
Effetto Navon: compito consiste nel riconoscere delle lettere su due livelli: globale (ex. Lettera “H” composta da piccole “H” o da
piccole “S”, il candidato deve dire “H”) e locale (ex: lettera “H” composta da piccole “H” o piccole “S”, il candidato deve dire “H” o
“S”). L’effetto Navon può essere scomposto in due parti: la prima è che i tempi di reazione sono molto più rapidi quando
l’attenzione è posta sul livello globale piuttosto che su quello locale. Il secondo è che quando il livello rilevante è quello locale, la
presenza di una lettera incongruente al livello globale provoca un netto rallentamento dei TR mentre se l’attenzione è posta a
livello globale e il livello locale è incongruente il rallentamento è molto più modesto.
Effetto Stroop: Scriviamo per 4 volte la parola “verde”, con 4 colori diversi: verde, rosso, arancione e blue. Sicuramente si fa fatica
quando manca la corrispondenza tra parola e colore. Questo deriva dal fatto che non è possibile ignorare il significato della parola,
anche se esso è irrilevante per il compito. In questo effetto quindi, l’interferenza è dovuta al significato della parola sul compito di
denominazione dei colori.
Effetto Simon: Fa riferimento al rallentamento dei tempi di risposta nelle condizioni non corrispondenti rispetto a quelle
corrispondenti. Mostra che la posizione spaziale dello stimolo è decodificata automaticamente anche quando è irrilevante per il
compito.
Effetto Navon: compito consiste nel riconoscere delle lettere su due livelli: globale (ex. Lettera “H” composta da piccole “H” o da
piccole “S”, il candidato deve dire “H”) e locale (ex: lettera “H” composta da piccole “H” o piccole “S”, il candidato deve dire “H” o
“S”). L’effetto Navon può essere scomposto in due parti: la prima è che i tempi di reazione sono molto più rapidi quando
l’attenzione è posta sul livello globale piuttosto che su quello locale. Il secondo è che quando il livello rilevante è quello locale, la
presenza di una lettera incongruente al livello globale provoca un netto rallentamento dei TR mentre se l’attenzione è posta a
livello globale e il livello locale è incongruente il rallentamento è molto più modesto.
141. Si descriva il paradigma dello spatial cueing di Posner.
Posner nel 1980 ha studiato gli effetti dell’orientamento volontario e automatico. In un primo momento, ha studiato
l’orientamento volontario attraverso una sessione sperimentale che chiedeva al soggetto di sedere di fronte a uno schermo su cui
compariva un punto centrale. Doveva mantenere gli occhi fermi sui di esso. Ai lati del punto di fissazione erano presenti due cornici
quadrate. Il compito era quello di rispondere, il più velocemente possibile, premendo un tasto su un pc, alla comparsa di uno
stimolo target che appariva in una delle due cornici. Prima della comparsa del bersaglio, una freccia centrale suggeriva al soggetto
in quale delle due cornici era probabile che esso comparisse. Il suggerimento offerto (cue) portava a rivolgere volontariamente
l’attenzione verso la cornice indicata, prima che comparisse il target.
È un paradigma che viene utilizzato per confermare la teoria basata sugli oggetti (l’attenzione selettiva seleziona gli oggetti presenti
nel campo visivo e non porzioni dello spazio). Si presentano stringhe di lettere e si deve indentificare, nel minore tempo possibile la
lettera centrale, trascurando quelle che la fiancheggino. Se compaiono certe lettere, come la X o la F, occorre rispondere con un
tasto del pc. Se compaio altre lettere, come la Y o la H, si deve rispondere con un altro tasto del pc.
143. A che cosa si riferiscono e in che cosa si differenziano l'orientamento automatico e l'orientamento volontario
dell'attenzione?
L’orientamento volontario permette di selezionare intenzionalmente gli stimoli rilevanti per il raggiungimento degli scopi ed è
guidato da stimoli endogeni centrali. L’orientamento automatico ha luogo mentre il soggetto è impegnato a svolgere altre attività.
Non dipende dalle aspettative della persona, non può essere interrotto ed è guidato da stimoli esogeni o periferici. L’orientamento
volontario è più lento, ma i sui effetti durano più a lungo rispetto a quelli automatici. Sono due modalità di esplorazione
dell’attenzione visiva spaziale.
Presenta sullo schermo del pc uno stimolo visivo composto da alcuni elementi. Il soggetto deve cercare uno stimo target con alcune
caratteristiche percettive particolari. Po deve premere due differenti tasti, uno per indicare se il bersaglio è presente
La teoria del filtro attenuato è stata proposta dalla Treisman, in base alla quale il filtro non blocca completamente, ma attenua,
l’accesso dell’informazione selezionata. Ogni parola ha un livello di soglia differente e, se viene superata, il termine è riportato
anche se appartiene al canale disatteso.
In alcuni casi L’ADHD è di tipo severo, che richiede l’intervento di tipo farmacologico. In caso non sia di tipo severo, si interviene in
maniera psico educativa. 1. Parent training: trattamento basato sulla modificazione dei comportamenti dei genitori: tipicamente
sono degli incontri, in cui famiglie che hanno bambini con ADHD si incontrano sotto la guida di uno specialista che li guida, e che
gestisce il confronto su alcune tematiche importanti, come la gestione comportamentale, gestione di emozioni, capricci,
organizzare punizioni, o rinforzi ecc. 2. Child training: giochi e momenti di lavoro guidato e di riflessione per potenziale l’attenzione
e le capacità relazionali e di adattamento all’ambiente. 3. Teacher training: consulenza sistematica agli insegnanti per aiutarli a
costruire un atteggiamento positivo nei confronti dell’alunno con ADHD, favorendone l’apprendimento e le relazioni sociali
147. Quali sono alcune possibili strategie da utilizzare con bambini e ragazzi ADHD?
Le principali strategie da utilizzare con bambini ADHD sono: Strutturazione di spazi e attività di routine; Regole; Strategie di
rinforzamento positivo sistematico; Attenuazione dei disturbi; Fornire indicazioni sui tempi e sul grado di difficoltà del compito;
Permettere movimenti possibili; Individuare e potenziare i punti di fora del bambino; Stabilire un accordo condiviso; Punizione con
comportamenti molto negativi.
L’ADHD un disturbo neurobiologico che riguarda la disfunzione di alcune aree cerebrali e lo squilibrio di alcuni
neurotrasmettitori.Ve ne sono tre differenti tipologie: ADHD con disattenzione predominante, ADHD con iperattività/impulsività
predominante, ADHD di tipo combinato. Nello specifico il deficit di attenzione si manifesta con un deficit di attenzione focale o
sostenuta, con una facile distraibilità anche ad opera di stimoli banali e normalmente irrilevanti, con ridotte capacità di svolgimento
di compiti scolastici, attività quotidiane e giochi, con difficoltà nel seguire un discorso, con l’interruzione di attività iniziate e con
l’evitamento di quelle che richiedono sforzo cognitivo. L’iperattività si manifesta invece come incapacità di stare fermi, con un gioco
rumoroso e disorganizzato, con verbalizzazioni eccessive e spesso poco adeguate al contesto nel quale ci si trova. L’impulsività si
manifesta infine con una difficoltà di controllo comportamentale, con l’incapacità di inibire la prima risposta che viene in mente e
con l’associata tendenza a interrompere gli altri mentre stanno parlando, infine con il mancato evitamento di situazioni pericolose,
con conseguenti alti rischi soprattutto in preadolescenza e in adolescenza.
149. Quali sono gli assunti di base del condizionamento operante?
Immaginiamo di mettere un gatto in gabbia, e di porre fuori la gabbia del cibo. Il gatto in primo luogo cercherà di uscire.
Immaginiamo che dentro la gabbia sia stata posta una tavoletta che libera il chiavistello della porta della gabbia. Casualmente,
girando, il gatto calpesta la tavoletta che gli consente quindi di uscire. Se rimettessimo il gatto in gabbia, molto probabilmente
impiegherebbe molto meno tempo per uscire, finchè alla fine il gatto non calpesta volontariamente la tavoletta. Il condizionamento
operante è definito come una forma di apprendimento in cui una risposta volontaria viene rinforzata o indebolita, a seconda che le
sue conseguenze siano favorevoli o sfavorevoli.
Rinforzi positivi: quegli sforzi che vengono aggiunti all’ambiente e che determinano un aumento di una risposta precedente.
Rinforzi negativi: stimolo spiacevole la cui rimozione dall’ambiente fa aumentare la probabilità che la risposta precedente sia
ripetuta in futuro.
151. Qual è la differenza tra la legge dell'effetto e la legge dell'esercizio?
Legge dell’effetto: le risposte che causano conseguenti soddisfacenti hanno maggiori possibilità di venire ripetute.
Legge dell’esercizio: L’apprendimento è graduale e migliora con la ripetizione delle prove
Immaginiamo di mettere un gatto in gabbia, e di porre fuori la gabbia del cibo. Il gatto in primo luogo cercherà di uscire.
Immaginiamo che dentro la gabbia sia stata posta una tavoletta che libera il chiavistello della porta della gabbia. Casualmente,
girando, il gatto calpesta la tavoletta che gli consente quindi di uscire. Se rimettessimo il gatto in gabbia, molto probabilmente
impiegherebbe molto meno tempo per uscire, finchè alla fine il gatto non calpesta volontariamente la tavoletta. Il condizionamento
operante è definito come una forma di apprendimento in cui una risposta volontaria viene rinforzata o indebolita, a seconda che le
sue conseguenze siano favorevoli o sfavorevoli.
La legge dell’effetto è stata formulata da Thorndike e prende il suo nome: sostiene che risposte che causano conseguenze
soddisfacenti hanno maggiori possibilità di venire ripetute.
Lo studioso pose in una gabbia un gatto affamato e mise del cibo fuori da essa. L’animale inizialmente cercò dei modi per uscire.
Casualmente, girando per la gabbia, il gatto calpestò una tavoletta posta all’interno che liberava il chiavistello della porta e
consentiva l’uscita. Egli rimise poi il gatto nella gabbia e osservò che impiegò molto meno tempo per uscire; dopo alcune prove
l’animale calpestava volontariamente la tavoletta per uscire il più presto possibile.
Egli stava studiando la secrezione dei succhi gastrici e la salivazione dei cani. In alcune circostanza, i cani secernevano succhi
gastrici e salivavano, ancor prima di ingerire del cibo. Era sufficiente la vista dello sperimentatore o udire il suono dei passi, affinchè
la salivazione avesse inizio. Da qui il condizionamento classico, il quale afferma che uno stimolo neutro causa una risposta, dopo
che è stato abbinato a uno stimolo che normalmente causa quella risposta. Nei suoi esperimenti gli suonava il campanello e, dopo
qualche secondo, presentava il cibo al cane. Prima del condizionamento esistevano quindi due stimoli che non erano legati tra di
loro: il suono del campanello e il cibo. Il suono del campanello viene definito come stimolo neutro. Il cibo viene definito stimolo
incondizionato: uno stimolo che causa naturalmente una risposta (incondizionata) che non deve essere appresa. Il suono del
campanello così, veniva fatto associare allo stimolo incondizionato e provoca la stessa risposta che viene naturalmente prodotta
dallo stimolo incondizionato. Quando il condizionamento è completo, lo stimolo neutro si trasforma in stimolo condizionato, per
cui la salivazione del cane è una risposta condizionata. Pavlov ha dimostrato che uno stimolo neutro presentato immediatamente
prima dello stimolo incondizionato ha la massima possibilità di suscitare condizionamento, e il timing perfetto è compreso tra 0.5
sec a qualche secondo. Successivamente, continuando i suoi esperimenti, faceva suonare il campanello, dapprima il cane salivava
normalmente; poco a poco, il cane smetteva di salivare, processo chiamato estinzione: vale a dire che la risposta precedentemente
condizionata diminuiva di frequenza e alla fine scompariva. Qualche giorno dopo l’estinzione del campanello, il cane tornava a
salivare: fenomeno chiamato recupero spontaneo.
Si tratta di due concetti che fanno riferimento al condizionamento operante.
Un rinforzatore negativo è, nello specifico, uno stimolo spiacevole che, se rimosso dall’ambiente, fa crescere la probabilità che una
risposta precedente si ripeta nel futuro. Un esempio è quando si assume un potente antidolorifico per alleviare un forte mal di
testa che in breve tempo ha successo nel rimuovere lo stimolo spiacevole del dolore. Ciò rende probabile la futura assunzione dello
stesso antidolorifico in situazioni simili. Il concetto di punizione è differente, è uno stimolo che diminuisce la probabilità che un
comportamento precedente si ripeta. Mentre il rinforzatore negativo aumenta la probabilità che un comportamento si ripeta, la
punizione diminuisce questa possibilità. Può presentarsi come rimozione di qualcosa di piacevole, ad esempio quando si toglie a un
bambino il proprio gioco preferito, o come applicazione di uno stimolo spiacevole, ad esempio quando si sculaccia un ragazzino
dopo un suo comportamento scorretto.
Alcuni casi implicano che alcuni tipi di apprendimento coinvolgano processi di ordine superiore in cui i pensieri e i ricordi di una
persona e il modo in cui essa elabora le info spiegano le sue risposte.
Alcuni psicologi considerano l’apprendimento in termini dei processi di pensiero o cognizioni, su cui esso si basa, un approccio noto
come teoria dell’apprendimento cognitivo-‐sociale. Hanno sviluppato approcci che si concentrano su processi mentali inosservati
che si svolgono durante l’apprendimento. Centrali sono le aspettative che riceveranno un rinforzatore dopo avere emesso una
risposta. All’interno dell’approccio cognitivo sociale è necessario ricordare 3 forme di apprendimento:
Pavlov stava studiando la secrezione dei succhi gastrici e la salivazione dei cani. In alcune circostanza, i cani secernevano succhi
gastrici e salivavano, ancor prima di ingerire del cibo. Era sufficiente la vista dello sperimentatore o udire il suono dei passi, affinchè
la salivazione avesse inizio. Da qui il condizionamento classico, il quale afferma che uno stimolo neutro causa una risposta, dopo
che è stato abbinato a uno stimolo che normalmente causa quella risposta. Nei suoi esperimenti gli suonava il campanello e, dopo
qualche secondo, presentava il cibo al cane. Prima del condizionamento esistevano quindi due stimoli che non erano legati tra di
loro: il suono del campanello e il cibo. Il suono del campanello viene definito come stimolo neutro. Il cibo viene definito stimolo
incondizionato: uno stimolo che causa naturalmente una risposta (incondizionata) che non deve essere appresa. Il suono del
Fu un esperimento condotto da Watson nel 1920. Prima dell’esperimento, come tutti i bambini, Alber aveva paura dei rumori forti,
ma non dei ratti. Successivamente lo sperimentatore emetteva un rumore forte subito prima di mostrare un ratto ad Albert. Lo
stimolo incondizionato provocava nel bambino una risposta incondizionata (paura). Dopo pochi accoppiamenti rumore ratto, il
piccolo mostrava paura anche davanti al ratto. Si ha quindi una risposta condizionata di paura. Lo stimolo inoltre perdura nei giorni,
e si trasforma da paura nei ratti a paura in tutti gli animali simili ai ratti.
159. Si descrivano i fenomeni della generalizzazione e della discriminazione dello stimolo nel condizionamento classico.
Generalizzazione: tendenza a rispondere a uno stimolo che è simile, ma non identico, allo stimolo condizionato. Più due stimoli
sono simili, maggiore è la probabilità che avvenga la generalizzazione.
Discriminazione di stimoli: capacità di distinguere fra stimoli simili, ma non identici, allo stimolo condizionato.
Rinforzatori secondari: stimoli che diventano rinforzatori quando si associano a rinforzatori primari.
161. Qual è la differenza fra programmi a intervallo fisso e a intervallo variabile?
Si tratta di programmi di rinforzo intermittente, vale a dire moduli di frequenza e timing di un rinforzo, dopo un comportamento
desiderato, in cui esso non viene sempre rinforzato, ma soltanto qualche volta. Nello specifico i programmi a intervallo fisso e
variabile si riferiscono appunto all’intervallo di tempo che trascorre prima che venga fornito il rinforzo.
Un programma a intervallo fisso fornisce un rinforzo per una risposta soltanto dopo che è trascorso un intervallo di tempo fisso. In
questo caso i tassi di risposta sono piuttosto bassi. Si pensi a una situazione d’esame in cui si conoscono, mesi prima, data, ora e
luogo in cui si svolgerà. L’esame successivo sarà invece molto tempo dopo. In questo caso gli studenti, tipicamente, studieranno
moltissimo i giorni e le ore precedenti l’esame, subito dopo ridurranno però i ritmi di studio e difficilmente apriranno un libro il
giorno successivo l’esame. Un programma a intervallo variabile invece presenta un intervallo di tempo fra rinforzi consecutivi che
varia attorno a una media. Proseguendo con l’esempio delle abitudini di studio, un professore potrebbe proporre dei quiz a
sorpresa con valutazione, a frequenza non prevedibile, durante il suo corso. In questo caso lo studio dei suoi studenti sarebbe
molto più regolare, non sapendo quando il professore presenterà il quiz successivo. In questo modo si ovvia il problema dei bassi
tassi di risposta.
Si tratta di un processo di insegnamento di un comportamento complesso mediante la ricompensa di approssimazioni sempre più
strette del comportamento desiderato.
Questo meccanismo sta alla base dell’apprendimento di comportamenti complessi da parte degli animali, ma anche
dell’apprendimento di molte abilità umane articolate.
163. Qual è la differenza fra programmi a rapporto fisso e a rapporto variabile?
Nei programmi a rapporto fisso il rinforzo viene somministrato dopo un numero specifico di risposte. Nei programmi a rapporto
variabile il rinforzo viene somministrato dopo un numero variabile di risposte.
Vi sono programmi di rinforzo continuo (in cui il comportamento viene rinforzato goni volta che viene emesso) e programmi di
rinforzo intermittente (in cui il comportamento viene rinforzato qualche volta e non sempre). Per quanto riguarda i programmi di
rinforzo intermittente: Se si fa riferimento al numero di risposte emesse prima che viene presentato un rinforzo, distinguiamo
programmi a rapporto fisso e programmi a rapporto continuo. Nei programmi a rapporto fisso il rinforzo viene somministrato dopo
un numero specifico di risposte. Nei programmi a rapporto variabile il rinforzo viene somministrato dopo un numero variabile di
risposte.
Apprendimento operante: forma di apprendimento in cui la risposta viene rinforzata o indebolita. Un esempio può essere l’aver
appreso che scendere a compromessi produce il rinforzo di avere relazioni amicali e durature, anche nell’ambito delle relazioni
amorose o lavorative.
166. Si riporti almeno un esempio per ciascun programma di rinforzo.
Programma di rinforzo continuo: siamo davanti al distributore delle sigarette, che di norma, dovrebbe darci un pacchetto di
sigarette ogni volta che inseriamo il denaro. Se il distributore non ci da il prodotto desiderato, al massimo proviamo una seconda
volta, dopo andiamo subito a lamentarci con il tabaccaio.
Programma di rinforzo intermittente: immaginiamo di giocare alla slot machine, introdurremo più volte i soldi prima di accorgerci
che non funziona.
Programmi a rapporto fisso: un lavoratore a cottimo che riceve una somma di soldi ogni volta che termina di produrre, è spinto a
produrre di più per guadagnare di più.
Programmi a rapporto variabile: un centralinista che vende programmi tariffari vantaggiosi per una specifica compagnia; tale
centralinista potrebbe vendere il pacchetto di offerte alla seconda, alla quinta o alla decima telefonata.
Programmi a intervallo fisso: immaginiamo una situazione d’esame dove conosciamo in tempo ora, luogo, data. L’esame successivo
sarà dopo molto tempo. In questo caso le abitudini di studio prevedranno una full immersion immediatamente prima dell’esame,
subito dopo di rado lo studente si immerge a studiare. Tassi di risposta bassi.
Programmi a intervallo variabile: per ovviare ai tassi di risosta, un professore potrebbe decidere di proporre un quiz a sorpresa con
valutazione, a frequenza non prevedibile.
Tecnica per aumentare la frequenza dei comportamenti desiderati e per ridurre quella dei comportamenti indesiderati. Utilizza
molte tecniche differenti: programmi di rinforzo, modellamento, generalizzazione, discriminazione, estinzione. È utile anche per il
trattamento di ADHD
È una forma di apprendimento che sceglie come strumento la tecnologia. Può essere in parte interno alla scuola, in parte esterno.
L’apprendimento esterno alla scuola è contestualizzato, basato sull’imitazione o sull’esperienza condivisa con un esperto, il
discente infatti, può imparare sbagliando, facendo, provando. È un apprendimento basato sul fare, ed ha un carattere implicito. È
indirizzato da un docente o da un tutore che intraprendono un’interazione virtuale con i discenti. È anche maggiormente
frammentato rispetto all’apprendimento tradizionale.
Ogni volta che esploriamo la realtà o facciamo esperienze raccogliamo delle informazioni che organizziamo in mappe mentali in cui
rappresentiamo la realtà e possibili stili di comportamento da mettere in atto. Queste mappe vengono fatte riemergere dai nostri
“cassettini mentali” e si attiva un comportamento in risposta a specifiche condizioni ambientali.
La mancanza di una presenza fisica in aula può diventare una ricchezza e non in ulimite, in quanto permette il contatto fra persone
molto distanti e diverse tra loro. Occorre però, una gestion attenta ed esperta affinchè lo studente non si senta solo e impoverito di
tutta una serie di sistemi di significazione che sono tipici della comunicazione face to face.
Possono riguardare le conoscenze dichiarative esplicite, le procedure oppure la promozione di funzioni psichiche fondamentali.
La violenza che si osserva nei media può essere appresa dai giovani, con conseguenza molto pericolose, se la fruizione dei media
non è accompagnata dall’esercizio del pensiero critico.
173. Quali sono le componenti principali di un Serious Game?
Simulazione: essi riproducono aspetti di esperienza, amplificano i dati della realtà e anticipano prospettive future. Si distinguono
simulazioni ad alta fedeltà e a bassa fedeltà. Apprendimento: essi propongono di diventare un innovativo percorso per apprendere
conoscenze, competenze e capacità nei vari domini dell’esperienza. L’ultima componente è il gioco: permette di motivare l’utente a
sperimentare emozioni positive.
Attività digitali interattivi che attraverso la stimolazione virtuale consentono ai partecipanti di fare esperienze precise e accurate, in
grado di promuovere attraverso la forma del gioco percors.i attivi, partecipati e coinvolgenti di apprendimento nei vari domini
dell’esistenza
Secondo questo approccio, l’apprendimento è sempre legato a una specifica situazione o immerso in un particolare contesto, colui
che apprende vive un’esperienza interattiva, dove il discorso e l’argomentazione sono centrato. È la forma di apprendimento che
per secoli ha caratterizzato l’educazione di bottega, si poteva dire che l’allievo superava il maestro, quando tale allievo produceva
un capolavoro. Nell’apprendistato, l’esperto, attraverso una partecipazione guidata, entra in relazione con il novizio, che è attivo e
partecipe nel suo processo di apprendimento.
176. In che cosa consiste il concetto di partecipazione guidata?
Il concetto di partecipazione guidata fa riferimento all’approccio dell’apprendimento situato e, in particolare, alla tipologia di
elazione che lega novizio e esperto. Nello specifico, il secondo guida il primo che deve essere attivo e partecipe nel suo processo di
apprendimento. Le interazioni fra i due permettono un apprendimento sia esplicito e formale, sia implicito; l’allievo impara ad
attivare forme differenti di apprendimento a seconda dei contesti e ad esercitare la propria flessibilità cognitiva. Questo gli
permette di fronteggiare efficacemente le situazioni complesse e articolate tipiche della società contemporanea (Anolli, 2011).
Il celebre esperimento della bambola, messo a punto da Bandura per dimostrare l’apprendimento per imitazione, era così
costituito: Faceva vedere a dei bambini un film che mostrava un adulto che colpiva con violenza una bambola gonfiabile, usata
come punching ball. I bambini, giocando con la stessa bambola, mettevano in atto lo stesso comportamento violento che avevano
precedentemente osservato. Per cui apprendimento osservativo avviene secondo 4 tappe: 1. Prestare attenzione e percepire le
caratteristiche più critiche del comportamento. 2. Ricordare il comportamento. 3. Riprodurre l’azione. 4. Essere motivati ad
apprendere e a eseguire il comportamento in futuro.
Essi si concentrano sui pensieri sottostanti gli apprendimenti e sui processi mentali e inosservati che si svolgono mentre si impara.
Sono centrali le aspettative e ricevere un rinforzatore dopo aver emesso una risposta.
Questo approccio afferma che un nuovo comportamento viene acquisito, ma non viene presentato finchè non è somministrato un
incentivo per metterlo in atto. Tolman è il maggiore esponente, e condusse un esperimento nel quale diete la possibilità a tre
gruppi di ratti di vagare liberamente per un labirinto per 17 giorni. Formò due gruppi di controllo e uno sperimentale. Il primo
gruppo di controllo, chiamato non ricompensato, non riceveva nessuna ricompensa al termine del labirinto. Il secondo gruppo di
controllo, chiamato ricompensato, veniva ricompensato in cibo al termine del labirinto. Il gruppo sperimentale era costituito da
ratti che, per i primi 10 giorni della sperimentazione non ricevevano nessuna ricompensa in cibo. A partire dall’undicesimo giorno
veniva introdotta la manipolazione sperimentale: ottenevano cioè del cibo a fine labirinto. Osservò che: i ratti che non erano mai
stati ricompensati, commisero più errore rispetto ai ratti che ricevevano ricompense in cibo fin dal primo giorno. Per quanto
riguarda invece il gruppo sperimentale: a partire dall’undicesimo giorno, giorno in cui cioè venivano ricompensati alla fine del
labirinto con del cibo, hanno presentato una riduzione immediata degli errori e il loro tasso di sbagli è diventato paragonabile a
quello del gruppo di controllo ricompensato. Tolman quindi concluse che i ratti avevano sviluppato una mappa cognitiva o
rappresentazione mentale, soltanto però quando vi era un rinforzo come la ricompensa di cibo.
Condusse un esperimento nel quale diete la possibilità a tre gruppi di ratti di vagare liberamente per un labirinto per 17 giorni.
Formò due gruppi di controllo e uno sperimentale. Il primo gruppo di controllo, chiamato non ricompensato, non riceveva nessuna
ricompensa al termine del labirinto. Il secondo gruppo di controllo, chiamato ricompensato, veniva ricompensato in cibo al termine
del labirinto. Il gruppo sperimentale era costituito da ratti che, per i primi 10 giorni della sperimentazione non ricevevano nessuna
ricompensa in cibo. A partire dall’undicesimo giorno veniva introdotta la manipolazione sperimentale: ottenevano cioè del cibo a
fine labirinto. Osservò che: i ratti che non erano mai stati ricompensati, commisero più errore rispetto ai ratti che ricevevano
ricompense in cibo fin dal primo giorno. Per quanto riguarda invece il gruppo sperimentale: a partire dall’undicesimo giorno, giorno
in cui cioè venivano ricompensati alla fine del labirinto con del cibo, hanno presentato una riduzione immediata degli errori e il loro
tasso di sbagli è diventato paragonabile a quello del gruppo di controllo ricompensato. Tolman quindi concluse che i ratti avevano
sviluppato una mappa cognitiva o rappresentazione mentale, soltanto però quando vi era un rinforzo come la ricompensa di cibo.
La valutazione formativa permette appunto di potenziare costantemente l’esperienza dell’apprendere, rendendola ottimale.
La valutazione può avvenire:
•
Nella fase iniziale dell’apprendimento, per accertare il livello di partenza e per misurare le effettive capacità e competenze di una
persona all’inizio di un percorso (baseline);
•
Nella fase conclusiva per verificare l’entità dei progressi e in quali settori si sono verificati, ciò rappresenta un’importante spinta
motivazionale, per superare se stessi e fare meglio nella prova successiva;
• A distanza di tempo (follow up) per controllare la durata, la persistenza e l’efficacia degli apprendimenti stessi.
Apprendimento che ha luogo attraverso la riorganizzazione della percezione dei problemi legati a una data situazione. Fu scoperto
da Kohler. Alla base dei suoi esperimenti vi era la volontà di dimostrare l’ipotesi secondo cui i processi mentali sono una
componente essenziale dell’apprendimento, i quali affermavano che gli eventi mentali erano semplici speculazioni soggettive. Volle
dimostrare che gli scimpanzè potevano risolvere problemi complessi non soltanto per prove ed errori, ma anche attraverso
improvvise intuizioni.
A questo scimpanzè era stato insegnato come raggiungere la frutta appesa sulla gabbia, attraverso due modalità: ammucchiando le
scatole e arrampicandosi sopra di esse o utilizzando un bastone. Ad un certo punto, Kohler propose un nuovo scenario, la frutta era
appesa ancora più in alto, e per raggiungerla, lo scimpanzè doveva combinare i due apprendimenti. Dopo vari tentativi, riuscì a
combinare i due apprendimenti. Sultan quindi aveva stabilito nuove relazioni tra oggetti familiari.
Sultan era uno scimpanzé e divenne protagonista del celebre esperimento di Köhler per dimostrare l’apprendimento per insight,
quella forma di apprendimento che ha luogo attraverso la riorganizzazione della propria percezione dei problemi legati a una data
situazione. A Sultan, era stato insegnato come raggiungere della frutta appesa nella sua gabbia, attraverso due modalità:
È quella forma di apprendimento che avviene attraverso l’osservazione del comportamento di una persona che funge da modello.
Massimo esponente fu Bandura, che fece nel 1977, un esperimento per assurdo. Faceva vedere a dei bambini un film che mostrava
un adulto che colpiva con violenza una bambola gonfiabile, usata come punching ball. I bambini, giocando con la stessa bambola,
mettevano in atto lo stesso comportamento violento che avevano precedentemente osservato. Per cui apprendimento osservativo
avviene secondo 4 tappe: 1. Prestare attenzione e percepire le caratteristiche più critiche del comportamento. 2. Ricordare il
comportamento. 3. Riprodurre l’azione. 4. Essere motivati ad apprendere e a eseguire il comportamento in futuro.
Faceva vedere a dei bambini un film che mostrava un adulto che colpiva con violenza una bambola gonfiabile, usata come punching
ball. I bambini, giocando con la stessa bambola, mettevano in atto lo stesso comportamento violento che avevano
precedentemente osservato. Per cui apprendimento osservativo avviene secondo 4 tappe: 1. Prestare attenzione e percepire le
caratteristiche più critiche del comportamento. 2. Ricordare il comportamento. 3. Riprodurre l’azione. 4. Essere motivati ad
apprendere e a eseguire il comportamento in futuro.
Un esperimento di Köhler coinvolse Sultan, uno scimpanzé cui era stato insegnato come raggiungere della frutta appesa nella sua
gabbia, attraverso due modalità: ammucchiando scatole e arrampicandosi sopra di esse o utilizzando un bastone.
Ad un certo punto, Köhler propose un nuovo scenario a Sultan: la frutta era sospesa ancora più in alto e, per raggiungerla, lo
scimpanzé doveva combinare i due precedenti apprendimenti. In un primo momento Sultan provò a colpirla da terra con il bastone,
procedendo per prove ed errori.
Non riuscendo a raggiungere l’obiettivo, diede segni evidenti di frustrazione, gettò via il bastone e si sedette, grattandosi la testa.
A un certo punto, guardò le scatole ammucchiate in un angolo e all’improvviso si alzò e trascinò una cassa sotto la frutta, saltò su di
essa e riuscì a raggiungere le banane con il bastone.
Si era quindi verificato il fenomeno dell’insight, Sultan aveva stabilito relazioni nuove tra oggetti familiari.
Chi ha uno stile verbale, preferisce il codice linguistico: prima legge, poi guarda. Ama scrivere riassunti, fare associazioni verbali,
seguire le istruzioni scritte e prendere appunti. In genere è un gran parlatore.
Chi al contrario possiede uno stile visuale preferisce le caratteristiche visuo-‐spaziali: prima guarda, poi legge. Sfrutta le potenzialità
di schemi, rappresentazioni grafiche (mappe, grafici) e immagini. Spesso utilizza la sottolineatura di parti importanti, con matite
colorate, evidenziatori, frecce, riquadri.
Chi presenta uno stile riflessivo ha dei tempi di risposta lunghi e riflette prima di dare una risposta. È uno stile lento e accurato, è
poco spontanea nella parola e preferisce non essere costretta a intervenire in contesti pubblici o di gruppo. Chi presenta uno stile
impulsivo ha dei tempi di risposta brevi, è frettoloso e impreciso. Questa difficoltà a riflettere in maniera adeguata, lo porta a
prendere delle decisioni o delle strategie errate.
Viene definito come il modo in cui l’allievo fissa, organizza, e recupera le informazioni. La definizione del proprio stile rappresenta il
punto di partenza per raggiungere la flessibilità cognitiva. C’è da dire che non sempre la preferenza per un certo stile rappresenta
poi la reale padronanza dello stile stesso. Lo stile di apprendimento rimanda alla modalità sensoriale con cui si percepiscono le
informazioni. Quindi abbiamo 4 tipologie di stile diverso: visivo-‐verbale, visivo-‐non verbale, uditivo, e cinestetico.
Durante il percorso scolastico, alcuni studenti possono incontrare delle difficoltà di apprendimento che causano poi uno scarso
rendimento. Questo può succedere per svariati motivi: una motivazione scarsa nei confronti della scuola, un ambiente scolastico
non stimolante, o un ambiente familiare svantaggiato a livello sociale o economico, la presenza di deficit o difficoltà cognitive.
Quanto non sono presenti però degli svantaggi di tipo socio-‐economico, deficit di carattere cognitivo, sensoriale o motorio, si parla
di disturbi specifici dell’apprendimento.
Chi presenta uno stile convergente ha un modo che segue la logica e fa uso delle informazioni che possiede. Presenta una routine e
abitudini che sono consolidate. Ci presenta uno stile divergente ha una modalità autonoma e creativa di procedere, non ha routine
o abitudini, ma al contrario fa uso di strategie sempre nuove ed ha molta fiducia nelle proprie capacità.
Chi presenta uno stile globale si focalizza sull’aspetto generale di un compito. Parte quindi dalla visione d’insieme per giungere, in
seguito, all’analisi dei particolari. Pone attenzione a più aspetti contemporaneamente. Chi ha uno stile analitico si focalizza sul
dettaglio e soltanto dopo giunge alla visione d’insieme.
194. Che cosa sono gli stili cognitivi e perché sono importanti?
Secondo Boscolo, lo stile cognitivo è una modalità di elaborazioni delle informazioni che la persona adotta in modo prelevante.
Esso permane nel tempo e si generalizza a compiti diversi. È differente rispetto alle abilità, poiché le abilità si riferiscono a uno
specifico dominio e contenuto, mentre gli stili cognitivi sono pervasivi e riguardano ogni ambito dell’attività cognitiva. Stenberg
afferma che gli stili cognitivi rappresentano delle preferenze nell’uso delle proprie abilità, quindi non esistono stili migliori o
peggiori, ma soltanto diversi. Quindi lo stile si adatterà a quelle che sono le richieste dell’ambiente nel quale si è inserito. Si
sviluppano a partire dalle tendenza di personalità in cui entrano in gioco aspetti biologici e fattori ambientali.
195. Qual è la differenza tra stile stile sistematico e stile intuitivo?
Lo stile sistematico è tipico delle persone che analizzano in maniera graduale tutte le differenti variabili di un problema, utilizzando
la strategia a piccoli passi. Ha la necessita di consegne e indicazioni precise, e quando non capisce quanto indicato, chiede dei
chiarimenti. Impiega inoltre molto tempo per consegnare un lavoro, perché appunto ha la necessità di analizzare in maniera
sistematica tutti gli elementi in gioco. Chi ha uno stile intuitivo, al contrario, parte da un’ipotesi risolutiva e poi svolte dei tentativi
per confermarla. La persona intuitiva interpreta le consegne molto facilmente, quindi non delle delucidazioni in merito. Di
conseguenza, i tempi di consegna di un lavoro sono molto brevi.
Sono 4.
Dislessia: disturbo dell’automatizzazione e nella correttezza della lettura intesa come decodifica del testo, si traduce in lentezza ed
eccessivo numero di errori. Il modello che spiega la dislessia prende il nome di modello a due vie, secondo il quale esistono due
vien distinte e funzionali, che entrano in gioco nel processo di lettura e scrittura, una via lessicale (quando viene presentata la
parola scritta, se questa è conosciuta dal lettore, attiva una rappresentazione che si può associale anche al sistema semantico) e
una via fonologica (che riguarda l’accento, in cui la lettura avviene in maniera lessicale che è rapida e si basa sulle caratteristiche
visive). Si distinguono differenti forme di dislessia: fonologica (il sistema compromesso è relativo alla conversione grafema-‐
fonema), superficiale (i bimbi non colgono e non memorizzano le configurazioni delle parole), mista (presenta sia fonologica che
superficiale ed è associata a errori sia di lettura di non parole che di parole). La dislessia porta anche a difficoltà di comprensione.
Disortografia: è un disturbo specifico nella correttezza della scrittura, intesa come abilità di codifica fonografica e competenza
ortografica. Non è semplicemente lo studente che non conosce le regole, ma è quello che ha difficoltà processuali sottostanti,
fatica ad analizzare le parole e a passare da un codice fonetico a uno grafemico. Gli errori che caratterizzano la disortografia sono:
errori fonologici (scambio di grafemi o sillabe, inversione di lettere o sillabe), non fonologici (separazione o fusione illegale, scambio
di grafema, omissione o aggiunta della lettera h), altri errori.
Disgrafia: è un disturbo della grafia, intesa come abilità grafo-‐motoria. Difficoltà nella realizzazione manuale di grafemi. Presentano
una fatica a riprodurre configurazioni grafiche e nell’orientamento spaziale nella scrittura risulta non fluente. Sono presenti
difficoltà maggiori nell’automatizzare il corsivo, impugnatura scorretta che porta a dolori alla mano, anche dopo aver scritto poco.
197. Quali sono le possibili forme di intervento in caso di DSA?
Vi sono due possibili strade: il trattamento e l’utilizzo di strumenti compensativi o misure dispensative. Per quanto riguarda il
trattamento, in genere si propone la logopedia. Un’alternativa è il metodo Bakker, che interpreta la lettura come frutto di un
equilibrio tra i contributi dell’emisfero celebrale destro e sinistro. Tale trattamento consiste nel ripristinare l’equilibrio
intraemisferico, stimolando l’emisfero ipoattivo. Vengono quindi presentate al pc delle parole di lunghezza, complessità e formato
diverso a una frequenza variabile, che il bimbo deve leggere nel minor tempo possibile. Le sedute durano 45 minuti circa, e
vengono ripetute due volte a settimana per 4 mesi. In alternativa, vi sono i software riabilitativi, che hanno il vantaggio di poter
essere usufruiti da casa, senza dover andare dallo psicologo ogni settimana. Lo svantaggio però è che viene a mancare la relazione
con lo specialista che è essenziale per la buona riuscita del trattamento. Uno dei software è Redinet. A scuola invece, lo studente
può contare su misure compensative o dispensative. Le misure compensative, sono strumenti, didattici o tecnologici, che
compensano la prestazione richiesta nell’abilità compromessa, senza sollevare l’alunno dal compito. Ad esempio, la tavola
pitagorica, le tabelle, le mappe concettuali, le parole chiavi, calcolatrici, registratori, sintesi vocali, audio-‐libri digitali. Le misure
dispensative sono interventi che permettono all’alunno di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo, risultano
difficili e che non migliorano l’apprendimento. Esempio: verifiche orali, al posto di quelle scritte, riduzione della verifica, o aumento
del tempo necessario per finirla, interrogazioni programmate su argomenti predefiniti, la dispensa di alcune prestazioni come
leggere a voce alta, scrittura sotto dettatura, studio mnemonico, dispensa dallo studio di lingue straniere o antiche.
198. Quali sono le modalità di apprendimento che facilitano i DSA?
È preferibile proporre prove orali, anziché scritte. Presentano stili di apprendimento uditivo e cinestesico, quindi apprendono
meglio attraverso l’ascolto, l’osservazione, la sperimentazione e gli aiuti visivi. Hanno difficoltà a restare concentrati, quindi
bisognerebbe introdurre delle pause frequenti durante lo studio, o verifiche con tempi ridotti. Hanno difficoltà anche nella gestione
del tempo, per cui sarebbe utile fornire loro orologi digitali e dei planning per l’organizzazione degli impegni. Hanno difficoltà
mnemoniche, ma in compenso hanno un pensiero creativo molto più sviluppato e può essere quindi interessante sfruttare tale
potenzialità per permettere loro di dare il meglio nei compiti.
199. Qual è la differenza tra memoria di lavoro e memoria a breve termine?
Nella memoria a breve termine: Per essere mantenute, le informazioni devono essere trasferite alla memoria a breve termine. La
memoria a breve termine tratta le informazioni che riceve in maniera differente rispetto alla memoria sensoriale. Infatti, nella
memoria sensoriale le informazioni sono immagazzinate come una copia fedele di quanto presente nel mondo fisico. Mentre nella
memoria a breve termine, esse sono organizzate sulla base di un significato. Essa a inoltre una capacità di ritenzione limitata; nello
specifico, riesce a trattenere sette unità di informazioni più o meno due (numero di Miller). Esse prendono il nome di chunk che
possono essere definite come raggruppamenti significativi di stimoli immagazzinabili nella memoria a breve termine come unità.
Un chunk può corrispondere a una singola lettera o numero, ma anche a configurazioni più ampie come una parola e unità
significativa.
Memoria di lavoro: Autore di riferimento è Baddley. Secondo questo approccio, la memoria a breve termine viene considerata
come un insieme di magazzini d memoria temporanei che ripetono attivamente le informazioni. Nello specifico viene postulata
l’esistenza di:
o Loop fonologico: che ripete le informazioni di tipo verbale, linguaggio, parole e numeri.
Tutti questi sistemi sono coordinati e controllati dall’esecutivo centrale, che interviene nel ragionamento e nel processo
decisionale. Le ricerche dimostrano che è costituito da tre componenti: l’inibizione (che permette di eliminare i contenuti
irrilevanti, liberando le risorse necessarie per le operazioni successive), la traslazione (permette di gestire le situazioni in cui
l’attenzione deve essere spostata da un compito all’altro), l’aggiornamento (consente di modificare gli obiettivi in funzione delle
diverse fasi di svolgimento del compito).
LA TEORIA DELLA PROFONDITA’ DELLA CODIFICA: E’ stata formulata da Craick e Lockhart negli anni ’70 in opposizione alla teoria
dei tre sistemi di memoria. Afferma che la semplice ripetizione non è sufficiente per garantire la memorizzazione del materiale, ma
che risulta essere centrale il processo di codifica dello stesso. Hanno utilizzato degli esperimenti in cui presentavo ai soggetti delle
liste di parole e chiedevano loro di ricordare quelle che iniziavano con una determinata lettera. A seconda della posizione occupata
dalle parole nella lista, queste avevano maggiori o minori possibilità di ripetizione. I risultati hanno mostrato che le parole che
venivano ripetute più di altre, non erano memorizzate meglio. Questo permise ai due autori di dimostrare l’ipotesi. Più nel
dettaglio, gli autori ipotizzano l’esistenza di due differenti tipologie di codifica:
o Strutturale: più superficiale, fondata su diversi codici, per esempio quello fonetico; le prestazioni di recupero non sono
sempre buone.
o Semantica: più profonda, complessa e legata al significato del materiale, garantisce il ricordo migliore.
201. Si descriva la teoria dei tre sistemi della memoria.
nato all’interno della teoria cognitivista, ad opera di Atkinson e Shiffrin (1968-‐1971). Essi hanno proposto tre magazzini sequenziali
di memoria che le informazioni devono attraversare affinchè siano ricordate. Esse sono:
1. Memoria sensoriale: immagazzina le informazioni per una o due secondi, come replica esatta dello stimolo.
2. Memoria a breve termine: mantiene per 15-‐25 secondi e incomincia a organizzarla in base al significato.
3. Memoria a lungo termine: immagazzina le informazioni in modo quasi permanente. Questo magazzino ha una capacità
quasi illimitata e permette di conservare le informazioni in maniera quasi permanente
E’ stata formulata da Craick e Lockhart negli anni ’70 in opposizione alla teoria dei tre sistemi di memoria. Afferma che la semplice
ripetizione non è sufficiente per garantire la memorizzazione del materiale, ma che risulta essere centrale il processo di codifica
dello stesso. Hanno utilizzato degli esperimenti in cui presentavo ai soggetti delle liste di parole e chiedevano loro di ricordare
quelle che iniziavano con una determinata lettera. A seconda della posizione occupata dalle parole nella lista, queste avevano
maggiori o minori possibilità di ripetizione. I risultati hanno mostrato che le parole che venivano ripetute più di altre, non erano
memorizzate meglio. Questo permise ai due autori di dimostrare l’ipotesi. Più nel dettaglio, gli autori ipotizzano l’esistenza di due
differenti tipologie di codifica:
o Strutturale: più superficiale, fondata su diversi codici, per esempio quello fonetico; le prestazioni di recupero non sono
sempre buone.
o Semantica: più profonda, complessa e legata al significato del materiale, garantisce il ricordo migliore.
Teoria secondo cui la memoria è costituita da rappresentazioni mentali di informazioni interconnesse. L’attivazione di una memoria
provoca quindi l’attivazione di memorie correlate attraverso il processo di diffusione dell’attivazione. Questo modello spiega il
concetto di priming, fenomeno per cui l’esposizione a una parola o concetto (prime), facilita in seguito la rievocazione di
informazioni correlate, anche se non c’è una memoria consapevole della parola o del concetto. Questo punto richiama la
distinzione tra memorie esplicite (ricordo intenzionale o conciso delle informazioni) e memorie esplicite (fanno riferimento a
ricordi di cui le persone non hanno consapevolezza, ma che possono influenzare i successivi comportamenti e prestazioni)
La memoria può essere definita come quel processo con cui si codificano, si immagazzinano e si recuperano le informazioni. Questi
tre processi costitutivi della memoria sono molto importanti e riguardano la registrazione iniziale delle informazioni (codifica), la
successiva archiviazione per un utilizzo futuro (immagazzinamento), e il reperimento delle informazioni immagazzinate per scopi
specifici (recupero).
205. Qual è la differenza tra memoria a breve termine e memoria a lungo termine?
Nella memoria a breve termine: Per essere mantenute, le informazioni devono essere trasferite alla memoria a breve termine. La
memoria a breve termine tratta le informazioni che riceve in maniera differente rispetto alla memoria sensoriale. Infatti, nella
Memoria a lungo termine: immagazzina le informazioni in modo quasi permanente. Questo magazzino ha una capacità quasi
illimitata e permette di conservare le informazioni in maniera quasi permanente. Essendo molto estesa, a volte può essere
complicato recuperare un’informazione in essa collocata.
Memoria di lavoro: Autore di riferimento è Baddley. Secondo questo approccio, la memoria a breve termine viene considerata
come un insieme di magazzini d memoria temporanei che ripetono attivamente le informazioni. Nello specifico viene postulata
l’esistenza di:
o Loop fonologico: che ripete le informazioni di tipo verbale, linguaggio, parole e numeri.
Tutti questi sistemi sono coordinati e controllati dall’esecutivo centrale, che interviene nel ragionamento e nel processo
decisionale. Le ricerche dimostrano che è costituito da tre componenti: l’inibizione (che permette di eliminare i contenuti
irrilevanti, liberando le risorse necessarie per le operazioni successive), la traslazione (permette di gestire le situazioni in cui
l’attenzione deve essere spostata da un compito all’altro), l’aggiornamento (consente di modificare gli obiettivi in funzione delle
diverse fasi di svolgimento del compito).
L’interferenza proattiva avviene quanto le informazioni immagazzinate apprese precedentemente disturbano la rievocazione del
materiale più recente. L’interferenza retroattiva si riferisce alla difficoltà di evocare alcune informazioni a casa sella successiva
esposizione a materiale differente.
L’apporto di una persona in un processo legale, che ha il ruolo di testimone legale, sicuramente è fondamentale, anche se non
esente da rischi. I testimoni tendono a commettere qualche errore quando devono ricordare dei particolari di un delitto. Ma ciò
non avviene perché mentono, poiché la memoria non ha niente a che vedere con la sincerità della persona che le ricorda.
L’attendibilità di un ricordo è data da un insieme di fattori di costruzione che si utilizzano in un determinato contesto e dagli
elementi fisiologici che possono avere influenzato la percezione del soggetto. A volte, se è coinvolto l’utilizzo di un’arma da fuoco o
da taglio, essa catalizza l’attenzione del testimone, con la conseguenza che non restano risorse sufficienti a disposizione per gli altri
particolari. Da ciò deriva un ricordo meno accurato, che prende il nome di effetto arma. Entra in gioco anche la formulazione delle
specifiche domande a parte di poliziotti o procuratori. È anche possibile che si verifichino errori di congiunzione mnestica, ovvero
vengono uniti due ricordi per generarne un terzo. Un altro errore riguarda la correzione del passato, in cui bambini e anziani sono
particolarmente suscettibili. Inoltre, dobbiamo distinguere una testimonianza oculare diretta, da una indiretta (come si può capire
diretta è quando una persona assiste personalmente all’accaduto, indiretta il contrario). Come conseguenza a tutti questi effetti è
possibile che si generino delle false memorie, prive di qualsiasi base di realtà. Alla base di tal processo vi è il meccanismo
psicologico della suggestionabilità, collegato a caratteristiche di personalità specifiche a eventi specifici che possono influenzare il
modo in cui viene ricostruito un ricordo.
Fu il primo autore a sperimentare l’oblio. Egli si somministrò delle stringhe di lettere senza senso, composto da due consonanti
intervallate a una vocale. Misurò i tempi di apprendimento del materiale, a intervalli differenti. Vide che l’oblio più raido avveniva
nelle prime 9 ore. Con il tempo si svilupparono delle tecnologie avanzate per spiegare l’oblio.
In primo luogo, è possibile che il materiale non venga codificato e quindi non può essere recuperato. Un’altra ragione può essere il
decadimento che corrisponde alla perdita di informazioni a causa del loro mancato utilizzo. Infatti, esiste una traccia mnesica che fa
seguito all’apprendimento del materiale; quando entra in gioco il decadimento, la traccia scompare. Un’altra possibile ragione può
essere l’interferenza, ossia il fenomeno per cui le informazioni immagazzinate nella memoria disturbano il ricordo altre. Abbiamo
l’interferenza proattiva e retroattiva.
L’oblio è una parte costruittiva essenziale della memoria. Primo psicologo a studiarla più Ebbinghaus. Egli si somministrò delle
stringhe di lettere senza senso, composto da due consonanti intervallate a una vocale. Misurò i tempi di apprendimento del
materiale, a intervalli differenti. Vide che l’oblio più rapido avveniva nelle prime 9 ore. Con il tempo si svilupparono delle tecnologie
avanzate per spiegare l’oblio. Uno dei primi contributi fu dato da Warrington e Sanders nel 1971. Utilizzarono dei vecchi articoli
britannici, e chiesero ai partecipanti di ricordare questi eventi e di riflettere sui processi che avevano utilizzato per la rievocazione. I
risultati mostrarono che questo genere di fatti erano sottoposti in maniera consistente al fenomeno dell’oblio. L’interferenza
proattiva avviene quanto le informazioni immagazzinate apprese precedentemente disturbano la rievocazione del materiale più
recente. L’interferenza retroattiva si riferisce alla difficoltà di evocare alcune informazioni a casa sella successiva esposizione a
materiale differente.
Un esempio di memoria autobiografica potrebbe essere quando la nonna donava dei soldi ai nipotini una volta a settimana, e
raccomandava loro di conservarli per il futuro.
213. Quali sono le principali tipologie di errori di memoria che si possono verificare in caso di testimonianza oculare?
Errori di congiunzione mnestica che uniscono due ricordi, uno semantico e uno episodico, che originano un terzo ricordo non
veritiero. Un altro errore è la correzione del passato in funzione della coerenza e semplificazione. Infine, bambini e anziani sono
particolarmente suscettibili alle influenze esterne.
Le tracce mnestiche sono distribuite in tutto il cervello, sia a livello di contenuti che di funzioni. L’immagazzinamento delle
informazioni è collegato alle aree che l’hanno inizialmente elaborata in termini sensoriali. Sono molto specializzate nelle diverse
fasi della memorizzazione ed entrano in gioco differenti aree encefaliche. Alcune aree inoltre, sono specializzate in determinati
compiti di memoria, ovvero le aree limbiche. L’ippocampo ha il ruolo centrale nella codifica e consolidamento delle memorie
mentre l’amigdala è implicata in quei ricordi che presentano componenti emotive.
L’amnesia retrograda implica la perdita delle informazioni che precedono una specifica lesione.
E’ quella che si vede nei film, implica che la vittima riceva un colpo in testa ed è poi incapace di ricordare qualsiasi cosa del suo
passato.
In realtà questo tipo di amnesia è molto raro.
Di solito, i ricordi persi ricompaiono gradualmente, ma il ripristino completo può richiedere anni.
Alcune memorie vengono perdute per sempre e la perdita è selettiva.
L’amnesia anterograda implica perdita delle informazioni che seguono una specifica lesione.
Le info non vengono trasferite dalla MBT alla MLT e si è quindi incapaci di ricordare qualsiasi cosa che non fosse già stata
immagazzinata nella MLT prima dell’incidente.
Sicuramente, l’obiettivo principale delle mnemotecniche è quello di associare delle informazioni scollegate e di organizzarle sulla
base di un significato. Baddley, nel 1976, dimostrò che la rievocazione di materiale organizzato è più semplice di quello non
organizzato, quindi l’organizzazione delle informazioni passa anche attraverso la loro associazione. Altro principio è quello della
visualizzazione, ovvero creare delle immagini che consentono di legare tra loro materiali diversi. Nonostante questi vantaggi, le
mnemotecniche presentano dei limiti: tempo di presentazione delle informazioni; tempo necessario per apprendere; tali tecniche a
volte sono inutili per memorizzare o ricordare un contenuto strutturato parola per parola; altro limite è il mantenimento a lungo
termine delle mnemotecniche e la loro reale applicabilità nella vita quotidiana.
È un tipo di demenza. Rappresenta il 54% di tutte le demenze. Essa si manifesta con la dimenticanza di eventi. Piano piano la
patologia di aggrava e di deficit di memoria diventano sempre più importanti. Alla fine si perde la capacità di parlare e/o di
comprendere il linguaggio e si conclude con la morte della persona.
Corrispondo a una perdita di memoria senza altre difficoltà mentali. Vi sono due tipi di amnesia: retrograda (perdita delle
informazioni che precedono una specifica lesione) e anteretrograda (perdita delle informazioni che seguono una lesione)
219. Quali sono le principali tecniche per potenziare la memoria?
Sono le mnemotecniche: strategie pratiche pensate per permettere di migliorare le prestazioni in compiti mnestici. Una tecnica
utile è quella delle parole chiavi: associare una parola estera a una parola italiana per poterla ricordare meglio. Anche il luogo dove
si memorizza ha un ruolo importante nel successo. Per quanto riguarda il materiale da memorizzare, è meglio che tale materiale sia
ben organizzato al fine di poter memorizzare meglio. È utile anche prendere degli appunti. Poi vi sono le tecniche di tipo verbale:
comprendono rime (metodo più semplice per memorizzare informazioni tra loro collegate), acronimi parole artificiali create con le
iniziali di alcuni termini che vogliamo ricordare), acrostici (frasi in cui le lettere iniziali di ogni parola suggeriscono il recupero
dell’informazione), e il sistema fonetico (tale sistema presuppone una prima fase di apprendimento dello stesso, una seconda fase
in cui si costruisce un casellario mentale, e una fase conclusiva in cui si associano le parole a quelle che vanno effettivamente
memorizzate). Vi sono anche le tecniche di tipo visivo: associazioni visive (facilitano la memorizzazione di materiali come liste di
parole), storie (seguono la stessa logica delle associazioni visive), mnemotecnica dei loci (utilizzata da Cicerone, consiste nel
collocare gli elementi da ricordare all’interno dei luoghi fisici) e peg system (memorizzazione di una filastrocca di 10 parole in cui
ciascuna di essa rima con un numero da 1 a 10. Tale procedimento prevede che ciascuna parola venga associata all’informazione da
memorizzare attraverso l’immagine).
220. Si scelga una mnemotecnica e si descriva una sua possibile applicazione.
Peg system: tale tecnica consente di memorizzazione di una filastrocca di 10 parole in cui ciascuna di essa rima con un numero da 1
a 10. Tale procedimento prevede che ciascuna parola venga associata all’informazione da memorizzare attraverso l’immagine. In
italiano ad esempio la filastrocca è:
uno-‐pruno, due-‐bue, tre-‐re, quattro-‐gatto, cinque-‐pingue, sei-‐nei, sette-‐vette, otto-‐dotto, nove-‐piove, dieci-‐ceci.
Morbo di Alzheimer: Rappresenta il 54% di tutte le demenze. Essa si manifesta con la dimenticanza di eventi. Piano piano la
patologia di aggrava e di deficit di memoria diventano sempre più importanti. Alla fine si perde la capacità di parlare e/o di
comprendere il linguaggio e si conclude con la morte della persona.
Amnesia: Corrisponde a una perdita di memoria senza altre difficoltà mentali. Vi sono due tipi di amnesia: retrograda (perdita delle
informazioni che precedono una specifica lesione) e anteretrograda (perdita delle informazioni che seguono una lesione)
Sindrome di Korsakoff: colpisce gli alcolisti, si verificano allucinazioni e il ripetere più volte uno stesso racconto.
Anche una memoria troppo efficiente può portare a disfunzioni. Infatti, persone con capacità di rievocazione totale, presentano
conseguenze negative, tali da definirli (come si vede nel caso di studio di Luria) “disorganizzati e ottusi”
222. Si descriva la teoria delle condizioni necessarie e sufficienti (CNS).
In base a tale teoria, il concetto può essere descritto da un insieme di tratti definitori. Sono un intervento limitato di termini
primitivi combinate mediante operazione di congiunzione, disgiunzione, e negazione. Ne seguono alcuni corollari quali: criterio di
necessità (nessun tratto può essere cancellato), criterio di sufficienza (nessun tratto può essere aggiunto), il concetto è definito da
una lista strutturata di tratti, senza relazioni gerarchiche, e il concetto ha confini netti di delimitazione.
Il prototipo è l’esempio più significativo del caso di studio preso in esame. La teoria del prototipo fu elaborata per la prima volta
dalla Rosch, che ha postulato due principi sulla quale si basa l’organizzazione in categorie: economia cognitiva (la mente semplifica
la realtà, focalizzandosi sui dati maggiormente frequenti) e struttura del mondo percepito (gli oggetti vengono percepiti come
dotati di una struttura correlazionale.
Semplificano il flusso percettivo, per cui gli esemplari si riducono al concetto stesso di cui fanno parte. La seconda funzione è
inferenziale: si assegnano a un oggetto molte caratteristiche del concetto a cui appartiene. La terza funzione consente di aiutare a
comprendere e a pensare il mondo.
225. Qual è la differenza tra la dimensione orizzontale e la dimensione verticale della teoria del prototipo. Si descriva la
teoria del prototipo.
La prima a parlare di questa teoria su Eleonor Rosch. Sulla base dell’organizzazione in categorie (economia cognitiva e struttura del
mondo percepito) si formano due sistemi categoriali che si collocano su due dimensioni: orizzontale e verticale. La struttura
orizzontale riguarda la struttura interna delle categorie, arrivando ad affermare che i prototipi sono i migliori campioni presi in
esame durante un caso di studio, esemplari cioè che presentano il numero maggiore di caratteristiche proprie di una categoria e il
numero minore di caratteristiche di membri di altre classi. La dimensione verticale si lega alla struttura intercategoriale, ed è
organizzata in maniera gerarchica, su tre livelli: base (i membri condividono il maggior numero di attributi possibili del prototipo),
subordinato (i membri condividono le caratteristiche del livello base, ma si differenziano per alcuni aspetti specifici), e
superordinato (i membri condividono soltanto poche caratteristiche)
Un percorso di categorizzazione può essere una bambina che crea un insieme di cose verdi: una foglia, un pennarello, un
fermacapelli. La categorizzazione non segue sempre criteri logici, ma a volte è dinamica, mediata dai contesti dagli scopi e
dall’esperienza.
È la conoscenza che guida il nostro operare sul mondo e riguarda l’uso funzionale degli oggetti e delle procedure di azione (parola
chiave) efficaci. È possibile distinguere tre concetti chiave (esposti dal modello di Shank e Ableson): PLANS (conoscenze generali),
SCRIPT (forma di conoscenza schematica degli eventi in cui viene svolta un’azione di base) e GOAL (l’obiettivo che si desidera
raggiungere).
Euristica: si tratta di strategie di soluzione di un problema che sono semplici ed economiche e si fondano su una stima della
probabilità che un fatto si verifichi o meno. Algoritmi invece sono sequenze di regole che, se vengono applicate correttamente,
portano alla soluzione del problema. L’euristica permette di trovare una soluzione possibile ma, a differenza dell’algoritmo, non
può evitare che gli errori si verifichino. Le euristiche però sono molto spesso la soluzione più ottimale per risolvere i problemi e
trovare soluzioni.
Il pensiero narrativo o sintagmatico si riferisce al modo di interpretare gli eventi, unendoli fra loro e rappresentandoli sulla base di
una trama che permette di coglierne il senso. Il pensiero scientifico o pragmatico riguarda la registrazione oggettiva e accurata di
fatti, eventi, con l’obiettivo di classificarli e ordinarli. Si differenziano in base ai loro scopi, quello scientifico ha lo scopo di
individuare leggi generali e ragionamenti logici. Lo scopo del pensiero narrativo è quello che individuare le relazioni tra le azioni
dell’essere umano e i corrispondenti stati interni
È una modalità di funzionamento mentale caratterizzata da due dimensioni: interpretativa ed episodica. La dimensione episodica
lega il pensiero narrativo ad eventi, fatti ed episodi, quindi possiede un’organizzazione spazio-‐temporale e causale. Distinguiamo un
approccio strutturalista (studia i processi che permettono la produzione e la comprensione di storie) e processuale (indaga le
procedure che consentono l’attuarsi di una narrazione all’interno di un contesto comunicativo). La dimensione interpretativa
riguarda la funzione di mediazione tra l’esperienza e chi narra, ed è studiata dall’approccio socio-‐culturale.
È costituita dall’insieme delle conoscenze sul mondo disponibili nella memoria a lungo termine raccoglie le conoscenze
enciclopediche degli oggetti e le conoscenze organizzate in concetti, classi e insiemi. Ha due funzioni principali: referenziale e
predicativa.
Sono delle rappresentazioni all’interno della mente, si immagini di pensare alla disposizione dei mobili nella propria casa, o di un
professore del liceo. Ma non si tratta solo di rappresentazioni visive, infatti siamo in grado di “sentire” una musica nella nostra
testa, o di “rivivere” un sapore o un odore. Molti studi hanno dimostrato che le immagini mentali hanno molte proprietà delle
percezioni degli oggetti rappresentati, infatti la mente impiega molto più tempo a immaginare oggetti grandi piuttosto che uno
piccolo. Siamo anche in grado di ruotare l’immagine che abbiamo nella mente. Inoltre, vi sono molti studi che confermano che la
produzione di immagini mentali aiuti a migliorare alcune capacità umane, come per esempo nelle attività sportive, o di problem
solving. La produzione delle immagini mentali aiuta anche il processo di lettura.
234. Si scelga una tipologia di euristica e si descriva un esempio della sua applicazione.
Euristica della rappresentatività: utilizza la somiglianza tra oggetti o eventi per fare stime di probabilità. Esempio:
“Caterina ha avuto un attacco cardiaco ed ha più di 50 anni.” “Caterina ha avuto un attacco cardiaco”.
In genere, le persone tendono a credere maggiormente alle affermazioni che sono specifiche e dettagliate, invece sono più
probabili le affermazioni maggiormente generali.
Sono due e sono interpretativa ed episodica. La dimensione episodica lega il pensiero narrativo ad eventi, fatti ed episodi, quindi
possiede un’organizzazione spazio-‐temporale e causale. Distinguiamo un approccio strutturalista (studia i processi che permettono
la produzione e la comprensione di storie) e processuale (indaga le procedure che consentono l’attuarsi di una narrazione
all’interno di un contesto comunicativo). La dimensione interpretativa riguarda la funzione di mediazione tra l’esperienza e chi
narra, ed è studiata dall’approccio socio-‐culturale.
Euristica: si tratta di strategie di soluzione di un problema che sono semplici ed economiche e si fondano su una stima della
probabilità che un fatto si verifichi o meno.
Forma di ragionamento composta da due premesse, di cui una maggiore e una minore, e dalla conseguenza che ne discende. Tali
premesse possono essere negative o positive, generali o particolari, possono contenere informazioni concrete o di tipo astratto.
Il ragionamento induttivo, parte dal particolare per arrivare al generale. Tale ragionamento si basa sulla probabilità e può condurre
all’errore. Vi sono due principali funzioni: l’individuazione di regolarità e la generalizzazione. Esso fa uso di euristiche (si tratta di
strategie di soluzione di un problema che sono semplici ed economiche e si fondano su una stima della probabilità che un fatto si
verifichi o meno) o di algoritmi (sequenze di regole che, se vengono applicate correttamente, portano alla soluzione del problema).
Parte da premesse generali e giunge a conclusioni particolari. Non aumenta la quantità di conoscenze che sono contenute nelle
premesse, ma sono necessarie per trarre le conseguenze opportune. Esempio:
Adelaide è più alta di Caterina. Caterina è più alta di ilenia. Adelaide è più alta di Ilenia.
Questo è un sillogismo. In un ragionamento deduttivo, la conclusione è necessaria qualora le premesse siano tutte vere.
È una forma di conoscenza schematica degli eventi in cui viene svolta una sequenza di azioni sulla base di una successione spazio-‐
temporale per il raggiungimento di uno scopo specifico.
Algoritmi sono sequenze di regole che, se vengono applicate correttamente, portano alla soluzione del problema.
243. Quali sono le differenze fra ragionamento deduttivo e ragionamento induttivo?
Il ragionamento deduttivo: Parte da premesse generali e giunge a conclusioni particolari. Non aumenta la quantità di conoscenze
che sono contenute nelle premesse, ma sono necessarie per trarre le conseguenze opportune. Il ragionamento induttivo: Il
ragionamento induttivo, parte dal particolare per arrivare al generale. Tale ragionamento si basa sulla probabilità e può condurre
all’errore.
Analisi dei mezzi e dei fini: ripetuti esami delle differenze tra obiettivi che si desiderano realizzare e situazione attuale.
Euristica delle rappresentatività: utilizza la somiglianza tra oggetti o eventi per fare stime di probabilità.
Euristica delle disponibilità: prevedere la probabilità di un evento sulla base della facilità con cui esso riesce ad essere ricordato.
Vi sono due posizioni: l’ipotesi proposizionale e quella analogica. La prima, sostenuta da Pylyshyn, sostiene che l’attività
immaginativa non sia un processo cognitivo autonomo né una modalità specifica di rappresentazione figurale della realtà. In altre
parole, le immagini mentali non hanno un ruolo funzionale, possono essere presenti oppure no. E qualora sono presenti, essi
indicano solo che in quel momento è in atto un altro tipo di processo. Secondo questo punto di vista, le informazioni provenienti
dal mondo esterno sono uniche e di tipo proposizionale, simbolico e astratto. Il modello analogico, i cui maggiori esponenti sono
Paivio e Kosslyn, afferma che esistono due codici di elaborazione delle informazioni. Quello proposizionale-‐linguistico che ha a che
fare con le parole e trasmette i dati in forma astratta non collegata con l’oggetto che rappresentano. Quello analogico, al contrario,
rappresenta gli input non linguistici, ad esempio quelli spaziali o figurali. Sono stimoli che somigliano all’oggetto che rappresentano.
All’interno di questa ipotesi si sono sviluppate due teorie: la teoria del doppio codice, e la teoria di Kosslyn. La teoria del doppio
codice (di Paivio) afferma che esistono due sottoinsiemi di codifica: verbale (specializzato per il linguaggio, utilizza unita
rapprentazionali chiamate logogeni con struttura sequenziale) e non verbale/immaginativo (specializzato per eventi e oggetti non
verbali, usa unità rappresentazionali chiamate immageni che operano in maniera sincrona e simultanea). La teoria di Kosslyn
Il pensiero procedurale è un tipo di conoscenza che guida il nostro operare sul mondo e riguarda l’uso funzionale degli oggetti e
delle procedure di azioni efficaci. Un esempio può essere lo svolgersi di una cena in un ristorante. Infatti, lo script riguarda tutte
quelle conoscenza che si mettono in atto per comportarsi al meglio. Quando si arriva in un ristorante, si chiede se c’è un tavolo, o si
da il proprio nominativo se tale tavolo è stato prenotato. Ci si siede e si attende poi che il cameriere arrivi per portare il menù. Una
volta scelto, si comunica con garbo, e senza urlare, al cameriere la propria scelta, e si attende poi affinchè arrivi il cibo ordinato. Al
termine della cena, si chiede il conto e si paga.
Il pensiero convergente si riferisce a situazioni che permettono un’unica risposta corretta, sulla base di strategie definite e
codificate nel passato. Si avvicina al concetto logico-‐matematico. Il pensiero divergente, al contrario, utilizza situazioni nuove, dove
sono possibili diverse soluzioni, richiede molto tempo per vagliare le possibili soluzioni, e i tempi decisionali quindi sono più lunghi.
L’associazionismo ha dato un’interpretazione del pensiero creativo fornendo una base teorica e un preciso metodo d’indagine.
Mednick ritiene che l’aspetto più importante del pensiero creativo sia costituito dalla diversa combinazione associativa e definisce
tale pensiero come la capacità di mettere insieme in modo utile idee di solito lontane l’una dall’altra. Tali legami associativi si
caratterizzano per la novità, la rarità delle associazioni stesse ma anche per l’utilità. La scoperta creativa può essere agevolata da
serendipità (contiguità accidentale), associazione rara (tra elementi somiglianti, di stimoli e risposte, anche se diversi e indipendenti
tra loro), mediazione (che avvicina elementi distanti tra loro attraverso passaggi intermedi).
È possibile affermare che l’uomo compie delle associazioni tra diversi aspetti della realtà secondo differenti criteri: idee che hanno
in comune qualche elemento, idee che hanno una similarità nelle funzioni, oggetti che rapporti di Tipo temporale, causale,
personale, spaziale
individuata da Duncker nel 1935, la fissità funzionale è una forma di fissità che porta ad usare gli elementi del problema in base al
loro utilizzo tradizionale che però è inefficace nella situazione specifica.
Il complesso delle tecniche e delle metodologie necessarie all'analisi di una situazione problematica allo scopo di individuare e
mettere in atto la soluzione migliore.
Preparazione della soluzione. Fase preparatoria, in cui distinguiamo 3 tipi di problemi: di sistemazione (la persona deve ridisporre o
ricombinare gli elementi per soddisfare un certo criterio necessario alla soluzione del problema), di induzione di una struttura (la
persona deve riuscire a individuare la relazione che esiste tra gli elementi presenti e poi provare a ricostruire delle relazioni nuove),
di trasformazione (composti da stadio iniziale, finale e un metodo che conduce dal primo al secondo stadio)
Produzione della soluzione. Nella fase di produzione, possiamo avere diverse possibilità di soluzione: è possibile una soluzione
diretta nella memoria a lungo termine (cioè se abbiamo una soluzione adeguata già immagazzinata in memoria non dobbiamo fare
altro che ripescarla), generare possibili soluzioni con tentativi ed errori (tecniche che funziona bene se il problema è semplice),
soluzioni ottenute per insight (intuizione improvvisa che consente di riorganizzare la situazione, di vederla da un punto di vista
completamente differente e quindi permette di arrivare alla soluzione del problema -‐ Köhler)
Valutazione della soluzione. Vi sono degli ostacoli: di impostazione (una soluzione riferita a un ambito di problemi fatica ad essere
trasferita ad altri campi), di contest (quando leghiamo un elemento a un determinato contesto, facciamo fatica a trasferirlo ad altri
contesti), di struttura (ci sono degli specifici elementi che si oppongo ad essere destrutturati e quindi a consentire la soluzione
efficace di un determinato problema).
Nel 1970, Guilford si occupò dei fattori legati alla creatività. Egli pose una distinzione tra pensiero convergente e pensiero
divergente. Il pensiero convergente si riferisce a situazioni che permettono un’unica risposta corretta, sulla base di strategie
definite e codificate nel passato. Si avvicina al concetto logico-‐matematico. Il pensiero divergente, al contrario, utilizza situazioni
nuove, dove sono possibili diverse soluzioni, richiede molto tempo per vagliare le possibili soluzioni, e i tempi decisionali quindi
sono più lunghi. Secondo Guilford, esistono svariati elementi del pensiero divergente, ma i principali sono: fluidità (capacità di
produrre molte idee), flessibilità (capacità di cambiare strategia creativa), originalità (capacità di trovare risposte insolite),
elaborazione (abilità di continuare le linea di pensiero intrapresa), valutazione (capacità di selezionale le idee pertinenti allo scopo).
Tale modello consente di cambiare punto di vista che abitualmente o spontaneamente viene nella mente quando si pensa a una
determinata situazione. Il capovolgimento di prospettiva più mostrare significati insospettati e dare luogo ad esiti creativi. Può
sviluppare la creatività degli individui.
Questo approccio si è affermato nel 1960 in cui l’intelligenza è scomponibile in fattori, che corrispondono a tratti che si possono
individuare con metodologie e analisi statistiche. Per Cattel (1987) esiste un’intelligenza fluida e una cristallizzata. L’intelligenza
fluida è la capacità di elaborare l’informazione, ragionare e memorizzare. L’intelligenza cristallizzata è l’accumulo delle
informazioni, abilità e strategie che si apprendono con l’esperienza e che possono essere applicate alla soluzione del problema.
Sono molto diverse tra loro: l’intelligenza fluida riflette una forma di intelligenza generale, quella cristallizzata fa riferimento alla
cultura della persona. Quindi, la prima declina con il passare degli anni, la seconda no.
Insieme di abilità che permettono un’accurata decisione, valutazione, espressione e regolazione delle proprie emozioni. Permette
quindi di stare bene con gli altri, è alla base dell’empatia, dell’autocoscienza, e delle abilità sociali. Secondo Mayer, possiede 4
componenti principali: abilità di percepire le proprie emozioni; capacità di utilizzare le emozioni come facilitazione del pensiero;
abilità d comprendere e analizzare le emozioni e di usare la conoscenza emotiva; capacità di regolare le emozioni per promuovere
la propria crescita emotiva.
È legata al successo generale nella vita. Distinguiamo successo accademico, che si basa su informazioni acquisite attraverso
l’ascolto e la lettura, e il successo professionale, fondato sull’osservazione del comportamento di persone di successo in un
determinato campo professionale.
Questa teoria è vista come un complesso di componenti, che sono unità mentali. Tali componenti sono organizzati in tre livelli:
metacomponenti (operazioni di pianificazione, controllo e valutazione del processo cognitivo), prestazioni (comprendono le
operazioni di confronto e inferenza, ovvero quelle che implementano i processi cognitivi), acquisizione della conoscenza: capacità
di operare in modo selettivo nell’identificazione codifica e confronto)
Secondo Guilford, le capacità mentali sono ordinate secondo tre assi: operazioni (sono le attività intellettive di base che la mente
compie con le informazioni che riceve dai sistemi percettivi e sensoriali-‐ cognizione, memoria, produzione convergente, divergente,
valutazione), contenuti (riguardano la natura delle informazioni elaborate dalla mente-‐ figurale, simbolico, semantico,
comportamentale), prodotti (forma che assume l’informazione quando viene elaborata dalla mente – unità, classi, relazioni,
sistemi, trasformazioni, implicazioni). L’intelligenza è rappresentata da un parallelpipedo in cui ci sono 120 cubetti, che
corrispondono ciascuno ad un fattore, a una combinazione di operazione, contenuto e prodotto.
L’intelligenza può essere definita come la capacità di comprendere il mondo, di pensare razionalmente e di usare le risorse
disponibili. I primi studiosi che si occuparono di intelligenza avevano individuato un unico generico fattore, chiamato fattore g, ed
era considerato il responsabile di qualsiasi manifestazione dell’intelligenza ed era questo fattore ad essere misurato nelle prime
prove di valutazione.
260. Si descriva la teoria delle intelligenze multiple di Gardner.
Gardner si è focalizzato sulla modalità di essere intelligente, in particolare ha individuato 8 diversi tipi di intelligenza: logico-‐
matematica, linguistica, musicale, spaziale, cinestetica, interpersonale, intrapersonale, naturalistica
Egli risponde con una metafora acquatica. Parte dall’infanzia, cui è percorsa da correnti di sviluppo, legata a uno specifico sistema
simbolico, in cui però esistono dei canali che permettono delle distinzioni. Infine, vi sono delle onde di sviluppo, che riguardano la
crescita generale della mente. La prima onda si sviluppa a 18-‐24 mesi (strutturazione degli eventi o dei ruoli), in cui il bambino
rappresenta con alcuni simboli la sua consapevolezza che nell’ambiente sono presenti degli eventi. La seconda compare a 3 anni
(rilevamento topologico), in cui il bambino inizia a riprodurre le principali relazioni spaziali. La terza compare a 4 anni (rilevamento
digitale), in cui il bambino riesce a cogliere quantità e relazioni numeriche. L’ultima onda si sviluppa tra i 5 e i 7 anni
(simbolizzazione notazionale o di secondo livello), il bambino sa usare in maniera autonoma e spontanea alcuni schemi che
facilitano il ricordo.
262. Si scelga una delle intelligenze di Gardner e si descriva una situazione in cui è particolarmente utile.
Intelligenza interpersonale: abilità nel relazionarsi con gli altri, molto sviluppata nei terapeuti e nei venditori. Utile a un venditore di
libri, ad esempio, che deve relazionarsi con gli acquirenti e convincere loro che quell’acquisto è un ottimo affare.
L’intelligenza fluida è la capacità di elaborare l’informazione, ragionare e memorizzare. L’intelligenza cristallizzata è l’accumulo
delle informazioni, abilità e strategie che si apprendono con l’esperienza e che possono essere applicate alla soluzione del
problema. Sono molto diverse tra loro: l’intelligenza fluida riflette una forma di intelligenza generale, quella cristallizzata fa
riferimento alla cultura della persona. Quindi, la prima declina con il passare degli anni, la seconda no.
Il Funzionamento Intellettivo Limite (FIL) può essere definito come una sorta di “limbo” tra la normalità e la disabilità intellettiva;
una condizione di limite, in cui i punteggi di QI sono tra 71 e 85. Tale situazione comporta difficoltà di adattamento e per essere
definita tale, deve insorgere prima dei 18 anni. Il FIL porta a una serie di difficoltà in molte delle più importanti funzioni cognitive,
ad esempio di tipo attentivo, nella pianificazione. Queste persone presentano un approccio di tipo passivo e poco strategico hanno
forti difficoltà di logica, e dal punto di vista didattico hanno bisogno di tempi differenti nello svolgimento di un compito. Hanno
bisogno, quindi, di un supporto iniziale molto forte che via via viene ridotto, bisogna offrire loro delle autoistruzioni abbastanza
semplici e composti da diversi passaggi. Per quanto riguarda i bisogni educativi, essi hanno bisogno di essere accettati partendo dal
proprio modo di operare e intraprendere la realtà; hanno bisogno di sentirsi competenti e che gli altri interagiscano con loro.
Sono persone che hanno un QI superiore a 130 e rappresentano il 2-‐5% della popolazione. Queste persone traggono giovamento,
da una parte, dal loro funzionamento brillante. I Gifted sono precoci e veloci, flessibili e rapidi nel selezionare strategie diverse,
molto bravi von i compiti e situazioni nuove, flessibili nell’apprendimento e nella memorizzazione. Presentano molti punti di forza
nel contesto accademico, nella leadership, nelle abilità psicomotorie, nella creatività. Tuttavia, hanno delle difficoltà di
adattamento, sia scolastici, in quanto i compiti presentati possono risultare “banali”, sia socio-‐emotivi, poiché vivono un forte
senso di diversità e inadeguatezza.
I Gifted sono precoci e veloci, flessibili e rapidi nel selezionare strategie diverse, molto bravi von i compiti e situazioni nuove,
flessibili nell’apprendimento e nella memorizzazione. Presentano molti punti di forza nel contesto accademico, nella leadership,
nelle abilità psicomotorie, nella creatività. Tuttavia, hanno delle difficoltà di adattamento, sia scolastici, in quanto i compiti
presentati possono risultare “banali”, sia socio-‐emotivi, poiché vivono un forte senso di diversità e inadeguatezza.
Redare un test di QI culturalmente equo è molto difficile perché esperienze passate, abitudini e valori influenzano quasi sempre le
risposte degli esaminandi. Esempio, il modo in cui i bambini occidentali raggruppano degli oggetti è secondo l’ordine di cosa sono, i
bambini africani invece li raggruppano in base a quello che fanno. Nel tentativo di valutare se esistano differenze di intelligenza tra
membri di minoranze e maggioranze, gli psicologi si sono ritrovati a stabilire quanto contribuiscano i fattori genetici (eredità) e
l’esperienza (ambiente) nel determinare l’intelligenza, cioè la questione del rapporto tra natura-‐cultura.
Herrnstein e Murray nel loro libro affermavano che esistono differenze genetiche importanti fra le razze nera e bianca per quanto
riguarda il QI. Questa posizione ha creato critiche molto accese che si sono collocate su più livelli. Le condizioni socio-‐economiche
sembrano giocare un ruolo centrale della determinazione del QI. Le differenze di intelligenza tra gruppi etnici dipendono anche
dalle condizioni economiche e dalle condizioni di vita. Inoltre, i primi test erano fortemente legati alla cultura occidentale quindi si
è cercato di costruire dei test che non siano inficiati da elementi culturali, però ancora oggi è complicato creare prove che non
risentano della componente culturale.
Il ritardo mentale è un disturbo caratterizzato da importanti limitazioni delle funzionalità sia intellettuali che comportamentali, e
coinvolge le abilità concettuali, sociali e pratiche. Persone con QUI tra 69 e 55 presentano un ritardo mentale di tipo mite, che
caratterizza circa il 90% delle persone con tale ritardo. Inoltre, vi sono altre tre tipologie di ritardo mentale: moderato (tra 40 e 54
punti di QI), grave (tra 25 e 39 punti di QI), profondo (sotto ai 25 punti di QI).
269. Quali sono le differenze tra i primi test di intelligenza e quelli maggiormente recenti?
I primi tentativi di misurazione dell’intelligenza vennero proposti da Francis Galton (scienziato inglese) si basavano sulla forma e
sulla grandezza della testa.Egli voleva quindi dimostrare che l’intelligenza è un fattore ereditario.I primi veri test di intelligenza
furono formulati dallo psicologo francese Alfred Binet. Egli creò il primo test di intelligenza ufficiale al fine di identificare gli
studenti meno dotati nel sistema scolastico parigino e poter offrire loro un aiuto supplementare.
Una prova doveva avere tre caratteristiche:
• Essere risolvibile per molti bambini di una certa età ma non per tutti;
• Essere risolvibile per un numero proporzionalmente minore di bambini più piccoli;
• Essere risolvibile per un numero proporzionalmente maggiore di bambini più grandi.
Le persone esaminate ottenevano risultati sulla propria età mentale che rappresenta la media degli individui che raggiungono un
certo livello di prestazione in un test.Il limite dell’età mentale è di non fornire un mezzo di confronto adeguato tra persone di età
cronologiche diverse. Ad oggi per valutare l’intelligenza si fa riferimento al QI, il quale è un indice che tiene conto del rapporto tra
età mentale e cronologica di un individuo. Viene calcolato dividendo l’età mentale per quella cronologica, il risultato lo si moltiplica
per cento.
Nasce dell’unione di due diversi modelli: Horn-‐Cattell e Carroll. Quello Horn-‐Cattell prevede l’esistenza di due strati senza apice,
uno relativo ad abilità ampie, e l’altro ad abilità ristrette. L’intelligenza viene quindi individuata come un insieme di diversi aspetti,
dove due fattori importanti sono l’intelligenza cristallizzata e l’elaborazione visiva. Il modello di Carroll prevede l’esistenza di tre
strati: l’intelligenza generale, le competenze ampie e 69 abilità circoscritte. Nel 1997, gli autori dei due modelli, concordarono nel
ritenere che questi potessero essere unificati in un unico modello, CHC, costituito da due tipologie di abilità: quelle ampie e altre
più ristrette. Quelle ampie, corrispondono alle funzioni base per le esigenze quotidiane: intelligenze cristallizzata, elaborazione
visiva, abilità di lettura e scrittura, memoria a breve termine, intelligenza fluida, velocità di elaborazione, immagazzinamento a
lungo termine e rievocazione ecc. Le abilità cognitive ristrette, sono invece numerose. Il punto di forza è la fortissima base empire,
riesce a produrre una tassonomia precisa delle abilità ampie e ristrette e ne consegue la capacità di individuare nei primi teste quali
sono le capacità misurate da ogni subtest.
Venne proposto per superare il limite dell’età cronologica nei test di Binet. Tale test infatti, tiene conto dell’età mentale e dell’età
cronologica di un individuo QI= MA/CA x 100 (MA: età mentale, CA: età cronologica)
Il modello di Lurija identifica tre blocchi di unità funzionali che devono lavorare insieme:
Per funzionare bene i tre blocchi devono lavorare insieme. Lurija ha quindi formulato la teoria PASS che considera il funzionamento
cognitivo basato su 4 processi essenziali: Pianificazione, Attenzione, Simultaneità, Successione.
CHC: Nasce dell’unione di due diversi modelli: Horn-‐Cattell e Carroll. Quello Horn-‐Cattell prevede l’esistenza di due strati senza
apice, uno relativo ad abilità ampie, e l’altro ad abilità ristrette. L’intelligenza viene quindi individuata come un insieme di diversi
aspetti, dove due fattori importanti sono l’intelligenza cristallizzata e l’elaborazione visiva. Il modello di Carroll prevede l’esistenza
di tre strati: l’intelligenza generale, le competenze ampie e 69 abilità circoscritte. Nel 1997, gli autori dei due modelli, concordarono
nel ritenere che questi potessero essere unificati in un unico modello, CHC, costituito da due tipologie di abilità: quelle ampie e
altre più ristrette. Quelle ampie, corrispondono alle funzioni base per le esigenze quotidiane: intelligenze cristallizzata,
elaborazione visiva, abilità di lettura e scrittura, memoria a breve termine, intelligenza fluida, velocità di elaborazione,
immagazzinamento a lungo termine e rievocazione ecc. Le abilità cognitive ristrette, sono invece numerose. Il punto di forza è la
fortissima base empire, riesce a produrre una tassonomia precisa delle abilità ampie e ristrette e ne consegue la capacità di
individuare nei primi teste quali sono le capacità misurate da ogni subtest.
Le scale Wechsler sono test a somministrazione individuale e consentono una valutazione globale ed integrata del funzionamento
intellettivo. Esistono 3 versioni: WPPSI III, WISCH IV, WAIS IV.
WPPSI III:
III valuta l’intelligenza di bambini dai 2,6 ai 7,3 anni e si compone di 14 subtest: 7 verbali; 5 di performance; 2 di velocità di
processamento.
WISCH IV:
La WISC IV valuta le capacità cognitive dei bambini dai 6 anni ai 16 anni e 11 mesi. Si compone di 15 subtest: Dieci principali; 5
supplementari.
WAIS IV:
La WAIS IV fornisce una valutazione complessiva delle capacità cognitive di adolescenti ed adulti dai 16 ai 90 anni. Si compone di 15
subtest: Dieci principali; 5 supplementari.
La WISC e la WAIS permettono di valutare un quoziente intellettivo totale (QIT) che viene ricavato dal calcolo di 4 differenti indici:
I subtest appartenenti alla stessa scala servono a ricavare il corrispondente punteggio indice, ciascuna scala contribuisce alla scala
totale, utilizzata per ricavare il QI totale.
Fu costruito da Binet, il quale ritenne che la prestazione potesse servire per distingue tra persone più o meno intelligenti all’interno
di una determinata fascia di età. Costruì delle prove volte a discriminare tra i bimbi quali avessero difficoltà e quali no le
caratteristiche per una buona prova sono: doveva essere risolvibile da molti bambini ma non da adulti; doveva essere risolvibile da
un numero proporzionalmente minore di bambini più piccoli, e proporzionalmente maggiore di bambini più grandi. Egli calcolò
quindi l’età mentale: media degli individui che raggiungono un certo livello di prestazione in un test. Purtroppo, non offre un
adeguato mezzo di confronto tra persone di età cronologiche diverse.
276. Quali sono i punti di contatto e le differenze fra ritardo mentale e FIL?
Presentano un’eziologia particolarmente comune. In primo luogo, presentano cause di tipo biologico: la sindrome di Down causata
dalla presenza di un cromosoma 21 in più. Un’altra causa può essere la sindrome fetale da alcol, provocata dall’uso di alcol in
gravidanza. Vi sono altre cause, come quelle di tipo ambientale: possibili complicazioni durante il parto, traumi, ictus, infezioni. E
un’altra causa può essere la familiarità, la storia di ritardo o di difficoltà cognitive nella famiglia della persona.
Individuata da Searle nel 1990, corrisponde all’intenzione comunicativa collettiva, che non può essere raggiunta individualmente,
né in modo sommativo da più persone. Può essere raggiunta soltanto attraverso un’azione differenziata, coordinata e
complementare.
Secondo tale approccio, la comunicazione è un fare. Il contributo principale è stato offerto dalla teoria degli atti linguistici di Austin
nel 1962, la quale afferma che nell’atto linguistico è possibile distingue tre livelli: atto locutorio (l’atto di dire qualcosa; comprende
atti fonetici, fatici e retici), atto illocutorio (atto nel dire qualcosa; si riferisce alle intenzioni comunicative del parlante), e atto
perlocutorio (atto con il dire qualcosa; eventi e conseguenze del parlare, su credenze, emozioni e comportamenti
dell’interlocutore). In questo approccio, il contesto diventa centrale, infatti testo e contesto si definiscono in maniera reciproca
mentre si attua l’evento comunicativo. Quindi, il significato del messaggio è il risultato di un’azione interpretativa che parlante e
ascoltatore attuano in maniera indipendente. Viene quindi visto anche il modo di intendere il linguaggio, focalizzandosi sulle
modalità concrete di operare. Da qui quindi, una distinzione tra semantica, che è lo studio dei segni, sintattica, che è lo studio delle
relazioni formali dei segni, e pragmatica, relazione dei segni con i comunicanti e con il testo comunicativo.
L’intenzione informativa è l’intenzione di comunicare al destinatario qualcosa; quella comunicativa è l’intenzione di informare il
destinatario della propria intenzione informativa. Per quanto riguarda l’intenzione comunicativa, abbiamo due concetti: we-‐
intention (corrisponde all’intenzione comunicativa collettiva, che non può essere raggiunta individualmente, né in modo
sommativo da più persone. Può essere raggiunta soltanto attraverso un’azione differenziata, coordinata e complementare) e la
sintonizzazione (insieme dei comportamenti interpersonali che ha il fine di raggiungere un’intenzione congiunta)
Questo modello rientra nell’approccio di considerare la comunicazione come un modo per perseguire le intenzioni. Comunicare
quindi, consiste nel rendere manifesta al destinatario la propria intenzione di rendergli manifesta un’informazione. Attraverso
l’ostensione, il parlante sollecita nei confronti ei destinatari l’aspettativa che uno stimolo sia sufficientemente pertinente da essere
trattato. Un’informazione è considerata pertinente se merita uno sforzo cognitivo per essere trattata. L’uomo tende a massimizzare
la pertinenza, per cui vi sono due conseguenze di questo fatto. La prima è che il sistema cognitivo umano seleziona gli input che
generano maggiori possibili effetti cognitivi con il minor sforzo di elaborazione. La seconda è che è possibile influenzare e predire gli
stati mentali delle altre persone, ovvero si cerca di produrre degli timoli che attraggono l’attenzione dei propri interlocutori e
orientano i propri pensieri in una direzione prevedibile. Comunicazione inferenziale e ostensione sono due facce della stessa
medaglia: l’ostensione rappresenta il punto di vista del comunicatore, mentre la comunicazione inferenziale rappresenta il punto di
vista del destinatario che compie inferenze per comprendere il messaggio.
Qualità: cercare di fornire un contributo vero, non dire cose che si credono false, ne senza averne delle prove certe.
Quantità: cercare di fornire un contributo che soddisfi la richiesta di di informazioni in modo adeguato agli scopi del discorso.
Modo: essere perspicui, evitare oscurità di espressione, bisogna essere quindi brevi e procevere in modo ordinato.
Posizione della linguistica, in particolar modo presa da De Saussure nel 1916, tale modello stabilisce una relazione di identità per
espressione e contenuto. Il segno è l’unione di un’immagine acustica, significante o espressione, e un’immagine mentale o
significato o contenuto. In questo modello, l’espressione viene separata dal significato, perché entrambe derivano da scelte
arbitrarie. Ne consegue dunque, un’idea forte di codice, inteso come un sistema regolato di segni.
Può essere definito, attraverso una metafora, come una moneta di simbolica di scambio o come un ponte tra la realtà, la sua
rappresentazione e la possibilità di comunicarla agli altri. È definito, più in generale, come qualcosa che è posto a rappresentare un
aspetto della realtà diverso da sé. Viene intenzionalmente usato per condividere con un interlocutore uno specifico aspetto della
realtà, assumendo di conseguenza una funzione comunicativa.
Insieme dei comportamenti interpersonali che ha il fine di raggiungere un’intenzione congiunta. Consente un processo di mutual
tuning-‐in, sintonizzazione sulla stessa lunghezza d’onda. Tale processo possiede due aspetti fondamentali: dimensione temporale
(dimensione universale nell’aspetto comunicativo e inizia molto presto nell’evoluzione dell’individuo) e modulazione di qualità del
comportamento (fa riferimento alle caratteristiche del proprio stile comunicativo sulla base di quello dell’interlocutore, che
prendono il nome di shift, e possono essere in senso convergente, avvicinamento tra due stili comunicativi, o divergente,
allontanamento).
Il triangolo semiotico permette di rappresentare la relazione che esiste tra espressione, referente e contenuto. L’espressione (ES) è
il veicolo simbolico utilizzato per significare, nella sua forma fisica. Il referente (Re) è l’oggetto, l’evento o l’azione che viene
rappresentata. Il contenuto è l’idea mentale del referente ce si desidera comunicare. Ad esempio, il triangolo semiotico di “gatto”
è: L’espressione è la stringa di fonemi “gatto”, identificata come parola. Il referente è la rappresentazione reale del gatto. Il
contenuto è l’immagine mentale che ogni individuo ha di gatto.
286. Si provi ad applicare il triangolo semiotico alla parola "gatto".
L’espressione è la stringa di fonemi “gatto”, identificata come parola. Il referente è la rappresentazione reale del gatto. Il contenuto
è l’immagine mentale che ogni individuo ha di gatto.
287. Quali sono le differenze tra il modello del segno come equivalenza e il modello del segno come inferenza?
Modello come equivalenza: tale modello stabilisce una relazione d’identità per espressione e contenuto. Il segno è l’unione di
un’immagine acustica, significante o espressione, e un’immagine mentale o significato o contenuto. In questo modello,
l’espressione viene separata dal significato, perché entrambe derivano da scelte arbitrarie. Ne consegue dunque, un’idea forte di
codice, inteso come un sistema regolato di segno. Modello come inferenza: nasce all’interno della semiotica, è un modello che
stabilisce la relazione del segno con il significato da qualcuno e per qualcuno all’interno di un determinato contesto comunicativo.
Chi interpreta può essere un essere umano, ma anche n altro segno che offre una spiegazione del segno precedente,
trasformandosi a sua volta in un segno, si verifica quindi un processo di semiosi illimitata. Il concetto di segno viene sostituito da
quello di funzione segnica: si verifica quando l’espressione è legata al contenuto ed entrambi questi possono entrare in
correlazione con altri elementi, dando luogo a un’altra funzione segnica.
Posizione di Peirce nel 1931 -‐ nasce all’interno della semiotica, è un modello che stabilisce la relazione del segno con il significato
da qualcuno e per qualcuno all’interno di un determinato contesto comunicativo. Chi interpreta può essere un essere umano, ma
anche n altro segno che offre una spiegazione del segno precedente, trasformandosi a sua volta in un segno, si verifica quindi un
processo di semiosi illimitata. Il concetto di segno viene sostituito da quello di funzione segnica: si verifica quando l’espressione è
legata al contenuto ed entrambi questi possono entrare in correlazione con altri elementi, dando luogo a un’altra funzione segnica.
Questo modello considera la comunicazione come un processo di trasmissione dell’informazione. Nasce all’interno delle scienze
dell’informazione e della cibernetica e individua alcuni elementi fondamentali: una fonte emettente (entità che codifica il
messaggio), un trasmettitore (dispositivo che trasforma il messaggio in segnali fisici), un canale (mezzo che trasferisce il messaggio),
il rumore (gli elementi dell’ambiente che interferiscono con la trasmissione del segnale), un destinatario e ricevente (entità che
codifica il messaggio) e un recettore (dispositivo che permette di convertire il segnale in una forma comprensibile al destinatario).
Inoltre, sono stati aggiunti due concetti: la ridondanza (ripetizione del messaggio nella fase di codifica per renderla più efficace), il
feedback o retroazione (la qualità dell’informazione che ritorna al mittente da ricevente, influenzando i messaggi successivi).
Secondo il principio di cooperazione di Grice, durante la comunicazione è necessario dare il proprio contributo al momento
opportuno, in base agli scopi e all’orientamento della conversazione. All’interno di questo principio vi sono quattro massime:
Qualità: cercare di fornire un contributo vero, non dire cose che si credono false, ne senza averne delle prove certe.
Quantità: cercare di fornire un contributo che soddisfi la richiesta di di informazioni in modo adeguato agli scopi del discorso.
Modo: essere perspicui, evitare oscurità di espressione, bisogna essere quindi brevi e procedere in modo ordinato.
291. Si descriva un'area di indagine a scelta all'interno dell'approccio psicologico alla comunicazione.
L’interazionismo considera la comunicazione come co-‐costruzione atta a trasmettere contenuti e a gestire l’interazione
comunicativa. Il focus d’analisi è il sistema comunicativo in cui si organizzano i comportamenti di chi interagisce nel processo della
comunicazione. Quest’approccio è focalizzato sui comportamenti non verbali, considerando centrali nella comunicazione
l’attivazione simultanea e l’integrazione di diversi sistemi che trasmettono significati specifici. L’intreccio tra comunicazione verbale
e non verbale, permette di assolvere due diverse funzioni: trasmissione dei contenuti e gestione dell’interazione comunicativa.
È caratterizzato da tre dimensioni: fisica (insieme delle sue caratteristiche naturali), simbolica (insieme dei significati convenzionali
espressi attraverso il medium) e pragmatica (insieme dei comportamenti con cui i soggetti utilizzano il medium).
In questo approccio è importante il contesto sociale nel determinare l’esito dell’atto comunicativo. Il contesto può essere definito
come l’insieme delle condizioni, delle opportunità e dei vincoli spaziali, temporali, relazionali, istituzionali e culturali per qualsiasi
atto comunicativo. La realtà è costituita dal contesto sociale e non è un fato aprioristico: è il prodotto della razionalità umana.
Viene operata una distinzione tra microsociologia e macrosociologia: la microsociologia studia i processi della vita quotidiana, la
macrosociologia studia l’organizzazione generale dei processi relativi alle istituzioni. Ogni sistema sociale è regolato dai sistemi di
comunicazioni e da rituali. Le strategie comunicative emergono in relazione alle esigenze degli individui nel qui ed ora.
Studia la comunicazione come interazione e comprende tre aree di indagine:
• Approccio interazionista: considera la comunicazione come co-‐costruzione atta a trasmettere contenuti e a gestire
l’interazione comunicativa. Il focus d’analisi è il sistema comunicativo in cui si organizzano i comportamenti di chi
interagisce nel processo della comunicazione. Quest’approccio è focalizzato sui comportamenti non verbali, considerando
295. Si descrivano le proprietà assiomatiche della comunicazione proposte da Watzlawitck.
• Primo assioma: non è possibile non comunicare, poiché anche il silenzio è una forma di comunicazione
• Secondo assioma: in ogni comunicazione c’è un aspetto di contenuto e uno di relazione, il primo fa riferimento alle
informazioni trasmesse, il secondo alle modalità con cui deve essere assunto il contenuto, definendo la relazione tra
i partecipanti.
• Terzo assioma: la natura della relazione dipende dalla punteggiatura della comunicazione tra i partecipanti.
• Quarto assioma: gli uomini comunicano in forma numerica e in forma analogica. La prima si riferisce all’uso dei
simboli linguistici, la seconda fa riferimento alla comunicazione non verbale e paraverbale.
• Quinto assioma: gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari, i primi sono caratterizzati
dall’uguaglianza, quando il comportamento di un parlante viene rispecchiato dall’altro, i secondi sono basati invece
sulle differenze tra gli interlocutori.
296. Che rapporto esiste tra il medium e i livelli di presenza?
Si immagini un adolescente che sta giocando con un videogioco. La presenza fisica si riferisce all’esistenza del videogioco stesso in
un determinato spazio, come per esempio all’interno del computer. La presenza soggettiva è la percezione di trovarsi nello stesso
spazio fisico dei protagonisti d’azione del videogioco, che è indice di un forte coinvolgimento. La presenza come interattività è la
percezione del ragazzo di poter agire e interagire all’interno del mondo simulato dal videogioco. Gli sviluppatori di questi ambienti
hanno indicato che il livello di presenza è accresciuto maggiormente dalla possibilità di interagire con l’ambiente virtuale piuttosto
che dalla perfetta simulazione della realtà da parte del videogioco.
• Presenza fisica: esistenza di un soggetto in una regione spazio-‐temporale.
• Presenza soggettiva: percezione di trovarsi nello stesso scenario spazio-‐temporale nel quale si verifica un evento.
• Presenza come interattività: senso di presenza che si riferisce alla possibilità di azione del soggetto e a quella di interagire
e coinvolgersi all’interno di mondi simulati.
Può essere definito come un qualunque elemento e/o strumento che ci permette di interagire e di comunicare con l’ambiente
esterno. È caratterizzato da tre dimensioni: fisica (insieme delle sue caratteristiche naturali), simbolica (insieme dei significati
convenzionali espressi attraverso il medium) e pragmatica (insieme dei comportamenti con cui i soggetti utilizzano il medium). Ogni
medium presenta delle caratteristiche specifiche che portano chi l’utilizza ad adattare il proprio stile comunicativo. A seconda dei
nostri scopi comunicativi, possiamo scegliere diverse strade all’interno della medesima applicazione, per comunicare al meglio
informazioni, bisogni, necessità, o anche stati d’animo o emozioni. Il primo medium che si utilizza per comunicare è il corpo: le
mani vengono utilizzate per produrre gesti, il volto viene utilizzato con la mimica facciale, e l’apparato fonoarticolatorio per
produrre determinati suoni. Un secondo medium importante è il disegno, in cui è essenziale la coordinazione oculo-‐motoria, in cui
si verifica il passaggio dal corpo a un artefatto esterno. Ciò implica due cambiamenti: il messaggio prodotto rimane fisicamente e ne
consegue che tale messaggio può essere fruito in maniera diversa.
299. Quali sono le tre grandi categorie di menzogna tattica nei primati non umani?
a) OCCULTAMENTO ATTIVO -‐> l’esempio tipico è quello di un animale che nasconde il cibo per impedire all’animale dominante di
impossessarsene per poterlo mangiare successivamente; un altro esempio ricorrente è quello della femmina che impegnata
durante il grooming (operazione di spulciature che richiede molta intimità) con un maschio subalterno, si nasconde dietro un masso
controllando lo sguardo del dominante.
b) CONDOTTA FUORVIANTE -‐> per esempio in un conflitto uno scimpanzè arrabbiato con un altro, ha disteso il braccio in segno di
rappacificazione, e quando l’altro si è avvicinato, lo ha attaccato ripetutamente.
c) CONTROINGANNO -‐> è il caso in cui i primati non umani reagiscono all’inganno con altre forme di inganno. Esempio classico:
abbiamo due scimpanzè Belle e Rock. Belle era l’unica a conoscere dov’era nascosto il cibo, ma non appena individuava il
nascondiglio era preceduta da Rock che le sottraeva il cibo. Così nelle volte successive reagì a questo inganno allontanandosi dai
nascondigli e mettendosi seduta e aspettando. Rock si avvicinava e cercava il cibo nei paraggi. Non appena Rock fissava lo sguardo
da un’altra parte, Belle si alzava per avvicinarsi al nascondiglio e mangiare.
-‐ OMISSIONE -‐> consiste nell’omettere di fornire all’interlocutore alcune informazioni essenziali; omettere è stare in silenzio,
lasciando così che l’altro si inganni da sé. Esempio: non dire ad un partner occasionale di avere una malattia venerea;
-‐ OCCULTAMENTO -‐> nascondere le informazioni rilevanti, fornendo al partner informazioni vere ma divergenti, fuorvianti o
secondarie per fargli assumere false credenze. Esempio: la moglie per nascondere il tradimento al merito, oltre a nascondere
questo può parlare dei negozi che ha visitato per comprarsi un oggetto particolare;
-‐ FALSIFICAZIONE -‐> comunicare in modo deliberato al destinatario informazioni false, per manipolarlo;
-‐ MASCHERAMENTO -‐> fornire all’interlocutore conoscenze false per nascondergli quelle vere;
-‐ FALSA CONFERMA -‐> confermare intenzionalmente una conoscenza falsa dell’interlocutore.
Nei primi si priva il destinatario di conoscenze vere; mentre negli altri casi lo si induce in errore, cioè si forniscono informazioni false
all’interlocutore.
In entrambe queste situazioni vi è occultamento intenzionale di informazioni, infatti sia chi dice una bugia, sia chi detiene un
segreto non rivela una informazione intenzionalmente. Il segreto è una conoscenza che Tizio non vuole far sapere a Caio perché si
sente in diritto di occultarla. Questo diritto a detenere un segreto può riguardare ambiti della vita privata (privacy) e sociale
(segreto di Stato e segreto professionale). Esempio del diritto di segreto: un medico è tenuto a mantenere la privacy sulla salute dei
propri pazienti; un soggetto può tenere segreta una propria malattia o ad esempio il diario; i genitori hanno il diritto di mantenere
segreta la loro vita sessuale nei confronti dei figli. Tuttavia, il segreto diviene una menzogna quando Tizio non ha il diritto di tacere
e Caio ha diritto a conoscere. In tal caso il segreto è un’omissione di informazioni e dunque inganno, menzogna.
Fra le definizioni proposte, quella più rilevante in riferimento alla bugia concepisce la verità come corrispondenza (o concordanza)
con la realtà. Nel Cratilo di Platone, egli affermò che “vero è il discorso che dice le cose come sono, falso quello che le dice come
non sono”, oppure come quello di Aristotele che afferma “dire di ciò che è, che non è, oppure dire di ciò che non è, che è, è falso;
mentre dire di che è, che è, oppure dire di ciò che non è, che non è, è vero”. Aristotele aggiunse due teoremi: 1) la misura della
verità è la cosa, non il pensiero o il discorso. 2) la verità è nel pensiero, nel linguaggio, non nelle cose. Questa prospettiva metafisica
Nel caso dei un errore si dice il falso per ignoranza del vero, in modo non intenzionale. Per cui chi dice il falso senza saperlo, né
volerlo non sta mentendo. Nel caso della menzogna prima si conosce la verità e poi si dice il falso; mentre quando si commette un
errore, nel momento in cui lo si dice lo si ritiene vero, e poi si viene a conoscenza della verità. Vi sono vari tipi di errore. Vi è l’errore
giustificato, ovvero l’errore commesso in buona fede, vi è l’errore non giustificato, quello dovuto alla negligenza alla sbadataggine o
alla superficialità. In questa ultima affermazione vale l’affermazione di Brecht “chi non conosce la verità è soltanto uno sciocco; ma
chi, conoscendola, la chiama bugia è un malfattore”.
La menzogna non è una finzione e rimanda più al concetto di falso, al contrario della finzione che fa riferimento al concetto di finto.
(la maschera è finta, perché esibisce i segni del suo non essere vera; la parrucca è falsa, perché vuole essere creduta per quello che
non è). La finzione è fare finta, in quanto costituisce la trasposizione di una attività con proprio significato, in un’attività uguale che
in altro contesto assume un significato diverso. Esempi di finzione: “il gioco del dottore” dei bambini, in cui l’attività del dottore ha
certamente significato diverso dalla situazione professionale standard; il “mordere giocoso” dei cuccioli; l’omicidio come
rappresentazione teatrale; i bambini che “giocano a fare la guerra”. Rientrano nella categoria di finzione anche la parodia, la satira,
l’ironia, l’umorismo, l’arte, la letteratura, le fiction televisive, il cinema. La finzione è il risultato della capacità di inventare, quindi è
improntata alla fantasia e all’immaginazione. La finzione implica la distinzione tra mondo reale e mondo fantastico e la
consapevolezza che le azioni che si producono in tale ambito non sono vere e non hanno effetti sulla vita reale. La menzogna,
invece viene usata dall’individuo per far intendere il contrario di ciò che pensa e sa.
La menzogna è un atto comunicativo consapevole e deliberato di trasmettere una conoscenza non vera a un altro, in modo che
quest’ultimo assuma credenze false sulla realtà dei fatti.
Tre componenti del mentire:
Il verbo “mentire” non ha un contrario specifico (il verbo “smentire” significa asserire l’infondatezza di una certa notizia). In parte
potrebbe essere un contrario di mentire “dire il vero”, che si oppone anche a “dire il falso per errore”. Quindi il contrario più diretto
del verbo “mentire” è “essere sincero”. La sincerità è una proprietà psicologica per cui un soggetto crede in ciò che dice e dice ciò
che crede. Può capitare che dica il falso ma per errore e ignoranza. In quanto sincero, egli è degno di stima e fiducia. Parlare di
sincerità ci conduce al concetto di veridicità, cioè quello che una persona ritiene corrispondente al vero. Dire il vero rappresenta il
fondamento della fiducia fra le persone, poiché implica un patto di lealtà e rispetto reciproco.
MENZOGNE PIANIFICATE E “SFACCIATE” -‐> pianificate per evitare sanzioni o ottenere forti vantaggi; -‐ MENZOGNE NON
PIANIFICATE -‐> usate soprattutto per far fronte ad una situazione improvvisa, imbarazzante e spiacevole;
-‐ MENZOGNE PEDAGOGICHE -‐> sono quelle che servono a rassicurare un bambino;
-‐ BUGIE INNOCENTI (o SOCIALI) -‐> quelle dette per buona educazione.
MENZOGNE EGOISTICHE -‐> sono autoriferite, cioè fanno riferimento a sé stessi e hanno come scopo l’acquisizione di un vantaggio
personale. Questo tipo di menzogne può riguardare i propri sentimenti (es. proteggersi da emozioni negative e imbarazzo), il modo
di gestire la propria immagine presentandosi in maniera più favorevole e positiva, la possibilità di aumentare il livello di autostima,
ecc. Fanno parte delle bugie egoistiche le cosiddette bugie da legittima difesa, cioè quelle che vengono impiegate per
salvaguardare la privacy e mantenere la propria riservatezza e le menzogne di sfruttamento più frequenti con gli estranei, che
consistono in strategie ingannevoli per ottenere guadagni a scapito degli altri.
MENZOGNE ALTRUISTICHE -‐> concernono soprattutto le persone legate da rapporti di intimità, dunque sono eteroriferite, dette
per proteggere gli altri, per alimentare il loro livello di fiducia con complimenti e atteggiamenti di sostegno, per evitare emozioni
negative (es. non riferire un giudizio negativo; non comunicare una malattia grave, ...). Rientrano tra questa tipologia le menzogne
benevoli cioè quelle dette a fin di bene, per una condizione di disagio all’interlocutore.
In molte specie animali le modalità di cambiamento delle proprie apparenze sono essenziali per sopravvivere. La dura lotta tra
predatori e prede ha fatto si che molti animali si siano adattati completamente al loro ambiente per il colore e per la forma, così da
risultare difficilmente riconoscibili dai predatori. Questo CAMUFFAMENTO si fonda sul meccanismo di omocromia. Il processo di
camuffamento in alcune specie animali può essere così spinto da condurre ad una dissoluzione della loro figura (morfolisi),
diventano un elemento del regno vegetale. Il MIMETISMO consiste nella capacità di alcuni animali di prendere le somiglianze di
altri animali sempre per evitare gli attacchi dei predatori. L’animale può elaborare due condotte ingannevoli:
• Falsificazione attivaàprodurre il medesimo segnale in un contesto differente in modo da indurre gli altri alla solita
risposta, ottenendo un vantaggio temporaneo;
• Occultamento di infoànon produrre il medesimo segnale nel consueto contesto, ottenendo un vantaggio momentaneo.
310. Come è possibile dimostrare che i bambini sanno distinguere la bugia dall'errore?
Attraverso una situazione sperimentale: ai bambini viene mostrata una bambola che interagisce con due orsacchiotti, uno dei quali
osserva lo sperimentatore che stende la salsa su un pezzo di pane ammuffito, mentre l’altro orso legge ed è girato di schiena
durante questa scena e quindi non vede nulla. Al bambino poi si raccontano due storie: 1) “questo orso (quello ignaro) non ha visto
la muffa sul pane perché era girato di schiena; arriva un suo amico e gli chiede ‘ho fame, posso mangiare questo pane’?” e lui
risponde ‘Si è buono’”. Poi si pone la domanda al bambino “è stata una bugia o un errore?”. 2) questo orso (quello informato) ha
visto bene la muffa sul pane. Arriva un suo amico e gli chiede ‘ho fame, posso mangiare questo pane? E lui risponde ‘si è buono’”.
Poi si pone la domanda al bambino “è stata una bugia o un errore?”. Di fronte a queste due versioni il 60% dei bambini di 3 anni
risponde correttamente.
311. Quali sono i legami tra la teoria della mente e la menzogna nei bambini?
Numerosi psicologi hanno ritenuto una condizione necessaria per mentire consiste nell’avere a disposizione una teoria della mente.
Questa teoria implica la capacità nei bambini di interpretare il comportamento degli altri attribuendovi intenzioni, sentimenti,
credenze; e la capacità di rappresentarsi mentalmente le rappresentazioni mentali altrui. Per raggiungere questo traguardo il
bambino deve saper compiere 2 operazioni mentali distinte: a) attribuire all’altro una credenza vera -‐> il bambino riconosce una
credenza vera nella mente dell’altro, cioè quando nella mente dell’altro c’è una corrispondenza corretta tra la credenza e la
situazione esistente. b) attribuire all’altro una credenza falsa (o erronea) -‐> il bambino è in grado di riconoscere quando nella
mente dell’altro c’è una rappresentazione erronea della situazione. In quest’ultimo caso il bambino si rende conto che la gente si
comporta in base alle proprie rappresentazioni della realtà, anche nel caso in cui dovessero essere sbagliate.
Per accertare la capacità nel bambino di riconoscere le false credenze si è fatto ricorso a due test classici: il test del trasferimento
inatteso (vi sono 2 bambole, Anne e Sally. Sally nasconde la biglia in una scatola e esce. In sua assenza, Anne prende la biglia dalla
scatola, e la nasconde in un cesto. La domanda per il bambino sarà “dove andrà a cercare la biglia Sally?”. Il bambino in grado di
comprendere la falsa credenza di Sally indicherà la scatola) e il test della confezione ingannevole (al bambino viene fatta vedere una
confezione di smarties e gli si chiede cosa contenga. Egli risponde di norma in modo corretto. Subito dopo il ricercatore gli fa
vedere che la confezione conteneva una matita e non confetti. Dopo averla chiusa gli pone 3 domande: con la prima verifica che
cosa contiene realmente la confezione; con la seconda verifica la sua falsa credenza iniziale (cosa pensavi ci fosse prima?) e l’ultima
312. Che cosa sono i compiti di falsa credenza e perché sono importanti in relazione alla menzogna dei bambini?
Per riuscire a mentire, il bambino deve raggiungere un certo livello nello sviluppo delle sue competenze cognitive, e molti psicologi
hanno ritenuto che una condizione necessaria per mentire consistesse nell'avere a disposizione una teoria della mente. Tale teoria
implica la capacità di poter leggere la mente degli altri ecc. E il bambino, per giungere a questo traguardo, deve superare due
operazioni mentali, quali attribuire all'altro una credenza vera, e attribuire all'altro una credenza falsa (per quest'ultima sono stati
elaborati numerosi test, tra cui due in particolare...). Negli ultimi anni, numerosi ricercatori hanno analizzato il rapporto che esiste
fra le funzioni esecutive (insieme dei processi finalizzati a regolare e dirigere la propria condotta sotto il controllo dell'attenzione) e
la menzogna. E, per i bambini, si è osservato che tale gestione compare attorno ai 4 anni. Al fine di accettare la capacità di
riconoscere le false credenze, sono stati proposti due test: quello del trasferimento inatteso e quello della confezione ingannevole.
Nel primo, si prendono due bambole e si fa vedere al bambino che la prima nasconde la biglia in una scatola. La seconda prende la
biglia dalla scatola e la nasconde, a insaputa della prima, in un cesto. Quando torna la prima bambola, ella vuole giocare con la
biglia; allora si chiede al bambino dove andrà la prima bambola a cercare la biglia. Normalmente i bambini risponderanno che
andrà a cercare nella scatola. Nel test della confezione ingannevole invece si chiede al bambino di indicare cosa ci sia dentro una
scatola di Smarties. Egli risponderà in modo corretto, di norma. Il ricercatore, subito dopo, gli fa vedere che dentro la scatola non
stanno confetti, ma una matita. E quindi si pongono tre domande. Con la prima si chiede cosa c’è realmente dentro la confezione in
quel momento. Con la seconda si chiede cosa pensava ci fosse. La terza domanda riguarda l’ipotetica risposta di un amico al quale
si chiede che cosa contenga la confezione, ed è volta a verificare se il bimbo è in grado di riconoscere la falsa credenza di un terzo.
Numerosi psicologi hanno ritenuto che superare questi test costituisca una condizione necessaria per acquisire la competenza di
mentire da parte dei bambini. Di conseguenza, i bambini sono incapaci di dire bugie finchè non hanno capito cosa significa mentire.
313. Quali sono le competenze che un bambino deve possedere per riuscire a mentire?
È ovvio che, per riuscire a mentire, il bambino deve avere raggiunto un livello nello sviluppo delle sue competenze cognitive.
Numerosi psicologi hanno ritenuto che una condizione necessaria per mentire consiste nell’avere a disposizione una teoria della
mente. Questa teoria implica la capacità nei bambini di interpretare il comportamento degli altri attribuendovi intenzioni,
sentimenti, credenze; e la capacità di rappresentarsi mentalmente le rappresentazioni mentali altrui. Per raggiungere questo
traguardo il bambino deve saper compiere 2 operazioni mentali distinte:
a) attribuire all’altro una credenza vera -‐> il bambino riconosce una credenza vera nella mente dell’altro, cioè quando nella mente
dell’altro c’è una corrispondenza corretta tra la credenza e la situazione esistente.
b) attribuire all’altro una credenza falsa (o erronea) -‐> il bambino è in grado di riconoscere quando nella mente dell’altro c’è una
rappresentazione erronea della situazione. In quest’ultimo caso il bambino si rende conto che la gente si comporta in base alle
proprie rappresentazioni della realtà, anche nel caso in cui dovessero essere sbagliate.
Per accertare la capacità nel bambino di riconoscere le false credenze si è fatto ricorso a due test classici: il test del trasferimento
inatteso (vi sono 2 bambole, Anne e Sally. Sally nasconde la biglia in una scatola e esce. In sua assenza, Anne prende la biglia dalla
scatola, e la nasconde in un cesto. La domanda per il bambino sarà “dove andrà a cercare la biglia Sally?”. Il bambino in grado di
comprendere la falsa credenza di Sally indicherà la scatola) e il test della confezione ingannevole (al bambino viene fatta vedere una
confezione di smarties e gli si chiede cosa contenga. Egli risponde di norma in modo corretto. Subito dopo il ricercatore gli fa
vedere che la confezione conteneva una matita e non confetti. Dopo averla chiusa gli pone 3 domande: con la prima verifica che
cosa contiene realmente la confezione; con la seconda verifica la sua falsa credenza iniziale (cosa pensavi ci fosse prima?) e l’ultima
riguarda l’ipotetica risposta di un amico a cui si chieda cosa contiene la confezione). Di solito i bambini di 4 anni superano le prove
delle false credenze. Tuttavia, la costruzione di una “teoria della mente” costituisce un processo continuo e non un evento
repentino. Infatti, diversi ricercatori hanno mostrato come anche i bambini di 3 anni riescano a superare le prove suddette se ad
esempio partecipano attivamente alle situazioni.
Certamente a 4 anni i bambini sanno mentire. Ma per capire come arrivano a far ciò, bisogna innanzitutto esaminare in che modo i
bambini apprendono la distinzione tra realtà e finzione. Il gioco simbolico (o di finzione) compare già intorno ai 18 mesi di vita e ci
dimostra che il bambino si rende conto che le sue azioni sugli oggetti di finzione non producono effetti tangibili, dunque non sono
reali. Questo processo avviene parallelamente a quello per cui il bambino acquisisce consapevolezza di sé, perché i bambini che si
riconoscono allo specchio fanno giochi di finzione nei confronti di sé stessi o della bambola in modo più frequente rispetto ai
bambini che non si sanno riconoscere. Usano più spesso pronomi personali e durante tali giochi il bambino attribuisce degli stati
interni all’oggetto di finzione, dimostrandosi capace di comprendere gli stati mentali di un’altra persona. Egli inoltre è in grado di
CONDOTTA FUORVIANTE -‐> per esempio in un conflitto uno scimpanzè arrabbiato con un altro, ha disteso il braccio in segno di
rappacificazione, e quando l’altro si è avvicinato, lo ha attaccato ripetutamente.
CONTROINGANNO -‐> è il caso in cui i primati non umani reagiscono all’inganno con altre forme di inganno. Esempio classico:
abbiamo due scimpanzè Belle e Rock. Belle era l’unica a conoscere dov’era nascosto il cibo, ma non appena individuava il
nascondiglio era preceduta da Rock che le sottraeva il cibo. Così nelle volte successive reagì a questo inganno allontanandosi dai
nascondigli e mettendosi seduta e aspettando. Rock si avvicinava e cercava il cibo nei paraggi. Non appena Rock fissava lo sguardo
da un’altra parte, Belle si alzava per avvicinarsi al nascondiglio e mangiare.
316. Quali sono i legami tra le capacità di inibizione delle funzioni esecutive e la menzogna strategica del bambino?
Le funzioni esecutive costituisco l’insieme dei processi finalizzati a dirigere la condotta sotto il controllo dell’attenzione. Riguardo ai
bambini si è osservato che il superamento di compiti di inibizione, necessario per la gestione di tali funzioni, si verifica attorno ai 4
anni, ma non è presente ai tre anni. Un esempio di inibizione delle funzioni esecutive è il “gioco con le mani” in cui il bambino deve
ripetere una sequenza di azioni con le mani sul tavolo proposta dallo sperimentatore (pugno/pugno-‐mano distesa/mano distesa e
viceversa). Di recente poi, Russell e Hala, hanno accertato una stretta connessione tra la capacità di inibire le funzioni esecutive e la
menzogna strategica nel bambino piccolo, mediante una prova sperimentale del cosiddetto compito finestra (gioco non verbale in
cui il bambino si trova dinanzi a due scatole opache e ad un adulto avversario. Lo sperimentatore è seduto di fronte al bambino.
Una delle due scatole contiene un premio ma nessuno dei due sa quale sia e il bambino deve indicare allo sperimentatore quella da
aprire. Se l’avversario indovina, si tiene il premio. Dopo si passa alla fase test ufficiale in cui solo la scatola del bambino presenta
una finestra in modo che egli sappia il suo contenuto e quindi se vuole può ingannare l’avversario). Mediante questo gioco è stato
dimostrato che i bambini di 4 anni adottano rapidamente la strategia menzognera; mentre i bambini di tre anni non sono ancora in
grado di controllare la risposta e indicare la scatola non contenete il premio desiderato. In compiti più semplici, la comparsa di
condotte menzognere compare già a 3 anni.
317. Quali sono i legami fra le esperienze sociali dei bambini e la loro capacità di mentire?
In ambienti naturali come quello familiare, anche bambini di 3 anni ricorrono alle bugie quando si trovano in situazioni difficili, e
rischiano di essere sgridati dai genitori. Così è emerso che in ambienti familiari, bambini di 3 anni al pari di quelli di 4 sanno
ricorrere a tipi di menzogne come false negazioni, false affermazioni, false accuse. Spesso le menzogne infantili sono dette per
scopi psicologici (salvare la faccia) piuttosto che materiali. Dunque, si può affermare che la comparsa della menzogna infantile
presuppone più una comprensione sociale delle interazioni che una comprensione astratta e teorica delle credenze (come quella
presupposta dalla “teoria della mente”). Esiste una relazione molto forte tra menzogna, relazioni tra coetanei e amicizia nei
bambini. Infatti, bambini rifiutati dai coetanei e senza amicizie stabili presentano un ritardo significativo nell’elaborazione cognitiva
di false credenze, hanno una comprensione morale molto limitata e hanno difficoltà a distinguere tra errore e menzogna rispetto ai
bambini con amicizie stabili e con un elevato grado di popolarità. L’amicizia appare quindi una variabile cruciale per lo sviluppo
cognitivo e morale dei bambini. I rapporti sociali sono molto importanti al fine di sviluppare una certa sensibilità a cogliere gli
aspetti intenzionali degli altri, anche quando sono ingannevoli. Questo ci fa capire anche il perché di rilevanti differenze culturali
nella valutazione della menzogna fra bambini occidentali e bambini orientali. Infatti, anche se entrambi sanno distinguere tra
menzogna e verità, mentre per i bambini canadesi mentire è giudicato moralmente negativo e costituisce un’azione riprovevole,
per i bambini cinesi dire delle bugie sulle proprie azioni positive (es. nascondere i propri successi) è giudicato come moralmente
buono. Entra qui in gioco per i bambini cinesi il cosiddetto effetto modestia (esigenza di essere modesti e umili, di annullare la
propria individualità per dar spazio alla collettività, alla condivisione di gruppo, per cui la verità è subordinata rispetto alle esigenze
di armonia nelle relazioni umane).
318. Quali sono i livelli intenzionali coinvolti nella menzogna ad alto rischio?
Intenzione nascosta o latente: l’intenzione di ingannare il partner manipolando e falsificando l’informazione non deve trapelare;
Intenzione manifesta o apparente: il parlante intende trasmettere al partner l’informazione manipolata. Questa intenzione si
distingue in:
Intenzione informativa -‐> il parlante vuole che il destinatario accolga come vera l’informazione manipolata che gli ha trasmesso;
Intenzione di “sincerità” -‐> il parlante vuole che il partner creda che ciò che gli ha detto è vero.
menzogna a basso rischio -‐> si tratta della menzogna della vita quotidiana, usata nelle conversazioni comuni, non particolarmente
importante sul piano interpersonale. Sono forme ingannevoli abbastanza frequenti, che comportano uno sforzo cognitivo limitato
nella pianificazione e nella comunicazione, per cui non ci si preoccupa tanto di essere scoperti. Generalmente ci si aspetta di essere
creduti e di solito ciò avviene.
Menzogne ad alto rischio -‐> sono quelle menzogne che comportano serie conseguenze sia per il mentitore che per il destinatario, e
ha dei costi elevati rispetto ad eventuali benefici. La posta in gioco è alta, e per fare ricorso a tali menzogne ci devono essere valide
ragioni. Di solito tale menzogna viene adoperata in situazioni relazionali molto difficili e conflittuali, e in situazioni in cui una
persona rischia la propria faccia e il proprio onore. Infatti, qualora fosse scoperto perderebbe la fiducia da parte del partner e
sarebbe accusato di disonestà. Quindi il carico emotivo è elevato e la pianificazione comporta uno sforzo cognitivo notevole.
Per dire una menzogna, occorre pianificarla a un qualche livello mentale. Innanzi tutto, vengono definiti i rischi: basso rischio (si
tratta della menzogna della vita quotidiana, usata nelle conversazioni comuni, non particolarmente importante sul piano
interpersonale. Sono molto frequenti e comportano uno sforzo cognitivo limitato nella pianificazione e nella comunicazione, per cui
non ci si preoccupa tanto di essere scoperti) e alto rischio (che comportano serie conseguenze sia per il mentitore che per il
destinatario, e ha dei costi elevati rispetto ad eventuali benefici. La posta in gioco è alta, e per fare ricorso a tali menzogne ci
devono essere valide ragioni; la posta in gioco è alta, e se si viene smascherati, si può essere accusati di disonestà). Queste due
categorie devono essere considerate come gli estremi di un continuum qualitativo. Inoltre, la pianificazione mentale e il carico
emotivo, sono diversi per le due forme di condotte ingannevoli.
Nello sviluppo della menzogna esistono diversi livelli intenzionali che interagiscono simultaneamente:
• Intenzione nascosta (o latente)àil parlante intende ingannare il partner manipolando e falsificando l’info ma tale intenzione non
deve trapelare;
• Intenzione manifesta (o apparente)àil parlante intende trasmettere al partner l’info manipolata e falsificata. Questa intenzione
può essere:
o A) informativaàil parlante desidera che il partner accolga l’info manipolata trasmessa come se fosse vera;
o B) di sinceritààil parlante desidera che il partner creda che ciò che egli ha detto è vero, al fine di rispettare la regola d sincerità
sottesa agli scambi comunicativi in generale, secondo la quale desidero che tu creda che io credo a quello che ti sto dicendo.
La bugia è un voler di più rispetto agli altri e rispetto a quello che si potrebbe ottenere facendo ricorso a metodi onesti e sinceri. Di
solito le persone che fanno maggior ricorso alla menzogna sono quelle che più di altri hanno a cuore la propria immagine e
l’impressione che creano negli altri.
Le motivazioni maggiori che inducono a dire bugie sono:
È una prova sperimentale, condotta da Russell e Hala, composto da due fasi: 1) compito non verbale in cui il bambino è posto di
fronte a due scatole opache e a un adulto in qualità di avversario. una delle due scatole contiene il premio, ma nè il bambino nè
l'avversario sanno dove sia. Il bambino indica con il dito all'avversario quale aprire, e se c'è il premio, l'avversario se lo tiene, se no
va al bambino. Questa è una fase di addestramento. 2) le due scatole opache sono state sostituite da due scatole che presentano
una finestra dalla parte del bambino, e restano opache nella parte dell'avversario, in modo che il bambino può vedere dove si trova
il premio. a questo punto possiamo chiederci se il bambino può elaborare una strategia ingannevole in base alla quale indicare
all'avversario che il premio si trova nella scatola vuota significa prendersi il premio. Gli sperimentatori hanno riscontrato che
mentre i bambini di 4 anni adottano immediatamente una strategia menzognera, quelli di 3 anni non ci riescono, poichè i bambini
di 3 anni non sono ancora in grado di inibire la risposta, devono ancora tenere a mente quale sia la regola di indicare la scatola
vuota.
Secondo il senso comune, la comunicazione menzognera, soprattutto per le bugie ad alto rischio, è caratterizzata da
comportamenti che denotano ansia, nervosismo e inquietudine. I comportamenti che vengono messi in atto sono: distogliere lo
sguardo dall’interlocutore, muovere molto il corpo (soprattutto mani, gambe, piedi), sorridere spesso e gesti di automanipolazione
(toccarsi i capelli) per far fronte alla situazione di imbarazzo. L’eloquio è ricco di esitazioni, pause, errori linguistici, tono di voce
acuto.
325. Si descrivano gli stili linguistici della comunicazione menzognera (principali modi per dire le bugie).
stile linguistico del “dire per non dire” -‐> improntato all’ambiguità e alla prolissità, viene usato soprattutto se si ha dinanzi un
interlocutore silenzioso e acquiescente. È uno stile linguistico caratterizzato da molti modificatori con valenza dubitativa (“circa”,
“quasi”, “forse”) e da predicati epistemici (“penso”, “suppongo”). Le frasi sono molto lunghe e complesse con uso specifico di
affermazioni vaghe e generali.
Stile linguistico dell’“esimersi dal dire” -‐> stile linguistico che fa ricorso ad una modalità comunicativa caratterizzata da evitamento,
e risulta particolarmente efficace in presenza di un interlocutore sospettoso e inquisitore. Questo stile si basa su un elevata
riduzione e semplificazione delle frasi. Il parlante pur dicendo una menzogna, cerca di definire i confini del discorso nel modo più
stretto possibile, senza fornire elementi che potrebbero indurlo a contraddirsi.
Stile linguistico del “si dice che...” -‐> stile caratterizzato da impersonalizzazione del discorso. Il mentitore si astiene dal parlare in
prima persona, così da evitare di assumersi la responsabilità di quanto sta comunicando. Qualora venisse scoperto è sempre in
grado dissociarsi da quanto detto, perché si giustifica sostenendo di aver riportato solo quanto ha sentito. Dunque egli fa ricorso
soprattutto a terze persone (lui, lei mi ha detto che..) e a forme impersonali (si dice che..).
326. Quali sono gli indizi non verbali di smascheramento della menzogna in base alle ricerche sperimentali?
il principio di base a cui attenersi è individuare e verificare il profilo delle differenze non verbali individuali manifestate dal parlante
nella situazione in cui mente rispetto al profilo dei comportamenti non verbali manifestati dallo stesso in caso di comunicazione
standard. Le aree dei comportamenti non verbali a cui prestare maggiore attenzione per individuare le bugie risultano essere:
Tre sono i sistemi principali che si possono utilizzare a questo fine:
Sva -‐> questo strumento diagnostico si avvale dei seguenti indicatori: caratteristiche psicologiche individuali, caratteristiche
dell’intervista (domande chiuse, aperte, indirette..); motivazioni a riferire false dichiarazioni; aspetti generali della situazione
(concordanza con altre prove e con altre dichiarazioni).
La tecnica del poligrafo si basa su presupposti che appaiono discutibili:
1. gli individui non devono essere in grado di controllare le proprie emozioni; 2. la presenza di variazioni fisiologiche dovute
all’attivazione emotiva è direttamente connessa alla menzogna; 3. gli individui devono reagire allo stesso modo di fronte a dati
stimoli. In realtà gli individui sanno controllare le proprie risposte emotive o possono comunque imparare a farlo.
330. Si descrivano le ragioni dell'insuccesso nello smascherare la menzogna.
Non abbiamo mai indizi certi, costanti e universali per poter smascherare la menzogna, ma ogni volta dobbiamo indagare, fare
supposizioni e individuare indizi e prove. In base alle convenzioni sociali e culturali, le persone tendono ad accettare come veridico
ciò che gli altri dicono e quindi a ridurre in modo sistematico atteggiamenti sospettosi e inquisitori. Ciò è anche normale, perchè
mettere tutto continuamente in discussione, accusare sempre l’altro di falsità impedirebbe di stabilire un qualsiasi rapporto di
intimità e fiducia reciproca. Un'altra ragione della difficoltà a scoprire la menzogna è data poi da una tendenza universale nell’uomo
ad essere incline alla verità, ossia la tendenza a ritenere e ad accettare (per principio) come veritiero il discorso fatto dagli altri.
si propone di registrare le variazioni fisiologiche concomitanti con la produzione di una affermazione bugiarda e quindi di scoprire il
bugiardo. Questo sistema si basa sulla convinzione che la pianificazione e la comunicazione di una menzogna implicano un carico
cognitivo ed emotivo che comporta variazioni fisiologiche del soggetto, come il ritmo del battito cardiaco, la pressione sanguigna, la
sudorazione cutanea ecc. L’esame del soggetto prevede una prova preliminare (slim test). Il soggetto esaminato prendere una carta
dal un mazzo, la guarda e la rimette nel mazzo. Dopo deve rispondere no a qualsiasi carta mostrata dall’esaminatore. Alla fine,
l’esaminatore comunica che la macchina ha riconosciuto quando il soggetto ha mentito, poiché quando ha visto la carta che
realmente aveva pescato, ha detto no. Dopo questa fase, avviene la prova vera e propria che può prevedere tre tipi di test: la
tecnica della domanda di controllo – Cqt, il test della conoscenza colpevole -‐Gkt-‐, il test del controllo rilevante -‐Rct.
Reality monitoring -‐> si basa sull’idea che i ricordi dell’esperienza reali sono caratterizzati da informazioni percettive (dettagli visivi,
sonori..), da informazioni contestuali e da informazioni affettive. Esso prevede una griglia di criteri che valuta la presenza di tali
informazioni e il punteggio sarà tanto più elevato quanto più numerosi sono i criteri soddisfatti.
Cbca (analisi del contenuto basata su criteri) -‐> Consiste in una griglia di 19 criteri per valutare la credibilità delle dichiarazioni fatte,
in base all’idea che tali criteri ricorrano con maggiore frequenza nelle testimonianze vere che in quelle false. Più elevato è il
punteggio Cbca, più è probabile che l’affermazione sia veridica. Tuttavia, questo strumento diagnostico presenta dei limiti: richiede
un prolungato addestramento per superare i rischi connessi alla soggettività dell’esperto; è finalizzato solo ad accertare la validità
degli indizi veritieri e a ignorare gli indizi menzogneri; una dichiarazione falsa più essere costruita talmente bene da rispettare molti
dei criteri indicati dal Cbca e apparire quindi verosimile.
334. Quali sono i fattori che rendono sospettoso l'interlocutore di un mentitore?
Il destinatario comincia a dubitare sulla veridicità delle dichiarazioni fatte da un interlocutore in diverse situazioni:
-‐cambiamento rapido e immotivato dei modelli di comportamento usualmente seguiti dal parlante, senza una spiegazione
plausibile;
-‐violazione delle aspettative comunicative ossia una variazione rilevante degli stili di comunicazione di solito usati dal parlante.
Inoltre l’atteggiamento di sospetto può essere indotto anche da una terza persona: spesso quest’ultima possiede informazioni che
sono in parte comuni agli interlocutori e in parte specifici del parlante. Di conseguenza, può decidere di informare il destinatario su
fatti, opinioni che lo riguardano e che possono indurlo a diventare sospettoso nei confronti del parlante.
Il destinatario sospettoso diventa molto vigile e attento ai contenuti e a diversi stili comunicativi del parlante, va alla ricerca
puntuale di ogni possibile indizio (verbale e non) a prova della menzogna e adotta una disposizione mentale, che è più favorevole a
ritenere come false le affermazioni fatte dal parlante. Chi è sospettoso fa inevitabilmente domande che assumono la forma di
interrogatorio, alla ricerca delle prove fattuali della falsità. L’atteggiamento sospettoso risulta efficace nello scoprire bugie sia con
gli estranei che con i famigliari. Soprattutto fra due partner famigliari vi è una storia relazionale prolungata nel tempo, che consente
al ricevente di scoprire più facilmente e con maggior accuratezza eventuali scostamenti bugiardi rispetto alla condotta precedente
del parlante.
Lo stile machiavellico di mentire è un’importante costrutto psicologico che illustra un profilo di personalità noto come personalità
machiavellica. Si tratta di quelle persone che presentano una disposizione a manipolare gli altri, giustificando tale condotta con
scopi di adattamento. La condotta machiavellica è caratterizzata da 3 aspetti prevalenti:
a) l’impiego di strategie di manipolazione degli altri come l’inganno, il raggiro, la truffa e l’adulazione;
b) la percezione cinica degli altri come persone deboli, inaffidabili, ingenue e creduloni;
c) una indifferenza di fondo verso le regole convenzionali di moralità nei propri pensieri e azioni.
Con tale impostazione di personalità i soggetti machiavellici sono in grado di mentire guardando spesso l’interlocutore,
mostrandosi sinceri e affidabili, rimanendo tranquilli e inventandosi bugie credibili e logicamente coerenti. Questi soggetti si
ritengono abili nell’influenzare gli altri che non stimano e sono pronti a strumentalizzarli per raggiungere scopi personali.
336. Quali sono i legami tra abilità sociale ed efficacia nel dire bugie?
Anche senza fare ricorso alla personalità machiavellica, il mentitore ha a sua disposizione numerosi strumenti comunicativi per
conseguire il successo nella produzione del suo messaggio. Per raggiungere questo obiettivo egli può contare sui cosiddetti
dispositivi di facciata, con cui può recitare la parte dell’onesto e del sincero, pur essendo menzognero. Fanno parte di tali dispositivi
le diverse abilità sociali mediante le quali il parlante riesce a stabilire un contatto comunicativo efficace con l’interlocutore. Un
esempio è dato dall’espressività che consiste nel riuscire a parlare in modo fluente e spontaneo, a manifestare in modo articolato le
proprie idee ed emozioni, ad affrontare problemi impegnativi come eventuali problemi relazionali sorti durante l’interazione. In tal
senso gli estroversi si trovano avvantaggiati. Un’altra abilità sociale è data dalla capacità di controllo nella regolazione del proprio
discorso. Il mentitore deve dimostrare di aver fiducia in sé stesso, riuscendo ad assumere diversi ruoli sociali, e deve essere abile
nel far fronte alle proprie emozioni. Rientra ancora fra le abilità sociali la sensibilità nei confronti dell’interlocutore, mostrando
attenzione a ciò che dice e alle sue reazioni non verbali.
La produzione e il commercio di beni di consumo e di servizi sono soggetti a comportamenti ingannevoli. Infatti, la produzione e la
vendita di beni e servizi, appoggiando sulla persuasione e sulla seduzione dei consumatori, non possono non fare ricorso in qualche
modo ad aspetti ingannevoli. Un esempio è la pubblicità: il messaggio pubblicitario segue le tecniche della seduzione per colpire
l’attenzione e aumentare l’interesse del consumatore verso l’oggetto pubblicizzato. Questo comporta un trattamento inevitabile
del prodotto attraverso una serie di “trucchi” per volgere al meglio le sue qualità. Può sottolineare il valore della certificazione,
lasciando intendere che il prodotto è di qualità migliore; può giocare sulla somiglianza, in cui i prodotti meno noti possono
assumere forme e colori simili a quelli leader; può puntare al valore aggiuntivo dei testimonial, personaggio importante, che nella
vita pubblica diventa portavoce del prodotto facendo passare il messaggio “consuma anche tu il prodotto e sara i come me”; può
anche sottolineare l’unicità. Anche il packaging del prodotto può apparire ingannevole.
Anche la storia della scienza è ricca di esempi di inganni, dal cosiddetto “addomesticamento” dei dati in funzione della convalida
delle ipotesi formulate, all’imbroglio vero e proprio. La menzogna nella scienza può avere diverse radici, quali l’urgenza di far
vedere il valore delle proprie idee, la tendenza a comprovare le proprie ipotesi, l’esigenza di dimostrare la validità delle proprie
teorie, fino a giungere al bisogno di successo, di fama e di affermazione ad ogni costo. Ne sono un esempio i calcoli di Newton,
Freud, Burt.
Probing effect: consiste nel richiedere al parlante di ripetere di nuovo ciò che ha detto o di aggiungere altre informazioni a quanto
già detto. Questa domanda di approfondimento può essere neutra “puoi dirmi di nuovo quello che è successo?”, può essere
positiva: “ho capito quello che hai detto, ma puoi dirmi di nuovo quello che è successo?”, oppure negativa: “non ho capito quello
che hai detto, me lo puoi ripetere?”. Le ricerche hanno dimostrato che tale richiesta, non solo non aumenta il livello di accuratezza
nella scoperta delle bugie, ma anzi, in modo quasi paradossale, aumenta la percentuale di giudizi di credibilità e di onestà del
parlante. Per spiegare questo effetto, si è fatto ricordo all’adattamento del comportamento, secondo cui il parlante a cui è stata
rivolta la domanda di approfondimento adatta i suoi messaggi successivi in modo da apparire onesto e degno di fiducia. Nel
momento stesso in cui il ricevente pone delle domande di chiarimento e di approfondimento al parlante, egli si sente in qualche
modo già messo al sicuro dall’eventualità di essere ingannato. È come se porre le domande di chiarimento fosse uno strumento di
difesa. Per cui, siamo in presenza di una euristica dell’indagine, in grado di produrre da sola l’effetto indagine.
Intimidazione: martellamento in cui si sottopone l’indagato a una raffica di accuse e di critiche.
Forme di irrisione: in cui si sottolinea la futilità della menzogna.
Forme di liberazione: in cui si punta sul sollievo e sul conforto generato dalla confessione.
Forme di bluff: in cui si avverte l’indagato che la scoperta della verità è imminente.
Forme di logica: in cui si evidenziano le incoerenze e la contraddizione rilevabili dei discorsi fatti dall’indagato.
Anche la comunicazione politica fa ricorso alle regole del discorso menzognero mediante allusioni e raggiri, omissioni e distorsioni,
insinuazioni e falsificazioni. L’assenza di ogni monopolio della verità, la visione dei poteri, la competizione elettorale e la libertà di
opinione sono ispirate dall’esigenza di far contrapporre idee diverse. Il rapporto tra politica e menzogna è stato oggetto di
considerazione da parte di molti pensatori. Primo fra tutti Platone, che si domandava “gli dei hanno bisogno di mentire, ma i
politici?”. A questa domanda rispondeva positivamente, considerando la menzogna detta dai politici come una sorta di “farmaco”
per gestire in modo ottimale le risorse. Sottolinea però, che l’atto di poter mentire è riservato solo ai politici e non ai cittadini.
Afferma quindi, la menzogna utile per educare il popolo è una nobile menzogna. Anche per Machiavelli era lecito che i politici (della
città terrena) mentissero. Inoltre, egli afferma che l’astuzia appare una strategia di governo più economica e vantaggiosa rispetto
alla forza e alla coercizione. Le elezioni politiche sono il luogo in cui si svolge la competizione fra diverse forze politiche in campo.
Esse sono un terreno privilegiato per lo studio della comunicazione menzognera. Infatti, le lezioni politiche costituiscono
un’occasione privilegiata per fare affermazioni ingannevoli. Studiato già ai tempi dei romani, con Quinto Cicerone, in questo
periodo non è raccomandabile né essere sinceri, né essere spontanei, bensì l’adulazione, la finzione, la simulazione e la capacità di
promettere agli elettori ciò che essi si aspettano da loro. Ciò conduce a una menzogna collusiva: i politici sanno di mentire
promettendo molto di più rispetto a quanto poi riusciranno a fare, ma anche gli elettori sono consapevoli che tali promesse non
verranno mai attuate.
Per dire una bugia in modo efficace, il mentitore deve riuscire a generare una soddisfacente sintonia semantica, grazie alla
coordinazione di diversi sistemi (verbali e non verbali) di comunicazione. In questo modo egli fornisce unitarietà al discorso
menzognero di senso da lui prescelto e modifica l’ambiente psicologico del ricevente nel senso desiderato. Lungo questo percorso,
egli fa riferimento a una condizione di opacità intenzionale, poiché i suoi contenuti mentali e intenzionali rimangono inaccessibili in
modo diretto per qualsiasi interlocutore. Egli usa solitamente:
• Abduzioneàpassa a ritroso dagli effetti alle cause, per spiegare quanto è accaduto;
• Euristiche.
La menzogna è essenzialmente una comunicazione fra due attori. Infatti, da una parte abbiamo il mentitore, che ha l’obiettivo di
mentire e di non essere scoperto. A seconda che ci riesca o meno verrà considerato abile o ingenuo. Dall’altra abbiamo il
destinatario, che ha come obiettivo quello di non farsi ingannare e di smascherare il mentitore. Se riesce a raggiungere tali obiettivi
si troverà nella posizione di smascheratore, altrimenti sarà vittima. Un caso a sé invece è la collusione menzognera, nella quale il
destinatario è consapevole della menzogna detta dall’interlocutore, ma finge che le sue affermazioni siano vere e le accetta come
tali. In quanto interazione comunicativa, la menzogna prevede da parte del mentitore un’architettura del messaggio in linea con la
gerarchia delle sue intenzioni. E che sia in grado di stabilire un fuoco comunicativo in cui gli aspetti menzogneri siano resi credibili
attraverso la riduzione delle informazioni. In ogni caso, il fuoco comunicativo deve apparire sostenibile attraverso una efficace
calibrazione cognifiva ed affettiva. Per dire una bugia in modo efficace, il mentitore deve riuscire a generare una soddisfacente
sintonia semantica, grazie alla coordinazione di diversi sistemi (verbali e non verbali) di comunicazione. In questo modo egli
fornisce unitarietà al discorso menzognero di senso da lui prescelto e modifica l’ambiente psicologico del ricevente nel senso
desiderato. Lungo questo percorso, egli fa riferimento a una condizione di opacità intenzionale, poiché i suoi contenuti mentali e
intenzionali rimangono inaccessibili in modo diretto per qualsiasi interlocutore.
Il destinatario comincia a dubitare sulla veridicità delle dichiarazioni fatte da un interlocutore in diverse situazioni:
-‐cambiamento rapido e immotivato dei modelli di comportamento usualmente seguiti dal parlante, senza una spiegazione
plausibile;
-‐violazione delle aspettative comunicative ossia una variazione rilevante degli stili di comunicazione di solito usati dal parlante.
Inoltre l’atteggiamento di sospetto può essere indotto anche da una terza persona: spesso quest’ultima possiede informazioni che
sono in parte comuni agli interlocutori e in parte specifici del parlante. Di conseguenza, può decidere di informare il destinatario su
fatti, opinioni che lo riguardano e che possono indurlo a diventare sospettoso nei confronti del parlante.
Il destinatario sospettoso diventa molto vigile e attento ai contenuti e a diversi stili comunicativi del parlante, va alla ricerca
puntuale di ogni possibile indizio (verbale e non) a prova della menzogna e adotta una disposizione mentale, che è più favorevole a
ritenere come false le affermazioni fatte dal parlante. Chi è sospettoso fa inevitabilmente domande che assumono la forma di
interrogatorio, alla ricerca delle prove fattuali della falsità.
• Teoria della scelta razionale: spiega l’autoinganno sulla base della razionalità limitata dell’essere umano. Chi si
autoinganna non prende in considerazione le ragioni più valide ma quelle più funzionali per raggiungere i suoi scopi e
desideri. Egli preferisce evitare una condizione spiacevole (l’informazione menzognera p) piuttosto che accettare
l’informaizone vera non-‐p.
• Modello della divisione mentale: l’autoinganno è dovuto a un processo inconscio automatico, poiché chi si autoinganna
non è consapevole di ammettere una delle due credenze (p e non-‐p) per ragioni motivazionali. In questo modo 2
credenze opposte possono coesistere soltanto se sono tenute separate da moduli mentali che funzionano in modo
indipendente tra loro.
• Modello deflazionistico: prevede la reinterpretazione della credenza vera giudicata minacciosa (es. un insuccesso). Chi si
autoinganna, può credere p falso senza aver bisogno di credere non-‐p vero, grazie a una serie di distorsioni cognitive.
L’autoinganno richiede una condizione di incertezza così che il soggetto possa agire come se fosse autorizzato a credere di poter
modificare qualcosa che è già stato determinato e che non è più modificabile. Chi si autoinganna è capace di trasformare la realtà
nella sua mente e una credenza falsa diventa vera. Di conseguenza, l’autoinganno diventa una strategia efficace e un mezzo
potente per inventare una menzogna nei confronti di altri.
Secondo la versione originale dell'ipotesi della relatività linguistica, non solo il linguaggio influisce sul pensiero, ma addirittura
lo produce. Un'ipotesi così netta viene attualmente rifiutata, tuttavia essa non è stata completamente abbandonata. Tuttora si
ritiene che il linguaggio abbia un'influenza nel modellare il pensiero. Allo stesso tempo, però, anche il pensiero influisce sul
linguaggio. Oggi si sostiene quindi l'esistenza di un'interazione complessa fra questi due aspetti.
È un sistema che comprende i movimenti del corpo, del volto e degli occhi. Tali movimenti non servono solo a compiere azioni, ma
possono ricoprire una funzione di produzione e trasmissione dei significati. I movimenti del volto costituiscono un sistema
semiotico privilegiato, in quanto il volto costituisce un naturale focus di attenzione per qualunque interlocutore. Servono quindi,
per manifestare gli stati interni del soggetto. Secondo Darwin infatti, il sorriso viene inteso come espressione dell’emozione della
gioia, più o meno intensa, anche se le ricerche hanno evidenziato che non sempre il sorriso è in stretta relazione con le emozioni,
quanto piuttosto con una serie di relazioni sociali e relazionali. Un altro componente non verbale importante è lo sguardo, che,
nella cultura occidentale, ha un importante ruolo nella comunicazione.
I gesti sono azioni motorie coordinate e circoscritte, volte a generare un significato e indirizzate a un interlocutore al fine di
raggiungere uno scopo. Si dividono in: gesti iconici, pantomime, gesti simbolici, gesti deittici, gesti motori.
È la disciplina che si focalizza sullo studio del contatto corporeo fra gli individui. Il contatto corporeo è infatti fra i bisogni
fondamentali dell’essere umano: toccare l’altro può comunicare una relazione di vicinanza, supporto, accudimento o addirittura
segnalare l’esistenza di un rapporto affettivo. Il contatto con altri individui può anche manifestare una relazione di dominanza e di
potere (in genere chi è più potente si ritiene maggiormente libero di toccare l’altro)
A livello comunicativo si passa dalla multimodalità percettiva all’intermodalità semantica, uso di linguaggi differenti in media diversi
per costruire
un messaggio dotato di senso:
− nella comunicazione in presenza si riferisce, ad esempio, all’utilizzo contemporaneo di parole, toni, volume, mimica facciale,
gestualità
− negli artefatti comunicativi: insieme di immagini, suoni, linguaggio verbale (ad esempio, in un film)
È lo studio dell’organizzazione e dell’uso dello spazio, della distanza e del territorio. È in stretta relazione con la corporeità perché
diversi contesti e relazioni suggeriscono diverse “zone ottimali”. Si è soliti distinguere tra:
o zona intima (0-‐0,5 m): area delle relazioni intime
o zona personale (0,5-‐1 m): circonda in modo costante il nostro corpo ed è possibile entrarci solo nel corso delle
interazioni molto personali
o zona sociale (1-‐3,5 m) : la distanza alla quale si svolge la maggior parte delle interazioni quotidiane
o zona pubblica (oltre i 4 m): spazio delle situazioni pubbliche e ufficiali
Esistono delle differenze culturali anche nella gestione dello spazio.
personale e della distanza dagli altri:
• cultura della distanza (popolazioni occidentali e asiatiche): grande rispetto dello spazio personale
La comunicazione non verbale è una dimensione fondamentale all’interno dei processi comunicativi; in particolare, risulta
fondamentale sul piano relazionale in quanto interviene nella manifestazione delle emozioni e dell’intimità, dei rapporti di potere,
nei fenomeni di persuasione e della seduzione. La comunicazione non riguarda soltanto conoscenze, informazioni e notizie ma
anche le relazioni interpersonali: attraverso la comunicazione noi creiamo e manteniamo le nostre relazioni con gli altri.
Molti animali comunicano tra di loro in modo rudimentale. Non è ancora dimostrato però che si tratti di un vero e proprio
linguaggio il quale implica la capacità di produrre e comunicare concetti nuovi e unici seguendo una grammatica formale. Vi sono
alcuni casi in cui gli psicologi sono riusciti a far comunicare gli scimpanzé a livelli sorprendentemente alti:
• dopo 4 anni di allenamento, uno scimpanzé ha imparato 132 gesti corrispondenti a parole e a combinarli in
semplici frasi
• uno scimpanzé pigmeo possiede abilità linguistiche simili a quelle di un bambino di due anni
I critici sostengono che il linguaggio utilizzato dagli scimpanzé precedentemente citati manchi della grammatica e delle costruzioni
complesse e uniche tipiche del linguaggio umano. Non ci sono inoltre prove inconfutabili che gli animali riconoscano e rispondano
allo stato mentale dei compagni di specie, un aspetto importante della comunicazione umana. È quindi ancora aperta la domanda
circa la possibilità di insegnare agli animali a comunicare in modo simile a quanto fanno gli umani.
Presente nel 4 stadio di sviluppo del linguaggio: STADIO DI ESPANSIONE: dal quarto all’ottavo mese.
Compare una serie più lunga di sillabe, suoni vocalici e consonantici prolungati. Emerge il babbling (lallazione): produzione di
sequenze di sillabe di tipo consonante-‐vocale che si ripetono identiche o variano, con un’organizzazione ritmica e temporale simile
al parlato adulto.
1.STADIO FONATORIO: dalla nascita ai due mesi. Il bambino produce suoni quasi vocali, compare il pianto riflesso e i suoni
vegetativi (ruttini, colpi di tosse, deglutizioni). Questi suoni non hanno funzioni biologiche, ma sono ripetuti in maniera
probabilmente intenzionale.
2.STADIO PRIMITIVO FONATORIO: dal secondo al quarto mese di vita. Produzione sequenziale di suoni (quasi vocali e
protoconsonanti). Compaiono le vocalizzazioni di benessere (cooing). Emergono nasali sillabiche o suoni vocalici nasalizzati.
3.STADIO DI ESPANSIONE: dal quarto all’ottavo mese. Compare una serie più lunga di sillabe, suoni vocalici e consonantici
prolungati. Emerge il babbling (lallazione): produzione di sequenze di sillabe di tipo consonante-‐vocale che si ripetono identiche o
variano, con un’organizzazione ritmica e temporale simile al parlato adulto.
4.STADIO CANONICO: dai cinque ai dodici mesi. Si verifica il passaggio dal babbling alle prime parole. Periodo nella quale i bambini
dicono “baba” e “dada”. Si presenta la continuità temporale tra il blabbing e le prime parole.
L’acquisizione della lingua segue i principi di rafforzamento e di condizionamento scoperti dagli psicologi dell’apprendimento. Più i
genitori parlano ai loro bambini, più essi diventano abili nell’utilizzo del linguaggio. Non spiega come i bambini acquisiscono le
regole linguistiche
Nel cervello è presente il LAD (dispositivo di acquisizione linguistica) che permette di comprendere
la struttura del linguaggio e le strategie e le tecniche di acquisizione della nostra lingua madre. Chomsky non arriva ad individuare
un’area specifica del cervello.
360. Che cos'è la grammatica e quali sono le sue componenti?
È un sistema di regole che determina come i nostri pensieri possono essere espressi.
FONOLOGIA: studio delle unità fondamentali del linguaggio, i fonemi, e del modo in cui utilizziamo questi suoni per formare le
parole e produrre significato.
SINTASSI: il gruppo di regole che indica come le parole e le frasi possono essere combinate per formare i periodi.
SEMANTICA: i significati di parole e frasi che permettono di esprimere sottili sfumature
PRAGMATICA: esame delle parole all’interno del loro contesto di utilizzo
La pulsione può essere definita come una tensione motivazionale, che mette in moto un comportamento per soddisfare un
bisogno. Dunque, il bisogno alimenta una pulsione che fornisce l’attivazione necessaria all’abitudine adeguata al contesto e la
conduce all’esecuzione.
Cercano di spiegare comportamenti il cui obiettivo è quello di mantenere o incrementare l’attivazione. Secondo le teorie
dell’aurosal, ciascun individuo cerca di mantenere un livello ottimale di stimolazione e di attività. Diversamente dalle teorie sulle
pulsioni, questo approccio prevede che qualora i livelli di stimolazione diventino troppo bassi, l’organismo cerca di innalzarli,
ricercando nuovi stimoli.
Hull, un comportamentista, considera due componenti fondamentali della motivazione al comportamento:
-‐ abitudine: associazione ripetuta fra uno stimolo e una risposta
-‐ pulsione: attivazione dell’organismo che mette in moto un comportamento per soddisfare un bisogno
Il bisogno alimenta una pulsione che fornisce l’attivazione necessaria all’abitudine adeguata al contesto e la conduce all’esecuzione.
Il comportamento è quindi come il prodotto di pulsione per abitudine.
La diffusione del concetto di istinto in psicologia si deve a McDougall che definisce gli istinti come motori di ogni condotta.
“Possiamo dunque definire un istinto come una disposizione innata che spinge l’organismo a percepire (a prestare attenzione a)
qualsiasi oggetto di una certa classe e a sperimentare, in sua presenza, un dato eccitamento emotivo e un impulso ad agire che
trova espressione in modo specifico di comportamento in relazione a quell’oggetto (…)”.
Egli identifica tre tipologie di componenti:
-‐ cognitiva: riconoscere qualcosa e prestarvi attenzione.
-‐ affettiva: ogni istinto è caratterizzato da una specifica emozione
-‐ conativa: l’impulso ad agire in un certo modo, avvicinandosi o allontanandosi da un oggetto.
Egli tentò di ricondurre l’insieme del comportamento a un numero ristretto di istinti. Il concetto di istinto non riusciva però a
spiegare i comportamenti maggiormente complessi; per questo motivo furono create liste con un numero sempre più elevato di
istinti.
Insieme dei processi di attivazione e di orientamento del comportamento verso la realizzazione di un determinato scopo. Le teorie
che cercarono di spiegare la motivazione, rivolsero l’attenzione agli istinti, ovvero dei modelli di comportamento innato, integrati
nel sistema nervoso e biologicamente determinati piuttosto che appresi. Ciò significa che sin dalla nascita, all’interno del proprio
repertorio comportamentale, l’individuo appartenente a una certa specie è dotato di un certo numero di risposte innate, pronte ad
essere impiegate. Esse sono caratterizzate da un’associazione tra stimoli ambientali e tendenza al comportamento che è pre-‐
esistente a esperienze di apprendimento e che consentono all’individuo di adattarsi rapidamente all’ambiente. Negli animali, e
dunque anche nell’uomo, è possibile rilevare molteplici sistemi comportamentali finalizzati a base genetica: il comportamento
sessuale, l’allevamento dei piccoli, comportamento sociale entro la specie. Alla base di queste teorie vi è l’osservazione che
determinate sequenze di comportamento vengono eseguite in maniera fissa, rigida e stereotipata all’interno di una specie e sono
indipendenti dal processo di apprendimento.
Zuckerman (1979) ha elaborato il concetto di sensation seeking (ricerca di sensazioni). Consiste nel bisogno, variabile fra gli
individui, di stimolazioni nuove e complesse unite alla disponibilità a correre rischi fisici e sociali per provarle. Si struttura in quattro
componenti:
-‐ ricerca del brivido e di avventura
-‐ ricerca di esperienza
-‐ disinibizione
-‐ suscettibilità alla noia
Comportamento specie-‐specifico, geneticamente programmato, corrispondente alla tendenza innata del piccolo a considerare
come propria madre il primo oggetto in movimento con cui entra in contatto e, di conseguenza, mostrare il comportamento di
attaccamento. In natura, il primo oggetto in movimento che il piccolo vede è in genere la madre verso cui sviluppa il
comportamento di imprinting. Esso serve per garantire la vicinanza tra madre e piccolo che nei primi tempi dopo la nascita è
completamente indifeso e dipendente dall’adulto. Tale risposta avviene in un periodo critico/sensibile che è ristretto e in cui si fissa
il comportamento istintivo verso l’individuo che emette il segnale chiave. Superata questa soglia la risposta di imprinting non è più
attivabile.
Teoria dell’incentivo: La teoria di Hull venne successivamente modificata. L’effetto di un fattore di tipo ambientale sulla
motivazione, risultava inspiegabile dal modello iniziale di Hull, che faceva dipendere il comportamento da fattori esclusivamente
interni all’organismo (pulsione x abitudine).
Definisce la motivazione come il desiderio di raggiungere obiettivi importanti esterni a noi, detti appunto incentivi. Quando, ad
esempio, dopo una cena abbondante ci viene presentato un dolce invitante, esso ci attrae non perché siamo affamati, ma per un
fattore esterno (il dessert stesso che ci piace molto). Questa teoria rende conto del perché ci si lascia soddisfare da un incentivo,
ma non fornisce una spiegazione completa della motivazione: talvolta gli organismi cercano di soddisfare dei bisogni anche quando
non ci sono chiari incentivi. Si è perciò sostenuto che le pulsioni interne e esterne lavorano congiuntamente, «spingendo» e
«attraendo» un comportamento.
Il corpo ha alcuni bisogni biologici che vanno soddisfatti per mantenere uno stato di equilibrio o omeostasi.
All’interno di questo approccio, vengono evidenziate due tipologie di pulsioni:
-‐ primarie: legate ai bisogni corporei, come la fame, il sonno e il sesso
-‐ secondarie: legate ai bisogni che nascono dalle esperienze passate e dall’apprendimento
Il modello della riduzione delle pulsioni è riscontrabile in diverse teorie, tra cui quella di Freud il quale sosteneva che le pulsioni di
sesso e aggressività motivano il comportamento umano.
La pulsione può essere definita come una tensione motivazionale, che mette in moto un comportamento per soddisfare un
bisogno. Dunque, il bisogno alimenta una pulsione che fornisce l’attivazione necessaria all’abitudine adeguata al contesto e la
conduce all’esecuzione. La diffusione del concetto di istinto in psicologia si deve a McDougall che definisce gli istinti come motori di
ogni condotta. “Possiamo dunque definire un istinto come una disposizione innata che spinge l’organismo a percepire (a prestare
attenzione a) qualsiasi oggetto di una certa classe e a sperimentare, in sua presenza, un dato eccitamento emotivo e un impulso ad
agire che trova espressione in modo specifico di comportamento in relazione a quell’oggetto (…)”.
Ci sono però anche alcune differenze: diversamente dagli istinti, le pulsioni sono soggette alle variazioni tra individui e all’influenza
dell’ambiente.
373. Si descriva il concetto di locus di attribuzione causale.
Ciascun individuo formula ipotesi e giudizi relativi ai fattori causali degli eventi, in particolare riguardo alla localizzazione causale
degli eventi (locus of control), alla stabilità temporale del fattore causale individuato
e alla sua controllabilità. Chi possiede un locus of control interno attribuisce a cause personali i propri successi, mentre coloro i
quali presentano un locus of control esterno attribuiscono a cause esterne successi e insuccessi. Per esempio, chi ha un locus
interno, stabile e controllabile attribuisce il successo ad un esame alle proprie capacità, mentre chi possiede un locus esterno,
variabile e incontrollabile, alla fortuna o alla sfortuna. Dalla stabilità temporale dipendono le stime di probabilità che a loro volta
determinano le aspettative: se una persona attribuisce un fallimento a fattori stabili, ciò pregiudica la fiducia e la valutazione sulla
possibilità di raggiungere un obiettivo in futuro; una spiegazione basata sulla fortuna determina un’aspettativa meno negativa,
poiché è possibile stabilire il cambiamento di alcuni fattori. Dalla localizzazione della causa dipendono le reazioni emotive legate al
successo e all’insuccesso, come orgoglio e vergogna. Gioia e soddisfazione per il successo sono particolarmente intense se la
localizzazione è interna; in caso di insuccesso, un’attribuzione esterna permette di mantenere integra la propria autostima e
l’attribuzione della propria competenza. Esistono dei veri e propri stili attribuzionali: tendenza a preferire alcuni fattori causali per
spiegare il successo e l’insuccesso.
Il punto di partenza è la TEORIA DELL’UTILITÀ SOGGETTIVAMENTE ATTESA – USA -‐ (Edwards, 1961): le scelte che ogni soggetto
compie possono essere scomposte in probabilità e preferenze-‐ l’assunto è che gli individui tendono a scegliere l’opzione con utilità
soggettivamente attesa più elevata. Cioè, per Edwards, nel momento di fare una scelta, sono determinanti le stime soggettive che
ciascun individuo compie. Diventa quindi centrale il ruolo dell’aspettativa che definisce il valore di un soggetto/evento da
conseguire così come l’attrattiva del suo ottenimento. Successivamente Atkinson (1964) parlò di tendenza al successo in cui
intervengono diversi fattori:
-‐ livello di aspirazione: ciò che l’individuo si propone di raggiungere: l’esperienza di successo. Infatti, non dipenderebbe tanto dal
risultato oggettivo conseguito, quanto piuttosto dal livello di aspirazione preventivamente stabilito.
-‐ probabilità di successo: probabilità di riuscire a portare a termine il compito
-‐ incentivo: raggiungimento del successo. È tanto più elevato quanto più è difficile il compito da portare a termine.
375. Qual è la differenza fra bisogni di carenza e bisogni di crescita?
I bisogni dei primi due gradini della piramide (bisogni fisiologici e di sicurezza) sono detti bisogni di carenza perché decrescono con
la loro soddisfazione.
I bisogni di crescita (bisogni di appartenenza, di stima, di autorealizzazione) si sviluppano continuamente e non scompaiono mai.
Esponente della psicologia umanista, Maslow sviluppò un approccio singolare allo studio della motivazione. Tale psicologia, si
proponeva di concentrare l’attenzione sulla persona nella sua interezza, su caratteristiche tipicamente umane, come creatività, sé,
crescita, esperienza, autorealizzazione, contrapponendosi a concezioni dell’uomo di stampo, meccanicista, riduzionista e
determinista. Il modello di Maslow classifica i bisogni secondo una gerarchia e sostiene che, affinchè i bisogni più sofisticati possano
sorgere, è necessario prima soddisfare alcuni bisogni base. Una volta soddisfatti questi ultimi, cessano di dominare l’organismo e
l’organizzazione dei suoi comportamenti e lasciano spazio all’insorgere di altri bisogni di grado superiore. Il modello può essere
rappresentato tramite una piramide, la cui base è formata dai bisogni primari e la cui parte superiore è composta da bisogni di
ordine più elevato. Per mettere in moto uno specifico bisogno più elevato, bisogna prima avere soddisfatto i bisogni che lo
precedono nella gerarchia. La piramide è composta, dal basso:
1. Bisogni fisiologici à impulsi primari à acqua, cibo, sesso, sonno;
2. Bisogni di sicurezza à necessità di un’ambiente sicuro e protetto;
3. Bisogni di appartenenzaànecessità di dare e riceve affetto;
4. Bisogni di stima à senso di sé come individuo degno di considerazione;
5. Bisogni di autorealizzazioneàrealizzare il proprio potenziale, trovare la propria strada.
I bisogni dei primi due gradini della piramide sono detti bisogni di carenza perché decrescono con la loro soddisfazione, i successivi
bisogni sono detti bisogni di crescita perché si sviluppano continuamente e non scompaiono mai.
La motivazione intrinseca porta a intraprendere un’attività per il proprio piacere e non per il riconoscimento finale. La motivazione
estrinseca, invece, ha come obiettivo ricompense concrete.
Un comportamento si dice intrinsecamente motivato quando avviene in virtù di sé stesso, si dice invece estrinsecamente motivato
quando il suo movente è posto all’esterno dell’attività vera e propria.
La flow experience è l’esperienza di totale assorbimento nell’esecuzione e nello scorrere fluido di una certa attività. Si caratterizza
per: La temporanea perdita del livello di coscienza; L’assorbimento di un’attività che fluisce senza ostacoli; L’assenza di percezione
temporale. Per avere questa esperienza occorre equilibrio tra le capacità di controllo dell’azione del soggetto e le operazioni
richieste per il compito.
McClelland propone una teoria in cui descrive diversi stadi di maturazione del potere. Combina le ipotesi sugli stadi di sviluppo
dell’Io formulate da Erikson su modello di Freud con gli orientamenti di potere personalizzato e socializzato. Ne deriva un modello a
quattro stadi, in cui il soggetto, nelle diverse fasi evolutive, raggiunge il sentimento di potere. Gli oggetti-‐meta sono organizzati
sulla base di due dimensioni:
-‐ la fonte del potere: esterna o interna all’individuo
-‐ l’obiettivo dell’effetto del potere: il Sé o un altro individuo-‐oggetto esterno.
I quattro dtadi formano uno sviluppo sequenziale che tuttavia non coincide con l’età anagrafica.
o I STADIO: Corrisponde allo stadio orale. Il soggetto diventa forte assimilando qualcosa di fortificante (in presenza di un
individuo potente come un leader carismatico o un capo). La fonte del potere è esterna e l’effetto interno.
o II STADIO: Corrisponde alla fase anale. Il soggetto è la fonte del suo potere e si circonda di oggetti che dimostrano la
propria forza. Non è tollerabile la dipendenza e la vita collettiva perché limitano il controllo della propria esistenza.
o III STADIO: Corrisponde alla fase fallica. Il soggetto esperisce la forza attraverso l’influenza che ha sugli altri. È potente
perché dirige, costringe, turba e impressiona gli altri. Questo sentimento di potere è tanto più forte quanto più l’effetto di
una determinata azione su altri prescinde sulla loro volontà ma viene attribuita al soggetto.
o IV STADIO: Corrisponde alla fase genitale. In esso né è la fonte né l’oggetto hanno origine nel soggetto. La fonte è posta in
un principio superiore, e il soggetto si esperisce unicamente come strumento al servizio di qualcosa di superiore.
381. Si descriva il bisogno di successo.
L’individuo ottiene soddisfazione nel cercare di raggiungere e nell’ottenere risultati di eccellenza. Le persone con un forte bisogno
di successo cercano situazioni in cui possono mettersi in competizione e dimostrare
di avere successo. Riprendendo il concetto di tendenza al successo di Atkinson, questi individui evitano situazioni in cui il successo è
troppo facile, in quanto non sfidanti, così come le situazioni in cui il successo è improbabile. Scelgono invece situazioni intermedie.
Chi ha un forte bisogno di successo in genere ottiene buoni esiti: è maggiormente probabile che frequenti l’università e che ottenga
votazioni alte. In quanto il bisogno di successo è un buon indice della riuscita professionale ed economica, vi è molto interesse a
misurarlo. Pertanto, è stato creato un test, il Test di Appercezione Tematica (TAT) che funziona in questo modo:
• l’esaminatore mostra una serie di immagini ambigue
• chiede poi alla persona esaminata di scrivere una storia che descriva che cosa succede, chi sono le persone raffigurate,
che cosa ha portato alla situazione illustrata, quali sono i pensieri e i desideri dei personaggi e che cosa succederà dopo.
I comportamenti alimentari non possono essere spiegati unicamente da fattori biologici; intervengono anche fattori sociali, come
l’appetibilità del cibo, il contesto sociale e l’apprendimento.
Esempi dell’influenza dei fattori sociali sull’alimentazione sono:
• si mangia sempre ad orari simili; ciò porta con sé la sensazione di fame quando si avvicinano questi momenti, anche in
maniera indipendente dai segnali provenienti dal nostro organismo;
• si mette nei piatti la stessa quantità di cibo ogni giorno, senza considerare quanto movimento è stato svolto e quindi il
bisogno energetico;
• vi è una preferenza per alcuni alimenti rispetto ad altri;
• si assumono quantità di cibo considerate adeguate dalla propria cultura di riferimento;
• a volte si mangia molto cibo dopo una giornata difficile, probabilmente perché, attraverso i meccanismi di
condizionamento classico e operante, lo si associa con il conforto e con la consolazione
TEORIA DEL DUPLICE CONTROLLO IPOTALAMICO: nell’ipotalamo laterale (IL) e nell’ipotalamo ventromediale (IVM) sono collocati
rispettivamente: un centro della fame e un centro della sazietà che operano congiuntamente nella definizione del comportamento
alimentare.
Come opera l’ipotalamo e a quale scopo?
Non vi è ancora una risposta certa; un’ipotesi è che i due centri di regolazione della fame siano deputati al controllo dei livelli di
glucosio e grasso corporeo in funzione di valori critici di riferimento. Un danno ipotalamico può allora provocare un’alterazione del
valore standard di riferimento del peso, di conseguenza la persona fatica a mantenere un peso stabile.Scoperte recenti hanno
tuttavia dimostrato che i centri della fame e della sazietà interagiscono con numerosi altri sistemi neuroanatomici e
neurofunzionali.
Teoria glucostatica: La motivazione della fame è regolata dai cambiamenti dei livelli di glucosio, monitorati dall’ipotalamo, e in
particolare da recettori collocati nell’ipotalamo laterale. La fame sarebbe dunque provocata dalla caduta dei livelli di glucosio nel
sangue al di sotto di un valore critico e dalla necessità di correggere tale deviazione dal valore di riferimento; viceversa, il suo
aumento al di sopra di tale deviazione costituisce un segnale di sazietà.
Teoria lipostatica: La motivazione della fame è asservita al mantenimento di una quantità costante di grasso nel corpo. Secondo
tale ipotesi, ciascun individuo sarebbe caratterizzato da un valore critico per il grasso corporeo, probabilmente legato a fattori
genetici. Quando la massa lipidica scende al di sotto di questo livello, esso deve essere ripristinato attraverso l’assunzione di cibo.
385. Quali sono punti di contatto e differenze fra l'anoressia nervosa e la bulimia?
L’anoressia nervosa porta le persone a rifiutare il cibo e a negare che il loro comportamento e il loro aspetto inizi a somigliare a
quello di uno scheletro. Il 10% dei soggetti arriva a morire di fame.
Colpisce principalmente le donne tra i 12 e i 40 anni. I soggetti malati vengono solitamente da famiglie stabili e sono persone
dotate di successo, bell’aspetto e vivacità. L’anoressia subentra spesso dopo una dieta troppo estrema che sfugge al controllo. La
loro vita ruota intorno al cibo. La bulimia è un disturbo in cui le persone ingeriscono grandi quantità di cibo, in modo estremo, per
poi sentirsi in colpa e indursi il vomito o prendere lassativi per liberarsi del cibo. Questa alternanza di ingestioni e comportamenti
purgativi, spesso portano insufficienza cardiaca.
L’anoressia nervosa porta le persone a rifiutare il cibo e a negare che il loro comportamento e il loro aspetto inizi a somigliare a
quello di uno scheletro. Il 10% dei soggetti arriva a morire di fame. Colpisce principalmente le donne tra i 12 e i 40 anni.I soggetti
malati vengono solitamente da famiglie stabili e sono persone dotate di successo, bell’aspetto e vivacità. L’anoressia subentra
spesso dopo una dieta troppo estrema che sfugge al controllo. La loro vita ruota intorno al cibo. La bulimia è un disturbo in cui le
persone ingeriscono grandi quantità di cibo, in modo estremo, per poi sentirsi in colpa e indursi il vomito o prendere lassativi per
liberarsi del cibo. Questa alternanza di ingestioni e comportamenti purgativi, spesso portano insufficienza cardiaca.
387. Quali sono le differenze fra orientamento al potere personalizzato e socializzato?
orientamento al potere personalizzato: mira in maniera egoistica e senza inibizioni a rafforzare la posizione del soggetto.
orientamento al potere socializzato: caratterizzato dalla pratica di potere al servizio degli altri, come nel caso di genitori e
educatori.
Si tratta del bisogno di controllare e dominare il proprio ambiente fisico e sociale. È presente anche nel mondo animale a conferma
della priorità fisica e sociale di questo bisogno. Vi è un forte legame tra bisogno di potere e benessere fisico: il potere garantisce
maggiore libertà d’azione e di spazio fisico e sociale;
la sua mancanza porta a stress e a disturbi psicofisiologici correlati. Per Lewin (1951) il potere è il quoziente della forza massima che
A ha su B e della massima resistenza che B può esercitare.
Cartwright e Kipnis individuano alcuni componenti nell’azione di potere:
• stato di bisogno di A: punto di partenza che può essere soddisfatto soltanto dal comportamento di una o più persone che
mostrano verso A un comportamento di sottomissione.
• resistenza di B: affinché si realizzi la dinamica di potere, B deve opporsi ad A.
• mobilitazione delle fonti di potere per far fronte alla resistenza di B: selezione dei mezzi per raggiungere il potere e
valutazione degli effetti su B. A potrebbe, ad esempio, inibire le fonti di potere per motivi morali e non trasformarle in
comportamenti di potere.
McClelland (1972) individua due fattori che caratterizzano il comportamento di potere: la forza della motivazione al potere e il
grado del suo controllo e inibizione. Da ciò deriva la distinzione tra:
• orientamento al potere personalizzato: mira in maniera egoistica e senza inibizioni a rafforzare la posizione del
soggetto.
• orientamento al potere socializzato: caratterizzato dalla pratica di potere al servizio degli altri, come nel caso di
genitori e educatori.
Le due forme di orientamento non sono interrelate: alcune pratiche del primo tipo escludono altre del secondo tipo. Vi è però un
tratto comune: il sentimento di potere, vale a dire la condizione di sentirsi grande e potente. Se questo non riesce ad essere
soddisfatto, tipicamente l’individuo ricerca letture orientate al potere o interviene polemicamente in discussioni pubbliche per
avere un appagamento sostitutivo di tale sentimento. L’individuo dotato di un forte bisogno di potere possiede in genere queste
caratteristiche:
Uno strumento per misurare la motivazione al successo di una persona è il test di appercezione tematica (TAT), in cui un
esaminatore mostra una serie di immagini ambigue all’esaminando che deve descrivere cosa sta succedendo nell’immagine. L’idea
è quella per cui il motivo di riuscita, tratto disposizionale individuale, influenza il modo in cui l’individuo percepisce e valuta la
situazione. Vengono poi usate procedure di scoring per determinare l’entità di categorie di contenuto, legate al successo, nei
racconti degli esaminandi.
390. Quali sono le caratteristiche di un individuo caratterizzato da un forte bisogno di potere.
L’individuo dotato di un forte bisogno di potere possiede in genere queste caratteristiche:
• tende ad appartenere a organizzazioni pubbliche e a ricercare posizioni ufficiali.
• compie lavori in cui tale bisogno possa essere soddisfatto, come il business management e l’insegnamento
• ostenta simboli legati al potere, ad esempio apparecchiature tecnologiche
• se uomo, ha tipicamente un orientamento al potere personalizzato (è aggressivo, discriminante e partecipa spesso a
sport competitivi); se donna ha solitamente un orientamento al potere socializzato (mostra interesse verso gli altri, se ne
prende cura e li influenza volutamente)
Alcune teorie hanno definito l’obesità come il prodotto di ipersensibilità a stimoli alimentari esterni fondata su fattori sociali,
associata a un’insensibilità alle sensazioni interne di fame. Altre teorie, spiegazioni di tipo biologico e genetico come metabolismo
lento, numero elevato di cellule adipose o che il valore critico di rifermento del peso ha valori alti nelle persone obese.
In questo caso, mangiando meno possono essere molto vulnerabili a stimoli legati al cibo e inclini alla sovralimentazione che
peggiora l’obesità. I livelli di riferimento sono più alti a causa di un livello elevato di leptina, un ormone che è ideato per proteggere
il corpo dalla perdita di peso. Il sistema di regolazione del peso è programmato a proteggere dalla perdita di peso, determinando
una maggiore facilità all’aumento di peso.
Un’altra spiegazione dell’obesità è legata alla grandezza e al numero di cellule di grasso presenti nel corpo che aumenta
all’aumentare del peso. Il corpo immagazzina grasso aumentando il numero e le dimensioni delle cellule lipidiche. Perdita di peso
dopo l’infanzia determina solo un’variazione nella dimensione delle cellule lipidiche.
La presenza di troppe cellule di grasso derivante da un precoce aumento ponderale può risultare una fissazione del valore di
riferimento a un livello troppo alto. La perdita di peso diventa molto difficile perché ci si ritrova sempre sbilanciati rispetto al
proprio valore di riferimento. La teoria del valore di assestamento sostiene che l’assunzione di cibo è dovuta all’esigenza di
mantenere il peso corporeo attorno a un valore personale di assestamento che dipende da una combinazione tra eredità genetica e
ambiente in cui si vive. Il peso corporeo è regolato su un valore attorno al quale tutti i fattori che lo influenzano si assestano e
raggiungono un equilibrio. Quindi se l’ambiente circostante è nutrizionalmente sano, la predisposizione all’obesità non si
manifesta. Questa teoria prevede che il peso di una persona si assesti su un nuovo valore perché su un nuovo valore perché il peso
si assesta sul valore che corrisponde a un equilibrio tra i diversi fattori che ne determinano un aumento e i fattori che ne
determinano una riduzione, ogni cambiamento a lungo termine in uno di questi fattori avrà come effetto lo spostamento su un
nuovo punto di equilibrio.
392. Quali sono le differenze fra le scelte in condizioni di certezza e in condizioni di incertezza?
in condizioni di certezza: scelte fra corsi di azione alternativi che comportano in entrambi i casi un esito sicuro (ad esempio
«desideri la pizza o la pasta?»; qualsiasi scelta faremo, otterremo sicuramente quanto richiesto). In tali situazioni, l’homo
oeconomicus opta per l’alternativa per la quale ha la massima preferenza.
in condizioni di incertezza: scelte nelle quali le conseguenze di almeno una delle alternative non sono sicure, ma legate a gradi di
probabilità. Rappresentano la maggior parte delle scelte importanti. Un possibile esempio riguarda gli investimenti finanziari. Si
scompongono ulteriormente in:
-‐ rischiose: quando i gradi di probabilità degli esiti sono definiti
-‐ incerte in senso proprio: quando si sa che un esito è possibile, ma non con quale probabilità si potrà avverare.
L’approccio normativo della decisione è stato sviluppato soprattutto da economisti, logici e matematici. Si propone di individuare le
decisioni razionali, sulla base di assiomi di coerenza interna e di alcune regole decisionali. Se si applicano questi assiomi e criteri ad
un dato contesto, le scelte razionali sono anche quelle ottimali e vantaggiose per il decisore. Questo approccio non implica però
che tali assiomi e criteri siano effettivamente adottati nelle scelte umane. Il protagonista di un modello di questo tipo, solitamente
di tipo economico, è quindi un agente o decisore virtuale (homo oeconomicus) che ragiona per ottimizzare l’utilità attesa (vedi
lezioni sulla motivazione) e il cui comportamento è definibile da un insieme di assiomi.
Occorre distinguere tra due tipi di scelte:
• In condizioni di certezzaàscelte fra corsi di azione alternativi che comportano in entrambi i casi un esito sicuro (ad
esempio «desideri la pizza o la pasta?»; qualsiasi scelta faremo, otterremo sicuramente quanto richiesto). In tali
situazioni, l’homo oeconomicus opta per l’alternativa per la quale ha la massima preferenza;
In condizioni di incertezzaàscelte nelle quali le conseguenze di almeno una delle alternative non sono sicure, ma legate
a gradi di probabilità. Rappresentano la maggior parte delle scelte importanti. Un possibile esempio riguarda gli
investimenti finanziari. Si scompongono ulteriormente in:
A) rischioseàquando i gradi di probabilità degli esiti sono definiti;
B) incerte in senso proprioàquando si sa che un esito è possibile, ma non con quale probabilità si potrà avverare;
Simon sostenne che l’azione dei decisori singoli è caratterizzata da razionalità limitata: vi sono limiti cognitivi, etici, culturali,
emotivi e sociali che rendono i criteri decisionali incerti e ambigui.
Esistono inoltre altri limiti: la complessità dei problemi, il numero ridotto di informazioni e di esperienze pregresse, il tempo
limitato per scegliere.
I decisori, in queste condizioni, ricercano esiti soddisfacenti rispetto a determinati livelli di aspirazione.
La Teoria del prospetto (PT) di Kahneman e Tversky si pose l’obiettivo di sviluppare in senso psicologicamente realistico la Teoria
dell’Utilità Soggettivamente Attesa (UA).
Come la teoria dell’UA, fornisce una sintesi formale di ciò che avviene quando un individuo prende una decisione. L’idea di base è
che gli individui valutino le alternative di scelta come scarto da un punto di riferimento e che le valutazioni varino a seconda del
fatto che si tratti di guadagni o di perdite rispetto a quel punto di riferimento. Secondo la PT, il processo decisionale si articola in
due fasi: la strutturazione del problema decisionale e la conseguente valutazione.
Nella fase di strutturazione, il decisore analizza il problema sulla base di 6 operazioni:
Simon sostenne che l’azione dei decisori singoli è caratterizzata da razionalità limitata: vi sono limiti cognitivi, etici, culturali,
emotivi e sociali che rendono i criteri decisionali incerti e ambigui.
Esistono inoltre altri limiti: la complessità dei problemi, il numero ridotto di informazioni e di esperienze pregresse, il tempo
limitato per scegliere.
I decisori, in queste condizioni, ricercano esiti soddisfacenti rispetto a determinati livelli di aspirazione.
La Teoria del prospetto (PT) di Kahneman e Tversky si pose l’obiettivo di sviluppare in senso psicologicamente realistico la Teoria
dell’Utilità Soggettivamente Attesa (UA).
Come la teoria dell’UA, fornisce una sintesi formale di ciò che avviene quando un individuo prende una decisione. L’idea di base è
che gli individui valutino le alternative di scelta come scarto da un punto di riferimento e che le valutazioni varino a seconda del
fatto che si tratti di guadagni o di perdite rispetto a quel punto di riferimento. Secondo la PT, il processo decisionale si articola in
due fasi: la strutturazione del problema decisionale e la conseguente valutazione.
Nella fase di strutturazione, il decisore analizza il problema sulla base di 6 operazioni:
Se viene impropriamente inteso come teoria descrittiva dei comportamenti decisionali di singoli individui in specifici contesti e non
di un homo oeconomicus ideale, si arriva a una visione dell’uomo non sostenibile. Tuttavia, anche se viene intesa correttamente, si
è visto che in alcuni casi nemmeno le scelte economiche e con alti livelli di esperienza seguono i criteri di razionalità.
È stato sviluppato soprattutto da economisti, logici e matematici. Si propone di individuare le decisioni razionali, sulla base di
assiomi di coerenza interna e di alcune regole decisionali. Se si applicano questi assiomi e criteri ad un dato contesto, le scelte
razionali sono anche quelle ottimali e vantaggiose per il decisore. Questo approccio non implica però che tali assiomi e criteri siano
effettivamente adottati nelle scelte umane. Il protagonista di un modello di questo tipo, solitamente di tipo economico, è quindi un
agente o decisore virtuale (homo oeconomicus) che ragiona per ottimizzare l’utilità attesa (vedi lezioni sulla motivazione) e il cui
comportamento è definibile da un insieme di assiomi.
Occorre distinguere tra due tipi di scelte:
• in condizioni di certezza: scelte fra corsi di azione alternativi che comportano in entrambi i casi un esito sicuro (ad
esempio «desideri la pizza o la pasta?»; qualsiasi scelta faremo, otterremo sicuramente quanto richiesto). In tali
situazioni, l’homo oeconomicus opta per l’alternativa per la quale ha la massima preferenza.
• in condizioni di incertezza: scelte nelle quali le conseguenze di almeno una delle alternative non sono sicure, ma legate a
gradi di probabilità. Rappresentano la maggior parte delle scelte importanti. Un possibile esempio riguarda gli
investimenti finanziari. Si scompongono ulteriormente in:
-‐ rischiose: quando i gradi di probabilità degli esiti sono definiti
-‐ incerte in senso proprio: quando si sa che un esito è possibile, ma non con quale probabilità si potrà avverare.
Alcune critiche:
Se viene impropriamente inteso come teoria descrittiva dei comportamenti decisionali di singoli individui in specifici contesti e non
di un homo oeconomicus ideale, si arriva a una visione dell’uomo non sostenibile. Tuttavia, anche se viene intesa correttamente, si
è visto che in alcuni casi nemmeno le scelte economiche e con alti livelli di esperienza seguono i criteri di razionalità. Si cercò
quindi, grazie al contributo della psicologia cognitiva, di interessarsi alle scelte concrete che l’individuo compie nella realtà anziché
delle scelte ideali, grazie all’introduzione dei fattori umani che influenzano le scelte.
397. Quali sono i due approcci che tentano di spiegare il processo di presa di decisione?
La decisione è una scelta consapevole tra almeno due possibilità che si riescono a concepire mentalmente. Lo studio della decisione
ha, da sempre, cercato di legare questo concetto a quello di razionalità. Due sono gli approcci che hanno tentato di spiegare la
motivazione: -‐ normativo -‐ descrittivo
398. Quali sono i legami tra il rischio e la presa di decisione?
Una prima definizione di rischio implica la possibilità di calcolarlo in modo obiettivo. Il rischio è tuttavia misurabile soltanto
all’interno di contesti economici e finanziari. Ci sono inoltre molti modi per calcolare il rischio che variano nel tempo e che, a volte,
portano a risultati discordanti. Un secondo tipo di definizione si focalizza sulla «percezione» ingenua dei rischi: si tratta di teorie
descrittive, strettamente connesse a una visione soggettiva delle probabilità. Una terza definizione si focalizza sul processo
attraverso il quale si verifica l’evento desiderato. Le diverse definizioni di rischio prevedono, in quasi tutti i casi, la presenza di tre
elementi:
-‐ una o più conseguenze associate all’oggetto del rischio
-‐ la probabilità (oggettiva e soggettiva) associata al verificarsi di queste conseguenze
-‐ il contesto specifico in cui possono verificarsi le conseguenze
Le diverse definizioni di rischio hanno messo in luce le differenze fra:
• rischio oggettivo: calcolabile mediante le leggi della probabilità
• rischio soggettivo: valutazione personale del rischio, che dipende da una numerosa serie di fattori, tra cui
rientrano le capacità percettive e cognitive dell’individuo
399. Quali sono le determinanti cognitive della percezione del rischio?
LE CIRCOSTANZE DEL RISCHIO (caratteristiche qualitative): numerosi fattori influenzano la percezione del rischio:
• la volontarietà
• la controllabilità: più un rischio è considerato controllabile, meno viene temuto
• la dilazione nel tempo delle conseguenze: con conseguenze disastrose, le persone preferiscono un rischio che provochi un
danno distribuito nel tempo, piuttosto che immediato e imponente; nel caso di conseguenze meno gravi e meno
conosciute, le persone temono maggiormente un rischio che produce i propri effetti nel tempo (ad esempio, una
potenziale minaccia alla salute da parte di alcuni cibi)
La Teoria del prospetto (PT) di Kahneman e Tversky si pose l’obiettivo di sviluppare in senso psicologicamente realistico la Teoria
dell’Utilità Soggettivamente Attesa (UA). Come la teoria dell’UA, fornisce una sintesi formale di ciò che avviene quando un
individuo prende una decisione L’idea di base è che gli individui valutino le alternative di scelta come scarto da un punto di
riferimento e che le valutazioni varino a seconda del fatto che si tratti di guadagni o di perdite rispetto
a quel punto di riferimento. Secondo la PT, il processo decisionale si articola in due fasi: la strutturazione del problema decisionale
e la conseguente valutazione. Nella fase di strutturazione, il decisore analizza il problema sulla base di 6 operazioni:
1. codifica delle opzioni di scelta: in termini di guadagno o perdita rispetto al punto di riferimento
2. segregazione: separa la scelta delle decisioni che implicano rischi da quelle che non li implicano
3. cancellazione: prevede l’eliminazione degli aspetti decisionali ridondanti (condivisi da più alternative)
4. combinazione: le alternative che portano ad esiti identici vengono raggruppate e valutate complessivamente
5. semplificazione: si ottiene con l’arrotondamento di probabilità e risultati attesi percepiti come simili
6. rilevazione di dominanza: consiste nell’individuazione di alternative che portano a maggiori vantaggi
Nella fase di valutazione, il decisore sceglie il prospetto con il valore soggettivo più alto (vale a dire il valore psicologico associato a
un guadagno o a una perdita)
401. Si confrontino le teorie dell'utilità soggettivamente attesa e del prospetto.
Il primo punto di differenza riguarda la nozione di valore: nella teoria dell’UA è una funzione di utilità razionale, definita, crescente
e continua.
Nella PT si aggiunge un’innovazione: l’esito oggettivo si differenzia in base al punto di riferimento individuale che si definisce nella
fase di strutturazione.
Uno stesso esito oggettivo, ad esempio guadagnare 1000 euro è ben diverso se ci si aspettava di guadagnare 0 euro o se ci si
attendeva di ottenere 2000 euro, e sarà valutato rispettivamente come un guadagno o come una perdita. Gli individui hanno una
sensibilità marginale ai guadagni e alle perdite che diminuisce via via che ci si allontana dal punto di riferimento.
Le persone sono inoltre maggiormente sensibili alle perdite rispetto ai guadagni: il valore positivo associato a un guadagno è
inferiore al valore negativo collegato a una perdita della medesima entità.
È un fenomeno noto come avversione alle perdite.
Un secondo punto innovativo della PT è il peso decisionale: modo in cui le persone considerano le proprietà associate agli esiti di
una scelta.
Il terzo elemento distintivo riguarda il ruolo della rappresentazione mentale del problema decisionale, connesso all’operazione di
codifica della fase di strutturazione del problema.
Gli effetti di incorniciamento causano i cambiamenti nei punti di riferimento e nelle preferenze.
402. Quali sono i legami tra la presa di decisione e le emozioni?
Per lungo tempo le emozioni sono state definite un rumore di fondo del processo decisionale; gli approcci normativi si sono
focalizzati sui processi cognitivi e su contesti emotivamente neutri.A partire dagli anni Ottanta del Novecento, Zajonc sottolinea
come le reazioni emotive sorgano automaticamente e vengano poi utilizzate per guidare l’elaborazione delle informazioni che
precede il giudizio e la decisione. Anche la teoria del marcatore somatico di Damasio (1994) ha messo in evidenza come, in assenza
di reazioni emotive integre, il comportamento decisionale sia gravemente compromesso.Le teorie descrittive hanno messo in luce
l’importanza delle emozioni nella presa di decisione
1. VALUTAZIONE DELL’AMBIENTE: gli stimoli interni e esterni vengono valutati costantemente in relazione alla rilevanza per
l’organismo; in base a queste valutazioni, vengono preparate delle reazioni emozionali che permettono un adattamento flessibile
della propria condotta.
2. REGOLAZIONE DELLO STATO DI ATTIVAZIONE DEL SISTEMA: le emozioni sono risposte coordinate in diversi sistemi biologici così
da generarelo stato fisiologico più adatto al comportamento da mettere in campo.
3. PREPARAZIONE ALL’AZIONE: in risposta a eventi rilevanti per gli interessi dell’individuo; le emozioni sono tendenze ad agire, ad
avvicinarsi, a ritrarsi, ad assalire, a fuggire dallo stimolo emotigeno (Anolli e Ciceri, 1992); sono in questo senso fortemente
dipendenti dagli aspetti motivazionali.
4. MODELLARE IL COMPORTAMENTO FUTURO: le emozioni aiutano ad apprendere risposte che predispongono reazioni
appropriate in futuro. Quando si prova qualcosa di spiacevole, ad esempio un’intossicazione alimentare, si tende in seguito ad
evitare i cibi che hanno provocato il malessere. Quando al contrario si sperimenta un’emozione piacevole, ad esempio la gioia che
fa seguito a un complimento, si tende a rafforzare il comportamento che ha portato a quel complimento
5. AIUTO PER UN’INTERAZIONE MIGLIORE CON GLI ALTRI: le emozioni possono essere espresse sia attraverso la comunicazione
verbale sia attraverso i sistemi non verbali. In questo modo è possibile esprimere meglio ciò che si sente e permettere agli altri di
capirlo, così da prevedere il comportamento futuro
James (1884) affermò che la percezione di un evento attivante è direttamente seguita da modificazioni corporee, e che l’esperienza
emotiva significa sentire queste modificazioni nel momento stesso in cui si verificano. “Non tremiamo perché abbiamo paura, ma
abbiamo paura perché tremiamo, non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo…”.
L’emozione coincide dunque con la dimensione corporea: ciascuno stato emotivo è infatti accompagnato da una reazione
fisiologica, a livello viscerale degli organi interni, chiamata esperienza viscerale.
Nello stesso periodo, un altro studioso canadese, Lange, giunse a conclusioni simili, per questo la teoria prende il nome di James-‐
Lange.
La teoria dei due autori viene definita teoria periferica delle emozioni, in quanto l’esperienza emotiva è dovuta alle reazioni
fisiologiche a livello viscerale degli organi interni. Dopo che un oggetto viene percepito, si producono quindi delle modificazioni a
livello periferico, cioè corporeo; in seguito gli impulsi afferenti, dagli organi viscerali tornano indietro alla corteccia e vengono
registrati nelle aree corticali.
Ogni stato emotivo è, di conseguenza, caratterizzato da una specifica configurazione di attivazione del sistema nervoso autonomo.
James osservò infatti che le emozioni fondamentali hanno espressioni somatiche diverse. La teoria periferica, enunciata da James,
subì numerose critiche. Cannon, il primo studioso che si contrappose a James, fautore della teoria centrale delle emozioni che verrà
di seguito illustrata, sostenne che:
1. i cambiamenti viscerali sono troppo lenti perché tali modificazioni corporee possano essere la causa dell’esperienza
emotiva
2. i visceri sono scarsamente sensibili e caratterizzati da motilità indifferenziata
3. la resezione dei collegamenti tra gli organi interni e il sistema nervoso centrale non produce la scomparsa del
comportamento emotivo
4. tipi di cambiamenti viscerali simili tra loro si associano ad emozioni diverse e a stati non emozionali
5. i cambiamenti fisiologici possono non essere sufficienti a provocare una reazione emotiva
Nel 1980, si svilupparono le teorie cognitive sulle emozioni che sottolineano il ruolo centrale della valutazione (appraisal) nel
processo emotivo. Individui diversi possono rispondere con emozioni differenti alla stessa situazione in funzione di come questa
viene valutato. Ad esempio, una gita in montagna può suscitare gioia per chi ama le camminate, ma disgusto e noia per chi trova il
trekking faticoso e preferisce stendersi in spiaggia. Frijda (1988) ha individuato la legge del significato situazionale secondo cui la
generazione del processo emotivo si basa sulle strutture di significato. Ogni emozione nasce dalla valutazione dell’antecedente
emotivo: situazione, evento o stimolo che elicita il processo emotivo (può appartenere all’ambiente fisico e naturale, al
comportamento proprio e degli altri, agli eventi interni).
La prima valutazione riguarda la rilevanza degli stimoli per l’organismo, per i propri interessi e per il proprio benessere (legge
dell’interesse).
La valutazione prosegue poi sulla base di alcuni criteri: autori diversi ne hanno individuato liste differenti, tra cui rientrano ad
esempio la novità dello stimolo, la pertinenza rispetto agli scopi, la sua causa, la sua controllabilità, la capacità di farvi fronte, la
probabilità che si verifichi.
Le teorie sull’appraisal rientrano nella prospettiva dimensionale delle emozioni secondo la quale esse variano sulla basedi alcune
dimensioni continue. Si tratta di un processo continuo che si modifica e si dispiega nel tempo. L’approccio è stato criticato da
Zajonc il quale sostiene che le emozioni possono prodursi anche senza che lo stimolo sia riconosciuto. Egli ha dimostrato l’esistenza
del mero effetto espositivo
secondo cui l’esposizione a stimoli sarebbe sufficiente a creare preferenze nelle persone; inoltre le preferenze (e con loro le
emozioni) possono prodursi anche senza il bisogno che gli stimoli arrivino alla coscienza.
Nel 1980, si svilupparono le teorie cognitive sulle emozioni che sottolineano il ruolo centrale della valutazione (appraisal) nel
processo emotivo. Individui diversi possono rispondere con emozioni differenti alla stessa situazione in funzione di come questa
viene valutato. Ad esempio, una gita in montagna può suscitare gioia per chi ama le camminate, ma disgusto e noia per chi trova il
trekking faticoso e preferisce stendersi in spiaggia. Frijda (1988) ha individuato la legge del significato situazionale secondo cui la
generazione del processo emotivo si basa sulle strutture di significato. Ogni emozione nasce dalla valutazione dell’antecedente
emotivo: situazione, evento o stimolo che elicita il processo emotivo (può appartenere all’ambiente fisico e naturale, al
comportamento proprio e degli altri, agli eventi interni).
La prima valutazione riguarda la rilevanza degli stimoli per l’organismo, per i propri interessi e per il proprio benessere (legge
dell’interesse).
La valutazione prosegue poi sulla base di alcuni criteri: autori diversi ne hanno individuato liste differenti, tra cui rientrano ad
esempio la novità dello stimolo, la pertinenza rispetto agli scopi, la sua causa, la sua controllabilità, la capacità di farvi fronte, la
probabilità che si verifichi.
Le teorie sull’appraisal rientrano nella prospettiva dimensionale delle emozioni secondo la quale esse variano sulla basedi alcune
dimensioni continue. Si tratta di un processo continuo che si modifica e si dispiega nel tempo. L’approccio è stato criticato da
Zajonc il quale sostiene che le emozioni possono prodursi anche senza che lo stimolo sia riconosciuto. Egli ha dimostrato l’esistenza
del mero effetto espositivo
secondo cui l’esposizione a stimoli sarebbe sufficiente a creare preferenze nelle persone; inoltre le preferenze (e con loro le
emozioni) possono prodursi anche senza il bisogno che gli stimoli arrivino alla coscienza.
PARADIGMA DELL’ATTRIBUZIONE ERRONEA: quando un individuo attribuisce erroneamente la causa del proprio stato di attivazione
fisiologica a un evento neutro, l’intensità della sua emozione è attenuata
PARADIGMA DEL TRANSFER DI ECCITAZIONE: lo stato di attivazione non cessa in maniera istantanea, è quindi possibile che
l’individuo attribuisca erroneamente il residuo dell’attivazione fisiologica provocata da una certa situazione, all’evento successivo.
Riprendono il pensiero e la teoria evoluzionista di Darwin (1872). Darwin si interrogò circa il significato evolutivo delle espressioni
facciali delle emozioni e sul loro ruolo nell’evoluzione della specie, affermando che tali espressioni hanno carattere innato e
universale e riflettono uno stato di motivazione o una disposizione all’azione che potrà essere utile o meno alla sopravvivenza. Le
teorie evoluzioniste considerano le emozioni come unità discrete, distinte, regolate da meccanismi innati su base genetica e quindi
universali
Questa tesi si riferisce soprattutto alle emozioni di base (ad esempio collera, paura, disgusto, sorpresa, gioia, tristezza). Sono
associate a un ruolo adattivo nell’evoluzione della specie e nella sopravvivenza dell’individuo. Ne consegue che le teorie
evoluzioniste si muovono all’interno di una prospettiva categoriale delle emozioni,
secondo la quale esse sono delle categorie separate, non ulteriormente scomponibili, discrete dal punto di vista soggettivo,
fisiologico e espressivo. Ciascuna emozione ha uno specifico profilo soprattutto in termini di espressioni facciali che sono regolate
da un programma fisso, innato su base genetica e codificato a livello del sistema nervoso centrale. Si riscontra inoltre una
continuità delle risposte negli animali (primati) e negli umani.
Non appartiene né alla prospettiva dimensionale né alla prospettiva categoriale. È stata formulata da Russell (1999; 2003) che si è
proposto di identificare gli elementi primitivi del processo emotivo.Egli identifica tali primitivi in due dimensioni:
-‐ piacevolezza-‐spiacevolezza
-‐ attivazione-‐deattivazione
Il core affect è dato appunto dalla combinazione tra queste due dimensioni ed è definito come lo stato affettivo di base, ancora
privo di un oggetto specifico. Il core affect può essere rappresentato come un punto che si sposta fra diversi stati, all’interno dello
spazio creato dalle due dimensioni (valenza edonica e attivazione), in risposta a eventi interni e esterni, La percezione delle
proprietà affettive è il secondo processo fondamentale individuato da Russell: gli oggetti appaiono alla nostra coscienza come
interpretati e connotati affettivamente e tale percezione determina le reazioni agli stimoli stessi.
Le proprietà affettive appartengono agli stimoli e corrispondono alla loro capacità di modificare il core affect. Core affect e
percezione delle proprietà affettive sono due processi indipendenti ma insieme definiscono ogni fenomeno affettivo. La più
importante combinazione tra core affect e percezione delle proprietà affettive è un processo di attribuzione che genera le
emozioni, attraverso i seguenti passaggi:
1. si verifica una variazione nel core affect e il soggetto la percepisce
2. la modificazione del core affect porta a ricercarne una causa (oggetto). Può trattarsi di uno stimolo esterno o interno: è il
risultato dei processi psicologici
410. Secondo Russell, quali sono le componenti degli episodi emotivi prototipici?
Non venne supportata la terza ipotesi per cui l’arousal è condizione necessaria per l’attribuzione emotiva: i risultati del gruppo
placebo non differivano significativamente da quelli del gruppo adrenalina;
Studi successivi non hanno replicato i risultati dell’esperimento
È stato dimostrato che le reazioni fisiologiche non sono così indifferenziate come sostenuto dagli autori e soprattutto non sono
neutre
Ai partecipanti fu comunicato che avrebbero ricevuto un’iniezione di vitamina. In realtà fu somministrata loro epinefrina: un
farmaco che aumenta il livello di attivazione fisiologica, causando accelerazione della respirazione e del battito cardiaco, tremore,
arrossamento del viso. Sono tutte reazioni tipiche delle forti emozioni.
Vennero costituiti tre gruppi in funzione dell’informazione ricevuta circa il proprio stato di attivazione
Gruppo 3
Gruppo 2
Gruppo 1 • Somministrazione epinefrina
• Somministrazione epinefrina
• Somministrazione epinefrina • Spiegazione scorretta • Assenza di spiegazione
• Spiegazione adeguata
Gruppo 4
• Somministrazione di un placebo (sostanza inerte)
Ciascun gruppo fu suddiviso in due ulteriori sottogruppi:
• condizione di collera: i partecipanti dovevano compilare un questionario contenente domande offensive in presenza di un
collaboratore dello sperimentatore, che fingeva di essere un altro soggetto, e mostrava reazioni di rabbia e ostilità.
• condizione di euforia: il collaboratore presentava un atteggiamento molto allegro
Il comportamento dei partecipanti veniva rilevato attraverso l’osservazione con uno specchio unidirezionale. Era inoltre chiesto
loro di compilare, al termine dell’esperimento, un questionario di autovalutazione circa il proprio stato emotivo. I soggetti
appartenenti al gruppo non informati riportarono di essere significativamente più arrabbiati o felici rispetto ai soggetti informati. I
risultati suggeriscono che quando l’individuo possiede un’informazione adeguata circa la causa del proprio stato di attivazione
(nell’esperimento l’iniezione) non ha bisogno di cercare ulteriori spiegazioni. Quando la causa dell’attivazione fisiologica non è
invece evidente, la si cerca nell’ambiente circostante o nel comportamento altrui.
Le idee di James vennero riprese da Tomkins, Ekman e Izard che proposero un ruolo centrale del volto nell’esperienza emotiva.
L’ipotesi del feedback facciale sostiene che le espressioni forniscono informazioni propriocettive, motorie, cutanee o vascolari che
influenzano il processo emotivo. In particolare, indossare una certa espressione emotiva dà un feedback muscolare al cervello che
aiuta a produrre un’emozione congruente con quella espressione. Ekman sostenne una versione forte e una versione debole, in
particolare:
• versione forte: una specifica configurazione di movimenti facciali elicita una determinata emozione
• versione debole: il feedback facciale aumenta l’intensità e la durata dell’emozione
PARADIGMA DELL’INDUZIONE MUSCOLARE: in una serie di studi, si è cercato di dimostrare che il volto può dare inizio al processo
emotivo. Ai soggetti è stato chiesto di contrarre i muscoli facciali secondo un certo schema volto a riprodurre le espressioni facciali
tipiche di alcune emozioni (tristezza, collera).
Dovevano mantenere tale configurazione per alcuni secondi, mentre veniva registrata la loro attivazione fisiologica. L’assunzione
volontaria di espressioni facciali prototipiche di determinate emozioni era associata all’esperienza soggettiva della stessa emozione
e all’attivazione differenziata del sistema nervoso autonomo
PARADIGMA ESAGERAZIONE-‐INIBIZIONE: la modificazione del comportamento facciale, ottenuta chiedendo ai soggetti di inibire o
esagerare la contrazione dei muscoli del volto, varia l’esperienza soggettiva dell’emozione stessa. Tale emozione risulta
intensificata se l’espressione è esagerata. Appare al contrario ridotta se l’espressione è inibita o sostituita da un’espressione non
congruente.
La teoria di Cannon-‐Bard o teoria centrale delle emozioni, rifiutò l’idea che cambiamenti fisiologici da soli potessero portare alle
emozioni, e sostenne invece che l’attivazione fisiologica (arousal) e l’esperienza emotiva, fossero contemporaneamente causato
dallo stesso stimolo nervoso, che Bard e Cannon pensavano fosse prodotto nel talamo. Più precisamente, secondo questa teoria, a
seguito dell’esposizione a uno stimolo elicitante le informazioni arrivano dalla corteccia celebrale al talamo, dove ha inizio la
risposta emotiva. Il talamo, invia un segnale che attraversa il sistema nervoso autonomo, producendo una risposta viscerale
(arousal). Allo stesso tempo, il talamo invia segnali alla corteccia celebrale riguardo alla natura dell’emozione provata, producendo
la consapevolezza dell’emozione.
Gli autori sostengono che alla base di ogni emozione vi sia un arousal simpatico: un’attivazione generale indifferenziata, che
include l’attivazione del sistema nervoso simpatico. Si tratta di una reazione di emergenza che coinvolge risposte quali l’aumento
del battito cardiaco, la dilatazione della pupilla, l’aumento dell’attività delle ghiandole sudoripare, la dilatazione dei bronchi, la
diminuzione della salivazione e della motilità gastroenterica.
415. Quali sono le critiche della teoria centrale delle emozioni?
Studi successivi hanno mostrato che l’esperienza emotiva è regolata dall’ipotalamo e dal sistema limbico e non dal talamo. I
processi a carico del sistema nervoso centrale sono molto più complessi di quanto ipotizzato da Cannon. Anche questa teoria si
muove in una prospettiva di riduzionismo biologico trascurando variabili cognitive, sociali e culturali. Questi aspetti portarono a
sviluppare successive teorie.
Schachter e Singer, nel 1960, formularono questa teoria bifattoriale secondo cui le emozioni sono determinate:
-‐ dall’attivazione fisiologica (arousal): diffusa e aspecifica dell’organismo.
-‐ da due atti cognitivi distinti: il riconoscimento di tale attivazione e la sua attribuzione causale ed etichettamento sulla base degli
indizi presenti nell’ambiente.
Formularono tre ipotesi:
1. Dato uno stato di attivazione per cui l’individuo non dispone di una spiegazione diretta, egli cercherà una spiegazione alla sua
attivazione sulla base della situazione contestuale e degli elementi cognitivi a sua disposizione.
2. Dato uno stato di attivazione per cui l’individuo dispone di una spiegazione adeguata, non occorrono valutazioni e spiegazioni
alternative.
3. Date le stesse circostanze cognitive, un individuo reagirà in maniera emotiva soltanto se insorge un’attivazione fisiologica.
Cannon, il primo studioso che si contrappose a James, fautore della teoria centrale delle emozioni che verrà di seguito illustrata,
sostenne che:
1. i cambiamenti viscerali sono troppo lenti perché tali modificazioni corporee possano essere la causa dell’esperienza
emotiva
2. i visceri sono scarsamente sensibili e caratterizzati da motilità indifferenziata
3. la resezione dei collegamenti tra gli organi interni e il sistema nervoso centrale non produce la scomparsa del
comportamento emotivo
4. tipi di cambiamenti viscerali simili tra loro si associano ad emozioni diverse e a stati non emozionali
5. i cambiamenti fisiologici possono non essere sufficienti a provocare una reazione emotiva
Nello studio dei meccanismi sottostanti a feedback facciale, Zajonc (1985) propose un’ipotesi vascolare secondo cui i muscoli
facciali hanno la capacità di influenzare l’efflusso sanguigno del sangue venoso del volto. In particolare, esercitando una pressione
meccanica sulle vene facciali, il sangue venoso proveniente dalla cavità nasale è ridiretto in direzione del seno cavernoso. Egli
dunque sostiene che la respirazione e i movimenti facciali modulano l’esperienza emotiva, influenzando i meccanismi di
termoregolazione cerebrale, perché contribuisce al raffreddamento del sangue arterioso che arriva al cervello. In particolare, la
temperatura della regione talamica influenza la sintesi e il rilascio di neurotrasmettitori e quindi lo stato affettivo del soggetto:
-‐ il raffreddamento ipotalamico è associato a stati emotivi positivi
-‐ l’innalzamento della temperatura della regione ipotalamica è associato a stati emotivi negativi
al soggetto sono presentati 4 mazzi di carte, due vantaggiosi e due svantaggiosi (il soggetto non conosce questa caratteristica).
Scegliendo una carta la persona può vincere o perdere una certa somma di denaro. In condizioni normali, a mano a mano che il
compito procede, il soggetto sceglie più spesso carte vantaggiose; si verifica inoltre un arousal anticipatorio, soprattutto prima di
scegliere carte svantaggiose. Lo stesso non succede nel caso di individui con lesioni nell’area dell’amigdala o della corteccia
prefrontale. La mancanza di un sistema emotivo adeguato porta al costituirsi di una personalità non del tutto razionale
emozioni primarie (alla James): risposte automatiche e istintive agli stimoli esterni. Il loro substrato è nel sistema limbico e
coinvolgono diverse manifestazioni somatiche (visceri, muscoli scheletrici, sistema vascolare e immunitario...)
emozioni secondarie: nascono dalle associazioni tra categorie di oggetti e situazioni ed emozioni primarie
«L’errore di Cartesio» è il titolo del libro del neurologo Damasio (1994) in cui egli presenta la sua visione delle emozioni. Che cosa
aveva sbagliato Cartesio? Secondo Damasio, a ipotizzare una netta separazione tra res cogitans (realtà psichica) e res extensa
(realtà fisica): si potrebbe dire tra mente e corpo. Secondo Damasio, l’emozione ha infatti origine dall’attività sinergica tra mente e
corpo
un capocantiere addetto alla costruzione di ferrovie il quale, durante un’esplosione, fu colpito incidentalmente da una spranga di
ferro che gli provocò lesioni irreparabili al lobo frontale. Gage sopravvisse per molti anni, recuperando tutte le sue funzioni vitali. La
sua personalità emotiva e sociale venne però completamente alterata, trasformandolo in una persona asociale ed irosa.
il modo predisposto dall’evoluzione per consentire all’uomo di adottare risposte comportamentali
agli stimoli dell’ambiente che ne favoriscono la sopravvivenza. Il marcatore somatico funziona come un campanello d’allarme sia
allontanandoci da situazioni che per esperienza sappiamo essere negative sia avvicinandoci a situazioni che in passato hanno avuto
esiti positivi. Damasio sostiene che le modificazioni fisiologiche che si verificano quando si sperimenta un’emozione influenzano le
nostre valutazioni e indirizzano le nostre scelte.
Secondo questa prospettiva, il ruolo degli aspetti biologici delle emozioni è ridotto al minimo a favore della centralità dei fattori
sociali e linguistici. Averill (1997) sostiene che le emozioni siano risposte prescritte socialmente: a ogni situazione corrispondono
delle aspettative socialmente condivise sui comportamenti considerati corretti e adeguati. Il vissuto e la manifestazione delle
diverse emozioni seguono una serie di regole che verranno di seguito descritte. In questa prospettiva, le emozioni non sono una
“proprietà” dell’individuo che viene in vari momenti espressa socialmente, non sono produzioni che sgorgano dalla psiche
individuale. Sono una forma di discorso sociale complesso e intelligente, costruito e negoziato tra le persone all’interno di specifici
contesti socio-‐culturali. Le emozioni sarebbero un modo che gli individui hanno per accordarsi, per comprendersi, per comunicare e
per dare significato a ciò che accade.
Esse quindi sono concepite come stati della mente, fondate sulla cognizione, in stretta relazione quindi con tutti i processi cognitivi.
Gli assunti principali di questa teoria sono:
• le emozioni non sono entità astratte: non esistono la rabbia, la paura, la felicità ecc. ma esistono invece persone
arrabbiate, tristi, felici ecc.; anzi, esiste quella determinata persona che in quel momento, in quel contesto, per quei
motivi...si sente arrabbiata o felice...
• le emozioni non avvengono in un vuoto, ma sono sempre inserite in un contesto che coinvolge altre persone e specifiche
regole socioculturali
Il vissuto e la manifestazione delle diverse emozioni seguono una serie di regole che si articolano in:
1. regole di valutazione: definiscono come deve essere percepita e valutata una situazione
2. regole di comportamento: stabiliscono come un’emozione deve essere espressa
3. regole prognostiche: riguardano la durata e lo sviluppo di un episodio emozionale nel corso del tempo
4. regole di attribuzione: attraverso le quali l’emozione viene spiegata e resa legittima rispetto al sistema sociale e in rapporto al Sé
Tali regole si fondano su sistemi di valori e di istanze morali che vengono appresi e che sono di natura sociale
L’esistenza di un centro sottocorticale unico, proposta da Cannon e Bard, è stata confutata da numerose ricerche successive. Il
circuito proposto da Papez (1937) costituisce una prima evoluzione della teoria centrale delle emozioni. L’autore ipotizzò che, oltre
al talamo e all’ipotalamo, fossero coinvolte anche l’ippocampo e la corteccia cingolata. Negli anni successivi, MacLean aggiunse
altre regioni quali l’amigdala,
il nucleo del setto, porzioni della corteccia fronto-‐orbitaria e porzioni dei gangli della base: denominò l’insieme di queste strutture
con il termine sistema limbico. Nel sistema limbico, rivestono un ruolo funzionale centrale due strutture:
• l’amigdala (il cui ruolo verrà descritto nelle successive slides)
• l’ipotalamo: la struttura cerebrale che coordina il sistema nervoso autonomo garantendo uno stato di
omeostasi
L’esistenza di un centro sottocorticale unico, proposta da Cannon e Bard, è stata confutata da numerose ricerche successive. Il
circuito proposto da Papez (1937) costituisce una prima evoluzione della teoria centrale delle emozioni. L’autore ipotizzò che, oltre
al talamo e all’ipotalamo, fossero coinvolte anche l’ippocampo e la corteccia cingolata. Negli anni successivi, MacLean aggiunse
altre regioni quali l’amigdala,
il nucleo del setto, porzioni della corteccia fronto-‐orbitaria e porzioni dei gangli della base: denominò l’insieme di queste strutture
con il termine sistema limbico. Nel sistema limbico, rivestono un ruolo funzionale centrale due strutture:
• l’amigdala (il cui ruolo verrà descritto nelle successive slides)
• l’ipotalamo: la struttura cerebrale che coordina il sistema nervoso autonomo garantendo uno stato di
omeostasi
È la prima componente indagata dalle teorie classiche delle emozioni. Si fonda sull’attività complessa e articolata di sistemi
molteplici:
-‐ il sistema nervoso centrale
-‐ il sistema nervoso autonomo: si suddivide in simpatico e parasimpatico.
• il sistema simpatico prepara l’organismo all’attività e all’emergenza, aumentando l’attivazione e la disponibilità
di energia (sistema ergotropico)
• il sistema parasimpatico produce modificazioni corporee che inducono rilassamento e permettono il risparmio
di energia (sistema trofotropico)
-‐ il sistema endocrino
Oggi le emozioni vengono concepite come un processo multicomponenziale, in cui si possono individuare cinque sistemi (Scherer,
2001):
1. componente fisiologica (arousal)
2. componente cognitiva (appraisal)
3. componente motivazionale o di tendenza all’azione
4. componente espressivo-‐motoria
5. componente esperienziale o subjective feeling
I sociocostruzionisti hanno svolto delle ricerche volte a indagare le parole utilizzate per indicare le emozioni e le strutture
concettuali dell’esperienza emotiva. I risultati hanno mostrato differenze interessanti tra i lessici emotivi delle più lontane parti del
mondo:
• per esempio, la popolazione dell’atollo di Ifaluk, nelle Isole Caroline, usa la parola metagu per indicare
un’esperienza emotiva che assomiglia alla nostra paura, ma ha delle connotazioni più particolareggiate
• nella stessa popolazione la parola fago indica un misto di emozioni quali compassione, amore e tristezza,
piuttosto diverse nella nostra lingua
In sintesi, in questa cultura le emozioni sembrano definite da eventi di natura relazionale. Altri studi si sono focalizzati sul vissuto
soggettivo dell’emozione e dei processi di appraisal caratteristici dell’esperienza emotiva. Scherer ha svolto una serie di studi cross-‐
culturali in 37 Paesi del Mondo, utilizzando questionari retrospettivi che chiedevano ai partecipanti di rievocare episodi legati a
particolari emozioni e poi di rispondere ad alcune domande. Nello specifico il programma di Scherer indagava gli antecedenti delle
emozioni, il luogo in cui queste si sperimentano, la loro durata e intensità, le espressioni non verbali, le risposte fisiologiche e il
controllo delle reazioni loro associate.
In relazione agli antecedenti, si è osservata una somiglianza cross-‐culturale in merito ad alcune emozioni fondamentali:
-‐ la paura: è legata a situazioni spiacevoli e difficili da fronteggiare
-‐ la rabbia: è associata ad eventi spiacevoli e inattesi, ma anche ingiusti e causati da un individuo verso il quale la rabbia è rivolta
Parallelamente a queste somiglianze, sono state riscontrate anche delle differenze notevoli tra le culture in merito ai vissuti
soggettivi delle culture: ad esempio, i giapponesi sono indifferenti nei confronti della morte che gli occidentali considerano invece
più spesso un antecedente della tristezza; la solitudine è intesa sovente in maniera positiva nelle culture occidentali, in quanto è
percepita come un’opportunità di privacy, mentre per gli eschimesi viene vissuta come isolamento sociale che può sfociare in
reazioni di paura
Studi successivi hanno dimostrato che anche la differenza fra emozioni e positive non ha lo stesso grado di polarizzazione in tutte le
culture:
• nelle culture individualiste, tipiche di molti Paesi occidentali, si riscontra una valorizzazione della riuscita
personale; la felicità viene percepita come un diritto e da raggiungere e conservare al pari di una buona
immagine di sé
• nelle culture collettivistiche, tipiche di molti Paesi orientali, sono invece valorizzati il gruppo sociale e i legami di
appartenenza
A conferma di questi punti, studi che hanno confrontato studenti americani e giapponesi hanno dimostrato che:
-‐ gli studenti americani tendono a massimizzare le emozioni positive
-‐ i giapponesi tendono a ridurre sia le emozioni positive sia quelle negative per non turbare l’armonia e l’equilibrio nelle relazioni
Vi è anche un legame significativo tra cultura e appraisal:
-‐ il processo di valutazione di un evento emotigeno è infatti una componente dell’emozione
-‐ differenze nella valutazione dell’antecedente conducono ad emozioni diverse: se individui di culture differenti valutano in maniera
diversa uno stesso evento, essi proveranno emozioni differenti
La cultura è quindi una griglia interpretativa della realtà che fornisce all’individuo un insieme di significati, di credenze, di
rappresentazioni e una gamma di norme e di valori (Anolli, 2002)
L’amigdala è una piccola struttura limbica a forma di mandorla (dal latino amygdala = mandorla), situata nella profondità antero-‐
mediale del lobo temporale. Ha un ruolo molto importante nella produzione delle emozioni. È costituita da diversi nuclei: i nuclei
basolaterali (ricevono informazioni provenienti dal talamo, dall’ippocampo e dalla corteccia cerebrale) e i nuclei corticomediali
(ricevono afferenze olfattive). Dall’amigdala partono anche molte efferenze che, attraverso il nucleo centrale, giungono a diverse
parti del diencefalo e del tronco encefalico. Vari studi hanno rivelato l’importante coinvolgimento dell’amigdala nella rilevazione e
nella valutazione di segnali di pericolo e nel coordinamento di risposte a stimoli minacciosi. Altri studi hanno mostrato il ruolo
dell’amigdala nella valutazione di informazioni e nella regolazione di comportamenti connessi alla paura: se ci vengono mostrati
rapidamente dei volti o anche solo gli occhi di visi che provano paura, la nostra amigdala mostra un aumento di attività, anche se
noi non ci accorgiamo nemmeno di averli visti.
Le Doux (1996) ha individuato un doppio circuito che collega l’amigdala ad altre strutture nervose ed è responsabile del
processamento dell’informazione emotiva:
• circuito subcorticale: le informazioni passano direttamente dalle regioni talamiche all’amigdala
• circuito corticale: le informazioni provenienti dalla periferia, dopo aver raggiunto il talamo, passano alla corteccia e dalla
corteccia nuovamente all’amigdala
Il circuito subcorticale fornisce una valutazione più rapida, ma anche maggiormente rozza e imprecisa. È però un meccanismo
importantissimo per la nostra sopravvivenza perché consente di trovare le risposte appropriate per reagire a una situazione
pericolosa in tempo breve. Ad esempio, se vediamo un cane che ci corre incontro, apparentemente minaccioso, questo sistema si
attiva immediatamente per prepararci alla fuga, senza l’intervento della corteccia. Il circuito corticale, invece, è utile a una
successiva e più accurata valutazione delle caratteristiche dello stimolo e delle risposte più appropriate.
Continuando con l’esempio, se elaboriamo in maniera più approfondita gli attributi del cane, attraverso il circuito corticale,
potremmo accorgerci che quello che ci corre incontro è un animale innocuo che vuole solo giocare. Lo studio delle emozioni
dell’uomo è ancora però allo stadio iniziale per la difficoltà di individuare i circuiti neurali di felicità, paura, rabbia e di altre
emozioni. La neurologia però sta mostrando le prime conferme all’ipotesi che il cervello non abbia un singolo centro preposto alle
emozioni (il «sistema limbico») bensì al fatto che le varie emozioni attivino diverse strutture cerebrali sia della corteccia sia delle
regioni più profonde dell’encefalo.
431. Si descriva la componente valutativa (appraisal) del processo emotivo.
Questa componente è stata indagata principalmente dalle teorie dell’appraisal. Lazarus (2006) sostiene che la valutazione cognitiva
dà inizio all’esperienza emotiva attraverso la trasformazione di eventi esterni in qualcosa di rilevante e significativo per l’individuo
ed è dunque il significato attribuito agli eventi a dare forma alle emozioni.
È possibile differenziare tre diversi stadi all’interno del processo di valutazione:
1. valutazione primaria: valutazione di una situazione o di un evento in base alla rilevanza e pertinenza per gli interessi
dell’individuo
2. valutazione secondaria: viene compiuta dall’organismo e riguarda le proprie capacità di fronteggiare, controllare e gestire
l’evento
3. coping: modalità attraverso cui l’organismo cerca si far fronte all’evento o alla situazione che provoca stress
Il processo di valutazione cognitiva avviene sulla base di alcune dimensioni o criteri. Ciò significa che la differenziazione degli stati
emotivi ha luogo in funzione della configurazione degli esiti della valutazione per ciascuno di tali criteri. Le emozioni, secondo
Lazarus, si associano anche a temi relazionali centrali che organizzano le dimensioni e le combinano in strutture di significato per
originare esperienze emotive diverse: ad esempio, la tristezza è prodotta da esperienze di perdita irreversibile e implica la
valutazione di un potenziale di coping basso e impotenza; la collera, invece, è legata al tema relazione di un’ingiustizia o di
un’offesa subita.
432. Si confrontino l'approccio molare e l'approccio molecolare all'analisi dell'espressione facciale.
434. Si confrontino la prospettiva emotiva e la prospettiva comunicativa delle espressioni facciali.
È l’acronimo di Facial Action Coding System: si tratta di un complesso sistema di codifica e di analisi del comportamento
facciale,formulato da Ekman. L’autore stimolò i muscoli del viso con alcuni elettrodi e osservò le modificazioni dell’espressione. Il
FACS si compone di 44 Unità d’Azione (Action Unit – AU),
caratterizzate da diversi livelli di intensità le quali descrivono tutti i movimenti visibili dei muscoli del volto e da 14 Unità d’Azione
che descrivono, in maniera più grossolana, i cambi di direzione dello sguardo e dell’orientamento della testa. Il manuale fu
pubblicato per la prima volta nel 1976, mentre la seconda edizione aggiornata e ampliata è del 2002. Lo scopo di Ekman era quello
di creare una tassonomia completa dell’espressività umana. Questo progetto ha avuto successo e il FACS è oggi lo strumento più
conosciuto e usato nella categorizzazione delle configurazioni emotive a livello fisico. Occorre precisare che le Unità d’Azione sono
descrittive e non riguardano l’interpretazione delle emozioni. Secondo Ekman, il volto veicola informazioni attraverso quattro classi
di segnali:
1)segnali facciali statici: sono i tratti permanenti del viso che definiscono l’aspetto di un individuo, come la struttura ossea e le
masse di tessuto sottostante
2) segnali facciali lenti: segnalano i cambiamenti, generalmente dovuti al passare del tempo, nell’aspetto dell’individuo. Ne sono
esempi le rughe permanenti, la consistenza e la grana dell’epitelio
3) segnali artificiali: di facile e immediata identificazione; tutto ciò che determina artificialmente i tratti del viso come gli occhiali e i
cosmetici.
4) segnali facciali rapidi: rappresentano cambi di fase nell’attività neuromuscolare che possono portare a visibili modificazioni
nell’apparenza facciale; sono brevi in quanto durano pochi secondi
A un livello macroanalitico, Ekman ha poi individuato quali combinazioni di Unità d’Azione costituiscono le configurazioni facciali
prototipiche di ogni emozione di base (Emotion FACS) Ad esempio, la configurazione prototipica della paura è composta da 3 Unità
d’Azione: sopracciglia interne alzate, occhi spalancati e bocca aperta.
o regole di esibizione. Si tratta di meccanismi, appresi nel corso della socializzazione, che interagiscono con i programmi espressivi
innati. Possono essere definite come norme, condivise a livello sociale e culturale, che specificano chi può manifestare una certa
emozione, in quali circostanze e contesti, con quali modalità, a quale età, etc.
438. Si confrontino la tesi innatista e l'approccio culturale relativi alle espressioni facciali.
• appraisal primario: valutazione finalizzata al processamento della rilevanza e delle caratteristiche più salienti dello stimolo
(corrisponde alle prime due fasi del modello di Scherer)
• appraisal secondario: valutazione più sofisticata del contesto e del grado di appropriatezza delle risposte da emettere
Si tratta della capacità dell’individuo di esprimere uno stato emotivo attraverso sistemi espressivi molteplici: ad esempio, i
movimenti del volto, il sistema vocale, i gesti, la postura, la prossemica, etc. È stato dimostrato che il volto è il canale privilegiato
per esprimere le emozioni, mentre gli altri sistemi producono riconoscimenti e giudizi meno accurati nell’identificare le emozioni di
base.
È un sistema sequenziale e gerarchico; ogni evento viene cioè valutato secondo una sequenza progressiva di stadi di crescente
complessità:
1. Novità: Si valuta il grado di novità dello stimolo e di congruenza/incongruenza rispetto alle aspettative. Sollecita una
risposta di orientamento, causata dalla discrepanza tra lo stimolo e ciò a cui il soggetto è preparato.
2. Piacevolezza o spiacevolezza intrinseca: l’individuo valuta la valenza edonica dello stimolo, in quanto fonte di piacecere o
disagio. Se lo stimolo è valutato come piacevole = risposta di benessere, di gioia, di avvicinamento Se è valutato come
spiacevole = risposte emotive negative (ad es., paura, allontanamento, collera, aggressione, attacco...).
3. Pertinenza rispetto ali scopi e bisogni del soggetto: Si valuta se lo stimolo ostacola o facilita il raggiungimento di uno
scopo o il soddisfacimento di un bisogno.
4. Coping: È la capacità di far fronte a uno stimolo Comprende la valutazione della causa attivante un’emozione e della sua
controllabilità.
5. Compatibilità con le norme sociali e l’immagine di sé: Lo stimolo è confrontato con standard interni, quali l’immagine di
sé. È anche raffrontato con aspetti esterni, come le norme e le aspettative del proprio gruppo sociale
La teoria postula l’esistenza di due fattori diversi nell’espressione facciale delle emozioni:
• Il primo fattore è di tipo neurofisiologico: ogni emozione di base è caratterizzata dall’attivazione di una configurazione
specifica di muscoli facciali, su base innata. Questo processo è attivato da alcuni eventi elicitanti: si tratta di stimoli o
situazioni universali e prototipici per ciascuna emozione. Il programma di movimenti facciali è responsabile
dell’attivazione dei sistemi nervoso centrale, autonomo, endocrino, di tutte le manifestazioni esterne e dell’emergere del
vissuto soggettivo che corrisponde a una determinata emozione.
• Il secondo fattore è invece di natura culturale o cognitiva e corrisponde al display rules o regole di esibizione. Si tratta di
meccanismi, appresi nel corso della socializzazione, che interagiscono con i programmi espressivi innati. Possono essere
definite come norme, condivise a livello sociale e culturale, che specificano chi può manifestare una certa emozione, in
quali circostanze e contesti, con quali modalità, a quale età, etc.
Le principali regole di esibizione sono quattro: intensificazione, deintensificazione, neutralizzazione (o inibizione) e mascheramento
(simulazione).
Si basa sul modello relativo al processo di generazione dell’emozione che fa riferimento alle teorie dell’appraisal. È stato formulato
da Gross (1998). L’emozione inizia quindi con una valutazione cognitiva dell’antecedente. A seguito di tale valutazione, il processo
emotivo innesca un set coordinato di «tendenze di risposta»: sono modificazioni di risposte in diversi sistemi dell’organismo
(sistema fisiologico, espressivo-‐comportamentale ed esperienziale). Tali tendenze possono essere modulate e tale controllo origina
la risposta emotiva manifesta. Secondo Gross, il processo di regolazione passa attraverso due differenti
tipologie di strategie:
445. Si descriva la componente dell'esperienza soggettiva del processo emotivo.
Può essere definita anche come vissuto interno. Si tratta dell’emozione come viene percepita dal soggetto ed esso corrisponde al
termine sentimento. Scherer lo definisce come la rappresentazione cognitiva soggettiva che riflette la propria esperienza unica di
cambiamento a livello mentale e coporeo quando ci si confronta con un particolare evento. Non esistono dunque indicatori
oggettivi che consentano una misura diretta dell’esperienza, ma è necessario passare dalla auto-‐valutazione compiuta di ciascun
soggetto.
Scherer sostiene che occorre studiare le distinzioni tra tipi di emozioni e tipi di processi emotivi cui sono associate parole e
espressioni per comunicarle. Si sono quindi cercate delle strutture concettuali in grado di descrivere e comprendere tutti i tipi di
esperienze emotive: si tratta di mappe. Le mappe possono essere di due diverse tipologie:
• categoriali: riflettono la concezione di emozioni come categorie distinte e separate; corrispondono ad elenchi di
etichette relative ad alcuni stati emotivi, in genere quelli di base
• dimensionali: riguardano la struttura dell’esperienza emotiva. Il primo a proporre una concezione dimensionale
fu Wundt (1905), il quale intese l’esperienza soggettiva come uno spazio a tre dimensioni:
-‐ valenza edonica (piacevole-‐spiacevole)
-‐ attivazione (eccitazione-‐calma)
-‐ tensione (tensione-‐rilassamento).
L’autore riteneva che il vissuto soggettivo covariasse con le misure di attivazione fisiologica.
L’emozione, grazie alla complessità delle strutture nervose coinvolte e all’interazione con i sistemi cognitivi, è un’esperienza
intenzionalmente controllabile, soggetta cioè a regolazione emotiva processo attraverso cui gli individui possono influenzare quali
emozioni provano, quando e come le sperimentano e le esprimono. I processi di regolazione e controllo possono essere automatici
o controllati, consci o inconsapevoli e possono agire su tutti i sistemi di risposta: attivazione fisiologica, espressioni facciali, vissuto
soggettivo. Esistono due differenti tipologie di regolazione:
-‐ intraindividuale: strategie di coping intrapsichico
-‐ interindividuale: strategie legate all’interazione con gli altri
Per quanto riguarda la prima tipologia di regolazione, alcune ricerche hanno mostrato come strategie cognitive possono ridurre lo
stress che deriva da emozioni negative e produrre benessere psicologico. A proposito della manipolazione della valutazione
cognitiva dello stimolo è stata formulata l’ipotesi dell’influenza dell’informazione preparatoria: si tratta dell’informazione corretta
circa le conseguenze da aspettarsi in una condizione di stress. Essa riduce il livello di novità dello stimolo, rendendo più accurate le
aspettative e abbassando i livelli di ansia
Le emozioni hanno anche la proprietà di essere motivazioni per il comportamento e includono tendenze all’azione. Le teorie
evoluzioniste hanno sottolineato il legame tra emozioni e tendenze motivazionali individuando una funzione centrale
nell’adattamento dell’organismo all’ambiente. Tale relazione è stata tuttavia illustrata più corposamente all’interno delle teorie
dell’appraisal, secondo cui le tendenze all’azione e le valutazioni cognitive sono componenti che caratterizzano e differenziano
ciascuna emozione. Il ruolo dell’azione nel processo emotivo è stato in particolar modo messo in luce da Frijda secondo cui le
emozioni possono essere differenziate in base a cambiamenti della prontezza all’azione in risposta ad eventi rilevanti per gli
interessi dell’individuo. Le predisposizioni all’azione sono propensioni e stati motivazionali «embodied» che implicano l’effettiva
attivazione dell’organismo. Ne sono esempi andare verso, opporsi, allontanarsi, proteggersi, apatia, inibizione, eccitazione. Andare
contro caratterizza ad esempio la rabbia; allontanarsi e proteggersi sono legati alla paura e così via. Le predisposizioni mentali
È il processo attraverso cui le emozioni e le loro espressioni regolano le interazioni e, viceversa, le emozioni sono regolate nelle
interazioni. Il controllo dell’espressione emotiva soddisfa da un lato la gestione di processi di presentazione del Sé, dall’altro la
richiesta delle norme culturali e sociali (display rules) che definiscono l’appropriatezza di una data reazione emotiva e della sua
intensità in relazione al contesto.Per esempio, è stato mostrato come l’utilizzo di una strategia di inibizione dell’espressione possa
compromettere la capacità sociale dell’individuo di interagire e sintonizzarsi con gli altri, facendolo apparire evitante.
Per quanto non sia possibile individuare i tratti di personalità delle persone positive, sono stati individuati alcuni elementi che le
accomunano:
• alta autostima: in particolare nelle culture occidentali, le persone positive si piacciono, si considerano più intelligenti e più
capaci rispetto alla media degli individui. Esse possiedono consapevolezza della propria capacità di controllo, soprattutto
sugli eventi della propria vita
• amano frequentare altre persone: tendono a essere estroverse, hanno una maggiore apertura mentale e dispongono di
una rete di sostegno costituita da relazioni strette
• ottimismo: caratteristica che permette di perseverare nei compiti e perseguire successi. Esso comporta effetti positivi
sullo stato di salute psicofisica che sono mediati da aspetti cognitivi.
Molti studiosi hanno rilevato che il benessere soggettivo tende ad essere stabile nel corso dell’esistenza. Una possibile spiegazione
di questo fatto è che esiste un punto di stabilità (set point): un valore selezionato di livello del benessere individuale. Anche se
particolari eventi possono elevare o deprimere l’umore di un individuo, egli finisce infatti per ritornare al suo livello generale di
felicità. Il set point nella maggior parte delle persone ha un valore piuttosto elevato. Esistono poche differenze nella felicità fra
uomini e donne e tra membri di diverse razze e culture.
453. Si descriva il modello del benessere psicologico della Ryff.
È un costrutto multidimensionale relativo all’autorealizzazione della persona. LA TEORIA DELL’AUTODETERMINAZIONE (Deci e
Ryan, 2000): afferma che i bisogni psicologici di base sono autonomia, competenza e relazioni sociali. Il focus è sui fattori e sulle
condizioni che facilitano/minacciano il benessere in diversi contesti e periodi. Si registra un’influenza reciproca tra il livello intra-‐ e
interpersonale. La Ryff ha teorizzato il modello del benessere psicologico come autorealizzazione delle potenzialità individuali e
della costruzione di significati. Ha individuato sei dimensioni:
1. accettazione di sé: atteggiamento positivo verso di sé e capacità di accettare i propri limiti
2. avere buoni legami: fiducia, capacità di amare, empatia
3. autonomia: autodeterminazione, indipendenza e capacità di autoregolazione del comportamento
4. padronanza ambientale: scegliere o creare ambienti adatti alla propria condizione psichica
5. scopo della vita
6. crescita personale
A partire dall’operazionalizzazione delle dimensioni del modello è stata ottenuta la Psychological Well-‐being Scale, una scala self-‐
report di misurazione del benessere
454. Quali sono le differenze tra prospettiva edonica e prospettiva eudaimonica?
Edonica
Visione della felicità e del benessere come raggiungimento degli obiettivi rilevanti per il soggetto. È stata coniata nell’antica Grecia
e riprende la nozione di felicità-‐ piacere per cui la felicità soggettiva comprende i piaceri fisici e mentali
Eudaimonica
Visione della felicità come processo di interazione e mutua influenza tra benessere individuale e collettivo, tale per cui la felicità si
realizza nell’ambito dello spazio sociale. Il benessere è ben distinto dalla felicità perché solo il soddisfacimento di alcuni desideri
può promuovere il benessere
È un costrutto multidimensionale relativo all’autorealizzazione della persona. LA TEORIA DELL’AUTODETERMINAZIONE (Deci e
Ryan, 2000): afferma che i bisogni psicologici di base sono autonomia, competenza e relazioni sociali. Il focus è sui fattori e sulle
condizioni che facilitano/minacciano il benessere in diversi contesti e periodi. Si registra un’influenza reciproca tra il livello intra-‐ e
interpersonale. La Ryff ha teorizzato il modello del benessere psicologico come autorealizzazione delle potenzialità individuali e
della costruzione di significati. Ha individuato sei dimensioni:
1. accettazione di sé: atteggiamento positivo verso di sé e capacità di accettare i propri limiti
2. avere buoni legami: fiducia, capacità di amare, empatia
3. autonomia: autodeterminazione, indipendenza e capacità di autoregolazione del comportamento
4. padronanza ambientale: scegliere o creare ambienti adatti alla propria condizione psichica
5. scopo della vita
6. crescita personale
A partire dall’operazionalizzazione delle dimensioni del modello è stata ottenuta la Psychological Well-‐being Scale, una scala self-‐
report di misurazione del benessere
La psicologia positiva si focalizza sul ruolo delle risorse e delle potenzialità dell’individuo. Il focus si sposta dal riparare ciò che non
funziona al costruire qualità positive dell’individuo, ponendo attenzione al potenziamento personale. Le attività della psicologia
positiva si sono sviluppate a partire da due prospettive di base che hanno una differente visione della felicità
Secondo la visione classica, il benessere coincideva con una condizione di vita agiata ed era misurabile da indicatori oggettivi (stato
sociale, salute fisica, reddito, grandezza dell’abitazione). Tuttavia, molti studiosi hanno rilevato che questi indicatori oggettivi non
riuscivano a spiegare in maniera esaustiva il concetto di benessere. La qualità della vita e il benessere si presentano come fattori
soggettivi: l’interpretazione che un individuo dà di un evento o di una situazione influisce sui suoi livelli di benessere. A partire da
queste affermazioni è stato formulato il concetto di benessere soggettivo: condizione di raggiungimento di un equilibrio intra-‐ o
interindividuale. Molti studiosi hanno cercato di correlare il benessere alla felicità
individuando tre elementi che la caratterizzano. Essa è:
• soggettiva: ciò che rende felici alcune persone ne rattrista altre
• temporale: ciò che rende felici in alcuni momenti e periodi della vita non ha sempre lo stesso effetto
• transitoria: ciò che rende felici non mantiene nel tempo lo stesso effetto
Un altro prezioso contributo alla definizione di benessere e felicità deriva dalla psicologia positiva.
Lo stress è una risposta dell’organismo a qualsiasi stimolo interno/esterno di intensità e durata tale da minacciare la sopravvivenza
e l’integrità fisica dell’organismo, o di evocare meccanismi di adattamento atti a ristabilire l’omeostasi. E’ uno stato di tensione
fisico-‐psicologico attivato da un evento. Il coping è l’insieme di pensieri e comportamenti usati per far fronte a situazioni/eventi
stressanti. Il coping è un esame e valutazione delle capacità per fronteggiare una siuazione.
Il processo di coping ha inizio con la valutazione che importanti obiettivi/mete sono perduti/minacciati. Essa è seguita da emozioni
negative, spesso intense.
Stress-‐coping sono u binomio indivisibile.
I fattori che generano situazioni stressorie prestano sempre due componenti:
-‐ psicologica;
-‐ fisiologica.
Di fondamentale importanzaè la valutaziolne soggettiva.
soggetto all’evento.
È un processo di valutazione a più fasi su cui influiscono le risorse personali e il supporto sociale offerto al soggetto. Le
diverse strategie di coping rientrano in due categorie:
• • Coping focalizzato sulle emozioniàgestire le emozioni di fronte allo stress, modificando il modo in cui consideriamo o
percepiamo un problema. La persona agisce sul proprio vissuto emotivo contenendo le ansie;
• • Coping focalizzato sul problemaàmodificare il problema stressante o la causa dello stress. Modificazioni del
comportamento o sviluppo di un piano d’azione per affrontare lo stress.
Nella maggior parte dei casi si impiegano entrambe le strategie per far fronte allo stress.
• Una delle forme più usate di coping è il coping di evitamento in cui si viole credere che una cosa andrà
Stressori cataclismici: di elevata intensità che insorgono all’improvviso e influenzano tipicamente molte persone. Ne sono esempi i
tornado, gli incidenti aeronautici e gli attacchi terroristici. Non tutti gli eventi cataclismici portano agli stessi livelli di stress: per
esempio
i disastri naturali nel lungo periodo possono essere meno stressanti rispetto agli attacchi terroristici. I primi hanno una risoluzione
chiara e sono condivisi con altri da cui si può ricevere supporto sociale reciproco e comprensione delle difficoltà. I secondi sono
deliberati e le vittime sanno che sono possibili attacchi futuri
Stressori personali: relativi a eventi importanti della propria vita; ne sono esempi la perdita del lavoro, di un genitore o di un
coniuge, un fallimento personale. Producono una reazione immediata e rilevante che gradualmente si affievolisce. Alcune persone
che hanno sperimentato un grado elevato di stress personale sono soggette a un Disturbo Postraumatico da Stress (PTSD): ha
effetti di lunga durata che comprendono il rivivere l’evento traumatico in flashback o incubi. Esempi di persone affette da PTSD
sono i veterani di guerra, coloro che hanno subito maltrattamenti o abusi infantili, i soccorritori intervenuti in situazioni di forti
emergenze e le vittime di incidenti.
La sintomatogia del PTSD comprende:
-‐ la risperimentazione dell’evento
-‐ il numbing emozionale (offuscamento)
-‐ difficoltà del sonno
-‐ problemi a gestire o a creare nuove relazioni sociali
-‐ abuso di alcol e di sostanze stupefacenti
-‐ in alcuni casi, suicidio
• Stressori ambientali (fatiche quotidiane): ne sono alcuni esempi lunghe file d’attesa, il traffico intenso, i rumori della città,
elettrodomestici rotti, comportamenti irritanti degli altri, insoddisfazione sul lavoro
o nelle relazioni intime. Di per sé non attivano un elevato livello di stress, ma quando si sommano possono avere lo stesso peso di
un singolo evento stressante più grave. Il numero degli stressori ambientali che una persona deve fronteggiare è associato a
sintomi psichici e problemi clinici quali l’influenza, l’angina e la lombalgia. Gli uplifts sono invece eventi positivi minori che inducono
uno stat di benessere: sono temporanei, ma hanno un effetto contrario o lenitivo rispetto agli stressori ambientali. Ne sono esempi
avere buone relazioni intime, portare a termine un compito, dormire a sufficienza, passare del tempo in famiglia, cenare fuori
La resilienza è la capacità di resistere, superare e prosperare dopo una profonda avversità.
Le persone resilienti hanno una sensazione di controllo sulla propria vita e operano con quanto hanno a disposizione sfruttando al
meglio ogni situazione con cui vengono a contatto.
Lo stress è una risposta dell’organismo a qualsiasi stimolo interno/esterno di intensità e durata tale da minacciare la sopravvivenza
e l’integrità fisica dell’organismo, o di evocare meccanismi di adattamento atti a ristabilire l’omeostasi.
Esso è uno stato di tensione fisico-‐psicologico attivato da un evento. Oggi viene definito come l’intero processo di reazione allo
stress (SRP) e non solo la sua conseguenza.È una continua interazione tra stressore (evento che scatena la sensazione di
disagio/pericolo) e valutazione cognitiva ed emotiva che si occupa di capire se è minaccioso e affrontabile.
Se il soggetto è in grado di opporsi, lo stress è controllabile (SRPc) se invece non è in grado di opporsi, lo stress è incontrollabile
(SRPi).
• Modificare la propria reazione fisiologica allo stresso può facilitare il copingàl’esercizio fisico aiuta a ridurre lo stress e
migliora la salute complessiva, riducendo il rischio di alcune malattie. Inoltre, si ha una sensazione di controllo sul proprio
corpo e una sensazione di realizzazione;
• Prepararsi allo stress prima che insorgaàdefinita di coping pro-‐attivo che prevede lo stress e prepara ad esso prima che
lo si incontri. Gli individui in grado di prepararsi a eventi stressanti imminenti, diminuiscono le conseguenze dello stress;
•
Ruminazioneàportare alla memoria l’evento vissuto ed elaborare in un secondo momento la dinamica dello stesso può
aiutare nell’individuazione di errori nella ricerca di possibili soluzioni al problema per motivi differenti: la lucidità mentale
L’impotenza appresa è un sentimento che si crea quando è impossibile controllare una situazione.
Lo psicologo Martin Seligman sostiene che l’impotenza appresa è il sentimento che prova una persona quando giunge alla
conclusione che gli stimoli spiacevoli non possono essere controllati. Il soggetto cessa di tentare di porre rimedio alle circostanze
avversive, anche se è in grado di esercitare una certa influenza su di esse.
La perdita di controllo e il conseguente stress si traducono spesso in un peggioramento della salute e nella probabilità di una morte
più precoce. L
e persone riferiscono più sintomi fisici e depressione quando percepiscono di avere uno scarso o nessun controllo rispetto a
quando percepiscono una sensazione di controllo su una situazione.
I soggetti che riescono ad affrontare lo stress con più successo sono definite dotate di hardiness (resistenza allo stress), una
caratteristica della personalità associata a un basso tasse di malattie da stress. È costituita da 3 componenti:
• Impegnoàtendenza a lanciarsi in ogni compito con la sensazione che le proprie attività siano importanti e significative;
• Sensazione di sfidaàil cambiamento è la condizione normale della vita e la previsione di un cambiamento è un incentivo;
• Sensazione di controlloàin grado di influenzare gli eventi della propria vita.
La resilienza è la capacità di resistere, superare e prosperare dopo una profonda avversità.
Le persone resilienti hanno una sensazione di controllo sulla propria vita e operano con quanto hanno a disposizione sfruttando al
meglio ogni situazione con cui vengono a contatto.
Le relazioni con gli altri ci aiutano ad affrontare lo stress, il supporto sociale permette di sperimentare livelli più bassi di stress e di
riuscire meglio ad affrontare lo stress a cui siamo soggetti.
Gli animali da compagni aiutano molto i loro proprietari nella riduzione dello stress.
Il coping è l’insieme di pensieri e comportamenti usati per far fronte a situazioni/eventi stressanti. Il processo di coping ha inizio
con la valutazione che importanti obiettivi/mete sono perduti/minacciati. Essa è seguita da emozioni negative, spesso intense.
Uno dei primi compiti del coping è quello di de-‐intensificare le emozioni negative che possono impedire al soggetto di affrontare la
situazione.
I processi di coping sono influenzati dall’ambiente esterno e dalle caratteristiche della personalità del soggetto che determinano il
modo in cui ognuno valuta un evento e le proprie capacità di affrontarlo.
Alcune strategie di coping sono abitualmente usate per abbassare il livello di stress o eliminarlo.
Spesso non si è totalmente consapevoli di come si attuano queste strategie e delle cause per cui ci si sente sotto stress, fin quando
non si raggiungono livelli intolleranti.
Il coping attiva aspetti cognitivi e neurofisiologici ed è connesso alla capacità del soggetto di far fronte a situazioni fortemente
emotive, mediante la valutazione della rilevanza che lo stimolo elicitante ha per il soggetto, delle possibilità che ha per
fronteggiarlo e la preparazione psicofisiologica dell’organismo a entrare in azione.
L’eustress è una forma adattiva di stress che prepara la difesa dell’organismo.
Il distress è una forma patologica di stress che riduca la capacità di difesa dell’organismo.
Il cancro si diffonde per metastasi, cioè alcune cellule dell’organismo si alterano e si moltiplicano in modo incontrollato.
Esse formano tumori maligni che sottraggo nutrimenti alle cellule e ai tessuti ancora sani.
Ai processi fisiologici si aggiungono le reazioni emotive dei pazienti alla propria malattia, determinando un effetto critico nel suo
Il modulo di comportamento di tipo A è una caratteristica della personalità che si presenta con impazienza, rabbia, ira e
frustrazione. Questi soggetti sono competitivi, sensazione continua di urgenza di tempo, aggressivi, determinati e ostili.
Il modulo di comportamento di tipo B è una caratteristica della personalità che si presenta con cooperazione, meno competitività,
non aggressione, meno determinati o sotili. Gli individui di tipo A hanno una vita determinata, con ritmi serrati e si impegnano nel
multitasking concentrandosi su più attività contemporaneamente.
Questi soggetti sviluppano la coronaropatia e attacchi cardiaci con frequenza doppia rispetto ai soggetti di tipo B. Il pattern di tipo
A causa un’eccessiva attivazione fisiologica nelle situazioni stressanti, determinando un aumento della produzione degli ormoni
adrenalina e noradrenalina, aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, tutto questo causa un aumento
dell’incidenza di coronaropatia. Lo psicologo Johan Denollet ha scoperto che il comportamento da lui detto di tipo D (distress o
sofferenza) è correlato alla coronaropatia. Insicurezza, ansia e atteggiamento negativo presenti negli individui di tipo D li mette a
rischio di attacchi cardiaci ripetuti.
Lo stress può esigere il suo tributo in molti modi, causando conseguenze biologiche e psicologiche. Lo stress causa o peggiora i
problemi clinici detti disturbi psicofisiologici o disturbi psicosomatici. Essi sono problemi clinici influenzati da un’interazione di
difficoltà psicologiche, emotive e fisiche. I disturbi psicofisiologici più comuni sono ipertensione arteriosa, cefalee, lombalgie,
eruzioni cutanee, indigestione, affaticamento e stipsi. Sul pano psicologico, elevati livelli di stress impediscono alle persone di far
fronte alle difficoltà della vita, spingendo le reazioni emotive all’estremo e rendendo le persone incapaci di agire.
Tre sono le conseguenze principali dello stress:
• •
Effetti fisiologici direttiàaumento pressione sanguigna, aumento attività ormonale e diminuzione della funzione del
sistema immunitario;
• •
Comportamenti nocivi alla saluteàabitudini alimentari inappropriate, diminuzione del sonno, aumento assunzione
nicotina/droghe/alcol;
• •
Peggioramento delle condizioni di saluteàdiminuzione della capacità/volontà di chiedere assistenza sanitaria,
riduzione dell’osservanza dei consigli medici richiesti.
La psiconeuroimmunologia (PNI) è la scienza medica che studia le interazioni tra fattori psichici, sistema nervoso e sistema
immunitario, modulate dal sistema neuroendocrino. Scoperta dell’esistenza di un’associazione tra lo stato emotivo e il successo del
sistema immunitario nel combattere le malattie. Psiche, sistema immunitario e sistema endocrino sono regolati dal SNC. Alterare
una di queste funzioni implica l’alterazione di tutte le altre.L’uomo è un sistema di regolazione pluridimensionale in cui i
neurotrasmettitori rappresentano le info e la matrice dove avviene lo scambio di info.
473. Si descriva il modello della sindrome generale di adattamento (SGA).
È il modello di reazione aspecifica dell’organismo a qualsiasi sollecitazione Il modello è stato proposto da Seyle e afferma che lo
stress è costituito da tre fasi:
1. fase di allarme e mobilitazione: si attua quando il soggetto diventa consapevole della presenza di uno stressore. Si attiva il
sistema nervoso simpatico
2. fase di resistenza: la persona si prepara a combattere lo stressore
3. fase di esaurimento: la capacità dell’individuo di adattarsi allo stressore diminuisce fino al punto in cui si manifestano le
conseguenze negative dello stress (malattia fisica, sintomatologia psicologica sotto forma di incapacità di concentrarsi,
aumentata irritabilità, disorientamento e perdita di contatto con la realtà)
In che modo una persona può uscire dalla fase di esaurimento?
In alcuni casi questa fase può servire per evitare uno stressore (ad esempio, una persona che si ammala per aver lavorato troppo,
può essere esonerata dal suo compito per un certo periodo. Di conseguenza, almeno
per un dato tempo, lo stress si riduce). Il modello ha fornito un importante contributo alla comprensione dello stress; può essere
inoltre applicato sia alla specie umana sia ad altre specie. Questo modello è stato criticato perché ipotizza che, indipendentemente
La competenza emotiva è capacità di riconoscere, comprendere e rispondere in modo coerente e pertinente alle emozioni degli
altri e di regolare l’espressione delle proprie emozioni in modo appropriato in funzione del contesto. La regolazione emotiva è la
capacità di far fronte, monitorare e governare le proprie esperienze emotive (si veda argomento emozioni).Si distinguono:
• strategie primarie di regolazioneàrivolte a modificare l’ambiente cercando di eliminare gli elementi che causano stress;
• strategie secondarie di regolazioneàdi natura cognitiva, consistono nella capacità di modificare il sistema delle proprie
percezioni e valutazioni degli eventi stressanti, attribuendo significati diversi in base alle situazioni.
• regolazione attivaàfa ricorso a strategie che concentrano le risorse sia sull’ambiente sia sui propri stati d’animo,
cercando una soluzione al problema, ristrutturandolo a livello cognitivo, manifestando le proprie emozioni, cercando
supporto sociale;
•
regolazione evitante à prevale l’autocritica, i sogni ad occhi aperti, l’isolamento sociale, il disimpegno nel prendere in
considerazione i problemi.
• Regolazione proattivaàimpegnarsi in anticipo nei riguardi di un evento potenzialmente stressante o nel modificare alcuni
presupposti prima che abbia luogo.
L’ottimismo promuove efficacemente le emozioni positive. Ciò comporta un aumento significativo del benessere soggettivo e della
qualità della vita perché l’ottimismo favorisce un valido adattamento ai propri scopi e desideri. Pennebaker, già nel 1980, aveva
anticipato l’idea secondo cui trascrivere le proprie emozioni è un buon strumento per accelerare i processi di coping emotivo,
soprattutto in relazione a eventi traumatici ed esperienze negative. A partire da questa osservazione, egli ha proposto il metodo
della scrittura delle emozioni che consiste nel raccontare le esperienze emotive della giornata in un diario personale.
Questo metodo produce rilevante effetti biologici come il rafforzamento del sistema immunitario e l’incremento degli indicatori di
salute fisica. Genera anche cambiamenti psicologici sugli stati d’animo e sull’umore a breve e a lungo termine, promuovendo il
raggiungimento degli scopi prestabiliti e favorendo una vita sociale più intensa.
Diversi fattori spiegano questi esiti benefici: facilita la rottura di idee fisse e blocchi emotivi, promuove la valutazione di aspetti
positivi in situazioni oggettivamente negative, permette di costruire la propria esperienza e storia personale, evitando di divagare in
pensieri inutili, incrementa l’attività della memoria di lavoro perché riduce i pensieri intrusivi, le distrazioni, focalizzando le risorse
attentive sul compito.
476. Si descriva la ricerca sull'ottimismo, metodo della scrittura e gestione delle esperienze emotive.
È stata svolta dal Centro di Scienze della Comunicazione (CESCOM) dell’Università di Milano-‐Bicocca. Gli obiettivi sono:
•
esaminare se e come ottimisti e pessimisti presentano differenze significative nella loro comunicazione non verbale;
•
analizzare come ottimisti e pessimisti regolino le loro esperienze emotive, attraverso il metodo della scrittura;
• verificare se l’ottimismo risulti correlato alla capacità di governo delle difficoltà e delle esperienze emotive, soprattutto
negative.
La ricerca è stata somministrata a 800 soggetti una batteria di reattivi che hanno permesso di individuare gli individui ottimisti e
quelli pessimisti.Essi sono stati invitati a fare una presentazione di sé che veniva audio-‐registrata e subito dopo ad affrontare eventi
stressanti (compito di Stroop associato a rumore bianco) e a compilare la General Self-‐Efficacy Scale.
Nella fase di trattamento, metà dei soggetti ottimisti e metà dei pessimisti erano invitati a registrare giornalmente le loro emozioni
e gli eventi stressanti (metodo Pennebaker); l’altra metà non riceveva nessun trattamento.
Nella fase conclusiva i soggetti erano di nuovo invitati a presentarsi e a compilare i reattivi somministrati all’inizio.
I risultati ottenuti sono stati analizzati a livello linguistico, mimico-‐facciale e vocale nonché verificando modelli ripetuti di
comportamento. Per quanto riguarda la comunicazione non verbale i pessimisti ricorrono in maniera significativamente più
frequente all’autocontatto delle mani, ad una postura a gambe incrociate e a movimenti di negazione con la testa; tendono anche
ed evitare lo sguardo dell’interlocutore. I soggetti ottimisti invece hanno molto più spesso una postura a tronco retto e gambe
distese, oltre a mantenere un più prolungato contatto oculare. I pattern comportamentali degli ottimisti si concentrano nella
seconda metà dell’intervallo temporale di osservazione, mentre per i pessimisti sono uniformemente distribuiti lungo l’intero
intervallo.
L’ottimismo presenta una vasta gamma di configurazioni fra le diverse culture. Ogni cultura ha elaborato diverse forme di
ottimismo.
Ci focalizziamo su due particolari tipologie:
• ottimismo americanoàsi fonda sull’autostima e sulla massimizzazione delle risorse a disposizione; è caratterizzato dal
sentimento di essere migliore della media. Si tende ad attribuire a sé i successi e agli altri i fallimenti.
• ottimismo giapponeseàsi configura come un delicato e complesso equilibrio tra ottimismo e pessimismo, secondo il
ciclico principio dello yin e yang. Prevale una disposizione di autocritica, dando minor risalto alle prestazioni individuali a
favore di quelle del gruppo, cercando armonia, rispetto e solidarietà. I giapponesi sono molto sensibili alle critiche, sono
propensi a un costante automonitoraggio per conformarsi alle aspettative altrui.
L’ottimismo realistico è la prospettiva per cui si aspettano dei risultati positivi nella vita pur tenendo conto dei feedback forniti
dall’ambiente fisico e sociale.
Ha importanti funzioni di adattamento sul benessere fisico e mentale.
Esso si distingue in:
• Ottimismo disposizionale;
• Ottimismo attribuzionale.
L’ottimismo irrealistico è più ingenuo. Porta i soggetti a stimare in modo infondato di avere maggiore probabilità di sperimentare
eventi positivi e minore probabilità di incontrare eventi negativi rispetto alla maggioranza degli altri. Comporta un atteggiamento di
disadattamento che induce effetti negativi sulla salute fisica e psicologica: incentiva ad esempio il gioco d’azzardo e genera forme
di recitazione e di autoinganno.
Ottimismo e pessimismo solo poli opposti di una stessa dimensione psicologica.
L’ottimismo è correlato con l’estroversione, le emozioni positive e con valide attività sociali. Permette di governare in maniera
soddisfacente le proprie emozioni.
Il pessimismo è una disposizione generale ad attendersi eventi negativi in futuro.
È associato all’introversione, alle emozioni negative, all’isolamento e alla passività.
Porta a essere in balia di emozioni ed eventi.
Anche il pessimismo è suddiviso in realistico e irrealistico o patologico: nel primo le persone tengono in adeguata considerazione le
difficoltà, ma non cercano soluzioni; il secondo sfocia nella depressione.
L’ottimismo influenza direttamente il sistema endocrino collegato con le condizioni di stress attraverso la produzione di
catecolamine.
È un potente fattore di longevità: gli ottimisti vivono in media 8/10 anni in più dei pessimisti. La persona ottimista riesce ad
affrontare con più facilità i momenti della vita che risultano più difficoltosi.
Per quanto riguarda la mente l’ottimista:
482. Quali sono gli effetti dell'ottimismo sulla vita sociale ed economica?
In ambito familiare, le persone ottimiste hanno una maggiore possibilità di vivere una vita emotivamente ricca, serena, con un
basso tasso di conflittualità.
In ambito scolastico, l’atteggiamento ottimista incrementa le aspettative, il grado di fiducia nelle proprie risorse, la motivazione
allo studio e all’apprendimento.
In un contesto sociale più esteso, un gruppo di persone ottimiste è caratterizzato da un clima relazionale che incrementa i legami
interpersonali dove il lavorare e lo stare insieme diventa una condizione positiva.
In ambito economico l’ottimista sottostima la probabilità di perdita, assumendo una propensione al rischio, al contrario, il
pessimista è più conservativo e sottostima la possibilità di guadagno.