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CAPITOLO 1: ASCOLTO ATTIVO

1. Nella società globalizzata è in atto una mutazione delle dinamiche comunicative, che a causa
di una crescente complessità dovrebbero assumere la forma della storia “giudice, litigante e
pubblico”. Ogni comunicazione in grado di “accoglienza reciproca” deve assumere quella
struttura dinamica.
Non si deve ignorare la possibile “alterità dell’altro”, ovvero le sue premesse implicite
diverse da quelle che noi diamo per scontato.
2. Per la buona osservazione bisogna comprendere l’importanza delle dinamiche dell’ascolto.
L’intelligenza e la capacità di osservare fenomeni complessi hanno a che fare con le
dinamiche dell’umorismo e queste dinamiche con l’input delle emozioni sono collegati tra
loro.
3. I principali concetti di Bateson fanno riferimento ad archi di possibilità che si danno per
scontati ma di cui non siamo consapevoli -> “mondi possibili”. Il cambiamento di questi
archi sta nell’uscire dalle nostre cornici parte di noi che plasmano il nostro modo di agire. Si
mette in atto il “deuteroapprendimento”, ovvero il “savoir fare” di quando riusciamo ad
affrontare i cambiamenti (es. affrontare un conflitto interculturale in termini di
riconoscimento e rispetto reciproco). Ognuno è capace di mettere in atto il
deteuroapprendimento, anche se in aree diverse. Anche se spesso il saper cambiare abitudini
percettivo-valutative radicate è visto come un “dono” perché non si sa spiegare
razionalmente.
4. Necessità di manuali che ci insegnino le competenze di base della complessità. Il nuovo
millennio è pronto per queste competenze.
5. Un buon osservatore deve saper distinguere la differenza tra -cambiare punto di vista in un
contesto scontato e -cambiare contesto quando osserva il comportamento umano.
Nell’esempio del libro per imparare a disegnare, gli studenti imparavano perché avevano
appreso un diverso modo di connettersi a se stessi e al mondo. Ci sono degli esercizi che
fanno riflettere sulla differenza sui modi di connettersi a se stessi, al mondo che mettono in
pratica quando non sanno fare qualcosa e quello di quando sanno farlo.
6. Tutti noi pratichiamo l’osservazione basata sull’ascolto attivo. Bisogna riflettere su queste
dinamiche per metterle in atto ogni volta che osserviamo.
7. Il triangolo dell’arte di ascoltare: interconnessione tra ascolto attivo, autoconsapevolezza
emotiva e gestione creativa dei conflitti: 3 dimensioni di competenza comunicativa. Un abile
osservatore sa mettere al centro le dinamiche di interculturalità, i processi circolari e le
dinamiche dell’interdipendenza.
Un abile osservatore è sempre anche ‘etnografo’, deve rapportarsi a ciò che ossera e a se
stesso mettendo al centro le dinamiche dell’interculturalità. Exotopia: si muove in ambito
relazionale e riflessivo, in cui l’osservatore è parte del sistema osservato.
8. Più un ambiente è complesso, più le situazioni in cui un evento è lo stesso avranno
significati diversi tra loro. E qui saranno necessari il “savoir fare”, la circolarità della
comunicazione e la comprensione dialogica.
9. Imparare ad osservare ed ascoltare è difficile poiché siamo stati educati all’etnocentrismo e
siamo ciechi ai contesti. Non bisogna però mettere da parte l’abitudine di pensiero
dominante, ma acquisirne anche un’altra.
COME SI ESCE DALLE CORNICI DI CUI SIAMO PARTE

Esercizio dei 9 punti: Unire i 9 punti con 4 segmenti senza sollevare la matita dal foglio
Chi ha risolto il problema è riuscito a uscire fuori da limite, dalla cornice. I tentativi falliti stanno
tutti dentro i confini, come se fosse insensato uscire dal presupposto quadrato. Ma si è dato per
scontato che non si potesse uscire da esso.
Chi l’ha risolto ha cambiato le premesse mettendo in discussione ciò che dava per scontato.
Nei processi di apprendimento si possono imparare nuove informazioni avendo –diversi punti
di vista in un quadro più generale (lo si fa quando non si mettono in discussione le premesse
implicite) o –cambiare il modo di inquadrare le cose.
Muoversi in una cornice o cambiarla sono processi diversi con due modi diversi di rapportarsi a sé e
al mondo. E imparare ad ascoltare ed osservare vuol dire familiarizzare con questi diversi modi.
Quando si parla di “premesse implicite” ci si riferisce alla strutturazione di un campo, una Gestalt.
La logica di quest’ultima mostra come un processo conoscitivo e l’attribuzione di senso comportano
una strutturazione di campo in cui decidiamo cosa viene messo a fuoco (o in primo piano) e cosa è
lasciato sullo sfondo. Questo campo presenta delle possibilità in cui ci muoviamo e uscendoci o
provando a uscirci ignorando i confini ci provoca delle resistenze. Quando ci si avventura verso i
confini, si mettono a fuoco elementi prima sullo sfondo. La resistenza c’è perché è implicato un
Cambiamento.
In questa situazione è importante il valore conoscitivo delle emozioni, soprattutto quelle di
“insensatezza”. Uscire dal quadrato provoca ansia perché è un avvertimento che al di fuori sia
pericoloso o insensato.
A volte, però, si decide di non collegare i 9 punti e lasciarne scoperto uno: quale? Nella vita
quotidiana bisogna sapersi mettere d’accordo su quale tenere scoperto; ma se gli interlocutori sono
bloccati sulle loro posizioni, nasce dissenso. In questo caso dovrebbero mettere insieme ciò che li
accomuna, ovvero il fatto di non voler uscire dal quadrato perché si sentirebbero ridicoli.
Chi è riuscito a risolvere il problema ha tollerato maggiormente l’ansia, si sono messi in
atteggiamento di attesa e di sospensione del giudizio. Hanno avuto un atteggiamento
esplorativo. Per pensare bene bisogna conoscere le proprie emozioni e far dialogare parte inconscia
e conscia della mente.
Per rendersi disponibili al cambiamento, bisogna capire che il senso è attribuito all’osservatore.
Bisogna eliminare il verbo essere e iniziare a pensare che si possono vedere le cose secondo
premesse implicite diverse. Bisogna essere flessibili e disponibili all’esplorazione. Questo perché
ognuno è parte di una cultura in cui si fanno proprie delle premesse implicite date per scontate e che
sono il nostro terreno sicuro per capirci.
2. IL GIOCO DELLA DOPPIA VISIONE
Esempio dell’italiano e dell’inglese, in cui il primo più cerca di essere chiaro e più non lo è.
(Commitee = cooomiiittiii). Queto perché l’italiano si è attenuto alle premesse implicite della sua
lingua secondo le quali essere chiari significa sottolineare le vocali. In inglese è il contrario, si
sottolineano le consonanti.
L’italiano avrebbe dovuto correggere il proprio sistema di autocorrezione, ma non ne è
consapevole. Quindi, vanno incontro a matrici cognitive diverse e incompatibili, a cui bisogna
prestare attenzione.
In queste situazioni bisogna evitare di farsi prendere dall’ansia di avere il controllo sulla situazione
per non perdere la faccia e riaffermare la propria competenza. Di solito, tutto è teso ad eliminare le
cause del disagio, ma quando non si riesce a farlo, bisogna capire che è una questione di dissonanza
di matrici percettivo-valutative: ci sono delle premesse implicite che stanno guidando azioni e
pensieri.
- Giudice Saggio
Nell’esempio del giudice che dice “Hai ragione” a tutte le parti, bisogna fare una distinzione tra
“sistemi semplici” e “sistemi complessi”.
Nei primi, in cui tutti condividono le stesse premesse implicite, vale la logica classica secondo la
quale se tutti hanno ragione si è bloccati.
Nel dialogo interculturale bisogna gestire i conflitti in modo creativo, e assumere che tutti hanno
ragione è il primo passo. Bisogna risalire alle cornici di cui non siamo consapevoli.
Per capire se c’è dissonanza tra le cornici bisogna chiedersi cosa a noi SEMBRA marginale o
fastidioso – es. quando si prova a parlare inglese. La resistenza nell’avere una pronuncia “inglese”
dovuta al sentimento del ridicolo, ci dà delle informazioni su ciò. Bisogna saper giocare con il senso
del ridicolo, e chi ci riesce, adotta una “metodologia umoristica”. Viceversa, si rimane bloccati e
si adotta il “principio di serietà”.
Mettere al centro dell’attenzione ciò che ci sembra fastidioso ci fa mettere in discussione la struttura
di campo in cui ci sentiamo sicuro: si devono identificare le emozioni che emergono e risalire così a
diversi modi di agire.
Le emozioni sono un linguaggio non verbale e ci danno le informazioni su come guardiamo e
sulle cornici culturali usate per interpretare il mondo. È solo da situazioni squilibranti o nei contesti
bisociati che si può arrivare a questa conclusione.
Se mettiamo a fuoco ciò che ci sembra marginale, vedremo che ci sono più modi di interpretare una
situazione e quindi a cambiare prospettiva. Tipico è l’esempio della figura papero/coniglio.
Quando vediamo il papero focalizziamo l’attenzione sul becco, al coniglio sul muso.
TAVOLE SINOTTICHE. DUE ABITUDINI DI PENSIERO
Come abbiamo detto, in un sistema semplice si adotta un pensiero basato sulla logica classica e
sulla razionalità lineare. Se è complesso, bisogna adottare un pensiero basato sull’ascolto attivo,
orientata alla varietà di cornici e sulle premesse implicite. Per capire in che tipo di sistema siamo,
bisogna capire se continuando a provare si continua a sbagliare. In questo caso, si comprenderà che
c’è bisogno di adottare un’altra abitudine di pensiero. Così sarà più facile costruire ponti.
Inoltre, risalire alle cornici non vuol dire necessariamente condividerle o accettare. Bisogna
rispettarle perché sono espressioni di tradizioni diverse, serve capirle meglio.
4. GIOCHI DI INTERFACCIA. AVVENTURARSI AI CONFINI
- Se prendiamo in esempio delle parole come ago, fine, sale, date ci rendiamo conto che ciò che
hanno in comune è che possono essere lette sia in inglese che in italiano. Questo ragionamento ci fa
avventurare in altro contesto, si è fra due contesti linguistici e culturali diversi.
- Gli indiani di Hopi: hanno due soli modi per indicare le cose che volano. Certamente, avranno dei
modi per specificare, se necessario.
In un altro caso, gli eschimesi hanno molti modi per indicare la neve con le sue precise
caratteristiche. Noi no: quando abbiamo bisogno di specificare, formuliamo la specificazione.
D’altro canto, gli Aztechi hanno solo una parola per indicare “neve” o “ghiaccio”, differenziazione
che nella nostra lingua riteniamo necessaria.
Questo perché classifichiamo i fenomeni in un certo modo, mettendo in rilievo qualcuno e lasciando
sullo sfondo altri. Le classificazioni vengono date per scontate, diventando il nostro modo abituale
e scontato di vedere il mondo, è la nostra “cornice”. Bisognerebbe eliminare il verbo essere dal
nostro vocabolario e usare il ‘come se’. Il predicato ‘è’ accompagna un atteggiamento rigido del
corpo (difensivo-offensivo).
Per esempio, in italiano non abbiamo un traducente per “leadership”, che se volessimo tradurlo,
diremmo “capo”. In realtà, però, capo non ha lo stesso significato di leader, questo perché nella
nostra cultura il “leader” non è un concetto propriamente nostro. Il leader si legittima in quanto
scelto liberamente e potrebbe non essere più leader quando coloro che ne seguono le direttive
cambiano idea. In Italia non abbiamo avuto l’esigenza di coniare un termine simile a leadership
perché scegliersi un capo è più marginale rispetto all’esperienza di comandare nel senso di farsi
ubbidire.
“Cultura”. È qualcosa che non capiamo/vediamo se ci siamo dentro o se ci siamo fuori.
Dovremmo guardarle sia da dentro che da fuori.
5. LA TERRA STA MORENDO – IL GIOCO DEGLI STEREOTIPI E CASI
PARTICOLARI
Nel paragrafo viene descritto un gioco in cui tra 11 persone con un ruolo, dobbiamo sceglierne 7 su
un altro pianeta da ripopolare.
Il gioco esige che i partecipanti si affidino a degli stereotipi per formulare le loro decisioni,
dandoli per scontato. Noi usiamo gli stereotipi per interpretare il mondo che ci circonda per
interpretare la realtà. Però, non bisogna dare per scontato che sono delle rappresentazioni accurate
della realtà.
Il gioco ci obbliga a partire da “astrazioni indeterminate”, ovvero informazioni insufficienti che ci
faranno produrre immagini concrete. Quando siamo di fronte a queste astrazioni indeterminate,
siamo costretti a chiederci qual è il significato più convenzionale o l’immagine connessa al
significato. Però il significato non è nella parola, ma siamo noi a evocarlo interpretandola.
- Parole, contesti e metafore
La situazione in cui ci troviamo o il rapporto con l’interlocutore rendono possibile
un’interpretazione piuttosto che un’altra. Se ci sono gesti o parole isolate è più facile ricorrere ad
associazioni meccaniche. Gli stereotipi, però, sono costruzioni sociali ed arbitrarie.

Tutto rimanda a quella che è chiamata “urgenza classificatoria”. Viene mostrato l’esempio degli
indiani ciechi e l’elefante. Gli si viene chiesto cos’è un elefante, e loro, toccandone solo una parte,
dicono che assomiglia a un serpente, a un tronco, ecc. Il problema, però, è che non si può risalire a
tutto solo conoscendo le parti sommate tra loro. Bisogna capire come queste parti sono connesse tra
loro. Dobbiamo prestare attenzione al “modello” che le connette.
L’urgenza classificatoria è proprio l’atto di avere troppa fretta di arrivare alle conclusioni, perché
analizzando, quindi osservando meglio, una coda ruvida non può essere assimilata al corpo viscido
del serpente.
il contrario dell’urgenza classificatoria è il saper convivere con il disagio dell’incertezza,
esplorare ed accogliere il disorientamento.
I casi particolari usati nel gioco sono “metafore generative”. Sono dei casi appositi per creare
delle bisociazioni ed utili per il meccanismo dell’ascolto attivo. Quando si è bloccati di fronte a
tipizzazioni e stereotipi non si riesce ad ascoltare in modo attivo. Quindi si potrebbe immagine
una persona che si conosce con quelle caratteristiche, ma che ci stia simpatica. In questo modo ci si
allena a diventare più flessibili e aperti, senza fretta di arrivare alle conclusioni. Non si sostituisce
lo stereotipo, ma lo si sovrappone e si accolgono particolari che riterremmo marginali,
vedendo “le stesse cose” da diversi punti di vista.
C’è anche il caso del pennello visto come una “pompa”: oggetti prima distinti, ma di cui ora si sono
trovati nuovi aspetti come gli spazi fra le setole, che prima erano sullo sfondo.
I casi particolari sono degli strumenti che ci fanno uscire dalle cornici date per scontate e a cui ci
affidiamo e ci danno occasioni per l’ascolto attivo.
6. IL PROF IN PANTALONCINI CORTI
Il confronto fra due sistemi scolastici (italiano e americano) offre a chi proviene dall’altro sistema
un’occasione di conflitto, avendo la possibilità di risalire a premesse implicite.
Shadowing: privilegia la comunicazione non verbale, il linguaggio delle emozioni. Ciò che la
ricercatrice-ombra si propone di osservare non sono le azioni ma di osservare le reazioni alle
reazioni per spiegare le cornici culturali, gli archi di possibilità di comportamento culturalmente
definiti. L’ombra esplora le promesse implicite del proprio universo e come si scontra con altri.
Dà attenzione alla comunicazione degli stati d’animo relativi soprattutto ai particolari trascurabili e
fastidiosi; non bisogna avere fretta delle conclusioni; pone attenzione alle analogie e omologie delle
strutture e alla comunicazione di significati multipli.
Metodologia umoristica: nasce dalla creazione della bisociazione, cioè i contrasti di percezione.
Es. Prof indossa pantaloncini:
– situazione che a X provoca disagio e a Y rispetto. Nel momento in cui le due matrici si
sovrappongono potrebbero entrambe apparire legittime, e in quel momento X prenderà atto della
situazione e supererà il disagio, ridendo di sé per essersi lasciato appiattire dagli immaginari della
propria cultura. Le contrastanti reazioni rivelano qualcosa sulle differenze nei modi di percepire un
atteggiamento.
si deve avere atteggiamento umoristico: humor ride di sé, della propria rigidità, di essersi lasciati
catturare da modi di inquadrare gli eventi.
PT. 2 – INDAGINE VARIAZIONALE
Piramide tronca e palcoscenico

Questa immagine può essere vista sia come una piramide tronca (un lingotto) o come qualcosa di
vuoto (un palcoscenico, stanza). Per spiegare come si può passare da un’immagine all’altra, è
possibile proporre di “guardarlo” dall’alto o di fronte. Ciò significa che l’osservatore deve cambiare
prospettiva.
È importante parlare di noesis e noema:
Noesis è come guardiamo, noema è cosa guardiamo.

In questo caso, inizialmente abbiamo una visione apodittica, ovvero una constatazione che per noi è
evidente e non può essere confutata; è anche definita “visione ingenua” (perché implicava una sola
possibilità di visione). Quando si cambia prospettiva, si passa a un livello successivo, in cui
quell’immagine può essere sia un palcoscenico che la piramide.
Quindi, al primo livello non riflettiamo sulla “noesis”, ovvero su come ci stiamo muovendo
percettivamente, siamo in una cornice che diamo per scontata. Solo cambiando, possiamo riflettere
sulla modalità trasformativa. È l’osservatore ad avere un ruolo attivo nel costituire ciò che vede:
“per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare pov”.
La trasformazione si è avuta sia grazie al ruolo attivo dell’osservatore nella percezione, sia al potere
evocativo del linguaggio. Già dicendo cosa può essere può farci vedere un’immagine o l’altra.
Non è possibile dire che quella figura è piramide o palcoscenico, si può dire che “può essere vista
come” ma comunque sarebbe una frase inadeguata/incompleta. Di fronte a un fenomeno complesso,
bisogna vedere da più prospettive per una migliore descrizione, che deve essere adeguata. Per
esserlo, bisogna che abbia chiare anche le modalità trasformative. Bisogna anche saper descrivere
come si fa a cambiare, non solo cosa cambia. Inoltre, nel passaggio da un livello all’altro, non si
può più tornare indietro vedendo solo una delle due immagini. È vero però che non si possono
vedere contemporaneamente, ma ogni volta bisogna passare da una prospettiva all’altra.
L’indagine variazionale è ancora più complessa nel passaggio al livello 3, in cui bisogna passare
da tridimensionalità a bidimensionalità. Nel libro viene aggiunta “una testa” alla figura,
diventando un robot senza testa.

C’è spiazzamento perché credevamo di avere esaurito il ventaglio di possibilità. L’indagine


variazionale nasce dalla distinzione fra variazioni entro un campo di possibilità e variazione di quel
campo. Comporta la consapevolezza che possiamo sempre trovare un campo più vasto entro il quale
il campo che stavamo esplorando cambia esso stesso.
Con l’indagine variazionale il soggetto diventa attivo e consapevole, ma comunque il passaggio è
Resistente, poiché c’è una radicalizzazione del nostro modo di vedere ordinario.
C’è anche l’esempio della bottiglietta caduta dal cielo e arrivata agli aborigeni: non la vedono come
un contenitore d’acqua, ma il processo stocastico ha aiutato il processo. Inoltre, chi ha poi capito
che poteva esserlo, si è messo in atteggiamento di indagine variazionale, la sua mente era
predisposta al Cambiamento.
In questi casi, soprattutto per il robot, parlare di “oggettivo” o “soggettivo” mette a disagio poiché
non si adegua alla complssità del fenomeno.
Due cose che un buon ascoltae non può permettersi sono: non rispettare l’interlocutore e non essere
curioso di altre cornici, altre visioni del mondo.

TAVOLO O CAPANNA (ASCOLTO ATTIVO FRA GENITORI E FIGLI: LA REALTÀ


COME COSTRUZIONE SOCIALE)
Nel libro “La realtà come costruzione sociale” si parla della testimonianza della soggettività
dell’altro che ci costringe a modificare i nostri schemi e le tipizzazioni a cui ci affidiamo nella
routine quotidiana. Le tipizzazioni incidono sui rapporti con l’altro, la relazione sarà modellata in
base a ciò fino a che non ci saranno problematiche dovute da un’interferenza da parte sua.
Es. Maria Montessori: bambini con ritardo mentale che mangiavano le briciole sotto il tavolo –
affamati o si comportavano come animaletti – in realtà era l’unico modo per giocare.
LA CITTA’ DI ESOTICA. L’ARTE DI NON ASCOLTARE
Il racconto della Città di Esotica è la trasposizione di un articolo di Calvino “La fatica di essere
persone ordinarie” in cui sono presenti lezioni di due studiosi che hanno fondato la
“etnometodologia”, ovvero una disciplina che analizza i metodi ed espedienti che i membri di una
società usano per descrivere la propria vita quotidiana.
Nel nostro linguaggio ci sono indicazioni sistematiche sui modi migliori per osservare, ascoltar e
descrivere la realtà; sono metodologie che vengono apprese informalmente e date per scontate fino
a che non vengono disattese.
Per rendere esplicite queste indicazioni vengono messi in atto degli “esperimenti di rottura” per
metterci in grado di osservare come osserviamo.
Le indicazioni sistematiche della nostra cultura ci fanno ascoltare e osservare sotto il profilo della
ordinarietà. Buona osservazione dipende da una posizione di ascolto passivo, di soggettivo-
oggettivo.
Chiedendo chi sia una persona ordinaria, si potrebbe dire che è una persona prevedibile,
stereotipata, senza nulla di speciale. Ma si potrebbe vedere l’ordinarietà come il risultato di scelte
che richiedono l’attiva collaborazione degli interlocutori.

La Città Esotica – il paradosso della distribuzione diseguale delle esperienze


Gli abitanti di Esotica sono bramosi di esperienze degne di nota. Tuttavia, per loro un’”esperienza
notevole” non si basa sulle diverse prospettive di qualsiasi evento, ma è solo ciò che si prova in
situazioni eccezionali. La loro vita gira tutto intorno al definire cosa è notevole e cosa è ordinario e
controllare che si rispetti il carattere ordinario delle situazioni ordinarie, stando attenti che in una
situazione ordinaria nessuno viva emozioni intense.
Es. se una ragazzina afferma di aver fatto una cosa inaspettata alla semplice domanda “Che hai fatto
oggi?”, dovrà giustificarsi per rendere normale quell’affermazione/azione precedentemente
esplicitata.
Chi non fa così è visto come stravagante.
Anche nella loro lingua ci sono espressioni atte a sottolineare il carattere “non degno di nota” di ciò
che accade. Ma ciò porta a una situazione paradossale: quando una persona ordinaria vive
un’esperienza eccezionale, può solo riferirle l’esperienza come ordinariamente si vive l’inusuale
esperienza. Devono tirare fuori, narratore e interlocutore, emozioni normali dalla situazione. ->
postura, tono, circostanze della comunicazione.
Il paradosso è che più sono bramosi e affascinati di esperienze eccezionali, più finiranno per
trasformare ogni esperienza in qualcosa di ordinario e a non essere mai soddisfatti. Questo perché
la loro premesse implicita data per scontata è che l’esperienza sia qualcosa di relativo a “ciò che
accade” e non ai modi ascoltare.
Bisogna distinguere “opinioni” e “premesse implicite”: le prime sono punti di vista diversi in un
modo comune di inquadrare gli eventi, le seconde sono il modo comune di inquadrare gli eventi che
si dà per scontato.
CUMULEX (L’ASCOLTO COME WORK IN PROGRESS)
Esempio: racconta di un esercizio fatto in classe in cui è data di volta in volta una strofa di una
poesia e ogni studente deve interpretarla individualmente (staccata dal contesto). All’aggiunta di
ogni strofa, la parafrasi cambia perché sono date + informazioni.
 Per dare significato alle frasi, ci si è basati non solo su ciò che è stato detto, ma anche su ciò che
è stato dato per scontato. (NON DETTO), perché come dice Bachtin, il senso dell’enunciazione è
dato dal
1. testo
2. interazione
3. contesto
Questo significa che quando una persona parla, non aspettiamo che finisce il discorso per dare un
senso, bensì ogni qualvolta formuliamo una nostra idea che andiamo a confermare o smentire alla
fine.
ERNESTO VA ALLA GUERRA (UNA BUONA INSEGNANTE E’ SEMPRE UN PO’
ANTROPOLOGICA)
Vi è un tipo di pregiudizio come ‘i bambini che non sanno esprimersi appropriatamente sono dei
minus habens e in quanto tali vanno aiutati a divenire normali’. Questo si può basare sulla
TEORIA DELLA REPUTAZIONE BEN MERITATA ovvero, non viene definito un
pregiudizio,ma una descrizione della realtà/ fatti innegabili. In questo caso, ci si mette in un
atteggiamento non di ostilità bensì benevolo per poterli aiutare annullando le differenze questo è
atteggiamento coloniale (white savior il più forte vuole avere la meglio).
Tuttavia, ogni persona ha un suo modo di apprendere e volerlo annullare significa sminuire la
fiducia in se stessi facendo risentire di essere incapace.
Es: due tipi di scenario, in cui un ragazzo deve descrivere una vignetta interpretandola.
SCENARIO 1: nel primo scenario, ogni frase espressa viene confutata dalla prof che diceva lui di
esprimersi meglio per far capire meglio chi ascoltava.
SCENARIO 2: la prof ha aspettato che finisse il racconto per dirgli alla fine che era un buon
narratore, e solo dopo per farlo essere più specifico, gli ha proposto un altro scenario, per aiutarlo a
esserlo + specifico senza sminuire il suo modo di raccontare, perché inizialmente non era stato
chiaro per un specifico motivo: dava per scontato che si potesse vedere sempre la vignetta.
Nel primo scenario (ASCOLTO PASSIVO), la prof si è concentrata solo su azioni isolate,
interrompendo l’altro e non comprendendo la sua cornice comunicativa.
Nel secondo scenario (ASCOLTO ATTIVO), la prof si concentra sul modo di reagire e
comunicare, lasciandolo parlare, esplorando vari mondi possibili.
Bisogna comprendere che per capire un discorso dipende più dall’ascoltatore, che dall’oratore, è
necessaria RECIPROCITA’ tra le due parti.
CAPITOLO 2: AUTOCONSAPEVOLEZZA EMOZIONALE
LE EMOZIONI SONO PASSI DI DANZA- LINGUAGGIO DELEL EMOZIONI E VITA
QUOTIDIANA (RETORICA DEL CONTROLLO E AUTOCONSAPEVOLEZZA
EMOZIONALE)
L’autoconsapevolezza emozionale ha a che fare col linguaggio del corpo che parla un codice
diverso da quello verbale. Attraverso di essa, si comprende che le emozioni sono strumenti
fondamentali per la conoscenza del mondo sociale-culturale.
La retorica del controllo, invece, vede le emozioni come disturbatrici della conoscenza del mondo.
Es: si basa sull’idea che una persona innamorata o arrabbiata vedrà solo certi aspetti della realtà.
Dobbiamo quindi adottare atteggiamento disinteressato che prescinde dalle emozioni. In questo
caso, dobbiamo fare agire la nostra RAZIONALITA’ per arginare l’impulso.
Per poter praticare autoconsapevolezza emozionale, dobbiamo capire che le emozioni che proviamo
ci stanno rivelando azioni già in atto. (sapere che sto dando un pugno mi consente di scegliere se
portare avanti o no il comportamento). C’è un motivo per cui io sto sentendo un’emozione.
Dobbiamo ascoltare il nostro corpo, metterci in dialogo.
dobbiamo anche considerare le emozioni come strumenti per guardare fuori di noi, ovvero se
proviamo paura durante una presentazione pubblica, lo interpretiamo come modo della paura di
avvisarci di una certa situazione (per esempio essere sotto attacco; balbettio modo per
accattivarmi simpatie del pubblico).
Terzo antidoto: più immaginazione (gestione creativa). Es: uno che urla contro mettersi sulla
stessa onda di pensiero e capire perché agisce così.
IL TACCUINO DELL’ANTROPOLOGA (IL RUOLO DELLO SCONCERTO E DELLA
DISSONANZA NELL’OSSERVAZIONE ETNOGRAFICA)
C’è una situa di lutto in cui una persona piange e l’altra continua a fare domande e l’osservatore
della situa si sente imbarazzato per l’intrusione della privacy altrui. Osservando meglio, capisce che
ogni cultura ha dei propri modi di affrontare una situa (triste/felice).
Secondo la logica della matrice bisociativa, gli stessi comportamenti possono generare diverse
emozioni.
L’AUTO SUL MARCIAPIEDE (EMOZIONI, UMORISMO E REGOLE DELLA
CONVIVENZA CIVILE)
Per spiegare ulteriormente la questione della matrice bisociativa vi è l’esempio di una italiana in
Americana che parcheggia la sua auto sul marciapiede, fatto che viene visto male dagli americani ed
è molto sorpresa dalla loro reazione. Questo ci spiega che:
1. Stesse cose o azioni possono avere significati opposti
2. La percezione implica diversi criteri di valutazione (marciapiede per italiano: cane fa la pipì
ecc)
3. Il problema della conoscenza e difficoltà a comprendere contesti della propria percezione.
4. Per poter comprendere le proprie premesse implicite, bisogna mettersi in condizioni di
sbagliare (far guidare auto in USA a italiana)
Grazie a piccoli segnali fastidiosi, e senso di allarme e allenamento nell’osservare e ascoltare
(ascolto attivo), la signora vede l’esistenza di 2 cornici diverse (matrice bisociativa).
SEGUENDO UN’ALTRA DONNA COEM UN’OMBRA (PROVE DI SHADOWING:
DALL’EMPATIA ALL’EXOTOPIA)
Tecnica dello Shadowing consiste nell’intrusione di un ricercatore nell’ambiente di un estraneo
utilizzando le difficoltà del caso per studiare l’ambiente circostante.
Le reazioni a eventi inusuali e la difficoltà di comunicazione sono il perno dell’analisi. Nello
shadowing la comprensione dell’altro non si basa sull’empatia ma EXOTOPIA Accettare
l’altro in quanto diverso da sé. L’estraneità è una condizione necessaria x la comprensione. Vi
è idea diffusa per cui comprendere l’altro significa essere EMPATICI cioè mettersi nei panni
dell’altro perché vi è idea romantica di fusione delle anime. Tuttavia, è l’exotopia ad essere
centrale, perché si vede l’altro in una prospettiva autonoma, cmq valida ma non uguale alla
nostra, perché solo dinanzi agli occhi di un’altra cultura, la propria viene compresa meglio.
Entrambe le culture assumono un proprio senso valido, mantenendo la propria unità.
Esempi di empatia e exotopia;
Empatia viene osservata una segreteria nel suo lavoro, e le conclusioni finali sono dettate da
osservazioni semplici (‘è una segreteria).
Exotopia: chiamandola segreteria, si offende, preferisce il termine ‘gestrisce’, il suo compito è di
capirne il motivo.

EDWARD HALL IN GIAPPONE (COINVOLGIMENTO E DISTACCO AL


MICROSCOPIO E AL RALLENTATORE)
Edward Hall racconta di essersi trovato in un hotel giapponese nel quale dopo qualche giorno gli
viene cambiata stanza senza avvisarlo trovando nella nuova stanza tutti gli oggetti riposti in modo
ordinato. Egli è molto confuso e pensa sia irrispettoso e che lo stiano trattando come una persona
appartenente a un’inferiore classe sociale. Questo non era successo in un hotel giapponese
internazionale. Successivamente, in un altro hotel gli viene direttamente cambiato l’hotel e pensava
ancor di più di essere un ospite di poco conto. Nonostante la sua perplessità, non voleva giudicare
tale atteggiamento e chiese ad alcuni giapponesi il motivo. Venne a sapere che comportarsi in
questo modo è sinonimo di essere membro della famiglia (onore e accoglienza). Negli USA invece,
è un insulto e una caduta di prestigio (emarginazione e insulto).
Il gioco delle narrazioni parallele: mostra come tale evento poteva essere esplicitato in diversi
modi:
1. Quello usato da Hall, osservare e narrare i fatti affermando la legittimità di entrambi i modi
d’agire  ascolto attivo
2. Narrazione in cui si espone l’evento dando x valida solo UNA VISIONE  questa
formulazione non permette apprendimento (ti cambiano stanza senza dirti nulla). Si resta
prigionieri del quadrato.  ASCOLTO PASSIVO
3. Narrare i fatti prescindendo dalle matrice bisociative NEUTRALITA’
Il ruolo cognitivo delle emozioni: se è vero che le emozioni distorcono la conoscenza, non
avremmo avuto un racconto che mostrasse i vari modi d’agire. Le emozioni invece sono state
fondamentali per capire come si reagisce a una situazione.
Hall vede le emozioni come qualcosa di rivelatorio. Ha sia ragione lui che gli altri (giudice
saggio). Si mette in attesa di altre circostanze per capire meglio la situazione e vi è l’intesa, ovvero,
coloro che dovrebbero essere ‘contro di lui’ lo aiutano a capire meglio la situa
APPRENDIMENTO RECIPROCO.
Per uscire dalla ns cornice e capire che ve n’è un’altra valida, e capire che vi sono segnali di
mancanza e di eccesso: se è vero che gli stanno mancando di rispetto, perché la loro azione non era
accompagnata da irriverenza/insulti? O perché gli avevano sistemato tutto in camera in modo
ordinato?
L’ALLEGRA SCIENZA DEI NARRATORI INTERCULTURALI DUE MODI DI
CONCEPIRE L’IMBARAZZO)
Ci sono vari modi per osservare e narrare situa di imbarazzo. In una situazione cerchiamo di evitarle
e di porci al riparo in modo + disinvolto possibile; nell’altro caso, i narratori interculturali dicono di
considerare le occasioni di imbarazzo come risorse, perché grazie a queste cresciamo e vediamo le
cose in modi nuovi(Occasione di conoscenza e apprendimento).
Ci sono 3 modi per narrare una situa di imbarazzo:
1. mettendolo in primo piano come occasione di conoscenza reciproca.
2. interruzione del fluire della comunicazione
3. ignorare l’imbarazzo e situa che l’ha suscitato.
Le emozioni che ci ordinano la società sono imbarazzo, senso di colpa e vergogna. L’imbarazzo è
il mancato rispetto di convenzioni sociali; la vergogna un giudizio morale sulla nostra persona.
Quando siamo imbarazzati stiamo comunicando che siamo consapevoli di aver fatto qualcosa
di scorretto, stiamo chiedendo scusa e comunichiamo di essere consapevoli delle convenzioni
sociali di una situazione.
è imp sapere che vi sono contesti in cui è lecito provare imbarazzo e altri in cui non lo è.
Tre tipi di imbarazzi:
1. inadeguatezza personale
2. paura che gli altri hanno cattiva opinione di noi
3. deficit di performance
La competenza della gestione degli imbarazzi non è solo una competenza individuale ma anche
collettiva. il modo in cui reagiamo alle condizioni di imbarazzo sono indicatori del ns carattere.
L’imbarazzo può esser trasformato in risorsa: trasmettendo ad altri che si trovano in situa analoghe
alle nostre la nostra esperienza, trasmetterlo ai nativi per renderlo consapevole di cose che danno
per scontato, ottenere savoir faire nel dialogo interculturale.
La principale differenza fra la comunicazione intraculturale e quella interculturale è che nella prima
ciò che diamo per scontato aiuta i membri dello stesso contesto culturali a comprendersi l’un l’altro;
nell’interculturale invece ce lo impedisce.

UNA COMMESSA ITALIANA A OLD BOND STREET (CREARE DEI PONTI)


Es: una commessa a Londra racconta che vi sono 2 modi di reagire da parte di persone che
provengono da 2 culture diverse. Dinanzi alla frase ‘siamo sforniti di questa cinta’, un londinese
reagirà in modo offeso; un giapponese si sentirà in imbarazzo per averlo chiesto. Questo dà vita a
una matrice bisociativa in cui entrambe le parti sono valide, l’importante è che il racconto metta
in evidenza la matrice senza dare validità solo a una variabile, raccontando in modo oggettivo,
includendo il contesto. Questo ci serve anche per capire non solo noi come ci comportiamo, ma
anche come non ci comportiamo.
Parliamo di stile riferendoci al modo di gestire le differenze tra le parti in conflitto.
La commessa in una situa di imbarazzo può reagire in 3 modi:
1. Giudicando l’atteggiamento dal proprio punto di vista
2. Capire meglio la cultura dell’altro nella loro cultura è normale che sia così, anche se io
non lo comprendo. Il limite è non considerare la bisociazione
3. Costruire dei ponti entrambe le parti comprendono la bisociazione e agiscono in modo
appropriato prendendo la distanza dagli stereotipi della propria cultura.
LE CORNICI DI BATESON (IL LINGUAGGIO DEL CORPO, IL LINGUAGGIO DELLE
EMOZIONI, IL LINGUAGGIO VERBALE, LE DINAMICHE DELLA CONOSCENZA)
Per capire il linguaggio del corpo e come tradurlo inserendo il ruolo delle emozioni, vi sono 3 tipi di
esperienze da prendere in considerazione:
1. l’incontro col gatto
2. l’incontro con la cultura straniera
3. l’incontro con gli osservatori della vita quotidiana
Ci sono 2 tipi di linguaggi per capire le emozioni: il primo fa parte dell’individuo e sono segnali di
stato che ci fanno capire come ci sentiamo in un certo momento; il secondo ci fa vedere le funzioni
di tali segnali nella relazione con l’altro. Con l’esempio del gatto comprendiamo che il linguaggio
del corpo non indica uno stato d’animo, bensì denota la relazione fra 2 individui. Con il linguaggio
del corpo si evoca un contesto relazionale in cui si interpreta il proprio ruolo. Si presuppone,
però, una collaborazione dall’altra parte. Non sono solo io che interpreto un ruolo, ma mi aspetto
che anche l’altra parte lo faccia, rispondendomi.
nella comunicazione emozionale con le nostre azioni diamo un contributo x tenere in vita quel
rapporto.
anche in una situa di violenza, dobbiamo essere collaborativi, non accettandola, ma proponendo un
altro modo di vedere: Non comportarsi da vittime o nemici.
In una situazione di invidia potremmo mettere in atto un’invidia maligna/Benigna. Quella benigna
sta nel riconoscere di essere invidiosi ma mettere in atto L’UMORISMO ed esplicitarlo alla persona
ed essere contenti per lei. Un punto fondamentale sta anche nell’azione da parte dell’altra persona
che non dovrebbe darsi arie, dovrà darmi atto che anche io valgo.
Codice analitico si lega al linguaggio verbale (pensiero lineare causa-effetto, basato su variabili
isolate)
Codice analogico tipico del linguaggio non verbale (propone contesti, configurazioni, mette a
fuoco la relazione lasciando i termini sullo sfondo)
Le parole ci permettono di comunicare in modo veloce ciò che pensiamo, vedendo il corpo come un
optional. In realtà è il primo strumento per comunicare adeguatamente. Essendo il linguaggio non
verbale metaforico ed espressivo sui contesti e contingenze, dovrebbe essere molto più considerato.
Come membri di una cultura riconosciamo molti atteggiamenti del corpo, ma quando le nostre
attese sono disattese, ci accorgiamo dell’esistenza delle differenze.
La traduzione errata del linguaggio del corpo non verbale, spesso dà vita alla ‘profezie che si
autoadempie’, cioè ci aspettiamo che una persona si comporti in un modo ed effettivamente si
avvera.
L’esempio del cane di Pavlov ci fa comprendere che se non gestiti bene, i rinforzi positivi in una
relazione potrebbero non essere fruttiferi; mentre con l’esempio del delfino se poniamo
l’insegnamento come ‘è un gioco’, l’altro si addentrerà ed esplorerà in modo più positivo le altre
cornici e altri mondi, risultando più propositivo.
CAPITOLO 3: GESTIONE CREATIVA DEI CONFLITTI
LA CONVERSAZIONE: IL TEMA E IL TURNO
Autodifesa conversazionale la centralità in una conversazione sta nell’ascolto e osservazione.
Nell’autodifesa conversazionale si va vs l’ascolto attivo perché è una forma di socialità che
valorizza la complessità. Ogni interlocutore merita una considerazione particolare e sono tutti sullo
stesso livello, l’argomento proposto è uno strumento per incrementare la vitalità di un gruppo; ma
per cambiare argomento bisogna mettere in atto operazioni delicate delimitando il proprio desiderio
di affermazione.
L’arte della conversazione sta nel valorizzare gli altri affinché mettiamo in risalto anche noi
stessi. Infatti, i 3 elementi cruciali di una conversazione sono: turni – tema – reciprocità e
democraticità.
TURNI per quanto riguarda i turni è importante capire come vengono offerti e presi,
l’atteggiamento di chi parla e di chi ascolta, e come chi ascolta vuol prendere parola.
REGOLE DEI TURNI: Come si possono prendere, trattenere e passare
1. Il turno può essere preso durante una pausa opzionale o alla fine di una enunciazione. Per
non farsi prendere il turno, dobbiamo rendere chiaro il punto finale
2. Per farsi passare la parola guardare negli occhi chi parla in modo deciso.
3. Per passare il turno si può fissare sorridendo, fare un gesto con la mano o invitare l’altro
4. Se si vuole intervenire, ma chi parla passa la parola ad altri, si può chiedere in prestito il
turno
5. Se la persona che parla termina l’intervento senza indicare a chi cede il turno, prendilo
6. Se non vuoi prendere un turno, evita contatto visivo
TEMA se chi parla riesce a far cogliere il tema, cosa accade quando vogliamo introdurre un
nuovo argomento, l’obiettivo del nostro tema (cambiare prospettiva).
Per rivendicare il diritto di parola è necessaria la capacità di ascolto attivo.
Tattica:
1. Per farsi prendere in considerazione, si può usare il rinforzo tramite contatto ma si deve
avere familiarità.
2. Il rinformo verbale: riproporre il tema attraverso varie domande, chiedendo il suo punto di
vista più volte
3. Disco rotto: ripetere sempre la stessa frase nonostante il cambio d’argomento
dell’interlocutore finchè non si accorge che non vogliamo subire l’arroganza.
IL GIOCO DELLA DANZA DEL COLPEVOLIZZATORE (VINCE CHI LO
‘DECOSTRUSICE’)
Per non collaborare alla danza del colpevolizzatore è imp proporre una danza diversa: spiazzare
l’interlocutore. Bisogna correggere le tendenze automatiche che si hanno vs chi ci vuole
colpevolizzare, ovvero reagire in modo simmetrico essendo anche noi stessi in primis dei
colpevolizzatori, oppure in modo complementare, cioè facendoci colpevolizzare e accettarla. Il
cambiamento di queste tendenze è come il cambiamento delle cornici , serve gestione creativa del
conflitto. Il punto di partenza è che che non dobbiamo colpevolizzare i colpevolizzatori, il
colpevolizzatore ci sta solo proponendo delle danze a cui possiamo aderire o meno.
Ci sono 5 tipi di reazioni automatiche in condizioni di tensione:
1. Il tipo colpevolizzatore  affronta le situa in modo accusatorio, ha sempre da ridire, getta
le responsabilità su altri, vede interlocutore come incapace, linguaggio del corpo è punitivo
e tono aggressivo
2. Il tipo anguilla  non vuole responsabilità sulle sue spalle, le evita, agisce come se non
potesse far nulla solo e vuole approvazione di qualcuno. Linguaggio del corpo è ansioso,
spesso usa congiuntivi e condizionali
3. Il tipo computer  quando non sa cosa fare, rimane neutrale non fa trasparire sentimenti,
dicendo che è tutto sotto controllo, vede le emozioni come qualcosa che disturbano la
conoscenza. Linguaggio corpo è ridotto, calmo, rilassato. In realtà è preoccupato
dell’opinione degli altri perché vuole restare in controllo
4. Il tipo ondeggiatore 
5. Il tipo livellatore  c’è congruenza tra linguaggio verbale del corpo e i suoi sentimenti, si
mette in gioco e le sue accuse sono puntuali e specifiche. Si muove nelle diverse emozioni.
Questi tipi possono entrare in rapporto tra loro, generando diversi tipi di relazione. Nel gioco della
danza del colpevolizzatore, è imp che
Prima regola: NON SI REAGISCA MAI; non ci siano accoppiamenti colpevolizzatore-
colpevolizzatore; colpevolizzatore-anguilla. E invece ci siano accoppiamenti colpevolizzatore-
computer, colpevolizzatore- livellatore.
Seconda regola: distinguere esca da presupposti. Non rispondere mai all’esca, cioè all’accusa, ma a
ciò che viene esplicitato.
Obiettivo è discutere in un clima di ascolto, togliendo al colpevolizzatore i punti di appoggio per
far continuare la sua danza.
Spesso ciò che appare come un comportamento debole, è quello + autentico, efficace e forte. Ci
sono delle considerazioni sul rapporto tra linguaggio verbale - linguaggio del corpo, secondo le
quali in certe situa, si deve fare uno sforzo per non far sembrare inasprita una frase che non intende
esserlo. Si deve modificare il proprio tono di voce e gesti. È tipico che ci sia incongruenza tra
msg verbali e non verbali. L’interlocutore non si limita alle parole e gesti, ma si immette in una
cornice di cui noi ne siamo a conoscenza, ed è + semplice aderirci e non cambiarla, ma serve lo
SPIAZZAMENTO.
Per identificare che ruolo abbiamo nella ‘danza’, si deve adottare un processo caricaturiale: se
agiamo da colpevolizzatore, ci dobbiamo immaginare come autorevoli; se agiamo da anguilla, ci
dobbiamo immaginare piegati e in ginocchio; dobbiamo sdrammatizzare la situa e iniziare
indagine variazionale.
I MANUEALI DI GESTIONE CREATIVA DEI CONFLITTI RIVISITATI
Fisher e Ury spiegano come portare avanti una negoziazione creativa. Bisogna mettere in primis a
fuoco gli INTERESSI e non le POSIZIONI, e separare LE PERSONE DAL PROBLEMA.
Nell’esempio della bibliotecaria: una persona voleva la finestra aperta – l’altra chiusa // la
bibliotecaria chiede il MOTIVO delle loro POSIZIONI, e decide di aprirle in un’altra stanza per
SODDISFARE I LORO BISOGNI. Entrambi hanno ragione.
Secondo esempio: Camp David del 1979 Israele aveva occupato i territori del SInai dal 1967. Nel
’78 gli incontri di Camp David fra i rappresentanti di Israele e Egitto
POSIZIONI:
 Israele: restituire solo una parte territorio
 Egitto: intero territorio
DISCUSSIONE su TRACCIAMENTO DI NUOVI CONFINI.
INTERESSI:
 Israele: sicurezza
Egitto: sovranità
Un accordo che soddisfa i bisogni di entrambi era di RESTITUIRE L’INTERA PARTE
ALL’EGITTO MA SMILITARIZZATA.
In questo caso c’è anche stato il cambiamento di POTERE che ha reso possibile la disponibilità
delle parti all’accordo, trovando SOLUZIONI CREATIVE
Per capir gli interessi dell’altro, ci si chiede:

 Quali sono i bisogni e timori dietro la posizione


 Cosa impedisce di accettare posizione altrui
 Quali interessi umani basilari sono coinvolti nella scelta (senso di appartenenza –
riconsocimento sociale – benessere economico)
Per ogni interesse vi sono + posizioni possibili; dietro le posizioni vi sono anche interessi che
PORTANO ALLA COINCILAZIONE.
Il tipo di negoziazione posizionale potrebbe sembrare vantaggiosa, ma solo in situa relazionali
semplici, x comunicare in modo facile, avere accordi accettabili. Ma più si porta avanti tale
negoziazione, più sarà difficile staccarsi dalle proprie posizioni iniziali e cambiare la propria
opinione.
Ci sono 4 impedimenti che ostacolano nuove opzioni nelle negoziazioni:
1. giudizio prematuro
2. ricerca della risp giusta
3. assumere che non si possa espandere il gioco
4. i loro problemi non ci riguardano
Secondo Fisher e Ury, bisogna cambiare le regole in gioco. In primis, evitando la
NEGOZIAZIONE POSIZIONALE poiché porta ad accordo non soddisfacente. Bisogna sedersi
dalla STESSA PARTE DEL TAVOLO, comprendendo gli interessi + generali che sottostanno alle
attuali posizioni, trovando punti di accordo.
Bisogna separare LE PERSONE DAL PROBLEMA, né duri con le persone, né morbidi con il
problema.
Non bisogna cedere ai problemi che abbiamo a cuore, ma cmq MANTENERE IL RISPETTO PER
L’INTERLOCUTORE cercando di conoscere le reciproche storie personali x capire i punti di vista.
Dinanzi a interlocutori chiusi, non possiamo abbattere le loro barriere, ma creare delle condizioni
favorevoli, comprendendo i loro bisogni. Gli interlocutori non sono faccia a faccia, ma al loro
fianco, cercando nuove opzioni.
‘Andare sul balcone’ non bisogna controattaccare o adeguarsi all’attacco, ma prendersi del tempo
per comprendere
MAAN cercare la migliore alternativa delle parti dell’accordo nel negoziato.
In una negoziazione:
- non bisogna prenderla personalmente (urla contro sfogo)
- prendersi del tempo
- mettersi dalla parte dell’altro praticando gioco dell’ascolto
- parafrasare (ripeti ciò che ha detto vedendo che hai capito, ma in modo positivo dal loro punto di
vista)
- prendi appunti per capire meglio e non attaccare subito
- usa tattica del tenente colombo: appari leggermente ottuso per avere chiarificazioni e ridurre le
difese dell’interlocutore
- rimanda la risp a un altro momento
- sottolinea la loro competenza/autorità
Importante è che come noi siamo ‘andati sul balcone’ anche l’altro ci vada, noi dobbiamo
indurlo a farlo, facendolo sentire fiducioso nei ns confronti,per esempio LEGITTIMANDO i loro
punti di vista, perché tutti abbiamo bisogno di riconoscimento
 Non bisogna avere timore di chiedere scusa ammettendolo si legittima il punto di vista
dell’altro
 Sottolinea punti d’accordo
 Non decidere a priori cosa è imp o marginale
 Sii attento al linguaggio del corpo
 Legittima le sue emozioni
VERITA’ E COINCILAZIONE (NE’ ATTACCARE, NE SUBIRE, NE’ ANDARE SUL
BALCONE)
Vi sono modi per riconciliarsi ampliando le opzioni e uscendo dalle cornici. Il primo è ‘essere
mediatori culturali’. Nell’esempio dell’ospedale di Kreuzberg in cui vi sono 2 modi di agire e di
vedere il malato in modo diverso, il mediatore culturale deve: osservare situa attraverso ascolto
attivo x risalire alle premesse implicite rendendole esplicite e trovare modi di convivenza rispettosi.
Il mediatore culturale non deve evitare gli incidenti di percorso, ma renderli fonte di conoscenza.
Quando parliamo di tolleranza, ci sono 4 modi di porsi dinanzi ad essa:
1. essere ipocriti non parlare di ciò che tolleriamo
2. razzismo simbolico  parliamo di ciò che ci causa problemi
3. buonista  parliamo solo di aspetti positivi
4. riconoscimento e rispetto  evidenziamo le dinamiche dell’apprendimento reciproco
Nel caso della scuola di Harlem, l’approccio da perseguire potrebbe essere quello delle scuole di
‘alto livello’, usando la tecnica delle termiti strategiche dirigere i cambiamenti in modo
possibilista, orientarsi in modo incrementale e adattivo alle situazioni
Nel caso del giudice saggio in Sud Africa, non si vuole né dimenticare e né punire, però bisogna
rielaborare le tragedie per non reiterare vendetta. Bisogna ascoltare le vittime delle violenze e
perpetuatori di quelle violenze, che saranno liberi solo dopo la verità. Se il passato è affrontato
adeguatamente, il futuro vedrà speranza. Servono ascolto attivo, autoconsapevolezza emozionale e
gestione creativa dei conflitti.
L’ALCOLISTA USCI’ DAL QUADRATO
Un modo per far uscire l’alcolista dal suo circolo vizioso è un adattamento inverso rispetto a coloro
che dicono che può riuscirci e che è ‘+ forte dell’alcool’. Serve AUTOCONSAPEVOLEZZA
EMOZIONALE per capire che emozioni tira fuori quando beve. Tali emozioni sono organizzatrici
dei loro comportamenti ma devono uscire da questo quadrato. Chiedendo di essere forti dinanzi
all’alcool lo si rende ancor + prigioniero della dipendenza. Bisogna abbandonare il mito del
‘conflitto e autocontrollo’ perché la logica né sobrio, né alcolizzato, lo farà rimanere per sempre un
ex alcolizzato. Per rendersi conto del problema deve capir di essere debole dinanzi all’alcool e così
prenderà coraggio.
CONCLUSIONI
Situazioni di compresenza di comunità con diverse lingue e culture sono sempre + frequenti, quasi
normalità. La diversità però fa paura e può far nascere competizione, per convivere serve la
complessa arte della CONVIVENZA. Anche se gli approcci basati sull’affermazione dei diritti
etnici(come obiettivo di creare unico stato etnico) dando vita all’omogeneità è un grande problema.
Quindi, si è tra ESCLUSIVISMO ETNICO E CONVIVENZA PLURIETNICA. Oggi vi è tendenza
a creare separazioni tra le etnie, ma vi sono anche movimenti x uguaglianza. Si deve fare delle
scelte individuali e collettive dando sia momenti di intimità che di incontro, per coesistere.
Nella convivenza si può avere conoscenza reciproca e x trattarsi con = dignità bisogna conoscersi
bene reciprocamente, conoscendo le rispettive lingue e storie. Per convivere si devono trovare punti
di vita comune e parlare direttamente, non solo diplomaticamente. Più si vorrà definire rigidamente
la propria appartenenza etnica + c’è conflitto.

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