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SBOBINATURA DEL CORSO DI

CRONOPSICOLOGIA

Servizio Tesi, Sbobinature E Riassunti


DI CINZIA ZOLLO

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

2° LEZIONE
METODI E TECNICHE CHE VENGONO UTILIZZATE IN AMBITO CRONOPSICOLOGICO

La prima distinzione da fare è tra 3 tipi di prospettive sulla base delle quali noi possiamo studiare un
particolare fenomeno. La distinzione si divide tra metodi fisiologici, psicologici e comportamentali.

 METODI PSICOLOGICI= tramite i metodi psicologici io mi posso chiedere “data una particolare costellazione
fisiologica, come si sente la persona in quel determinato momento?”;

 METODI COMPORTAMENTALI= i metodi comportamentali si basano sull’osservazione del comportamento.


Questi ci danno un’informazione utile anche per distinguere i vari stati di coscienza, se per esempio
osserviamo il sonno dell’animale noi vediamo che ha gli occhi chiusi, che si trova in una determinata
posizione, che va a dormire in una determinata ora… e quindi anche l’osservazione del comportamento ci
da un’informazione. Il “metodo comportamentale” è utile quando non possiamo utilizzare gli altri due
metodi, ovvero le altre due prospettive (fisiologica e psicologica) sulle quali possiamo studiare il
fenomeno;

 METODI FISIOLOGICI= sono metodi oggettivi perché ci consentono di studiare un fenomeno vedendo quello
che succede direttamente nel corpo, si tratta di misurare tutto ciò che riguarda l’affettività, l’attività
cognitiva o qualcosa che crea un vissuto nel corpo, qualcosa di soggettivo.
Per esempio, immaginate una persona che ha paura:
 a livello soggettivo la persona sperimenta un’emozione molto forte e noi tramite metodi
(come interviste, questionari o scale…) possiamo chiederle come si sente in quel momento,
quali sono le sensazioni o le emozioni che prova .
 a livello oggettivo noi possiamo vedere qual è quella costellazione di variabili fisiologiche
che esprimono quel particolare tipo di emozione. Ad esempio la persona che ha paura
suda, ha l’attivazione del sistema simpatico, ha un battito cardiaco molto accelerato… per
cui io vado a vedere direttamente come il corpo risponde a quella particolare situazione.
Questo è un primo “metodo fisiologico” cioè io vado a vedere il riscontro sul corpo e quindi io ho
un’informazione sull’attività mentale, sull’affettività e su tutta una serie di variabili che però sono di
tipo oggettivo. Questo è molto importante se pensiamo alle situazioni in cui non possiamo avere un
riscontro soggettivo, quindi non possiamo chiedere alla persona “come ti senti?”, per esempio
l’osservazione del comportamento è poco efficace e non ci da molte informazioni (a differenza dei
metodi fisiologici) perché non si può avere un riscontro soggettivo, ma possiamo misurare pattern
di comportamento come la vigilanza, la sonnolenza….

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BIOSEGNALI
Per quanto riguarda i metodi fisiologici noi andiamo a cercare un riscontro sul corpo, cioè andiamo a
registrare e a raccogliere dei “biosegnali” cioè dei segnali biologici che provengono direttamente dal corpo.
I biosegnali possono essere:
 Spontanei= cioè andiamo a vedere un organo come funziona nella sua normale attività, come
accade nel tracciato elettroencefalografico;
 Indotti= per esempio, nella tecnica dei potenziali evocati, io posso somministrare degli stimoli e
vedere come il corpo di un soggetto risponde a quel particolare stimolo, cioè vedere quando il suo
cervello risponde, con quanta latenza quindi in quanto tempo, quando avviene l’elaborazione e
così via…

TECNICHE FISIOLOGICHE
 POLIGRAFIA=La poligrafia una tecnica di registrazione simultanea di molteplici attività fisiologiche, quindi è

come se mettessimo insieme più tecniche (in base allo studio che dobbiamo fare) per studiare un tipo di
fenomeno. Quindi la poligrafia registra “molteplici attività fisiologiche” perché a volte noi abbiamo bisogno
di una costellazione di più variabili o di “biosegnali” che caratterizza un determinato fenomeno.
Per esempio, se voglio studiare lo stato apprensivo, ovvero una persona che ha un forte stato di attivazione
dell’ansia, io attraverso la “poligrafia” posso usare una serie di tecniche, tra queste però devo selezionarne alcune
specifiche che ci consentono di studiare il fenomeno in modo oggettivo, in poco tempo e senza essere troppo
invasive, per esempio per lo “stato apprensivo” possiamo utilizzare:
 l’elettroencefalografia (EEG) e quindi vedere che ci sono degli aumenti nel livello del beta (il ritmo beta
è quello che caratterizza la veglia attiva e anche gli stati apprensivi);
 l’elettrocardiogramma (ECG) con cui misuriamo l’accelerazione del battito cardiaco;
 conduttanza cutanea è una tecnica che si basa sulla registrazione di quella pellicola che noi troviamo
sulla nostra pelle che non è altro che il sudore, cioè il principio è che “quanto io più sudo, tanto più
aumenta la conduttanza cutanea”.

 POLISONNOGRAFIA=La polisonnografia è la poligrafia applicata al fenomeno sonno, cioè quando io voglio


studiare il sonno applico la polisonnografia; i cui elementi base sono: l’elettroencefalografia (EEG),
l’elettrooculografia (EOG) e l’elettromiografia (EMG).

 ELETTROENCEFALOGRAFIA= L’elettroencefalografia è il tracciato che deriva dalla tecnica che è


l’elettroencefalografia (l’elettroencefalografia è la tecnica mentre l’elettroencefalogramma è il tracciato
che viene fuori dalla tecnica). L’eltroencefalogramma è il tracciato che registra e mostra il “potenziale
elettrico”, ovvero l’attività elettrica del cervello, raccogliendo tutta una serie di biosegnali (come i
potenziali di azione, potenziali postsinaptici inibitori o eccitatori e altri segnali elettrici…)

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Questa registrazione viene effettuata applicando degli elettrodi sullo scalpo e questa cosa avviene in
posizioni standard perchè c’è un sistema internazionale detto “10-20” (che viene utilizzato sempre), esso si
chiama “10-20” perché gli elettrodi vengono posti a una distanza del 10-20% rispetto a due punti di
riferimento che sono:
 il nason (l’attaccatura del naso quindi verso la fine dell’osso occipitale;
 la distanza tra i due lobi preauricolari.
Quindi si applicano degli elettrodi sulla cute cercando di ridurre le impedenze (tra l’elettrodo e il cervello ci
sono delle resistenze come i capelli, la pelle.. che presentano un’attività che è necessario ridurre), e poi
ciascun elettrodo è collegato a un amplificatore che è un poligrafo che raccoglie questi biosegnali e li
amplifica (anche di milioni di volte perché altrimenti il tracciato sarebbe illeggibile) e poi li passa al
computer che li analizza.

Una prima distinzione da fare è che l’elettroencefalografia (EEG) può essere monopolare o bipolare questo
riguarda il tipo di registrazione che vado a fare.
 L’elettroencelografia monopolare= è quella convenzionale, cioè io vado dall’elettrodo messo su
una zona elettricamente attiva a un elettrodo posto su una zona elettricamente neutra (come
dietro le orecchie);
 L’elettroencefalografia bipolare= è quella sperimentale, cioè io metto due elettrodi su due zone
elettricamente attive (le zone che si prendono dipendono da quello che il ricercatore deve
misurare).

Le principali caratteristiche delle onde dell’elettroencefalogramma (o delle onde del tracciato


elettroencefalografico) sono:
1. Ampiezza= è l’altezza delle onde (che si misura in microVolts) e dipende in larga misura anche dalla
distanza fra gli elettrodi la quale deve seguire un sistema standardizzato. L’ampiezza è interessante
perché, per esempio, quando il sonno si approfondisce vediamo che l’ampiezza delle onde
aumenta e la frequenza diminuisce (c’è una relazione molto importante tra l’ampiezza e la
frequenza che sono le caratteristiche principali delle onde “g”).
2. Frequenza= è il numero di onde nell’unità di tempo che è il secondo (che si misura in hertz), quindi
in numero di onde al secondo: se per esempio diciamo “10 Hz” vuol dire “10 onde al secondo”.
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L’inverso della frequenza è il periodo che si calcola 𝑃 = .
𝐹

Le frequenze sono molto importanti e ci danno delle informazioni particolari perché lo spettro di
frequenze nell’uomo va da 0.5 a 0.25 Hz (anche se ci sono altre onde più rapide) e all’interno di
quest’intervallo noi possiamo distinguere 5 ritmi, i quali, partendo in ordine crescente, sono il:

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 Ritmo delta= che caratterizza il sonno profondo è costituito da onde molto lente e le
frequenze sono comprese tra 0.5 e 4 Hz. Il sonno profondo è caratterizzato quindi da
queste onde che sono sincronizzate, molto ampie e con frequenza molto molto bassa;
 Ritmo teta= che caratterizza il sonno REM, il sonno superficiale dello stadio 1 e gli stadi di
sofferenza focale (stadi particolari come l’epilessia) e le frequenze sono comprese tra i 4 e
gli 8Hz;
 Ritmo alfa= che caratterizza la veglia rilassata ad occhi chiusi e le frequenze sono comprese
tra gli 8 e i 12 Hz;
 Ritmo sigma= che caratterizza lo stadio pre-sonno costituite da onde particolari dette “fusi
del sonno” le cui frequenze sono ancora più rapide e comprese tra i 12 e i 16 Hz, con
ampiezza più bassa;
 Ritmo beta= che caratterizza la veglia attiva, gli stati apprensivi o gli stati d’ansia e le
frequenze sono comprese tra i 16 e i 35 Hz.
3. Forma= due onde possono avere anche la stessa ampiezza e la stessa frequenza ma non è detto
che abbiano uguale forma, quindi è importante vedere questi “grafo-elementi” perché ci sono
alcune forme particolari delle onde che ci interessano di più, cioè che hanno una forma particolare
e possono accompagnare alcuni stati di coscienza o comportamentali. Quindi le onde possono
essere aguzze, arrotondate, oppure possiamo trovare alcuni grafo-elementi tipici dello stadio-2 che
sono i “complessi K”, i quali sono importanti quando noi dobbiamo fare una diagnosi di epilessia
perché nell’epilessia c’è quest’onda con forma arrotondata che viene seguita da un’onda appuntita.
4. Sincronizzazione= le onde sono sincronizzate quando sono raggruppate, cioè allineate nel tempo;
questo significa che fondamentalmente ci sono delle formazioni neuronali che vanno a scaricare
tutte quante nello stesso momento. Quindi per questo troviamo questo tracciato che è
sincronizzato ed è tipico degli stadi più profondi (3 e 4) oppure le onde possono essere
“desincronizzate” per cui li ritrovate successione casuale (no causale);
5. Simmetria= riguarda il funzionamento degli emisferi cerebrali. Quindi sono simmetrici quei segnali
che si presentano su entrambi gli emisferi, con le stesse caratteristiche di frequenza, ampiezza,
durata e morfologia. L’aspetto della simmetria è associato a quello della “topografia” che ci dice
quali sono le aree cerebrali che sono attive in quel particolare momento. Prima parlavamo di
“sonno locale” cioè il fatto che in una particolare area cerebrale sono più marcati alcuni ritmi, per
esempio possiamo ritrovare un ritmo maggiore che ha delle frequenze più marcate e questa cosa
riguarda la topografia.

Ora vediamo l’esempio di una distribuzione topografica di un tracciato elettreoencefalografico delle varie frequenze in
una condizione di veglia ad occhi chiusi e in una condizione di deprivazione di sonno: si indossano gli elettrodi, i

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partecipanti sono in una veglia rilassata (quindi ad occhi chiusi), e si vede cosa succede a livello topografico.
Successivamente ai soggetti viene fatta fare una deprivazione di 36 ore di sonno: da questa deprivazione si vede cosa
succede ai soggetti a livello cerebrale, cioè quali sono le aree cerebrali che sono attive in quel determinato momento e
quanto le frequenze sono più mercate in alcune aree rispetto ad altre. Da qui possiamo trarre la differenza tra la veglia
rilassata e la deprivazione di sonno, riscontrando che c’è un attivazione di specifiche aree cerebrali e che c’è un
aumento del ritmo delta e del ritmo teta che sono onde molto importanti soprattutto per quanto riguarda la
sonnolenza.
ANALISI SPETTRALE
Prima, per fare l’analisi spettrale si procedeva con l’ispezione visiva (che oramai è obsoleta) oggi i computer
ci permettono di fare un’analisi automatica dei tracciati che si basa su algoritmi matematici ed in particolar
modo sull’analisi di Fourier.

Il segnale viene scomposto in una serie di sinusoidi che presentano una certa ampiezza e una certa
frequenza. Molto banalmente, la cosa fondamentale che ci interessa è l’ampiezza e la frequenza che vanno
a caratterizzare il sinusoide; ampiezza e frequenza vanno a formare una famiglia di sinusoidi che verranno
messi insieme secondo quest’algoritmo matematico per ottenere l’onda originale. Quindi è semplicemente
una scomposizione delle onde e in base ad alcuni coefficienti di Fourier che poi quando si vanno a sommare
formano di nuovo l’onda originale.

L’analisi spettrale è quella più utilizzata tra le analisi computerizzate dell’EEG. Si basa sull’analisi di Fourier,
secondo cui “ciascuna onda può essere scomposta in una somma di onde sinusoidali, che sommate
ricostruiscono l’onda originale”. Alla fine si ottiene un diagramma delle frequenze che fornisce lo “spettro
di frequenza dell’EEG”, quindi ci da informazioni sul contributo che le varie frequenze danno allo spettro
delle frequenze nell’intervallo di tempo che viene esaminato, ci da per esempio la percentuale della veglia
ad occhi chiusi e così via…, quindi ci da informazioni sulle bande di frequenza che vengono maggiormente
espresse in un determinato intervallo.
L’analisi di Fourier può essere anche un analisi veloce: infatti c’è una trasformata dell’analisi di Fourier che
si basa su algoritmi veloci che permettono agli esperti del sonno di rilevare e quantificare immediatamente
le frequenze non apprezzabili visivamente. Ovviamente, l’analisi automatica permette di fare cose
automatiche e in tempi più ristretti ma presenta dei problemi nella risoluzione spettrale, nella quantità
della stima dello spettro, e nel fatto che il segnale per poter avere una buona rappresentazione deve essere
stazionario e in alcuni stati, soprattutto nella fase di addormentamento e di risveglio, è molto più difficile
da riuscire ad avere perchè non ci sono segnali stazionari anzi ci sono delle brusche variazioni.

Si possono fare vari tipi di analisi spettrali come:

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 L’analisi del dominio delle frequenze= è un’analisi spettrale in cui tramite il tracciato vediamo qual
è la percentuale, cioè quante onde sono rappresentate in ciascuna unità di frequenza (ritmo teta,
ritmo delta, ritmo alfa…) su quel tracciato;
 L’analisi del dominio del tempo= quando vado a fare l’analisi del dominio del tempo in realtà non
m’interessa la frequenza, ma m’interessa il susseguirsi delle onde nell’unità di tempo;
 l’analisi zero-crossing= va a contare tutti i passaggi allo zero, cioè noi sappiano che ogni onda ha
una depressione positiva (sale) e una depressione negativa (scende), sale e scende in base a un
punto 0 o “linea isoelettrica” che è la linea di riferimento; questa analisi, quindi, conta tutte le volte
che l’onda passa per lo zero e vede come si susseguono le onde nel tempo;
 l’analisi periodo-ampiezza= si basa sull’ analisi zero-crossing (quindi fa i conti per i passaggi allo
zero) ma ci da informazioni anche sull’ampiezza e di distinguere altri grafo-elementi particolari
come i coplessi K;
 La trasformata Wavelet= si basa su un grafico in cui sull’asse dell’ascissa c’è il tempo mentre su
quella delle ordinate la frequenza, quindi ci da informazioni ancora più complesse;
 La pattern analysis= è il riconoscimento matematico delle curve .

 ELETROOCULOGRAFIA= L’elettrooculografia (EOG) è una tecnica basata sulla registrazione tramite degli

elettrodi che sono posti sulla cute accanto agli occhi (quindi sulla cute pre-orbitale) che misurano la
differenza di potenziale esistente tra la cornea e la retina, detto “potenziale corneo-retinico”.
L’elettrooculografia va a registrare il movimento degli occhi e più in particolare va a misurare questa
differenza di potenziale perchè l’occhio è come un “dipolo”:
 ha la cornea che è un polo positivo;
 la retina che ha un polo negativo.
Quando l’occhio si va a muovere produce questa differenza di “potenziale corneo-retinico” (tra polo
positivo e polo negativo) che viene registrata mettendo gli elettrodi davanti agli occhi. Tali potenziali sono
importanti per la sonnolenza e per la vigilanza nello studio del sonno, perché ritroviamo:
 i “REMs” ovvero questi rapidi movimenti degli oculari (caratteristica principale del sonno REM);
 i “SEMs” ovvero movimenti oculari lenti (che ritroviamo negli stadi più superficiali del sonno, come
lo stadio 1);
 l’“eye blinking”, cioè l’ammiccamento oculare che invece riguarda soprattutto lo studio della
sonnolenza e delle vigilanza.
L’elettrooculogramma è invece il tracciato che deriva dalla registrazione dell’attività oculare (registrazione
del movimento degli occhi).

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 ELETTROMIOGRAFIA= L’elettromiografia (EMG) è la tecnica che misura e registra il tono muscolare dei
muscoli assiali antigravitazionari (cioè quelli che consentono di mantenere la posizione eretta e che non ci
fanno cadere a terra per la forza di gravità). L’elettromiografia si effettua applicando degli elettrodi sulla
cute dei muscoli mentonieri e/o miloioidei per registrare il tono muscolare, nello specifico si misura la
differenza di potenziale tra questi due elettrodi che misurano la contrazione tonica e fasica dei muscolare:
 la contrazione tonica è come se fosse un ritmo di fondo, sarebbe il nostro tono muscolare di
fondo;
 La contrazione fasica è invece una brusca variazione di questo tono muscolare di fondo.

 ACTIGRAFIA= L’actigrafia è una tecnica che ci consente, mettendo un orologio sul polso detto “actigrafo”
oppure sulla tibia, di registrare i movimenti. È una tecnica molto importante perché ci permette di studiare
i ritmi circadiani (circa-diem=quasi nelle 24h) e ci da indicazioni su quanto una persona passa sveglia, su
quanto una persona passa a dormire e anche sulle misure del sonno in termini di:
 Efficienza del sonno=ovvero il rapporto tra il tempo trascorso a letto e il tempo effettivo di sonno
(perché io posso stare anche 10 ore a letto e poi caso mai mi addormento alle 5:00) e quando
questo rapporto è alto vuol dire che c’è “efficienza di sonno”;
 Latenza del sonno= il metterci tanto tempo a dormire viene chiamato “latenza di sonno”, latenza
vuol dire misurare l’intervallo di tempo che ci sta tra un fenomeno e un altro (quanto tempo
impiego per addormentarmi? Mi addormento in 20 minuti. 20 minuti è la latenza).
Quello che è importante non è solo quanto tempo impiego ad addormentarmi ma anche la “veglia
infrasonno” perché capita che durante il sonno noi ci svegliamo, a volte ce lo ricordiamo e a volte no,
perché a volte succede che c’è la riattivazione del cervello ma tale aurosal (si legge erausal= riattivazione)
non arriva a svegliarci.
 ELETTROENCEFALOGRAFIA= con gli elettrodi vado a raccogliere
Questo strumento, simile ad un orologio, dei segnali che confluiscono nel computer che genera
l’elettroencefalogramma
rilevando il movimento, ci da alcune indicazioni
 ACTIGRAFIA= l’actigrafo viene messo sul poso e registra
classiche sul sonno come l’efficienza, la latenza, il digitalmente l’attività motoria dei distretti prescelti e
successivamente tale attività viene scaricata sul computer e
tempo totale di sonno e il tempo effettivo del viene analizzata l’intensità motoria tramite specifici algoritmi,
sonno (cioè quanto tempo dormo). il software provvede poi a riferire l’intensità motoria ad un
preciso stato comportamentale (veglia attiva, riposo, sonno).
L’actigrafia è un’ottima tecnica per la
registrazione dei ritmi sonno-veglia “on field” o in generale in tutte quelle situazioni cliniche o sperimentali
che non consentano l’esecuzione di una polisonnografia completa.

 TECNICHE NEUROVEGETATIVE= che riguardano il sistema nervoso autonomo e l’attività simpatica.

 TECNICHE DI NEURIOMAGING= permettono la visualizzazione del Sistema Nervoso in vivo.

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1. Radiografia= si basa sul passaggio di un fascio di raggi x attraverso le strutture da analizzare per cui
il passaggio dei raggi x aumenta il contrasto tra la struttura che andiamo a vedere e il tessuto
circostante.
2. Radiografia con mezzo di contrasto= in questo caso viene iniettata una sostanza radioopaca (che
assorbe molte radiazioni) in circolo e da qui nel sistema ventricolare (es., angiografia cerebrale,
pneumoencefalografia). In questo caso vado ad iniettare questa sostanza nelle zone che mi
interessano e vado a vedere, poiché essa si illumina, il contrasto tra la zona illumina e quella
intorno. Lo svantaggio è che essa è una tecnica molto invasiva.
3. Tomografia Assiale Computerizzata (T.A.C.)= in questo caso la persona si mette in tubo che
ruotando proietta raggi X tramite un rilevatore computerizzato. Lo svantaggio è che si ottengono
unicamente sezioni trasversali.
4. Tomografia a emissione di positroni (PET)= fornisce informazioni sull’attività metabolica
(funzionale) del cervello, cioè con la PET vado a vedere quali aree sono attive se faccio fare una
determinata cosa alla persona. Tale tecnica si basa sul fatto che si inietta nell’arteria carotide 2-
desossiglucosio radiattivo (che è una sostanza che assorbe i raggi X e che quindi ci permette di
evidenziare le aree che sono attive) ed è piuttosto invasiva.
5. Risonanza Magnetica Nucleare (RMN)= sono delle onde di radiofrequenza che attivano gli atomi di
idrogeno delle strutture cerebrali che dobbiamo visualizzare;
6. Risonanza magnetica funzionale= mutuando la tecnica della Risonanza Magnetica Nucleare,
evidenzia le aree in cui c’è maggiore flusso ematico e quindi maggiore apporto di ossigeno (H2O);
questa tecnica è molto costosa e non sempre disponibile.
7. Stimolazione cerebrale non invasiva= che si divide in “modello di stimolazione” (viene stimolato o
bloccato quell’area e si vedono i cambiamenti) e in “modello di lesione” (viene asportato e si
vedono i cambiamenti). Questo tipo di tecniche consentono di connettere da un lato il tessuto
cerebrale (l’attività coinvolta) e da un lato il comportamento. Questa stimolazione può essere
magnetica (creando un campo magnetico) o elettrica.

 METODI PSICOLOGICI: non vado più a vedere cosa succede sul lato oggettivo ma mi concentro con maggior
attenzione sul lato psicologico, cioè voglio sapere come vi sentite, perché non sempre queste due cose
vanno di pari passo. Infatti se una persona che dice “ho sonno” non sempre questa cosa accompagna
alcune modifiche che a livello fisiologico ci danno informazioni sul livello di sonnolenza e vigilanza. (anche
se i bambini si sentivano vigili, le loro performance calavano, anche se i bambini non ne erano consapevoli).
Altri metodi psicologici che possiamo utilizzare sono le interviste, le scale della sonnolenza, questionari
(sulle tipologie individuali , sulle abitudini, sulle percezioni soggettiva).

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 OSSIMETRIA= L’ossimetria misura la quantità di ossigeno nel sangue.

 ACTIMETRIA= permette di distinguere l’attività a riposo.

 REGISTRAZIONI INVASIVE MULTICELLULARI SU ANIMALI= vengono solitamente svolte sugli animali perché
sono tecniche molto invasive: si prende l’elettrodo e si mette direttamente sull’organo per registrare
l’attività dei biosegnali;

 REGISTRAZIONI INVASIVE UNICELLULARI SU ANIMALI= anche queste vengono svolte sugli animali (di solito
quelli che hanno dei neuroni molto grandi) perché sono invasive: io vado a mettere direttamente
l’elettrodo sulla cellula specifica (ovviamente questo nell’uomo non è possibile);

 MODELLO DI LESIONI E STIMOLAZIONI= in questa caso ipotizzo che un organo abbia una determinata
funzione, per cui io lo posso lesionare e poi asportarlo chirurgicamente aspettandomi che quella funzione si
vada a perdere, oppure posso stimolare quell’organo aspettandomi che quella funzione aumenti;

 INTERVENTI FARMACOLOGICI= somministro un farmaco e vedo come la persona risponde al farmaco,


oppure come risponde sulla base di una somministrazione diversa di un farmaco (questo è molto
importante per gli studi sulla vigilanza e sulla sonnolenza);

 TECNICHE PSICOFISICHE= tra queste c’è in particolare la “tecnica di neuroimaging” che ci da un’immagine
in vivo del cervello e la “tecnica dei potenziali evocati” che permette di vedere come il cervello risponde agli
stimoli esterni: ad esempio, vi faccio sentire un click e vado a vedere in quanto tempo il cervello fornisce
una risposta, cioè tramite questa tecnica noi possiamo rilevare una reazione a livello elettroencefalografico.

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3° LEZIONE
La lezione di oggi dovrebbe essere un po’ più interessante rispetto alla lezione sui metodi in cui avete
acquisito gli strumenti di comprensione per misurare un fenomeno, valutare i vari aspetti. Oggi parliamo
del fenomeno e non a caso la lezione è intitolata “Fenomenologia del sonno” ovvero faremo uno studio sul
fenomeno complessivo del sonno che contiene tanti aspetti.

DEFINIZIONE DI STATO COMPORTAMENTALE


La veglia e il sonno sono due stati comportamentali. Quando voi andate a vedere la parola “stato” in un
dizionario vi viene data la seguente definizione “uno stato comportamentale è una costellazione di
caratteristiche che si ripetono in un determinato momento tutte quante insieme conferendo un
particolare effetto ad un organismo vivente”. Quindi con “stato” intendiamo delle cose che si mettono
insieme in un certo momento e che diventano prevedibili perché appaiano sempre nello stesso modo.

ESEMPIO: quando un individuo dorme, basandoci solo sull’osservazione noi vediamo che egli si mette in postura
orizzontale, chiude gli occhi, russa e produce un certo tipo di attività motoria; queste sono già cose che si ripetono
più o meno uguali ogni notte; ma non sono le uniche, se io per esempio, come avete visto nella scorsa lezione,
monto degli elettrodi per fare un elettroencefalogramma posso vedere l’attività elettrica del cervello e vedrò che
tutte le volte che quella persona si stende, chiude gli occhi e inizia un certo tipo di attività motoria produce un
certo tipo di attività elettrica. Poi posso anche osservare gli occhi, i quali apparentemente sono chiusi ma se faccio
un elettrooculogramma vedrò un certo tipo di movimento.

Quello che è interessante e che noi diamo per scontato è che ad un certo punto queste cose vanno tutte
insieme e in una unica direzione: per avere uno stato di sonno non basta solo che la persona si stende e
chiude gli occhi ma ci vogliono altre condizioni senza le quali noi non possiamo considerare quella
condizione uno stato di un certo tipo. Quindi per definire lo stato di sonno io ho bisogno che alcune cose,
tra cui l’attività elettrica cerebrale che deve essere sempre presente come caratteristica, devono stare
insieme in una maniera coordinata. Cosa si intende per “coordinata”? il motivo per cui ad un certo punto lo
stato cambia e noi passiamo dalla veglia al sonno è legato alla capacità del nostro sistema nervoso di
coordinare queste cose, cioè è come se ci fosse una specie di regista (il nostro sistema nervoso ha delle
formazioni, che poi vedremo, che si occupano di gestire questo coordinamento) che quando decide di
cambiare scena fa accadere una serie di cose (condizioni del sonno o della veglia) ad essa correlate.

La cosa fondamentale è che lo stato comportamentale è “una caratteristica che in maniera coordinata fa
accadere delle cose che si ripetono tutte insieme”, ma affinchè io possa dire che una condizione è uno
stato, questa condizione deve avere una certa stabilità nel tempo, io non posso dire che si è realizzato uno
stato di sonno quando il sistema nervoso inizia a coordinare e per 10 secondi le cose sono in un certo modo
poi si perdono e di nuovo ogni variabile va per i fatti suoi ma c’è bisogno di una durata minima, per ogni

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essere vivente in realtà non c’è una durata fissa in stato, nell’uomo adulto, però, quando noi vogliamo
riconoscere il passaggio dallo stadio di veglia allo stato di sonno individuiamo come durata minima
convenzionale “2 minuti”, cioè per poter dire che c’è stato l’ingresso nello stato di sonno io ho bisogno di
almeno 2 minuti. Ripeto questa durata è convenzionale perché se ad esempio io faccio la stessa cosa nel
bambino o nell’anziano, in cui per dei motivi fisiologici, il sistema nervoso centrale è incapace di fare questa
attività di coordinamento, il regista diventa meno bravo a tenere sotto controllo lo scenario e quindi le
variabili sono più instabili io non posso aspettare 2 minuti per dire “è comparso uno stato” ma aspetto di
meno. Per esempio nell’anziano a volte sono 30 secondi, nel bambino piccolo a volte sono 30 secondi o un
minuto. Quindi di volta in volta si può fare una riflessione su quale sia la durata minima di questo stato,
però il messaggio conclusivo è che per dire che una persona entra in uno stato c’è bisogno che alcuni
parametri fisiologici, psicologici e comportamentali vadano insieme per una durata minima di tempo;
detto questo voi avete una definizione di veglia e potete avere una definizione di sonno.

DEFINIZIONE DI SONNO
PIERON. Il primo a definire il sonno nella maniera scientifica è stato Pieron nel 1912. Questo ricercatore
francese metteva in evidenza due fenomeni molto interessanti:
 “Il sonno è uno stato che si instaura spontaneamente in maniera periodica” quindi aveva messo
all’interno della definizione un elemento fondamentale che non è una cosa che capita random, cioè
dice che il nostro sistema nervoso improvvisamente sulla base di fattori interni ed esterni
imprevedibili produce un episodio di sonno, ma il sonno è periodico e nella sua periodicità diventa
prevedibile;
 “caratterizzato da una interruzione dell’attività relazionale e da una interruzione della
sensorialità” questo punto è impreciso perché noi sappiamo che il nostro sistema sensoriale non
smette di funzionare e che ci sono delle cose che ce lo dimostrano: per esempio, se voi state
dormendo e suona un campanello voi potete infilare tale suono nel sogno, cioè sognate qualcosa
che in realtà state percependo e cogliendo dall’ambiente. Oppure, quando faremo i potenziali
evocati lo vedremo bene, ma in generale poi sapete che se in veglia io mando uno stimolo, quello
stimolo evoca una risposta nel sistema nervoso centrale, se lo stesso stimolo lo mando in sonno
alcune componenti dei potenziali evocati sono attive, altre no.

CARSKADON E DEMENT. La definizione di Pieron viene aggiornata nel 1974 da Carskadon e Dement
(ricercatori americani) che non parlano più di “interruzione della coscienza” ma parlano di “riduzione e di
una parziale sospensione dello stato di coscienza” legata al fatto che lo stato di coscienza viene
modificato.

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SALZARULO E FAGIOLI. Nel corso del tempo nelle definizioni si aggiungono tanti piccoli tasselli fino ad
arrivare alla definizione più completa del 1992 di Salzarulo e Fagioli, i quali dicono che “il sonno è uno stato
che si instaura spontaneamente, che è periodico e che si autolimita nel tempo”, cioè introducono un’altra
cosa, ovvero, la reversibilità del sonno che non è una cosa scontata, se pensate al coma ad esempio c’è un
ingresso in uno stato che non si autolimita nel tempo, non è reversibile a meno che non ci siano delle
condizioni che mutano e tendono alla reversibilità; invece nel sonno noi fortunatamente siamo abbastanza
tranquilli perché, fin quando non intervengono fattori patologici o una morte in sonno, noi sappiamo che la
mattina ci svegliamo. Quindi diciamo che il sonno è uno stato che si autolimita nel tempo e che è
caratterizzato da una riduzione di attività sensoriale.

LA SCOPERTA DEL SONNO REM


Ora vi introduco una slide che fotografa un momento particolare sulla ricerca del sonno, la scoperta del
sonno REM: nel 1953, Aserinsky e Kleitman (si
Aserinsky era il dottorato di ricerca di Kleitman (ricercatore
legge “Klaitman”), pubblicarono sulla rivista più morto a 104 anni dopo aver scoperto le più importanti cose
sul sonno). Come spesso accade nel mondo scientifico,
importante al mondo di nome “Science” un articolo quando si produce un articolo in cui c’è un maestro e un
intitolato “Regularly occurring periods of eye giovane, il giovane prende il primo nome nell’articolo e il
maestro il posto finale. Alla fine, dopo la scoperta pazzesca
motility and concomitant phenomena during sleep” sul “sonno REM”, Aserinsky non ha più pubblicato nulla ma
resta nella storia della ricerca perché il suo maestro
(“Periodi che avvengono regolarmente di motilità Kleitman ha messo il suo nome al primo posto nell’articolo.
oculare e di fenomeni concomitanti durante il
sonno”).
Aserinsky e Kleitman si accorsero, in particolare, che periodicamente durante il sonno c’era un’attività
frenetica detta “movimenti oculari rapidi” (Rapid Eyes Mouvements- REM) ipotizzando e verificando che
quei movimenti oculari si accompagnano ad altre variabili che si muovono insieme e che si ripetono in un
certo modo e che quindi il sonno è uno “stato”. In particolare, oltre al cambiamento di attività oculare, i
due autori vanno a vedere tutte le altre variabili che cambiano come l’attività cardiaca, l’attività
respiratoria, il flusso vascolare e tutta la fisiologia, dopo di che essendo anche degli psicologi vanno a
vedere anche le attività mentali, scoprendo, dopo qualche tempo, che se chiediamo ad un soggetto che sta
facendo quella attività oculare “cosa stai sognando?” lui ci darà risposte molto specifiche.

Aserinsky e Kleitman, per cui, scoprono uno stato comportamentale il


“Sonno REM”, cambiando contemporaneamente tutte le prospettive sul
sonno, perché mentre prima si pensava che c’erano esclusivamente la
veglia e il sonno, dal 1953, a seguito delle registrazioni EEG e le
osservazioni comportamentali, si individuano, in maniera assolutamente
paritaria, 3 stati comportamentali:

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 Veglia;
 Sonno REM= che è stato tanto studiato ed approfondito per la maggioranza delle specie, compreso
l’uomo; tuttavia va detto che alcune specie di mammiferi non mostrano il sonno REM (come
l’ornitorinco), e alcuni animali come i delfini, dormono con soltanto un emisfero cerebrale alla
volta, ovvero hanno un sonno locale (che è stato scoperto ed approfondito negli ultimi 5 anni);
 Sonno NREM (Non REM)= chiamato così perché i ricercatori non gli danno alcun tipo di importanza,
rispetto al sonno REM.
STATI DI SONNO
Quando parliamo di stati di sonno abbiamo due condizioni:
 SONNO NREM= può essere definito “sonno calmo” in quanto l’attività dell’elettroencefalogramma
produce delle onde un po’ più ampie e il cervello rallenta la sua attività perché ha bisogno di
riposare, ha bisogno di stare dentro a “processi anabolici” (significa di conservazione dell’energia);
quindi noi durante la veglia consumiamo energia e nel sonno NREM la recuperiamo.
Il sonno NREM è uno stato comportamentale caratterizzato da:
 un cervello rallentato in cui il corpo può muoversi ancora e il tono muscolare è ridotto ma
non è azzerato;
 un progressivo approfondimento di stadi o fasi che vanno dall’1 al 4 e man mano che noi
andiamo avanti, questi stadi diventano via via più profondi (anche se da alcuni anni a
questa parte il 3° e il 4° stadio vengono
messi insieme perché dal punto di vista Vi anticipo che la definizione di “sonno calmo”
(NREM) e “sonno attivo” (REM) si usa
funzionale e fisiologico non c’è nessuna
soprattutto nei bambini piccoli e questa cosa
differenza specifica). non è legata tanto all’attività cerebrale, che
nei bambini piccoli è difficile da vedere, ma è
legato al movimento perché nel “sonno calmo”
 SONNO REM= può essere definito “sonno attivo” o (o NREM) il bambino è fermo e calmo, mentre
“sonno paradosso” (perché il cervello va via via nel “sonno attivo” (o REM) si agita di più.

approfondendosi nel sonno ma poi si sveglia un pò) e, durante questo stato comportamentale, noi
spendiamo energia.
Il sonno REM è uno stato comportamentale caratterizzato da:
 Un profilo caratteristico dell’EEG organizzato in “salve di movimenti oculari rapidi” ovvero
delle sequenze di attività organizzata di durata minima di 2-3 secondi in cui voi vedete
5/6/8/10 movimenti oculari in sequenza che vengono chiamate “salve” ovvero “esplosioni
di movimenti oculari”;
 Laddove il cervello è molto attivo nel sonno REM, il corpo è paralizzato e il tono muscolare
è del tutto assente, inoltre in questo stato si produce un’intensa attività onirica.

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STADI DEL SONNO


Gli stadi del sonno possono essere individuati nell’uomo sulla base delle caratteristiche dell’EEG. La
progressione tra stadi è espressa, oltre che da onde via via di minore frequenza e maggiore ampiezza, da
figure particolari:
Punte al vertice= sono fatte da una salita che scende un po’
Stadio 1 5% tonda ed immediatamente risale e quando si arriva al vertice c’è
un’altra puntina piccola (attività theta)
Fusi e complessi K= i complessi k sono onde altissime, ampie e
con una discesa più estesa rispetto alla salita; tali onde sono
Stadio 2 45% fondamentali per riconoscere lo stadio 2, perché se avete
SONNO NREM
un’attività theta generale di fondo senza questi due elementi
75-80% (fusi e complessi K) non potete dire di stare nello stadio 2
Stadio 3 12% Ampie onde delta= sono onde lente e molto ampie facilissime da
riconoscere e specifiche di questo stadio (non sono simili a
Stadio 4 13% nessuno stadio)
SONNO REM Stadio REM 25% Onde a dente di sega= simile a come sono fatti i denti della sega,
20-25% queste non sono importantissime perché il sonno REM lo
riconoscete quando vedete i movimenti oculari

ADDORMENTAMENTO
Questo è l’addormentamento, ovvero si tratta di un soggetto che non è ancora in sonno ma si sta
addormentando; nel caso dell’addormentamento avete un tracciato elettroencefalografico in cui c’è:
 in alcuni punti un’attività di tipo theta (per il 15-20%);
 ma per la maggior parte abbiamo un’attività di tipo alpha.

Mi accorgo che il soggetto si sta per addormentare non solo perché ci stanno dei punti di attività theta ma
per la comparsa di due fenomeni tipici: uno è quello della progressiva perdita del tono muscolare (anche se
è comunque elevato) e il secondo fenomeno è quello che corrisponde ai “movimenti lenti dei globi oculari”
che si chiamano SEM (ovvero “Slow Eyes Mouvment”).

Ogni segmento è 1 secondo

2 canali per
l’elettroencefalogramma

2 canali per
elettrooculogramma: uno
orizzontale e uno verticale

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1 canale dell’elettromiogramma (tono muscolare)

STADIO 1
Questo è lo stadio 1 in cui l’attività theta occupa molto più spazio (più del 50%) rispetto all’attività alpha,
le onde si sono rallentate e c’è il tono muscolare che continua ad essere abbastanza presente:

STADIO 2
Nello stadio 2 abbiamo un’attività di fondo che è theta che si riduce di ampiezza ma non di frequenza,
interessante è che nel momento in cui compaiono fusi e complessi k siamo nello stadio 2.
Nell’elettroculogramma (EOG), in corrispondenza dei complessi K, potremmo pensare che gli occhi si
muovono ma in realtà l’attività dei complessi k (che sono onde lente) si raccolgono nell’area frontale del
cervello e quando io metto gli elettrodi in prossimità degli occhi vado a registrare, involontariamente e
inevitabilmente, l’attività cerebrale frontale, per cui nell’EOG quello che è riportato non è altro che il
complesso k e non l’attività degli occhi.

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STADIO 3
Nello stadio 3 compaiono le onde delta, (le quali non superano i 75 microvolt e occupano meno del 50% del
tracciato) e guardate cosa succede nell’EOG: quelli non sono movimenti oculari, anche in questo caso gli
occhi sono completamente fermi, e quell’attività è costituita semplicemente da onde delta

STADIO 4
La differenza che si riscontra nello stadio 4 è che le onde delta aumentano di ampiezza e occupano uno
spazio relativo a più del 50% nel tracciato.

E’ da sottolineare che, ormai, tra lo stadio 3 e lo stadio 4 non si fa più alcuna differenziazione. La
caratteristica di questi stadi è che sono caratterizzati da onde lente in cui si ha:
 l’ EEG sincronizzato;
 Possibili associazioni con incubi e parasonnie, questi ultimi sono dei fenomeni non patologici
caratterizzati da attacchi di paura notturni che avvengono nel sonno NREM (e non nel sonno REM
come tutti credono);

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 Notevole “inerzia di sonno” se avviene il risveglio, che consiste in un tipico rallentamento cognitivo,
una difficoltà nello svegliarsi; l’inerzia di sonno è tanto più pesante quanto più voi emergete da
sonno profondo.
SONNO REM
Il sonno REM é caratterizzato dal ritorno ad una attività EEG rapida e desincronizzata, che ricorda lo stato di
dormiveglia (Stadio 1) con perdita completa del tono muscolare assiale (antigravitazionario) e rapidi
movimenti oculari. Le caratteristiche del sonno REM sono:
 L’EEG desincronizzato e i Rapidi movimenti oculari (REMs = Rapid Eye Movements)= sono stati
scoperti, così come abbiamo detto ad inizio lezione, da Aserinsky e Kleitman nel 1953;
 La “Tempesta” neurovegetativa= significa totale modifica delle attività che sono regolate dal
sistema neurovegetativo che sono soprattutto le attività autonome (battito del cuore, respirazione,
flusso cardiaco…);
 L’intensa attività onirica;
 Il flusso sanguigno ai genitali= legata alla tempesta neurovegetativa vi è una redistribuzione totale
del flusso sanguigno verso i genitali e non si sa se questo fenomeno ha a che vedere con i contenuti
erotici del sogno. Quando vi sono dei casi di impotenza, il modo per distinguere l’impotenza fisica
da quella psicogena è vedere se c’è una erezione in sonno;
 Una discreta vigilanza al risveglio= nel sonno REM c’è il maggior numero di risvegli spontanei
perché esso si configura come un sonno più superficiale, per cui il soggetto che si risveglia in questo
stato di sonno è più vigile;
 Possibili paralisi in sonno= è una parasonnia (non è un disturbo del sonno) ma se uno non la
conosce si spaventa molto: tale paralisi è tipica degli adolescenti o dei post-adolescenti (e si riduce
con l’età) in cui improvvisamente ci si sveglia dal sonno REM, in questo caso il cervello si sveglia più
velocemente del corpo per cui si ha un improvviso stato di coscienza con un tono muscolare
completamente azzerato;
 Onde Ponto-Genicolo-Occipitali= queste formazioni che si chiamano “onde PGO” si vedono
soltanto nelle registrazioni elettrofisiologiche a livello del tronco encefalico (o ponte) del talamo e
sono delle scariche neuronali che interessano le terminazioni della via visiva primaria. Siccome le
“onde PGO” sono concomitanti al sonno REM è come se improvvisamente noi avessimo durante il
sonno un’attivazione delle vie visive (come se stesse funzionando la visione) e alcuni ricercatori
hanno ipotizzato che gli occhi si muovono perché stanno seguendo delle scene visive durante i
sogni ma tale affermazione è stata in seguito sconfessata innanzitutto perché non ci si trova con la
rotazione dei movimenti oculari e poi perché alla nascita i geni, nonostante non abbiano una
sensorialità visiva, presentano sia le onde PGO sia i movimenti oculari;

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STADIO REM
L’attività elettroencefalografica nello stadio REM è un’attività theta classica caratterizzata da punti in cui
compaiono onde a dente di sega;
Nell’elettrooculogramma (EOG) compaiono i movimenti oculari rapidi che è una caratteristica che rende
tale stadio totalmente unico e distinguibile dal resto dell’attività oculare, cioè è in “opposizione di
fase”(negativo da un lato, positivo dall’altro), ovvero quando vedete l’EOG orizzontale (in una posizione) e
l’EOG verticale (nella direzione opposta) notate che uno dei movimenti va in una direzione e l’altro nella
direzione opposta;
Nell’elettromiogramma (EMG) compare il battito cardiaco , tale misura viene fatta mettendo gli elettrodi
sul mento e a volte sul collo, in quest’ultimo caso ci sono delle arterie che permettono di misurare il battito
cardiaco, ciò però non mi impedisce di vedere l’azzeramento del tono muscolare.

STADIO REM E RIDUZIONE DI REGOLAZIONE OMEOSTATICA


Una caratteristica fondamentale e distintiva dello stadio REM è la perdita delle capacità di regolazione
omeostatica (omeostasi è la capacità di un organismo di mantenere un equilibrio a livelli costanti); il nostro
sistema nervoso funziona completamente su base omeostatica, in particolare la nostra temperatura
corporea oscilla pochissimo (36°-37°) ma questa regolazione omeostatica viene alterata in sonno REM, in
quanto vi è:
 Una intensa attività cerebrale;
 La diminuzione del tono muscolare ad eccezione degli occhi (svolgono rapidi movimenti oculari),
della respirazione (i polmoni non perdono la capacità di respirare) e dei muscoletti dell’orecchio
medio (insieme alle “paralisi in sonno” vi sono delle dis-percezioni uditive che consistono in boati o
ronzii dovuti al funzionamento di questi muscoli);
 Le aritmie cardio-respiratorie;
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 La perdita di controllo della temperatura corporea;


 La contrazione della pupilla (così come se prendete la cocaina) in questo caso si avvia un fenomeno
neurodegenarivo che viene chiamato “miosi” e che consiste nella contrazione della pupilla.

SONNO REM
Nel sonno REM vi è la contrazione fasica dei muscoli dell’orecchio medio, innescati da una raffica di attività
elettrica cerebrale (cioè del sistema nervoso), tale attività
Per chiarezza terminologica noi stiamo
fasica dell’EEG viene registrata dalle strutture del “tronco nominando spesso i termini “fasico” e “tonico”:
encefalico” (ovvero dal ponte), dal talamo, dalla corteccia Attività tonica= un tono muscolare è un’attività di
visiva e dalla corteccia uditiva. fondo che continua abbastanza a lungo nel tempo,
grazie ad esso io posso stare in piedi e posso fare
Questo tipo di attività che registriamo dal ponte e che si un certo tipo di spostamento.
 STADIO 2TONICO= attività beta di fondo;
propaga verso la parte alta del sistema nervoso centrale  REMTONICO= è l’attività theta dell’EEG e
è detta “punte o spike ponto-genicolo-occipitali” (PGO) e l’atonia muscolare.
Attività fasica= è un’attività chiaramente
tali onde sono legate al processo di innesco dei
distinguibile dal tono:
movimenti rapidi oculari (REMs) e ad altre caratteristiche  STADIO 2FASICO= complessi K;
 REMFASICO= sono i movimenti oculari, le onde
fasiche. a dente di sega, le miocronie (piccolissimi
movimenti dovuti a motoneuroni, il tono è
Noi, ad oggi, non abbiamo una risposta univoca riguardo azzerato ma i muscoli vengono lasciati liberi,
ad esempio di dare un calcetto).
alla domanda che si chiede se il sonno REM è più
profondo o più superficiale, perchè:
 Da un punto di vista lo stadio REM è più superficiale per l’elevata attività, dal momento che noi
spontaneamente ci svegliamo più spesso da sonno REM;
 Da un altro punto di vista è più profondo per le soglie sensoriali, perché se proviamo a svegliare
dall’esterno un soggetto che sta in sonno REM abbiamo più difficoltà, questa cosa farebbe pensare
che il REM sia più profondo, in realtà esso è uno stato più superficiale da cui però è più difficile
svegliare il soggetto perché quest’ultimo è concentrato sul suo mondo interno per il fatto che ci sia
il sogno e che ci sia un certo tipo di attività psichica.

L’ultima cosa è la fortissima correlazione che c’è tra il sonno REM e il sogno, quando io sveglio un soggetto
che è in stadio REM e gli dico “che stai sognando?” nel 74-95% dei casi lui ci dice nei dettagli cosa sta
sognando. Però vi devo specificare una cosa, non è vero il luogo comune che afferma che si sogna solo nel
sonno REM perché studi sperimentali hanno scoperto che se io sveglio un soggetto dal sonno NREM (che
sta, per esempio, nello stadio 2) e faccio la domanda “cosa stai sognando?” nel modo giusto ottengo più o
meno le stesse risposte specifiche; questo implica che in realtà noi sogniamo per tutto l’arco del fenomeno
sonno con una differenza fondamentale: i sogni REM di solito sono dei bei film pieni di fatti strani e bizzarri,

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mentre i sogni NREM (stadio 2, o stadi a onde lente 3 e 4) sono poco significativi e assomigliano di più al
pensiero che noi facciamo durante la veglia.

CONFRONTO FRA STATI DI SONNO DELLE VARIABILI FISIOLOGICHE


SONNO NREM SONNO REM
Grande ampiezza, Bassa ampiezza corticale legata al ritmo theta che si registra
EEG onde lente (1Hz) a livello dell’ippocampo (questo sarà importantissimo
quando studieremo la funzione del sonno REM per la
memoria)
TONO MUSCOLARE Ridotto dei muscoli Atonia completa (muscoli del collo e del tronco)
antigravitari
Lieve riduzione Notevole riduzione dell’inibizione discendente dei
motoneuroni (normalmente quando siamo in veglia i
RIFLESSI SPINALI motoneuroni sono fortemente inibiti, in sonno REM
l’inibizione si riduce per cui i motoneuroni vengono lasciati
liberi di svolgere dei movimenti fasici)
EVENTI FASICI Scossette muscolari Movimenti oculari rapidi (REM) e onde PGO
SOGLIE SENSORIALI a stimoli “significativi” Soglie innalzate (sonno “profondo”) ma frequenti risvegli
spontanei
O2, come in veglia O2, aumentata
CO2, ridotta CO2, ridotta
Nel sonno REM viene persa la regolazione omeostatica (noi
normalmente siamo omeostatici) se aumenta l’anidride
RISPOSTA
carbonica nel sangue il sistema nervoso ha difficolta nel
CHEMIOCETTIVA
ristabilire l’equilibrio: quando i bambini piccoli mettono la
risposta di tipo
faccia sul cuscino e hanno difficoltà a respirare succede che
omeostatico che il
se i meccanismi chemiocettivi non funzionano molto bene
nostro sistema nervoso
per l’immaturità del sistema nervoso, quando egli entra in
da ai cambiamenti del
sonno REM si avviano ad una serie di fattori che sono
livello di gas nel sangue:
predisponenti alla SIDS (sindrome della morte infantile o
molto ossigeno e poca
detta più comunemente “morte in culla”) legata al fatto che
anidride carbonica
il neonato non riesce più a respirare ed improvvisamente
l’ossigeno non si riesce più a mantenere costante nel sangue
per l’impossibilità della risposta chemiocettiva
REGOLAZ. TERMICA Omeotermica Poichilotermica
FREQUENZA CARDIACA regolare irregolare
E RESPIRATORIA
CONSUMO O2 ridotto aumentato
CEREBRALE

I LIVELLI DI ORGANIZZAZIONE DEL SONNO


Questo discorso mi interessa tantissimo perché è molto
specialistico e non viene fatto sui libri. Da molti anni noi usiamo
molto il concetto di livelli organizzativi partendo da una
osservazione, che tutte le cose che noi stiamo descrivendo
sono altamente organizzate:

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 LIVELLO DELL’EPISODIO (1° livello di organizzazione)


La veglia si alterna con il sonno con una periodicità più o meno circadiana, in media noi abbiamo un
andamento monofasico per cui c’è un “episodio di sonno” che compare più o meno in tutti i periodi
di buio; questo tipo di alternanza organizzata, che si ripete sempre così, è il nostro primo livello di
organizzazione e lo chiamiamo “livello dell’episodio”;
 LIVELLO DELLO STATO (3° livello di organizzazione)
Nell’episodio di sonno noi troviamo un ulteriore tipo di livello organizzativo in quanto c’è una
sequenza di eventi altamente organizzata; quando una sequenza è organizzata e ciclica essa è
prevedibile, per cui se registro il sonno di un soggetto vedrò un andamento che è sempre lo stesso:
stati di sonno NREM e REM ben precisi in sequenze prevedibili;
 LIVELLO DEL CICLO (2° livello di organizzazione)
La cosa ancora più interessante è che il sonno NREM e REM non sono organizzati casualmente ma
vi è una sequenza di sonno NREM che prevede un approfondimento dallo stadio 1 allo stadio 4 e un
passaggio per lo stadio REM; tutto questo dura più o meno 90-120 minuti a ciclo; quindi, il secondo
livello organizzativo è il “livello del ciclo” in cui la cosa che colpisce è che il ciclo è l’elemento più
immodificabile del sonno: se prendete un malato che si trova nella fase terminale avanzata di
alzheimer, quindi con un cervello estremamente deteriorato, nonostante egli avrà un sonno
disturbatissimo e frammentato, avrà un andamento ciclico tra sonno NREM e REM.
Per riassumere, durante il sonno, NREM e REM si alternano ripetutamente nei cosiddetti “cicli
NREM/REM” (o “cicli di sonno”), fornendo così all’episodio di sonno un’architettura ciclica. I cicli di
sonno durano circa 90 minuti e possono presentarsi dalle 4 alle 6 volte a notte: all’inizio del sonno,
nei cicli c’è molto sonno a onde lente e poco o nullo REM (addirittura nel primo ciclo il sonno REM
viene saltato), mentre alla fine del sonno c’è poco NREM e moltissimo REM. La lunghezza dei cicli di
sonno é minore negli animali più piccoli.
 LIVELLO INTRA-STATO(4° livello di organizzazione)
Esiste un 4° livello detto “intra-stato” ed è costituito da quelle cose che trovate negli stadi che sono
gli aspetti organizzativi. Noi prima abbiamo detto che i movimenti oculari rapidi possono comparire
isolati o in salve; i più organizzati sono quelli in salve: nei giovani, ad esempio, quasi tutti i
movimenti oculari appaiono in salve, se invece osservate quelli di un soggetto anziano, in cui una
delle caratteristiche che studieremo è la difficoltà a mantenere gli aspetti organizzativi, una delle
cose che capita è che i movimenti oculari sono isolati, diminuiscono le salve ed aumentano i
movimenti oculari non organizzati.

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L’IPNOGRAMMA
A me piace che voi impariate la rappresentazione grafica: questo è l’ipnogramma ed è il modo in cui un
ricercatore che ha letto un tracciato in sonno di un paziente vede, attraverso il grafico, il sonno.
 Sull’asse delle ordinate abbiamo gli stadi (dal più superficiale al più profondo);
 Sull’asse delle ascisse le ore di sonno;
 Al punto 0 c’è il momento in cui io spengo la luce.

1° CICLO DI SONNO: Quando io spengo la luce il soggetto è sveglio, poi in condizioni normali e al buio il
soggetto entra in fase di addormentamento o sleep onset. Da qui il soggetto entra nella prima epoca di
STADIO 1 (dove vedo il theta che supera il 50% della pagina) e ci resta per poco tempo (5%) ;
successivamente il sonno si approfondisce per cui il soggetto entra nello STADIO 2 ma ci resta pochissimo e
il soggetto passa rapidamente in STADIO 3 e in STADIO 4. A questo punto la struttura ciclica fa si che il
soggetto ritorni per altro poco tempo allo STADIO 2 e che passi per pochissimo tempo per nel SONNO REM;
quando il soggetto scende nuovamente in STADIO 2 finisce il primo ciclo di sonno.

2° CICLO DI SONNO: Subito inizia il 2° ciclo che parte dallo STADIO 2 (e dura molto di più rispetto al primo
ciclo).

A me interessa comunque che voi capiate il confronto:


 nel 1° ciclo c’è tanto sonno NREM e pochissimo REM
 nell’ultimo c’è solo STADIO 2 e REM.

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4° LEZIONE
Ieri io mi sono fermato sull’ipnogramma dove vi ho fatto vedere la rappresentazione dell’episodio di sonno,
oggi dobbiamo dire che quando poi avete fatto una presentazione di un episodio di questo tipo voi tirate
fuori le variabili dipendenti riassuntive che descrivono il sonno, tali variabili dipendenti possono essere:
“Classiche” o “Nuove.

VARIABILI CLASSICHE= che si usano da quando è stato possibile fare la siglatura di sonno, quindi già nel ’68
si parlava di queste variabili che descrivono ancora oggi alcuni parametri fondamentali. Le variabili classiche
si distinguono in:
QUANTITATIVE
 “Tempo che la persona ha Trascorso a Letto” [TTL=“Tempo Trascorso a Letto” oppure TIB= Time In
Bed]. Esso è il tempo (misurato in minuti) disponibile al soggetto per dormire; tale tempo ha inizio
dal momento in cui si spengono le luci (lights off) e il soggetto rimane al buio fino al momento in cui
il soggetto si alza dal letto.
 Nel “time in bad” la prima cosa che andiamo a vedere è il tempo passato dormendo che si chiama
“Tempo Trascorso in Sonno (TTS)” o “Total Spleep Time (TST= tempo totale di sonno)”. Il tempo
totale di sonno è calcolato dal momento in cui il soggetto si addormenta fino al momento in cui si
sveglia, togliendo però le veglie; quindi calcoliamo solo tutto il tempo presente in stadi di sonno.
 Quando voi avete queste 2 misure, voi fate il rapporto tra queste due misure, che cosa significa?
Che mettete al numeratore il tempo totale di sonno e al denominatore il tempo totale del sonno a
letto e quindi avete un rapporto che si chiama “Sleep Efficiency (SE= efficienza di sonno)”:

𝑇𝑆𝑇 (𝑇𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑇𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑆𝑜𝑛𝑛𝑜)


SL= 𝑇𝐼𝐵 (𝑇𝑖𝑚𝑒 𝐼𝑛 𝐵𝑎𝑑)

Quanto più il numero al numeratore è alto, tanto più è efficiente il sonno. È impossibile che
TST=TIB, cioè non è possibile al 100% di sleep efficiency. Una buona efficienza si ha a partire dal
90% in su, al contrario più si abbassa il numero al numeratore, meno sarà l’efficienza del sonno (ad
esempio 50-60%). L’efficienza, però, tiene conto solo dei risvegli comportamentali, non delle
superficializzazioni.

 Latenza di sonno o sleep latency (SL). È il tempo trascorso dal momento in cui si spegne la luce fino
a quando il soggetto si addormenta, ovvero il tempo che il soggetto impiega per addormentarsi
(momento 0 del time in bed-prima pagina di stadio 1).
 Wake after sleep onset (WASO), ovvero la veglia dopo l’addormentamento. Tutta la veglia
dell’ipnogramma tranne il tempo di latenza (addormentamento) e il risveglio finale.

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QUALITATIVE: si analizza il tempo dei vari stadi: stadio 1, stadio 2, stadio del sonno a onde lente (3-4) e
stadio REM. Bisogna considerare sempre la percentuale di ogni stadio in base al tempo totale di sonno.
(variabili che descrivono aspetti organizzativi del sonno):
 Numero dei cicli NREM-REM
 Durata media dei cicli (+ il sonno è organizzato e + i cicli sono lunghi)
𝑇𝑇𝐶 (𝑇𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑇𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑐𝑖𝑐𝑙𝑖)
 Rapporto 𝑇𝑆𝑇 (𝑇𝑜𝑡𝑎𝑙 𝑆𝑙𝑒𝑒𝑝 𝑇𝑖𝑚𝑒)
. Va specificato che i tempi trascorsi fuori ciclo (ad esempio vi

è un risveglio prima che si completi un ciclo e nel momento in cui il soggetto si riaddormenta inizia
un nuovo ciclo, quindi il ciclo non completato) non vengono considerati tempo di sonno, ma un
tempo fuori ciclo. (+ è alta la percentuale del rapporto e + il sonno è organizzato).
𝑇𝑇𝐶
Idealmente il sonno + organizzato presenta il 100% del rapporto . Per avere un ciclo NREM-
𝑇𝑆𝑇

REM vi deve essere una successione di almeno 10 minuti di sonno NREM, seguito da almeno 10 min
di sonno REM. Inoltre questa successione non deve essere interrotta da periodi di veglia o stadio 1
(è considerato un’interruzione sebbene sia sonno) + lunghi di 2 minuti. Se il soggetto si sveglia o va
in stadio 1 per più di 2 minuti allora questo tempo di sonno è considerato fuori ciclo!

VARIABILI NUOVE= descrivono cose un po’ più fini, e noi siamo interessati a queste “variabili nuove” che
sono state introdotte negli articoli, per descrivere alcuni fenomeni:
 Continuità. Un buon sonno è un sonno continuo! Infatti i soggetti sono soddisfatti del proprio
sonno per due motivi principali: se è profondo e se è continuo.
Da molte ricerche è risultato che il sonno è percepito discontinuo e frammentato non solo a causa
dei risvegli comportamentali, ma anche a causa degli aroulsas, ovvero delle superficializzazioni o
attivazioni che non arrivano al livello dei risvegli comportamentali e che quindi causano sonni
discontinui. Un autore importante che si è occupato di questi esperimenti è stato Micheal Bonnet
nel 1985, il quale provocava nei soggetti delle frammentazioni durante il sonno (ad esempio con
stimoli acustici o vibrazioni), senza che loro si svegliassero, quindi i soggetti venivano portati ad
aurosals neurovegetativi a causa di alcuni stimoli.
 DEFINIZIONE DI “AROUSALS”: è la frequenza di passaggi dalla profondità alla superficialità
(per esempio dagli stadi NREM agli stadi più superficiali; dallo stadio REM allo stadio 1 che
è più superficiale; dallo stadio 2 al REM o allo stadio 1; dal sonno a onde lente o dal REM
allo stadio 1). Più comunemente gli arousals sono definiti come la presenza di eventi
neurovegetativi ed eventi elettrofisiologici all’interno di una pagina di un certo stadio; ad
esempio si chiama arousals neurovegetativo quando in una pagina di stadio 2 a un certo
punto il soggetto si muove, si può notare sul tracciato elettroencefalografico la presenza di
qualche onda alfa; questo evento si chiama.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

 DEFINIZIONE DI “RISVEGLI COMPORTAMENTALI”: è la frequenza dei risvegli da stadio 1, stadio


2, sonno a onde lente, REM. risvegli> 2 min; frequenza dei risvegli < 2 min; durata media
dei risvegli;

 Stabilità. Si esprime in “state shift” (frequenza dei passaggi di stato, sia dalla profondità alla
superficie, sia dalla superficie alla profondità), che dimostrano una condizione di instabilità del
sonno; e dalla frequenza e durata dei periodi di incertezza funzionale (periodi in cui un minimo di 3
passaggi di stato si susseguono con un intervallo non + lungo di 90 secondi)-> operazionalizzazione
dell’incertezza funzionale pubblicata nel 2010. Tale incertezza funzionale finisce quando il sonno
rimane stabile, ovvero non vi sono passaggi di stato, per almeno 90 secondi. La definizione di
incertezza funzionale risale al 1997 e si esprime come: incapacità del SNC(sistema nervoso centrale)
di sostenere una condizione stabile; è caratteristica del sonno degli anziani, dei bambini e di molte
condizioni di sonno disturbato e frammentato.

BASIC-REST ACTIVITY CYCLE (BRAC)


Il “BRAC” (ritmo di base riposo attività) è un concetto introdotto da Kleitman (1957) e parte dal
presupposto che anche durante la veglia il nostro sistema nervoso presenta un’oscillazione nei livelli di
attivazione, ovvero esiste un CICLO ULTRADIANO (un ciclo che si ripete più volte durante le 24 ore) sia in
sonno che in veglia, definito RITMO DI BASE RIPOSO/ATTIVITA’ (BRAC) che dura circa 90/120 min ed è
controllato dal nostro orologio biologico interno. All’interno di questo ciclo, le capacità attentive in
particolare e quelle cognitive in generale raggiungono un picco massimo e un picco minimo e ciò determina
performance cognitive e risposte comportamentali differenti. Il BRAC varia da persona a persona, quindi è
soggettivo, non tutti hanno il picco massimo nello stesso momento.
 BRAC in sonno: è un ciclo di 90 min durante il quale passiamo da stadi + profondi del sonno NREM
al sonno REM;
 BRAC in veglia: è un ciclo di 90 min durante il quale passiamo da alti livelli di allerta a livelli + bassi
di vigilanza.
In quest’ottica si può dire che il ciclo NREM-REM non è altro che la traduzione in sonno del BRAC.

REGOLAZIONE DEL SONNO


Significa studiare i meccanismi attraverso cui noi andiamo a letto in un certo momento e ci svegliamo in un
certo momento, quasi allo stesso modo tutti i giorni. Conoscendo alcuni fattori, ad esempio qual è il
fotoperiodo, quanto tempo un soggetto è stato sveglio, che ora è, ecc.. si può prevedere come sarà il
sonno, in che modo si manifesterà, quando terminerà, e quanto sonno NREM e REM ci sarà; ovvero si
possono fare previsioni circa l’andamento del sonno attraverso un modello, definito “MODELLO A 2
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PROCESSI” caratterizzato dal processo C e dal processo S (rispettivamente circadianità e omeostasi). Questi
due processi si legano e interagiscono, dando come risultato ciò che succede nell’episodio di sonno.

1. CIRCADIANITA’: per capire cosa significa, bisogna far riferimento al concetto di RITMO BIOLOGICO,
ciò che in biologia viene definito come un evento che in un organismo vivente si ripete con una
certa frequenza regolare e di conseguenza prevedibile. Esempi:
a. Ritmo annuale= ritmo in cui si presenta un picco massimo e un picco minimo una volta
all’anno, cioè una cosa che avviene una volta all’anno. (migrazione degli uccelli)
b. Ritmo infradiano= ritmo che ha un periodo superiore a un giorno, ad esempio una cosa che
può avvenire una volta al mese. (ciclo mestruale, definito ritmo “circamensile”)
c. Ritmo ultradiano= ritmo che dura meno di un giorno, una cosa che avviene + volte in un
giorno. (BRAC, ciclo NREM-REM)
d. Ritmo circadiano(“circa dies” circa un giorno)= ritmo che prevede una cosa che accade solo
una volta al giorno.
 ciclo sonno-veglia= Ritmi regolari di circa 24 ore che determinano la ciclicità di
alcune funzioni biologiche (sonno, alimentazione, temperatura corporea, alcune
secrezioni ormonali). Questi cicli durano 24 ore, perché è il ciclo luce-buio a durare
24 ore; Kleitman produsse degli esperimenti definiti “free running” (di libero
corso), ovvero privò i soggetti dei marcatempo esterni(zeitgebers) e dimostrò che
senza di essi, l’orologio biologico interno dei sogg iniziava a scandire le funzioni
biologiche con una ritmicità diversa. Ciò significa che l’orologio biologico batte su
una ritmicità che è diversa da quella del ciclo luce-buio, bensì essa va dalle 24.5/25
ore. Oltre a dimostrare che gli uomini hanno un orologio biologico, Kleitman
rivoluzionò gli studi sul sonno, scoprendo con Aserinsky il sonno REM nel 1953.

FUNZIONI BIOLOGICHE DELL’UOMO CHE SEGUONO IL RITMO CIRCADIANO:

 Temperatura corporea= definita + specificamente CBT (core body temperature) temperatura corporea
dell’interno che oscilla tra i 36° e 37°, presenta lo ZENIT (picco massimo) durante il pomeriggio inoltrato
(alle ore 17-17.30 circa) e il NADIO (picco minimo) durante il mattino (alle ore 5-5.30) *lo zenit e il nadio
sono separati da 12 ore.
 Secrezioni ormonali= vi sono 3 ormoni che presentano un picco massimo e un picco minimo durante le
24 ore (melatonin, growth hormone “ormone della crescita”, cortisol). Il cortisolo è definito come
“ormone dello stress”, cioè è un ormone catabolico, che ci permette di consumare energia favorendo i
processi catabolici; se si analizza la presenza di cortisolo nel sangue, si può notare che presenta il picco
massimo al risveglio (verso le 7 di mattina). Il cortisolo è un ormone “clock dependent”, cioè anche se

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vengono variati fattori fondamentali (come il ciclo luce-buio, oppure il sogg viene privato del sonno), si
può prevedere lo stesso che a una certa ora il livello di cortisolo salirà a un punto massimo. Più
esattamente, bisogna ricordare che il cortisolo viene prodotto su stimolazione dell’ACTH, prodotto a sua
volta dall’ipofisi; quindi si può dire che il vero ormone “clock dependent”, cioè legato all’ora del giorno,
sia l’ACTH. Tanto è vero che l’ipofisi rappresenta una stazione di collegamento tra il SNC e il sistema
endocrino (le ghiandole) e si trova in stretta vicinanza con l’ipotalamo, in cui troviamo il nostro orologio
biologico (nucleo sovrachiasmatico dell’ipotalamo); ecco perché l’ACTH è un ormone clock dependent.
Oltre al picco massimo del mattino, il cortisolo presenta durante la giornata diversi livelli di attivazione
sollecitati dall’ambiente esterno, che però non sono clock dependent, ovvero legati all’ora. Un
esperimento di Born ha dimostrato come possono avvenire delle modulazioni sulla produzione del
cortisolo, ciò accade perché l’ipotalamo (in cui è situato il nostro orologio biologico), è comandato dalla
corteccia, ovvero dalle funzioni cognitive alte:
 se viene detto a un soggetto che verrà svegliato alle 6 del mattino con una grande stimolazione
(ad esempio riceverà 200 euro), allora il cortisolo avrà il suo picco massimo non più alle 7 del
mattino, bensì verso le 6.
 se viene detto al soggetto che non sarà svegliato, però verrà svegliato all’improvviso alle 6 del
mattino, si noterà un aumento improvviso del cortisolo a tale ora.
 se viene detto al soggetto che sarà svegliato alle 9, il cortisolo presenterà un discreto aumento
verso le 7 del mattino per poi successivamente diminuire e fare il suo picco massimo al
risveglio (ovvero alle 9 di mattina), proprio perché il soggetto sa che dovrà svegliarsi alle 9. Per
cui l’attesa del risveglio ad una determinata ora induce un aumento nei livelli ematici di ACTH a
partire da un’ora circa prima del risveglio.

DESINCRONIZZAZIONE DEL RITMO CIRCADIANO


In uno studio alcuni soggetti sono stati privati dei marcatempo, ad esempio sono stati introdotti in un
laboratorio privo di luce o con una luce costante, insomma facendo in modo che queste persone non
avessero segnali esterni (zeitgebers) per riuscire a capire che ora fosse in un dato momento. Durante i primi
tempi il periodo di attività/inattività dei soggetti è uguale a quello che avevano prima di cominciare
l’esperimento; successivamente il periodo di attività inizia ad essere più lungo rispetto a quello di inattività.
I soggetti quindi non sono più sincronizzati con il ciclo luce-buio e di conseguenza il loro ritmo circadiano
diventa più lungo; il loro orologio biologico non batte più sulle 24 ore, bensì arriva fino alle 33 ore. In
definitiva il nostro orologio biologico interno ha un andamento più lento rispetto a quando viene
risincronizzato con il ciclo luce-buio.

Nucleo sovrachiasmatico (NSC) dell’ipotalamo mediale sede dell’orologio biologico. È posto al di sopra del
chiasma ottico, ovvero luogo in cui si incontrano i fasci di fibre dei nervi ottici. Sono stati condotti degli

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studi in particolare sugli animali, in cui sono state provocate lesioni del NSC; ciò non ha comportato
l’eliminazione del sonno, bensì l’eliminazione della sua periodicità. (quindi le funzioni biologiche avvengono
in maniera casuale e non più con un andamento circadiano). Questo perché il Nucleo sovra-chiasmatico ha
un’attività elettrica, metabolica e biochimica di tipo ritmico. In altri studi sono stati fatti dei trapianti del
Nucleo Sovra-Chiasmatico, ad esempio in un ratto + vecchio veniva trapiantato il Nucleo-Sovra Chiasmatico
di un ratto + giovane, quindi con un ritmo attività/inattività diverso e + breve, si è notato che il ratto +
vecchio dopo il trapianto acquisiva tale ritmo differente. Questi studi sono stati importanti perché ci hanno
fatto capire che il Nucleo Sovra-Chiasmatico è la sede dell’orologio biologico interno e qual è la sua
funzione.

Geni orologio: anche essi seguono un andamento circadiano. Essi sono:


 per (da “period”)
 tim (da “timeless”).
Tali geni vengono sintetizzati con una certa ritmicità (appunto circadiana) e la loro produzione si realizza di
giorno.

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5° LEZIONE
DEPRIVAZIONI DI SONNO NELL’UOMO
Quando vogliamo capire a cosa serve un comportamento, esiste un paradigma noto come “paradigma di
estirpazione”:
 Noi, per esempio, abbiamo visto già che per capire a cosa serve il nucleo sovrachiasmatico
dell’ipotalamo dobbiamo toglierlo e, nel momento in cui lo asportiamo, capiamo qual era la sua
funzione;
 allo stesso modo, quando noi discuteremo sulle funzioni del sonno (per capire a cosa serve
dormire) facciamo una cosa che si chiama “privazione del sonno”: prendiamo un soggetto, gli
impediamo di andare a letto e vediamo gli effetti sulla sua fisiologia, sulla psicologia… cioè in altri
termini vediamo come funziona quel soggetto quando non gli è possibile dormire.
In particolare, negli anni ’50-’60, sono state fatte molte ricerche di “deprivazioni estreme di sonno” (su
soggetti che non dormivano per tantissimo tempo) e l’esperimento più famoso fu fatto su un disk jockey di
nome Randy Gardner, il quale aveva come sua aspirazione di entrare nel guinness dei primati come la
persona che era riuscita a fare il programma radiofonico più lungo senza dormire. In occasione di questo
tentativo, i ricercatori gli montarono in testa e addosso tutte le sonde possibili per esplorare le funzioni
fisiologiche, successivamente cercarono di capire che cosa succedeva a tale persona che rimase sveglia per
11 giorni (264 ore senza dormire); in particolare, gli studiosi notarono che nel corso degli 11 giorni Randy
Gardner iniziò a presentare una serie di effetti marcatissimi sulle:
 Funzioni psichiche: quindi un totale calo della concentrazione, perdita della memoria a breve
termine;
 Funzioni comportamentali spiccate: quindi irritabilità, allucinazioni, delirio e, ovviamente, una
sensazione di sonnolenza che arrivò ad una sorta di “effetto soffitto” (ovvero livelli elevatissimi di
sonnolenza, in cui l’unica cosa che impedisce l’addormentamento del soggetto è il fatto che
qualcuno lo tiene costantemente sveglio);
 Poche conseguenze a livello fisiologico: temperatura, ormoni e battito cardiaco restano costanti e
l’unica cosa che cambia è il metabolismo energetico in quanto Randy Gardner tendeva a mangiare
molto e nonostante ciò, non dormendo, non riusciva a coprire il fabbisogno calorico per colpa della
privazione di sonno.
Va detto che la privazione di sonno nell’uomo non ha un effetto letale, o meglio non possiamo escludere
che una persona con deprivazione totale di sonno per parecchi giorni non possa morire, ma capirete che
non è etico e né fattibile effettuare un esperimento sull’uomo che porti a tali conseguenze.

DEPRIVAZIONE DI SONNO NELL’ANIMALE

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La privazione totale di sonno ha un effetto letale, invece, sull’animale:


in dettaglio, il ratto viene posto su un dispositivo che da
costantemente delle vibrazioni sotto una piattaforma rotante, quindi
l’animale non può mai dormire e dopo una decina di giorni muore.

Si è dimostrato, inoltre, che anche la privazione selettiva dello stato di sonno REM conduce l’animale alla
morte: in dettaglio, il ratto viene risvegliato con una tecnica molto feroce detta “tecnica della piscina”:
l’animale viene posto su un dispositivo con una piattaforma e quando
perde il tono muscolare (perché voi già sapete che nel momento in cui
entriamo in sonno REM si presenta l’atonia muscolare) il topo cade
dalla piattaforma e va a finire in una piscinetta svegliandosi;
successivamente il ratto viene rimesso sulla piattaforma e va incontro a morte, stavolta nel giro di 40 giorni;
in questi 40 giorni di deprivazione di sonno, il ratto comincerà a mangiare 5 volte tanto e nonostante mangi
molto perde completamente il peso corporeo, si verifica la necrosi della cute e della coda, si presenta
un’impossibilità di regolare la temperatura corporea (a differenza dell’uomo) e cominciano quei fenomeni
che conducono alla morte dell’animale.

OMEOSTASI
In generale, in un sistema, l’omeostasi è il mantenimento di un equilibrio. Omeostasi significa “stasi” su un
livello “omeo” ovvero “uguale” quindi è la possibilità di mantenere una qualche cosa nella condizione di
stabilità:

 EsempioTERMOCEZIONE= La funzione del termostato (dispositivo che produce calore) è quella di


mantenere un equilibrio omeostatico della temperatura, quindi mantenere la temperatura sempre
allo stesso livello. Tale dispositivo è costituito da un sensore (o recettore) che rivela, mediante un
costante feedback, le variazioni del livello termico nell’ambiente: se la temperatura si abbassa, il
termostato si accende e produrrà calore fin quando la temperatura non risale al di sopra di quel
livello; dopo di che, quando si è raggiunta una temperatura costante, il dispositivo si spegne;
 EsempioCHEMIOCEZIONE= può valere per il livello delle sostanze chimiche: lo abbiamo visto quando
abbiamo parlato della respirazione dei chemiocettori (sono quelli che nel sonno REM non
funzionano bene) i quali misurano i livelli di ossigeno e di anidride carbonica nel sangue e fanno in
modo che la nostra respirazione acceleri o rallenti a seconda dei livelli di gas nel sangue;
 EsempioBAROCEZIONE= nel caso della pressione sanguigna, se la pressione sale troppo i barocettori si
accorgono di questa cosa e fanno dilatare i vasi, se invece la pressione scende troppo i barocettori
se ne accorgono e fanno contrarre i vasi determinando l’assorbimento dei liquidi.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Nel sonno, quando noi parliamo di omeostasi, parliamo di qualcosa un po’ diversa, cioè parliamo della
possibilità che le caratteristiche del sonno siano funzione delle caratteristiche della veglia precedente:
Nell’omeostasi, in particolare, noi prevediamo quello che succede al sonno sulla base di cosa è successo alla
veglia precedente, quindi, tutte le volte che la veglia cambia per alcune caratteristiche c’è una modifica
conseguente del sonno che a quel punto diventa prevedibile.
Come abbiamo già visto a proposito della circadianità, quello che facciamo studiando i meccanismi di
regolazione del sonno è cercare di capire in che misura noi possiamo prevedere il cambiamento del sonno
se sappiamo che cosa sta cambiando nel corso della veglia; più specificamente, quando parliamo di
circadianità noi facciamo delle previsioni sulla base dell’ora, sulla base del momento del ciclo luce-buio:
quindi diciamo che alle 17:00 del pomeriggio la temperatura corporea sale, c’è il massimo della
propensione alla vigilanza mentre alle 5 del mattino abbiamo una temperatura bassa e una massima
propensione al sonno; alle 7 del mattino la temperatura risale, in quel momento c'è un picco di ACTA.

LA DURATA DELLA VEGLIA.


Nel 1982 la prima caratteristica della veglia che è stata studiata è la “durata della veglia”, la ricerca del
sonno, infatti, ci mostra come cambia il sonno sulla base del cambiamento della durata della veglia.
 ALLUNGARE LA DURATA DELLA VEGLIA. Quando noi vogliamo studiare l’effetto della durata della

veglia sul sonno successivo, noi aumentiamo la durata della veglia facendo una deprivazione di
sonno. Il ciclo veglia-sonno nell’uomo adulto è di 16 ore di veglia e 8 ore di sonno. Se io stanotte vi
faccio una deprivazione di sonno (non vi faccio andare a dormire) domani quando andrete
nuovamente a dormire non siete stati svegli 16 ore ma 40 ore (16 ore di oggi, 8 ore di veglia di
stanotte e altre 16 ore di domani) quindi vi allungo la durata della veglia;
 DIMINUIRE LA DURATA DELLA VEGLIA. Se ieri un soggetto è stato sveglio 16 ore e stanotte gli privo il

sonno per 8 ore, per diminuire la durata di veglia del soggetto basta che gli permetta di farsi un
pisolino di 2-3h alle 14:00 di pomeriggio, dopo di che la veglia prima di andare a letto è dalle 17:00
alle 24:00 quindi sono 7 ore.
Io quindi ho 3 condizioni:
1. Sonno normale= preceduto da 16 ore di veglia;
2. Sonno preceduto da una deprivazione= quindi preceduto da una veglia molto lunga;
3. Sonno preceduto da una veglia molto più breve= quando gli permetto di fare un pisolino (o NAP).

L’IMPORTANZA DEL SONNO AD ONDE LENTE


L’ipotesi che fa un ricercatore di nome Feinberg (si legge “Fainberg”) è che, in funzione di queste differenti
durate della veglia precedente il sonno, la cosa fondamentale sul piano del recupero del cervello è che noi

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non abbiamo bisogno di recuperare tutto il sonno, ma abbiamo bisogno principalmente di recuperare il
sonno ad onde lente nella misura corrispondente alla durata della veglia (se io diminuisco la durata della
veglia facendo un pisolino, si riduce la quantità di sonno ad onde lente).
 Quando all’epoca fu fatto l’esperimento su Randy Gardner fu riscontrato che, a seguito dei suoi 11
giorni di veglia che gli hanno fatto perdere 88 ore di sonno, quando andò a dormire si risvegliò più o
meno dopo 14 ore (a seguito delle quali svanirono già dopo la prima notte di sonno tutti i
cambiamenti, come irritabilità, allucinazioni, che erano avvenuti durante la deprivazione); fu
riscontrato, inoltre, che nella seconda notte successiva alla deprivazione, Randy Gardner dormì 11-12
ore e finì così, tornando tutto alla normalità, dato che si sentiva benissimo;
Il punto è che se egli avesse dovuto recuperare tutto il sonno perso in 11 giorni (88 ore) sarebbe
dovuto stare a letto a dormire per altre 88 ore, invece, in totale, Randy Gardner dorme in due notti
25 ore (rispetto alle 16 ore che avrebbe dovuto fare se non avesse subito deprivazione di sonno)
recuperando così solo 9 ore di sonno (25-16=9) a fronte delle 88 perse, e facendo, in queste 9 ore,
per l’80% un sonno caratterizzato da onde lente.
L’esperimento che fa Feinberg lo ritroviamo in questa
slide: quello che vedete è un diagramma, risultato
dell’analisi spettrale, in cui voi trovate sull’asse delle
ordinate (y) la quantità di sonno ad onde lente,
mentre sull’asse delle ascisse (x) avete il tempo dopo
l’addormentamento in minuti.
 PRECEDED BY SLEEP DEPRIVATION= è la
condizione della deprivazione di sonno in cui
aumenta significativamente la quantità di sonno ad onde lente che è espressa dall’area sotto alla
curva (la quale comincia molto prima e sale più in alto rispetto alla “Normal sleep” nei primi due
cicli);
 NORMAL SLEEP= è il sonno normale in cui vedete onde lente che sono cicliche e se andiamo a

contare i picchi notiamo che ci sono 5 episodi (o cicli) di sonno ad onde lente; inoltre nei “normal
sleep” si vede che il sonno ad onde lente sta soprattutto all’inizio (e infatti nel primo e nel secondo
ciclo ce ne è abbastanza, nel terzo di meno, e nel quarto e quinto è proprio ridotto);
 PRECEDED BY NAP= è il sonno preceduto dal NAP (ovvero un pisolino che comporta che il soggetto

non è stato sveglio 16 ore di fila ma 8 ore): in questo caso, il sonno ad onde lente invece di
aumentare diminuisce nei primi due cicli.

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“MODELLO DI EQUAZIONE DI SONNO A DUE PROCESSI”: PROCESSO CIRCADIANO E OMEOSTATICO


Quello che fotografa questa immagine (che dovete fissare in mente benissimo) è quella che si chiama “base
sperimentale del cosiddetto processo S”. Nel 1982 c’è un ricercatore svizzero che si chiama Borbély conia un
modello che si chiama “modello di equazione di sonno a due processi” e i due processi sono:
 Il PROCESSO CIRCADIANO (o “processo C”), il quale non è altro che la curva della temperatura
corporea;
 Il PROCESSO OMEOSTATICO (o “processo S”), il quale,
dal punto di vista matematico, è la curva che unisce la
cima di questi picchi di onde lente (linea blu) e che si
chiama “fattore S” o “curva esponenziale” perché
scende molto veloce all’inizio del sonno e scende
molto più lentamente alla fine: è come se io all’inizio
del sonno (in cima) avessi un bisogno irresistibile di
dormire, dopo di che man mano questo bisogno
scema, tanto che inizia a diminuire dal secondo ciclo, poi al terzo, fino ad arrivare alla fine del
sonno che non ho quasi più bisogno di consumare questo fattore che si è accumulato, in quanto
l’ho consumato all’inizio.
ACCUMULO E DISSIPAZIONE DEL FATTORE S
Borbély ci rivela l’esistenza del “fattore S” (“sleep-
stanchezza”) che caratterizzata un processo di omeostasi:
 BUILDUP DURING WAKING: dal momento in cui il

soggetto si sveglia inizia ad accumulare il


“fattore S” (“buildup during waking” significa
“accumolo durante la veglia”) e continua ad
accumularlo per tutto il periodo di veglia;
 DECAY DURING SLEEP: quando il soggetto si addormenta, inizia la fase di dissipazione del “fattore S”

(“decay during sleep” significa “dissipazione durante il sonno”); il fattore S continua a decadere
durante il sonno profondo nel fin quando dopo 6 ore di sonno io non ho dissipato tutto: questo
ovviamente porta inevitabilmente ad una considerazione sull’inutilità “eventuale” delle ultime 3
ore di sonno per cui ne viene fuori una teoria detta “teoria del sonno nucleare e del sonno
opzionale”
 Sonno nucleare= sonno fondamentale (le prime 4-5 ore in cui io consumo tutto il mio
bisogno di sonno).
 Sonno opzionale= dopo le 4-5 ore in cui ho già recuperato tutto ciò che dovevo recuperare,
si tratta di sonno opzionale, il quale si è sviluppato nel corso dell’evoluzione perché le
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specie avevano bisogno di occupare le ore di buio (in quanto sono pericolose per gli animali
per i predatori); questa teoria ha molti detrattori: vedremo più avanti che nel corso della
seconda parte della notte c’è molto REM, sogniamo moltissimo e c’è molta attività psichica;
dire, per cui che noi abbiamo bisogno soltanto delle prime 4-5 ore di sonno sarebbe come
dire che noi non abbiamo bisogno del sonno REM.
Vi faccio notare, infine, che la linea dell’accumulo (buildup during waking) è
molto più lenta della linea della dissipazione (decay during sleep) e questo è il
motivo per cui noi stiamo svegli 16 ore e dormiamo 8 ore: se, al contrario,
l’accumolo e la dissipazione avessero la stessa velocità noi staremmo svegli
16 ore e dormiremmo 16 ore, invece dormiamo di meno perché
fondamentalmente dopo 4-5 ore, tutto quello che avevamo accumulato lo
abbiamo già consumato).

Per ripetere quindi, con l’argomento dell’omeostasi abbiamo messo l’accento sul fenomeno, fotografato
ancora meglio in questa slide, che vede declinare l’attività ad
onde lente durante il sonno: questo declino (che secondo il
modello di Daan avviene in 4 ore) viene approssimato da una
funzione esponenziale che viene chiamata “processo S”
(processo omeostatico), il quale è pressocchè equivalente al
declino della conformità del sonno.

Questa slide più o meno ci dice la stessa cosa, ci fa vedere che mano mano
che passano i cicli e quindi mano mano che noi andiamo avanti nel corso
del sonno la ripidità della curva diminuisce perché evidentemente all’inizio
il bisogno di andare verso molte onde lente è immediato mentre verso la
fine non ce ne è più bisogno perché già è avvenuta la massima parte della
dissipazione.

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L’INTERAZIONE TRA PROCESSO OMEOSTATICO (processo S) E PROCESSO CIRCADIANO (processo C)


NEL DETERMINARE ADDORMENTAMENTO E RISVEGLIO
Quello che dobbiamo vedere è come interagiscono il processo S e il processo C per determinare
l’addormentamento e il risveglio.
 Nella slide c’è l’omino sveglio; posto nell’intervallo dalle 7 alle 23; in questo intervallo di tempo il
soggetto accumula il fattore S (contraddistinto dalla freccia arancione
che sale) fin quando non arriva ad un punto, più o meno alle 23:00 di
S
sera, in cui l’accumulo del fattore S che ha raggiunto il picco massimo C
(cerchietto blu) incontra il fattore C, ovvero la temperatura che sta
scendendo (contraddistinta dalla freccia arancione che sta scendendo):
in quel momento (circa alle 23 di sera) noi abbiamo il momento più favorevole
all’addormentamento.
Al mattino cosa succede? Il momento favorevole per il risveglio è quando avete l’incrocio del
consumo di S con la salita della temperatura: quindi più o meno alle 7 del mattino, quando la
temperatura sta risalendo e S è ormai stato consumato quasi tutto siete pronti per svegliarvi.
 Nel caso della deprivazione di sonno il processo S sale arrivando ad
un livello decisamente più alto (rispetto al livello raggiunto dopo 16
ore di veglia del soggetto nella slide precedente) in quanto con
l’aumentare della durata della veglia continua l’accumulo di S;
quando successivamente avviene l’addormentamento quello che
vedete rispetto alla condizione di normale ciclo sonno-veglia è che aumenta la ripidità di S nello
scendere, ciò significa che aumenta la velocità di dissipazione di S e il soggetto invece di svegliarsi
alle 7 si sveglia alle 8.

COSE NON SPIEGATE NEL “MODELLO DI EQUAZIONE DI SONNO A DUE PROCESSI”


Dopo che, nel 1982, Borbély conia il “modello di equazione di sonno a due processi” (processo C o
Circadiano & processo S o omeostatico) alcuni ricercatori capiscono che vi sono 3 cose che non vengono
spiegate da tale modello:
1. Momento dell’inerzia di sonno= Secondo tale modello, quando noi ci svegliamo abbiamo dissipato
tutto il processo S e contemporaneamente la temperatura sta salendo: questo indica che quello è
un momento in cui si va verso la vigilanza e dovremmo stare benissimo, ma allora qual è il motivo
per cui noi sperimentiamo quella che viene chiamata “linea di inerzia di sonno” (ovvero, il fatto che
quando ci svegliamo siamo intontiti e abbiamo un forte torpore cognitivo)? Questo il modello non
lo spiega ma il motivo per cui abbiamo lo “stato di inerzia di sonno” è legato al fenomeno delle
transizioni: il nostro organismo ha difficoltà a passare dallo stato di sonno allo stato di veglia e, in
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questo passaggio, succede che c’è un problema di temperatura nel cervello; nonostante la
temperatura corporea stia salendo, la temperatura del cervello è ancora bassa per cui è come se
noi avessimo bisogno di un riscaldamento cerebrale e, quest’ultimo avviene in un lasso di tempo
che varia da persona a persona.
2. Sonno polifasico= per come è costituito il modello a 2 processi prevede esclusivamente un sonno
monofasico (un solo episodio di sonno di 8 ore nel corso delle 24 ore) ma è stato dimostrato che i
bambini e gli anziani dormono in maniera polifasica (più episodi di sonno nel corso delle 24 ore);
3. Differenze individuali nella regolazione del sonno= oltre al fatto che bambini e anziani abbiano un
ciclo sonno-veglia polifasico e che i dormitori normali dormano dalle 6 alle 9 ore circa, il modello a
due processi non considera i casi dei:
 Brevi dormitori= coloro che dormono da 6 ore in giù avvertendo il fenomeno come non
patologico e continuano a dormire con la stessa durata di sonno anche se lasciati liberi di
dormire (perché è quella la tendenza biologica che hanno);
 Lunghi dormitori= coloro che dormono abitualmente più di 8 ore e mezza/ 9 ore di sonno
senza che questa cosa la considerino come un evento fastidioso;

DISTRIBUZIONE DI FREQUENZA DELLA DURATA DI SONNO


Questo è l’andamento di Brevi e lunghi dormitori. La colonnina nera indica i giorni della settimana e la
colonnina bianca indica i fine settimana; in questa slide è evidente che nel fine
settimana (colonnina bianca) la quota di persone che dormono 8-9 ore
aumenta, mentre nel corso dei giorni della settimana (colonnina nera) è più
alta la quota di persone che dormono 7-8 ore; alle estremità, vedete, c’è una
piccola quota di soggetti che dorme sopra alle 10 ore ma qui siamo abbastanza
sicuri che si tratta di una quota di persone patologica (probabilmente è
un’ipersonnia da depressione) e anche chi dorme meno di 5 ore avrà una patologia (probabilmente ha
un’ipersonnia).

TEMPO TRASCORSO ABITUALMENTE A LETTO NEI BREVI E NEI LUNGHI DORMITORI


Questa distribuzione che vedete indica il tempo che viene trascorso abitualmente a
letto nei brevi e nei lunghi dormitori; adesso, questo può sembrare banale, ma non
tempo totale di sonno
lo è in termini di “efficienza di sonno” ovvero il rapporto tra il tempo trascorso a letto :

 l’insonne dorme poco ma è uno che trascorre anche molto tempo a letto
perché cerca di dormire: quindi, per esempio, sta dalle 11 di sera alle 8 di
mattina nel letto ma dorme solo 4 ore svegliandosi con un’efficienza di sonno bassissima;

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 Il breve dormitore che dorme poco (colonnine nere= tempo trascorso a letto) va a letto alle 2 di
notte e si sveglia alle 7 e mezza di mattina ma quando si alza ha un’efficienza di sonno totalmente
immodificata.
ESISTONO DIFFERENZE CIRCADIANE NEI FATTORI DI REGOLAZIONE DI SONNO FRA BREVI E LUNGHI
DORMITORI?
Quando noi vogliamo vedere i modi in cui funzionano i meccanismi del sonno fra i brevi e i lunghi dormitori,
ovviamente, facciamo riferimento ai due processi del modello di regolazione, e vediamo che ci sono
differenze circadiane e omeostatiche (queste le vedremo domani).

-DIFFERENZE CIRCADIANE (processo C)= secondo un’ipotesi fatta da un ricercatore americano che si chiama

Daniel Aeschbach, nell’analisi dei processi circadiani, vi è la presenza di una notte biologica breve (che dura
di meno) nei brevi dormitori e la presenza di una notte biologica lunga (che dura di più) nei lunghi
dormitori. Per “notte biologica” s’intende che il nostro organismo (o il nostro sistema nervoso) ci avvisa e ci
segnala la presenza del buio nell’ambiente (della notte) con la comparsa di 4 fenomeni (fattori) biologici:
1. Produzione di alti livelli di melatonina= quando noi iniziamo a produrre melatonina vuol dire che
fuori c’è il buio perché c’è un’inibizione da parte della luce solare sulla melatonina plasmatica.
Quello che vedete in questo grafico sono due cose: che il livello di melatonina è lo stesso fin quando
la curva dei lunghi dormitori (pallino bianco) non diventa più
ripida, sale più velocemente, diventa maggiore e soprattutto
più larga (questa larghezza della curva di melatonina è più o
meno corrispondente al tempo abituale passato a dormire) per
poi scendendere più lentamente rispetto alla curva dei brevi
dormitori (pallino nero). I lunghi dormitori, per cui, producono
più melatonina rispetto ai brevi dormitori;
2. Bassa temperatura corporea= la temperatura che sta scendendo;
quello che vedete è che l’ampiezza della curva della temperatura
che scende è maggiore nei lunghi dormitori (pallino bianco) e il
tempo in cui si realizza il passaggio dal picco massimo al picco
minimo è più largo rispetto alla curva dei brevi dormitori (pallino
nero).
3. Aumento di cortisolo= il cortisolo scende e poi verso la fine della notte biologica comincia a salire per
raggiungere un livello abbastanza elevato che è volto a preparare al risveglio; se
vediamo l’andamento del cortisolo notiamo che esso sale più velocemente nel
breve dormitore (1° figura) e più lentamente nel lungo dormitore (2° figura)
mentre dal punto di vista dell’ampiezza non vi è un enorme differenza.

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4. Aumento della sonnolenza= questo fattore è la manifestazione misurabile e soggettiva che è il


risultato dei 3 fattori sopracitati (produzione di melatonina, bassa
temperatura corporea e aumento di cortisolo): in pratica, l’andamento
della sonnolenza soggettiva replica esattamente l’andamento del
cortisolo: va detto, comunque, che la salita della sonnolenza è più
breve e dura poco nel breve dormitore, mentre nel lungo dormitore è
più lunga. Quello che è interessante qui, è capire perché la sonnolenza
è misurata in millimetri!!!! La sonnolenza si misura con una scala di
misura analogica detta “Visual analog scale”, una scala di 10mm di
lunghezza, dove 0mm significa che sono vigilissimo mentre 10mm è il
massimo della sonnolenza: il soggetto deve indicare con una croce il
suo livello soggettivo di sonnolenza e io lo misuro.
Come fa Daniel Aeschbach a misurare la notte biologica dei soggetti e ad ipotizzare che “vi è la presenza di
una notte biologica breve nei brevi dormitori e la presenza di una notte biologica lunga nei lunghi
dormitori”? Il ricercatore americano misura la notte biologica con la “Constant Routine”, un paradigma di
ricerca che prevede di sottrarre al soggetto qualsiasi tipo di variabile circadiana, creando una condizione in
cui il soggetto venga messo per 40 ore in una posizione semi-inclinata (non proprio steso ma neanche in
piedi), in un luogo avente la luce ambientale a meno di 10 lux (in penombra), in un luogo in cui non vi sia
nessuna presenza di indizi sull’ora e in cui gli vengano forniti pasti e bevande sempre uguali e ad intervalli
regolari.
In questa condizione circadiana totalmente azzerata, vedete che l’unico “orologio biologico” (o pacemaker
circadiano) che resta al soggetto è quello interno della funzionalità ipotalamica, il quale programma la
“notte biologica” il cui inizio e la cui fine corrispondono a brusche modifiche sul piano neuroendocrino,
termico e di vigilanza; in altre parole, il “paradigma della Constant Routine” ha dimostrato che il nostro
organismo ci avvisa della presenza della “notte biologica” con la comparsa di 4 fattori biologici (produzione
di melatonina, bassa temperatura corporea, aumento di cortisolo e aumento della sonnolenza); questi
fattori biologici, per la loro durata, fanno sì che la notte biologica dei brevi dormitori sia breve, mentre la
notte biologica dei lunghi dormitori sia lunga.

Va bene, fermiamoci, poi domani vi spiego le differenze omeostatiche tra i lunghi e i brevi dormitori.

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6° LEZIONE
Ieri abbiamo fatto un iniziale introduzione delle ricerche che si sono chieste se ci fossero, rispetto ai 2
processi che regolano il sonno (quello circadiano e quello omeostatico) delle differenze della circadianità o
della omeostaticità; abbiamo quindi notato le diverse differenze tra i:
 Dormitori normali= dormono in media 7 ore
 Long sleepers= soggetti che se lasciati liberi di dormire a piacimento tendono a dormire in modo
rilevante (8-10 ore di sonno)
 Short sleepers= soggetti che se lasciati liberi di dormire a piacimento tendono a dormire molto poco
rispetto alla media della popolazione (5 ore di sonno); in particolare, ieri abbiamo visto che gli short
sleepers hanno quella che si chiama “notte biologica breve”: gli eventi che sono legati al periodo di
buio interno e che segnano la notte interna ( ovvero, alti livelli di melatonina, bassa temperatura
corporea, aumento di cortisolo e aumento della sonnolenza) occupano meno tempo, quindi le curve
salgono più tardi e discendono più velocemente.

NUCLEO SOVRACHIASMATICO E NOTTE BIOLOGICA


Il meccanismo che determina la notte biologica è un’espressione genica, un funzionamento del DNA di un
certo tipo che detta un funzionamento individuale del nucleo sovra-chiasmatico (l’orologio biologico
interno), il quale a sua volta scandisce nel tempo i ritmi biologici tra cui i 4 che abbiamo citato (alti livelli di
melatonina, bassa temperatura corporea, aumento di cortisolo e aumento della sonnolenza).
Quindi il fatto che un individuo sia uno “short sleepers” o un “long sleepers” dipende da tre fattori:
 Dal suo nucleo sovra-chiasmatico che detta un particolare tipo di notte biologica e un certo tipo di
sogno-veglia (in conformità con la nostra dotazione genica);
 A sua volta, il nucleo sovra-chiasmatico è influenzato dall’esposizione alla luce (processo circadiano)
e, a seconda della durata di sonno, anche il processo omeostatico viene in qualche modo
influenzato.
Naturalmente è chiaro che dentro a questo circolo di interazione reciproca tra questi fattori compare il ciclo
luce buio.

DIFFERENZE OMEOSTATICHE
Voi, quindi, non avete solo delle differenze di tipo circadiano nei brevi e nei lunghi dormitori ma anche delle
differenze di tipo omeostatico da esplorare. Allora quando noi diciamo che ci possono essere differenze
omeostatiche noi possiamo avere due tipi di differenze:

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 Cinetica (differenza nel movimento). Noi potremmo pensare che il processo S in un soggetto è più
veloce o più lento: per esempio un’ipotesi dice che gli short sleepers hanno un processo S più
veloce (hanno bisogno di dormire meno tempo) rispetto ai long sleepers;
 Comportamentale. L’addormentamento e il risveglio, per gli short sleepers e i long sleepers,
avvengano a livelli di S differenti.
 Se io devo andare a lavorare di notte e ogni giorno vado a letto alle 9 di mattina svegliandomi alle 13, la curva del
cortisolo piano piano si sposta in modo tale che il picco massimo di cortisolo dalle 7 si sposta più avanti, fino ad
arrivare dopo alcuni giorni a risincronizzarsi con l’evento che deve provare un corpo sveglio.
 Quando voi avete il jet lag (malessere e desincronizzazione tra i ritmi interni ed esterni), per esempio andate negli
Stati Uniti mettendo le lancette dell’orologio 6 ore prima: io che parto alle 12:00 arrivo, per il mio orologio biologico
interno, che sono le 00 in America, quindi mi aspetterei il buio; li però sono le 18:00 del pomeriggio ed è ancora
giorno. Per sincronizzarmi con il luce/buio del posto in cui sono andato, non andrò a dormire, aspetterò che si
facciano le 00:00 americane (che corrispondono alle 5/6 del mattino dell’Italia= in quell’orario io avrò temperatura
bassa, propensione al sonno alta, siete stati svegli anche di più, il processo S è pure salito, voi avete tutte le
condizioni per addormentarvi). Non abbiamo risolto tutto, però, perché invece di addormentarci con la curva della
temperatura scesa, noi ci addormentiamo con il minimo o in salita, quindi dopo 4/5 ore S si dissipa, facciamo un
sacco di sonno ad onde lente perchè siamo stanchi, si incrocia la temperatura che sta salendo e alle 5 di mattino…vi
svegliate. Bene, che fate? Restate al buio aspettando l’alba e poi vi esponete al sole. In questo modo iniziate a
risincronizzarvi. Quindi il nostro sistema è molto flessibile e ha dei tempi di risincronizzazione. Quindi quando voi
desincronizzate risincronizzate del giro di 3 giorni,4 giorni, 5 giorni.
 Il problema è quando i cicli sono sono “rapidly not dating” cioè cicli a lavorazione rapida, che sono classicamente
quelli dei lavoratori delle aziende che fanno mattina, pomeriggio, notte, smonto, riposo…un macello perché uno
non c’ha il tempo di risincronizzare. Cioè, viene continuamente cambiata la finestra di sonno-veglia. Quindi è un
tipo di meccanismo che è molto faticoso da sostenere dai lavoratori, che poi si abituano, quindi fanno comunque
dei processi di adattamento . Mediamente tutti i lavoratori che hanno questo tipo di orari, hanno una qualità del
sonno abbastanza scarsa

PARADIGMI DI PRIVAZIONE DI SONNO PER VERIFICARE LA RISPOSTA OMEOSTATICA IN BREVI E


LUNGHI DORMITORI
Questo è un paradigma di privazione di sonno per vedere se il
processo S ha una cinetica diversa o semplicemente i soggetti brevi e
lunghi dormitori rispondono in maniera differente a livelli uguali di S.

 Il breve dormitore (quello che vedete in alto) si fa un sonno


basale (BL) di 5 ore e mezzo a letto altrimenti non sarebbe un breve dormitore per definizione
 il lungo dormitore (quello che vedete in basso) si fa un sonno basale (BL) lungo 9/10 ore.

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Sottoponendo i soggetti ad una privazione di sonno (di 42 ore nel breve dormitore e di 38 ore nel lungo
dormitore) vediamo come sarà il movimento di S in salita e in discesa; questo lo vediamo facendo fare ai
soggetti episodi di sonno di recupero (chiamati R) dopo la privazione.

INDICI DI PRESSIONE OMEOSTATICA


In questa figura vedete l’accumulo e la dissipazione di S;
 Nella veglia attiva= io vedo un tracciato EEG caratterizzato da onde Beta
 Accumulo di S= nel tracciato EEG di un soggetto che sta sveglio ma è sonnolento, mi accorgo che il
soggetto sta accumulando S quando vedo un aumento delle frequenze theta (che indicano che il
soggetto sta diventando via via più sonnolento);
 Dissipazione di S= corrisponde alla parte di sonno caratterizzato da onde lente.

POTENZA SPETTRALE EEG NEL CORSO DELLE 24 ORE DI VEGLIA


Vediamo ora cosa succede nelle 24 ore di veglia; noi vogliamo
andare a vedere nella veglia durante la privazione di sonno se i
brevi e i lunghi dormitori hanno un theta differente:
 Nei lunghi dormitori (pallini bianchi)= l’attività theta- alfa a
bassa frequenza è minore ed hanno meno processo S.
 Nei brevi dormitori (pallini neri)= l’attività theta- alfa a
bassa frequenza è maggiore ed hanno più processo S.

Se i brevi dormitori hanno più processo S, dovrebbero essere più


sonnolenti e meno attivi, inoltre, dovrebbero avere beta scompaginato. La spiegazione a questa cosa è che,
se vi ricordate, nel tracciato EEG della sonnolenza estrema, quando noi siamo WAKING EEG SLEEP EEG
(5.25-9.0 Hz) (0.75-4.5 Hz)

davvero molto sonnolenti il tracciato diventa trifasico: theta; alfa (in bus cioè
RELATIVE POWER DENSITY

treni di alfa, che sono tipici della sonnolenza estrema) e beta (è una SHORT
SLEEPERS

contromisura che cerca di controbattere la sonnolenza come l’ammiccamento


oculare). LONG
SLEEPERS

0 10 20 30 40 0 10
AWAKE (h) ASLEEP (h)

CINETICA DEL PROCESSO OMEOSTATICO


Quando andiamo a vedere però la cinetica del processo omeostatico nei brevi e nei lunghi dormitori,
notiamo che essa è la stessa: nonostante nei brevi dormitori l’attività theta è maggiore, mentre nei lunghi
dormitori è minore, la cinetica di accumulo è la stessa.

PROCESSO S TRA BREVI E LUNGHI DORMITORI


 I brevi dormitori hanno una minore attività ad onde lente rispetto ai lunghi dormitori dopo 40 ore di
privazione di sonno;

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 Vi è una buona corrispondenza (nei brevi e nei lunghi dormitori) tra la dissipazione del Processo S e
l’attività ad onde lente (in particolare le onde delta);
 La cinetica di accumulo e di dissipazione del processo S (della pressione omeostatica) è uguale sia nei
brevi dormitori che nei lunghi dormitori);
 I livelli di pressione omeostatica sono maggiori nei brevi
dormitori rispetto ai lunghi dormitori

CINETICA DEL DECREMENTO IN SONNO DELL’ATTIVITÀ AD


ONDE LENTE (0.75-4.5 HZ)
Questa è la cinetica del decremento in sonno ad onde lente, la
cinetica è esattamente la stessa tra i brevi e i lunghi.

Questa è la diapositiva riassuntiva che dice:

dopo la deprivazione di sonno vi è un incremento delle attività a


onde lente nei long rispetto agli short. Secondo il “ modello a due
processi” questa differenza è predetta dal processo omeostatico
sulla base della differenza della durata del sonno abituale, quindi i
long hanno una tendenza circadiana generica a dormire di più, a dissipare di più e avranno un livello di S
sempre più basso rispetto ai brevi dormitori. Naturalmente è anche chiaro che i lunghi dormitori avendo un
episodio di sonno più lungo hanno più tempo per dissipare ma hanno anche meno tempo per accumulare.
Accumulano ma ad un certo punto di addormentano prima quindi il fatto che il livello di S salga di meno è
legato al fatto che se ne vanno a letto più presto.

Quindi, se noi adesso dobbiamo individuare un percorso, in partenza esiste una predisposizione individuale
che si manifesta soprattutto circadianamente con dei fenomeni guidati dal nucleo sovra-chiasmatico. Su
questo si stabilisce un abitudine di sonno che guida poi l’andamento di un processo S la cui cinetica è
uguale nello short e nel long.

CONCLUSIONI

 Livelli di pressione omeostatica: Brevi dormitori > Lunghi dormitori


 Cinetica della pressione omeostatica: Brevi dormitori = Lunghi dormitori
 Capacità di dormire: brevi dormitori = lunghi dormitori
 Tolleranza alla pressione omeostatica: brevi dormitori > lunghi dormitori

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MANIPOLAZIONE SPERIMENTALE: LA PRIVAZIONE DI SONNO


Quando noi diciamo “manipolazione sperimentale” diciamo banalmente “prendo il sonno e lo modifico”. La
prima manipolazione su cui facciamo dei ragionamenti dettagliati è la privazione di sonno: se io voglio
sapere a cosa serve una cosa la tolgo (questo è il cosiddetto “paradigma di estirpazione”).
A che serve il sonno? Se io voglio rispondere a questa domanda vedo cosa succede a un individuo che non
dorme, per non farlo dormire gli impedisco di andare a letto tenendolo sveglio, in altre parole lo privo del
sonno. Le privazioni di sonno possono essere:
 Totali
 Selettive
 Parziali

PRIVAZIONI TOTALI DI SONNO (PTS oppure DTS= Total Sleep Deprivation)


La privazione totale di sonno corrisponde alla completa assenza di qualsiasi tipo di sonno per tempi più o
meno lunghi allo scopo di studiare le conseguenze su:
 Variabili fisiologiche
 Prestazioni cognitive
 Risposte comportamentali e motorie
 Tono dell’umore
Con la privazione totale di sonno io cerco di rispondere alla domanda “A cosa serve il sonno?” e cerco di
investigare a 360° gli effetti psicofisiologici della privazione totale di sonno, anche se, comunque, non
possiamo dire fino a che punto possiamo estendere la veglia senza conseguenze perché una risposta certa
non esiste ancora, certo è che per un soggetto che viene deprivato di sonno bisogna tener conto del suo
personale andamento circadiano, delle sue differenze psicologiche e delle variabili situazionali (è
importante, a tal proposito, tener presente che quando noi facciamo un paradigma di privazione di sonno
dobbiamo assicurarci che i soggetti siano stati realmente privati di sonno: se noi siamo troppo
accondiscendenti e vediamo che il soggetto si sta addormentando non possiamo aspettare nemmeno 1
minuto per chiamarlo in quanto, in quel minuto, lui potrebbe farsi un micro sonno che causerà degli effetti
diversi e risultati diversi nello studio).

PRIVAZIONI PARZIALI DI SONNO (PPS)


Una privazione parziale consiste in un “accorciamento rispetto alla durata normale di sonno del soggetto”:
se un soggetto normale dorme per una durata media di circa 8 ore con la “deprivazione parziale” lo
facciamo dormire 6 ore; un “breve dormitore” che dorme in media per circa 5 ore con la deprivazione
parziale lo facciamo dormire 4 ore.. Con la privazione parziale di sonno si cerca di rispondere alla domanda
“esiste una quantità ottimale di sonno?”.

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Le privazioni parziali di sonno possono essere di diversa durata, esistono privazioni parziali di sonno a:
 breve termine: privazioni di 1-2 notti;
 lungo termine o cumulativa: sopra i 60 giorni; a quasi tutti noi è capitato di avere dei periodi che
invece di dormire 7-8 ore per notte abbiamo dormito per 4-5 ore, per cui, quello che accade nella
vita di tutti i giorni, è la privazione parziale di sonno a lungo termine che viene chiamata anche
“cumulativa” perché si accumula notte dopo notte (gli effetti di tante privazioni).
Quindi noi abbiamo la:
 Privazione Parziale di Sonno acuta: restrizione improvvisa da 8 a 4 ore di sonno per notte;
 Privazione Parziale di Sonno cumulativa: restrizione moderata (6-5-4 ore) per più notti
consecutive;
 Privazione Parziale di Sonno cumulativa-progressiva: da 8 a 7 a 6 a 5 a 4 ore nel corso di notti
successive. Sono disegni molto interessanti.

PRIVAZIONE SELETTIVA DEL SONNO


Interessa la privazione di uno stadio di sonno particolare: o il sonno REM e il sonno ad onde lente.
 PRIVAZIONE SONNO REM. Se io privo ad un soggetto il sonno REM, in pratica gli accorcio il sonno. La
privazione selettiva del sonno REM può essere fatta mediante:
 Tecniche non invasive: invio di stimoli sonori e brevi scosse elettriche che tolgono il sonno
REM senza andare a modificare l’architettura del sonno (con le tecniche non invasive non
avviene la “tecnica risveglio impatto notevole” che causa conseguenze sul tempo totale di
sonno, sull’architettura del sonno, sull’aumento della veglia intra-sonno, sull’aumento dello
stadio 1 e sulla frammentazione del sonno);
 Tecniche invasive: come la “tecnica dei risvegli” in cui il topolino appena presenta l’atonia
muscolare (indice che sta entrando in sonno REM).
 PRIVAZIONE SONNO A ONDE LENTE (SWS). Se io tolgo il sonno NREM ad un soggetto praticamente quel
soggetto non si addormenta per cui gli sto facendo una privazione totale. Per avere una privazione
selettiva devo togliere al soggetto il sonno a onde lente, ma nello stesso tempo non devo svegliarlo
altrimenti gli tolgo il sonno REM, quindi in pratica dobbiamo esclusivamente superficializzare il sonno.
Come faccio? Gli studi pilota utilizzano tecniche legate a “stimoli acustici” per fare una privazione di
sonno ad onde lente, queste sono:
 Somministrazione di toni di intensità variabile incrementata nei casi in cui il soggetto mostri
abitudine. Che significa che mostra abitudine? Che se io sento un rumore 20 volte alla 20°
volta quel suono non mi superficializza più il sonno. Quindi non solo noi lo dobbiamo calibrare
ma nel corso dell’esperimento dobbiamo capire se ogni volta la superficializzazione del sonno
si è realizzata.

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 Stimolazione uditiva mantenuta fino all’occorrenza di un arousal o al cambiamento di stato.


Consiste in una stimolazione uditiva mantenuta dal momento in cui il sonno da avvio alle onde
lente fino a che il soggetto non passa allo stadio 2 o al sonno REM).
 Somministrazione di tono a partire da una certa intensità sogliare, incrementata se il soggetto
non si sveglia e diminuita nella prova successiva quando il soggetto si sveglia. In pratica parto da
un suono con intensità bassa e lo aumento man mano di intensità fino a quando il soggetto non si
sveglia. Dopo di che faccio riaddormentare il soggetto e uso, per fargli una privazione di sonno ad
onde lente, la massima intensità possibile che non crea il risveglio.

ALTRE MANIPOLAZIONI SPERIMENTALI


TECNICHE DIRETTE= MANIPOLO DIRETTAMENTE IL SONNO

 FRAMMENTAZIONE= significa provocare dei risvegli a intervalli prestabiliti. Perché viene fatta una cosa
del genere? Perché ci sono realmente delle persone che hanno un tipo di sonno frammentato per
l’ambiente; ad esempio, se prendete quelli che dormono vicino alle stazioni, essi hanno un sonno
inizialmente frammentato ma poi si abituano a determinate stimolazioni (arousal) e non si svegliano
più; Tale tecnica non riguarda i cicli;
 DISORGANIZZAZIONE= come sappiamo, il sonno è altamente organizzato in cicli, disorganizzare
significa svegliare il soggetto per “interrompere i cicli in modo casuale” in modo tale da avere una
differenza rispetto alla frammentazione.
 DISLOCAZIONE= prendo un episodio di sonno (detto “episonno”) , per esempio collocato tra le 22 e le
8 del mattino e lo sposto alle 8 del mattino. A tal proposito c’è un paradigma che è
contemporaneamente di dislocazione e di privazione parziale di sonno che si chiama “paradigma
sonno precoce e sonno tardivo” che consiste nel prendere dei soggetti e invece di farli dormire 8 ore
di fila, li faccio dormire 4 ore:
 il primo gruppo dalle 00:00 alle 4:00= con l’obiettivo di fargli avere nella prima parte del
sonno, sonno ad onde lente;
 il secondo gruppo dalle 4.00 alle 8:00= con l’obiettivo di fargli avere nella seconda parte del
sonno, sonno REM. Il problema è però che il soggetto in questo modo farà molto sonno REM
se intanto S è salito; questa cosa, si risolve facendolo dormire il pomeriggio dalle 16:00 alle
18:00-19:00, in modo che a quell’ora i soggetti non hanno una pressione di S alta come
dovrebbe essere alle 4:00 di notte.

TECNICHE INDIRETTE= FACCIO MANIPOLAZIONI AMBIENTALI CHE MI PROVOCANO UN CAMBIAMENTO NEL SONNO

 FREE RUNNING “libero corso”= consiste nel prendere il soggetto, metterlo in una stanza buia per 32
giorni togliendogli il marcatempo e vedo che il sonno si disloca perché ho tolto le indicazioni luce-
buio, per cui il soggetto cambierà abitudini.
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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

 CONSTANT ROUTINE= è una situazione simile al libero corso: posizione sul divanetto, illuminazione
meno di 10 lux, alimentazione costante, dopo un po’ vedete che il sonno cambia.
 ESTENSIONE= l’allungare le zone di buio. Se noi normalmente siamo al buio 8 ore, abbiamo un ciclo di
luce pari a 16 ore e un ciclo di buio pari ad 8 ore; con l’estensione noi andiamo a creare un ciclo di
luce pari a 10 ore e un ciclo di buio pari a 14 ore. Cioè, alle 18:00 del pomeriggio prendiamo il
soggetto, lo mettiamo in una stanza buia con soltanto il letto e notiamo a questo punto che una
persona che normalmente va a dormire dalle 23:00 a 00:00 in tali condizioni si addormenta alle 21:00
e si risveglierà più o meno alle 2:00 siccome intorno sarà buio intorno alle 4:00 si addormenta di
nuovo, quindi il sonno diventa bifasico (episodio/pausa/altro episodio) alla fine il soggetto si risveglia
alle 8:00 del mattino e viene portato alla luce, per quell’ora ha totalizzato 14 ore di buio e di solito
dentro queste 14 ore di buio ha totalizzato almeno 9 ore di sonno. Quindi abbiamo ottenuto
l’allungamento, l ‘estensione del sonno.

PRIVAZIONI DI SONNO SUGLI ANIMALI


Le privazioni di sonno totale si compiono sui topi: essi vengono
sottoposti a dispositivi come la piattaforma ruotante (che si
muove in continuazione e questo continuo movimento
impedisce all’animale di dormire). Non è la rotazione che tiene
sveglio il topo, esso viene svegliato tutte le volte che sul
tracciato elettroencefalografico compare il sonno (la rotazione
c’è perché dall’altra parte c’è un topo di controllo che viene sottoposto allo stress ma non viene svegliato
quando si addormenta: questo per capire se il topo sperimentale mostra determinati elementi per lo stress
o per la mancanza di sonno).
Nel dispositivo vengono messe due bottiglie alle quali gli animale hanno libero accesso: il cibo è
costantemente disponibile per vedere il ratto quanto mangia.
 Dopo una settimana di privazione di sonno l’animale inizia mangiare di più, aumenta la quantità di
cibo assunto.
 Dopo 21 giorni l’animale mangia disperatamente, ha sempre fame, nel tentativo di neutralizzare
l’altro fenomeno che è il calo del peso corporeo, dorme di meno, mangia di più ma perde peso.
Inoltre aumenta il cortisolo ( che dovrebbe indicare un aumento dello stress), diminuisce la
temperatura corporea, si inizia a verificare l’arruffamento del pelo e lesioni cutanee (queste ultime
2 cose indicano che l’animale non riesce più a mantenere calore, a sostenere il metabolismo
energetico e che il sangue viene distribuito agli organi interni come cuore, polmone, stomaco e non
va più a nutrire il pelo, quindi muore la pelle; poi però questo fenomeno di distribuzione del

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

sangue non funziona lo stesso e successivamente anche gli altri organi


fino a morte dell’animale entro 30 giorni).

Se facciamo la privazione selettiva del sonno REM si usa la tecnica della


piscinetta, appena il topo presenta atonia muscolare (entra cioè nel sonno
REM) cade dalla piattaforma e viene svegliato. Il processo che abbiamo visto
nel topo con la privazione di sonno totale si verifica anche in questo caso uguale, con la differenza che esso
è più lento e le manifestazioni si allungano: il topo muore nel giro di 40-60 giorni.

PRIVAZIONE DI SONNO SULL’UOMO


Cosa accade nell’uomo? un primissimo studio viene condotto su un soggetto viene fatto nel 1896 da Patrick
e Gilbert: uno di loro, si auto-sottopone a questo
esperimento di auto privazione di sonno ed è
molto interessante questo esperimento come
valore storico, non come valore scientifico perché
l’attrezzatura usata non era precisa e non c’era una
vera e propria ipnologia. Però è interessante che
loro intuiscono che il sonno sia importante e vanno
a fare tutta una serie di misure fisiologiche e psicologiche; le quali risultano molto simili alle indagini che poi
60 anni dopo furono fatte per gli esperimenti della privazione totale.

L’esperimento che vi ho citato ieri era quello di


Randy Gardner, il famoso dees jockey che voleva
entrare nel guiness dei primati e si sottopone ad 11
notti di privazione del sonno. O meglio lui in partenza
non sapeva quanta privazione di sonno voleva fare
alla fine l’esperimento di privazione totale durò 264
ore di veglia che sono 11 giorni e 11 notti.

Dopo 264 ore, questo ragazzo va a dormire e sul tracciato elettroencefalografico si riscontra una quantità
superiore al normale di onde lente (stadio 3-4), il 50% del sonno REM, solo una piccola parte di stadio 1 e 2
(lo stadio 2 sembra che non serve a nulla).

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7° LEZIONE
FATTORI DA CONSIDERARE PER IL COMPLETAMENTO DEL MODELLO A DUE PROCESSI.
Alcuni fenomeni non vengono spiegati con il modello a due processi di Borbely, tra cui le caratteristiche
della veglia. Borbely nel suo modello prende in considerazione solo la durata della veglia, o meglio la
quantità, cioè più tempo si sta svegli più si ha la propensione ad andare a dormire, perché si accumula S e
quindi deve essere dissipato durante il sonno. Però vi è un’altra caratteristica della veglia importante, che è
la qualità (ad esempio la veglia di una persona che è stata a poltrire tutto il tempo, è diversa dalla veglia di
un’altra persona che ha svolto attività fisica, è andata a seguire un seminario, ha guidato per 3-4 ore, ecc.).
Quindi non è solamente importante la durata della veglia, ma anche la sua qualità, in termini di intensità, e
anche questa avrà un peso sul sonno successivo. Quali caratteristiche della veglia intervengono nella
regolazione del sonno?
 Quantità: determina l’accumulo di S, che poi si deve dissipare;
 Qualità: intensità dell’attività cerebrale in veglia (tipo e quantità
di attività fisica e/o cognitiva) influenza significativamente il sonno successivo. Questo concetto è
stato studiato da Feinberg (colui che ancor prima di Borbely ha ipotizzato il processo S).
“La veglia non è semplicemente uno stato indifferenziato che riempie l’intervallo di tempo tra gli episodi di
sonno.”

Feinberg, ancor prima di Borbely, ipotizzò che


in funzione della durata della veglia
precedente, cambiano le caratteristiche del
sonno successivo. Se un soggetto viene
deprivato di sonno, S si accumulerà ancor di
più rispetto a se il soggetto mantiene costante
il suo ritmo sonno veglia e rispetto a se il
soggetto fa un NAP; per cui l’andamento del
sonno a onde lente sarà diverso in base alla
durata della veglia precedente.

Feinberg però, oltre a questo, misura anche l’attività cerebrale in veglia e nota che quando noi ci sforziamo
sia a livello fisico, che cognitivo, le caratteristiche del sonno successivo sono diverse. Lui lega questo
concetto sempre all’omeostasi, ovvero quando noi ci sforziamo si accumula sempre il processo S, per cui la
funzione ristorativa del sonno che ci riporta ai livelli base di S dipende anche dal livello di attività cognitiva
durante la veglia precedente. Quindi il modello di Feinberg ci indica che non solo la durata della veglia, ma
anche il suo contenuto determinano le caratteristiche del sonno successivo. Questo concetto è molto

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importante perché spiega che vi sono delle relazioni tra sonno e funzioni cognitive, in particolare tra sonno
e apprendimento/memoria. Il ruolo che le attività cognitive in veglia hanno sul sonno dipende dalla
relazione fondamentale tra sonno e apprendimento mnestico di materiale appreso prima del sonno.

RELAZIONE TRA SONNO E MEMORIA


La relazione tra sonno e memoria inizia ad essere importante in letteratura a partire da alcuni studi di due
psicologi agli inizi del ‘900 che volevano studiare l’oblio. Questi due psicologi ipotizzano che l’oblio è
determinato dall’interferenza di altre informazioni che si sovrappongono al materiale appreso; per cui se si
riducono le interferenze, si ipotizza che l’oblio viene preservato, ovvero dimentico meno.
Le interferenze possono essere ridotte durante il sonno, proprio perché durante esso diminuiscono le
afferenze sensoriali e di conseguenza il soggetto non apprende nulla. Per cui questi due studiosi hanno
somministrato del materiale da apprendere (sillabe di 3 lettere senza senso, stesso materiale che utilizzava
Ebbinghaus nei suoi studi sull’oblio durante la veglia) a due gruppi di soggetti, uno di questi dopo la
somministrazione restava in veglia e l’altro invece andava a dormire. Questo periodo trascorso sia in sonno
che in veglia, viene detto periodo di ritenzione, ovvero il tempo che va dall’acquisizione del materiale fino a
momento di richiamo.

SLEEP EFFECT
Si nota che le persone che durante il periodo di ritenzione avevano dormito ricordavano meglio le lettere
senza senso, rispetto alle persone che invece erano rimaste sveglie. Questo fenomeno venne definito SLEEP
EFFECT. Da tale primo esperimento, datato 1924, si svilupparono molti studi rivolti a vedere come si
articolava questo Sleep Effect. Quindi se vi è un effetto positivo del sonno sul richiamo di informazioni
acquisite prima del sonno, allora probabilmente c’è una relazione tra sonno e apprendimento, in cui il
sonno migliora la memoria, ma probabilmente anche la memoria ha degli effetti sul sonno, perché per far sì
che le informazioni acquisite prima del sonno vengano rinforzate durante esso, ovvero vi è uno sleep effect,
allora significa che durante il sonno accade qualcosa, perché questo consolidamento mnestico ha bisogno
di alcune cose che si verificano durante il sonno. I due psicologi Jenkins e Dallenbach furono i primi a
scoprire lo sleep effect, ma loro credevano che era un effetto dovuto solamente alla riduzione delle
interferenze durante il sonno; in realtà oggi sappiamo che il sonno ha proprio un ruolo attivo per i processi
di consolidamento mnestico.

PARADIGMA DI MODIFICA DEL SONNO POST-APPRENDIMENTO


L’esistenza di una correlazione biunivoca tra sonno e memoria, ovvero che il sonno aiuta la memoria e
quest’ultima a sua volta modifica il sonno, è stata dimostrata da vari studi, in cui si è visto che se vengono
somministrati dei compiti che attivano la funzione memoria, nel sonno accade qualcosa, ovvero questo si
modifica. In questi tipi di studi vengono somministrati dei compiti di vario genere (ad esempio come delle

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liste di parole da memorizzare come fecero Jenkins e Dallenbach, un gioco, ecc.) ossia viene fatto fare un
training pre-addormentamento e poi si vanno a vedere gli effetti sul sonno. Tale paradigma sperimentale
viene definito paradigma di modifica del sonno post-apprendimento, e con questo si ipotizza che gli effetti
che si hanno sul sonno siano responsabili del consolidamento mnestico; per cui l’obiettivo di questi studi
era scoprire i meccanismi alla base dello sleep effect. Inizialmente gli studiosi si concentrarono soprattutto
su variabili del sonno di natura quantitativa (ad esempio il tempo totale di sonno) e su variabili strutturali
(aumento di sonno REM o sonno NREM). Solamente da studi recenti ci si è focalizzati su variabili di natura
qualitativa, che prendono in considerazione il fatto che il sonno sia un processo, e queste sono:
 Continuità: n. di risvegli comportamentali e arousals
 Stabilità: n. di stage transition (passaggi di stato) e di periodi di incertezza funzionale
 Organizzazione: n. e durata dei cicli di sonno

IL PROCESSO L (Learning)
Ecco che si è andati oltre il Modello a due processi, ipotizzando l’esistenza di un processo L (Learning), il
quale anche esso sembra influenzare il sonno successivo. Gli studi sul sonno post-apprendimento hanno
dimostrato che un’intensa stimolazione cognitiva prima di andare a letto produce dei cambiamenti nel
sonno, non solo in termini di quantità, ma anche di qualità. È come se il sonno, dopo l’apprendimento,
risultasse + compatto, con meno risvegli, arousals e con + cicli.
Poiché l’apprendimento nel corso della veglia influenza le caratteristiche del sonno successivo, Conte e
Ficca (2012) hanno suggerito di riconsiderare i classici modelli di regolazione del sonno esistenti, tenendo
conto di un ulteriore fattore accanto ai classici “S” e “C”: il processo “L” (Learning). Quindi il sonno non solo
è influenzato dal fatto che durante la veglia si accumula qualcosa che poi deve essere dissipato (S) e dal
nostro orologio biologico che ci dice a che ora andare a dormire e a che ora svegliarci perché è
geneticamente programmato (C), ma anche da cosa facciamo durante la veglia (L).

ATTIVITA’ FISICA SUL SONNO


Per quanto riguarda gli effetti dell’attività fisica sul sonno, attualmente in letteratura non vi sono molte
ricerche. Una delle attività molto intense che noi svolgiamo durante la veglia concerne proprio l’esercizio
fisico e alcuni studi hanno mostrato come vi sia una relazione biunivoca tra qualità del sonno ed attività
fisica; sembra che l’attività fisica migliori in maniera significativa la qualità soggettiva del sonno (ovvero la
percezione che noi stessi abbiamo sul nostro sonno), la continuità e la sua profondità (sonno a onde lente).

LA FUNZIONE DEL SONNO


Il problema ancora non del tutto risolto riguarda la funzione del sonno. Esistono alcune teorie:
 Teoria ristorativa: è molto antica e afferma che il sonno è un regolatore interno che ripara i danni
causati dalla veglia; La veglia prolungata comporta dei danni all’organismo
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 Teoria circadiana: il sonno è il risultato di un meccanismo interno di regolazione del tempo; questa
teoria ci spiega perché andiamo a dormire e ci svegliamo ad una determinata ora
 Teoria del consolidamento mnestico: il sonno è uno stato comportamentale che ha un ruolo attivo
per la memoria.
Altri fattori non spiegati dal Modello a due processi sono le differenze individuali, l’inerzia del sonno (uno
stato di torpore cognitivo al mattino, ed è stato considerato un modello di regolazione per la sonnolenza e
la vigilanza) e l’assunzione di sostanze e farmaci.

EFFETTI CHE IL SONNO HA SULLE FUNZIONI COGNITIVE


La relazione tra il sonno e le funzioni cognitive è molto complessa. Come sono correlati tra loro il sonno e le
funzioni cognitive?
 L’attività cognitiva influenza il sonno successivo (processo L)
 I cambiamenti del sonno provocano degli effetti sulle funzioni cognitive durante la veglia successiva
 Vi sono processi cognitivi anche durante il sonno (in particolare il sogno e l’apprendimento).
Il fatto che le caratteristiche del sonno possono influenzare le funzioni cognitive della veglia successiva è
importante per gli studenti e per la loro performance a scuola, per i lavoratori (soprattutto coloro che
svolgono un ruolo che richiede grosse responsabilità) ed è importante anche in ambito clinico (nel caso in
cui si studia l’andamento del sonno di un soggetto che soffre di apnea notturna, si può vedere come le
caratteristiche del suo sonno influenzino la veglia successiva, il tipo di lavoro che fa, ecc.)

La ricerca sugli effetti che il sonno ha sulle funzioni cognitive deve prendere in considerazione diversi
fattori:
 Fattori legati alla funzione= esistono diversi tipi di funzioni cognitive da prendere in
considerazione e vedere come queste siano legate al sonno (vigilanza, performance
psicomotoria, funzioni cognitive elevate, sensazione soggettiva di stare bene)
 Fattori legati ai soggetti= bisogna tener conto del tipo di popolazione (uomini, donne, bambini,
adolescenti, adulti, anziani, allodole, gufi, breve e lungo dormitore).
 Fattori legati al contesto= esistono diversi tipi di contesti: sperimentale (deprivazione o
estensione di sonno), naturalistico (stile di vita, lavoratori turnisti. Infatti i fattori sociali hanno
un peso rilevante sulla modificazione del nostro orologio biologico interno), clinico (patologie
del sonno)
 Fattori legati al tempo= si studia il cambiamento nella durata di sonno, in particolare la
differenza tra deprivazione di sonno occasionale e deprivazione costante di sonno.

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QUANTO TEMPO ABBIAMO BISOGNO DI DORMIRE?


Esiste un dibattito ancora in corso su quanto sonno abbiamo bisogno, cioè di quante ore abbiamo bisogno
di dormire: da una parte alcuni autori come Webb & Agnew e Bonnet & Arand ci dicono che siamo
cronicamente deprivati di sonno (soprattutto per quanto riguarda la cultura occidentale), quindi anche se il
nostro corpo mostra una propensione al sonno, noi tendiamo comunque ad andare a dormire più tardi e a
svegliarci prima, ad esempio a causa di lavori intensi o altri fattori sociali; dall’altra parte invece altri autori
come Harrison & Horne ci dicono che probabilmente noi non siamo deprivati di sonno e a supporto di
quest’ipotesi hanno notato che se si chiede a delle persone di dormire tutto il tempo che vogliono, in realtà
loro non dormono di più, ma dormono sempre con la stessa durata di tempo.

DI QUANTO IL SONNO PUÒ ESSERE TAGLIATO PER AVERE UN’ALTERAZIONE COGNITIVA?


A tal proposito nella ricerca si è cercato di cambiare la domanda di partenza, quindi non interessa più di
tanto rispondere alla domanda “quanto tempo abbiamo bisogno di dormire?” ma più che altro rispondere
alla domanda “di quanto il sonno può essere tagliato per avere un’alterazione cognitiva?”

Ma cosa include la nozione di “alterazione delle funzioni cognitive”?


 Innanzitutto la sonnolenza oggettiva: tutti quei segni che indicano la tendenza verso il sonno, la si
può misurare attraverso il comportamento (es. yawning=sbadiglio; dozing off=declinamento del
capo in avanti che subito dopo ritorna all’indietro perché non possiamo addormentarci in quel
momento, indica il fatto che la sonnolenza è molto forte, tanto è vero che per un attimo perdiamo
il tono muscolare; eye blinking=ammiccamento oculare) e attraverso gli indici elettrofisiologici
(perché una persona sonnolenta mostra nel tracciato elettroencefalografico dei cambiamenti, in
particolare un aumento nelle frequenze theta, poi dei treni di onde Alpha e nel caso del dozing off
quando la persona si riprende perché appunto deve rimanere sveglia, troviamo una punta sul beta).
La sonnolenza oggettiva la si può misurare attraverso due test: Measured through Multiple Sleep
Latency Test (MSLT) e Maintenance of Wakefulness Test (MWT). Sono molto simili, semplicemente
cambia la consegna, nel primo chiediamo al soggetto di addormentarsi il prima possibile e si va a
misurare la latenza di sonno (la persona che si addormenta prima è la persona + sonnolenta); nel
secondo test invece si chiede al soggetto di rimanere sveglio il più possibile, quindi anche in questo
caso la persona che si addormenta prima è la persona + sonnolenta.
 La sonnolenza soggettiva: la si misura attraverso tecniche di natura psicologica, anche questa
naturalmente ha un impatto sulle funzioni cognitive. La si definisce come sensazione individuale di
sentirsi sonnolenti (drowsy). Viene misurata attraverso scale: Karolinska Sleepiness Scale (KSS) e
Stanford Sleepiness Scale (SSS); si chiede al soggetto come si sente in quel momento e di dare un
punteggio sul livello di vigilanza e sonnolenza soggettivamente percepito.

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 La performance psicomotoria ridotta: la si può misurare attraverso dei compiti, ad esempio si


chiede al soggetto di premere il più velocemente possibile un tasto quando compare uno stimolo
sullo schermo, in questo caso le variabili dipendenti che ci interessano sono la riduzione della
velocità e la riduzione dell’accuratezza (es. il sogg. Preme un tasto piuttosto che un altro), rilevabile
grazie al num. Di errori (mistakes) e il num. Di risposte mancate (lapses). Esistono compiti semplici,
come il Psychomotor Vigilance Task (ad es. il compito descritto in precedenza), e batterie di compiti
+ complessi, come il driving simulators (simulatore di guida) o flight simulators (simulatore di volo).
 Le alterazioni delle funzioni cognitive superiori: vengono misurate attraverso batterie specifiche,
come la generazione casuale di lettere/numeri, e servono a valutare l’efficienza della corteccia
prefrontale, proprio perché le funzioni superiori dipendono dall’attività dei lobi prefrontali. “Tra il
dire e il fare c’è di mezzo la corteccia prefrontale” cit. Dario Grossi (hahaha simpa xD)

ALTERAZIONI COGNITIVE: PERFORMANCE NEL CORSO DELLA GIORNATA


La Schmidt ha prodotto una rassegna bibliografica di tutti quegli studi che hanno messo in evidenza delle
alterazioni di tipo cognitivo, in particolare come cambia la performance nel corso della giornata (dato che la
temperatura ha dei picchi minimi e picchi massimi nel corso della giornata, la sonnolenza varia in prossimità
di tali picchi. Durante la fase discendente aumenta la sonnolenza, mentre nella fase ascendente si è più
vigili). La Schmidt per prima cosa mette in evidenza una serie di batteria di test che possono essere utilizzati
per valutare il funzionamento cognitivo e poi dividi in 3 grandi blocchi le funzioni cognitive:

 ATTENZIONE: riguarda funzioni cognitive che possiamo definire semplici. La Schmidt distingue:
 Alertness= sensazione soggettiva di sentirsi in allerta.
 Arousals=superficializzazione del sonno, riguarda un’attivazione elettrofisiologica. Un’altra
differenza è tra sleepiness e fatica.
 Fatica= sensazione soggettiva di minore abilità nel fare un compito.
 Sleepiness (sonnolenza)-> desiderio di andare a dormire, si esprime attraverso dei self-
report.
 sustained attention o vigilance (vigilanza)= capacità di mantenere l’attenzione e di
sostenerla per un certo lasso di tempo, per tutto il tempo che mi serve per portare a
termine un compito.
 MEMORIA
 FUNZIONI ESECUTIVE

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EFFETTI DELLA DEPRIVAZIONE DI SONNO SULLA FISIOLOGIA DELL’UOMO


Le reviews di Wilkinson (1965), Webb (1969) e Naitoh (1975) si sono occupate di vedere gli effetti della
deprivazione di sonno sulla fisiologia dell’uomo e si è dimostrato che questi effetti sono piuttosto marginali
nell’uomo, ad esempio vi è un’alterazione del battito cardiaco, i livelli di temperatura e di cortisolo variano
rispetto all’andamento circadiano, ecc. insomma l’uomo sopravvive alla deprivazione di sonno e in
particolare si è visto che la vigilanza è sorprendentemente resistente ad essa. Solamente con tagli di meno
4 ore di sonno si possono avere effetti sulla vigilanza, per compiti lunghi e monotoni. In realtà questi
risultati non possono essere generalizzati poiché queste reviews presentano dei limiti metodologici: utilizzo
di campioni piccoli di soggetti (non è detto che siano rappresentativi della popolazione) e difficoltà nel
controllare il ritmo sonno-veglia (variabili quindi di natura circadiana), ad esempio se svolgo un compito
appena sveglio al mattino, in cui è presente l’inerzia del sonno, la mia performance sarà diversa se invece lo
svolgo alle 5 di pomeriggio, in cui invece vi è il picco massimo della temperatura corporea.

RAPPORTO TRA DURATA DEL SONNO VEGLIA


Harma e collaboratori hanno svolto uno studio sul rapporto tra durata del sonno e vigilanza, definito
attraverso una funzione esponenziale: più il sonno viene
tagliato, più si andrà a notare un effetto sulla vigilanza.
Sull’asse x del grafico è presente il Total sleep time (TST),
quindi tempo passato in sonno espresso in minuti;
mentre sull’asse y la Sleep latency (sempre in minuti),
misurata attraverso il Multiple Sleep Latency Test (MSLT),
per cui è stato detto al soggetto di addormentarsi il
prima possibile. Alla base dell’esperimento vi è il modello
dose-risposta (somministro qualcosa e ne vedo la risposta), in questo caso la dose riguarda il sonno e si
osservano le risposte in termini di sleep latency. Harma inizialmente concede 400 minuti di sonno, poi
successivamente sottrae al sonno più volte un tempo di 100 minuti. Dopo questi tagli va a misurare la
latenza di sonno attraverso il MLST sia alle 11 di mattina che alle 5 del pomeriggio (infatti questo test viene
somministrato più volte proprio per controllare la variabile circadiana). Si è notato che quando il total sleep
time veniva ridotto a 100 minuti, vi era un calo sostanziale della sleep latency, cioè i soggetti crollavano
subito. La cosa interessante è che la curva delle 17:00 sta sotto quella delle 11:00, nonostante alle ore
17:00 si ha il picco massimo della temperatura e quindi dovremmo stare più svegli; ciò accade perché
tagliando il sonno si accumula il processo S e questo significa che la variabile omeostatica ha un peso
maggiore rispetto alla variabile circadiana.

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DEBITO CUMULATIVO DI SONNO


Altri studi invece si sono concentrati sugli effetti di un debito
cumulativo di sonno, ovvero su una deprivazione cronica di
questo, in cui il processo S si accumula ma non va mai a
dissiparsi completamente. I due grafici possono essere visti
insieme, perché Van Dongen riprende i risultati dello studio
precedente condotto da Belenky. Nello studio di V. Dongen le
persone sono soggette a un protocollo di debito cumulativo
di sonno per 14 giorni (asse x), in quello di Belenky invece per
una settimana; entrambi vanno a vedere gli effetti nel PVT,
compito in cui bisogna premere un pulsante quando appare
uno stimolo (asse y). La variabile dipendente è costituita dal numuro di lapses, ovvero risposte mancate.
Nello studio di V. Dongen ai soggetti erano concesse 8-6 e 4 ore di TIB (time in bed), mentre in quello di
Belenky 9-7-5 e 3 ore. A 9 ore (studio di Belenky) il numero di lapses è normale, a 8 ore (studio di
V.Dongen) per la prima settimana è normale, mentre dopo una settimana i lapses iniziano ad aumentare
leggermente. Man mano che i soggetti trascorrevano meno tempo a letto, il numero di lapses aumentava
sempre di più, soprattutto a 3 ore (studio di Belenkly) il numero di lapses aumenta notevolmente in una
settimana e arrivano a più di 15.

Successivamente nello studio di Belenky ai soggetti sono state


concesse 3 notti in cui potevano recuperare il sonno per vedere
se dopo questo recupero ci fosse stato un miglioramento nella
performance. Il grafico è diverso rispetto al precedente perché
sull’asse x troviamo prima la B (baseline, ovvero performance
prima dell’esperimento), poi i 7 giorni in cui i soggetti venivano
deprivati di sonno e poi le 3 notti di recupero; sull’asse y invece
troviamo la velocità di risposta. Belenky e collaboratori hanno
notato che la performance dei soggetti migliorava con il recupero, soprattutto per quanto riguarda chi
aveva dormito 3 ore a notte per una settimana, ma restava comunque molto bassa rispetto alla condizione
baseline. A questo punto Belenky e collaboratori si sono chiesti “è possibile che il cervello si sia adattato
alle conseguenze neurocomportamentali della perdita di sonno?” cioè dato che il cervello non è riuscito a
ristorarsi per una settimana, è possibile che si sia abituato a lavorare con poche risorse, quindi vi è bisogno
di altre notti di recupero affinché il cervello recuperi tutte le risorse necessarie e torni a lavorare ai livelli
basali.

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Resoconto: fino agli anni ’90 la ricerca ha costantemente trovato degli effetti chiari negativi sulla vigilanza
dopo una sola notte di deprivazione di sonno di 4 ore, però molti studi hanno mostrato che ci sono alcuni
effetti anche dopo notti di 5 o 6 ore di sonno. La durata del sonno sembra essere il fattore cruciale, molto
meno rilevante è il contributo dei vari singoli stadi, in particolare sonno REM e sonno a onde lente.
Tuttavia, anche la continuità del sonno sembra avere un ruolo, infatti gli effetti negativi sono stati trovati
negli studi sperimentali di frammentazione del sonno (Bonnet), anche senza risvegli comportamentali o
cambiamenti nell’ammontare del sonno a onde lente. Bonnet con i suoi studi sulla frammentazione del
sonno rilevò che anche delle semplici superficializzazioni del sonno hanno un impatto sulle funzioni
cognitive. Più controversi sono i dati relativi agli effetti di una singola notte di totale deprivazione di sonno
sulla performance psicomotoria; secondo Pilcher e Huffcut le conseguenza cognitive sono comunque
modeste. Mentre l’alterazione delle funzioni cognitive quando il debito di sonno si accumula per giorni o
settimane è molto più rilevante. Cambiamenti adattivi sono ipotizzati di restringere la capacità operativa
del cervello e persiste per diversi giorni dopo che la durata del sonno è tornata ai livelli basali e quindi è
come se ritardasse il recupero (Belenky).

FUNZIONI ESECUTIVE
Le funzioni esecutive sono più complesse e includono l’attenzione esecutiva, la memoria di lavoro, il
pensiero divergente, e riguardano abilità di pianificare, coordinare l’azione rispetto alle alternative,
monitorare e riaggiornare i nostri piani di azione se necessario, sopprimere materiale distraente
focalizzando l’attenzione su info rilevanti (processo chiamato “inibizione”). Perciò oltre alla vigilanza e ad
altre abilità più semplici, le funzioni cognitive complesse permettono all’individuo di fronteggiare con
responsabilità, così come per la difficoltà per stimoli non familiari, compiti attraverso processi di decision
making e di risoluzione dei problemi. È stato dimostrato che un debito di sonno provoca un aumento di
adenosina che riduce l’attività colinergica dei lobi prefrontali e quindi provoca loro delle disfunzioni. Da
alcuni l’adenosina è stata chiamata “processo S”, proprio perché è qualcosa che si accumula durante la
veglia e poi si va a dissipare con il sonno. Il suo aumento va a intaccare il funzionamento dei lobi prefrontali
e questa cosa è stata dimostrata da studi di PET (studi di neuroimaging) in cui si vede che dopo una singola
notte di deprivazione di sonno si riduce significativamente l’attività metabolica dei lobi prefrontali. Anche
dal punto di vista comportamentale sono stati condotti studi in cui si andavano a somministrare dei compiti
in seguito a manipolazioni sperimentali sul sonno (es. veglia
prolungata):

 STUDIO SUL RAPPORTO TRA DEPRIVAZIONE DI SONNO E


RISPOSTA DI INIBIZIONE= la risposta di inibizione è quella

funzione cognitiva superiore che consente di mantenere


l’attenzione su un determinato stimolo e nel frattempo di

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evitare gli stimoli distraenti, capacità di inibire una risposta che è automatica (es. premere un
pulsante quando appare lo stimolo bersaglio) di fronte a un stimolo distraente. Per studiare la
risposta di inibizione si utilizza un paradigma chiamato “Go-noGo”, vengono presentati due set di
stimoli, uno dei quali è chiamato Go (es. quando appare il quadrato o la stella grande devi premere
il pulsante) e l’altro noGo (es. quando appare il pentagono piccolo o la croce non devi premere
niente). Il paradigma viene costruito in modo tale che la risposta venga automatizzata, per cui
all’inizio vengono presentati soltanto stimoli Go e a un certo punto viene presentato uno stimolo
noGo, per cui il soggetto deve cercare di inibire una risposta diventata automatizzata (premere il
pulsante). L’inibizione di risposta funziona grazie all’attività dei lobi
prefrontali. Lo studio è stato condotto da Drummond e
collaboratori, i quali andarono a vedere prima la risposta semplice
al compito Go-noGo, definita “hit rate”(premere il pulsante allo
stimolo Go), e poi i falsi positivi (tutte quelle volte in cui il sogg.
Premeva il tasto agli stimoli noGo). Si è visto che il tasso della
risposta semplice peggiorava significativamente dopo 55 ore di
deprivazione di sonno. Per quanto riguarda i falsi positivi (funzione
cognitiva complessa) il peggioramento accadeva molto prima, già dopo 23 ore di deprivazione di
sonno il numero di falsi positivi aumentava in maniera significativa (sul grafico quando la linea
scende, ovvero che i falsi positivi diminuiscono, significa che vi è stato un recupero di sonno).

 STUDIO DI GOTTSELIG E COLLABORATORI CHE VA A INDAGARE SEMPRE LE FUNZIONI COGNITIVE


SUPERIORI ed utilizza un altro tipo di compito, ovvero la generazione casuale di numeri, cioè in

questo caso la consegna crea una sequenza di numeri casuale


rispettando alcune regole, il compito diventa esecutivo perché vi
sono punti da rispettare, ad esempio bisogna evitare rindondanze
elencando sempre gli stessi numeri ed evitare di dire il numero
precedente o il numero seguente rispetto a quello detto (se dico 2
poi non posso dire né 1, né 3). In questo studio si è visto che già
dopo 19 ore di deprivazione di sonno il numero di rindondanze
aumenta (sul grafico queste aumentano a partire dalle 2 del
mattino, *clock time* sull’asse delle x). Dal secondo grafico invece
si può notare che già dopo 25 ore di deprivazione di sonno, la
percentuale di infrazione delle regole aumenta in maniera
significativa, quindi la performance va a peggiorare.

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 STUDIO DI KILLGORE E COLLABORATORI CHE VA A INDAGARE GLI EFFETTI DELLA DEPRIVAZIONE DI SONNO
SUI PROCESSI DECISIONALI (DECISION MAKING). In questo studio si è utilizzato la Iowa Gambling Task

(gambling sta per gioco d’azzardo) e il compito funziona in questo modo: si danno dei mazzi di carte
al sogg, il quale deve fare delle puntate come al Casinò, un tipo di mazzo di carte permette al sogg
di vincere molti soldi ma molto meno frequentemente e l’altro tipo di mazzo invece permette di
vincere molto spesso ma quote più basse. Di norma i sogg dovrebbero cercare di trovare il mazzo
che permette loro di vincere poco ma spesso. In questo compito i sogg non sanno quale sia il mazzo
che consente loro di vincere più volte, ma lo apprendono man mano che vengono dati loro più
mazzi di carte e quindi la performance migliora. I ricercatori hanno distinto 3 tipi campioni di
persone: 1. Persone che hanno dormito normalmente (condizione baseline, nessuna manipolazione
del sonno) 2. Persone che sono state deprivate di sonno 3. Persone che presentano delle lesioni
nella corteccia ventromediale, ovvero corteccia prefrontale, che è indispensabile per le funzioni
esecutive.

 Campione 1= miglioramento della performance man mano che ai sogg vengono dati più mazzi di
carte.
 Campione 2=miglioramento iniziale della performance, ma
dopo 50 ore di deprivazione di sonno quest’ultima va a
calare. Queste persone apprendono la regola, ma dopo un
tot. Di deprivazione di sonno non riescono più a metterla in
atto attraverso la funzione di decision making.
 Campione 3=parte da livelli molto + bassi di performance,
perché il processo decisionale è già alterato. Anche qui
vediamo che c’è un piccolo miglioramento, ma poi vi è un peggioramento
La cosa interessante è che notiamo un andamento simile, sviluppato però su valori diversi, tra coloro i quali
presentano lesioni alla corteccia prefrontale e coloro i quali sono stati deprivati di sonno.

 STUDIO SUL RAPPORTO TRA DEPRIVAZIONE DI SONNO E PIANIFICAZIONE DI NISSON E COLLABORATORI. È


stato utilizzato il Six Elements Task per valutare la pianificazione, consiste in 3 compiti semplici che
presentano 2 sottocompiti. L’obiettivo è di fare tutti e 6 i
compiti in un tempo breve, c’è però una regola ovvero che
non bisogna fare i 2 sottocompiti consecutivamente, in
questo modo si chiama in causa la pianificazione
prospettica, ciò significa che il sogg deve pianificare le

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

azioni prima di attuarle. I sogg che erano stati deprivati di una notte di sonno hanno avuto
performance peggiori rispetto al gruppo di controllo quando hanno svolto il Six Elements Task; 4
dei sogg del gruppo sperimentale hanno infranto almeno una delle regole, mentre il gruppo di
controllo no; addirittura 2 dei sogg del gruppo sperimentale hanno avuto dei punteggi ancora
peggiori rispetto agli altri.

Resoconto: i paradigmi di deprivazione del sonno hanno mostrato un effetto negativo del debito di sonno
su un numero di funzioni neurocognitive complesse che includono l’inibizione della risposta prepotente,
processi decisionali e di pianificazione. Alcuni livelli di deterioramento cognitivo riguardanti specifiche
funzioni di attenzione ed esecuzione possono essere trovati anche in sogg che sono in allerta oppure che
sembrano performare bene, per esempio può succedere che dopo una notte di deprivazione di sonno viene
somministrato il PVT ai sogg e la performance fondamentalmente non peggiora, ma se viene fatto fare un
compito come quello Go-noGo si può notare che la performance dei sogg peggiora anche solo dopo una
notte di deprivazione di sonno. Tuttavia vi sono alcuni dati contrastanti: alcuni hanno visto che dopo 36 ore
di deprivazione di sonno non ci sono effetti sul test di Stroop, non vi sono effetti sull’inibizione, oppure sulla
generazione casuale di numeri e lettere. Molto interessante è misurare la vigilanza e la performance + volte
durante il giorno per controllare gli effetti delle variabili circadiane, dell’inerzia del sonno e della riduzione
nel tempo della vigilanza dovuta a fattori di natura omeostatica. Un’altra cosa importante è tenere distinti il
dominio soggettivo da quello oggettivo.

Riguardo l’ultimo punto Van Dongen e collaboratori


hanno visto che dal punto di vista oggettivo il numero
di lapses quando i sogg fanno il PVT aumenta in
maniera significativa a 4 ore di TIB(time in bed),
quando invece i ricercatori somministrano la Karolinska
i sogg si sentono all’incirca tutti quanti bene dal punto
di vista soggettivo, anche quando il loro sonno viene
ristretto per vari giorni (debito cumulativo di sonno).

Un altro problema importante presente in letteratura riguarda l’etereogeneità delle batterie di test che si
utilizzano. Bisognerebbe tener conto vari aspetti dei compiti: la difficoltà, il fatto che il compito è nuovo, la
validità ecologica, il fatto che il compito si può ripetere, l’affidabilità e il tempo sul compito. Tenere conto di
tutti questi aspetti insieme è impossibile, perché bisognerebbe costruire una batteria completa che per
testarla su un sogg ci vorrebbe una giornata.

Infine vi è un focus sulle differenze individuali: vi sono soggetti con un’alta capacità di andare a dormire,
attitudine ad addormentarsi facilmente, che si esprime con una latenza di addormentamento breve (high

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sleep ability) e che non è dovuta a fattori circadiani, omeostatici e ambientali. Ad esempio se a queste
persone viene fatto fare il Multiple Sleep Latency Test, per cui viene detto loro di addormentarsi il prima
possibile, si addormenteranno subito ma ciò non significa che sono sonnolenti come ci aspetteremmo, anzi
se vengono somministrati loro altri compiti risulterà che non lo sono, bensì semplicemente hanno un’alta
abilità ad addormentarsi. Ferrara e De Gennaro ci dicono che dobbiamo tener conto di queste differenze
individuali nel momento in cui vogliamo andare a vedere gli effetti del sonno sulle funzioni cognitive, in
particolare dobbiamo rispondere a questa domanda “di quanto sonno abbiamo bisogno?” per cui
suggeriscono di creare delle sonnotipologie, che tengano conto del sesso, dell’età, della posizione sul
continuum serotino-mattutino, per cercare di capire di quanto sonno abbiamo bisogno, ad esempio per
dire che tu hai bisogno di 8 ore di sonno devo tener conto di tutte le tue caratteristiche.

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8° LEZIONE
EFFETTI DEL SONNO SUI PROCESSI MENSTICI
Quando noi diciamo effetti del sonno sui processi mnestici intendiamo dire se il sonno ha un effetto sui
processi di apprendimento, se c’è una relazione che lega il sonno con i processi di memoria. Questa cosa
equivale a fare in realtà 3 domande di ricerca che sono distinte.
Prima di tutto dobbiamo capire se il sonno ha effetti sull’acquisizione del materiale. Perché per fare la
distinzione che stiamo facendo voi dovete ricordarvi che la memoria non è una cosa che avviene ora in un
determinato momento, in un modello multiforme. La memoria è composta da varie fasi sono
schematicamente:
- una fase di acquisizione in cui io assimilo e prendo delle informazioni e le registro come traccia mnestica.
- dopo di ché quell’informazione che ho acquisito va riveduta che è come dire: se io prendo un appunto
quando scrivo sto acquisendo, poi quel fogliettino lo metto in un cassetto. Quell’operazione si chiama
ritenzione, cioè faccio in modo che il fogliettino non vengo perso. La ritenzione può essere più o meno
efficace, infatti si avranno informazioni disponibili in memoria ed altre che andranno perse e diciamo
costituiscono quell’aspetto che viene definito oblio, cioè voi avete del materiale perduto e del materiale
dimenticato che è quello che cade in oblio e non è quello di cui non abbiamo traccia nel nostro sistema
nervoso .
- la terza fase è il recupero , è il momento in cui quell’informazione che io ho appreso ,quel comportamento
viene liberato dal cassettino e quando abbiamo bisogno di un qualche cosa che sia adattivo lo recuperiamo
in memoria.

1)Quando io parlo degli effetti sull’acquisizione io sto dicendo: il sonno fa qualche cosa rispetto
all’acquisizione e alla presentazione di stimoli? Se io vi do un informazione quando dormite succede
qualcosa? Questa è la domanda la seconda domanda è 2)quali sono gli effetti del sonno sulla ritenzione e
sull’elaborazione del materiale appreso prima del sonno? Perché ho scritto anche elaborazione? Perché
esiste un modo di ritenere che è legato alla possibilità che il materiale che noi abbiamo acquisito mentre
eravamo svegli , affinché l’informazione sia adattiva il cervello la riprocessa durante il sonno. Questa è una
cosa che si sa oggi, prima si erano fatte delle ipotesi di tipo differenti di cui ne parleremo dopo.
a.)Da un lato c’è la possibilità che io vada vi registri la lezione e ve la faccia ascoltare mentre dormite, b.)
mentre l’altra, più interessante, è che io vi faccia sentire la lezione prima di andare a letto e capiamo due
cose: a.)se al vostro risveglio questa lezione sarà stata ritenuta elaborata meglio rispetto a quando viene
appresa in veglia, b.) e capiamo se il fatto che il cervello sta lavorando a dei processi di memorizzazione
determina dei cambiamenti nella struttura del sonno. perché il rapporto è biunivoco: così come noi

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possiamo pensare che il sonno modifichi il processo di memoria dobbiamo pensare che la memoria e gli
apprendimenti abbiano degli effetti sul sonno.

La terza domanda è questa: 3) se io dormo bene o male qual è l’effetto dei cambiamenti nel sonno sul
modo in cui io apprendo nel giorno successivo? Ieri abbiamo dato una mezza risposta a questa domanda:
Nel momento in cui il nostro sonno è ridotto, accorciato, poco efficiente, poco organizzato, cosa succede al
soggetto quando gli faccio fare una prova di risk making oppure di pianificazione. Manca un piccolissimo
pezzetto per rispondere alla domanda : se voi acquisite l’informazione dopo che vi siete svegliati, qual è
l’effetto del sonno precedente? Cioè adesso voi state acquisendo e immaginiamo che dopo il vostro
processo di consolidamenti e riduzione cambia a seconda se siete ancora svegli o se siete andati a dormire.
Facciamo la domanda all’incontrario: immaginiamo che adesso voi vi siate appena svegliato ed abbiate
fatto dopo la lezione precedente un nap, appena svegli io vi dico delle cose. Il sonno precedente ha un
effetto sul modo in cui acquisite? Questo è il pezzettino che ci manca e risponderemo molto velocemente a
questo con un esperimento che ha chiarito completamente la faccenda un esperimento di due autori
australiani che si chiamano Lovatt e Warr, lo vedrete tra poco.

★Adesso andiamo ad affrontare specificatamente la prima domanda. Per il momento la risposta al quesito
ma se noi siamo dormendo e mi danno delle informazioni, esse le imparo meglio o peggio che cosa
succede? È una domanda che ha una risposta precisa. Qual è la risposta?
il primo esperimento che ha provato a chiarire questa cosa è di due autori che si chiamano Simon ed
Emmons, che presentavano del materiale verbale. All’inizio di questa storia il materia era presentato più o
meno nello stesso modo e cioè come o sillabe senza significato o con triplette di lettere secondo il
modello di Ebbinghaus (quello dell’oblio). Quindi per vedere il modo in cui il materiale nel tempo venisse
perso usava delle triplette di lettere senza senso. Per molto tempo il materiale è sempre stato verbale.
Quando avviene questo tipo di somministrazione noi sappiamo che c’è un problema legato alla riduzione
sensoriale. Probabilmente se noi abbiamo minori afferenze rispondiamo in maniera ridotta. Tant’è vero che
quando Livingstone e Hubel vanno a studiare l’entrata degli impulsi visivi che cosa vedono? Vedono che gli
impulsi viaggiano abbastanza normalmente fino ai corpi genicolati. Dal talamo in poi l’impulso si ferma.
Soprattutto a sonno ad onte lente la trasmissione dei nuclei genicolati alla corteccia è completamente
ridotta. In più quando andate a vedere le componenti tardive dei potenziali evocati di solito questo viaggio
è accompagnato da componenti tardive nei potenziali evocati. Quando io mando l’impulso il sistema
nervoso risponde con componenti precoci nella periferia, più va in periferie più le componenti di risposta
sono tardive. Già i sonno REM le componenti tardive dei potenziali evocati sono abolite. Quindi questo vi
dice che anche nella fase del sonno in cui siamo più attivi c’è una diminuzione delle afferenze sensoriali.
Questi è stato dimostrato da Llinas e Parè.

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A conferma di queste ipotesi una teoria di Koulack e Goodenough che si chiama teoria dell’
attivazione/recupero (da non confondere con la teoria sulla generazione del sonno che studieremo che si
chiama teoria dell’attivazione sintesi).
“La codifica di una traccia dipende dalla presenza di un minimo livello di attivazione (= arousal), non
disponibile durante il sonno”
ora questo livello di attivazione minimo non è disponibile durante il sonno a meno che noi non vediamo
nel soggetto che sta dormendo dei brevi treni di alfa che però se ci pensate non sono nient’altro che
l’intrusione di pezzetti di veglia . cioè la persona sta dormendo ed ha un attivazione. Nel corso
dell’attivazione noi vediamo elettrofisiologicamente delle sequenze di alfa che ci permette di fare una
siglatura di stato di veglia del soggetto ma anche laddove compare lo stadio ! dove c’è theta e un poco di
alfa quell’alfa consente di memorizzare alcune cose. È quello che succede quando noi facciamo dei risvegli
dopo sonni particolarmente interessanti, che ci hanno attivati emotivamente. Noi facciamo un piccolo
risveglio poi ci riaddormentiamo. Quel piccolo risveglio ci garantisce un livello di arousal minimo nel
sonno. E la mattina ci risvegliamo e ci ricordiamo il sonno le persone che dicono: non ricordo mai i sogni.
Visto che tutti sogniamo ci dice indirettamente una cosa sulla qualità del sonno : perché sono soggetti che
non si svegliano e ricordano a fatica i sogni del risveglio finale. Se invece incontriamo quelli che si ricordano
i sogni potremo sospettare una cattiva qualità del sonno perché si svegliano in continuazione.
Nel sonno Rem di maggiore attivazione cambia qualcosa rispetto al NREM? In realtà non moltissimo,
cambia soltanto qualcosa se noi introduciamo la classificazione fondamentale dei sistemi di memoria.
Classificazione dei sistemi di memoria secondo Squire (1984):
Memoria dichiarativa: insieme di nozioni, idee ed eventi che possono essere richiamati in maniera
cosciente (o “esplicita”) sotto forma di proposizioni verbali e/o immagini mentali
Memoria procedurale: è implicita, ed espressa da modifiche del comportamento. Include abilità motorie e
percettive, ma anche risposte elementari come l’abitudine e il condizionamento

La codifica in sonno di materiale dichiarativo è ridotta, e la somministrazione di tale materiale mentre


l’individuo dorme causa essenzialmente una frammentazione del sonno (Roth et al., 1988; Wyatt et al.,
1994)
Sembrano invece possibili alcune semplici forme di apprendimento procedurale, a.e. risposte condizionate
(Beh e Barratt, 1965).

★Domanda successiva: ricordare di più grazie al sonno? Qui la scoperta inizia nel 1924. Inizia sulla spinta
della primissima psicologia della memoria. Loro avevano un idea secondo la quale l’oblio dipendesse dal
meccanismo dell’interferenza . qualcuno ricorderà che esistono due interferenze:
- interferenze retroattiva: studi sonno e memoria parte 1, quando andrai a studiare sonno e memoria parte

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2 confonderai con delle nozioni imparate nella parte 1 - interferenza proattiva: quando imparo una cosa,
essa va a disturbare le cose che sono imparate dopo. Cioè se io conosco bene un testo di una canzone per
imparare un altro testo questo è difficile perché le cose che ho acquisito prima vanno interferire con le cose
nuove
l’interferenza dipende dalla quantità d’informazioni (più impari più hai interferenza). All’epoca quando gli
psicologi della memoria volevano dimostrare le ipotesi dell’interferenza: quando noi dormiamo visto che
le informazioni sono di meno il sonno farà meno interferenza retroattivo su quello che ho imparato prima
di andare a dormire. Quindi quando mi sveglio, io ricorderò meglio per il motivo della riduzione
dell’interferenze. Il modello e questo modello qua:

Presumono che quando l’interferenza è minore ci deve essere un effetto differente


Jenkins e Dallenbach sono i primi 2 psicologi sperimentali che disegnano un esperimento in questo modo:

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Il materiale è una serie di sillabe alla Ebbinghaus e vengono testa varie durare del sonno. Questo è
assolutamente geniale perché chiarisce fin dal 1924 cose che colleghi credevano di aver scoperto nel 2000.
Che cosa fanno? Il soggetto dorme, acquisisce il materiale da sveglio, poi passa un periodo che si chiama
periodo di ritenzione. Questo può essere trascorso in una condizione in sonno, e in una condizione di veglia.
E noi ci aspettiamo che nella condizione di sonno si dormi meglio. Questa cosa fu fatta per 8 ore, 4 ore, 2
ore, 1 ora. In tutte le condizioni otteniamo che il richiamo del materiale è migliore quando il periodo di
ritenzione è trascorso in sonno rispetto alla veglia. Questo fenomeno viene chiamato sleep effect (effetto

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sonno). Lo sleep effect viene replicato tantissime volte, utilizzando anche compiti diversi.

Se chiedo al soggetto di ricordare alle 8 del mattino no è la stessa cosa che chiederglielo alle 20. Siccome
non veniva fuori l’effetto sonno, come faccio a sapere se l’effetto sono non ci sta proprio oppure è
annullato dal fatto che quando dovrebbe esserci io lo sto testando in un momento della giornata che non è
indicato.

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In base ai numerosi esperimenti fatti dal ’24 in poi, possiamo dire che l’effetto sonno esiste. Cioè è molto
robusta l’ipotesi che esista l’effetto sonno.

Nel ’77, Benson e Feinberg (Feinberg è quello che ha fatto l’esperimento sonno basale/ privazione di sonno
ad onde lente). Devono capire se realmente l’effetto sonno visto nel 24 dipende dal meccanismo delle
interferenze (ok c’è l’effetto sonno, ma siamo davvero di cui che dipenda da questa diminuzione delle
interferenze?) fanno questo esperimento in cui mettono: 8 ore di veglia (A), 8 ore di sonno (D). Fanno le
condizioni B e C che hanno 4 ore di sonno e 4 ore di veglia entrambe. Come quantità la condizione B e C
hanno interferenze uguali. B e C hanno 4 ore di alta interferenza che sono di veglia, e 4 ore di sonno di
bassa interferenza. Allora se io assumo l’ipotesi di Jenkins e Dallenbach (i due punteggi devono essere
uguali) io mi aspetto di confermare l’ipotesi delle interferenze trovando B e C uguali. Alla fine non è così,
vengono due condizioni differenti. Nella condizione B voi avete l’acquisizione, poi il soggetto se ne va a
dormire, si sveglia, sta sveglia e alle 20 gli chiediamo il richiamo. Nella condizione C acquisisce, sta sveglio
poi alle 16 se ne va dormire e si sveglia alle 20. Non c’è un problema circadiano. In realtà quello che
vediamo è che nella condizione B l’effetto sonno. Naturalmente sono entrambe peggiori della condizione D
dove il soggetto dorme nelle 8 ore, ma avendo 4 ore di sonno il sonno è più positivo se viene messo

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immediatamente dopo l’acquisizione. Hanno dimostrato che l’ipotesi dell’interferenza dell’effetto sonno
no è sufficiente. Dobbiamo avere un'altra spiegazione per quest’effetto sonno e dicono questo: quando noi
dormiamo succede qualche cosa nel sonno che favorisce la scrittura dell’annuncio. Allora quando noi
andiamo subito a dormire questo qualche cosa consolida ciò che abbiamo appena acquisito, quando poi ci
svegliamo le interferenze della veglia agiscono sulla parte già consolidata. Quindi noi abbiamo delle
interferenze che rompono le scatole ma il materiale che possiamo disturbare è già piuttosto. Guadagno 100
euro, se io vado subito a dormire a dormire e metto da parte i 100 euro, c’è un meccanismo nel sonno in
cui c’è qualcuno che prende i 100 € e me li mette sul conto in banca, quando poi mi sveglio e c’go l’attacco
maniacale che li voglio spendere spendo qualche cosa ma sono più lento perché i 100€ sono stati messi da
parte. se invece non vado a dormire e i 100€ e li vado a spendere tutti quando poi vado a dormire in realtà
non ci sono più e quindi ovviamente io faccio interferenza su un materiale che io ho già perso. Questa cosa
ci fa fare un ipotesi detta ipotesi del consolidamento. Nel sonno succede qualcosa che mi fa scolpire
meglio la traccia mnestica. Va detto anche che oggi ricercatore: ma il sonno ha una funzione passiva, come
dicevano Jenkins e Dallenbach, una funzione permissiva cioè che consente essendo la cornice fisiologica
protettiva che altri fattori favoriscano il consolidamento, o attiva cioè è il sonno che consolida la traccia?
Quasi tutti pensano che sia un processo attivo c che non solo è consentito dal sonno ma è operato dal
sonno stesso sulle tracce.

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EFFETTO DEL SONNO PRECENDETE

Cerca di capire se io mi sveglio e acquisisco dopo aver dormito se quella cosa ha un effetto così come il
sonno ha un effetto dopo.

Condizione veglia-veglia (W-W): acquisisco (training), so sveglio, richiamo (recall).


Condizione veglia- sonno (W-S): acquisisco (training), dormo, richiamo (recall).
Condizione sonno-sonno (S-S): dormo, mi sveglio, acquisisco (training), richiamo (recall).
Condizione sonno-veglia (S-W): dormo, acquisisco (training), so sveglio, richiamo (recall).
la condizione migliore è quella in cui io prima so sveglio, acquisisco che sto bello sveglio e attivo e
l’acquisizione è più facile. Quindi la WS, seguita dalla condizione WW, perché è la condizione in cui io
acquisisco sempre con un buon livello di attivazione poi purtroppo c’ho le interferenze dopo della veglia
dopo ave acquisito. Ma le condizioni peggiori sono quelle che hanno il sonno prima, la condizione SS, e la
condizione SW che è la peggiore di tutti, quella in cui io dormo, mi sveglio tutto intontito, acquisisco già
poco poi non vado manco a letto a consolidare quel poco che ho acquisito. Col nap il peso del torpore
cognitivo è minore perché uno può ragionevolmente pensare che se ha dormito mezz’ora, si sveglia e
acquisisce, il cambiamento sia molto piccolo.

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DOPO LA SCOPERTA DEL SONNO REM


Un grande fermento degli studi sul sonno e memoria tutte le banche di ipnologia esplodono dopo il 53.
Anche in questo caso, mentre la domanda prima era: “il sonno fa bene per la ritenzione?”, diventa: “ma
vuoi vedere che quello che importa è proprio il sonno REM?”

Le ricerche si focalizzano sul ruolo del sonno REM nello sleep effect. Tra l’altro, ci sono i dati
oggettivamente importanti al di là dell’attivazione corticale e neurovegetativa, e c’è il fatto che i bambini
piccoli hanno un sacco di sonno REM ed alcuni animali hanno un elevato sonno REM nei primi periodi dello
sviluppo. In più c’è un legame tra il sonno REM e l’encefalizzazione: cioè apparentemente gli animali che
hanno più sonno REM hanno un grado più alto di encefalizzazione.

Vi ricordate la differenza tra psicofisiologia e psicologia fisiologica?


La psicofisiologia studia i cambiamenti con una variabile indipendente fisiologica a fronte di una
manipolazione di una variabile psicologica. Esempio: vi stresso e quindi manipolo qualcosa di psicologico e
misuro il livello di cortisolo nel sangue. Nel parallelismo nel sonno, lo studio del sonno può avvenire come
VD fisiologica. Come manipolo la psicologia? Manipolo la memoria. Come manipolo memoria? Ad esempio,
somministrando dei training intensivi. Ad esempio prendo un topo, gli faccio imparare un compito di
labirinto radiale (alla fine c’è il cibo) il topolino deve imparare dove sta il cibo così la volta dopo lo va a
prendere più velocemente. Quindi è una manipolazione della memoria: gli sto inducendo un
funzionamento maggiore dei processi di memoria. Nel paradigma psicofisiologico il sonno è la mia VD, vedo
come cambia. Se noi ipotizziamo che il sonno REM si fondamentale, io cosa mi aspetto? Mi aspetto che se
somministro il training intensivo troverò nel sonno successivo un aumento del sonno REM.
qual è il paradigma di psicologia fisiologica? È il paradigma opposto: la variabile dipendente psicologica, la
variabile indipendente è fisiologica. Quindi che cosa succede in questo caso: io manipolo il sonno (ad
esempio con una privazione) e ovviamente in questo caso faccio una privazione del sonno REM che cosa
succede se privo di sonno REM e se l’ipotesi è giusta io mi troverò un peggioramento della mia VD che in
questo cado è psicologica, cioè la VD in questo caso è la memoria ed è il punteggio che io ottengo al
risveglio. Quindi prendo il topoli8no e gli faccio un disegno , gli faccio fare il labirinto oppure vedo il
compito di labirinto appreso la sera se va meglio dopo che gli ho fatto la privazione REM, con l’ipotesi che
ovviamente il miglioramento non ci sia.

Poi c’è un terzo paradigma che è la possibilità di ottenere una manipolazione del sonno cioè di avere la
variabile che cambia secondo un paradigma di psicologia fisiologica quindi cambiare il sonno per vedere
come cambia la prestazione di memoria senza andare a interferire troppo sul sonno, perché se io faccio la
privazione del sonno REM è stressante, quindi stiamo manipolando il sonno in maniera un po’ invasiva e
quindi rischiamo di avere degli effetti che non sono legati alla funzione REM.

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Invece c’è un paradigma che è un pop’ più naturalistico che consiste in questo: metto a confronto due tipi
di sonno: early sleep (sonno precoce). Visto che si sviluppa nella prima parte della notte è un sonno con
molto sonno ad onde lente, e il late sleep (sonno tardivo) sonno pieno di sonno REM.

PRIMO APPROCCIO: STUDIO SUGLI ANIMALI il motivo per cu è stato fatto l’esperimento: quando si va a
vedere usando questi paradigmi si va a verificare l’ipotesi di partenza vera il sonno che conta per
l’apprendimento è quello REM. Purtroppo il risultanti sono tutt’altro che premianti. All’inizio sembra che le
cose vadano bene perché all’inizio si testano gli animali. Negli esperimenti sugli animali quasi tutti gli studi

mostrano che negli studi post-apprendimento c’è un incremento del sonno REM all’interno di periodi
specifici che si chiamano REM windows (finestra di REM). Che cosa significa? Significa che più o meno ha
una latenza prevedibile, cioè che dipende dalla specie di animali, ci sono dei pezzi di Rem in cui aumenta la
sua densità, e gli sperimentatori dicono che questa è la manifestazione data dall’apprendimento sul sonno
REM.

Ora fate caso a una cosa, c’è anche un incremento nelle onde PGO e in più ci sono degli esperimento che
invece di fare dei compiti un po’ artificiosi (come il labirinto radiale), fanno una cosa più ecologica:
sottopongono i ratti in un ambiente arricchito invece di avere la solita gabbiette riempiono un ambiente di
stimoli sensoriali di vario genere. Che cosa succede? Che quel tipo di aumentata informazione chiede un
apprendimento, un lavoro del sistema nervoso centrale che deve incorporare più stimoli. E poi vado a
vedere quello che succede. E quel che viene fuori è che aumenta il REM.

i problemi sono che a lavorare su queste cose sono sempre gli stessi e che a fronte di questi esperimenti ci
sono alcuni che dicono: va bene però per avere la prova del 9 andiamo a vedere che cosa succede al sonno
non rem. Perché ovviamente la teoria diventa più esaustiva nel momento in cui il REM cambia e il NREM no
e invece:

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(questo è uno studio fondamentale che ha dimostrato la presenza nell’uomo del sonno locale
nell’uomo succede similmente a come accade nei delfini: vi faccio fare un compito motorio di tipo di
aggiustamento di traiettoria con il mouse. Voi dovete seguire sullo schermo un movimento di una
pallina che all’inizio è circolare e quindi è facile da apprendere. Poi dopo un po’ questa pallina inizia ad
avere delle deviazioni prevedibili. Quello che imparate a fare è un aggiustamento , cioè mentre la inseguire
sapere già dov’è che dovete deviare per uscire a seguire la pallina. Questo compito sollecita la corteccia
motoria frontale/posteriore/parietale. Che cosa succede? Succede andate a vedere con l’EEG ad alta
risoluzione il sonno ad onde lente lo andate a trovare solo nella corteccia motoria. La cosa interessante è
anche un'altra: questo effetto non è legato solo all’affaticamento, voi proteste dite: vabbè l’effetto S che
cosa centra? Ci dice che se aumenta la durata della veglia aumenta il sonno ad onde lente, ma la cosa non
dipende dalla durata della veglia ma è legato ad un compito d’interessa di una zona quindi non è
importartene solo la quantità della veglia ma anche la qualità , quello che sta succedendo nella veglia.
quindi voi stimolate la corteccia motoria primaria, e quando dormire fa sonno più profondo delle altre zone
cerebrali. Questo si chiama sonno locale ed è un fenomeno che mostra evidentemente un legame dei
processi di apprendimento con il sonno onde lente no con il sonno REM.

Ancora, se noi facciamo dei compiti di tipo motorio negli animali dopo andiamo a misurare i fusi del sonno
e troviamo un aumento un aumento di fusi del sonno. I fusi del sonno stanno nello stadio 2. Quindi se noi
avevamo fatto un ipotesi legame apprendimento/sonno REM come minimo dobbiamo metterlo in
discussione perché ci stanno altrettanti studi che vedono un legame tra apprendimento e stadio 2.

PRIMO APPROCCIO: STUDIO SUGLI UMANI Se però oltre gli studi sugli animali andiamo a vedere gli studi
sull’uomo è ancora peggio: cioè noi abbiamo una letteratura spaccata a metà in cui una parte dei risultati
mostra l’apprendimento nel REM, una parte nei fusi, una parte nel sonno ad onde lente. Abbiamo
nell’uomo lo stesso tipo di risultato molto disgregato per cui non possiamo ancora dire qual è la
componente del sonno davvero importante.

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SECONDO APPROCCIO: PRIVAZIONE

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Risposta molto incerta sulla questione: nel sonno quello che conta è effettivamente è il sonno REM?
il tentativo di uscire da questa palude è quello di chiamare in causa la distinzione tra memoria dichiarativa e
procedurale.

I processi mnestici durante il sonno dipendono dal sistema di memoria implicato?

E quindi viene formulata un ipotesi si detta one-to-one oppure dual process (processo duale)
perché one-to-one? Perché viene postulato che il REM dona benefici alla memoria procedurale e il sonno
NREM dona benefici alla memoria dichiarativa

REM MEMORIA PROCEDUALE

NREM MEMORIA DICHIARATIVA

Uno può dire ma perché viene fatta questa ipotesi campata in aria? Ci sarà un razionale per prevedere che
il legame sarà questo? Ciò è stato provato in un grande esperimento pubblicato su science che fu fatta da
un ricercatore israeliano Karni nel 1991. In questo esperimento viene utilizzato un compito procedurale
che si chiama ”discriminazione visiva del tessuto”. È un tessuto di stimolo molto simile in cui io vi faccio
vedere tutta una serie di trattini orizzontali e vi dico di guardare il centro del tessuto che è questa T
inclinata. Che cambia come tipologia di stimolo (a volte è una L inclinata) quello che deve fare il soggetto è
riconoscere il più velocemente possibile degli stimoli simili che sono presentati in maniera diversa. Potete
notare delle barrette inclinate (★) e l’obiettivo è che il soggetto divenga più veloce nel riconoscerli. Quindi
fanno una discriminazione di tipo visivo e il compito è il compito procedurale percettivo (procedurale
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perché è una competenza) che cosa fa Karni? Fa due privazioni: una di sonno REM e una privazione di
sonno NREM rispetto a ua condizione in cui vede cosa succede con sonno normale cioè se c’è un effetto di
sonno. L’effetto sonno c’è. Questo significa che la mattina rispetto alla condizione di veglia il soggetto fa
più velocemente il compito se dorme. Tuttavia, se noi gli toglioamo il sonno REM il miglioramento non c’è.
Ma la cosa più interessante è che la privazione a sonno ad onde lente non compromette il miglioramento .
quindi:
-La performance ad un compito di discriminazione visiva migliora dopo una notte di sonno indisturbato;
-La privazione selettiva di sonno REM impedisce tale miglioramento durante un analogo intervallo di
ritenzione, mentre…
-…la privazione di Sonno a Onde Lente (SWS) non compromette il miglioramento.

Per attestare completamente ciò voi dovere testare contemporaneamente un compito procedurale e un
compito dichiarativo. Quale può essere un compito dichiarativo? Questo:

il richiamo può avvenire in due modi: o io dico bene sedia-montagna, lascio il foglio bianco e voi dovete
ricordare sedia-montagna, oppure esce sullo schermo del computer sedia e voi dovete dire montagna in
un tempo massimo.

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Che cosa fanno questi due autori Plihal e Born (Born ha mostrato i picchi di cortisolo variabili a seconda se
avvisi il soggetto di quando si è svegliato). Fanno il modello del one –to-one in cui usa il paradigma sonno
precoce-sonno tardivo. Ricordatevi quel paradigma che vi ho detto se io faccio dormire 3-4 ore e la notte
ho un sonno pieno di sonno ad onde lente se io faccio dormire la seconda parte della notte c’ho un sonno
pieno di REM. Guardate i risultati quando io vado a fare due test: uno di lista di parole, e un altro
procedurale che non è l’assegnazione visiva del tessuto utilizzata da Karni ma è un compito di disegno allo
specchio. Diventate sempre più bravi apprendendo.vi faccio fare questo compito, vi mando a letto. in un
cado vi vado a letto dalle 0 alle 4, in un altro cado dalle 4 alle 8. Vedete cosa succede: nel caso della lista di
parole accoppiate il compito dichiarativo, nel late sleep non succede niente, cioè nella seconda parte della
notte piena di REM non succede niente. Dov’è che noi vediamo il beneficio del sonno rispetto alla veglia?
Lo vediamo nell’ early sleep quando c’è il sonno ad onde lente. Cosa succede invece per il compito
procedurale? (Io disegno davanti allo specchio) esattamente il contrario: nulla della prima parte della notte
beneficio del gruppo sonno rispetto al gruppo veglia nella seconda parte della notte, dove c’è il sonno
REM.

E quindi il legame, l’ipotesi one-to-one così sembra molto solida. L’ipotesi che subito è stata messa in
discussione

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CRITICHE AL MODELLO

Ma a me a che mi serve un modello che non è predittivo di nulla?


io ho un modello, un modello così può essere utile mi consente di dire che se uno va sugli scii la notte è
importante il sonno REM. Se invece uno impara le capitali del nodo la notte aumenta il sonno ad onde
lente, e queste onde lente sono benefiche. E detto così sarebbe utilissimo perché così mi permette di fare
delle previsioni. Guardate cosa succede: ci sono dei problemi.

Questo è un richiamo di parole. Il richiamo di parole è dichiarativo. Un richiamo dichiarativo secondo il


modello beneficerebbe di sonno ad onde lente e quindi di sonno precoce. Vediamo che il beneficio del
sonno precoce vale solo per il materiali neutrale però se io metto del materiale emotigeno , quindi
prendo il materiale dichiarativo con contenuto attivante dal punto di vista emotivo, i benefici non ci sono
più. Quindi bastava aggiungere un'altra caratteristica del compito in questo caso l’emotigeneticità per
perdere il valore predittivo del modello.

77
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Vediamo l’altro esempio:

Walker mostra che l’apprendimento di tipo procedurale motorio, che secondo il modello di Plihal e Born
dovrebbe trarre beneficio dal sonno REM, invece non è vero perché se aggiungete la componente motoria
spiccata. Quindi procedurale non è più la discriminazione del tessuto ma fate fare un compito motorio, il
beneficio non è più del sonno REM ma dello stadio 2 che non è NREM, e quindi nuovamente quel modello
non serve più. alla fine uno dice: la divisione è un po’ forzata, e allora dovrebbe andarsi a vedere la
letteratura precedente. E quello che vede è questo:
brevi testi materiale dichiarativo ,dovrebbe peggiorare dopo la privazione del sonno REM. Poi va a
prendere delle storie: materiale dichiarativo: peggiora dopo la privazione del sonno REM

 A fronte di solide evidenze sperimentali concernenti la relazione sonno REM-memoria procedurale, il


modello non pare spiegare adeguatamente quelle ricerche del passato che non mostravano differenze tra
gli stati di sonno, o indicavano persino una superiorità del sonno REM, nella determinazione dello “sleep
effect” per il materiale dichiarativ
 Molti compiti non sono né puramente “procedurali”, né puramente dichiarativi (a.e., apprendimento
codici Morse).
 La suggerita relazione REM-procedurale/NREM-dichiarativo è in effetti confutata da molti studi recenti in
cui i compiti hanno caratteristiche “addizionali”.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

9° LEZIONE
Allora ripetiamo molto rapidamente cosa abbiamo fatto nella scorsa lezione.
 Noi abbiamo sicuramente visto in dettaglio
l’ipotesi “dual-process” o “one to one” che lega
idealmente l’effetto sonno per i compiti di
memoria dichiarativa al sonno NREM e per i
compiti di memoria procedurale al sonno REM.
 Abbiamo visto l’esperimento in cui si manda il
soggetto a letto nelle prime 4 ore della notte o nelle seconde 4 ore della notte per
avere rispettivamente un sonno ricco di onde lente nel primo caso o di REM nel
secondo caso.
 Abbiamo visto che usando un compito della lista delle parole accoppiate o di
disegno allo specchio, quest’ultimo mostra un beneficio rispetto alla veglia
quando il sonno è “late”, mentre la lista delle parole accoppiate quando il sonno è
“early”; quindi abbiamo confermato, in questo paradigma, l’ipotesi quantitativa.
 Poi però siamo andati a vedere che questo modello che sembra così solido, di
fatto, lascia adito ad alcune critiche:
1. una riguarda la difficoltà di interpretare i risultati della letteratura
precedente, i quali non mostrano un legame REM-dichiarativo
2. l’altra riguarda il tipo di compito: fare una distinzione così secca tra
dichiarativa e procedurale ci può essere poco
utile rispetto ai fini dell’apprendimento della
vita di tutti i giorni, ma soprattutto l’idea della
parcellizzazione dei compiti fa si che noi ogni
volta che prendiamo un compito con
caratteristiche specifiche e magari entriamo in

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

uno stato di sonno il legame ipotizzato dal “one to one” non è più
predittivo.
 Abbiamo fatto degli esempi, questo è un richiamo di materiale dichiarativo che
voi vi aspettate sia migliorato dal sonno precoce e che invece, in realtà, non
mostra un miglioramento quando nel compito viene inserito un materiale di tipo
emotigeno, in quel caso, apparentemente, il sonno REM ha un effetto
esattamente uguale al sonno NREM.
 L’esempio speculare è quello dell’attività motoria,
nell’uomo, ma anche nell’animale: fare training
intensivo su un’attività procedurale-motoria, non
determina un aumento del sonno REM (così come
prevede il modello “one to one”) ma determina un
aumento dello stadio 2 e in modo particolare della componente che è costituita
dai fusi del sonno. Anche questo, quindi, non è più predetto e ci sono, quindi,
tanti esempi che fanno si che il modello sia scarsamente predittivo e di
conseguenza scarsamente utilizzabile.
 Questo era uno schema che faceva
vedere come il modello principale si
complica in questo modo: in particolare
vedete che il sonno NREM va bene per la
memoria dichiarativa mentre il sonno
REM va bene per la memoria
procedurale ma anche il sonno NREM va bene per la memoria procedurale..
insomma questo è uno schema complicato e che ci fa chiedere “non è che
dovremmo cambiare il modello?”

Il modello successivo nasce dalla domanda “E’ realmente plausibile che ci sia
soltanto l’interazione tra un sistema di memoria e uno stato di sonno che escluda
80
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

completamente l’altro stato?” oppure dobbiamo pensare che, in realtà, “le due
componenti o stati differenti del sonno (REM e NREM) siano cooperativi
(interagiscono affinchè venga determinato l’effetto sonno)?”

LA COOPERAZIONE NREM –REM


Come sempre, quando c’è la nascita di un nuovo modello psicologico, di una nuova
ipotesi di ricerca, questa ipotesi non è campata in aria ma si fonda su delle
osservazioni.
Tali osservazioni, in questo caso, sono di più tipi e guidano verso l’idea della
correlazione NREM-REM:
1. DIALOGO IPPOCAMPO-CORTECCIA. La prima è
un’osservazione del modello fisiologico
che ha a che vedere con un particolare
tipo di attività EEG che si sviluppa nel
corso del sonno NREM nella sequenza NREM-REM; questo, qualcuno lo ha
definito “dialogo ippocampo corteccia” cioè flussi di informazione o spike
(impulsi) neuronali che viaggiano dalla corteccia verso la zona ippocampale.
L’ippocampo è molto importante per la memoria dichiarativa (hanno un
legame) e questo fu dimostrato, in modo particolare, dagli studi classici
condotti da Brenda Milner per la memoria dichiarativa;
 ESEMPIO: se ricordate, vi è il famoso caso del paziente HM che a seguito di una lesione focale che
provocava crisi epilettiche gli asportarono la parte mediale del lobo temporale, quindi ippocampo
compreso: HM perse la capacità di memoria, soprattutto di tipo dichiarativo a lungo termine sebbene
fossero conservati gli aspetti di memoria a breve termine piuttosto inalterati. In questo caso tutti i test
neuropsicologici che vennero fatti ad HM mostravano un legame tra l’ippocampo e la memoria
dichiarativa;

La funzionalità ippocampale, oltre ad essere importante per la memoria


dichiarativa, è importante anche per altre forme di memoria procedurale, come
per esempio la memoria di tipo spaziale: in particolare si è evinto che

81
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

nell’ippocampo esistono delle cellule molte specifiche che si chiamano “place


cells” (cioè cellule del posto, del posizionamento) e che costruiscono delle vere
e proprie mappe spaziali, per cui noi quando entriamo in uno spazio nuovo,
impariamo a muoverci e poi successivamente è come se depositassimo una
cartina geografica nel nostro ippocampo, la quale ci consente di muoverci più
velocemente la volta successiva.
 ESEMPIO: ci sono delle tribù nella foresta Amazzonica, ove i paesaggi sono particolarmente monotoni
in quanto costituiti da foresta-fiume-foresta-fiume e non ci sono riferimenti specifici: se voi provate a
navigare in canoa su un fiume vi perdete nel giro di pochissimo perché per voi tutto il paesaggio è
completamente uguale. Questi nativi che evidentemente hanno delle “place cells” particolarmente
sviluppate in quell’ambiente, sono capaci di individuare un accampamento che non si vede a distanza
di km, sapendo dov’è nella foresta ma soprattutto la modalità di come muoversi in maniera
sicurissima, avendo costruito una mappa interna e tutto questo dipende dall’attivazione delle “place
cells” ippocampali.

L’ippocampo, quindi, rispetto a quello che riguarda la memoria, è una struttura


fondamentale. Quello che noi vediamo, è che nel sonno REM ci sono delle
informazioni che viaggiano dalla corteccia all’ippocampo con un’attivazione
delle stesse aree ippocampali attivate nel corso della sessione di
apprendimento: cioè così come quando io faccio partire un videogioco con una
componente spaziale e vi faccio attivare il “place cells” vedo, mediante la
risonanza magnetica, che si attivano le aree cerebrali che segnalano che voi
state imparando quel videogioco; così quando andate a dormire ed entrate in
sonno a onde lente (REM) si vedono di nuovo attive le stesse aree ippocampali
attivate nel corso della sessione di apprendimento, ed elettrofisiologicamente,
si vede che in quelle aree arrivano impulsi dalla neocorteccia. Nel corso del
sonno ad onde lente c’è un dialogo che avviene in maniera inversa (lo vedrete
anche quando faremo il sogno): solitamente gli impulsi, elettrofisiologicamente,
viaggiano dal basso verso l’alto (dalla sottocorteccia verso la corteccia), mentre
nel sonno REM c’è un flusso che va in direzione opposta.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Siccome questa cosa si realizza più di una volta perché le sequenze NREM-REM
sono più di una nell’episodio di sonno, si parla di dialogo ippocampo corteccia e
più precisamente l’ippocampo e la parte mediale del lobo della corteccia
parlano tra di loro.

2. EVIDENZE DEL NEUROIMAGING FUNZIONALE.

Nell’osservazione basata sulla


neuroimaging funzionale si rivela che voi
avete nel corso dell’apprendimento in veglia delle attivazioni di aree; queste
aree si attivano nuovamente durante il sonno ma si attivano con pattern diversi
fra sonno ad onde lente e REM; quindi immaginate che poi, nel corso di un
compito, attivate l’amigdala, la corteccia medio-temporale, quella parietale e
altre zone e succede che alcune di queste si riattivano in sonno REM, altre in
sonno ad onde lente. In modo particolare, per esempio, l’amigdala e tutte le
aree del sistema limbico sono fortemente attivate nel corso del sonno REM;
mentre le aree medio-temporali (aree di tipo ippocampale) sono più attivate
nel corso del sonno ad onde lente.

3. EVIDENZE DA STUDI SU ANIMALI. L’ultimo tipo di evidenza, che in qualche modo


suggerisce l’esistenza di una
cooperazione tra sonno REM e
NREM proviene dallo studio sugli
animali. In modo particolare, le prime indicazioni sugli animali sono venute da
un biologo ricercatore napoletano di nome Antonio Giuditta che a fine anni ’80
suddivide le popolazioni di ratti per compiti di apprendimento e li divide in:
 Good Learness (ratti che apprendono velocemente);
 Bed Learness (ratti un po’ più stupidi e apprendono più lentamente).

83
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Andando a vedere la differenza della struttura del sonno tra i ratti intelligenti e
i ratti stupidi, Giuditta riscontra che quelli che imparano di più sono quelli che
hanno un maggior numero di sequenze di sonno che si chiama “sonno
transizionale” (fisiologicamente simile al sonno ambiguo del bambino) ovvero
un sonno con delle caratteristiche un po’ a metà tra il sonno sincronizzato
(NREM) e il sonno paradosso (REM) e caratterizzato da epoche di sonno con
caratteristiche di sonno non ben definite. I ratti che imparavano bene erano
quelli che avevano la maggior quantità di sequenza “SS-TS-PS”, ovvero di
“Sonno Sincro (sonno NREM) -Sonno Transizionale-Sonno Paradosso (sonno
REM) ”; quelli che invece avevano meno sequenze erano quelli che imparavano
di meno.

Quando vengono fuori queste cose si


comincia a lavorare sull’idea che per
imparare le cose della veglia durante il
sonno è importante la funzione sia del sonno
REM che del sonno NREM e un ricercatore
americano, Robert Stickgold (il quale
attualmente è considerato uno dei massimi esponenti della ricerca sul sonno e della
memoria) fa una serie di esperimenti per vedere se effettivamente contasse di più il
sonno e nelle sue componenti globali piuttosto che ragionare in termini di
superiorità di uno stato rispetto all’altro. Stickgold, in particolare, riprende
l’esperimento della “discriminazione visiva del tessuto” e dice che se noi facciamo
delle prove ripetute prima del sonno e poi dopo il sonno troviamo che la
performance ad un compito di discriminazione visiva del tessuto è migliore dopo
l’intero episodio di sonno(REM e NREM) piuttosto che se noi lo facciamo seguire al
solo sonno NREM o al solo REM.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Successivamente al modello teorico, Stickgold fa un esperimento su cui vorrei


faceste attenzione sulla parte metodologica, ovvero su come viene fatto:
 Mentre l’esperimento che noi abbiamo visto per l’ipotesi “one-to-one” era un
esperimento in cui c’era a tutti gli effetti una manipolazione in quanto vi era un
accorciamento del sonno e una dislocazione del sonno tale da ottenere “early
sleep”, “easy sleep”;
 Nell’esperimento di Stickgold non viene fatta alcuna manipolazione: esso è uno
studio di tipo correlazionale in cui lui non fa altro che sottoporre il soggetto al
compito di discriminazione visiva del tessuto, lo manda a letto per tutta la
notte senza disturbare il sonno in alcun modo e poi non fa altro che vedere la
performance al risveglio e correlare la performance con alcune variabili del
sonno, ipotizzando che:
 Se nel sonno è importante la quantità di sonno REM quelli che al mattino
imparano di più saranno quelli che hanno più sonno REM e quindi io
troverò una correlazione positiva tra sonno REM e variazione
dell’apprendimento.
 Stickgold, inoltre, non correla soltanto con tutto l’episodio di sonno, ma fa
anche delle correlazioni con le variabili staccate quartile per quartile: cioè
lui prende l’episodio di sonno e lo divide in 4 parti: quindi supponete che il
soggetto è andato a dormire e che si è fatto spontaneamente 8 ore, lui fa la
siglatura del sonno per tutte le 8 ore, prende le variabili per tutte le 8 ore
poi divide quartile 1 (dalla prima alla seconda ora), quartile 2 (dalla seconda
alla quarta ora), quartile 3 (dalla quarta alla sesta ora), quartile 4 (dalla
sesta all’ottava ora); quindi prende i pezzi di sonno pari ad un quarto della
durata totale che chiama quartili, e poi fa le correlazioni della performance
con gli elementi diciamo di ciascun quartile di sonno.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Quello che vedete nel grafico è il risultato di Correlation of learning with sleep

0,80

questa operazione, dove voi sull’asse delle 0,60


p < 0.01
p < 0.05
SWS
REM

r-value
0,40

ordinate (y) trovate il “valore di r”, ovvero il 0,20

0,00

risultato della correlazione: più è alto questo


-0,20
Quartile

punto più è alta la correlazione e maggiore è il legame tra la variabile che è stata
presa in considerazione e il punteggio di memoria. Dopo di che p<0.01 e p<0.05
sono i livelli di significatività, quindi tutto quello che sta sotto a p<0.05 non è
significativo; mentre al di sopra di p<0.05 vi sono i risultati significativi: in questo
caso i risultati significativi li vedete sopra a tutto contrassegnati dalle lineette; in
particolare, siccome la linea viola è la linea del sonno REM il punteggio di memoria
al mattino è correlato positivamente con la quantità del sonno REM nelle ultime due
ore della notte, ovvero nell’ultimo quartile (nella fase finale) della notte; l’altra
correlazione positiva la ritroviamo nel sonno ad onde lente (linea rossa) nel primo
quartile della notte.
Il risultato di questo studio correlazionale è che noi vediamo un legame
statisticamente significativo fra il punteggio di memoria inteso come “quanto il
punteggio al mattino è migliorato rispetto a quello che abbiamo fatto la sera”; due
elementi sonno NREM o sonno ad onde lente nella prima parte (o primo quartile)
dell’episodio di sonno e sonno REM nell’ultimo quartile dell’episodio di sonno;
quindi secondo i risultati di questo esperimento servono entrambi (sia sonno NREM
che REM) e quindi al compito di discriminazione visiva, la performance mnestica al
risveglio è correlata sia con la quantità di sonno a onde lente (SWS) nel primo quarto
della notte che con la quantità di sonno REM nell’ultimo quarto.

IPOTESI TWO-STEP MODEL


Sulla base di questo esperimento,
all’ipotesi “one-to-one”, viene

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

contrapposta un’ipotesi che si chiama “Two-step model” (“modello a 2 assi”) nel


quale c’è un processo di memorizzazione composto in questo modo: io acquisisco il
materiale in veglia, nel corso dello slowes sleep (SWS= sonno NREM) della prima
parte della notte elaboro il materiale, nel corso del sonno REM dell’ultima parte
della notte c’è un ulteriore elaborazione ed un ulteriore consolidamento.
Il “Two-step model” ha un indiscusso merito, quello di essere un grande passo
avanti teorico rispetto all’idea di fare questa ipotesi dicotomica, tuttavia abbiamo
comunque qualche critica da fare che rende questo modello suscettibile di
miglioramento:
1. se noi vogliamo capire come 2
componenti di una squadra interagiscano
dobbiamo vedere quali sono le interazioni
effettive, cioè ciò che quei 2 elementi
fanno insieme, questa cosa nel modello di
Stickgold non c’è, cioè saltiamo tot di una
cosa e tot di un’altra;
2. l’altra cosa che diciamo ci lascia un po’ perplessi è che un processo biologico,
di solito, inizia e si sviluppa nel tempo in continuità, è molto atipico che una
cosa inizi, poi si sospende, poi non succede niente e poi ad un certo punto
ricomincia; quindi è curioso che noi le correlazioni le troviamo con quello che
sta all’inizio e quello che sta alla fine (e non con ciò che è nel mezzo) per cui vi
è un problema sia di interpretazione numerica dei dati che di interpretazione
teorica su quello che succede nel mezzo: perché nelle 4 ore del mezzo sul
piano dell’apprendimento non accade nulla? Quesito a cui non vi è stata mai
una risposta convincente da parte di Stickgold.
3. Un’altra critica è che questa separazione della notte in blocchi (o in quartili) è
una organizzazione che di fatto non rispetta l’organizzazione strutturale del

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

sonno perché il sonno non è che c’ha un blocco di una cosa in due ore, un
blocco di un’altra cosa in altre due ore e così via… ma il sonno ha dei cicli di
natura altamente organizzata che Stickgold trascura.

Se noi ci limitiamo un attimo al percorso fatto nella precedente lezione e in questa,


ovvero della ricerca dal 1924 (anno di jaclin e
dalembac) a questo modello del 2000 di
Stickgold abbiamo 2 messaggi riassuntivi
fondamentali:
1. Esiste lo sleep effect: il sonno si è
dimostrato efficace nel favorire il
consolidamento di materiale appreso prima di dormire, indipendentemente
dal tipo di materiale;
2. Il secondo messaggio riassuntivo che ci proviene, il quale si rivela per il
ricercatore molto più problematico, è che nessuna caratteristica del sonno
(durata, collocazione, composizione in stati) si è rilevata necessaria e
sufficiente a determinare lo sleep effect. Cioè se
qualcuno chiede “ma che cosa c’è nel sonno che
determina questo vantaggio nell’apprendimento?”
non abbiamo una risposta univoca.
Questi sono i due elementi che ci sono pervenuti nell’arco
di tempo che va dal 1924 al 2000. Ovviamente le cose non finiscono qui, perché
riflettendo sui livelli di organizzazione del sonno si è evinto che nel sonno c’è
l’episodio, lo stato e il ciclo (slide che già abbiamo visto e spiegato in una lezione
precedente).

LA STRUTTURA CICLICA DEL SONNO


Noi adesso ci focalizzeremo sul ciclo del sonno per vari motivi:

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

 Fagioli nel 1981 fece una grande


raccolta di dati su bambini piccoli nei
primi due anni di vita e dopo di che
fornisce alcuni risultati;
 Nel 2001 io presi tutto questo set di
dati e feci un’analisi più completa
sulla base di alcune variabili che
erano state introdotte in quei 20 anni
e per farvela breve sia quello che era stato visto nel 1981, sia quello che
vedemmo noi nel 2001 ebbe lo stesso risultato.
Nei primi anni di vita, nella primissima infanzia, aumenta in maniera assolutamente
consistente la durata dei cicli e il numero dei cicli in modo tale che il sonno diventa
organizzato. Un bimbo che ha 2 anni, rispetto ad un bimbo che ha pochi mesi di vita,
ha un sonno nettamente più organizzato; questa organizzazione non è solo figlia
della trasformazione dal sonno polifasico (come quello dei gattini) al sonno
monofasico (dell’età adulta) ma quando vai a vedere l’episodio di sonno vedi che il
sonno fa quelle discese e quelle risalite dei cicli tipiche, che invece non si vedono nei
sonni disorganizzati. Questa prima osservazione è interessante perché è
contemporanea a delle altre osservazioni di tipo neurobiologico: ci sono dei gruppi
che fanno neurobiologia e che lavorano su organismi anche molto più semplici
dell’uomo, non so se avete mai sentito la “drosophila” (è un insettino di cui si studia
il sonno) e qualcuno dice che questo animale ha degli stadi di sonno, quindi anche
nell’animale ci sono gruppi che si interessano dei processi di potenziamento a lungo
termine, cioè di memorizzazione degli animali, a livello biologico: cioè prendono
popolazioni cellulari e vedono cosa succede sia a livello macro-cellulare
(l’espressione dei neurotrasmettitori per esempio) ma anche a livello microcellulare

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

(per esempio che cosa succede nel nucleo a livello di sintesi dei geni, come vengono
sintetizzate le proteine i cui amminoacidi sono codificati dal DNA e dall’RNA).
Allora, quello che hanno studiato questi autori, come per esempio Barondes, Bliss e
Collinridge, è che il completamento dei cicli di sonno favorisce i processi biologici
fondamentali del “potenziamento a lungo termine” come la sintesi proteica); tale
“potenziamento a lungo termine” è la base neurofisiologica della memorizzazione a
lungo termine e consiste nel cambiamento di sinapsi al fine di far divenire
consolidate alcune informazioni.

L’IMPORTANZA DEL CICLO NREM-REM NEL POTENZIALE A LUNGO TERMINE


Adesso capiamo per quale ragione è così importante il ciclo, perché il ciclo
favorirebbe questo tipo di meccanismi?
Tale quesito viene chiarito dalla
diapositiva, la quale è molto importante:
 noi vediamo da un lato che
abbiamo un sonno REM in cui ci
sono elevati livelli di attivazione
elettrofisiologica, i quali
consentono la produzione di
“spikes (si legge “spaik”) neuronali
ad alta frequenza”, ciò significa che i neuroni scaricano molto velocemente e
spessissimo; ora qualcuno che ha fatto benissimo psicologia fisiologica
sicuramente si ricorderà che uno dei requisiti per il potenziamento a lungo
termine è che nei circuiti riverberati del potenziamento ci sia una stimolazione
ad alta frequenza (HTS= high throughput screening) quindi non basta che io
dia solo un’informazione ma c’è bisogno che quell’informazione sia ripetuta
velocemente e molto spesso: questo è un po’ quello che facciamo all’inizio,
pensate ad un livello psicologico, se noi dobbiamo apprendere noi
90
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

consolidiamo meglio se una cosa la ripetiamo più volte, così quel tipo di
stimolazione è una cosa ad alta frequenza che funziona allo stesso modo a
livello elettrofisiologico. Affinchè questo capiti c’è bisogno di un elevato livello
di attivazione cerebrale, e voi ce l’avete in sonno REM e, come dicono Koulack
e Goodenaugh nella famosa “teoria di attivazione” (la quale dice che io posso
recuperare delle informazioni di memoria a patto che quando le ho acquisite
avessi un certo tipo di attivazione), il sonno REM è contraddistinto da elevati
livelli di aurosal, che sono essenziali per i processi di apprendimento.
 Dall’altro lato, quando noi dobbiamo potenziare a lungo termine c’è bisogno
di elevati livelli di sintesi proteica, che consentono che sulle membrane post-
sinaptiche vengano messi fuori dei recettori noti come “recettori AMPA” e
molti studi hanno mostrato l’importanza della componente NREM (più
specificamente dello SWS, ovvero del sonno a onde lente) per processi
biologici fondamentali come la sintesi proteica; questo è stupefacente perché
abbiamo detto che il sonno ad onde lente non è lo stato in sonno
dell’anabolismo, cioè è il momento in cui noi prendiamo delle sostanze
semplici e le mettiamo insieme a dare delle sostanze complesse, per esempio
il glucosio diventa glicogeno, gli amminoacidi diventano proteine…..
Quindi il ciclo di sonno NREM-REM, inteso come una “successione ininterrotta dei
due stati” (in cui, in particolare, ho prima un momento di sintesi proteica e poi un
momento di attivazione, sintesi proteica e poi ancora attivazione) rappresenta una
cornice fisiologica ideale per il potenziale a lungo termine (PLT).

EVIDENZE NELL’UOMO
Il passo successivo è quello di immaginare un impianto sperimentale che dimostri un
legame tra i cicli di sonno e la performance di memoria al mattino (dopo aver
dormito la sera). Ci sono, quindi, alcuni tentativi, che in realtà sono pochissimi.
Questo tipo di modello teorico che è l’aggiornamento nell’uomo dell’ipotesi di
91
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Giuditta nei ratti (vi ricordate l’ipotesi di Giuditta? SS {sonno sincro o NREM} - TS {sonno

transizionale} – PS {sonno paradosso o REM}) nell’uomo diventa l’ipotesi sequenziale in cui


all’inizio variano soltanto le quantità assolute di stati e poi c’è un lavoro che viene
cominciato a Firenze che invece immagina nell’uomo qualcosa di simile a quello che
diceva Giuditta nei topolini e in cui le sequenze sono in realtà i cicli NREM-REM.
 Allora il primo lavoro su questo è uno
studio fatto nel ’99 prendendo un
campione di soggetti anziani perché se
voi andate a vedere il sonno dei soggetti
anziani (70-75-80 anni), così come il
sonno dei bambini piccoli, risulta più
disorganizzato: è un sonno che non solo
c’ha delle frammentazioni ma ha anche
meno cicli, per cui quella variabile del
tempo totale di cicli sul tempo totale di sonno è una variabile che diminuisce
fortemente. Spesso si dice che il sonno degli anziani è “spontaneamente
disorganizzato” per cui non c’è bisogno di dover andare a manipolare, è
fisiologicamente così. In questo studio si mettono in correlazione i cicli di sonno e
la memoria dichiarativa verbale (liste di parole);
 Nel 2000 è stato fatto, invece, uno studio sperimentale su soggetti giovani in cui si
testava l’evidenza scientifica tra i cicli di sonno e la memoria dichiarativa verbale
(liste di parole);
 L’altro studio, del 2007, riprende alcuni anni dopo
queste prime evidenze mediante uno studio
correlazionale su una popolazione clinica (ovvero
psichiatrica ) e stavolta si fa una correlazione tra cicli
di sonno e memoria dichiarativa visuo-spaziale (figura

92
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

di Rey). In realtà Goder (il ricercatore che si occupò di tale studio) non andava ad
osservare specificamente i cicli di sonno ma voleva vedere le correlazioni tra la
memoria dichiarativa visuo-spaziale (ovvero la memoria dichiarativa richiamata
sottoforma di disegno mediante il test che si chiama “Figura di Rey”) e vedere i
rapporti con tutte le variabili del sonno: l’unica variabile che uscì significativa
furono i cicli di sonno, da cui un avvicinamento del modello di Goder al modello
dell’ipotesi sequenziale dell’uomo.

Adesso vi faccio vedere i risultati dei due esperimenti nostri per poi trarre delle
conclusioni su questo modello.
In questa slide “correlazioni tra misure del sonno e richiamo di parole in pazienti
anziani” avete sull’asse delle ordinate (y) il valore
della correlazione (come nell’esperimento di
Stickgold): quindi, più è alta la colonna e
maggiore è la correlazione. Dopo la
somministrazione del test la sera e il richiamo
delle parole al mattino andiamo a vedere quali
sono le prime variabili positivamente correlate tra loro nel punteggio di memoria al
mattino:
 I cicli NREM-REM
𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑡𝑎𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑐𝑖𝑐𝑙𝑖
 Il
𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑛𝑜

Quando abbiamo fatto l’argomento sulle


manipolazioni sperimentali del sonno abbiamo
definito le privazioni totali, parziali, accorciamenti
e così via.. tra queste abbiamo citato una
manipolazione che abbiamo chiamato
“disorganizzazione”: una condizione di sonno

93
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

frammentata, cioè che è interrotta e che rispetto ad una condizione frammentata


non disorganizzante, ha come uniche variabili inferenti il numero dei cicli, la durata
𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑐𝑖𝑐𝑙𝑖
dei cicli e il ; quindi è complicato perché bisognerebbe avere due
𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑛𝑜

episodi di sonno che siano paragonabili per tutto andando a fare un intervento di
frammentazione in momenti particolari. E come si fa? Supponiamo che io volessi
interrompere il sonno senza cambiare i cicli, cioè consentendo al soggetto di fare i
cicli io dov’è che lo devo svegliare? se io aspetto che finisce il sonno REM il soggetto
mi fa due minuti di stadio 2 e io lo sveglio; ma c’è un problema, siccome noi non
sappiamo quanto dura il sonno REM il rischio è che se io sveglio un soggetto il cui
sonno REM dura in media 10 minuti oppure se io sveglio un soggetto il cui sonno
REM tendenzialmente dura 25 minuti, ottengo un effetto, di cui però non so se esso
dipenda dai cicli o dalla differente quantità di REM. Quindi io devo avere la stessa
quantità di REM; per cui devo aspettare che va in REM, fargli fare la stessa quantità
di REM e poi svegliarlo; e quanto sonno REM facciamo fare ad ogni soggetto?
Almeno 10 minuti, il primo tentativo è svegliare i soggetti nella condizione che
chiamiamo C+.

Qual è il problema? Sostanzialmente il primo problema è che voi in un disegno di


questo tipo il 50% dei soggetti li dovete
escludere, perche per esempio ci sono i
cosiddetti “skip-REM” i quali fanno il primo
ciclo, non fanno il REM e vanno nel secondo;
oppure fanno il ciclo e fanno soltanto 3 minuti
di REM e in quella fase voi non lo potete
svegliare perché nel frattempo ne fa 10. quindi
c’è tutto un problema.

94
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Vediamo l’altra manipolazione: noi abbiamo la condizione che si chiama C+ che


interrompe il sonno ma non lo disorganizza e noi abbiamo bisogno di disorganizzare,
interrompere il ciclo. Qui abbiamo 2 problemi enormi:
1. quanto sonno ad onde lente si fanno questi soggetti prima del risveglio? Se
io aspetto che il soggetto finisca il sonno ad onde lente, c’è il soggetto che ha
fatto 10 minuti di sonno ad onde lente prima di andare nel REM e c’è chi ne
ha fatti, invece, 90 minuti. Ovviamente, quando io vi do l’effetto alla fine, esso
dipende dalla quantità e dalla qualità del sonno ad onde lente. Allora io devo
svegliare il soggetto in un tempo analogo: si fa andare il soggetto in sonno a
onde lente e si aspetta un tempo fisso; più o meno i soggetti vanno in sonno
ad onde lente dopo una ventina di minuti, soprattutto nei primi stadi di
sonno; dopo di che lo sveglio e avrò la disorganizzazione perché impedendo il
REM ovviamente disorganizzo il ciclo.
2. A questa cosa c’è un problema teorico fondamentale: l’obiettivo è che io
abbia un sonno disorganizzato e un sonno interrotto non disorganizzato con le
stesse caratteristiche tranne i cicli; se io sveglio un soggetto 40 minuti dopo
che si è addormentato, cos’è che probabilmente potrebbe essere diverso
rispetto alla condizione precedente? Il REM. Allora qual è il mio problema? Il
mio problema è che se io lo sveglio poi dopo mi trovo con un sonno che non
è solo disorganizzato ma c’è una privazione; invece non è esattamente così
perché il REM ha una regolazione circadiana, e la regolazione omeostatica fa
si che quando voi avete poco REM, se io vi comincio a togliere il REM, voi
tutte le volte che vi addormentate invece di fare il sonno ad onde lente
passate in REM direttamente: questo significa che voi vi addormentate in REM
per cui fate dei pezzetti di sonni ad onde lente di stadio 2 e poi passate
rapidamente al sonno REM. Alla fine il cervello recupera per cavoli suoi

95
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

facendo sonno REM fuori ciclo in quanto a quel punto non aspetta più che ci
sia tutto il ciclo. Tutto questo è vero per certi versi ma per altri non funziona.
3. La differenza statisticamente significativa è quella della performance di
memoria delle liste delle parole accoppiate (per la memoria dichiarativa).
Viene somministrato il compito delle liste delle parole accoppiate perché è un
compito facile a fronte della complessità della manipolazione sperimentale.
4. I punteggi sono significativamente peggiori dopo la notte con la
disorganizzazione dei cicli; inoltre risulta mancata differenza tra la continuità
totale del sonno e la frammentazione; quest’ultimo risultato, dopo 16 anni,
secondo me, non è vero e dovete fin da ora metterlo in discussione. Nel 2004,
dopo un po’ di dibattito vario tra le varie ipotesi in quel momento in corso,
cominciammo a lavorare su un modello, che è quello dei sonni pomeridiani.

SONNELLINI POMERIDIANI
Come spesso capita quando si fa un’attività continuativa in un percorso
sperimentale, il motivo per cui ci si orienta su una strada piuttosto che su un’altra è
sempre un po’ per l’adesione agli obiettivi che uno si è preposto: dal 2004 – 2005, io
ho fatto 15 anni di notti in laboratorio, e questo è risultato difficoltoso, soprattutto
tenere il laboratorio dell’università aperto anche
di notte; con il tempo e con le difficoltà abbiamo
deciso di studiare il sonno relativo ai “sonnellini
pomeridiani”, invece di studiare il sonno dei
soggetti che dormivano di notte.
In realtà, il sonnellino pomeridiano può essere un
modello molto utile. Questa slide è una descrizione sintetica dell’architettura del
“NAP” o anche “sonnellino pomeridiano”. I NAP hanno questo tipo di
caratteristiche:

96
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

 Innanzitutto, se voi prendete 100 nap, più o meno la metà (il 50%), riesce ad
avere una fase REM, quindi è sufficientemente lungo e sufficientemente
articolato da consentire che compaia del sonno lì.
 In quei sonnellini in cui c’è sonno REM, però, se voi vedete quanto ce n’è, la
quantità totale di sonno REM è molto poca, molto limitata per motivi
omeostatici (dipende dal fatto che il sonno diurno è preceduto dalla salita di S
limitata e si situa in un momento circadiano in cui la temperatura è
relativamente alta): per tutti questi motivi, anche i soggetti che di giorno si
addormentano, di sonno a onde lente ne fanno abbastanza poco; in altre
parole, nei mini episodi di sonno (NAP) c’è poco sonno REM e poco sonno a
onde lente, la maggior parte del sonno è fatto nello stadio 1 e nello stadio 2.

Sara Mednick (la quale adesso ha un suo gruppo di Ricerca, all’epoca lavorava con
Robert Stickgold), per prima, affronta la questione di quanto il NAP possa dare un
effetto positivo alla memorizzazione, facendo un esperimento con l’intento di
mettere in relazione il NAP (quindi l’episodio di sonno pomeridiano) e la
performance a un test di discriminazione visiva.
In particolare, la Mednick fa fare degli episodi di
sonno modificando (manipolando) la loro durata;
quindi lei fa fare NAP lunghi 60 minuti (colonnina
grigia) e NAP lunghi 90 minuti (colonnina bianca) e
dopodiché sveglia i soggetti. Cosa viene fuori?
 Nel caso della condizione di veglia (colonnina nera) vi è un peggioramento
della prestazione. Il soggetto ha fatto il test, poi si è svegliato, ha rifatto il test
e questo è andato peggio (la colonnina nera scende al di sotto dello 0);
 Se il soggetto fa dei sonnellini costituiti da sonno a onde lente ma senza REM,
a prescindere se il sonno duri 60 o 90 minuti, la performance si mantiene su
livelli basali. Quindi, voi non vedete un miglioramento, vedete un effetto
97
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

protettivo del NAP che contiene sonno a onde lente, rispetto al


peggioramento e il soggetto mantiene la performance.
 Quando prendete in esame i sonnellini (sia quelli di 60 minuti sia quelli di 90
minuti) che contengono tutti e due gli stati (sonno a onde lente e REM) voi
ottenete un miglioramento. Quindi il miglioramento, in questo esperimento, è
solidamente legato alla presenza sia del sonno a onde lente sia del REM.

Noi abbiamo rifatto lo stesso esperimento con


delle varianti, tra cui, invece del compito
procedurale, abbiamo utilizzato il compito
dichiarativo: il soggetto arriva in laboratorio
alle 13:30, gli montiamo gli elettrodi, fa tutte le
batterie prima del periodo di ritenzione e un
test di sonnolenza e di vigilanza per vedere
quanto è vigile in quel momento,
successivamente gli facciamo vedere la lista di parole, e dopodiché dalle 14:00 alle
16:00 viene messo in una stanza buia e gli viene chiesto di cercare di dormire. Alle
16:00 viene svegliato, fa di nuovo il test di sonnolenza, gli si fa una prova di memoria
e vediamo se il richiamo delle parole è peggiore, uguale o migliore del risultato
avuto alle 14:00. Il soggetto poi viene lasciato in laboratorio per altre 3 ore, stavolta
sveglio e alle 19:00 gli facciamo nuovamente il test, per poi fare il debriefing e
mandarlo a casa. L’obiettivo è normalmente verificare se il sonnellino diurno
favorisce il ricordo di materiale
dichiarativo.

Adesso, andiamo a vedere i risultati.

 TEMPO TOTALE DI SONNO= Il soggetto su


120 minuti di buio e 120 minuti di

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rilassamento, in media dorme 1 ora e 10, vedete, il valore medio è 73 minuti;


 EFFICIENZA DI SONNO= 73 minuti, ovvero 1 ora e 10, significa un’efficienza di sonno
abbastanza bassa e pari al 60% (l’efficienza di sonno per essere considerata
alta, deve superare l’85-90%,);
 STADIO 2= 61%;
 SWS= C’è una bella quantità di sonno a onde lente, questa è una cosa
sorprendente: in genere il sonno a onde lente è di meno del 30%. Fatto sta
che il 30% di 73 minuti sono circa 20 minuti, 20 minuti di sonno a onde lente,
ancora di meno il sonno REM.
 REM= Il sonno REM è 9%, che significa 6-7 minuti di REM complessivi.

Se noi facciamo semplicemente il paragone tra la


condizione veglia (linea verde) e la condizione NAP (linea
nera), quello che viene fuori è esattamente quello che
vediamo nella Mednick: la condizione veglia si
accompagna a un peggioramento della prestazione:
quando noi andiamo a testare le coppie di parole alle 16:00 e alle 19:00, vediamo
che i soggetti le ricordano in maniera significativamente più bassa. Quindi c’è una
quota del materiale che va in oblio nella condizione di veglia.
Nella condizione di NAP, noi non vediamo miglioramento quindi non possiamo dire
che i soggetti hanno un “NAP-Effect” (ovvero, quando i soggetti si svegliano e
ricordano di più) ma possiamo dire che tali soggetti mantengono le prestazioni a
livelli più o meno analoghi a quelli precedenti. Questa differenza tra il soggetto che
ha fatto NAP e il soggetto che non l’ha fatto,
probabilmente, si riscontra perchè il soggetto che ha
fatto nap è più vigile e meno stanco.

Le conclusioni fino a questo momento sono che i


sonnellini pomeridiani non hanno mostrato nel nostro studio significativi effetti sulla
99
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

memoria di materiale verbale. Che significa? Non c’è il “NAP-effect”. Ora, se


ricordate quello che abbiamo detto a proposito del NAP e cioè che esso è composto
prevalentemente da sonno a onde lente e stadio 2 (cioè quasi soltanto NREM) e
ricordate che Born diceva che c’è legame tra sonno NREM e materiale dichiarativo, il
fatto che non si verifichi un NAP-Effect è un’ulteriore evidenza a sfavore della
relazione “one-to-one”.

Adesso vediamo la condizione di veglia dei:


 NAP con sonno NREM (linea blu)= vanno
esattamente come la condizione di veglia
 NAP con sonno REM (linea rossa)= quegli episodi
diurni di sonno contenenti almeno 10 minuti di
sonno REM sembrano migliorare il ricordo di coppie miste di parole al risveglio.
Questa presenza del REM è legata al fatto che il REM agisce in sé oppure
completa un ciclo? questa è una domanda che non ha avuto risposta: se noi
assumiamo che il REM agisce in sé, dobbiamo pensare che bastino pochi minuti
di REM per memorizzare le parole.

Questo è lo stato dell’arte fino al 2005. Quindi, accanto a questi due messaggi, noi
ne possiamo aggiungere adesso un terzo, che è questo: la ricerca sta considerando
con molta attenzione gli aspetti di tipo architetturale, organizzativo
(compartecipazione di sonno NREM e REM, cicli di sonno) e va aggiunto che negli
ultimi 10 anni sono venuti fuori aspetti di continuità del sonno e di stabilità del
sonno.

Adesso vediamo quali sono i problemi:


1. il primo problema è che gli esperimenti che vi ho fatto vedere sono stati svolti
su un numero di soggetti abbastanza basso e sono non replicati a dovere,

100
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

inoltre, vi è scarsa replicabilità del paradigma organizzativo, che è veramente


troppo impegnativo e troppo articolato;
2. Sul piano logico ci sono altre due o tre cose che un po’ vanno messe in
discussione, una in particolare è che noi abbiamo smentito Born dicendo
“però, che è sta storia dei dichiarativi e procedurali, dichiarativi e procedurali,
compiti che in natura sono compiti misti, quando il modello è basato sulla…”
ma noi predichiamo bene e un po’ razzoliamo male, nel senso che poi alla fine
la Mednick fa i compiti di discriminazione visiva del tessuto di tipo
procedurale e io faccio il compito dichiarativo di lista di parole accoppiate, che
è tutto dichiarativo, puramente dichiarativo. Per cui, è vero che nel sonno si
cerca di avere una prospettiva che tiene insieme, però la prospettiva
dicotomica non è del tutto abbandonata, perchè vengono fatti dei compiti che
sono puri e questa è una cosa tenuta in conto.
3. Un’altra cosa che vi volevo dire è questa: a volte le cose partono secondo una
certa cornice fisiologica ma poi interviene un certo stato, e quel processo
continua anche se quello stadio cambia.
ESEMPIO: Vi è mai capitato di essere alla guida in autostrada e di sentire gli occhi che stanno per
chiudersi e dire “adesso faccio un incidente mortale, è meglio che mi fermo”? la cosa che bisogna fare è
NAP (anche di 15-20 minuti) + caffeina (caffè espresso); se poi vi prendete, insieme alla caffeina, anche
una mezza aspirina, guidate fino alla mattina alle 5. C’è una logica: la caffeina viene bloccata da alcune
proteine del sangue e dopo un po’ non agisce più; però, alle proteine piace di più l’aspirina, quindi
quando voi prendete l’aspirina, le proteine acchiappano l’aspirina e la caffeina resta libera. Se ripensate
a tutte le cose dette oggi, la notte prima dell’esame non prendete 5 tazze di caffè staccate 2 ore l’una
dall’altra, perché la seconda e la terza non faranno effetto, fa effetto solo la prima per cui la dovete
prendere tutta insieme.

Ma tutto questo perchè ve lo sto raccontando? Perché c’è un processo, si chiama


“processo O” (processo Onset), che se io mi addormento un paio di minuti di sonno,
mi fa avere coscienza dell’addormentamento, ho più capacità di guidare il pensiero
e mi fa sentire il passaggio allo stato di sonno. Questo addormentamento fa partire

101
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

un processo di attivazione che consente un recupero cognitivo sulla funzione


semplice. Adesso io lo ricordo come evento diciamo aneddotico che in alcuni casi mi
sono fermato in autogrill dopo uno sbandamento perchè mi stavo addormentando,
quindi ho fatto 2 minuti, 3 minuti, 6 minuti di sonno e mi sono risvegliato
totalmente rinato: questi si chiamano “ultra short sleep”, ovvero sonni ultra-corti di
5 minuti di sonno che portano ad un recupero cognitivo; ovviamente, però, se mi
rimetto alla guida dopo 10 minuti e c’è la nebbia , c’è un camion che mi taglia la
strada, cado giù perché non ho in realtà recuperato quanto pensavo di recuperare:
quindi, la strategia migliore è sempre 20-25 minuti di sonno + caffeina.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

10° LEZIONE

Review: da quando è stato scoperto l’effetto sonno sono stati condotti molti studi, a partire
dall’esperimento di Jenkins e Dallebanch, che tentavano di capire meglio l’effetto sonno, sia in generale sia
per capire quali elementi del sonno rendevano possibile questo effetto sonno. Inizialmente si aprì una
diatriba tra chi diceva che era coinvolto il sonno REM e chi invece il sonno N-REM, poi man mano sono state
formulate ipotesi più specifiche, chi diceva che l’elemento fondamentale era il sonno a onde lente, chi
invece lo stadio 2, poi addirittura chi sosteneva fossero i fusi del sonno (sleep spindles) anziché lo stadio 2
vero e proprio. Insomma ognuno diceva la sua per quanto riguarda gli elementi responsabili di questo
effetto. Dopo l’esperimento di Plihal e Born, i quali associarono il consolidamento della memoria
dichiarativa al sonno N-REM e il consolidamento della memoria procedurale al sonno REM (Modello a due
processi), un altro autore, Wagner, attraverso un nuovo studio confermò l’ipotesi formulata da Plihal e
Born ma aggiunse che il consolidamento della memoria dichiarativa a contenuto emotivo era reso possibile
grazie al sonno REM; da questo momento il Modello a due processi degenerò, poiché diversi autori
iniziarono ad ipotizzare che vi sono molti tipi di memoria associati a molti elementi specifici del sonno,
causando così una vera e propria frammentazione dei modelli di spiegazione sul rapporto tra sonno e
memoria. Questo panorama frammentato appena descritto è stato il motore della review: dopo Plihal e
Born, Stickgold con i suoi Modelli “sequenziali” fu il primo ad intuire che per produrre un effetto sonno
sono importanti sia il sonno REM che il sonno N-REM, anche se lui li riteneva ancora un po' come una
“somma”, cioè sono importanti entrambi gli stati di sonno ma sommati assieme. Successivamente ciò
venne confermato grazie ad alcuni esperimenti di Giuditta sui ratti: notò che i ratti, i quali dovevano correre
lungo dei labirinti, consolidavano meglio la memoria spaziale quando trascorrevano maggior tempo nel
sonno “transizionale” (sonno situato a metà tra fase REM e fase NREM). In base a questi risultati Ficca e
Salzarulo hanno formulato l’ipotesi dei cicli: non è importante la quantità di sonno REM o N-REM per il
consolidamento mnestico, ma il completamento dell’intero ciclo di sonno; fino a quel momento nessuno

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

dei vari autori aveva preso in considerazione come fattore fondamentale il ciclo. Nel 2000 Ficca dimostrò
l’ipotesi dei cicli di sonno attraverso l’esperimento di disorganizzazione del sonno, in cui, dopo aver fatto
imparare una lista di parole ai soggetti, in un caso frammentò il sonno dei soggetti mantenendo il
completamento dei cicli e nell’altro caso invece lo frammentò interrompendo i vari cicli; la condizione in cui
i soggetti ricordarono meglio la lista di parole fu quella in cui vi era stato il completamento dei cicli di
sonno. La review così si apre presentando due approcci teorici di spiegazione dell’effetto sonno:

- Da un lato vi sono i modelli “compito-dipendenti” (task dependent). Modelli che derivano dal
modello a due processi di Plihal e Born e che via via hanno frammentato sia i tipi di memoria che le
componenti del sonno.
- Dall’altro lato vi sono i modelli “sequenziali”. Questi modelli a partire da Stickgold ritengono
importanti sia il sonno REM che sonno N-REM per tutti i tipi di compiti, quindi per il
consolidamento mnestico riguardo tutti i tipi di memoria (Ambrosini, Giuditta, Salzarulo, Ficca).
Importanza dell’interazioni di tutte le componenti del sonnotutti i tipi di memoria.

Per cui lo scopo della review è quello di fare un po' il punto della situazione e di dare una sorta di
compasso: “svantaggi dei modelli psicologici su sonno e memoria, un compasso in uno scenario cresciuto
troppo” (ricco in senso negativo). Nella review vi sono i seguenti punti:

- Introduzione: esiste un modello psicologico unitario che spiega l’effetto sonno? La risposta è no.
Esistono queste due grandi famiglie: modelli sequenziali, modelli task-dependent.
- Rivalutazione del concetto di “consolidamento mnestico”
- Fattori psicologici che entrano in gioco nelle varie fasi del processo di apprendimento
- Rivalutazione degli elementi del sonno cruciali per l’effetto sonno. (questo pezzo è da saltare)

Svantaggi dei due approcci.

1. Modelli task-dependent: scarse capacità predittive (perché vi sono risultati discordanti), flaws
(limiti) metodologici del paradigma sperimentale “early sleep-late sleep” (il late sleep non è un
sonno naturale perché i sogg. In questa condizione vanno a dormire dalle 4 alle 8 di mattina, quindi
è un limite ecologico).
2. Modelli sequenziali: difficoltà nel manipolare il sonno (in uno studio della dott.ssa Conte invece
viene utilizzato un paradigma opposto, ovvero di manipolazione della memoria, in cui veniva
somministrato un training pre-addormentamento ai sogg. Per poi andare a vedere gli effetti sul
sonno, quindi l’effetto sonno viene inferito e non dimostrato in maniera diretta), non totale uscita
dal modello “dicotomico” tra memoria procedurale e memoria dichiarativa nella scelta dei compiti;
Ficca nonostante sostenesse che i cicli fossero importanti per tutti i tipi di memoria (quindi sia

104
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

procedurale che dichiarativa) ha utilizzato cmq la lista di parole, che è un compito dichiarativo, nei
modelli sequenziali però bisognerebbe utilizzare compiti misti, in cui sono presenti diverse
componenti della memoria, ma ciò è molto difficile.

La memoria è un processo RICOSTRUTTIVO non riproduttivo, quindi molti elementi che richiamiamo alla
memoria non è detto che siano veri, tranne per quanto riguarda la memoria a breve termine che però
riguarda pochi secondi. “Il consolidamento mnestico non è solo il processo per cui viene formata una
traccia sulle cellule nervose, ma include anche un processo di associazione e di organizzazione delle nuove
tracce con quelle vecchie” (Burnham).

Il problema che si riscontra negli studi su sonno e memoria è che vengono utilizzati compiti “puri” in un
certo dominio cognitivo, compiti che però non vengono riscontrati durante la vita reale, nella quale la
memoria è un processo molto complesso di ricostruzione e modellamento delle tracce mnestiche e quindi
tutti questi compiti utilizzati nei paradigmi sperimentali sono poco ecologici; inoltre questi compiti ci
traggono in inganno, perché tutti prima pensavano che il sonno aiutasse il consolidamento mnestico,
ovvero il rafforzamento di tracce mnestiche che rimangono così come sono, ma in realtà il sonno aiuta a
trasformare e a integrare l’apprendimento avvenuto precedentemente nelle reti di memoria esistenti nel
cervello. Il termine “consolidation” è tuttora usato, ma rimanda più a un’idea di memoria riproduttiva
anziché ricostruttiva. A supporto di questa idea vi sono recenti studi, condotti precisamente nel 2013
(Conte e Ficca): “è difficile credere che le funzioni del sonno per la memoria siano limitate al mero
rafforzamento di memorie grezze. Più plausibilmente l’azione del sonno sul materiale acquisito durante la
veglia include un certo numero di cambiamenti qualitativi finalizzati a massimizzare l’utilità
dell’apprendimento per il comportamento futuro.” La memoria è ricostruttiva anziché riproduttiva perché il
nostro cervello non ha la stessa capienza di un computer, per cui non può mantenere in memoria tutti gli
stimoli che noi percepiamo, quindi bisogna fare una selezione e utilizzare parsimonia ed economia,
ricordando ciò che ci è utile. Lo stesso ragionamento lo si riscontra nel sistema visivo: la macula cieca
rappresenta un punto in cui non vediamo perché è un’area sprovvista di fotorecettori, per cui il nostro
cervello, attraverso un processo di ricostruzione, completa il campo visivo; questo processo è detto “top-
down”, cioè non proviene dall’esterno bensì dall’interno. Abbiamo una serie di processi top-down anche
mnestici, quindi a seconda di cosa ci aspettiamo di ricordare, noi completiamo il ricordo.

In merito vi sono alcune prove sperimentali. Un paradigma utilizzato è quello del DIRECTED-FORGETTING
(forgetting intenzionale, ovvero dire al soggetto di imparare una cosa e poi dimenticarla intenzionalmente):
è stato dimostrato che il forgetting intenzionale è diverso dall’oblio passivo ed è sostenuto dall’attivazione
di strutture neurali differenti da quelle all’opera nel ricordo intenzionale. Sono stati condotti solo 3 studi sul

105
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

sonno come facilitatore della dimenticanza che però hanno avuto risultati contrastanti. Perché è
importante la dimenticanza? Noi abbiamo anche bisogno di dimenticare per poter essere efficienti.

1.Astrazione del gist (gist=succo del discorso): paradigma sperimentale DRM= DEESE-ROEDIGER-
McDERMOTT 3 psicologi della memoria che somministrarono ai sogg. Una lista di parole associate ad una
parola chiave che non c’era. Es.: porta, vetro, pannello, davanzale, tenda, aprire, casa, riferite alla parola
critica che è “finestra”. Nel momento in cui i sogg. Dovevano ripetere la lista di parole attraverso il richiamo
libero, puntualmente dicevano anche la parola “finestra”, anche se questa non era presente nella lista
precedentemente somministrata. Questa è una dimostrazione sperimentale della falsa memoria. I soggetti
dicevano la parola “finestra” proprio perché il succo del discorso era rappresentato da tale parola.
Diekelmann ha utilizzato questo stesso paradigma con il sonno, dimostrando che in realtà il sonno facilita la
produzione di false memorie, ciò non è ritenuta una cosa negativa, anzi, ricordarsi il “succo del discorso”
anziché tutte le parole è più utile e parsimonioso. Payne invece ha fatto imparare ai sogg. Delle scene in cui
c’erano un background (sfondo) e un elemento saliente e in alcuni casi l’elemento saliente era a contenuto
emozionale negativo; è stato dimostrato che il sonno (rispetto al periodo di ritenzione trascorso in veglia)
facilitava il ricordo di questi elementi negativi piuttosto che del loro sfondo (da un punto di vista
evoluzionistico ed adattivo è importante ricordare tutto ciò che è negativo, non a caso le 5 emozioni di base
son quasi tutte negative, proprio perché queste ci aiutano a proteggerci da ciò che è nocivo o che ci
potrebbe danneggiare).

2.Estrazione di relazioni astratte tra nuovi elementi: su questo argomento vi sono diversi studi. Ad esempio
Ellenbogen faceva imparare ai propri soggetti delle relazioni tra elementi (B è maggior di A, e C è maggiore
di B -> A<B<C) e dopo aver trascorso del tempo in sonno anziché in veglia, nel momento del test i soggetti
riuscivano a fare meglio delle inferenze gerarchiche sugli elementi presentati prima del sonno (ad esempio
in base a quello che è stato detto precedentemente, i soggetti riuscivano a inferire che se B è maggiore di
A, e C è maggiore di B, allora C è maggiore di A). Altri studi di questo tipo sono stati condotti da:

- Cai con il Remote Associates Test RAT: “Esami, velocità, scuola, televisioni” -> “MEDIA” il test
funziona in maniera molto simile all’ultimo gioco dell’Eredità, in cui il soggetto deve inferire la
parola chiave che accomuna tutte le altre parole presentate. Inferire una relazione tra vari elementi
significa fare un tipo di riorganizzazione delle memorie.
- Lau con le associazioni transitive tra elementi: A con C, B con CA con C. (simile allo studio di
Ellenbogen)
- Lau altro studio con dei bambini piccoli sull’apprendimento di relazioni tra “radicali” di ideogrammi
cinesi e lemmi inglesi in uno studio linguistico.

106
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Insomma in ognuno di questi studi è stato dimostrato che si otteneva un migliore effetto (ovvero inferenze
di relazioni tra nuovi elementi) dopo aver trascorso del tempo in sonno anziché in veglia.

3.Estrazione di regole e schemi “impliciti”: paradigma sperimentale  autori come Wagner hanno utilizzato
con il sonno il Number Reduction Task, in cui ai soggetti vengono dette un paio di regole e in base a queste
devono ridurre una stringa di numeri ad una stringa più breve; oltre alle due regole esplicite vi è una terza
regola implicita, che se i soggetti capiscono, permette di compiere l’operazione in maniera molto più
rapida. È stato dimostrato che i soggetti, dopo aver trascorso del tempo in sonno, erano più bravi a inferire
questa terza regola implicita. Più specificamente: dopo il sonno, indipendentemente dall’ora del giorno a
cui era collocata la prova, il doppio dei soggetti avevano compreso la regola implicita il doppio delle volte
rispetto a dopo la veglia.

4.Integrazione di nuovo materiale in precedenti “reti” di conoscenza: anche questo è stato dimostrato
essere facilitato dal sonno rispetto al corrispondente intervallo in veglia. In particolare Dumay e Gaskell
come paradigma sperimentale hanno utilizzato una competizione lessicale: facevano imparare a dei
bambini delle parole nuove rispetto a un linguaggio vecchio e poi questi soggetti venivano sottoposti a una
prova di competizione di parole con un effetto priming (riconoscimento uditivo di parole), se le parole
precedenti simili interferivano con le parole nuove allora significava che queste erano state integrate.

Tutte queste prove sperimentali citate finora hanno dimostrato dal punto di vista psicologico come i vari
processi di riorganizzazione della memoria sono facilitati dal sonno. Un altro supporto di ciò è dato da
un’ipotesi neurobiologica  il modello dell’ “INFORMATION OVERLAP TO ABSTRACT” (Lewis e Durrant,
2011): due autori italiani Tononi e Cirelli (2003) hanno ipotizzato il “downscaling sinaptico”, ovvero che
durante il sonno a onde lente avviene una potatura sinaptica, in altre parole che le sinapsi poco utilizzate
vengono a decadere, ciò serve a mantenere il cervello “pulito” da roba inutile. Lewis e Durrant riprendono
l’ipotesi di Tononi e Cirelli e ipotizzano che durante il sonno a onde lente si riattivano simultaneamente più
volte le sinapsi delle aree in sovrapposizione tra loro (sinapsi overlap) e associate a memorie diverse, per
cui scaricando maggiormente rispetto ad altre aree, queste vengono potenziate o “rafforzate” e quindi
quando accade il downscaling sinaptico hanno minore probabilità di decadere. In altre parole i ricordi ben
integrati nel tessuto delle altre memorie vengono conservate meglio rispetto a dettagli isolati che
fondamentalmente sono poco utili. Vi sono alcune caratteristiche del sonno a onde lente che sono a favore
dell’idea che questo processo appena descritto avvenga proprio durante tale fase del sonno: -maggior
grado di isolamento sensoriale, -il “replay” dall’ippocampo alla corteccia della memoria sembra avvenire
durante il sonno a onde lente, -riduzione dei livelli di acetilcolina corticali che consentirebbero il transfer
ippocampo-corticale di informazioni, -downscaling sinaptico.

107
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Nella review, dopo questo paragrafo, chiaramente non si giunge a una conclusione, semplicemente si è
cercato di mettere insieme tutti i vari elementi, ipotesi, studi, idee e teorie in maniera critica. Vi è una sorta
di dicotomia tra chi sostiene l’importanza del sonno REM e chi invece il sonno N-REM (ad esempio Lewis e
Durrant sostengono la crucialità del sonno a onde lente) per il processo di riorganizzazione della memoria:

- Yordanova et al.: l’estrazione delle regole implicite del Number Reduction Task è avvenuta +
frequentemente nei soggetti dopo l’ “early sleep” anziché “late sleep” (quindi maggiore importanza
al sonno a onde lente)
- Durrant et al.: correlazione significativa tra il sonno a onde lente e una misura di individuazione di
regole nascoste
- Drago et al.: correlazioni positive tra N-REM e misure di flessibilità, pensiero divergente e creatività.
Mentre correlazioni negative tra REM e originalità.
- Walker et al.: è più facile risolvere gli anagrammi quando i soggetti si svegliano dal sonno REM
- Cai et al.: il sonno REM aumenta l’integrazione di info non associate in misura maggiore rispetto al
sonno a onde lente.

Walker e Stickgold (2010) addirittura promuovono il modello “stabilizzazione-integrazione”, secondo il


quale prima vi è una fase stabilizzante delle tracce mnestiche durante il sonno a onde lente e
successivamente con il sonno REM avvengono i processi ricostruttivi.

Ultimo pezzo della seconda parte della review: E’ interessante notare come la questione della
riorganizzazione della memoria sonno-dipendente sottosta in letteratura alla stessa concettualizzazione
dicotomica che riguarda il consolidamento semplice. Di nuovo, i risultati si dividono tra quelli a supporto
per il sonno a onde lente e quelli che suggeriscono il REM come stato cruciale del sonno. In più questa
dicotomia concettuale è parallelata dalla dicotomia anatomica con interpretazioni opposte dei risultati nei
due casi: i supporter del sonno a onde lente evidenziano un coinvolgimento dell’ippocampo nel mettere in
relazioni elementi diversi della memoria e situati nel loro contesto appropriato (è interessante notare che
l’ippocampo è infatti più attivo durante il sonno N-REM), al contrario i supporter del REM basano il loro
modello sull’indipendenza dall’ippocampo, proponendo che il processamento neocorticale associato al
REM sia più flessibile rispetto a quello ippocampo-dipendente.

Al di là di tutti i risultati, non si parla più di consolidamento mnestico e basta, ma esistono diversi processi
mnestici, processi sia ricostruttivi che di stabilizzazione delle tracce mnestiche e potenziamento della
performance (come afferma Stickgold). Nella terza parte della review sono stati presi in rassegna i fattori
che possono influenzare l’apprendimento e quindi il processamento in sonno della memoria, perché alcuni
studi hanno mostrato che l’effetto sonno è diverso a seconda della difficoltà del compito, della

108
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

consapevolezza, della motivazione (Fisher e Born ad esempio condussero uno studio in cui davano o meno
un incentivo monetario per il re-test post-sonno, e coloro i quali avevano ricevuto l’incentivo si ricordavano
meglio); quindi esistono diversi fattori psicologici che modulano l’effetto sonno.

Studio della Dott.ssa Conte: Il sonno si modifica in funzione delle caratteristiche della veglia precedente.
Questo studio è consistito in una manipolazione della memoria per poi vedere i suoi effetti sul sonno
successivo. Attraverso questo studio si è attivata una riflessione sul fatto che se molti tra gli studi sul sonno
nel corso del tempo hanno mostrato che facendo fare dei compiti prima di andare a dormire si modificano
le caratteristiche del sonno, evidentemente il sonno non si modifica solo in base alla durata della veglia
precedente come affermò Borbely, ma anche in base alla qualità della veglia come aggiunse Feinberg.
Quindi due fattori fondamentali modulano le caratteristiche del sonno successivo:

- DURATA della veglia è uno dei fattori cruciali nella regolazione del sonno determinando il
cosiddetto “processo S”, di tipo omeostatico (Borbely).
- INTENSITA’ della veglia il tipo e la quantità di attività fisica e/o cognitiva influenza
significativamente il sonno successivo (Feinberg).

“La veglia non è semplicemente uno stato indifferenziato che riempie l’intervallo di tempo fra gli episodi di
sonno.”

Alla fine della review e in relazione a quanto detto poco prima, Ficca propone l’ipotesi dell’esistenza di un
“processo L”, in analogia al processo C e processo S che appartengono al modello di Borbely e processo W
che spiega l’inerzia del sonno. L’idea di base è che a seconda di quanto apprendimento vi è in veglia, si avrà
un sonno diverso, inoltre in teoria apprendimento e qualità del sonno sono direttamente proporzionali,
cioè più imparo e più dormirò meglio, anche se ciò è molto difficile dimostrarlo sperimentalmente, perché è
altrettanto difficile manipolare sperimentalmente l’apprendimento, in quanto durante il corso della
giornata tutti apprendiamo qualcosa, è impossibile non apprendere nulla (ad es. anche mentre guardo la
televisione sto apprendendo qualcosa).

Nello studio della Dott.ssa Conte (condotto su un campione di persone anziane) il paradigma sperimentale
utilizzato è stato il seguente:

- Abitudine fase in cui gli anziani si abituavano a dormire con gli elettrodi posti sul capo
- CONDIZIONE 1 baseline (no training)
- CONDIZIONE 2 training di memoria dichiarativa (venivano somministrate liste di coppie di parole
da imparare)

109
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

16 9
14 8
12 7
6
10
5
8
4
6 3
4 2
2 1
0 0
Baseline Training Baseline Training
AROUSALS RISVEGLI

Prima dello studio vero e proprio, sono stati condotti studi pilota in cui le misurazioni venivano fatte con
l’actigrafo, successivamente nello studio è stato utilizzato il poligrafo per la registrazione dei parametri.
Sono stati riscontrati risultati simili in entrambi i casi, in particolar modo durante il sonno della condizione
n. 2 diminuivano significativamente gli arousals e i risvegli comportamentali, inoltre è stata notata una
riduzione delle misure di stabilità del sonno a questo punto l’ipotesi dei cicli di Ficca e Salzarulo si è
ampliata, ciò significa che per ottenere un buon consolidamento mnestico, oltre al completamento dei cicli,
più in generale è importante la continuità (pochi risvegli e pochi arousals) e stabilità (poche transizioni di
stato, raro nel sonno degli anziani) del sonno. *la condizione in cui i soggetti anziani hanno frequenti
passaggi di stato durante il sonno (sonno disorganizzato), è stata definita da Salzarulo come “incertezza
funzionale”(incapacità del Sistema Nervoso Centrale di mantenere una condizione stabile, *periodo di
incertezza funzionale=una successione di almeno 3 periodi di stadi differenti, ognuno + breve di 4 epoche).

Ipotesi dei cicli: ciò che è importante per un buon consolidamento mnestico è proprio la qualità globale
dell’episodio di sonno, che è espressa non solo dai cicli, ma anche dalla continuità e stabilità. (3 parametri
fondamentali).

Nello studio è stato preso in considerazione un campione di anziani proprio per evidenziare meglio questo
effetto di “riorganizzazione del sonno”, dato che il sonno degli anziani normalmente è più disorganizzato.
Per cui confrontando la condizione 1 con la condizione 2, si è potuto notare più facilmente l’effetto causato
dalla condizione di training. Il modello del processo L in questo caso potrebbe spiegare che probabilmente
l’anziano ha un sonno disorganizzato non solo a causa di disturbi medici, ma anche a causa del fatto che
durante la veglia apprende molto di meno e ha una stimolazione cognitiva molto minore rispetto al resto
della popolazione, proprio perché l’anziano in media ha uno stile di vita diverso e di “isolamento sociale”.
Per cui dato che durante la veglia non apprende chissà cosa, il suo sonno successivo non ha bisogno di
riorganizzarsi e ricompattarsi per poter facilitare il processo mnestico.

110
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Nello studio gli anziani dopo il training presentavano un aumento della qualità del sonno, in termini di
continuità, stabilita e maggior numero di cicli.

Fine della review:

1. Sintesi: bisognerebbe essere molto attenti alle istruzioni date nella fase di acquisizione, ad esempio
se informare il soggetto se ci sarà un re-test dopo il periodo di ritenzione, se offrire degli incentivi
(monetari o meno), calibrare la difficoltà del compito e la quantità di richieste attentive che
servono a fare il task (compito). *tutti questi fattori possono influenzare l’apprendimento. Ogni
studio dovrebbe includere una valutazione della percezione del soggetto sull’intenzionalità e sulla
consapevolezza dell’apprendimento e della difficoltà del compito, e poi soprattutto i parametri
utilizzati negli studi sul sonno e sulla memoria dovrebbero essere integrati con quelle variabili che
esprimono la stabilità, continuità e organizzazione del sonno.
2. Proposte per futuri sviluppi di ricerca: sarebbe utile esplorare delle forme di apprendimento più
articolate della vita quotidiana, come la memoria prospettica o utilizzare compiti misti (sia
procedurali che dichiarativi), proprio perché un compito “puro” nella vita di tutti i giorni non esiste.
Studi dose e risposta servono per chiarire la questione di quanto sonno serve alla memoria. Come
dimostrato da tutti gli studi “post-training sleep studies” (in cui si manipola la memoria per vedere
gli effetti sul sonno) la quantità e la qualità dell’attività cognitiva durante la veglia hanno un
impatto chiaro sulle caratteristiche del sonno. In questo caso dovrebbe essere studiata la possibilità
dell’esistenza di questo processo L per eventualmente includere un modello più aggiornato di
regolazione del sonno.

111
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

11° LEZIONE
SOGNO IN UNA DIMENSIONE STORICO-CULTURALE

Il sogno come era considerato secoli fa, millenni fa? Gli antichi greci, ma anche nelle culture
indigene vedevano il sonno come una realtà parallela: succede che quando noi domiamo secondo
loro abbiamo la possibilità di stare in questa realtà parallela, di ricevere messaggi.
Noi i sonni li facciamo o li abbiamo? Col corso del tempo ci si è sempre più avvicinati all’idea che il
sogno lo facciamo.

Possiamo adottare una prospettiva differente e cioè che quello che succede nel sogno è il riflesso
di quello che accade nella vita e nella vita. È una riflessione della esperienza quotidiana. In questa
senso è chiaro che noi possiamo pensare che il sogno sia un artefatto di quello che succede
durante la notte e vedrete che poi sempre di più, andando a capire la cornice fisiologica si
avviciniamo sempre più all’idea che il sogno è un prodotto primario o secondario della corteccia
cerebrale .

L’approccio più antico e tradizionale per la comprensione del sogno è considerarlo come una
comunicazione da parte di agenti esterni: divinità, angeli, spiriti. Questo è molto presente
nell’epica classica

112
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

La figura di Esaco, il
tramite che porta
distinzione tra il
significato e il
significante del sogno,
richiama gli sciamani,
la psicoanalisi.

Ho messo dei quadri


Giotto (1266-1337) The
Dream of Joachim,
1303-1305, fresco.
Arena Chapel, Padua,
Italy.

Questo è il classico sonno dell’arte medievale. L’angelo manda il sogno a Gioacchino.

Oppure:

Giotto (1266-1337) The Dream of Pope


Innocent III, 1303-1305, fresco. San
Francesco, Assisi, Italy.

Qui il sogno di Papa Innocenzio III è


ispirato dalla trinità.

113
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Dopo di chè ad un certo punto c’è la rivoluzione psicoanalitica. Che cosa ci dice la
psianalisi? Freud ci dice che il sogno è una via referenziale attraverso il quale noi possiamo
accedere ai contenuti dell’inconscio. Quindi il sogno nella psicoanalisi assume il ruolo
cruciale per la comprensione dell’inidividuo. Nel sogno vengono fisiologicamente elaborati
dei conflitti inconsci in modo mascherato. C’è una trasofrmazione dei contenuti e lo
psicoanalista interpreta. Il sogno è il materiale primario delle libere associazioni che è la
tecnica classica della psicoanalisi .

Togliendo Freud, vediamo come è affrontato il sogno in posti diversi. È inevitabile che
questo porti a una lettura di tipo antropollogico. Ad esempio gli studi di Galinier che ha
studiato gli Otomi, un popolo primitivo messicano (Gli Otomi delle foreste messicane
ritengono che l’entrata in sonno e nel sogno consente il fenomeno detto kwhani, ossia una
sorta di illuminazione al confine tra due universi spazio-temporali), oppure gli studi di
Kuiken che studiava gli Indiani (Gli indiani nordamericani al risveglio si sentono più vigili e
riportano un numero maggiore di resoconti di sogno rispetto alle popolazioni
nordamericane di controllo. Il motivo è che loro sono fortemente interessati al sogno,
perché il sogno è una manifestazione della realtà parallela a cui facevamo riferimento
prima), oppure Chatwin con gli Aborigeni Australiani [Gli aborigeni australiani
attribuiscono al sogno un valore fondamentale in senso cosmogonico e profetico
(possibilità di far accadere gli eventi attraverso la narrazione del sogno). Nelle “le vie dei
canti” racconta della concezione del mondo e della sua prigine secondo gli aborigeni. Per
loro tutto ha origine dal cosidetto “dreamtime” (tempo dei sogni), un tempo in cui
esistevano solo le divinità che costruiscono il mondo (il panoramana geografico è la diretta
traduzione della divinità) loro raccontano i sogni non allo sciamano ma a tutta alla
comunità].

Quando noi pensiamo che il sogno non è ricevuto ma prodotto internamente cambia anche
la rappresentazione artistica.]

Se vogliamo svincolarci da una visione del sogno strettamente storico, dobbiamo definire il
sogno. Che cos’è il sogno?un pensiero non guidato dal controllo della realtà che avviene in
un momento incui c’è un distacco dalla realtà esterna (questo è quello che è uscito dai
ragazzi in aula)

114
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Ora che avete capito, andiamo a vedere qualche definizione.


Shaffen (è quello della privazione del topolino) e Antrobus dicono che il sogno è un
eserienza prvata perché il sogno così come noi lo vediamo appena ci svegliamo non esiste
più . non è accessibile a nessuno menneo al sognatore tant’è nel momento in cui si sveglia
quello che lo recupera nella memoria del sgno che stava vivendo già è diverso.
Sicuramente se io vi chiedo di raccontarvi un sogno appena vi svegliate siete abbastanza
fedeli, ma quelle cose non assolutamente fedeli, pwerchè alcune cose che accadono nei
sogni non sono traducibili in parole. Il sogno è totalmente privato e una volta che siete
sveglie il sogno appasisce immediatamente

“il sonno è l’esperienza mentale sel sonno, o un processo mentale. Un attività mentale
con caratteristiche percettive particolari con svolgimento sequenziale, eventuali
moementi di bizzarria, frequente vissuto di partecipazione personale, accompagnata da
alienità rispetto all’hic et nunc del dormiente,inefficienza dell’esame di realtà e perdita
del controllo totale del pensiero”. (Bosinelli)

Bosinelli ha avuto un intuizione brillantissima che è se io definisco il sonno in questo modo


io il sonno no lo posso studiare mai perché se è un evento privato è instubialie. Quindi
bisogna definire quella parte del sonno che è studiabile? Il resoconto di sonno.

Quindi ora la definizione del sogno cambia perché da esperienza mentale diventa: un
resoconto di un esperienza di sonno considerata reale c’è l’allucinazione onirica
quantificata dopo il risveglio come mentale, una volta che sia stato ripristinato il corretto
uso dell’esame di realtà.

Così lo posso studiare il sogno perché l’oggetto di studio è il resoconto di sogno (Dream
report).

Gli animali sognano? Si può ipotizzare ciò, anche con i bambini. Il problema è che io non
posso darlo per scontato solo osservando un comportamneto. Se io dico che inietto una
sostanza che inibisce i motoneuroni io non posso dire che sta sognando ma mi deto
limitare ad. Quando io dico immagino come mia prospettiva teroia che ogni volta cambia il
comporamento c’è un esperienza mentale corrispondente (l’erezione dell’uomo la mattina:
non posso dire che sta facendo per forza un sogno erotico perché sappiamo che l’erezione

115
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

non è sempre legata a questo). Questo tipo di prospettiva che unisce l’evento fisioologico
ocn quello mentale si chiama isomorfismo mente-corpo ed è unaprospwettiva teroia che
alcuni autori hanno usato soprattutto negli anni 70. Questo è stato sconfessato: un conto è
l’esperienza mentale, un conto è il fenomeno fisiologico che spesso è concomitante, e un
conto è il racconto dell’esperienza mentale.

Quindi Shaffer dice che noi dobbiamo usare qualche manifestazione usabile nel pubblico,
esternamente dell’esperienza mentale che è interno come il sogno. Quindi il resoconto. Il
problema che il resoconto contiene il sogno più la deformazione che avviene dalla
traduzione mentale più i pezzi di ricordi (quando ricordo già sto deformando).

Snyder era un rappresentante di questa scuola di isomorfismo mente e corpo e scrive un


capitolo intitolato fenomenologia del sogno: le parole del soggetto devono chiaramente
affinchè noi possiamo parlare di sogno trasmettere un esperienza di imaginary (scena) che
sia complessa e organizzata da un punto di vista percettivo. L’imaginary riportata è sempre
parzialemente visiva. Una parte di questa scena c’ha delle componenti visive. Quindi
questa definizione non include un certo tipo di sogno in cui le modalità sensoriali non sono
solo visive. Questa scena deve in qualche modo avere un certo tipo di progressione
temporale, o il cambiamento. Non è una foto, ma un film. Questa progressione di questa
scena visivamente complessa è un fac simile della percezione visiva della realtà. Il sogno è
rappresentativo (rappresentation): noi possiamo sapere che pur avendo ben presente le
caratteristische di stranezzi di alterità e di alienità, il sogno può essere paragontato alla
realtà perché c’ha delle caratteristiche visuo-percettive comuni.

Sono stati fatti degli studi alla fine dell’800 prodotti con una modalità che siama analisi-
metodo introspettivo. Il soggetto che fa la ricerca è lo stesso che sogna.

Il sonno ha una componente emotiva attivante molto importante

I sogni coinvolgono più che semplicmente le categorie larghe dell’esperienza sensoriale.


Non possiamo parlare solo di registro visivo,uditivo e cinestetico coems e fossro staccate
ma vanno prese tutte insieme, Quando sognamo facciamo fatica a distinguerli. I sogni sono
spesso bizzarri e multisensoriali.

116
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Nel resoconto di sogno ci sono spesso presenti delle attività quotidiane. Ci sono delle
attività che fatichiamo a considerare parte del sogno, perché sono di uso comune.

Miti sfatati:

-Gli stimoli esterni posso essere intgrasti nei sogni


-Si sogna sempre anche se ci sono quelli che dicono “io no sogno mai, non li ricordo mai”
-Le erezioni mattiniere non sono associati a c ontenuti sessuali
-Sonnambulismo e sonnniloquio non sono fenomeni del sogno, cioè non sono guidati
dall’esperienza mentale, tant’è vero che sono legati sonno ad onde lente che è lo stato del
sonno in cui si sogna di meno

Ricapitoliamo un attimo queste caratteristiche sel sogno:


-intense emozioni spesso così violente da determinare il risveglio
-contenuto illogico
-epserienza ed impressioni sensoriali normmali concrete
-accettazione critica
-in alcuni casi difficoltà a ricordare il contenuto del sogno

Un sogno lo possiamo più far vedere che raccontarlo. Quindi ci sono questi ricercatori belgi
che sono Schwartz e Maquet (maquet lo abbiamo incontrato in sogno e memoria – ci sono
delle attivizaioni cerebrali in sonno NREM e che questi attivazioni corrispondo alle
attivazioni di quando stiamo imparando). Loro dicono che poiché i sogni sono
principalmente visivi, e presentano frequentemente elementi bizzarri, le descrizioni
pittoriche come i disegni posso offrire informazioni supplementari di grande valore. Nel
loro esperimento il soggetto disegna una foresta.ogni albero sta su una passerella che
mostra al di sotto dei funghi. Hanno fatto una categorizzazione del contenuto onirico. (Ci
sono dei sogni esperienze visive molto spiccate, sogni con grande attivazione emotiva,
sogni più banali da attività quiotidiane).

Il sogno viene spesso con la musica. Chi ama la musica, chi suona uno strumento e chi
ascolta molta musica, spesso sogna la musica. (a chi non è capitato di svegliarsi con un

117
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

motivetto sentito il giorno pria senza l’intenzione di apprenderlo) Chi compone, mentre
dorme compone delle righe musicali.

Studio fatto a firenze da Valeria Uga

LO STUDIO SPERIMENTALE DEL SONNO

OBIETTIVO: conferire scientificità allo studio del sogno applicando le metodiche della
psicologia sperimentale basate sull’operazionalizzazione che hanno come scopo passare
da un piano trascendente e immateriale ad un piano fisico,misurabile e quantificabile .
Dal momento che noi vogliamo studiare dei fenomeni quantificati spesso si è pensato che
lo studio dei sonno equivalesse allo studio delle condizioni fisiologiche nelle quali il sogno
viene prodotto. E questo avete già capito prima quando abbiamo criticato il concetto di
isomorfismo è una visione erronea.

Nel 1911 questo autore francese che si chiama PASHID classifica la possibilità di studiare i
sogni in 4 metodi:

-introspettivo
-oggettico
-eclettico
-questionari ed interviste

il suo punto di riferimento è Alfred Maury che ha per tutta la vita studiato attraverso
l’analisi introspettiva. Analisi dei sogni basata sul metodo soggettivo/introspettivo:
capacità soggettiva di cogliere, riportare e valutare la propria produzione onirica ≠
psicoanalisi (è diversa dalla psicoanalisi perché in quest’ultima l’interpretazione onirica è
affidata allo psicologo, non al soggetto stesso). Per Maury i sogni sono un fenomeno che
accompagna le impressioni sensoriali assorbite prima e durante il sonno: Nel sonno vuole
trovare le tracce sensoriali percepite durante la veglia.

ESEMPIO: il sogno della ghigliottina. Il sogno dell’incudine. Lui durante il sogno sente di
essere preso a mrtellate (sente il suono ma non avverte solore) percepisce solo una
sensazione di liquefazione del cranio. Nota che nella piazza si è messo un fabbro che

118
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

martellava spesso e che nella sua stanza faceva molto caldo. Quindi arriva alla conclusione
che ha unito questi due fattori nel sonno.

I sogni sono un fenomeno episodico legato ad alcune parti del sonno secondo Maury delle
fasi di addormentamento, del risveglio, immagini, o le fasi influenzate da stimoli interni ed
esterni .lo stimolo interno quale può essere? Il dolore, una tensione vescicale.

Quando parla del metodo oggettivo BASHID dice: noi abbiamo la possibilità di legare lo
studio del sogno a delle variabili che hanno a che vedere col sonno. Questo è davvero
rivoluzionario all’inizio del 900. E lui dice: noi dobbiamo controllare la profondità del
sonno. Come faccio a sapere s eil sonno è o non è profondo? Vedo se il soggetto si muove
poco, la frequenza del cuore, del respiro, le espressioni del corpo e perché secondo lui la
profondità del sonno influenza lanatura del sonno. Questa è un intuizione brillantissima.
Quibndi fa una classificazione in
-veri sogni ( quelli che avvengono nel sonno profondo): qui troviamo delle immagini
sensoriali ma anche l’emozione che permette di distinguere le immagini della veglia
-mezzi sonni ( quelli più vicini al risveglio).

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

12° LEZIONE
Oggi facciamo una lezione che riguarda la sonnolenza, la vigilanza e la performance; per prima cosa ci tocca
definire (o operazionalizzare) questi concetti e capire come li andiamo a misurare, come si sviluppano nel
corso della giornata e via discorrendo…

COSA SIGNIFICA “SONNOLENZA”?


Sulla “sonnolenza” non c’è una visione comunitaria perché essa riguarda diversi aspetti ed è complicato
riuscire a dare una sola definizione che raccolga tutte le caratteristiche che vanno a descrivere una persona
sonnolenta.
 La prima definizione che troviamo è stata data da Apuleio, il quale dice che “la sonnolenza è uno
stato di pesantezza” che, ovviamente, tale studioso descrive soprattutto da un punto di vista
soggettivo perché non possiamo avere delle registrazioni oggettive di questo stato torpore;
 Cicerone introduce il concetto di “sonnacchioso”, termine che fa riferimento ad una lentezza nelle
risposte; definizione, anche questa come la precedente, che non è ancora ascrivibile dal punto di
vista oggettivo;
 Nel 1982, Dement e Carskadon si muovono su un punto di vista più oggettivo e dicono che “la
sonnolenza descrive tutti quei segni (a livello elettrofisiologico) che indicano la tendenza a scivolare
verso il sonno”;
 Chaumet (studioso francese), invece, indica la sonnolenza come uno “stadio intermedio tra veglia e
sonno.. una tendenza irresistibile ad assopirsi”. Secondo molti studiosi “la sonnolenza vista come
stadio intermedio” è una definizione molto riduttiva in quanto non necessariamente quando siamo
sonnolenti poi andiamo a dormire (per cui, tali studiosi, indicano la sonnolenza come uno stato
comportamentale che presenta delle proprie caratteristiche); inoltre, la sonnolenza vista da
Chaumet come “una tendenza irresistibile ad assopirsi” è un’altra definizione dal punto di vista
soggettivo.
Oggi si ritiene che, per definire la sonnolenza, dobbiamo operare dei confini e definire bene “che cosa non è
la sonnolenza”: molto spesso, nel senso comune, ci sono dei segni che crediamo accompagnino la
sonnolenza, ma non necessariamente poi indicano veramente una persona sonnolenta; l’affaticamento o
la stanchezza, per esempio, non sono sinonimi di sonnolenza (eppure nel senso comune vengono associati
spesso ad essa): fatica e stanchezza, in realtà, possono accompagnare uno stato di sonnolenza ma non
necessariamente rendono una persona sonnolenta.

L’opposto della “sonnolenza” è la “vigilanza”; quest’ultima è intesa come la capacità di mantenere


un’attenzione selettiva e sostenuta (per un certo periodo di tempo) ad uno stimolo escludendo gli altri.
Collegati al concetto di vigilanza, e alla base di esso, vi sono la condizione di:
120
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

 arousal (livello oggettivo)= indica da un lato un’attivazione dal punto di vista strettamente
elettrofisiologico, dall’altro un’attivazione dal punto di vista psico-fisiologico: una persona che ha
un certo livello di arousal è in grado di mantenere l’attenzione e di sostenerla per un certo lasso di
tempo;

 alertness (livello soggettivo)= indica la sensazione di essere in allerta e pronti a rispondere agli
stimoli esterni.

OPERAZIONALIZZAZIONE: TECNICHE DI MISURAZIONE DELLA SONNOLENZA

1) Osservazione naturalistica
2) Scale soggettive Vediamo queste tecniche in dettaglio:
3) Misure fisiologiche ed elettrofisiologiche
4) Test di prestazione

1. OSSERVAZIONE NATURALISTICA= mediante cui possiamo osservare direttamente come si comporta la


persona sonnolenta, andando a misurare dei segnali specifici come:
 Il dozing off. Fenomeno che si verifica quando la sonnolenza è molto accentuata e mentre ci stiamo
addormentando perdiamo il tono muscolare: il “dozing off” si esprime quando la persona, non
riuscendo più a controbattere la sonnolenza, scivola con il corpo e il capo in avanti e poi, nel
momento in cui si deve riattivare, si da una spinta all’indietro.
 Lo sbadiglio. Fenomeno di tipo respiratorio che comporta una profonda inspirazione, seguita da
un’altrettanta profonda espirazione; è stato riscontrato che esso non è proprio un segnale di
sonnolenza, ma è un fenomeno attraverso cui contrastiamo la sonnolenza: questo stretching
respiratorio ci permette di riattivarci e di aumentare la vigilanza. Lo sbadiglio, quindi, si trova in un
momento in cui la sonnolenza è ancora contrastabile. Mediante l’osservazione naturalistica noi
possiamo contare la frequenza (il numero) degli sbadigli in una certa unità di tempo, ricevendo
indicazioni su quanto una persona è
SISTEMA DOPAMINERGICO
sonnolenta e in quale momento della Sbadiglio e eye-blinking sono indici periferici
(ovvero che si trovano sul corpo) che indicano
giornata lo è di più;
l’attivazione del sistema dopaminergico (sistema
 L’eye-blinking. L’ammiccamento oculare nervoso simpatico), il quale contrasta la sonnolenza:
nelle popolazioni in cui il sistema dopaminergico
riguarda i movimenti verticali degli occhi: funziona di meno (ad esempio nei malati di
Parkinson) vi è meno ammiccamento oculare; nelle
sbatto profondamente e rapidamente le
popolazioni in cui il sistema dopaminergico è molto
palpebre; tale fenomeno, come lo sbadiglio, si più attivato (ad esempio nei pazienti schizofrenici)
la frequenza dell’ammiccamento oculare è moto più
verifica in un momento in cui siamo alta.
sonnolenti e cerchiamo di contrastare la sonnolenza.

121
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

2. SCALE SOGGETTIVE= si dividono in:


 Visual Analogue Scales (VAS)= scala lunga 10 centimetri e avente due estremi (quello a sinistra,
ovvero 1, ci indica che siete estremamente vigili; quello a destra, ovvero 10, ci indica che siete
estremamente sonnolenti): in particolare si chiede ai soggetti di mettere una X sullo stato di
sonnolenza che hanno; tale scala, inoltre, viene utilizzata anche per il rumore o per la fatica;
 Likert type= permettono di chiedere alla persona quanto si sente sonnolenta in quel particolare
momento della giornata. Tra le scale likert type più conosciute e utilizzate ritroviamo la:
 Karolinska Sleepiness Scale= scala a 9 punti;
 Stanford Sleepiness Scale, scala a 7 punti.

3. MISURE FISIOLOGICHE ED ELETTROFISIOLOGICHE= le misure fisiologiche ed elettrofisiologiche ci danno


dati oggettivi.
 Multiple Sleep Latency Test (MSLT)= Nell’MSLT (misura fatta in laboratorio) si chiede al soggetto di
cercare di addormentarsi il prima possibile; nella persona che si addormenta prima, questo si
traduce in una breve latenza di tempo dell’addormentamento.
Nell’MSLT il problema che potrebbe subentrare è che ci sono delle persone che hanno una elevata
capacità di addormentarsi ma non sonnolente: io facendo solo questa misura deduco
erroneamente che “quello è un soggetto sonnolento” quando invece ha una capacità intrinseca
individuale di breve latenza di addormentamento e quindi di scivolamento verso il sonno.
 Repeated Test of Sustained Wakefulness (RTSW)= Nell’RTSW (misura fatta in laboratorio) si chiede
al soggetto di cercare di resistere al sonno; nella persona che si addormenta prima, questo si
traduce nel non rispetto della consegna, da qui si deduce che il soggetto è talmente sonnolento che
si addormenta subito.
Nell’RSTW, il problema che potrebbe subentrare è che ci sono pazienti narcolettici che si
addormentano subito o pazienti insonni che non riescono ad addormentarsi e questo non è dovuto
ad una sonnolenza; facendo solo questa misura deduco erroneamente nel primo caso che i soggetti
non hanno rispettato la consegna, nel secondo che l’hanno rispettata.

Quindi, l’MSLT e il RTSW sono test che ci danno delle indicazioni predittive ma mediante cui potremmo
trovare problemi, per cui l’ideale sarebbe utilizzarli entrambi e vedere relativamente cosa succede.

 Elettroencefalogramma (EEG) e analisi spettrali= il tracciato elettroencefalografico e le analisi


spettrali ci consentono di vedere le barre di frequenza; in particolare, una persona sonnolenta nel
tracciato elettroencefalografico presenta 3 punte:
 una a livello del Teta che indica un rallentamento del sonno;

122
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

 una a livello dell’Alpha;


 una a livello di Beta nel momento in cui la persona si deve riattivare e visivamente vediamo
il “dozing off”.
 Slow Eye Movements (EOG)= io metto gli elettrodi uno sopra e uno sotto l’occhio, quello che vedo
da un punto di vista elettroculografico è che nel momento in cui una persona va verso il sonno vi
sono movimenti oculari lenti (nell’EEG corrispondono al livello Teta e Alpha); nel momento in cui la
persona si sta riattivando compaiono gli “eye blinking”, ovvero gli ammiccamenti oculari rapidi e
dai movimenti verticali che sono simili ai movimenti del REM (nell’EEG corrispondono al livello
Beta);
 Pupillometria= è la misura del diametro pupillare: quando la pupilla si contrae (per esempio
prendo la cocaina) c’è l’attivazione del sistema nervoso simpatico; quando la pupilla si dilata (per
esempio prendo oppiacei) c’è l’attivazione del sistema nervoso parasimpatico.

4. TEST DI PRESTAZIONE (PERFORMANCE TESTS)= tra i test di performance ne vengono riportati 3 che sono
ampiamente utilizzati in letteratura:
 Wilkinson Auditory Task= è un test in cui alla persona si fa sentire uno stimolo acustico e
quest’ultima deve premere un tasto nel momento in cui questo segnale varia di intensità; durante
ciò si misura il tempo di reazione (cioè quanto tempo impiega la persona a capire che lo stimolo è
differente). Siccome questo test è molto lungo perché dura circa 40 minuti, dobbiamo considerare
il cosiddetto “time on pass”, cioè il fatto che non necessariamente se il compito è più lungo mi da
più informazioni ed è più esaustivo: può succedere, infatti, che la persona in questi 40 minuti si
annoia e non rispettando la consegna noi la definiamo “sonnolenta” quando in realtà non lo è.
 Critical Flicker Fusion= In questo caso lo stimolo è visivo ed è intermittente: la persona deve
premere il pulsante e rispondere quando tale stimolo diventa fisso e continuo;
 Test psico-motori complessi= indagano per lo più le funzioni cognitive superiori come la guida
simulata, il volo, eccetera.

RISULTATI DEI TEST DI PRESTAZIONE CONDOTTI DA BROMAN


Questo è uno studio di Broman, nel 1994, condotto su un gruppo di controllo e un gruppo sperimentale
composto da pazienti insonni: ad entrambi i gruppi
fa fare compiti di diverso tipo (classificazione -
riconoscimento di parole - riconoscimento di figure
– sequenze motorie con le dita) riscontrando che

123
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

non ci sono differenze significative nelle prestazioni di questi compiti tra i due gruppi.

Quando Broman chiede alle persone come pensano di aver svolto il compito si riscontrano differenze
significative: si vede che, nonostante non ci siano
differenze di prestazioni tra i due gruppi, l’autovalutazione
di come è andato il compito nei soggetti insonni (colonnina
scura) è più bassa.

Broman ipotizza che, probabilmente, alla base della bassa e peggiore autovalutazione della performance
riferita dai soggetti insonni, ci siano degli aspetti di personalità sottesi: somministrando loro una scala sul
perfezionismo si riscontra che in tutte le sottoscale gli insonni ottengono punteggi più elevati rispetto al
gruppo di controllo; per cui, fondamentalmente, gli insonni dicono di essere andati male quando in realtà
non è così, e ciò è dovuto a dei loro particolari aspetti della
personalità: le persone insonni hanno sicuramente
un’iperattivazione psico-fisiologica che non gli permette di
scivolare con tranquillità nel sonno.

HIGH SLEEPABILITY
La capacità di addormentarsi facilmente, espressa da una breve latenza di sonno (si misura nel “Multiple
Sleep Latency Test) e la vigilanza sono dipendenti da tutta una serie di fattori che possono spiegare delle
variazioni nel corso della giornata:
 Fattori omeostatici= la durata della veglia precedente, l’architettura del sonno o la sua qualità;

 Fattori circadiani= ci sono oscillazioni parallele con quelle della temperatura, oscillazioni ormonali e
neurotrasmettitoriali

 Fattori ambientali o comportamentali= grado di stimolazione (se io sto facendo un’attività noiosa
sarà molto più probabile che sia più sonnolento rispetto a quando sto giocando a pallone), la
postura (se mi metto a letto è più probabile che mi addormento rispetto a quando sono in piedi) ,il
rumore, la luce, l’attività fisica, l’alimentazione e l’assunzione di farmaci;

 Fattori psicologici individuali= spesso ci sono le cosiddette cronopsicologie, quindi mattutini o


serotini.

124
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CIRCADIAN ALERTNESS IN SELF REPORTED AROUSAL AND BODY TEMPERATURE


Questo grafico ci mostra un parallelismo tra la curva della temperatura
corporea e la curva della sensazione di allerta nel corso della giornata
(“self reported arousal”, misurata attraverso degli strumenti psicologici
soggettivi): le due curve tendono a salire e a scendere insieme; la cosa
interessante è che intorno alle 13:30 – 14:00 si verifica il cosiddetto “dip
post-prandiale”, ovvero il fatto che c’è un calo della temperatura
corporea che si accompagna anche ad una sensazione di sonnolenza
maggiore che si verifica più o meno dopo pranzo; infine, notiamo che le
due curve, intorno alle 21:00, iniziano a scendere insieme.

MODELLO DI REGOLAZIONE DEL SONNO E DELLA VEGLIA A 2 PROCESSI (S-C)


Noi abbiamo già visto in una lezione questa slide del “modello di regolazione
del sonno e della veglia” di Borbély secondo cui il sonno e la veglia si integrano
o collaborano insieme. Abbiamo detto, se vi ricordate, che tale modello, aveva
dei limiti: non considerava le caratteristiche individuali e non spiegava lo stato
dell’inerzia di sonno la mattina (questo, ad oggi, si spiega con il fatto che al
mattino la temperatura cerebrale è più lenta, cioè la risalita della temperatura
cerebrale è più lenta rispetto a quella della temperatura corporea).

MODELLO DI REGOLAZIONE DELLA SONNOLENZA E DELLA VIGILANZA A 3 PROCESSI (S-C-W)


Folkard e Akerstedt, nel 1987 (pochi anni più tardi rispetto al modello di Borbély), introducono il “modello
di regolazione della sonnolenza e della vigilanza a 3 processi”, introducendo,
oltre al Processo S e C, anche il Processo W (“weakness” o “veglia”); il fattore
W tiene conto dell’“inerzia di sonno” ovvero della veglia nelle prime ore dopo
il risveglio: più sale il livello W, più sale l’allerta e la vigilanza.

NOMOGRAMMA PREDITTIVO DI VIGILANZA


A partire dal “modello di regolazione a 3 processi” è stato introdotto uno strumento che si chiama
“nomogramma”, il quale ci permette di predire il livello di vigilanza
conoscendo due variabili: l’ora del giorno (“time of day”) e la quantità di
veglia precedente (“pred alertness”); dall’incrocio di queste due variabili noi

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

possiamo vedere il livello di allerta, segnalate nel grafico dalle diverse onde circadiane che si verificano nel
corso della giornata e che sono poste in maniera differente sulla base di quanto tempo io sto vigile (di
quanto tempo io resto sveglio). Per esempio:

 se io sto sveglio 0 ore= per predire il mio livello di vigilanza alle 06:00 del mattino (che è il picco
minimo della temperatura) vado ad incrociare il livello di predizione dell’allerta che si trova nel
cerchietto blu, quindi sono vigile anche se sono meno vigile rispetto a se dovessi misurare il livello
di allerta alle ore 18:00 (dove c’è il picco massimo della temperatura corporea).

STATI QUALITATIVI DI SONNOLENZA


Gli stati di sonnolenza che presentano delle caratteristiche da un punto di vista qualitativo differenti, negli
anni hanno avuto diverse definizioni.
 Horne (1988)= ci parla di “sonnolenza nucleare” e “sonnolenza opzionale” dicendoci che c’è una
spinta verso la sonnolenza nucleare (indispensabile e fondamentale per l’organismo, dura circa 4
ore ed è fondamentalmente il sonno ad onde lente) e una spinta verso la sonnolenza opzionale (in
questo momento io potrei svegliarmi perché ulteriore sonno non è necessario, però ha una
funzione di natura appetitiva, soprattutto di natura circadiana per cui io non mi sveglio alle 4:00 del
mattino ma alle 8:00)

 Globus (1969)= ci parla di una “sonnolenza per deprivazione di sonno” (contraddistinta da


caratteristiche come irritabilità, peggioramento della performance non perseverativa..) e di una
“sonnolenza da sazietà di sonno” (contraddistinta da caratteristiche come pesantezza alla testa,
difficoltà a rispondere agli stimoli esterni, sono meno veloce, e c’è un peggioramento della
performance perseverativa).

 Broughton e Aguirre (1976)= ci parlano di una “sonnolenza da pressione selettiva per il sonno
REM”. Se io prendo una popolazione clinica, come i narcolettici oppure le persone aventi l’apnea
ostruttiva del sonno, vedo che questi soggetti scivolano direttamente nel sonno REM, ovvero, per
delle loro particolari caratteristiche, hanno una pressione selettiva per quel tipo di sonno. La stessa
cosa si verifica nelle persone che assumono sostanze che sopprimono il REM (come alcol,
antidepressivi…) quindi, la sonnolenza eccessiva di questi soggetti dipende dal fatto che loro non
fanno il REM e quindi questo tipo di deprivazione comporta una pressione selettiva per quel tipo di
sonno piuttosto che per altri tipi.
Se io sono sonnolento, di quale sonno ho bisogno? Non ho bisogno del sonno NREM ma di sonno a
onde lente; In questi soggetti, invece, accade un’altra cosa, c’è un tipo di pressione selettiva per il
sonno profondo, e scivolano direttamente in sonno REM.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

VARIAZIONI DIURNE DELLA FREQUENZA DI AMMICCAMENTO OCULARE


Prima, quando abbiamo parlato dell’ammiccamento oculare, abbiamo detto che esso è un movimento degli
occhi, indice periferico sulla superficie del corpo che deriva dell’attività dopaminergica. Bowman e colleghi
ci hanno fornito un modello in cui sono andati a misurare le variazioni
della frequenza dell’ammiccamento oculare nel corso della giornata
(cioè quante volte una persona fa degli ammiccamenti oculari in
un’unità di tempo, in particolare “per unità al minuto”): prendendo
una popolazione di soggetti giovani e facendo 4 misurazioni (alle
10:00, alle 13:30, alle 17:00 e alle 21:30) vedono che aumenta il dip
post-prandiale degli ammiccamenti oculari dalle ore 17:00 alle 20:30; quindi, in altre parole, aumenta
questo contrasto alla sonnolenza quando intorno alle 17:00 il soggetto inizia ad accumulare S e intanto la
temperatura inizia pian piano a scendere;

Nei soggetti anziani accade che la curva appare appiattita (stabile) per tutta la giornata: in questi soggetti vi
è non solo un appiattimento della frequenza dell’ammiccamento oculare, ma un appiattimento proprio
dell’attività dopaminergica (quest’ultimo funziona di meno perché ci sono dei processi degenerativi in atto
anche se non sono di tipo patologici) e questo si verifica perché gli anziani accumulano meno S.

COME CAMBIANO LE PERFORMANCE NEL CORSO DELLA GIORNATA?


Anni fa io feci uno studio, in una scuola elementare, sulle variazioni delle performance nel corso della
giornata scolastica, somministrando una scala di quarto grado (validata) che si chiama “Pictorial Sleepiness
Scale”: consiste nel fatto che io chiedo al bambino “Come ti senti in questo momento?” e lui risponde
mettendo una crocetta sulla faccina che contraddistingue il suo stato di vigilanza (se ad esempio mi segna
la faccina che sta dormendo, io ipotizzo che dal punto di vista soggettivo il bambino abbia una definizione
di sonnolenza del tipo “Non riesco a stare in piedi, mi addormento”).

Cristina Civetta ha condotto uno studio in cui ha individuato quali sono le variabili sperimentali che hanno
permesso di vedere le variazioni mattutine della performance soggettive e personali; la cosa importante è
che lei ci dice che il processo S e il processo C influenzano una serie di variabili nel corso della giornata e tra
queste anche la performance a compiti semplici, a compiti complessi... per capire se la performance ha un
proprio andamento nel corso della giornata, io devo fare in modo che il battito dell’orologio biologico segua
il suo reale battito, dobbiamo quindi standardizzare la variabile, renderla controllata, oppure
disinfluenzarla.
 Protocollo di disincronizzazione forzata. Noi sappiamo che, in condizioni normali, il nostro ritmo
sonno-veglia si sincronizza con il ritmo ciclo luce-buio; quando io vado a disincronizzare questi due
ritmi (metto la persona in laboratorio per settimane e le sottopongo ad un ciclo attività–riposo che
è più lungo o più corto rispetto a quello delle 24 ore: per esempio, gli faccio fare un ciclo di attività–
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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

riposo di 19 ore o di 28 ore caratterizzato da intervalli irregolari: mangia a intervalli irregolari e cos’
via) impazzisce l’orologio biologico interno della persona ed inizia a funzionare “free random”, cioè
l’ipotalamo, non capendo a che ora si trova, inizia a funzionare come funziona realmente. Tale
esperimento, quindi, ci permette di isolare la variabile circadiana dall’influenza della variabile
omeostatica permettendoci di vedere come si scandisce la cosa a livello personale.

 Protocollo di Constant Claudine. In questo caso la persona viene in laboratorio e viene sottoposta
a una deprivazione di sonno facendola stare sveglia per 24 ore, durante le quali vengono rese
costanti tutte quelle variabili che possono influenzare l’orologio biologico interno (facciamo
mangiare la persona sempre allo stesso orario, la facciamo mettere in una postura differente sulla
base di quello che deve fare, la metto in una certa condizione di illuminazione). Con tale protocollo,
insomma, si parte dal presupposto che, in condizioni normali, queste variabili interne o variabili
esterne (ciclo luce-buio, l’alimentazione, la motivazione, l’attività che faccio…) danno
un’indicazione all’orologio biologico interno per cui gli dicono di battere in un certo modo e
battono sulle 24 ore.

 Protocolli basati sulla cronotipologia. I cronotipi sono quelle popolazioni che decidono di collocare
l’episodio di sonno e le proprie attività (ovvero il proprio ritmo sonno-veglia o il loro ciclo attività-
riposo) in un momento della giornata piuttosto che in un altro. In particolare, abbiamo tre tipi di
cronotipologie:
 Mattutini= coloro che tendono a collocare le attività soprattutto nelle prima parte della
giornata, quindi quando io gli dico “Quando pensi di funzionare meglio?” loro rispondono
“la mattina perché mi sento in forma, riesco sempre a fare tutto bene, eccetera”; i
mattutini, per esempio, anticipano l’orario di andare a letto, anticipano l’orario di risveglio
 Intermedi= coloro che tendono a collocare le attività secondo picchi e orari normali;
 Serotini= coloro che tendono a collocare le attività soprattutto di sera e dicono “la sera
funziono molto meglio mentre la mattina mi sento stanco”; i serotini, per esempio,
ritardano l’orario in cui vanno a letto e, di conseguenza, ritardano il loro orario del risveglio.
Con questo tipo di protocollo, non vi è una manipolazione del ritmo attività-riposo, ma si va a
misurare la performance dei soggetti nell’orario per loro ottimale (per esempio: si dovrebbe
riscontrare che la persona mattutina, se svolge un compito di mattina funziona meglio, mentre se lo
svolge la sera va peggio).

Da tale studio si è evinto che se io faccio fare un compito, la performance varia nel corso della giornata sulla
base dell’andamento della temperatura corporea (CBT).

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

RITMO CIRCADIANO E FUNZIONI COGNITIVE


La domanda che i ricercatori si sono posti, a questo punto, è “ma il ritmo circadiano influenza tutte le
funzioni cognitive o soltanto alcune?” tale domanda ci rimanda alla distinzione tra attenzione, memoria e
funzioni cognitive, in particolare:
 Attenzione= quando abbiamo parlato dell’attenzione, abbiamo visto che ci sono dei ritmi circadiani
differenti sulla base del tipo di dominio cognitivo che io vado ad indagare: se si tratta di indagare
l’attenzione selettiva probabilmente ho un andamento differente, se vado a indagare un altro tipo
di attenzione avrò un altro tipo di andamento e così via.. Addirittura De Gennaro e collaboratori
hanno detto che questa cosa è influenzata anche dal carico cognitivo, per cui se io vado ad
aumentare la difficoltà del compito (il quale va ad indagare i coefficienti attentivi) vedo che, nel
momento in cui il compito diventa più complesso, l’andamento circadiano è più accentuato
(rispetto a quando il compito è più semplice).
 Memoria= per quanto riguarda gli studi sulla memoria si è riscontrato che la performance varia nel
corso della giornata anche a seconda del carico cognitivo. In questo caso si indaga la working
memory (memoria di lavoro): si riscontrò che quanto più il compito attivava maggiormente la
working memory (ovvero, quando il compito era più complesso) tanto meno ampia era
l’oscillazione della performance, arrivando a concludere che la performance di memoria è
modulata da componenti circadiane, cioè da un proprio ritmo, ma ancora non si è capito se sia
valido per tutti.
 Funzioni cognitive= Per quanto riguarda le funzioni cognitive si è evinto che sono soprattutto le
funzioni cognitive complesse che mostrano un chiaro andamento nel corso della giornata: quando
vado a misurare la performance nel corso di tutta la giornata ovviamente ho un andamento che è
differente rispetto ai compiti semplici. Possiamo dedurre, quindi, che la componente circadiana
esercita un effetto differente a seconda della funzione cognitiva che vado ad indagare, per cui non
solo l’orologio biologico interno è chiamato in causa ma anche il tipo di compito (che esplora un
determinato processo cognitivo) che facciamo.

CONTROMISURE ALLA SONNOLENZA


Cosa faccio, quindi se sono sonnolento e non posso esserlo? Attuo delle contromisure che possono essere
comportamentali o farmacologiche. Per quanto riguarda le contromisure comportamentali posso fare
l’“igiene del sonno” (mediante cui controllo i fattori ambientali come stare vigile, fare una cosa attivante,
sto alla luce.. per aumentare la vigilanza) o il “NAP diurno”(il quale può essere “incidentale” mentre guardo
la televisione mi addormento; “programmato” decido di dormire ad una certa ora; “ristorativo” quando so
che sto andando incontro ad una deprivazione di sonno). Per quanto riguarda le contromisure

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

farmacologiche, io per aumentare la vigilanza, posso assumere “psicostimolanti” (come caffeina,


amfetamina, pemolina, modafinil); “ipnotici” ( come triazolam oppure zolpidem) o la “melatonina”.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

13° LEZIONE
TECNICA DEI RISVEGLI PROVOCATI

E’ una tecnica di cui si avverte l’esigenza nel momento in cui si scopre il sonno REM anche per
quando riguarda lo studio del sonno , il sonno REM costituisce ovviamente uno spartiacque. Nel
’53 si inizia a capire il tipo di sonno in cui c’è attivazione cerebrale, tutta una serie di cose che
rendono il sonno Rem una cornice particolarmente interessante dei processi mentali. Quindi è
inevitabile anche lo studio del sogno. A quel punto l‘idea è di andare a svegliare le persone nel
momento in cui sono in un determinato stato di sonno e chiedere il resoconto del sogno al
risveglio per evidenziare eventualmente delle differenze tra il caso in cui ci svegliamo nel sonno
REM e nel caso in cui ci svegliamo nel sonno NREM. Un idea già un po’ presente era che potessero
emergere le caratteristiche qualitative di tipo differente.

Le tecniche utilizzate sono:


-Registrazioni poligrafiche
-Risveglio provocato che noi andiamo a fare quando ci accorgiamo che il soggetto va in un
determinato stadio
-Raccolta attraverso una consegna
La prima consegna che viene utilizzata da Dement e Kleitman nel 1957 è la domanda: cosa stavi
sognando?. Dopo ci ché nel 1962 c’è qualcosa, qualche ragione per cui Foulkes cambia la
consegna e la fa diventare: Cosa ti passava per la mente prima del risveglio?
Quando andiamo a raccogliere questi resoconti in maniera libera facendo parlare liberamente il
soggetto dopo che gli abbiamo formulato questa domanda, possiamo eventualmente portare
avanti una procedura secondaria, approfondire la richiesta del resoconto del sogno fornendo dei
probes, cioè fornendo delle domande che guidi un resoconto secondario. Quindi sollecitiamo la
persona a raccontare di più attraverso la somministrazione di domande ben precise. A volte il prob
può essere anche somministrare materiale nel primo racconto. Mi spiego: immaginate che io
durante la notte provochi il risveglio del soggetto, gli chieda il resoconto di sonno. Lui ricorda il
sogno da cui è appena emerso, fa un resoconto e si rimette a dormire. La mattina dopo io gli
chiedo di raccontarmi il sogno che ha fatto l ‘altra notte se lui non riesce a ricordare bene il
materiale , io posso dargli come prob dei pezzi del resoconto che ha fornito durante la notte,
cosicché possa avviare un altro resoconto al risveglio della mattina.
131
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Questo è un disegno classico in cui appunto c’è una notte dio adattamento con una
strumentazione di polisonnografia e nelle notti sperimentali i disegni provocati
intervengono o svegliando in sonno REM o svegliando in sonno NREM. E questo è un
disegno abbastanza recente in cui la consegna che noi usiamo è: che cosa stava passando
immediatamente prima di svegliarsi?. Quindi la consegna individuata come quella giusta
era quella di Foulkes.

TECNICHE DI ANALISI
Come esistono tecniche di analisi quantitative (significa quanti sogni ci sono, quante volte
il soggetto se le ricorda e quanto sono lunghi), esistono anche tecniche di analisi
qualitative che vogliono andare ad esplorare il contenuto del sogno.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Quindi e un esempio

di scala è la . Questa è una


scala molto poco utilizzata da noi ed è una scala che mi manda e delle dimensioni un po’
psicoanalitiche, cioè al confine tra lo studio neuro scientifico e quello psicoanalitico. Un

sogno contiene . La prima ha a che fare


con i fatti e le evidenze. Ma soprattutto contiene delle misure tipo angoscia della
castrazione, analità, cioè sono tutte cose che rimandano a dei costrutti di tipo
psicoanalitico. Questo è il motivo per cui un po’ di tempo no è moltisimo usata in ambito
sperimentale, mentre è molto più usata sono le queste due scale: 1)Dream information
survey che è stato ideato da Foulkes che presuppone una distinzione dei sogni in:
-Dreamlike ( o sogni simili come i veri sogni di Vashid. È un sogno pieno di elementi
sensoriali che contiene degli aspetti bizzarri, come cambio d’identità del soggetto,
comprende ambienti reali ma anche la possibilità di avere ambienti no reali e non
conosciuti dalla persona che sta sognando)
-Toughtlike. (o pensieri simili. Tutto quello che non contiene il dreamlike, un po’ più piatto
cioè sto sognando più o meno le stesse cose che faccio durante la giornata)

Accanto a questa scala ce ne sta un'altra, la dreamlike fantasy scale (scala ordinale con 8
possibili scelte da nessun contenuto a contenuto percettivo allucinatorio, bizzarro, ecc.).
Quindi quanta fantasia c’è nel sogno? Dove per fantasia s’intende per l’appunto tutta
quella parte poco realistica evidentemente molto differente da quello che noi
sperimentiamo di solito nella realtà con i nostri sensi . E’ chiaro che il massimo della

133
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

fantasy è l’allucinazione, la presenza di aspetti allucinatori e deliranti nel sogno e quindi


evidentemente quanto più il punteggio è alto maggiore è la quantità di elementi
dreamlike, di elementi fantastici.

2)Poi ci sono delle scale dette scale psicolinguistiche che hanno come scopo soprattutto
quello di evidenziare la lunghezza dei resoconti di sonno. Perché capire bene che se io
voglio capire quanto è lungo un sogno, la lunghezza del sogno mi dice una serie di cose, mi
dice qualcosa sul meccanismo di generazione del sogno e cioè quanto un soggetto produce
sogni ma non solo. La lunghezza del sogno quindi il sogno ricordatevelo è sempre il
resoconto del processo di generazione del sogno e di recupero del sogno, ossia di come lo
ricordo. Quindi avere un sogno molto lungo mi dice che il soggetto riproduce e il soggetto li
ricorda. Il peso con cui li produca di più o lo ricorda di più ci sfugge sempre per definizione.
Tuttavia quando noi andiamo a vedere la lunghezza che è un aspetto informativo noi
usiamo il word count cioè il conteggio delle parole perché poi tutti parliamo in modo
diverso: ci sono quelli che quando raccontano una cosa usano poche parole per dare gli
stessi elementi di concetto gli stessi elementi di contenuto in un soggetto che racconta la
stessa cosa con 100 parole in più. Il word count o la lunghezza, quanti righi di foglio A4
riempio ci serve poco. Abbiamo bisogno di scale psicolinguistiche che analizzano degli
elementi centrali della narrazione che si chiamano elementi di contenuto.
Uno di questi autori che ha ricavato una scala di questo tipo è Antobus che fa un conteggio
di parole appartenenti a diverse scale linguistiche, e quindi va a vedere nomi concreti,
modificatori dei nomi, verbi di azione, preposizioni spaziali. E all’interno di questa analisi di
unità di parole di diverse classi linguistiche va a cercare specificatamente delle parole che
hanno a che vedere con l’immaginazione visiva da un lato e con la partecipazione
emotiva dall’altro

Un'altra tecnica ancora utilizzata è quella di Salzarulo e Cipolli di analisi delle cosiddette
fasi Kernel. Che cosa sono?

134
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Diciamo che sostanzialmente è un modo sofisticato di identificare delle unità soggetto-


predicato-contenuto. Questo tipo di tecnica viene da un analisi linguistica che si chiama
grammatica trasformazionale , un analisi sintattica secondo le regole di un linguista molto
famoso che è Chmosky. E naturalmente quando andiamo a fare questo tipo di analisi noi
possiamo identificare un unità kernel, possiamo renderci conto se è completa, incompleta,
appartenente all’esperienza mentale o allo stato del soggetto dopo il risveglio. In più posso
vedere quante parte sono portatrici si contenuto e quante sono sostanzialmente vuote (si
chiamano contentless) e posso vedere la frequenza delle unità kernel, quanta pausa c’è in
tempo e in narrazione tra due kerner (cioè indico un unità di contenuto principale, poi
faccio una divagazione, poi metto un'altra unità di contenuto principale e posso vedere
quanto sono lunghe le pause fra due frasi kerner)

Foulkes e Schmidt hanno fatto l ‘analisi dell’ UT, cioè delle unità temporali
Tecnica di analisi basata sulla ricerca delle U.T. e della sequenza degli elementi del
resoconto, per determinare differenze nei meccanismi coinvolti nella produzione dei
“due tipi di sogno” (cioè il dreamlike e il toughtlike).
allora qual è la tecnica? Ricordiamola:1) Cosa ti passava per la mente prima che ti
svegliassi? (resoconto libero)
seconda parte del resoconto guidato: 2)considerando tutte le cose che mi hai raccontato,
dimmi l’ordine nel quale tu pensi di averle vissute.
Il tentativo è quello di andare ad analizzare il resoconto di sonno con delle categorie
principali andando a valutare:
-le attività, cosa fa il soggetto mentre sta sognando
-gli ambienti
-i personaggi
E rispetto all’analisi qualitativa si va a vedere:
-plausibilità,
-continuità,
-discontinuità,
-presenza personaggi
-ecc..

135
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

C’è un sistema di siglatura della bizzarria dei sogni che è stato messo a punto da Williams.
Dov’è la bizzarria? Cioè quali sono gli elementi, il posto del sogno in cui s’individua la
bizzarria
-trama: Cioè ci sono cose poco plausibile che riguardano i personaggi, le azioni, i posti,
l’oggetto.
-il pensiero di chi sta sognando o dei personaggi che appaiono del sonno
-le sensazioni
Naturalmente quando individuiamo il luogo della bizzarria possiamo vedere in che modo è
bizzarro, -cioè bizzarro perché è discontinui e quindi ci sono i salti temporali
-oppure se c’è un’incongruenza delle caratteristiche non si mettono bene insieme non si
abbinano bene
-oppure la vaghezza.

QUAL E’ LA RELAZIONE TRA IL SOGNO E GLI STATI DI SONNO?

AUTORI SONNO REM SONNO NREM


Dement e Kleitman, 80% 7%
1957
Foulkes, 1962 92% 87%
Salzarulo e Cipolli, 95% 85%
1979
Cavallero e coll., 1992 89,2% 64,5%
Frequenza del resoconto dopo il risveglio da sonno REM e da sonno NREM

Questa tabella la trovate nel libro (pag 47). Sul libro voi avete il riassunto di un cambiamento netto
dei risultati dal 57 momento in cui Kleitmain fa la sua indagine, la prima indagini coi risvegli
provocati dopo la scoperte del sonno REM e i risultati che vengono fuori a Fulkes e a Cavallaro e
qual è il cambiamento che vedete? Quello che vedete è che più o meno il dato sulla frequenza del
sonno REM è costante, quello che cambia è che Dement e Kleitman col sonno NREM avevano una
percentuale bassissima, mentre Foulkes 87% perché? Perché ha cambiato la consegna. E perché
l’ha cambiata? Perché lui ha fatto un ipotesi: quando lui vede questo 7% dice ma se noi al soggetto
gli chiediamo che cosa stavi sognando? Lui ci racconta soltanto qualcosa che considera per
136
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

definizione un sogno, cioè qualche cose che abbia delle caratteristiche dreamlike. Lui perciò lui
introduce questo concetto. Allora chiediamo al soggetto cosa stai sognando e lui ci racconta quella
osa. Ma se lui sta pensando cioè sta mentalizzando il sonno qualche cosa che non ha quelle
caratteristiche , quindi attività molto più piano, molto meno livida, magari senza un plot
caratterizzato, senza una vera a propria storia me la racconta? No, perché quella è la parte
toughtlike e per tenere conto anche di questa parte io non devo chiedere che cosa stavi sognando
ma devo fare riferimento al pensiero e quindi gli chiedo: cosa ti passava per la mente prima che ti
svegliassi? E quindi a quel punto cambiando la consegna io ottengo questo aumento nella
frequenza dei resoconti di sogno da sonno NREM. Tanto è vero quello che noi oggi sappiamo è che
abbiamo esperienze mentali in entrambe le fasi, quindi comunque quando andrò a svegliare il
soggetto avrà sempre un elevate frequenza.
Ad un certo punto Foulkes dice che quello che cambia sono le caratteristiche. Allora la mentazione
del sogno avviene in tutti gli stadi del sonno persino nella veglia rilassata.
Molinari e Folks fanno uno studio che ci permette di aprire una piccola parentesi. Quando noi
facciamo dei resoconto dopo il risveglio da REM fasico ottengo dei rapporti di esperienze vivide
maggiori che nei sogni da REM tonico. Che è un po’ un osservazione legata alla vecchia idea che
quando ci sono movimenti oculari hanno a che vedere con i processi della visione. E questa cosa
sarebbe un po’ confermata dal fatto che i movimenti oculari in sonno sono precedute delle famose
onde PGO (onde ponto-genico-
occipitali) che son impulsi nervosi
raccolti dalle aree della via visiva.
L’idea è: questi stanno facendo
REM fasico perché stanno
vedendo il sogno. Abbiamo detto
che basta la semplice
considerazione sull’esistenza dei
PGO e dei movimenti oculari nei
ciechi dalla nascita per sconfessare questa idea. Però la cosa che mi interessa molto è la
prospettiva isomorfistica. Adesso vediamo in sequenza alcuni contributi che avevano questa idea
che partiva dall’assunzione di poter derivare delle cose sulle caratteristiche dell’attività
psicologica, psichica nel sonno partendo dalla fisiologi, dall’esplorare i cambiamenti della
fisiologia del sonno e dicendo: se in sonno REM cambiano dei fenomeni ed abbiamo la frequenza
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respiratoria che aumenta, la frequenza cardiaca che aumenta , il sangue ai genitali ,i movimenti
oculari, allora noi possiamo concludere che lì ci sarà un attività psichica particolare, che il sogno
sarà particolare in questi aspetti della fisiologia.

(il professore si concerta solo su Snider (quello della fenomenologia del sonno)). Quindi sarebbe
un associazione diretta tra quello che accade sul soggetto che sta dormendo con sonno REM e
l’attività mentale in sono.

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lui dice è molto più complicato ricordare il sonno se l’esperienza avviene in un momento in cui
l’attività EEG è contrassegnata da fusi e da sonno ad onde lente.

Relazioni tra gli elementi fasici registrati nella corteccia striata con tecniche di superficie durante il
sonno nell’uomo e si mostra comune degli spike, presenti in alcune zone della corteccia, a sinistra
non sono accompagnate da un attività oculare contemporanea. Prendono delle scariche molto
attive nella corteccia in alcune zone (corteccia occipitale –quella visiva-, corteccia striata) cioè
aree che hanno a che vedere potenzialmente col fenomeno della visione e tuttavia si attivano
senza che ci siano dei movimenti oculari corrispondenti.
Questo è un tentativo critico di mettere in discussione questo legame tra gli eventi fisiologici e le
attività in sogno.

Allora abbiamo più volte detto che studiare i resoconti di sogno equivale a studiare come questi
vengano ricordati, e quindi interrogarsi su quali siano gli elementi che favoriscono o meno il fatto
richiamare quel materiale del sogno una volta che ci siamo svegliati. Quando analizziamo il
fenomeno constatiamo innanzitutto che ci sono delle differenze individuali, ossia che noi possiamo
genericamente distinguere la popolazione generale tra:
-good recallers quelli che ricordano bene;
-poar recallers (o bad recallers) quelli che ricordano male.
La distribuzione è abbastanza equa. È interessante notare che c’è un rapporto tra la tendenza
ricordare o meno i sogni e la qualità del sonno perché voi dovete pensare alla teoria che abbiamo
chiamato in causa molte volte, evidentemente centrale per la comprensione di molti fenomeni che
hanno a che vedere con la memoria e l’apprendimento, col sognare, che è la teoria dell’attivazione
di Koulack e Goodenough che ci dicono la possibilità di consolidare, di acquisire e ricordare del
materiale durante il sonno è legato a una certa quantità di attivazione , cioè una quota minima di
attivazione disponibile. Più banalmente, questo significa che noi i sogni ce li ricordiamo nel
momento in cui ci svegliamo, perché io c’ho del materiale come se io vedo film, se io vogli

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ricordarmi il film devo finché la traccia mnestica si consoli, ho bisogno del momento di
acquisizione di una certa punta di attivazione. Quindi questo significa che ricordano bene e spesso
i sogni in molti casi quali che dormono un po’ peggio, e quelli in cui l’attività mentale è legata a
delle attivazioni significative tali che poi questa attività mentale possa essere ricordata. Poi ci sono
degli aspetti che non dipendono solo dalla qualità del sonno e quindi dalla presenza di arousal, ma
anche da fattori psicologici del soggetto. I fattori che possono influenzare il ricordo sono:

se io mi sveglio da sonno profondo e mi trovo in una posizione di forte inerzia lì quella mia
condizione di torpore cognitivo legato al risveglio di quello stato mi blocca il recupero. Quindi
mentre prima dicevamo “la buona qualità del sonno probabilmente blocca l’acquisizione del
materiale onirico prodotto” nel caso dell’inerzia di sonno sarà: “è l’inerzia di sonno a bloccare il
recupero”.

se un sogno è saliente, contiene del materiale importante che ha delle attinenze con degli aspetti
significativi con la nostra vita e con la nostra persona probabilmente il ricordo sarà favorito.

lo abbiamo detto no? Quando abbiamo parlato degli indiani del nordamericani fortemente
motivati alla lettura e all’interpretazione del sogno, oppure gli otomi che entrano nella dimensione

le persone sono differenti tra loro nella tipologia di attività onirica in funzione delle loro
caratteristiche di personalità. È un argomento su cui c’è veramente molto poco, è una cosa che
aveva qualche studio negli anni passati (anni ’70), ma sono dati veramente molto limitati.
Attualmente stiamo cercando di esplorare delle dimensioni codificate dentro anche teorie della
personalità differenti tratti.

E quindi l’idea è questa: da un lato andare ad esplorare le differenze inter individuali con le quali
siamo fatti sul piano della personalità. Ancora, l’altra cosa che potrebbe essere interessante e su
cui anche su questo si sa pochissimo è il modo in cui eventualmente ci possa essere un
cambiamento dell’attività mentale in sonno del sogno nel corso del ciclo di vita, quindi se
sogniamo in un cero modo quando siamo ragazzini, continuiamo a sognare il quel modo da

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adolescenti, adulti, anziani? Che è una cosa abbastanza diversa dal fare delle indagini sul sogno di
confronti tra differenti tipi di età (l’analisi coorti – prendere i un gruppo di adolescenti, uno di
adulti e uno di anziani e studiarli trasversalmente è diversa da quella longitudinale in cui si analizza
una sola persona in tutto l’arco della sua vita), per quello ci sono pochi studi in questo, gli studi
longitudinali sono molto difficili e dispendiosi.

Questi sono gli studi degli anni 70 di cui abbiamo parlato prima. Sono tutti di Cohen

E buffo questo paradigma perchè noi non sappiamo mai fino a che punto il resoconto è un fedele
testimone di ciò che è stato prodotto, o se semplicemente le istruzioni motivanti non aumenta la
volontà di fornire un lungo resoconto e quindi di riprodurre una sorta di confabulazione

Questo è abbastanza banale. Se voi volete avere una frequenza di resoconti alta, dovete
investigare e chiedere un resoconto subito dopo il risveglio, altrimenti o il sogno tende a svanire
di per se o è soggetto all’azione di disturbo del materiale inerente e non otterremo nulla

questo è una sorta di applicazione al ricordo di sonno della legge di Jex e Dowson [RAGA NON SO
COME SI SCRIVANO STI DUE CHE NON LI HO TROVATI] (mette in relazione i livelli ei attivazione che
poi può diventare ansia se l’attivazione diventa iperattivazione) e la performance e fa vedere una
cosa precisa: per un po’ la salita dei livelli di attivazione si accompagna alla salita dei livelli di
performance cioè più sono attivato e meglio funziono. A un certo punto, superata una certa soglia
per ulteriori salite ei livelli di attivazione cade la performance.

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quando voi avete questo tipo di relazione attivazione-performance, potete immaginare lo stesso
tipo di relazione attivazione-ricordo di sogno. Se siete molto motivati e molto attivati e quindi
avete posto molta attenzione al materiale del sogno al risveglio ve lo ricordate meglio. Se questa
attivazione diventa troppo elevata e ci sono dei livelli di ansia forte e di iperattivazione al mattino
questa cosa non avviene.

QUANDO INIZIANO A RICORDARE IL SOGNO I BAMBINI?


Quando possono avere degli ancoraggi linguistici, un abilità verbale che possa consentire il
richiamo di tipo dichiarativo di quello che hanno sognato.

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a 4 anni sono molto limitate le capacità, questo perché il problema è proprio la distinzione del
sogno come esperienza mentale aliena rispetto all’esperienza mentale della veglia. Il bambino di 4
anni non sa definire neanche a se stesso cosa sia il sogno .

mentre a 11 anni a resoconti iniziano a diventare come quelli degli adulti.

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studio fatto da De Padova nel 2005: gli anziani sognano ma fanno dei resoconti più striminziti. Col
resoconto guidato si ottenevano dei resoconti sostanzialmente non dissimili da quelli dei giovani.

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14° LEZIONE
Aspetti neurofisiologici. (difficilmente vengono chiesti all’esame)

Quando parliamo di induzione del sonno abbiamo due quesiti:

1. il sonno è legato soltanto al fatto che ci sono delle deafferentazioni (eliminazione degli impulsi dei
nervi afferenti) sensoriali, o al fatto che vengono meno dei processi di induzione della veglia?
Insomma il sonno è un processo attivo o passivo? In più se vi è l’idea di sonno come processo
passivo (ovvero un processo che si ottiene solamente perché viene tolto qualcosa), questo è dato
dall’eliminazione delle afferenze sensoriali o dei processi di induzione della veglia? Quindi a sua
volta la veglia è un processo attivo, cioè è indotta da qualcosa, ci sono delle formazioni che
mantengono la veglia? In questo caso quindi il sonno è dato dal fatto che vengono disattivate delle
aree responsabili della veglia. Al giorno d’oggi si sa che il sonno invece è un processo ATTIVO, cioè
viene indotto dall’attivazione di alcune aree cerebrali, nelle quali popolazioni cellulari scaricano
dando formazione allo stato di sonno. E così come è vero che il sonno è un processo attivo, anche la
veglia lo è; quindi nel sonno e nella veglia vi sono formazioni e strutture diverse che si attivano e
inducono questi due stati diversi. All’inizio però si pensava che il sonno fosse un processo passivo e
che quindi le persone si addormentassero solo perché mancava qualcosa, ovvero la veglia (idea
della fisiologia classica, ai tempi di Galeno e Ippocrate). A quei tempi si credeva che durante il
sonno il cervello si spegnesse, quindi non si aveva proprio l’idea dell’esistenza dei processi mentali
in sonno; quest’interruzione determinava il passaggio ad uno stato differente di coscienza, che era
caratterizzato da mancanza di sensorialità, mancanza di movimento, di ideazione, ecc. A un certo
punto Aristotele immaginò che il sonno fosse il risultato di vapori caldi emessi dalla respirazione,
ovvero il processo di respirazione provocava un riscaldamento del cervello e questo a sua volta
determinava il suo spegnimento. Anche se al giorno d’oggi questa interpretazione appare alquanto
buffa, ha cmq delle intuizioni, ad esempio il fatto che nel processo di sonno sia coinvolta la
temperatura (anche se oggi sappiamo che il cervello che dorme è un “cervello più freddo”, mentre
il cervello che sta sveglio è un “cervello più caldo”). Altra intuizione è l’esistenza di un processo di
attivazione del sonno, cioè qualcosa che accade fisiologicamente e provoca uno stato particolare
dal punto di vista sia fisiologico che di coscienza. Negli anni ’20-’30 (stesso periodo in cui
comparvero le grandi rivoluzioni della registrazione elettrofisiologica, con la nascita dell’EEG) ci
furono diverse ricerche sul sonno come processo passivo da deafferentazione sensoriale, per cui
vennero fatti dei tagli nel sistema nervoso a diversi livelli, poiché ci si aspettava che con
l’eliminazione delle afferenze sensoriali automaticamente compariva lo stato di sonno. Ma con tagli

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a diversi livelli del sistema nervoso vi furono diversi risultati. Il primo preparato si chiama
Encephale isolé (encefalo isolato) questo taglio è molto basso, stacca le afferentazioni midollari,
quindi un taglio al livello del midollo comporta che al di sotto di questo non vi sono comportamenti
(sono bloccate anche le uscite motorie), per cui tutto ciò che riguarda gambe e addome è silente.
Se si va a vedere invece l’attività del cervello rimasto “isolato”, vi sono segni elettroencefalografici
di alternanza tra la veglia, il sonno a onde lente e il sonno REM. Insomma quando il sistema nervoso
viene tagliato a questo livello, il cervello continua ad avere attività di sonno. Il secondo preparato è
definito Cerveau isolé il taglio viene fatto più alto, specificamente al livello dei collicoli superiori
del mesencefalo. In questo modo viene tagliato tutto il tronco encefalico, lasciando il cerveau (la
corteccia) completamente isolata dal mesencefalo. A questo punto accade che il corpo a volte
mostra la stessa atonia muscolare del sonno REM, ma la cosa più interessante è che il cervello cade
in uno stato di sonno a onde lente totale. Mentre nel primo taglio venivano eliminate soltanto le
afferenze della parte bassa del corpo (nervi spinali), con questo taglio invece vengono eliminate
anche le afferenze dei nervi cranici. In conclusione il cerveau isolé sembrò confermare l’ipotesi
secondo cui il sonno è un processo passivo da deafferentazione sensoriale.

In sintesi, la domanda che si poneva è: il sonno è indotto da una sostanza presente nel sangue, nel liquido
cerebrospinale o nel sistema nervoso centrale? Ed è un processo PASSIVO[da deafferentazione sensoriale o
da mancanza di attività delle strutture che inducono la veglia] (Bremer ’30) o ATTIVO (Moruzzi ’50-’60)?
Bremer, autore dell’Encephale isolé un proencefalo disconnesso da parte caudale del tronco encefalico
(senza afferenze sensoriali) continuerà a mostrare alternanza ciclica sonno-veglia? La risposta, come
abbiamo già visto, è sì. Nel Cerveau isolé invece è stata fatta una sezione mesencefalica all’altezza dei
collicoli superiori del gatto e il risultato è stato proencefalo isolato che mostra un EEG di sonno a onde
lente con elevato voltaggio e una miosi pupillare (questa ci indica un interessamento neurovegetativo
derivato dal fatto appunto che sono state tagliate tutte le afferenze sensoriali).

CONCLUSIONI (fino a questo punto): nel cerveau isolé dorme perché le afferenze sensoriali residue non
sono in grado di tenerlo sveglio, mentre il preparato encephale isolé lasciando intatte le afferenze sensoriali
dei nervi cranici (ad es. vestibolo cocleare e il trigemino) permette una normale ciclicità sonno-veglia. A
ulteriore riprova, sezionando i nervi cranici sensoriali del tronco encefalico di un encephale isolé, questo
manifestava sonno continuo come il cerveau isolé.

Moruzzi (uno dei più grandi neurofisiologi italiani) e Magoun provano a fare delle lesioni del tronco
encefalico ma parziali (non complete come nel caso di Bremer), e vedono che:

- Se le lesioni interessano il TEGMENTO LATERALE, interrompendo le vie ascendenti sensoriali


dirette non ci sono alterazioni significative del ciclo sonno-veglia.
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- Se le lesioni interessano la LINEA MEDIANA stupore comportamentale + situazione di delta


permanente (ovvero sonno a onde lente continue)

Come interpretano ciò? Il problema è che non bisogna andare ad indagare solamente sulle afferenze
sensoriali, ma anche qualcosa che induce la veglia. Per cui si otterrà una situazione in cui vi è stupore
comportamentale e delta permanente se si tagliano le formazioni ascendenti che inducono la veglia. A
questo punto formulano l’ipotesi che la formazione che induce la veglia sia una formazione mesencefalica,
definita sistema reticolare ascendente (SRA) o formazione reticolare ascendente. Successivamente
qualcuno sostituisce la parola “ascendente” con “attivante”, perché in realtà il sistema è composto da una
serie di fibre che partono dal mesencefalo e si diffondono nella corteccia, ma oltre ad essere ascendenti,
attivano anche la veglia.

CONCLUSIONI: le proiezioni ascendenti della formazione reticolare (tonicamente attiva) eccitano la


corteccia e mantengono sveglio il proencefalo; la riduzione di quest’attività porta al sonno.

Ciò è coerente con questi tipi di taglio, perché la formazione reticolare è situata proprio al centro del
mesencefalo, quindi se si fa un taglio laterale si lascia intatta la parte mediana, se invece viene tagliata la
parte mediana si ha stupore comportamentale + delta permanente; la cosa più interessante è che se si fa
un taglio nella parte mediana, ma più basso rispetto a quello del cerveau isolé, nonostante i nervi cranici
rimangano intatti, non si avrà più il ciclo sonno-veglia (al contrario dell’encephale isolé in cui il ciclo
rimane).

Negli anni ’50 si arrivò a credere che il sonno sia PASSIVO per DEAFFERENTAZIONE FUNZIONALE
SENSORIALE e inoltre che sia regolato dal SISTEMA RETICOLARE ATTIVATANTE ASCENDENTE (ovvero la sua
disattivazione porta al sonno). Quindi si pensava che il sonno fosse il risultato dell’assenza di qualcosa, che
invece durante la veglia si mantiene attivo.

Un’altra questione che interessò Moruzzi negli anni ’50 fu: ma il sistema reticolare è ASPECIFICO?

Molto interessante furono i seguenti risultati: in seguito a lesioni del tronco encefalico di pochi millimetri
più caudali (più basse) rispetto a quelle di Bremer, i gatti non dormivano più. Ciò significa che il sistema
reticolare si differenzia per parte alta e parte bassa, per cui nella zona più alta vi sono neuroni responsabili
della veglia (sistema reticolare attivante ascendente) e se si fa un taglio a questo livello il gatto cade in un
sonno a onde lente continuo, mentre nella zona più caudale vi sono neuroni responsabili del sonno e quindi
se si fa un taglio il gatto non dorme più. Oltre alle lesioni cerebrali, per verificare quanto appena descritto,
si possono fare delle iniezioni selettive di anestetico, bloccando periodicamente una parte del sistema
nervoso; allo stesso modo se si inietta l’anestetico nella parte rostrale (alta) del ponte e del tronco, allora si
avrà insorgenza di sonno nel gatto sveglio, quindi significa che viene bloccata l’induzione della veglia. Se
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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

invece viene fatta un’anestesia solo nella parte caudale, accade il contrario: l’animale che era
precedentemente addormentato, si sveglia e compare un EEG desincronizzato; ciò significa che viene
bloccata l’induzione del sonno.

 ZONA CAUDALE DEL TRONCO ENCEFALICO CONTIENE NEURONI NECESSARI A INDURRE IL SONNO
DELTA (sonno sincrono con onde ampie e lente, ovvero sonno a onde lente).

Questi neuroni sono serotoninergici, anni dopo si è capito che la loro trasmissione è di tipo serotoninergico.
E dove sono localizzati questi neuroni? In un’area chiamata nuclei del rafe, in cui si ipotizza ci siano queste
cellule serotoninergiche che inducono lo stato di sonno e che sono poste sulla linea mediana del bulbo,
parte più bassa del tronco encefalico.

Quali sono le evidenze a favore?  se si inietta una sostanza (la 5-HT, che è un precursore della serotonina)
si induce sonno, mentre se si distrugge l’80-90% delle cellule del rafe si provoca insonnia completa nel
gatto (che dura 3-4 giorni); successivamente ricompare il sonno a onde lente ma non il REM. Le lesioni
limitate permettono maggior recupero ma il REM non ricompare finché il sonno a onde lente non raggiunge
una durata di almeno 3 ore e mezzo al giorno. Due cose sono interessanti: 1. Che l’insonnia è soltanto
temporanea, dopo di che il gatto ricade in sonno a onde lente; 2. Che il REM sembra dipendere dal sonno a
onde lente, perché se non c’è il sonno a onde lente non c’è nemmeno il REM e che ricompare solamente se
il sonno a onde lente totalizza una certa quota, per cui anche a livello di sperimentazione animale, il sonno
a onde lente sembra essere più importante.

Quali sono le evidenze a sfavore?  se viene somministrata cronicamente la PCPA (paraclorofenilalanina,


che è un inibitore della sintesi di 5-HT, quindi in sostanza inibisce la serotonina) provoca insonnia, ma dopo
una settimana sia REM che sonno a onde lente ricompaiono per raggiungere il 70% dei livelli normali, anche
se è scomparsa completamente la 5-HT. Inoltre tali cellule del rafe inibiscono gli eventi fasici dal sonno
REM.

La cosa fondamentale è che il motivo per cui ricompaiono gli stadi di sonno è legato al fatto che
evidentemente questi nuclei che inducono il sonno non sono gli unici. Altro sistema implicato è il NUCLEO
DEL TRATTO SOLITARIO (che è un altro sistema bulbare): se viene attivato insorge SONNO, se viene leso
non provoca insonnia (perché ci sono i nuclei del rafe che inducono sonno, quindi sappiamo che il nucleo
del tratto solitario dà un contributo supplementare nell’attivazione del sonno). Probabilmente agisce sul
sonno controllando la formazione reticolare (la quale se è attivata provoca risveglio).

Altre aree ipotalamiche e del proencefalo basale necessarie a indurre sonno normale sono:

- AREA PREOTTICA

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

- NUCLEO SOPRACHIASMATICO, la sua attività è minore ma ha collegamenti con tutte le aree


implicate nell’induzione di sonno

Un’applicazione di 5-HT nell’area preottica produce gli stessi effetti di un’applicazione di 5-HT nel nucleo
del tratto solitario o nei nuclei del rafe induzione di sonno a onde lente. Se invece viene distrutta nel
ratto si ha INSONNIA.

Per quanto riguarda il sonno REM, si pensa che le aree che permettono insorgenza del sonno a onde lente
non siano le stesse di quelle implicate nell’insorgenza di sonno REM e che in realtà i due tipi di strutture
abbiano un’attività con dei sistemi neurotrasmettitoriali differenti che si antagonizzano. Questo
antagonismo avviene tra cellule serotoninergiche (quelle del nucleo del tratto solitario e dei nuclei del rafe)
che vengono chiamate cellule REM-OFF, ovvero quelle che “spengono” il REM, tanto è vero che quando si
vanno a stimolare quelle formazioni vengono inibiti gli eventi fasici del REM; per cui quando sono attive
contemporaneamente le cellule del rafe o del tratto solitario inducono sonno delta e bloccano il sonno
REM. A un certo punto compare una riduzione della frequenza di scarica di queste cellule serotoninergiche
e quando la loro attività si abbassa, si innalza disinibita l’attività di cellule colinergiche (cellule che
funzionano con l’acetilcolina). Queste cellule vengono chiamate REM-ON. Il meccanismo appena descritto è
stato scoperto e proposto da Jouvet (neurofisiologo francese) in transizione sonno a onde lente-REM la
maggior parte dei neuroni del rafe smette di scaricare prima che insorgano le PGO e resta silente durante i
periodi del REM; quindi le cellule REM-OFF abbassano la loro attività per lasciare il campo alle cellule REM-
ON. Quindi altra popolazione del tronco encefalico con un ruolo nell’induzione e mantenimento del sonno
REM è quella dei neuroni colinergici(neuroni REM-ON) o Ach(acetilcolina)-sensibili. Infatti se si iniettano
sostanze agoniste del sistema colinergico nel tegmento pontino del gatto allora si presenteranno lunghi e
intensi periodi di sonno REM.

Evidentemente esiste una reciprocità tra acetilcolina e amine, implicate rispettivamente in sonno REM e
sonno a onde lente. Due popolazioni di neuroni, reciprocamente connesse, che scaricano o risultano inibite
durante il REM e il sonno a onde lente:

- Cellule colinergiche (CELLULE REM ON) del tegmento pontino (tetto del ponte) scaricano ad alta
frequenza e fasicamente durante il REM
- Cellule monoaminergiche [o serotoninergiche] (CELLULE REM OFF) dei nuclei del rafe presentano
una scarica ridotta in REM

CONCLUSIONE: CICLO N-REM – REM E’ INDOTTO DA ALTERNARSI DI ATTIVITA’ COLINERGICA E


AMINERGICA.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Considerazioni metodologiche: oltre l’equazione REM-sogno.

Esistono alcuni equivoci nelle ricerche sul sogno. I due più grandi equivoci sono:

1. Equivoco secondo cui si pensa che ogni volta che sogniamo vi sono alcune cose che succedono sul
corpo che ci dicono che il soggetto sta sognando o come sta sognando.
2. Equivoco secondo cui si pensa che si sogna soltanto durante il sonno REM. Oggi sappiamo che si
sogna durante tutto l’episodio di sonno, ma quando usciamo dal sonno REM pronunciamo dei
racconti riguardo il sogno che sono diversi per ragioni legate alla produzione del sogno e al tipo di
recupero e ricordo.

Allora come diceva Salzarulo, dobbiamo uscire dall’equazione REM-sogno e dobbiamo considerare ad
esempio che i MOR (movimenti oculari rapidi) sono presenti dalla nascita anche nei ciechi, nei gatti a cui è
stata asportata la corteccia (decorticati) e nei neonati; per cui i movimenti oculari rapidi non per forza
hanno a che vedere con la scena visiva del sogno. La cosa interessante è che se vengono soppresse le PGO
durante il REM nei gatti attraverso la PCPA (che è un inibitore degli eventi fasici del REM), si osserva che le
PGO vengono trasferite nella veglia. Ciò comporta che il gatto inizia ad avere disturbi comportamentali di
agitazione psicomotoria analoga all’agitazione psicomotoria nelle condizioni psicotiche. Le onde PGO sono
tipiche del gatto, nell’uomo la loro presenza non è stata dimostrata. Però resta il fatto che alcuni autori
ipotizzano che il sogno sia il fenomeno equivalente al fenomeno di delirio, che però accade durante il
sonno, evidentemente perché durante di esso ci è permesso di delirare e di avere allucinazioni; quando
siamo svegli invece il meccanismo deve essere inibito. A questo punto si è arrivati a credere che il delirio
non è altro che un’irruzione di sogno durante la veglia. Questa ipotesi è stata molto dibattuta, in quanto
alcuni autori hanno detto che ad esempio molti psicotici non soffrono di allucinazioni ma presentano solo la
sintomatologia negativa (qualcosa che dovrebbe essere ma non c’è), alcuni ancora hanno detto che i sogni
di alcuni schizofrenici ad esempio non contengono elementi allucinatori e deliranti.

L’approccio cognitivo ha cercato di spiegare come viene prodotto il sogno, quali sono i meccanismi alla base
e soprattutto qual è il motore del sogno. Un nuovo modello cognitivo della produzione del sogno è quello
di Foulkes (1982, poi rivisto nel 1985): nella produzione del sogno vi è un unico generatore, se si sveglia una
persona dal sonno REM o dal sonno NREM, questa racconterà lo stesso un sogno, ma che ha delle
caratteristiche differenti. L’idea è che quindi vi è un’attività mentale in entrambi i tipi di sonno e di sogno,
ma che ci siano delle caratteristiche differenti che possano spiegarlo. Foulkes quindi fondamentalmente
dice che il sogno viene prodotto sia in sonno REM che in sonno NREM, proprio perché il motore alla base di
esso è unico. Inoltre la produzione di sogno deriva da questi 3 processi:

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

1. Attivazione diffusa dei sistemi di memoria che fa emergere elementi mnestici (immagini e
impressioni). La selezione di questi elementi non si sa ancora in base a cosa viene fatta, se vengono
selezionati elementi salienti, se invece la selezione è casuale, e così via.
2. Inizia una sorta di montaggio (pianificazione inconscia) che mette insieme tutti gli elementi
mnestici così da dare una struttura e coerenza al materiale.
3. Organizzazione conscia che interpreta e integra i dati in una storia chiamata “sogno”.

La differenza che spiega perché quando un sogg. Si sveglia dal REM ha un tipo di resoconto differente
rispetto a quando il sogg. Si sveglia dal NREM è l’accessibilità alle fonti di memoria. Sarebbero la maggiore o
minore disponibilità delle fonti di memoria e la più o meno alta capacità di organizzarle in strutture coerenti
a determinare differenze nell’esperienza mentale dei due tipi di sonno.

SONNO REM maggiore attività corticale, più alta capacita di organizzazione e maggiore accessibilità alla
memoria.

SONNO NREM bassa attività corticale, minore capacità di organizzazione e accessibilità alla memoria.

Quella di Foulkes è definita teoria del generatore unico.

Più tardi viene formulata la teoria del doppio generatore di Hobson e McCarley, che si basa sull’ipotesi
dell’attivazione-sintesi secondo quest’ipotesi il sogno è casuale, vi sono degli impulsi nervosi che
durante il sonno iniziano a bombardare il tronco encefalico (attivazione del TE si autoattiva il sistema
mente-cervello), dopo di che la corteccia, il proencefalo e le aree sottocorticali che presiedono alla
memoria, tentano di dare un senso a questi impulsi casuali, di costruire una sorta di “trama”. Quindi gli
elementi del sogno vengono attivati in maniera casuale ed è la corteccia che cerca di dare
un’organizzazione e un senso a tale materiale (sintesi).

ATTIVAZIONE CERVELLO-MENTE l’approccio cognitivista di Hobson e McCarley immagina che ci sia un


commutatore, cioè una sorta di macchina, o meglio un sistema che viene acceso e spento attraverso degli
interruttori (cellule REM-ON colinergiche, REM-OFF aminergiche). Hobson ci dice che vi è un doppio
generatore, uno è alla base dell’attivazione mente-cervello e che si ha nel tronco encefalico (si attiva nel
sonno NREM), e poi c’è un processo di sintesi che avviene nelle parti + elevate della corteccia (riguarda il
sonno REM). Con l’attivazione del sistema aminergico e del sistema reticolare del tronco il commutatore è
spento, e contemporaneamente vi è un blocco degli ingressi sensoriali, cioè la mente non riceve più gli
stimoli dal mondo esterno e quindi inizia a lavorare sugli impulsi che riceve internamente. Questo avviene
attraverso un processo di OCCLUSIONE inibizione dei nervi che impedisce ai segnali-stimoli esterni di
accedere al sistema nervoso centrale. Infatti per mantenere il sonno l’info proveniente dal mondo esterno
non può accedere alla mente-cervello internamente attivata. Contemporaneamente ancora avviene il
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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

blocco delle uscite motorie (più forte nel sonno REM perché caratterizzato da atonia muscolare, rispetto al
sonno NREM), il sistema mente-cervello internamente attivato viene scollegato dagli ingressi motori e deve
anche inibire la risposta motoria in modo tale che i comandi motori non vengano eseguiti. Per far sì che
vengano annullati gli atti motori, vi è un’inibizione dei neuroni motori, midollo spinale e tronco cerebrale;
quindi dall’alto arriva quest’inibizione che blocca i neuroni e il midollo per impedire che durante il sonno ci
muoviamo e ci svegliamo. Tale blocco delle uscite motorie impedisce il risveglio a causa della stimolazione
sensoriale che tali movimenti inevitabilmente rimanderebbero alla corteccia.

RIEPILOGO: mente-cervello attivata che elabora l’informazione, escludendo i dati sensoriali provenienti
dall’esterno, ma lavorando solo su ciò che scaturisce dall’interno (blocco degli ingressi sensoriali); inoltre
non agisce sulla scorta dell’info generata internamente (blocco delle uscite motorie). La mente lavoro solo
su stimoli interni grazie ad una generazione interna dei segnali. Un esempio sono le ONDE PGO=
manifestazione di un segnale informativo generato internamente con origine nel tronco cerebrale. Dopo
che il sistema mente-cervello viene attivato, vi è una sintesi, che come dice Hobson avviene in maniera
differente in base a come siamo fatti noi; cioè la nostra mente organizza e struttura tutto il materiale
costruendo una “trama”, in base ai nostri tratti di personalità, alle nostre esperienze passate e alle
informazioni immagazzinate nella nostra memoria.

STUDIO DI NEUROIMAGING: Maquet condusse uno studio utilizzando la PET per vedere quali aree del
cervello si attivano di più e quali di meno sia durante il sonno a onde lente sia durante il sonno REM,
rispetto alla veglia.

- Sonno a onde lente: aree attivate di più rispetto alla veglia ?, Maquet non le descrisse perché
probabilmente, anche se vi sono aree attivate durate il sonno a onde lente, in realtà non sono
attivate di più rispetto alla veglia. Oggi sappiamo, grazie a studi più recenti, che le aree attive
durante il sonno a onde lente sono le aree mediotemporali (ad esempio l’ippocampo, importante
per la memoria dichiarativa). Aree meno attivate rispetto alla veglia ponte, mesencefalo, talamo
(quindi aree più basse), la corteccia prefrontale, gangli della base, ipotalamo, proencefalo basale,
corteccia cingolata anteriore
- Sonno REM: aree attivate di più rispetto alla veglia aree legate all’affettività come la corteccia
cingolata e l’amigdala, ciò spiega anche perché il sogno proveniente dal sonno REM sia più carico
dal punto di vista emotivo. Inoltre ponte, nuclei talamici, aree temporali-occipitali. Aree meno
attivate rispetto alla veglia corteccia prefrontale dorso-laterale, corteccia parietale, corteccia
cingolata posteriore.

Schwartz e Maquet hanno osservato che alcune caratteristiche del processo onirico sono condivise da
sindromi neurologiche, ovvero hanno cercato di trovare dei correlati neurologici nel sogno. Si sono
152
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

focalizzati fondamentalmente sugli aspetti della bizzarria e hanno visto che vi sono alcuni pazienti
neurologici che presentano determinate caratteristiche in veglia che provengono da determinati tipi di
lesioni cerebrali; tali caratteristiche sono presenti, seppur in maniera diversa, nelle persone normali che
stanno sognando. (esempio di pazienti osservati  pazienti con sindrome di Fregoli= confusione di volti, il
paziente riconosce persone che in realtà lui non conosce; pazienti con acromatopsia= incapacità di
percepire qualunque colore). La cosa interessante è il fatto che le persone che in sogno presentano
determinate caratteristiche analoghe alle caratteristiche dei pazienti neurologici, è spiegato dall’attivazione
di determinate aree cerebrali durante il processo onirico. Ad esempio nell’acromatopsia vi è una maggiore
attivazione delle aree occipitali (giro fusiforme), che spiega perché il soggetto sogna in bianco e nero, e la
stessa attivazione delle aree occipitali la si osserva nei pazienti neurologici che presentano acromatopsia.
Per cui Maquet e Schwartz concludono che le caratteristiche del sogno possono essere mappate secondo
una specifica distribuzione delle aree cerebrali attivate, ciò significa che se utilizziamo la PET su una
persona che sta dormendo e vediamo che si attivano determinate aree cerebrali, ci possiamo aspettare dei
resoconti onirici con caratteristiche qualitativamente differenti rispetto ad un’altra persona alla quale
invece si erano attivate altre aree. Ovviamente possiamo utilizzare questo modello “predittivo” delle
caratteristiche del sogno solo se vi è una segregazione delle aree cerebrali attivate.

153
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

15° LEZIONE
Noi nella nostra prima lezione abbiamo detto che dobbiamo dedicare l’attenzione un po’ a tutti gli aspetti
legati al tempo, quindi anche allo sviluppo, intendendo la maturazione e i cambiamenti che avvengono con
l’età, naturalmente sempre rispetto al ritmo sonno - veglia, quindi all’organizzazione dell’attività mentale,
del modo in cui noi funzioniamo in relazione all’alternanza fra sonno e veglia; oggi, quindi, analizziamo le
variazioni con l’età. Quando diciamo “variazioni con l’età”, sostanzialmente dobbiamo fare riferimento a
due fasce estreme di età che sono il bambino piccolo e l’anziano (perché dai 2 anni fino ai 40 succede
poco).

ONTOGENESI DEL SONNO UMANO


La prima slide che volevo farvi vedere è quella
dell’ontogenesi del sonno umano: abbiamo la signora
col bambino in grembo, e quindi l’individuo di cui
vediamo il sonno qui è un feto che diventa poi il
neonato, il bambino, il giovane, l’adulto già un po’ pigro
e infine, la signora anziana col gattino e il gomitolo che
le è caduto perché si è addormentata.
Allora che cosa vediamo, parlando un po’ delle varie
epoche della vita?
 Vediamo che il tempo totale di sonno del feto è molto alto, abbiamo un valore medio di 16 ore;
successivamente, questo tempo totale di sonno decresce e raggiunge i valori minimi nel soggetto
anziano.
 Quello che anche vediamo in questa immagine è la composizione di sonno REM (fascia blu) e sonno
NREM (fascia grigia): c’è una proporzione di sonno REM molto più alta nei bambini, soprattutto nei
bambini piccoli, e poi lo vedete diminuire sempre di più con l’avanzare dell’età.
 Un’altra cosa che volevo dirvi è che sul sonno dell’anziano ci sono molti luoghi comuni: per molti
anni si è detto che nell’anziano il cambiamento più drammatico riguardava la riduzione sia del
sonno a onde lente che del sonno REM; oggi vediamo che queste cose non sono completamente
esatte: quindi, quando per esempio noi diciamo che “l’anziano dorme meno”, attenzione!!!
l’“anziano dorme di meno di notte” ma se consideriamo il tempo totale di sonno nelle 24 ore non è
necessariamente di meno, perché egli, spesso, si addormenta di giorno.

154
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

IL SONNO NEL CORSO DEL PRIMO SVILUPPO


Per spiegare il sonno nel corso del primo sviluppo, diventa
fondamentale tener presente la definizione di “stato
comportamentale”, ovvero noi dobbiamo avere un insieme di
variabili (o costellazioni) che si coordinino e che si ripetano
sempre uguali per una minima durata di tempo.
Come facciamo nel bambino piccolo? Nel bambino piccolo
abbiamo bisogno, come per ogni altro qualsiasi organismo, di
avere dei criteri
 ELETTROFISIOLOGICI= mettere dieci elettrodi in testa al bimbo di una settimana è molto impegnativo
per il bambino, per il genitore e per il ricercatore; inoltre, se voi vedete un tracciato EEG di un bimbo
piccolino, non è come quello che vedete nell’adulto: non vedete lo stadio 2 delineato, con i fusi o i
complessi k, non vedete il sonno a onde lente come quell’insieme di onde lente ampie ma vedete delle
cose che sono molto più confuse e meno decifrabili rispetto all’EEG di un adulto;
 FISIOLOGICI= vedere se aumenta la frequenza cardiaca o la frequenza respiratoria;
 COMPORTAMENTALI= nel bambino la cosa più facile è l’ osservazione comportamentale: il movimento
del corpo, la motilità corporea ecc..; tanto è vero che nel bambino il sonno REM e il sonno NREM si
chiamano rispettivamente “sonno attivo” e “sonno calmo” per i movimenti del corpo.

IL SONNO SISMICO DEL FETO


Quello che accade nel feto è un pattern di motilità frenetica
indifferenziata che qualcuno ha chiamato appunto “sonno
indifferenziato” o “sonno sismico”.
 La parola “sismico” rende molto bene l’idea di questo
terremoto, di questi feti che si muovono con vari tipi di
movimento;
 La parola “sonno”, invece, è impropria perchè uno stato di
sonno a 26 settimane non può essere identificato, così come è impossibile identificare uno stato di
veglia in quanto c’è uno stato indefinito tra il sonno e la veglia che è caratterizzato da una immaturità
ancora quasi pressoché totale del sistema nervoso centrale che sta sviluppando le informazioni
fondamentali della vita.

155
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

MOTILITA’ CORPOREA DEL FETO


Quando noi parliamo di “motilità indifferenziata”
ci riferiamo a due tipi di movimento: alcuni sono
movimenti bruttini, che fanno con le estremità
degli arti, altre sono le smorfiettine (o, in
francese, “grimace”) che sono l’equivalente a
livello facciale dei movimenti di mani e piedi. Vi
sono poi anche movimenti generalizzati, di varia velocità e ampiezza, di parti più grandi (come tronco,
addome..), a volte il bambino si stiracchia, si gira ecc...; l’espressione a massimo livello di attività e motilità
è considerata la vocalizzazione e, soprattutto, il pianto; quest’ultimo, nelle prime settima del bambino non
è anormale ma è sintomo che il bambino sta bene (e non che sta male come tutti pensano!) e corrisponde
ad uno stato comportamentale, un’espressione di uno stato comportamentale di veglia più maturo per cui
è molto positivo il fatto che i bambini piangano.
Questo per dire che noi possiamo classificare a un certo punto gli stati comportamentali del bambino anche
guardando il modo in cui si muove.

Se prendiamo la motilità come punto di riferimento,


vediamo che l’andamento della motilità, che nel
corso dei primi giorni di vita era così accentuata,
piano piano si riduce, in particolare si riduce
soprattutto la motilità del “sonno calmo”
(nonostante il sonno del bimbo appena nato viene
chiamato “sonno calmo” per le caratteristiche
dell’EEG, anche in questo sonno ci sono movimenti corporei) che a distanza di poche settimane dalla
nascita vede una drastica riduzione dei movimenti corporei. Nel sonno NREM (linea blu) avviene una cosa
simile, però con un andamento che è tutto all’inizio per poi avere un profilo appiattito nel corso dei 6 mesi,
mentre si assiste ad una riduzione lineare dei movimenti del sonno REM.

Il fatto che vengono acquisiti degli stati comportamentali


differenti è molto importante perché significa che il sistema
nervoso sta maturando. Voi capite che avviene una
maturazione del sistema nervoso quando le varie neuro-
strutture sono capaci di coordinare gli stati in una maniera
efficace. Quindi la veglia si allunga (il bambino riesce a stare
più sveglio) e allo stesso tempo c’è un accorciamento degli episodi di sonno.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

CARATTERISTICHE DEGLI STATI COMPORTAMENTALI


Nelle settimane che si avvicinano al momento della nascita,
numerose attività fisiologiche si sincronizzano e vanno a
correggere gli stati comportamentali. Gli stati comportamentali
che compaiono sono 4:
 VEGLIA= solitamente caratterizzata dagli occhi aperti, dei

movimenti oculari, dei movimenti corporei e da un respiro


irregolare. Voglio accennarvi una cosa, nel bambino man
mano che cresce compaiono tipi differenti di veglia:
all’inizio compare una “veglia di necessità” (in cui il bambino deve mangiare e quindi sta sveglio
unicamente per provvedere ai propri bisogni fisiologici), con il passare del tempo compare una
“veglia di scelta” (in cui aumenta il livello delle interazioni col mondo esterno), successivamente
compare l’ “alert activity” (attività di vera e propria vigilanza e attenzione, espressa dal bambino
con il corpo e con la comparsa degli schemi motori) e più passa il tempo più la percentuale di
questa attività attenta, vigile, aumenta in proporzione;
 SONNO CALMO= il bambino ha gli occhi chiusi, una riduzione dell’attività corporea e l’assenza di

movimenti oculari (come il sonno NREM dell’adulto). Inoltre, il tracciato EEG, nei primi due mesi di
vita del bimbo risulta molto confuso e viene chiamato “tracè alternant” (cioè “tracciato
alternante”); il quale è caratterizzato da momenti di onde lente e momenti di onde lente seguite da
un improvviso abbassamento dell’ampiezza e della frequenza (nel tracciato EEG dell’adulto
vediamo invece le onde lente, nel sonno dello stadio 2 vediamo delle figure caratteristiche che
chiamiamo fusi del sonno e complessi k… cosa che nel bimbo non compare);
 SONNO ATTIVO= Nel sonno attivo ci sono dei movimenti oculari, ci sono i movimenti del corpo, c’è

l’atonia muscolare del mento, già compaiono nel bambino piccolo i classici elementi basici e tonici
del REM, c’è anche una difficoltà nella regolazione del respiro e del battito cardiaco (come il sonno
REM dell’adulto); la differenza con gli adulti è che qualche volta il bambino piccolissimo dorme con
gli occhi aperti, per cui questo parametro non può essere considerato come una caratteristica della
veglia;
 SONNO AMBIGUO (o SONNO TRANSIZIONALE, INDEFINITO)= è un sonno che presenta caratteristiche

miscelate sia del sonno a onde lente (sonno calmo) sia del sonno REM (sonno attivo), del sonno
attivo, anzi voi vedete un po’ le caratteristiche di tutte e due che sono miscelate. Il sonno ambiguo
è interessante, da un punto di vista funzionale perché ci potremmo chiedere “è il cervello che non
riesce a tenere stabile né il sonno attivo né il sonno calmo?” oppure “il sonno ambiguo ha tali
caratteristiche perché è simile al sonno transizionale degli animali studiati da Giuditta {i topi che
imparavano meglio avevano la sequenza “SS-TS-PS” [ovvero di “SonnoSincro(sonno NREM) -SonnoTransizionale-
157
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

SonnoParadosso(sonno REM)]}?” se ragioniamo in termini di sequenze simili al sonno transizionale


dell’animale potremmo dire che il bambino effettua il “sonno ambiguo” perché ha bisogno di
imparare tanto; però, siccome non sono stati svolti e approfonditi studi sul sonno ambiguo, non
possiamo dare una risposta a tali quesiti.

LE DIVERSE CLASSIFICAZIONI DEGLI STATI COMPORTAMENTALI


Questa slide mostra degli esempi di classificazioni differenti degli stati
comportamentali. Se prendete per esempio Nijhuis (ricercatore
olandese) nel 1982, invece di parlare di sonno attivo, sonno calmo
ecc.. li chiamava “Stato 1F”, “Stato 2F”….
Questo per dirvi che possono comparire problemi terminologici e che
si potrebbero dare definizioni di cose che non sono esattamente
equivalenti altrove.

IPNOGRAMMA DI UN BAMBINO DI 2 SETTIMANE


Questo è un ipnogramma di un bambino di due settimane e vi sono differenze significative con l’adulto che
appaiono fin da subito:
 notiamo che l’addormentamento avviene in sonno
attivo, ovvero in sonno REM (l’adulto si addormenta
in sonno NREM, fra stadio 1 e stadio 2);
 c’è tanto sonno calmo;
 ma c’è una cosa molto più banale: il sonno del
bambino dura tre ore e poi si risveglia; la prima cosa
che direbbe un ricercatore del sonno vedendo questo ipnogramma è “Che bambino tranquillo! A
due settimane questo è un angelo, dorme 3 ore di fila con un solo risveglio”. Questo è un episodio
di sonno molto lungo (3 ore e più), molto tranquillo, senza risvegli intermedi, con una alternanza
pressoché equa tra sonno attivo e sonno calmo. Poi c’è un po’ di sonno ambiguo e
l’addormentamento in REM che è classico del bambino piccolo di due settimane e che poi
scomparirà.

In sintesi: quando noi vogliamo prendere in considerazione le differenze tra il


sonno dell’adulto e quello del bambino nato da poche ore, notiamo che il
bimbo avrà un sonno attivo al posto del sonno Rem (con caratteristiche simili di
movimenti corporei di atonia muscolare nel sonno Rem); un sonno calmo al
posto del sonno NREM; un EEG specifico chiamato “tracè alternant” molto
confuso; la presenza di “sonno ambiguo” e un addormentamento in sonno

158
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Rem.

ESEMPIO DI SONNO ATTIVO


Questo è un esempio di sonno attivo in cui potete notare
che le caratteristiche EEG sono abbastanza simili a quelle
del Rem e nel cerchietto vedete che c’è l’atonia muscolare

ESEMPIO DI SONNO CALMO


Questo è invece un esempio di sonno calmo in cui nel pezzettino
cerchiato si vede il “tracè alternant” costituito da onde lente e di bassa
ampiezza, bassa ampiezza (non sono mai le onde lente del sonno Rem
comunque).

3 PRINCIPALI MODIFICHE DEL SONNO NEL CORSO DEL PRIMO SVILUPPO


Dopo aver fotografato il bambino appena nato, aver delineato gli aspetti più importanti di tipo
comportamentale e di tipo elettrofisiologico e aver definito gli stati nel momento in cui il bambino nasce,
adesso dobbiamo seguire la traiettoria del corso dello sviluppo vedendo il passaggio dalla polifasicità alla
monofasicità, una lieve diminuzione della durata di sonno nelle 24 ore e la diminuzione della durata del
sonno diurno con l’aumento della durata del sonno notturno.

1. PASSAGGIO DALLA POLIFASICITA’ ALLA MONOFASICITA’= il bambino appena nato è polifasico e continua ad

essere polifasico per un certo periodo di tempo, fin quando non si realizza un processo che viene chiamato
“Sleep Consolidation” ovvero il consolidamento degli episodi di sonno che vanno a compattarsi nel periodo
notturno e quindi ci danno poi un passaggio alla polifasicità del ritmo sonno-veglia [il termine in grassetto non
va confuso con “Sleep Dependent Memory Consolidation” che riguarda il consolidamento in memoria di cui abbiamo
parlato lungamente nel sonno a onde lente].

A questo punto è evidente che l’episodio più lungo di


sonno (blu) e di veglia (arancione) aumenta la durata nel
corso dei mesi perché il sistema nervoso sta maturando,
e riesce a mantenere stabilità per gli stati
comportamentali. A noi viene automatico immaginare
che i bambini stiano svegli e dormono per la stessa
durata di tempo, invece, tale slide dimostra che i
bambini propendono più facilmente per episodi di sonno lungo piuttosto che un episodio di veglia. Questo
perché la veglia richiede un livello di complessità maggiore perché è legata all’interazione con l’ambiente,
alla discriminazione… e fino a quando la nostra corteccia frontale non arriva a dei livelli di sviluppo
abbastanza significativi, stare svegli è complicato ed è faticoso; inoltre, possiamo dire che il processo S nel

159
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

bambino non esiste, perché non c’è un carico di S durante la veglia, per cui si può dire che la reazione
omeostatica è praticamente assente (da 5 mesi in poi compaiono dei fenomeni che fanno aumentare il
processo S).

2. LIEVE DIMINUZIONE DELLA DURATA DI SONNO NELLE 24 ORE= La seconda principale modifica del sonno nel

corso del primo sviluppo è che con l’aumentare dell’età, c’è una lieve diminuzione della durata totale di
sonno nelle 24 ore: il neonato dorme inizialmente 22-20 ore, poi 14-15 ore, a 3-6 mesi a 12-13 ore, quindi
complessivamente nelle 24 ore, man mano che cresce dorme
un po’ di meno.
Questa è la rappresentazione di una retta di regressione che
indica il fenomeno della riduzione delle ore di sonno nel
tempo: praticamente, questo grafico è ottenuto dal risultato
di un’analisi in cui sono stati presi tanti studi, sono stati messi
insieme e si è ottenuto tale risultato.

3. DIMINUZIONE DELLA DURATA DEL SONNO DIURNO E AUMENTO DELLA DURATA DEL SONNO NOTTURNO= La terza

principale modifica del sonno nel corso del primo sviluppo in realtà ve l’ho già spiegata è quella della “Sleep
Consolidation” ovvero la riduzione naturale del sonno diurno e il progressivo collocamento del sonno nella

fascia di buio: quindi il sistema diventa più sincronizzato con secondo l’alternanza di luce-buio ambientale.
Uno dei suggerimenti che spesso si danno alle mamme che dicono “il mio bimbo non dorme mai di notte” è
quello di cercare di aumentare l’esposizione del bambino alla luce del giorno e fargli fare una passeggiate in
passeggino durante il giorno cercando di sincronizzarlo con i ritmi luce-buio, con i ritmi giorno-notte della
famiglia. Gli studi di Daniel Wolff (ricercatore tedesco) hanno dimostrato che il bambino si sincronizza ai
ritmi biologici di sonno-veglia dei genitori ma anche i genitori si sincronizzano al ritmo sonno-veglia del
bambino.
Il grafico mostra l’andamento speculare dell’episodio
di sonno nella notte (losanghe nere) e il tempo di
sonno nel giorno (losanghe bianche); ovviamente le
due cose vanno in maniera assolutamente speculare:
alla salita di tempo di sonno notturno corrisponde la
discesa del tempo di sonno diurno.

DISTRIBUZIONE DI SONNO NELLE 24 ORE


Allora, quindi, all’inizio vi sono numerosi episodi di breve durata (20-40 minuti), alternati a episodi di veglia
di minore durata; dopo il quarto mese diminuisce il numero degli episodi di veglia nel periodo notturno, e

160
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

diventano più frequenti episodi di veglia superiori ad un’ora; infine aumenta la durata degli episodi di
sonno più lungo che si colloca nel periodo notturno.

RISVEGLI NOTTURNI
La capacità di sostenere un episodio di sonno nel corso della notte per periodi sempre più lunghi è parallela
alla diminuzione dei risvegli notturni. Questo sembra un concetto ovvio, ma in realtà non lo è se pensiamo
alla configurazione dei risvegli: se vogliamo vedere il profilo dei risvegli, la prima cosa che dovremmo fare è
vedere i “risvegli spontanei” nel bambino pre-termine (però è una cosa estremamente complicata,
estremamente complicata e specialistica e quindi li potete saltare);
Vi chiedo solo una cosa: “secondo voi quando è che i bambini che stanno nel grembo della mamma sono più
attivi?” quando la mamma dorme, infatti, ecograficamente, per qualche stranissima ragione che non è
spiegata, il massimo livello di attività corporea nell’utero è massima alle 3 del mattino (forse il bimbo è più
attivo quando la temperatura della madre cala, più o meno verso le 3 di notte).

DOPO LA NASCITA: I TIPI DI VEGLIA


Nelle settimane dopo la nascita, come vi ho già detto avviene una distinzione della veglia in:
 veglia di necessità=provvedere ai propri bisogni fisiologici come mangiare;
 veglia di scelta= aumenta il livello delle interazioni col mondo esterno;
 waking activity= sarebbe la veglia di necessità;
 alert inactivity= strana forma di veglia di scelta in cui però il bambino è abbastanza inerte, raccoglie poco gli
stimoli ambientali;
 alert activity= attività di vera e propria vigilanza, attenzione e di interazione con l’ambiente.

Ora, avendo definito i vari tipi di veglia, una cosa che possiamo vedere è che con la “waking active” (ovvero,
la veglia di necessità) il bambino sta sveglio solo per mangiare, tale linea, però si riduce e si azzera quasi
completamente già all’ottava settimana; qui
inizia ad aumentare il livello di “alert inactive”
(veglia un po’ inerte) che rimane
preponderante fino alla settima-ottava
settimana e poi scende anche questa; dalla
settima-ottava settimana aumenta la
proporzione di “alert active” in cui il bambino
vuole stare sveglio anche per le altre cose e
comincia ad esplorare con lo sguardo, riceve gli stimoli in maniera più significativa dell’ambiente e quindi è
un po’ più sveglio.

161
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Questa è la riduzione dei risvegli notturni nel primo anno di vita, che è il risultato
di tutti gli studi che l’hanno esplorata: quello che si vede è più o meno sempre la
stessa cosa, cioè una tendenza alla discesa, quindi un abbassamento di un valore
che è necessariamente più alto nei primi mesi e nel corso dell’anno si riduce.

Questo, invece, è l’andamento complessivo di tutti i risvegli,


questa riduzione è spiegata soprattutto dalla diminuzione dei
risvegli da sonno attivo da REM (linea rossa) in cui vedete che
c’è un momento intorno alla 15° settimana in cui c’è una
netta riduzione dei risvegli da REM; la proporzione del
risveglio da sonno ambiguo si riduce (linea azzurra) ed i
riscegli da sonno calmo più o meno si mantengono gli stessi
nel corso del primo anno (linea blu).

Questo è un quadro prima della 40° settimana (significa di


bambini appena nati) in cui il numero dei risvegli resta più o
meno lo stesso ma aumenta la durata, quindi la capacità di
sostenere la veglia; dopo le 40 settimane diminuisce il numero
dei risvegli perché il bambino riesce a mantenere il sonno più
a lungo e la durata della veglia resta più o meno la stessa.

ESISTONO FATTORI DI REGOLAZIONE DEL RISVEGLIO NEL PRIMO SVILUPPO?


La questione che abbiamo introdotto, cioè la presenza di una serie di risvegli caratteristica e la riduzione
dei risvegli notturni nel corso del primo anno di vita, introduce una domanda: “se ci sono dei fattori di
regolazione del risveglio, nel modello di regolazione del primo
sviluppo, nel bambino?” Noi sappiamo che nell’adulto il risveglio
spontaneo, che abbiamo chiamato
 Vi dicevo che potete aspettarvi che il processo S sia
“momento del risveglio finale” e che
sostanzialmente assente all’inizio dell’esistenza dal solitamente avviene tra le 7:00, 7:30, 8:00,
momento che non c’è il sonno a onde lente (noi dipende dall’interazione di tre fattori che

ormai abbiamo imparato che la riduzione dell’ coincidono, quali l’omeostasi (latenza del
sonno REM), la dissipazione del processo S e
omeostasi è l’andamento del sonno a onde ente);
la curva ascendente della temperatura.
 Però ci possiamo chiedere se c’è una circadianità, e
quindi il processo C: rispetto a questo, devo dire che, gli studi non sono moltissimi perchè lavorare
con una popolazione di bambini molto giovane è difficile; però, si è evinto che nel bambino vi è una
differenza interindividuale sulla circadianità: ci sono dei bambini in cui compare una circadianità
della temperatura sin dalle prime settimane e ci sono bambini invece in cui questa circadianità è

162
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

completamente assente; poichè non c’è una prevedibilità della curva della temperatura, molti
autori sostengono che il fatto che non ci sia tale circadianità sarebbe la causa dei risvegli molto
frequenti dei bambini, e il fatto che nel corso del tempo tali risvegli diminuiscono è perché
progressivamente si sta avendo lo sviluppo di questa ritmicità circadiana della temperatura.

Questo è un esempio di uno studio che indica l’assenza di ritmicità


circadiana in 10 bambini compresi tra le 31 e le 40 settimane di età (“PCA”
significa “Post Conception Age”, ovvero “età post concezionale”). Tali
bambini registrati per 24 ore mostravano un’assenza di ritmicità circadiana
della temperatura e la presenza di fluttuazioni ultradiane della temperatura
con un periodo molto variabile tra 60 e 480 minuti.

Le frequenti transizioni sonno-veglia durante i primi mesi di vita (dai 4- 5 mesi in poi) possono essere solo
parzialmente spiegate da fattori omeostatici: questa è un’ipotesi
molto complessa fatta da Fagioli nel 2002. Nei bambini dai 4-5
mesi in poi, quando la durata della veglia si allunga, voi iniziate a
vedere degli sketch di regolazione omeostatica in cui comincia ad
essere chiaramente fotografata l’andamento del sonno a onde
lente.

Ora, una cosa che ci interessa è appunto la maturazione del tracciato EEG
che a un certo punto inizia a presentare le caratteristiche che noi
abbiamo visto nel soggetto adulto. Quando compaiono queste cose?
 I fusi intorno al 2° mese;
 le onde lente più classiche intorno al 4°-5° mese.

Questo è un esempio di tracciato di sonno a onde lente


abbastanza classico; sarebbe interessante ricordare che età ha
questo bambino ma nella slide non c’è scritto.. comunque vi posso
dire che, se ricordo bene, questo bambino ha un anno di vita e
presenta un tracciato che sostanzialmente è molto simile a quello
dell’adulto.

Ecco, una cosa che vi volevo dire: al punto 5 di questa slide c’è la
“distribuzione alternata del quite sleep” o meglio “la distribuzione
alternata del sonno a onde lente del quiet sleep”: in pratica, voi avete un

163
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

curioso fenomeno per cui il sonno a onde lente non c’è in tutti i cicli: c’è un ciclo si (in cui si accumula una
certa quantità di pressione, spinta S, e compare il sonno a onde lente) e un ciclo no (in cui non essendoci
abbastanza pressione vi è il sonno calmo ma non c’è il sonno a onde lente) e questo potrebbe essere
interpretato come l’espressione precoce di omeostasi.

IL SECONDO MESE
Nel secondo mese cambia un po’ la veglia perché il bambino diventa
sempre più capace di percepire patterns complessi, quindi diventa
più abile da un punto di vista senso-motorio (acquisendo la
percezione, il controllo motorio, postura..), migliora la coordinazione
visuo-motoria e compaiono, come detto, le ritmicità circadiane. Vi è
poi la comparsa dell’alert activity, compaiono i fusi del sonno,
l’organizzazione dell’attività oculare diventa simile a quella
dell’adulto, scompare il “tracè alternant”, c’è una maggiore
differenziazione della frequenza cardiaca tra “sonno calmo” e “sonno
attivo”, di nuovo il sonno diventa prevalente nel periodo notturno
rispetto a quello diurno e l’addormentamento finalmente passa dall’addormentamento in sonno attivo
all’addormentamento in sonno calmo.

DOPO IL SECONDO MESE


Dopo il secondo mese succedono il sonno diventa più lungo e più
organizzato e succedono meno cose: lo “slow wave sleep” inizia a
comparire ogni 100 minuti, il ciclo si allunga e, quindi, abbiamo un
aumento della durata del sonno calmo, un aumento della lunghezza
dell’episodio di sonno, l’aumento del “tempo totale trascorso in cicli” sul
“tempo totale del sonno”.

ALL’ETA’ DI UN ANNO
All’età di un anno il sonno notturno è costituito da 1-2 episodi
caratterizzati da poche e brevi interruzioni, le variabili fisiologiche hanno
assunto caratteristiche molto simili a quelle dell’ adulto, il sonno a onde
lente è prevalente nella prima parte della notte e le attività oculari
diventano organizzate in salve. Stiamo dicendo più o meno sempre la
stessa cosa.

NEL CORSO DEL SECONDO ANNO


Nel corso del secondo anno:

164
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

 diminuisce il sonno REM nel periodo diurno;


 la quantità di sonno nelle 24 ore continua a diminuire;
 c’è una progressiva scomparsa di sonnellini diurni;
 il ritmo circadiano del sonno e della veglia è sempre più stabile;
 il numero della durata dei risvegli continua a diminuire (se nel primo anno c’era una diminuzione di
numero, nel secondo anno di sicuro del numero e della durata dei risvegli);
 la periodicità del sonno calmo diventa di 90 minuti, come più o meno nell’adulto;
 scompare il famoso sonno calmo senza il sonno a onde lente (SWS).

NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA
Dobbiamo dire, infine, pochissime cose dell’ infanzia e dell’ adolescenza:
 nell’infanzia (6-16 anni) si riduce solo un po’ lo stadio 4,
aumenta lo stadio 2 e vi è una lieve riduzione della la durata di
sonno nelle 24 ore;
 in età preadolescenziale scompare la prima fase di sonno REM,
cioè quel fenomeno che noi abbiamo chiamato “skipped REM”
(ovvero “REM saltate”): praticamente per poco andiamo nel
sonno a onde lente, poi invece di passare al sonno REM c’è un risveglio e successivamente si passa
direttamente in stadio 2 (in pratica inizia il secondo ciclo senza che il primo ciclo sia stato
completato).

IL SONNO NEL CORSO DELL’ INVECCHIAMENTO


Il sonno dell’anziano presenta chiaramente caratteristiche differenti rispetto al sonno del giovane:
 Carskadon e Dement (1980) dicono che “Il fattore più forte a influenzare gli stati di sonno è l’età”;
 Feinberg (1976) sostiene che “Non c’è malattia cerebrale compatibile con la vita che alteri i pattern
di sonno umano tanto drasticamente così come fanno la maturazione normale e l’invecchiamento”.

Questa tabella mostra una cosa molto importante: molto spesso,


gli studi sull’ anziano sono stati fatti su popolazioni non realmente
anziane, perché per esempio nel 1982 Webb studia persone che
hanno 50-60 anni; mentre oggi, a distanza di trentacinque anni
sono considerate persone anziane quelle che hanno almeno 70-75
anni di età.
 Una cosa che può essere interessante è il tempo totale di
sonno: nella popolazione degli anziani di 77-98 anni di età, il
valore minimo di tempo totale di sonno è più di 5 ore; quindi, in realtà, il fatto che questi soggetti

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dormano di meno non è vero, ma bisogna considerare che queste persone normalmente fanno pisolini
diurni
 In questo schema la latenza è più o meno uguale in tutti gli studi tranne nell’ultimo studio (svolto da
noi, su soggetti di età compresa tra i 77-98 anni, in una casa di riposo nelle vicinanze di Firenze) in cui
ci sono 62 minuti ovvero un’ora di latenza di sonno.
 Poi si vede una riduzione dell’efficienza: in particolare, nello studio correlazionale di Giuliana Mazzoni
è emerso un valore pari al 76% di efficienza che è pochino (cioè significa che un quarto del tempo
trascorso a letto è un tempo trascorso da svegli).
 C’è sicuramente un dato molto significativo nella veglia dopo l’addormentamento o WASO.
 Vediamo i risvegli: il problema degli anziani non è tanto che si svegliano di più, ma che quando si
svegliano fanno più fatica a riaddormentarsi per cui quello che si chiama tecnicamente lo “sleep re-
onset” (ovvero, il “riaddormentamento dopo il risveglio”) è particolarmente complicato.
 Quando andate a vedere la proporzione degli stadi noterete che gli anziani non vanno più in sonno a
onde lente.

VARIAZIONI DEL SONNO CON L’INVECCHIAMENTO


Se vogliamo sistematizzare le variazioni del sonno con l’invecchiamento, noi possiamo distinguere in
variazioni quantitative, qualitative e organizzative.

 VARIAZIONI ORGANIZZATIVE= Le variazioni “organizzative” riguardano i livelli organizzativi, quindi se

parliamo di variazione organizzativa parliamo di cicli, numero di cicli e durata di cicli.

 VARIAZIONI QUANTITATIVE= le principali variazioni quantitative

del sonno con l’invecchiamento sono la diminuzione del tempo


totale di sonno notturno che, però, è controbilanciata da un
aumento di episodi di sonno diurno (i NAP); c’è un aumento dell’
attività intra-individuale rispetto agli episodi di sonno (spesso i
nonnini ci dicono “Ma io ieri ho dormito bene, stasera ho
dormito benissimo, non so perché due giorni fa ho fatto poche
ore di sonno”) questo perché c’è una condizione di “incertezza
funzionale” per cui il sistema nervoso fa fatica a mantenere stati comportamentali per cui
compaiono risvegli in maniera un po’ imprevedibile.

 VARIAZIONI QUALITATIVE: le variazioni “qualitative” sono le variazioni

di struttura (banalmente quando ci chiediamo “quanto sonno a onde


lente? quanto stadio 2? quanto Rem?). Tra le variazioni qualitative la

166
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slide ci riporta “la riduzione del sonno REM”: nell’anziano, in particolare, vi è una riduzione dello
“slow-wave sleep” che comporta un cambiamento nella distribuzione del sonno REM nel corso
della notte (nel giovane, invece, il sonno REM sta tutto quanto nello “Slow-Wave Sleep”, quindi
compare dopo la 3°-4° ora di sonno e poi piano piano si allunga e voi avete un ultimo ciclo e sonno
REM): elettrofisiologicamente, nei tracciati degli anziani voi vedete delle lunghe epoche di sonno in
cui ci sono onde lente ma di ampiezza molto bassa (sono ampie 30-40 microonde) e quindi, non
riconoscendole, le classificate come onde non lente; a questo punto Webb e Dreblow nel 1982,
propongono di togliere il criterio dell’ampiezza delle onde (secondo cui per siglare lo stadio 2 e lo stadio
4 le onde devono avere una frequenza da 0 a 5 hertz e l’ampiezza deve superare i 75 microonde) e, facendo

così, viene fuori che le proporzioni di sonno a onde lente nell’anziano sono esattamente le stesse
del giovane

Ora, al di là di questo, guardate questa slide che mostra una distribuzione:


 nel giovane, il primo ciclo è pieno dì sonno a onde lente, il secondo ciclo è meno pieno di sonno a onde
lente. È l’andamento classico che poi ci dipinge, ci fa
fare, tracciare la linea dellla dissipazione del processo S.
Nel giovane, inoltre, nel corso dei cicli, aumenta la
durata di sonno REM
 nell’anziano, nel primo ciclo ci sono meno onde lente,
nel secondo ciclo c’è più o meno la stessa quantità di
onde lente, per cui l’andamento del sonno a onde lente
nel corso della notte è appiattito e non c’è quel tipico decadimento che c’è nel giovane. Nell’anziano,
la durata del sonno REM resta appiattito: ce ne abbiano di più nel primo ciclo, ma resta lo stesso e non
aumenta.

LIVELLI DI GH E CORTISOLO
Le cose non cambiano in maniera drastica a 70 anni: le cose a
volte cambiano molto prima; per cui, per ogni parametro
dell’anziano, relativo al sonno e al sonno-veglia, che troviamo
diverso dal giovane, dobbiamo immaginare una traiettoria life-
span, cioè la traiettoria che fotografa il ciclo di vita. Se noi
prendiamo uno dei classici parametri fisiologici legati al sonno,
che è la secrezione di GH plasmatico (risultato di una serie di
episodi di “Slowly Sleep Wave Effect”) vediamo che la quantità di
GH diminuisce a 25 anni, ciò significa che sarebbe un po’ assurdo dire che il cambiamento del GH è un
cambiamento dell’invecchiamento.
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Se vediamo il livello di sonno, esso ha un andamento differente caratterizzato dall’ aumento del cortisolo
plasmatico nelle varie epoche della vita, ed è costituito, sostanzialmente da una funzione lineare: in
particolare in tutte le età, se noi vediamo i livelli di cortisolo plasmatico totale nelle 24 ore, ci accorgiamo
che si verifica una condizione, chiamata “acrofase del mattino”, in cui i valori del cortisolo raggiungono un
picco massimo al mattino; nell’anziano, invece, oltre ad innalzarsi dell’acrofase del mattino, si innalza anche
il livello di cortisolo al nadir serale (cioè negli anziani abbiamo il cortisolo dove dovrebbe esserci il minimo)
e questo significa che l’ampiezza del ritmo circadiano cala e si riduce.

PROPORZIONI DEGLI STATI DI SONNO IN FUNZIONE CON L’ETA


Questa invece è sempre la stessa visualizzazione della proporzione degli stati di sonno, la cosa che potete
subito notare in questa slide è la riduzione dello Slow-wave Sleep: tra i 16-25 anni e tra i 35-40 la riduzione
è drastica; per cui la storia che gli anziani fanno meno Slow-wave Sleep, vedendo il dato in questo modo, è
una cosa sicuramente da mettere in discussione.
 Nel primo riquadro c’è l’andamento della veglia;
 Nel secondo riquadro c’è l’andamento degli stadi 1 e 2: essi
sono pressochè uguali senza variazioni significative nel corso
dell’età;
 Nel terzo e nel quarto riquadro c’è l’andamento del sonno Rem:
la riduzione del sonno Rem appare intorno ai 60 anni, però
anche qui non direi che c’è un dato veramente significativo. Il
dato invece veramente significativo riguarda i risvegli, vediamo
se riusciamo ad arrivare al dato dei risvegli.

NUMERO DEI RISVEGLI


Questo è il numero dei risvegli:
 nei bambini piccoli e nel giovane i risvegli sono tanti;
 nell’anziano non ci possiamo aspettare 5-6-7 risvegli in una nottata,
poiché i loro sono risvegli particolarmente lunghi.

NUMERO MEDIO DEI RISVEGLI NOTTURNI E PERCEZIONE SOGGETTIVA


Il numero medio dei risvegli è maggiore negli uomini (linea blu) e
minore nelle donne (linea rosa); nonostante, però, le donne si svegliano
di meno, quando andate a vedere i valori di qualità soggettiva del
sonno, le donne si lamentano di più (“non solo dormono meglio ma
rompono pure!!!!!!!!” direi….).
Va detto, peraltro, che quando voi andate a misurare la percezione

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soggettiva negli anziani, nonostante essi abbiano un sonno frammentato, si lamentano poco e sostengono
di dormire bene per il 60% dei casi (sono pochi quelli che dicono di dormire realmente male); il motivo per
cui la percezione di qualità soggettiva è migliore nell’anziano rispetto al giovane, è che il primo (anziano) è
abituato a dormire in modo frammentato, mentre per il secondo (giovane) un episodio di sonno
frammentato è qualche cosa di inconsueto.
TEMPO MEDIO DI RIADDORMENTAMENTO
Questo è però il problema del riaddormentamento: il numero di
risvegli dell’anziano è intermedio tra quello del bambino piccolo e
quello del giovane, mentre la durata del riaddormentamento
nell’anziano è nettamente superiore sia al tempo che impiegano i
bambini che al tempo che impiegano i giovani per riaddormentarsi.

DENSITA’ REM A VARIE ETA’


Un altro dato interessante è la densità del REM delineata come
la frequenza dei movimenti oculari nell’ unità di tempo (quanti
movimenti oculari ci sono in un minuto?) nell’andamento dei
giovani, gli anziani e i molto anziani.
 Nel giovane= la densità dei movimenti oculari aumenta
nel corso della notte (perché aumenta la proporzione di
sonno REM).
 Nell’anziano (70 anni)= la densità del REM non è molto pronunciata
 Nel molto anziano (80 anni)= la cosa che cambia non è tanto il movimento, ma il numero
(frequenza) del movimento oculare, cioè la frequenza dei movimenti oculari.
Il professor Barbato, ma anche altri autori, sostengono che la funzione della densità dei movimenti oculari
sia quella di preparare al risveglio. L’idea è che nel giovane si realizza un principio di riscaldamento
cerebrale (con i movimenti oculari e alcuni movimenti del corpo) nella fase che precede il risveglio;
nell’anziano, invece, sembra che nella fase antecedente al risveglio non si verifichi la classica salita della
densità oculare, per cui il loro risveglio spontaneo si verifica in maniera repentina, non preparata e meno
fisiologica. Ciò potrebbe essere dovuto:
 O ad una minore stabilità del sistema nervoso rispetto alle spinte interferenti interne ed esterne;
 oppure al fatto che nell’anziano una parte della frammentazione del sonno dipenda dal rumore
ambientale e di conseguenza i loro cosiddetti pattern di sonno non siano capaci di proteggersi dal
risveglio;
 Oppure, il risveglio spontaneo dipende da un dolore o una tensione muscolare di un organo
interno.

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Un altro dato abbastanza significativo è che l’anziano si sveglia più facilmente perchè ha meno fusi del
sonno (i fusi del sonno vengono considerati sistemi di stabilizzazione del sonno: hanno la funzione di
difenderci dalle interferenze esterne e interne durante il sonno e sono l’espressione di un’attività cerebrale
rimpiegata all’interno); a tal proposito c’è uno studio molto bello di un collega cinese che si chiama Dang
Wu che fa vedere come l’esposizione ai rumori sveglia di più i soggetti anziani che hanno meno spindles,
ovvero meno fusi del sonno.

ASPETTI ORGANIZZATIVI DEI MOVIMENTI OCULARI


Questo è un dato in cui si vede che quello che cambia
significativamente man mano che si invecchia sono la quantità
dei movimenti oculari in sequenze, le quali diminuiscono e
avremo sempre più movimenti oculari isolati: per cui i movimenti
in opposizione bifase tipici del Rem, non sono in sequenza, ne
compare uno sporadico ogni tot di tempo.

MOVIMENTI CORPOREI NEL SOGGETTO GIOVANE E NELL’ANZIANO


Nell’anziano vi è inoltre una diminuzione dei movimenti corporei
piccolini o “movimenti di boa” e non dei grossi movimenti (come
girarsi nel letto).

TREND DEL NUMERO DEI MOVIMENTI CORPOREI NEL CICLO DI VITA


In questa slide abbiamo chiaramente un trend del numero dei
movimenti corporei del bimbo ad un mese di età, a 6 mesi, del
giovane e dell’anziano. Tale slide, in pratica, dimostra che c’è un
andamento chiarissimo: dai bambini piccoli che si agitano molto
agli anziani che si agitano sempre meno.

INCERTEZZA FUNZIONALE
Per l’anziano abbiamo detto che:
 i risvegli spontanei sono più frequenti e di maggiore durata;
 i cicli di sonno sono abbreviati e incompleti;
 ci sono delle modificazioni organizzative degli stati di sonno;
Tutto questo definisce la cosiddetta “incertezza funzionale”, ovvero l’incapacità di sostenere stabilmente gli
stati di veglia e gli stati del sonno. Quando poi avete fatto il “processo L” con la dottoressa Conte vi avrà
sicuramente parlato di quegli studi sugli anziani in cui c’erano quelle variabili di passaggi di stato, di periodi
di incertezza funzionale (per esempio: intensifichiamo l’attività cognitiva, c’è il cambiamento dei parametri

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

del livello di stabilità e di organizzazione), ecco, mi piacerebbe che voi conosceste queste variabili perchè
completano un po’ questo discorso.

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16° LEZIONE
Cronotipologie.

Per spiegare la regolazione del sonno facciamo riferimento al modello di regolazione a due processi di
Borbely, però vi sono delle cose che rendono complicato il modello, tenendo conto del fatto che esistono
delle variazioni interindividuali; queste sono legate a:

- Età nei bambini e negli anziani i meccanismi di regolazione del sonno subiscono modifiche

- Essere brevi o lunghi dormitori

- Fattori sociali e lavorativi esistono contesti in cui i ritmi sonno-veglia cambiano profondamente

- Tratti di personalità

- Fattori genetici

- Tipologie circadiane

Riguardo a queste ultime abbiamo due 2 simboli:

gufo simbolo della tipologia serotina o serale (coloro che preferiscono stare svegli e svolgere le proprie
attività la sera), allodola simbolo della tipologia mattutina (coloro che preferiscono stare svegli e
svolgere le loro attività al mattino). Il 66% della popolazione rappresenta la tipologia intermedia, quasi 7
individui su 10 in realtà non hanno una marcata preferenza né per le ore serali né per le ore mattutine;
mentre sulle code della distribuzione Gaussiana troviamo gli estremamente mattinieri e estremamente
serotini, rispettivamente 15% e 19%. Solitamente dall’adolescenza in poi vi è una preponderanza di
serotini, quindi la tipologia circadiana è fortemente modulata dal fattore età.

Mattutino soggetto che si sveglia presto al mattino, più attivo e disponibile nella prima metà della
giornata, va a letto presto la sera.

Serotino soggetto che stenta ad alzarsi al mattino, più attivo nella seconda parte della giornata e rimane
sveglio fino a tarda notte.

Come si fa a distinguere da un punto di vista metodologico mattutini e serotini in un ambito di ricerca?


(ovvero in un ambito in cui bisogna operazionalizzare le variabili) Si utilizza un questionario ormai
largamente adottato in tutto il mondo, dato che esistono varianti validate in diversi paesi, tanto è vero che
esiste anche una variante italiana, si chiama MEQ (Morningness Eveningness Questionnaire), cioè
questionario della mattutinità-serotinità. Questo questionario è stato ideato da Horne e Ostberg nel 1976 e
va ad indagare l’ora abituale di risveglio e addormentamento, l’ora preferita per le attività fisica e mentali e

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

il livello di vigilanza soggettiva subito dopo il risveglio e prima di andare a letto. La classificazione degli
individui è composta da:

- Assolutamente mattutino;

- Moderatamente mattutino;

- Intermedio;

- Moderatamente serotino;

- Assolutamente serotino.

Quali sono le variazioni fisiologiche alla base della mattutinità e serotinità? Chiaramente ci aspettiamo
variazioni in termini di temperatura, di livelli di cortisolo e di secrezione della melatonina.

Mattutino avanzamento o anticipo di fase (phase advanced)

Serotino ritardo di fase (phase delay)

Se il picco minimo e massimo della temperatura corporea nel soggetto intermedio è posto intorno alle 5 del
mattino e alle 5 del pomeriggio, i picchi sono spostati nei mattutini ad esempio intorno alle 3 di notte e 3 di
pomeriggio, viceversa nei serotini intorno alle 7-8 di mattina e sera.

Esistono delle associazioni tra mattutinità e serotinità e alcune caratteristiche psicologiche. Tali
caratteristiche psicologiche sono state individuate usando un certo tipo di concezione della personalità,
secondo cui esistono dei tratti della personalità (teoria dei tratti). Attraverso un’analisi fattoriale alcune
delle grandi caratteristiche della personalità umana vengono condensate e racchiuse in fattori maggiori. Ad
esempio Eysenk (uno dei più grandi teorici della personalità umana) inizialmente individuò due grandi
fattori, il Nevroticismo e Introversione/Estroversione, mentre più tardi individuò un terzo fattore che è lo
Psicoticismo. Quindi più o meno possiamo caratterizzare gli individui attraverso la grandezza di queste tre
dimensioni specifiche.

Si è visto che i mattutini sono tendenzialmente più introversi e allo stesso modo che vi è un’associazione
tra la mattutinità e il nevroticismo (il contrario della stabilità emotiva). Inoltre vi è un andamento
dell’umore nel corso della giornata un po' particolare (dalle ore 9.00 alle 16.00 l’umore è migliore, poi dalle
16 in poi vi è un peggioramento dell’umore).

Per quanto riguarda i serotini specularmente vi è una marcata tendenza verso l’estroversione ed è più
presente il fattore dello psicoticismo (questo fattore riassume alcune caratteristiche che sono amplificate
nelle situazioni di psicosi, ad es. la difficoltà ad essere empatici, difficoltà relazionali, freddezza emotiva,
tendenza all’aggressività; tutte queste caratteristiche non confluiscono per forza nella psicopatologia).

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

L’andamento dell’umore è diverso rispetto a quello dei mattutini, poiché è progressivamente migliore
durante il corso della giornata. È interessante osservare che quando si parla di disturbi affettivi, ad esempio
nella depressione l’umore solitamente migliora durante il corso della giornata, quindi c’è un umore
estremamente basso durante le prime ore del mattino e invece va meglio nelle ore serali; questo è un
modo a volte per fare una diagnosi tra la depressione legata a cause psicologiche o psicofisiologiche e una
depressione con una componente somatica molto forte, legata soprattutto all’astenia (esaurimento
psicofisico), presente in alcune malattie endocrinologiche; in questo ultimo caso si ha un umore molto
migliore al mattino, poi man mano che le attività vanno avanti e il soggetto si stanca, la sera l’umore
peggiora sensibilmente.

*grafico sull’umore soggettivo differenza nelle ore del mattino fra i morning types e evening types
(mattutini e serotini), gli evening types fino a mezzogiorno sono posti nettamente + in basso, poi salgono
piano piano andando verso i livelli dell’umore dei morning types, questi incrociano intorno alle 4 del
pomeriggio, poi dalle 4 del pomeriggio l’umore peggiora per i morning types e migliora per gli evening
types.

Nella regolazione del ciclo sonno-veglia i mattutini sembrano sostanzialmente più rigidi, cioè il serotino
sopporta meglio i cambiamenti imposti dalle pressioni, abitudini e obblighi sociali e quindi si mostra più
flessibile ai cambiamenti del ciclo.

*grafico sull’andamento della melatonina nella saliva dei tipi mattutini e tipi serotini. La produzione serale
di melatonina nei serotini è più bassa, questo spiega perché il sonno non viene favorito. Questo è
all’interno di un paradigma di costant routine, esattamente come vediamo le differenze nella produzione di
melatonina tra brevi e lunghi dormitori, analogamente nei mattutini e serotini abbiamo bisogno di isolarli
dal ciclo luce-buio per vedere qual è la tendenza endogena alla produzione di melatonina.

Altre differenze interindividuali si riscontrano con l’età: l’appartenenza di un soggetto ad una determinata
tipologia circadiana varia in funzione dell’età, fino ai 12 anni di età circa i bambini sarebbero praticamente
tutti mattutini, intorno ai 13 anni si ha una stabilizzazione sulla dimensione serotina; dai 20 anni fino a circa
50 anni la distribuzione è quella descritta precedentemente (66%, 15%, 19%) [chiaramente questo è
fortemente condizionato dai ritmi sociali, mentre le attività degli studenti e degli anziani sono più o meno
analoghe in tutti, nella fascia della maturità lavorativa invece molto dipende dal tipo di lavoro che uno
svolge], successivamente oltre i 50 anni si ha uno spostamento verso la preferenza mattutina.

Manipolazioni del sonno.

174
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

Le prime manipolazioni di sonno consistevano sostanzialmente in privazioni tolgo il sonno per vedere
qual è la sua funzione. Facendo la classificazione delle privazioni, distinguiamo:

- Privazioni totali tenere sveglio il soggetto. Nelle ricerche su animali, si confrontano animali privati
di sonno con animali stressati ma non privati di sonno, questo per assicurarsi che l’effetto che si
riscontra nei primi sia dovuto esclusivamente alla privazione di sonno e non al fatto che l’animale
sia stressato.

- Privazioni parziali “accorciare” il sonno, ad esempio il soggetto dorme per 4 ore.

- Privazioni selettive togliere alcune fasi del sonno, specificamente il sonno REM oppure
provocando risvegli nel momento in cui il soggetto arrivi in sonno REM; o ancora il sonno a onde
lente attraverso delle superficializzazioni ottenute con delle stimolazioni (nell’uomo solitamente
sono stimolazioni acustiche) sotto soglia di risveglio.

I primi studi che sono stati fatti di privazione erano tutti quanti di privazione di sonno estrema, cioè mentre
negli ultimi anni l’idea è di capire un po' meglio cosa succede nel contesto ecologico (ovvero non tanto cosa
succede se non dormiamo totalmente, ma cosa succede se per una settimana dormiamo 5 ore a notte,
quindi quando vi è un debito di sonno progressivo *come ad esempio viene illustrato nell’esperimento di
Beleny su rapporto tra sonno e funzioni cognitive modello di privazione parziale cronica e cumulativa),
all’inizio si facevano privazioni di sonno estreme, come ad esempio nel modello di Randy Gardner con 264
ore consecutive di deprivazione di sonno (=11 notti). Quando facciamo questo tipo di privazione e vogliamo
vedere gli effetti sull’uomo o sull’animale, quello che facciamo è distinguere gli effetti fisiologici nel corso
della privazione e gli effetti fisiologici sul sonno di recupero. Per quanto riguarda i primi effetti nello studio
di Randy Gardner vi erano manifestazioni fisiologiche piuttosto ridotte (produzione di cortisolo tutto
sommato normale, temperatura tutto sommato normale, ritmi circadiani mantenuti, normale pressione
sanguigna, ECG nella norma, EEG nella norma a parte l’eccessiva sonnolenza), quindi in realtà l’effetto di
privazione di sonno è un effetto che si esplica quasi tutto sulla corteccia cerebrale, per cui vi è
naturalmente un deterioramento significativo delle funzioni psichiche. Per quanto riguarda gli effetti sulle
notti di recupero, troviamo un cambiamento quasi tutto a carico del sonno a onde lente, che satura i primi
cicli e fa in modo che venga dissipato più rapidamente il processo S che si è accumulato parecchio; in sintesi
quello che notiamo è un sonno in cui il tempo tot di sonno non aumenta moltissimo, il REM non aumenta
moltissimo, ma prevalentemente ciò che si recupera molto è il sonno a onde lente. In conclusione gli effetti
sul sonno di recupero sono: effetti negativi limitati al cervello e al comportamento, diminuzione della
temperatura corporea ma con contromisure per ridurre la dispersione di calore, ritmo circadiano della
sonnolenza molto evidente, prolungato periodo di sonno nel recupero con maggiore quantità di sonno a
onde lente e un po' di sonno REM in più. Nelle successive notti di recupero solo alcuni tipi specifici di sonno

175
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

venivano recuperati, in particolare la maggior parte di sonno ad onde lente e circa la metà di sonno REM;
questa cosa è stata fatta su + soggetti con risultati analoghi.

Jim Horne conia una teoria secondo la quale esiste un sonno nucleare e un sonno opzionale:

- Sonno nucleare: costituito dalle prima 4-5 ore di sonno perché sono le ore di sonno che
contengono il sonno a onde lente in più. Quando c’è una privazione di sonno siamo obbligati a
saturare quella parte del sonno con sonno a onde lente, che è appunto definito sonno nucleare.

- Sonno opzionale: è tutto ciò che viene dopo. Serve a favorire alcune funzioni evoluzionistiche,
come ad esempio riempire le ore di buio prima del sorgere del sole, oppure possiamo pensare a
tutto ciò che il REM rappresenta in termini di attività mentale.

Coloro che sono contrari a questa teoria dicono che sebbene nel sonno che Jim Horne chiama opzionale sia
finito il recupero e la dissipazione del processo S, vengono svolte cmq altre funzioni biologiche molto
importanti e questo è dimostrato dal fatto che se io privo di sonno opzionale a lungo (cioè in maniera
cronica) i soggetti, si noterà un calo delle prestazioni cognitive, sia riguardante le funzioni semplici che più
complesse. Quindi questa teoria del sonno nucleare e sonno opzionale è stata molto discussa.

Potenziali evocati.

Il sistema nervoso durante il sonno ha delle caratteristiche di risposta agli stimoli ambientali differenti. Già
nella definizione di sonno si dice che è appunto uno stato caratterizzato da una ridotta reattività
all’ambiente. I potenziali evocati sono una tecnica che misura la reattività all’ambiente, andando a evocare
una specifica risposta EEG che implica il modo in cui il cervello risponde agli stimoli esterni. Le modificazioni
dipendono dal tipo di stimolo e dallo stato di coscienza (veglia, sonno REM, sonno NREM, stato di coma). Le
risposte possono essere comportamenti osservabili a occhio nudo (se io sveglio una persona questa è
semplicemente una risposta evocata, ma è una risposta comportamentale che può essere osservata a
occhio nudo), risvegli e arousals sono esempi di comportamenti osservabili a occhio nudo; quando non c’è
passaggio di stato, attraverso l’elettroencefalogramma si possono raccogliere delle variazioni (o risposte) di
debole intensità che appunto si chiamano potenziali evocati. Quando io emetto uno stimolo (supponiamo
uditivo), questo viene elaborato da un individuo su diversi livelli del sistema nervoso e man mano che lo
stimolo procede verso le parti alte del sistema nervoso la risposta è più elaborata, quindi nel momento in
cui lo stimolo va al livello del timpano e degli ossicini dell’orecchio medio (dove ci sono dei recettori
nervosi), lì c’è una prima fase dell’elaborazione dello stimolo che si chiama percezione, ma poi lo stimolo va
nelle sedi in cui può essere discriminato e addirittura riconosciuto, analizzato nel suo significato,

176
SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

mettendolo insieme a diversi elementi che abbiamo in memoria e che conosciamo già e ad altri stimoli che
vengono raccolti in quel momento. Quindi normalmente ogni stimolo viaggia, andando a interessare alcuni
recettori periferici, poi viaggia lungo dei nervi (che sono nella parte + bassa dell’organismo i nervi spinali,
mentre nella parte + alta i nervi cranici), infine va nelle formazioni via via più alte, quindi prima il tronco
encefalico, poi il talamo, i gangli della base, la corteccia primaria (ad es. uno stimolo visivo interessa il lobo
occipitale, che è la cosiddetta area 17), successivamente va in aree secondarie della corteccia e nelle aree
associative (dove c’è il massimo dell’elaborazione e dell’integrazione con tutti gli altri stimoli che
provengono dall’ambiente, quindi le aree associative mettono insieme tutti gli stimoli per poi fare una
sintesi e pianificare la risposta comportamentale). Allora quando un individuo percepisce un qualsiasi
stimoli si hanno delle risposte evocate a livello di tutte queste stazione del sistema nervoso e più la risposta
è periferica tanto più la risposta è veloce, mentre le risposte evocate da aree più alte sono più lente perché
lo stimolo deve fare un viaggio più lungo. Quali sono le varie stazioni dove avvengono le varie risposte
evocate? E come si chiamano queste ultime? Inoltre nel sonno e nella veglia come sono modificate queste?

Le prime risposte si chiamano BAEP (Brainstem Auditory Evoked Potentials), quindi “potenziale evocato
uditivo”, sono esempi di potenziali evocati uditivi, perché ad esempio quelli visivi sono chiamati BVEP
(Brainstem Visual Evoked Potentials). In ogni caso parlando delle BAEP, la latenza è molto bassa, ovvero di
10 millisecondi, proprio perché si trovano nella prima “stazione” (Braintem=tronco encefalico). In sonno i
BAEP sono uguali alla veglia, perché anche se dormiamo la distanza è piccola, quindi l’impulso ce la fa
tranquillamente a raggiungere la stazione del tronco encefalico anche se stiamo dormendo.

I cambiamenti iniziano ad esserci nelle cortecce primarie, laddove vengono prodotti i CAEP (Cortical
Auditory Evoked Potentials), potenziali evocati uditivi corticali. Quindi siamo al livello della corteccia
sensoriale primaria, la latenza di questi stimoli è 35-50 millisecondi. Mentre nel sonno REM non vi è una
sostanziale modificazione perché durante questo stato vi è ancora un livello di conduzione abbastanza
efficace, nel sonno NREM i CAEP sono modificati; quindi il NREM, soprattutto il sonno a onde lente, è uno
stato di ridotta connettività funzionale (connettività funzionale= modo in cui le aree cerebrali comunicano
fra loro. “funzionale” perché le funzioni cognitive non dipendono tanto dall’attivazione di specifiche singole
aree cerebrali come si pensava nella neuropsicologia classica, ma dalla connessione di diverse aree
cerebrali). A fronte di ciò durante il sonno NREM i CAEP sono ridotti o addirittura quasi eliminati.

Poi ci sono due componenti che, nonostante facciano parte della corteccia sensoriale primaria, sono un po'
più tardive. Queste si chiamano N100 e P200 (il numero indica la latenza in millisecondi, ed N sta per
negativo, mentre P positivo). Durante l’addormentamento N100 si riduce, quindi durante il sonno è ridotto.
P200 è una delle pochissime componenti che rappresenta un’eccezione alla legge dei potenziali evocati

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SERVIZIO TESI, SBOBINATURE E RIASSUNTI

ridotti durante il sonno, quindi curiosamente mostra un aumento dell’ampiezza durante il sonno e questa
modifica stranamente permane anche nel corso del sonno a onde lente.

Queste appena descritte sono risposte a stimoli semplici, risposte precoci, quindi fondamentalmente al
livello del tronco encefalico e della corteccia sensoriale primaria accade una sorta di “percezione”, cioè c’è
una cosa o non c’è una cosa. Possiamo chiedere al sistema nervoso di fare dell’elaborazioni più complesse:
per esempio discriminare tanti stimoli, come accade nel PARADIGMA ODDBALL chiedere al soggetto di
discriminare uno stimolo leggermente diverso dagli altri, “oddball” significa “pallina diversa”, ad esempio
faccio vedere tanti cerchi neri e a un certo punto faccio vedere un cerchio bianco. Quel cerchio bianco non
solo viene percepito per la sua presenza, ma esiste una stazione nel sistema nervoso un po' più alta che
dice “questo stimolo è diverso”, quindi grazie alla quale discriminiamo tale stimolo rispetto agli altri. Nel
paradigma oddball si attiva una componente in conseguenza al fatto che il sistema nervoso sta
riconoscendo uno stimolo diverso in una serie di stimoli identici; tale componente si chiama P300, quindi
una componente più tardiva, latenza di 300 millisecondi, è uguale nel sonno REM rispetto alla veglia,
mentre è assente nel sonno NREM (sia stadio 2 che sonno a onde lente).

Possiamo utilizzare un paradigma linguistica per fare una cosa simile a quella nel paradigma oddball, quindi
possiamo mettere in una sequenza di parole identiche un nome diverso, quindi spostare su un registro
verbale ciò che veniva osservato nel paradigma oddball con stimoli visivi o acustici. In questo paradigma
linguistico si vede la stessa componente P300 e un’altra componente ancora chiamata P450, positiva a 450
millisecondi di latenza. Nella veglia accade che la P300 è più ampia quando gli stimoli sono + frequenti (cioè
quando i nomi sono di maggior frequenza d’uso, ovvero c’è maggior familiarità con tali parole) e quando
sono + salienti; la P450 invece cambia in base alla frequenza ma non in base alla salienza, è come se la
salienza venisse elaborata prima, cioè è al livello delle stazioni della P300 che viene elaborata la salienza di
uno stimolo; una volta stabilito se uno stimolo è saliente o meno allora a quel punto ci si pone il problema
di quanto è familiare e in questo caso il potenziale evocato viene prodotto a un livello un po' più alto.
Quello che accade nel sonno REM è che curiosamente la P300 è assente, mentre c’è una P450 che come
nella veglia è sensibile alla probabilità di occorrenza ma non alla salienza; questo viene spiegato dal fatto
che nel sonno REM non viene valutata molto la familiarità degli stimoli, in quanto vengono accettate le cose
bizzarre, ecco perché la frequenza degli stimoli non viene + elaborata a livello di P300 ma al livello di P450
(quindi in maniera + tardiva). Nello stadio 2 la P300 continua ad essere assente, mentre la P450 diviene
sensibile alla salienza ma non alla probabilità di occorrenza. Nel sonno a onde lente sono assenti entrambe
le componenti perché in questo stadio oramai ci troviamo a livelli troppo alti di elaborazione e la
connettività funzionale è molto ridotta; in generale il sonno a onde lente un po' tutte le funzioni alte non le
consente.

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La stagionalità.

Stagionalità cambiamento dell’umore in alcune funzioni psicofisiologiche con le stagioni. Le stagioni


causano effetti sulla psiche per due ragioni:

1. Da un lato era stato ipotizzato che in qualche modo centrasse la temperatura


2. Molto di più contano le variazioni del fotoperiodo, ovvero variazioni del ciclo luce-buio nel corso
dell’anno, per cui soprattutto in alcune zone man mano che ci allontaniamo dall’equatore e
andiamo verso il nord e verso il sud cambia questo fotoperiodo di inverno e d’estate (ad esempio
d’inverno fa buio alle 16.30, d’estate invece alle ore 21.00). L’organismo è molto influenzato dal
ciclo luce-buio, basti pensare alla secrezione della melatonina, quindi quello che possiamo
aspettarci sono delle variazioni del ciclo sonno-veglia in relazione al fotoperiodo, ma la cosa più
interessante sono delle variazioni dell’umore; vi sono molte persone che dicono di essere
“meteoropatiche”, ma in realtà stanno dicendo soggettivamente di essere sensibili alla variazione
della quantità di luce.

La tendenza alla sofferenza stagionale è stata studiata da un gruppo americano di Norman Rosenthal negli
anni ’70-’80. È stato proposto da loro un questionario, chiamato SPAQ (Seasonal Pattern Assessment
Questionnaire) di valutazione del pattern stagionale; è un questionario che indaga il benessere psicofisico e
le principali funzioni psicofisiologiche a seconda delle stagioni, vi sono numerosi item (per esempio come
dorme il soggetto? Come mangia e quanto mangia? Vi sono variazioni del peso corporeo? Vi sono variazioni
nella tendenza a determinati cibi rispetto ad altri? Come si sente il soggetto in determinati mesi?) e 12
colonne che rappresentano ciascuna ogni mese dell’anno. Alla fine si ottiene un punteggio che si chiama
global seasonality score (punteggio globale della stagionalità), più è alto il punteggio e più il soggetto è
sensibile alle stagioni e mostra un profilo di sofferenza con il cambiamento delle stagioni. Il punteggio
compreso tra 10 e 12 mostra una sub-sofferenza stagionale, una sorta di segnale “sotterraneo” alla
sofferenza stagionale, mentre al di sopra del punteggio 12 si diagnosticano quelli che vengono conosciuti
come “disturbi affettivi stagionali” (seasonal affective disorder SAD). Quindi a un livello più basso
troviamo le sub-SAD, mentre a un livello più alto le SAD.

Le SAD vengono distinte in:

- SAD estive, le modificazioni dell’umore appaiono in primavera avanzata e scompaiono nel


momento in cui l’estate lascia il posto all’autunno e le giornate iniziano a diventare + buie e il
fotoperiodo inizia ad accorciarsi. Le SAD estive sono dette anche SAD inverse (reverse SAD) e sono
meno frequenti.
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- SAD invernali (la+ frequente), la maggior parte delle persone incorre in modificazioni dell’umore e
dello stato psicofisico intorno alla fine dell’autunno, quindi verso ottobre-novembre vi è uno shift
(spostamento) dell’umore che resta significativamente peggiore fino all’apparizione della
primavera.

Mentre le SAD invernali sembrano essere legati a variabili biologiche (cioè sicuramente sono direttamente
legate al fotoperiodo, tanto è vero che sono trattate con delle lampade, ovvero con somministrazione di
luce), delle SAD estive invece non si sa se siano collegate direttamente a cambiamenti di tipo biologico *per
esempio il Prof. Condusse una ricerca per vedere la distribuzione dei disturbi affettivi stagionali in alcune
città attraverso la somministrazione di questionari (Capri, Trieste e una città vicino New York che ha la
latitudine molto simile a quella di Napoli). Quello che risultò e che a Capri vi era una prevalenza di disturbo
affettivo estivo nettamente più alta e non vi era nessuna ragione legata al fotoperiodo che distingueva la
prevalenza nella città di Capri da quella della città vicino NY; l’unica variabile che si ipotizzava avesse un
peso su ciò era l’aumento delle attività turistiche a Capri durante il periodo estivo, quindi che in realtà
questa sensibilità stagionale fosse legata + a un differente ritmo lavorativo, un’abitudine socio-lavorativa
differente e non all’aspetto strettamente biologico.

Questo dubbio legame fra il fotoperiodo e il disturbo affettivo stagionale spiega anche risultati inaspettati
in alcune ricerche epidemiologiche condotte nel circolo polare artico; quello che ci si aspetterebbe è un
cambiamento della prevalenza dei disturbi affettivi stagionali e invece non è risultato così. Da un lato ci
sono quelli che dicono che probabilmente questo è il prodotto di un adattamento genetico, per cui
l’elaborazione del segnale luminoso è differente in quei soggetti che vivono in quelle zone. Altri invece
sostengono che bisogna mettere in discussione il legame con il fotoperiodo e la stessa autonomia
diagnostica di questi disturbi.

I disturbi affettivi stagionali sono stati inseriti nel DSM (4-5) e hanno una loro specificità perché sono
considerate delle depressioni atipiche. Le depressioni tipiche hanno una tipica presentazione dal punto di
vista neurovegetativo, cioè il depresso solitamente dorme poco e cala di peso a causa della riduzione di
appetito. Le depressioni stagionali invece hanno un profilo opposto, cioè hanno tra i loro sintomi
l’ipersonnia e l’aumento del peso corporeo legato a una sorta di avidità al consumo di zuccheri e carboidrati
(sintomi neurovegetativi atipici).

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