L'approccio evoluzionistico allo studio della mente
Discuteremo ora del contributo che può dare la prospettiva evoluzionistica allo studio del sistema mente/cervello. L’ipotesi centrale della Psicologia evoluzionistica è che sia possibile migliorare le conoscenze sul sistema mente/cervello comprendendo i processi che nel corso della filogenesi ne hanno modellato l’architettura. Nell’albero filogenetico rappresentato in questa figura si può osservare come l’Homo sapiens anatomicamente moderno (ovvero la specie alla quale apparteniamo) sia comparso intorno ai 200.000 anni fa (benché ricerche recenti ipotizzino 300.000 anni) e possiamo anche osservare come prima della sua comparsa vi sia stata una lunga storia evolutiva di oltre 2 milioni di anni che ha caratterizzato la linea filetica del genere Homo. Un’idea di base della Psicologia evoluzionistica è che questa lunga storia evolutiva sia importante per aiutarci a comprendere come è organizzato il sistema mente/cervello Secondo la prospettiva evoluzionistica, per comprendere il sistema mente/cervello è importante porsi domande sulla natura delle pressioni selettive che hanno ricorrentemente agito nel corso della storia evolutiva del genere Homo e formulare ipotesi sull’architettura della mente umana considerandola come risultato di queste pressioni. Le pressioni selettive che hanno accompagnato la nostra evoluzione possono essere viste come problemi adattativi in grado di selezionare favorevolmente quegli individui che hanno evoluto per selezione naturale sistemi neuro-cognitivi capaci di dar loro una risposta. Obiettivo principale dello psicologo evoluzionista è quello di individuare questi sistemi, chiamati anche adattamenti psicologici. La figura rappresenta un cervello in cui le zone colorate corrispondono ad aree cerebrali capaci di svolgere specifiche funzioni mentali (come percepire i colori, ricordare un volto o comunicare per mezzo del linguaggio). L’idea è che queste funzioni si siano evolute per rispondere a specifici problemi adattativi. In questa e nelle successive 4 slide facciamo alcuni esempi di problemi adattativi che nel corso dell’evoluzione abbiamo dovuto risolvere. Il primo esempio è saper chiedere aiuto e protezione in situazioni di percepita vulnerabilità. In una specie come la nostra, nella quale alla nascita e per un lungo periodo di vita abbiamo un limitato livello di autonomia è stato importante sviluppare nel corso dell’evoluzione un adattamento che aumenta la probabilità di trovare una figura di riferimento che ci dia aiuto quando, ad esempio, sentiamo di essere a disagio o in pericolo. Questo adattamento viene chiamato attaccamento ed è un sistema neuro-cognitivo presente in molti mammiferi e che nella nostra specie si manifesta, in modi differenti, lungo tutto l’arco di vita. Un altro esempio di problema adattativo è la difesa della prole, ovvero la protezione dei propri figli dai pericoli al fine di aumentare la loro probabilità di sopravvivere. L’adattamento che si è evoluto in risposta a questo problema adattativo viene chiamato accudimento, ed è l’adattamento complementare a quello visto nella slide precedente e che abbiamo chiamato attaccamento. Altro esempio di problema adattativo è la scelta del proprio partner, ovvero la scelta della persona con la quale passare un lungo periodo di tempo della propria vita. Nella nostra specie la capacità di costruire legami affettivi è fondamentale sia per il benessere mentale sia per quello fisico. Non meno importante è la capacità di comprendere gli stati mentali delle persone che ci circondano. In una specie altamente sociale come la nostra questa capacità è fondamentale per poter coordinare le proprie azioni con quelle altrui. Questo adattamento, che viene chiamato Teoria della Mente o mentalizzazione, si basa in larga parte su indizi fenotipici come ad esempio il comportamento altrui o l’osservazione di aree particolarmente salienti come il volto e gli occhi. A partire da questi indizi fenotipici siamo in grado di inferire, in modo implicito o esplicito, ciò che un’altra persona sta, ad esempio, pensando o le emozioni che sta provando. Per motivi sempre connessi con la natura altamente sociale della nostra specie, nel corso dell’evoluzione è stato necessario dare risposta ad un altro problema adattativo: come fare a comunicare con gli altri membri del gruppo sociale. Visto in questa prospettiva, è possibile pensare al linguaggio come a un adattamento che permette di dare una risposta a questo problema adattativo. E’ importante sottolineare come gli adattamenti psicologici, benché fondati su predisposizioni biologiche ereditate dalla nostra storia evolutiva, non si manifestano necessariamente fin dalla nascita. Alcuni sì, come ad esempio la preferenza per i volti rispetto a qualunque altro stimolo visivo presente nell’ambiente. Altri no, come il linguaggio, che richiede tempo perché possa maturare ed essere utilizzato in modo appropriato. Il punto centrale è che tutti gli adattamenti psicologici, che si manifestino fin da subito o meno, hanno le proprie radici nel patrimonio genetico della nostra specie e sono il prodotto della nostra storia evolutiva. Attenzione! Ciò non significa che tra una persona e un’altra non ci siano differenze nel funzionamento mentale, anzi. Ma per capire cosa differenzia una persona da un’altra bisogna prima capire cosa tutti abbiamo in comune. Ad esempio, indipendentemente dal fatto che parliamo italiano, inglese, giapponese o francese è importante riconoscere che tutte le lingue umane rispettano i principi di una grammatica universale, biologicamente fondata, che soggiace a ciascuna di esse e le rende realizzabili. Ipotizzare l’esistenza di una natura umana universale da ricercarsi nell’insieme degli adattamenti che costituiscono la nostra architettura neuro-cognitiva non significa sottovalutare l’infinita variabilità di manifestazioni comportamentali e culturali di cui è capace l'uomo; significa piuttosto sottolineare come alla base di queste infinite manifestazioni sia possibile riconoscere l’opera di un numero finito di adattamenti psicologici basati su predisposizioni biologiche universali che sono patrimonio comune di tutti gli individui della nostra specie, indipendentemente dalla specifica etnia di appartenenza di ciascuno di noi.
La relazione tra natura/cultura nella prospettiva della
psicologia evoluzionistica Ci occuperemo adesso della relazione tra natura e cultura secondo la prospettiva della psicologia evoluzionistica, disciplina che abbiamo precedentemente introdotto. Per iniziare, una domanda. Guarda questo rettangolo e rispondi: come si calcola la sua area? Benissimo, base per altezza. Ora rispondi a quest’altra domanda: per calcolare l’area del rettangolo diresti mai che la base è più importante dell’altezza? No! E hai ragione perché se è legittimo chiedersi come si calcola l’area di un rettangolo non lo è chiedersi se la base sia più importante dell’altezza. Quest’ultima è una domanda mal posta, priva di senso! Eppure, nella storia della psicologia si sono succedute teorie che hanno di volta in volta assegnato alla natura o alla cultura un peso prevalente nella spiegazione dei fenomeni mentali. Ma chiedersi se sia più importante la natura o la cultura nello studio della mente è come chiedersi se sia più importante la base o l’altezza per calcolare l’area di un rettangolo. Nel porre l’accento sui meccanismi psicologici che mediano la dimensione biologica con quella del comportamento manifesto, la Psicologia evoluzionistica rifiuta l’annosa e spesso sterile dicotomia tra natura e cultura, il vano tentativo di cercare di stabilire quale tra la componente innata e quella ambientale sia prioritaria. Secondo la prospettiva evoluzionistica, è invece importante individuare gli elementi costitutivi dell'architettura cognitiva umana (quelli che abbiamo chiamato adattamenti psicologici) e fornire di questi elementi costitutivi una spiegazione funzionale. Questo è possibile cercando di comprendere a quale problema adattativo incontrato dai nostri antenati ancestrali ogni singolo adattamento psicologico è una risposta. In altre parole, cercando di comprenderne la funzione, il perché della sua esistenza. Detto in altri termini, la Psicologia evoluzionistica tenta di dimostrare che la mente umana è un sistema complesso composto da un numero ampio ma finito di sistemi neuro-cognitivi, ognuno dei quali modellato dalla selezione naturale per favorire l’adattamento attraverso l'espletamento di una qualche specifica funzione. Che il numero degli adattamenti psicologici che formano quella che abbiamo chiamato mente umana universale sia finito non è un impedimento al realizzarsi delle innumerevoli forme comportamentali che gli esseri umani sono in grado di manifestare. Gli adattamenti psicologici non impongono schemi rigidi di sviluppo ontogenetico, ma a seconda del contesto ambientale permettono allo sviluppo individuale di percorrere certe strade piuttosto che altre. Per capire questo concetto facciamo un esempio semplice, relativo ad uno degli adattamenti che abbiamo visto in precedenza: l’attaccamento. Questo adattamento si basa su una predisposizione biologica universale. Siamo predisposti a chiedere aiuto e protezione ad una figura di riferimento in caso di percepita vulnerabilità. Nei bambini questa figura è spesso la madre. Ma le mamme non sono tutte uguali e il tipo di risposta che una mamma darà alle richieste di aiuto del proprio figlio, ovvero il tipo di accudimento che gli fornirà, determinerà certe strade di sviluppo ontogenetico piuttosto che altre. Una mamma accudente e sensibile tenderà a favorire lo sviluppo di un senso di sicurezza nel proprio figlio, una mamma poco sensibile o rifiutante tenderà a rendere il proprio figlio insicuro. Pertanto, sebbene i due bambini qui rappresentati condividano alla nascita la stessa predisposizione biologica, possiamo dire la stessa natura, il tipo di interazione con l’ambiente, in questo caso il tipo di accudimento fornito dalla madre, farà sì che i due bambini avranno sviluppi psicologici molto differenti. Poiché il comportamento umano è generato dall’insieme degli adattamenti psicologici che compongono la mente umana e poiché, a loro volta, questi adattamenti sono il prodotto della selezione naturale, è ora importante spiegare brevemente a che cosa ci si riferisce quando si parla di evoluzione per selezione naturale. Benché non sia stato il primo evoluzionista a tentare di spiegare l’evoluzione delle specie senza chiamare in causa argomentazioni creazionistiche –ben noti tentativi prima di lui li avevano compiuti ad esempio Georges Buffon e Jean-Baptiste Lamarck- quella di Charles Darwin è a tuttora l'unica teoria in grado di fornire una spiegazione dell'evoluzione capace di superare la prospettiva finalistica. Tale teoria fu esposta in modo sistematico nella sua celebre opera del 1859 L’origine delle specie, tradotta in italiano per la prima volta nel 1864. Il meccanismo che Darwin ha individuato essere alla base dell'evoluzione è la selezione naturale. La logica della selezione naturale è tanto semplice quanto potente. La prima osservazione è che gli organismi che appartengono ad una determinata specie non sono identici tra loro ma presentano variazioni fenotipiche individuali, ovvero differenze nell’espressione morfologica, fisiologica e comportamentale. Il secondo aspetto rilevante è relativo all’adattamento differenziale, ovvero all’osservazione che alcune delle variazioni fenotipiche individuali possono influire meglio di altre sulle capacità di adattamento, ovvero sulle capacità di rispondere ai problemi adattativi. Infine, il terzo aspetto è relativo all’osservazione che i tratti varianti che influiscono positivamente sulle capacità di adattamento tendono a riapparire nelle generazioni successive a discapito delle varianti che ostacolano l’adattamento. Qualunque sistema che soddisfi questi principi è soggetto a selezione naturale. È peraltro interessante notare, a dimostrazione della straordinarietà intellettuale di Darwin, che la spiegazione della selezione naturale da lui proposta non poté fondarsi su concetti come quelli di gene o di variazione genetica. Quando nel 1859 Darwin pubblicò l'Origine delle specie, infatti, Mendel non aveva ancora esposto le sue fondamentali leggi sulla ereditarietà (cosa che fece nel 1866) e la genetica moderna non era neanche allo stato embrionale (il termine genetica fu introdotto da William Bateson nel 1906 e il concetto di gene da Wilhem Johanssen nel 1909, esattamente mezzo secolo dopo la pubblicazione dell'Origine delle specie). In questa slide è illustrata una rilettura su base genetica della selezione naturale, frutto della cosiddetta sintesi moderna, che, a partire dagli anni ’30 del Novecento, ha unito in un quadro unificante la teoria dell’evoluzione per selezione naturale con i principi della genetica. L’idea di base è che le variazioni individuali a livello del fenotipo siano causate da variazioni casuali a livello del genotipo. Alcune delle modificazioni fenotipiche possono influire meglio di altre sulle capacità di adattamento degli organismi che le possiedono. Maggiore è l’adattamento all’ambiente di un organismo, maggiore sarà la sua probabilità di sopravvivere e di trasmettere il proprio patrimonio genetico alle generazioni successive. È peraltro interessante notare, a dimostrazione della straordinarietà intellettuale di Darwin, che la spiegazione della selezione naturale da lui proposta non poté fondarsi su concetti come quelli di gene o di variazione genetica. Quando nel 1859 Darwin pubblicò l'Origine delle specie, infatti, Mendel non aveva ancora esposto le sue fondamentali leggi sulla ereditarietà (cosa che fece nel 1866) e la genetica moderna non era neanche allo stato embrionale (il termine genetica fu introdotto da William Bateson nel 1906 e il concetto di gene da Wilhem Johanssen nel 1909, esattamente mezzo secolo dopo la pubblicazione dell'Origine delle specie). Le variazioni genetiche casuali sono ciò su cui opera la selezione naturale. È a partire dalle variazioni genetiche casuali che la selezione naturale modella attraverso un processo cumulativo tutte le forme della vita sulla Terra. Per processo cumulativo si intende un processo piuttosto lento che permette la graduale evoluzione delle varie forme di vita. Il processo è lento perché le variazioni genetiche sono casuali e pertanto non sono orientate verso un fine. Nell’immagine di destra vediamo come da un antenato ancestrale comune si siano evolute per selezione naturale varie specie di fringuelli delle Galapagos, uccelli molto studiati dallo stesso Darwin. Ognuna delle diverse specie di fringuelli ha sviluppato nel corso dell’evoluzione tratti fenotipici adattati alla specifica nicchia ecologica nella quale si è evoluta. La forma dei loro becchi, ad esempio, varia tra specie e specie in ragione del tipo di cibo disponibile e degli sforzi necessari per procurarselo. Anche se si potrebbe erroneamente pensare che la comprensione dei processi di evoluzione per selezione naturale abbia poco a che fare con la comprensione di come funzioni e di come sia organizzato il sistema mente/cervello, nel prossimo modulo vedremo quanto il rapporto tra queste due aree del sapere sia intimo. Ma prima di andare avanti, ti invito a consultare i materiali di approfondimento suggeriti per questa parte del corso.
L'ambiente di Adattamento Evoluzionistico e l'ipotesi del
cervello sociale Abbiamo concluso il modulo precedente sottolineando come i processi alla base dell’evoluzione di ogni forma di vita siano piuttosto lenti. Abbiamo detto che ciò è prevalentemente dovuto al fatto che la selezione naturale opera su variazioni fenotipiche individuali prodotte da variazioni genetiche casuali, ovvero da variazioni che non sono orientate verso un fine. Come ora vedremo, questa osservazione ha grande importanza anche per lo studio del sistema mente/cervello e per la comprensione di come si sia evoluto. Il fatto che i tempi occorrenti perché emerga un nuovo adattamento siano molto lunghi implica, infatti, che quando si cerca di comprenderne la natura e la funzione non lo si possa fare sulla base dello stile di vita che attualmente conduciamo, ma bisogna farlo considerando in risposta a quale problema adattativo incontrato nel corso dell’evoluzione quello specifico adattamento psicologico è una risposta. In sostanza, ciò che è importante considerare quando si indaga un fenomeno in una prospettiva evoluzionistica è il tipo di condizioni ambientali in cui quel fenomeno si è evoluto. La stragrande maggioranza del proprio tempo evoluzionistico gli individui appartenenti al genere Homo l’hanno trascorso in gruppi nomadi di cacciatori-raccoglitori. Queste foto, e quelle della slide successiva, sono relative a persone appartenenti ad alcune delle oramai ridottissime etnie nomadi che ancora oggi sono dedite alla caccia e alla raccolta. Questo tipo di organizzazione sociale ha caratterizzato la storia evoluzionistica del genere Homo durante tutto il Pleistocene e ha lasciato il posto solo negli ultimi 10.000 anni a un differente rapporto con l'ambiente, rapporto che si è consolidato solo negli ultimi 5.000 anni, portando a un’economia basata sull’agricoltura e l’allevamento e a un’organizzazione sociale sempre più caratterizzata dal costituirsi di nuclei urbani stabili e popolosi. Queste considerazioni introducono al concetto chiave di Ambiente di Adattamento Evoluzionistico. Questo concetto è stato originariamente introdotto dallo psicologo inglese John Bowlby all’interno della teoria dell’attaccamento per spiegare il valore adattativo e la natura del legame affettivo che si stabilisce tra la madre e il proprio figlio. Per quanto riguarda la nostra specie, l’Ambiente di Adattamento Evoluzionistico viene fatto coincidere con il Pleistocene, un periodo geologico iniziato circa 2,5 milioni di anni fa e terminato circa 11.000 anni fa con la fine dell’ultima grande glaciazione, condizione ecologica, quest’ultima, che ha permesso la progressiva comparsa e diffusione dell’agricoltura e dell’allevamento e il conseguente progressivo abbandono della condizione di cacciatori-raccoglitori nomadi. Si guardi ora la linea rappresentata nella slide e si immagini che rappresenti una linea del tempo lunga 2,5 milioni di anni (ovvero tutta la storia evoluzionistica degli individui appartenenti alla nostra linea filetica dalle origini fino a oggi). Ebbene, gli ultimi 10.000 anni (il tempo trascorso dalla comparsa dell’agricoltura e dei primi gruppi umani stanziali) non sono neanche l’ultimo millimetro della linea, un tempo infinitesimale. Queste considerazioni sui tempi evoluzionistici sono importanti in quanto aiutano a capire per quale motivo non possiamo aspettarci che nella nostra mente si siano evoluti adattamenti in grado di affrontare i problemi sollevati in tempi successivi alla comparsa dell’agricoltura o addirittura dell’industrializzazione. Questo non è stato possibile semplicemente perché non c’è stato il tempo. Ciò che gli psicologi evoluzionisti sostengono è dunque che il tempo trascorso a partire dalla comparsa dell’ambiente contemporaneo, caratterizzato da nuclei urbani stabili e popolosi, è enormemente inferiore rispetto al tempo che gli individui della linea filetica del genere Homo hanno trascorso entro organizzazioni sociali molto differenti da quelle attuali. Di conseguenza si ipotizza che non sia possibile comprendere appieno la natura di un qualsiasi adattamento psicologico senza fare riferimento al tipo di problemi adattativi incontrati nel nostro Ambiente di Adattamento Evoluzionistico. In altri termini, possiamo ora dire che i singoli adattamenti psicologici devono essere studiati in funzione del contributo dato da ciascuno di essi alla sopravvivenza individuale nell’Ambiente di Adattamento Evoluzionistico. Ma considerando che l’ambiente nel quale oggi tutti noi viviamo sembra essere così differente da quello di Adattamento Evoluzionistico, come mai non ci siamo estinti? Le risposte a questa domanda sono molteplici, ma se ragioniamo in termini evoluzionistici possiamo comprendere come in realtà l’ambiente attuale sia molto meno differente dall’Ambiente di Adattamento Evoluzionistico di quanto si potrebbe essere indotti a pensare ad una prima superficiale considerazione. Benché nell’Ambiente di Adattamento Evoluzionistico non ci fossero automobili per muoversi, antibiotici per curarsi o computer per navigare in Internet, molte delle caratteristiche salienti presenti nell’ambiente di allora continuano ad essere presenti e attive oggi. Quali sono queste caratteristiche? Eccole: sono caratteristiche di natura sociale. Ora come allora siamo infatti immersi in una dimensione sociale interpersonale che comprendere individui del nostro e dell’altro sesso, facce che esprimono emozioni, potenziali partner da corteggiare, fratelli e sorelle, madri alle quali chiedere protezione in caso di pericolo e figli da accudire, coetanei con i quali giocare, individui con i quali cooperare o competere, gesti altrui da prevedere e comprendere, azioni da coordinare con quelle delle altre persone. Se l’ambiente contemporaneo fosse stato troppo diverso dall’Ambiente di Adattamento Evoluzionistico la nostra specie si sarebbe estinta, poiché gli adattamenti di cui è dotata non sarebbero stati più in grado di garantire la sopravvivenza individuale. In realtà, viviamo in un ambiente sociale per moltissimi aspetti simile a quello dell’Ambiente di Adattamento Evoluzionistico. E molti dei nostri adattamenti psicologici si sono evoluti proprio per rispondere ai problemi adattativi posti da questo ambiente sociale. Nel prossimo modulo vedremo le importanti implicazioni che discendono da quanto ora discusso
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