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SULLA GESTIONE INCONSCIA DEL PROCESSO TRADUTTIVO

UMANO: COSA SAPPIAMO FARE SENZA SAPERE COME


Laura Salmon

Dai preconcetti metafisici alla ricerca di postulati condivisibili


In questo saggio, scritto da Laura Salmon, ci si concentra principalmente sull’aspetto inconscio del
processo traduttivo. Prima, però, di entrare nel vivo della questione, la Salmon si concentra sui
concetti di traduzione e di studi sulla traduzione, presupposti necessari per affrontare nel dettaglio le
posizioni dell’autrice.
Parte col dire che, fin dai tempi più remoti, l’ambito della traduzione è stato caratterizzato da tanti
paradossi; il primo paradosso era quello secondo cui, mentre si traduceva, ci si chiedeva se fosse
possibile tradurre, quindi si metteva in dubbio il concetto stesso di traducibilità, non da un punto di
vista pratico, ma da un punto di vista teorico, ci si chiedeva cioè se la pratica del tradurre fosse una
pratica giusta da praticare. Il secondo paradosso riguardava invece gli studi della traduzione, in quanto
si metteva in dubbio la loro legittimità, ovvero ci si chiedeva se fosse giusto analizzare da un punto
di vista scientifico la traduzione.
Un altro paradosso è rappresentato dalla corrente dell’irrazionalismo; l’irrazionalismo può essere
spiegato brevemente dalle parole del filosofo spagnolo José Ortega y Gasset, il quale definisce, nel
titolo del suo libro, la traduzione Splendida, e nei contenuti, la definisce brutta come brutta è tutta la
scienza della traduzione.
Per quanto le posizioni del filosofo spagnolo possano sembrare paradossali e contraddittorie, in realtà
la loro interpretazione trova una spiegazione scientifica anche abbastanza esaustiva.
L’interpretazione più plausibile che associamo a questo paradosso – splendida e brutta- è
rappresentata dal fatto che, secondo il filosofo, le traduzioni sono prevalentemente brutte, ma esistono
rari casi in cui esse sono anche splendide, ed è il caso in cui il traduttore trova quella che comunemente
chiamiamo ispirazione.
L’ispirazione, se analizzata da un punto di vista scientifico, è quella che possiamo chiamare genio,
ovvero un positivo elemento x che si manifesta nel traduttore e che da origine a qualcosa di raro e
incontrollato.
Il filosofo spagnolo afferma che tentare di spiegare l’ispirazione è un’ambizione inutile, così come è
inutile la teoria della traduzione, ma in realtà egli non sa che esistono davvero dei presupposti
scientifici in grado di spiegare tutto ciò che si nasconde dietro l’ispirazione.
Abbiamo detto, quindi, che l’ispirazione è il genio di una persona, una caratteristica speciale del
traduttore che lo induce a creare qualcosa di speciale. Andando più nello specifico, ciò che chiamiamo
genio o ispirazione è il risultato di concrete abilità codificate nel cervello di una persona e dovute a
una dotazione innata, cioè geneticamente trasmessa. Questa dotazione innata, sarebbe costituita da
tre elementi, ovvero:
- Il famoso LAD, ovvero il dispositivo per l’acquisizione della lingua naturale di Chomsky;
- Un programma di conversione interlinguistica che produce equivalenze in modo
automatico;
- L’abilità di passare da un codice linguistico all’altro tenendoli ben separati (switching).
Questo dispositivo, per quanto geneticamente disponibile in ogni individuo, può funzionare solo se
sottoposto ad opportuni stimoli dell’ambiente socioculturale che ne innescano lo sviluppo e ne
permettono il perfezionamento. L’ispirazione o il genio può essere anche definito talento, ed esso
cresce tanto più quanto l’esposizione agli stimoli è frequente e continuata, in modo da consentire la
memorizzazione nel cervello di banche dati importanti e la capacità di accedere a tali dati e di
elaborarli.
Questo ci porta a una prima conclusione: non esistono testi intraducibili e neanche traduttori incapaci;
esistono solo traduttori che hanno sviluppato e rafforzato un determinato dispositivo genetico che
permette di tradurre in maniera ottimale, ed altri che invece non lo hanno fatto.

I processi inconsci: il contributo delle neuroscienze


Un altro aspetto importante, che è il punto focale su cui la Salmon intende concentrarsi, è il fatto che
questo processo cognitivo è un processo del tutto inconscio, ovvero il traduttore, anche se sottoposto
a determinati e sufficienti stimoli, ignora del tutto come questo sia avvenuto.
Utilizzando un linguaggio tecnico, esistono due tipi di processi cognitivi: i processi impliciti, ovvero
quelli che avvengono in maniera non consapevole, ed i processi espliciti, che avvengono in maniera
consapevole e che però rappresentano solo la minoranza delle abilità di un essere umano, perché la
stragrande maggioranza sono abilità implicite.
La facoltà di tradurre, e di conseguenza l’abilità di tradurre bene, dipende da una serie di operazioni
che avvengono nel cervello secondo un preciso ordine logico-gerarchico che non ha riflesso
cosciente.
Per produrre una traduzione, inoltre, alla mente del traduttore è richiesta un’ulteriore abilità, quella
di agire in modo sincretico e in tempi relativamente brevi. Ed è proprio quest’ultimo fattore che svela
il genio del traduttore, perché è solo quando si traduce velocemente che si innesca nella mente del
traduttore il processo incosciente; al contrario, quando si agisce lentamente, il cervello del traduttore
tende a coinvolgere la coscienza, e con la coscienza entrano in gioco una serie di abilità riflettute,
pensate e controllate.
Tuttavia, esistono alcune abilità del traduttore che possono diventare oggetto di riflessione, ma solo
durante il processo di modellamento, ovvero il processo posteriore alla prima traduzione, in cui il
traduttore rivede, controlla e riflette meglio su ciò che ha scritto, processo però che è tanto più inutile
quanto più è alta la competenza del traduttore, ovvero quanto più è sviluppato il suo sistema di
dotazione innato.
Muovendoci ancora nell’ambito delle traduzioni inconsce, è bene ricordare che ne esistono di diversi
tipi, oltre a quelle realizzate dai regolari traduttori. Si tratta di traduzioni realizzate per lo più da
pazienti bilingui affetti da danni cerebrali. Distinguiamo, in questo caso, tre tipologie di traduzione:
- Traduzione spontanea; in questo caso il paziente ha un impulso incontrollato a tradurre tutto
quanto viene detto o ascoltato da lui stesso;
- Traduzione senza comprensione; in questo caso il paziente traduce ciò che gli viene detto,
pur non comprendendo ciò che ha ascoltato:
- Traduzione paradossale; in questo caso, il paziente traduce in una lingua che non riesce a
parlare.
Esistono, infine, dei casi in cui si è impossibilitati a tradurre, da qualsiasi lingua verso qualsiasi lingua.
Questo particolare caso, suggerisce che non solo esiste un circuito mentale per la traduzione, che
potrebbe non funzionare, ma anche che esiste una localizzazione specifica, ovvero questo circuito
mentale ha luogo in una zona specifica dell’encefalo che è stata danneggiata.
Questi ultimi casi appena spiegati, ci forniscono una grande dimostrazione di come la teoria della
traduzione può esistere se si unificano i dati di diverse discipline quali la linguistica, la neuroscienza,
le scienze umani, e così via.
Contesto, esperienza e intelligenza implicita
Un altro aspetto importante che affronta Laura Salmon è il concetto di intelligenza artificiale e di
traduzione automatica. A tal proposito, ci mostra come la traduzione automatica sia stata definita a
lungo tempo una tipologia di traduzione priva di intelligenza, semplicemente perché con il concetto
di intelligenza si faceva riferimento all’intelletto dell’essere umano. Soltanto successivamente, dal
momento in cui l’intelligenza ha cominciato a esser vista come la capacità di qualsiasi sistema di
recepire, elaborare e comprende dati, la traduzione automatica ha assunto un valore maggiore,
essendo caratterizzata da un’intelligenza detta artificiale.
Tuttavia, la traduzione automatica è ancora nel mezzo di un forte dibattito, in quanto è ancora
qualcosa di fallimentare, perché la qualità delle traduzioni automatica non raggiunge sempre la qualità
delle traduzioni umane.
Dal momento in cui è stato appurato che la traduzione automatica è comunque caratterizzata da
un’intelligenza, di cui anche l’uomo è dotato, si è giunti a una nuova conclusione, ovvero che il
problema della traduzione automatica non è la mancanza di coscienza – tipica dell’intelligenza
artificiale- bensì la mancanza di un’esperienza emotivo-sensoriale legata alla realtà
extralinguistica.
Questo significa che, il traduttore automatico, essendo intelligente, riesce a fornire una serie di
traduzioni a volte anche legate a particolari contesti; il problema, però, si pone nel momento in cui vi
è da individuare un sinonimo di una parola e quando la differenza tra i due sinonimi è iper-sottile e
legata fondamentalmente alla sensibilità umana. Ad esempio, se vi è da tradurre la parola tristezza, il
traduttore ci riesce correttamente, ma se la parola tristezza è più rappresentativa di infelicità piuttosto
che di malinconia, questo il traduttore non può saperlo, semplicemente perché non è dotato della
sensibilità umana per distinguere i due sentimenti.
Automatismo inconscio e didattica della traduzione
L’ultimo aspetto affrontato dalla Salmon è quello che riguarda la didattica della traduzione, ovvero
la maniera in cui viene insegnata l’attività di tradurre.
Salmon inizia col precisare che esistono due tipologie differenti di memoria:
- La memoria semantica o descrittiva, che permette di memorizzare i contenuti delle parole,
ovvero permette di ricordare le informazioni che rispondono alla domanda cos’è – know what;
- La memoria procedurale, che permette di memorizzare il come si fa, l’how to do; essa quindi
innesca una serie di meccanismi che permettono al traduttore di mettere insieme tutti i dati
della memoria semantica e di utilizzarti al meglio.
A tal proposito, la Salmon afferma che la maniera migliore per esercitare alla traduzione è quella di
sviluppare la memoria procedurale, in quanto, essendo il linguaggio umano caratterizzato da una forte
componente motoria, è solo attraverso la memoria procedurale, che si sviluppa attraverso esercizi di
imitazione e ripetizione, che si può sviluppare una certa propensione alla comunicazione in lingua.
Per essere più specifici, la soluzione non è sviluppare solo la memoria procedurale, ma sviluppare
prima e maggiormente la memoria procedurale e successivamente quella semantica, come funziona
con i bambini: prima imparano a comunicare, attraverso frasi fatte, e poi successivamente imparano
il significato dei termini, la differenza tra essi, e così via.
Un meccanismo importante che si innesca nella mente del traduttore è quello che viene chiamato
orecchio interno; si tratta di un meccanismo che permette di confrontare le unità linguistiche delle
diverse lingue. Per capire questo processo, dobbiamo partire dalla premessa che ogni lettore registra
nella sua mente una serie di suoni e intonazioni, che sono collegati a loro volta a dei concetti. Quando
il traduttore deve tradurre, nella sua mente vengono rappresentati tutta una serie di concetti alternativi,
i quali ognuno presenta il suo suono. A questo punto il traduttore le analizza tutte, e quando individua
l’alternativa che “suona meglio” la sceglie, perché è come se il suono collegato a quel concetto
rappresentasse per lui l’alternativa più familiare, e quindi più giusta.
Un'altra importante caratteristica che deve avere il traduttore al fine di creare una traduzione ottimale
è il rinforzo qualitativo e quantitativo degli alberi concettuali o mind maps; gli alberi concettuali
rappresentano tutti i concetti che il traduttore conosce in relazione a un determinato contesto. Questi
concetti gli permettono di scegliere fra una e un’altra traduzione sulla base di contesti reali, quindi
sulla base di una realtà extralingusitica, sviluppando in questo modo quella che è definita da Halliday
grammatica delle opzioni, e non grammatica delle regole.

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