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1. Nella società globalizzata è in atto una mutazione delle dinamiche comunicative, che a causa
di una crescente complessità dovrebbero assumere la forma della storia “giudice, litigante e
pubblico”. Ogni comunicazione in grado di “accoglienza reciproca” deve assumere quella
struttura dinamica.
Non si deve ignorare la possibile “alterità dell’altro”, ovvero le sue premesse implicite
diverse da quelle che noi diamo per scontato.
2. Per la buona osservazione bisogna comprendere l’importanza delle dinamiche dell’ascolto.
L’intelligenza e la capacità di osservare fenomeni complessi hanno a che fare con le
dinamiche dell’umorismo e queste dinamiche con l’input delle emozioni sono collegati tra
loro.
3. I principali concetti di Bateson fanno riferimento ad archi di possibilità che si danno per
scontati ma di cui non siamo consapevoli -> “mondi possibili”. Il cambiamento di questi
archi sta nell’uscire dalle nostre cornici parte di noi che plasmano il nostro modo di agire. Si
mette in atto il “deuteroapprendimento”, ovvero il “savoir fare” di quando riusciamo ad
affrontare i cambiamenti (es. affrontare un conflitto interculturale in termini di
riconoscimento e rispetto reciproco). Ognuno è capace di mettere in atto il
deteuroapprendimento, anche se in aree diverse. Anche se spesso il saper cambiare abitudini
percettivo-valutative radicate è visto come un “dono” perché non si sa spiegare
razionalmente.
4. Necessità di manuali che ci insegnino le competenze di base della complessità. Il nuovo
millennio è pronto per queste competenze.
5. Un buon osservatore deve saper distinguere la differenza tra -cambiare punto di vista in un
contesto scontato e -cambiare contesto quando osserva il comportamento umano.
Nell’esempio del libro per imparare a disegnare, gli studenti imparavano perché avevano
appreso un diverso modo di connettersi a se stessi e al mondo. Ci sono degli esercizi che
fanno riflettere sulla differenza sui modi di connettersi a se stessi, al mondo che mettono in
pratica quando non sanno fare qualcosa e quello di quando sanno farlo.
6. Tutti noi pratichiamo l’osservazione basata sull’ascolto attivo. Bisogna riflettere su queste
dinamiche per metterle in atto ogni volta che osserviamo.
7. Il triangolo dell’arte di ascoltare: interconnessione tra ascolto attivo, autoconsapevolezza
emotiva e gestione creativa dei conflitti: 3 dimensioni di competenza comunicativa. Un abile
osservatore sa mettere al centro le dinamiche di interculturalità, i processi circolari e le
dinamiche dell’interdipendenza.
Un abile osservatore è sempre anche ‘etnografo’, deve rapportarsi a ciò che ossera e a se
stesso mettendo al centro le dinamiche dell’interculturalità. Exotopia: si muove in ambito
relazionale e riflessivo, in cui l’osservatore è parte del sistema osservato.
8. Più un ambiente è complesso, più le situazioni in cui un evento è lo stesso avranno
significati diversi tra loro. E qui saranno necessari il “savoir fare”, la circolarità della
comunicazione e la comprensione dialogica.
9. Imparare ad osservare ed ascoltare è difficile poiché siamo stati educati all’etnocentrismo e
siamo ciechi ai contesti. Non bisogna però mettere da parte l’abitudine di pensiero
dominante, ma acquisirne anche un’altra.
COME SI ESCE DALLE CORNICI DI CUI SIAMO PARTE
Esercizio dei 9 punti: Unire i 9 punti con 4 segmenti senza sollevare la matita dal foglio
Chi ha risolto il problema è riuscito a uscire fuori da limite, dalla cornice. I tentativi falliti stanno
tutti dentro i confini, come se fosse insensato uscire dal presupposto quadrato. Ma si è dato per
scontato che non si potesse uscire da esso.
Chi l’ha risolto ha cambiato le premesse mettendo in discussione ciò che dava per scontato.
Nei processi di apprendimento si possono imparare nuove informazioni avendo –diversi punti
di vista in un quadro più generale (lo si fa quando non si mettono in discussione le premesse
implicite) o –cambiare il modo di inquadrare le cose.
Muoversi in una cornice o cambiarla sono processi diversi con due modi diversi di rapportarsi a sé e
al mondo. E imparare ad ascoltare ed osservare vuol dire familiarizzare con questi diversi modi.
Quando si parla di “premesse implicite” ci si riferisce alla strutturazione di un campo, una Gestalt.
La logica di quest’ultima mostra come un processo conoscitivo e l’attribuzione di senso comportano
una strutturazione di campo in cui decidiamo cosa viene messo a fuoco (o in primo piano) e cosa è
lasciato sullo sfondo. Questo campo presenta delle possibilità in cui ci muoviamo e uscendoci o
provando a uscirci ignorando i confini ci provoca delle resistenze. Quando ci si avventura verso i
confini, si mettono a fuoco elementi prima sullo sfondo. La resistenza c’è perché è implicato un
Cambiamento.
In questa situazione è importante il valore conoscitivo delle emozioni, soprattutto quelle di
“insensatezza”. Uscire dal quadrato provoca ansia perché è un avvertimento che al di fuori sia
pericoloso o insensato.
A volte, però, si decide di non collegare i 9 punti e lasciarne scoperto uno: quale? Nella vita
quotidiana bisogna sapersi mettere d’accordo su quale tenere scoperto; ma se gli interlocutori sono
bloccati sulle loro posizioni, nasce dissenso. In questo caso dovrebbero mettere insieme ciò che li
accomuna, ovvero il fatto di non voler uscire dal quadrato perché si sentirebbero ridicoli.
Chi è riuscito a risolvere il problema ha tollerato maggiormente l’ansia, si sono messi in
atteggiamento di attesa e di sospensione del giudizio. Hanno avuto un atteggiamento
esplorativo. Per pensare bene bisogna conoscere le proprie emozioni e far dialogare parte inconscia
e conscia della mente.
Per rendersi disponibili al cambiamento, bisogna capire che il senso è attribuito all’osservatore.
Bisogna eliminare il verbo essere e iniziare a pensare che si possono vedere le cose secondo
premesse implicite diverse. Bisogna essere flessibili e disponibili all’esplorazione. Questo perché
ognuno è parte di una cultura in cui si fanno proprie delle premesse implicite date per scontate e che
sono il nostro terreno sicuro per capirci.
2. IL GIOCO DELLA DOPPIA VISIONE
Esempio dell’italiano e dell’inglese, in cui il primo più cerca di essere chiaro e più non lo è.
(Commitee = cooomiiittiii). Queto perché l’italiano si è attenuto alle premesse implicite della sua
lingua secondo le quali essere chiari significa sottolineare le vocali. In inglese è il contrario, si
sottolineano le consonanti.
L’italiano avrebbe dovuto correggere il proprio sistema di autocorrezione, ma non ne è
consapevole. Quindi, vanno incontro a matrici cognitive diverse e incompatibili, a cui bisogna
prestare attenzione.
In queste situazioni bisogna evitare di farsi prendere dall’ansia di avere il controllo sulla situazione
per non perdere la faccia e riaffermare la propria competenza. Di solito, tutto è teso ad eliminare le
cause del disagio, ma quando non si riesce a farlo, bisogna capire che è una questione di dissonanza
di matrici percettivo-valutative: ci sono delle premesse implicite che stanno guidando azioni e
pensieri.
- Giudice Saggio
Nell’esempio del giudice che dice “Hai ragione” a tutte le parti, bisogna fare una distinzione tra
“sistemi semplici” e “sistemi complessi”.
Nei primi, in cui tutti condividono le stesse premesse implicite, vale la logica classica secondo la
quale se tutti hanno ragione si è bloccati.
Nel dialogo interculturale bisogna gestire i conflitti in modo creativo, e assumere che tutti hanno
ragione è il primo passo. Bisogna risalire alle cornici di cui non siamo consapevoli.
Per capire se c’è dissonanza tra le cornici bisogna chiedersi cosa a noi SEMBRA marginale o
fastidioso – es. quando si prova a parlare inglese. La resistenza nell’avere una pronuncia “inglese”
dovuta al sentimento del ridicolo, ci dà delle informazioni su ciò. Bisogna saper giocare con il senso
del ridicolo, e chi ci riesce, adotta una “metodologia umoristica”. Viceversa, si rimane bloccati e
si adotta il “principio di serietà”.
Mettere al centro dell’attenzione ciò che ci sembra fastidioso ci fa mettere in discussione la struttura
di campo in cui ci sentiamo sicuro: si devono identificare le emozioni che emergono e risalire così a
diversi modi di agire.
Le emozioni sono un linguaggio non verbale e ci danno le informazioni su come guardiamo e
sulle cornici culturali usate per interpretare il mondo. È solo da situazioni squilibranti o nei contesti
bisociati che si può arrivare a questa conclusione.
Se mettiamo a fuoco ciò che ci sembra marginale, vedremo che ci sono più modi di interpretare una
situazione e quindi a cambiare prospettiva. Tipico è l’esempio della figura papero/coniglio.
Quando vediamo il papero focalizziamo l’attenzione sul becco, al coniglio sul muso.
TAVOLE SINOTTICHE. DUE ABITUDINI DI PENSIERO
Come abbiamo detto, in un sistema semplice si adotta un pensiero basato sulla logica classica e
sulla razionalità lineare. Se è complesso, bisogna adottare un pensiero basato sull’ascolto attivo,
orientata alla varietà di cornici e sulle premesse implicite. Per capire in che tipo di sistema siamo,
bisogna capire se continuando a provare si continua a sbagliare. In questo caso, si comprenderà che
c’è bisogno di adottare un’altra abitudine di pensiero. Così sarà più facile costruire ponti.
Inoltre, risalire alle cornici non vuol dire necessariamente condividerle o accettare. Bisogna
rispettarle perché sono espressioni di tradizioni diverse, serve capirle meglio.
4. GIOCHI DI INTERFACCIA. AVVENTURARSI AI CONFINI
- Se prendiamo in esempio delle parole come ago, fine, sale, date ci rendiamo conto che ciò che
hanno in comune è che possono essere lette sia in inglese che in italiano. Questo ragionamento ci fa
avventurare in altro contesto, si è fra due contesti linguistici e culturali diversi.
- Gli indiani di Hopi: hanno due soli modi per indicare le cose che volano. Certamente, avranno dei
modi per specificare, se necessario.
In un altro caso, gli eschimesi hanno molti modi per indicare la neve con le sue precise
caratteristiche. Noi no: quando abbiamo bisogno di specificare, formuliamo la specificazione.
D’altro canto, gli Aztechi hanno solo una parola per indicare “neve” o “ghiaccio”, differenziazione
che nella nostra lingua riteniamo necessaria.
Questo perché classifichiamo i fenomeni in un certo modo, mettendo in rilievo qualcuno e lasciando
sullo sfondo altri. Le classificazioni vengono date per scontate, diventando il nostro modo abituale
e scontato di vedere il mondo, è la nostra “cornice”. Bisognerebbe eliminare il verbo essere dal
nostro vocabolario e usare il ‘come se’. Il predicato ‘è’ accompagna un atteggiamento rigido del
corpo (difensivo-offensivo).
Per esempio, in italiano non abbiamo un traducente per “leadership”, che se volessimo tradurlo,
diremmo “capo”. In realtà, però, capo non ha lo stesso significato di leader, questo perché nella
nostra cultura il “leader” non è un concetto propriamente nostro. Il leader si legittima in quanto
scelto liberamente e potrebbe non essere più leader quando coloro che ne seguono le direttive
cambiano idea. In Italia non abbiamo avuto l’esigenza di coniare un termine simile a leadership
perché scegliersi un capo è più marginale rispetto all’esperienza di comandare nel senso di farsi
ubbidire.
“Cultura”. È qualcosa che non capiamo/vediamo se ci siamo dentro o se ci siamo fuori.
Dovremmo guardarle sia da dentro che da fuori.
5. LA TERRA STA MORENDO – IL GIOCO DEGLI STEREOTIPI E CASI
PARTICOLARI
Nel paragrafo viene descritto un gioco in cui tra 11 persone con un ruolo, dobbiamo sceglierne 7 su
un altro pianeta da ripopolare.
Il gioco esige che i partecipanti si affidino a degli stereotipi per formulare le loro decisioni,
dandoli per scontato. Noi usiamo gli stereotipi per interpretare il mondo che ci circonda per
interpretare la realtà. Però, non bisogna dare per scontato che sono delle rappresentazioni accurate
della realtà.
Il gioco ci obbliga a partire da “astrazioni indeterminate”, ovvero informazioni insufficienti che ci
faranno produrre immagini concrete. Quando siamo di fronte a queste astrazioni indeterminate,
siamo costretti a chiederci qual è il significato più convenzionale o l’immagine connessa al
significato. Però il significato non è nella parola, ma siamo noi a evocarlo interpretandola.
- Parole, contesti e metafore
La situazione in cui ci troviamo o il rapporto con l’interlocutore rendono possibile
un’interpretazione piuttosto che un’altra. Se ci sono gesti o parole isolate è più facile ricorrere ad
associazioni meccaniche. Gli stereotipi, però, sono costruzioni sociali ed arbitrarie.
Tutto rimanda a quella che è chiamata “urgenza classificatoria”. Viene mostrato l’esempio degli
indiani ciechi e l’elefante. Gli si viene chiesto cos’è un elefante, e loro, toccandone solo una parte,
dicono che assomiglia a un serpente, a un tronco, ecc. Il problema, però, è che non si può risalire a
tutto solo conoscendo le parti sommate tra loro. Bisogna capire come queste parti sono connesse tra
loro. Dobbiamo prestare attenzione al “modello” che le connette.
L’urgenza classificatoria è proprio l’atto di avere troppa fretta di arrivare alle conclusioni, perché
analizzando, quindi osservando meglio, una coda ruvida non può essere assimilata al corpo viscido
del serpente.
il contrario dell’urgenza classificatoria è il saper convivere con il disagio dell’incertezza,
esplorare ed accogliere il disorientamento.
I casi particolari usati nel gioco sono “metafore generative”. Sono dei casi appositi per creare
delle bisociazioni ed utili per il meccanismo dell’ascolto attivo. Quando si è bloccati di fronte a
tipizzazioni e stereotipi non si riesce ad ascoltare in modo attivo. Quindi si potrebbe immagine
una persona che si conosce con quelle caratteristiche, ma che ci stia simpatica. In questo modo ci si
allena a diventare più flessibili e aperti, senza fretta di arrivare alle conclusioni. Non si sostituisce
lo stereotipo, ma lo si sovrappone e si accolgono particolari che riterremmo marginali,
vedendo “le stesse cose” da diversi punti di vista.
C’è anche il caso del pennello visto come una “pompa”: oggetti prima distinti, ma di cui ora si sono
trovati nuovi aspetti come gli spazi fra le setole, che prima erano sullo sfondo.
I casi particolari sono degli strumenti che ci fanno uscire dalle cornici date per scontate e a cui ci
affidiamo e ci danno occasioni per l’ascolto attivo.
6. IL PROF IN PANTALONCINI CORTI
Il confronto fra due sistemi scolastici (italiano e americano) offre a chi proviene dall’altro sistema
un’occasione di conflitto, avendo la possibilità di risalire a premesse implicite.
Shadowing: privilegia la comunicazione non verbale, il linguaggio delle emozioni. Ciò che la
ricercatrice-ombra si propone di osservare non sono le azioni ma di osservare le reazioni alle
reazioni per spiegare le cornici culturali, gli archi di possibilità di comportamento culturalmente
definiti. L’ombra esplora le promesse implicite del proprio universo e come si scontra con altri.
Dà attenzione alla comunicazione degli stati d’animo relativi soprattutto ai particolari trascurabili e
fastidiosi; non bisogna avere fretta delle conclusioni; pone attenzione alle analogie e omologie delle
strutture e alla comunicazione di significati multipli.
Metodologia umoristica: nasce dalla creazione della bisociazione, cioè i contrasti di percezione.
Es. Prof indossa pantaloncini:
– situazione che a X provoca disagio e a Y rispetto. Nel momento in cui le due matrici si
sovrappongono potrebbero entrambe apparire legittime, e in quel momento X prenderà atto della
situazione e supererà il disagio, ridendo di sé per essersi lasciato appiattire dagli immaginari della
propria cultura. Le contrastanti reazioni rivelano qualcosa sulle differenze nei modi di percepire un
atteggiamento.
si deve avere atteggiamento umoristico: humor ride di sé, della propria rigidità, di essersi lasciati
catturare da modi di inquadrare gli eventi.
PT. 2 – INDAGINE VARIAZIONALE
Piramide tronca e palcoscenico
Questa immagine può essere vista sia come una piramide tronca (un lingotto) o come qualcosa di
vuoto (un palcoscenico, stanza). Per spiegare come si può passare da un’immagine all’altra, è
possibile proporre di “guardarlo” dall’alto o di fronte. Ciò significa che l’osservatore deve cambiare
prospettiva.
È importante parlare di noesis e noema:
Noesis è come guardiamo, noema è cosa guardiamo.
In questo caso, inizialmente abbiamo una visione apodittica, ovvero una constatazione che per noi è
evidente e non può essere confutata; è anche definita “visione ingenua” (perché implicava una sola
possibilità di visione). Quando si cambia prospettiva, si passa a un livello successivo, in cui
quell’immagine può essere sia un palcoscenico che la piramide.
Quindi, al primo livello non riflettiamo sulla “noesis”, ovvero su come ci stiamo muovendo
percettivamente, siamo in una cornice che diamo per scontata. Solo cambiando, possiamo riflettere
sulla modalità trasformativa. È l’osservatore ad avere un ruolo attivo nel costituire ciò che vede:
“per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare pov”.
La trasformazione si è avuta sia grazie al ruolo attivo dell’osservatore nella percezione, sia al potere
evocativo del linguaggio. Già dicendo cosa può essere può farci vedere un’immagine o l’altra.
Non è possibile dire che quella figura è piramide o palcoscenico, si può dire che “può essere vista
come” ma comunque sarebbe una frase inadeguata/incompleta. Di fronte a un fenomeno complesso,
bisogna vedere da più prospettive per una migliore descrizione, che deve essere adeguata. Per
esserlo, bisogna che abbia chiare anche le modalità trasformative. Bisogna anche saper descrivere
come si fa a cambiare, non solo cosa cambia. Inoltre, nel passaggio da un livello all’altro, non si
può più tornare indietro vedendo solo una delle due immagini. È vero però che non si possono
vedere contemporaneamente, ma ogni volta bisogna passare da una prospettiva all’altra.
L’indagine variazionale è ancora più complessa nel passaggio al livello 3, in cui bisogna passare
da tridimensionalità a bidimensionalità. Nel libro viene aggiunta “una testa” alla figura,
diventando un robot senza testa.