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Translation Device

C’è l’ipotesi che esista un Translation Device, ovvero un dispositivo neuro-funzionale di


traduzione in dotazione a ogni essere umano che gli permette di: passare da una lingua
all’altra, di mantenere separate le due lingue, di convertire i messaggi da una lingua all’altra
in modalità nativelike. I disturbi del linguaggio in pazienti bilingui dimostra che i processi
traduttivi sono autonomi rispetto alla comprensione/produzione del linguaggio.
L'abilità plurilinguistica è assai simile alla capacità di qualsiasi monolingue e di gestire
sottocodici diversi della stessa lingua, ovvero di passare da un sottocodice all'altro a
seconda dell'appartenenza dell'interlocutore a un gruppo specifico e della relazione
affettiva e gerarchia tra gli interlocutori. Fin dalla primissima infanzia nel cervello di ogni
bambino, vengono gradualmente sviluppati e rinforzati differenti sottocodici, tutti
appartenenti alla stessa lingua nativa che col tempo egli imparerà ad usare in modo mirato.
I sottocodici legati a precisi ambienti o situazioni, vengono chiamati gerghi. Un'altra abilità
comune a tutti gli umani è la capacità di esprimere uno stesso messaggio usando altre
parole e altre strutture della stessa lingua naturale: quando la conversazione avviene
all'interno della stessa lingua, è chiamata riformulazione o se il testo viene semplificato,
perifrasi. Questa stessa capacità è utilizzata da un bilingue per trasformare lo stesso
messaggio da una lingua all'altra e si parla in questo caso di traduzione. La traduzione tra
due lingue naturali sembra proceduralmente simile alla riformulazione intralinguistica tra un
codice e un altro e pertanto non vi è ragione di ipotizzare l'esistenza di un meccanismo
cerebrale separato per la traduzione bilingue. Paradis sostiene pertanto esplicitamente che
non c'è nessun meccanismo in un cervello bilingue che non sia disponibile anche in un
cervello monolingue. Perché qualcuno diventi un traduttore il bilinguismo è una condizione
necessaria, ma non sufficiente; infatti, un bilingue non specificamente addestrato si trova in
grave difficoltà a svolgere anche i più semplici esercizi di traduzione simultanea. Il docente
di traduzione agisce come un programmatore che deve collegare due sottosistemi, capaci di
lavorare in parallelo, in modo tale da rendere le due banche dati intercambiabili, senza
tuttavia che i due sistemi vengano mai mischiati l'uno con l'altro. Man mano che si addestra
un bilingue all'operazione di traduzione interlinguistica a livello neuro anatomico nel suo
cervello si formano e si rinforzano nuove connessioni neurali che vanno a costituire un
gigantesco ipertesto bilingue. Le connessioni di questo ipertesto che collegano ogni
enunciato della prima lingua a quello corrispondente della seconda, vanno create e
potenziate mediante imitazione e ripetizioni e rese accessibili in tempi sempre più veloci.
Tra i compiti dell'addestramento, dunque, vi è quello di creare automatismi agendo sulle
strutture cerebrali degli studenti. A quanto pare, non tutte le aree del cervello e non
entrambi i suoi emisferi sono coinvolti in modo simmetrico nei processi necessari alla
traduzione. Il fatto che, conseguentemente a un danno cerebrale un individuo possa
perdere la capacità di parlare una lingua, utilizzandolo attivamente solo se sta eseguendo un
compito di traduzione orale, sembra corroborare l'ipotesi che i circuiti neurali utilizzati per
la traduzione siano in parte specializzati, cioè diversi da quelli utilizzati per la produzione
linguistica. L'esperienza professionale della traduzione simultanea indica che è possibile in
condizioni particolari, tradurre in modo efficiente enunciati che il traduttore non
necessariamente registra a livello cosciente, perché esegue il compito come guidato da un
pilota automatico.
Un traduttore deve usare formule diverse per dire la stessa cosa in contesti diversi; per
contesto si intende una correlazione di fattori ben precisi, ovvero tra i wh-factors. A favore
di un circuito specifico per la traduzione, si consideri che: addestrandosi a riformulare nella
L1 si migliorano le abilità a tradurre da una lingua all’altra; si facilita la traduzione in
qualsiasi altra lingua. Un modello teorico sulla traduzione deve partire dal massimo livello di
generalizzazione (cosa accomuna la traduzione di qualsiasi messaggio verbale) e solo al suo
interno comprendere le particolarità dei singoli casi. La prima ambizione del modello
teorico è comprendere bottom up che cosa accomuni tutte le traduzioni che funzionano in
modo da risalire a un principio generale di equivalenza comune a tutti i tipi di testi, tutte le
coppie di lingue e tutti i formati testuali (orale, scritto). Il concetto di equivalenza traduttiva
deve corrispondere ad un’equivalenza generale che comprenda tutti i livelli di equivalenza
parziale (etimologia, morfologia, sintassi). La traduzione è l’arte di dare nomi diversi alla
stessa cosa, ovvero l’abilità di trasformare ogni unità del TP in un’unità equivalente del TA.
Proposta teorica sui processi traduttivi umani (PTT)
Per tentare una sintesi teorica sulla traduzione, esistono due diversi approcci:
 L'approccio top down definibile come deduttivo e prescrittivo, ovvero la teoria viene
formulata in modo astratto e applicata successivamente alla pratica della traduzione
(l’apprendimento utilizza la memorizzazione esplicita delle regole che vengono
studiate). Questo è l'approccio tipico dei teorici.
 L'approccio bottom up definibile come induttivo, ovvero la teoria viene ricavata
dall'osservazione delle regolarità che accomunano le strategie efficaci di traduzione di
qualsiasi testo esaminando le procedure seguite dai traduttori (l’acquisizione avviene
grazie alla ripetizione). Per questa ragione, questo metodo è utilizzato soprattutto da
teorici-traduttori, che dalla pratica del loro stesso lavoro ricavano conclusioni
generalizzabili. Il primo stadio di acquisizione è quello prosodico.
La massima ambizione di un modello teorico sui processi traduttivi è quella di essere
massimamente generalizzabile, ovvero di fornire una spiegazione ai processi traduttivi che
riguardi tutte le traduzioni possibili, senza distinzioni di tipologia testuale, coppie di lingue e
formato testuale (orale, scritto). Quest’ambizione ha caratterizzato l’impostazione di una
proposta teorica sui PPT.
Il nucleo d’informazione di un enunciato è l’invariante. Data una stessa invariante la si può
codificare in forme diverse, dette varianti o variabili. Mutando la variante muta
l’informazione complessiva. La variante è data da 3 fattori codificati nel messaggio:
caratteristiche diastratiche e diatopiche del parlante (provenienza sociale e regionale);
generale stato psico-emotivo del parlante; specifico atteggiamento del parlante nei
confronti dell’interlocutore. La comunicazione funziona perché l’interlocutore comprende
oltre all’invariante, anche l’informazione supplementare espressa dalla variante.
Nella realtà comunicativa qualsiasi enunciato dà informazioni non solo sul contenuto
primario (invariante) del messaggio, ma anche sul contenuto secondario (variante).
Consideriamo che A rappresenta COSA un enunciato esprime, mentre B rappresenta COME
la A viene espressa. Il rapporto A/B varia sempre, perché B esprime l'informazione
secondaria di chi parla, il suo umore, la sua cultura, la sua età e il suo grado sociale.
L'informazione B è quella meno esplicita, spesso del tutto implicita, cioè trasmessa a livello
inconscio. Questa informazione in realtà spesso è più rilevante dell'informazione
dichiarativa A e può influire sul comportamento dei comunicanti, quanto o più del COSA
viene detto. Schematicamente, la variabile B può essere rappresentabile su un piano
cartesiano: sull’asse delle ascisse l’affettività e in ordinate la gerarchia tra parlante e
interlocutore. Per ogni punto p del piano cartesiano (che indica la dose di autorità,
paternalismo, cameratismo o neutralità), esiste uno e un solo modo di esprimere una
qualsiasi A. il punto 0 dello schema, agli incroci tra gli assi, indica una neutralità che è
presente solo nelle istruzioni e nella comunicazione tecnica e scientifica.
Dunque, due interlocutori si trasmettono reciprocamente una notevole quantità di
informazioni di cui non sono consapevoli; la coscienza interviene quando si ha una
violazione rilevante, ovvero quando un’espressione è notevolmente anomala rispetto allo
standard previsto (un inatteso tono aggressivo). Se il COME corrisponde alle attese
l’interlocutore non presta attenzione alla variante. Una lieve violazione delle previsioni
produce comunque una reazione emotiva di cui il soggetto può percepire i sintomi ma non
le cause. Questo malessere è riconducibile alla definizione di marcatore somatico proposta
da Damasio. I marcatori somatici sono sentimenti generati dalle emozioni secondarie della
cui origine non siamo coscienti, ma che vengono registrati dall'organismo e vengono
segnalati con un indefinibile malessere o un indefinibile eccitazione.
L’orecchio interno
Per scegliere l’unità linguistica adatta, il traduttore fa appello al suo orecchio interno, un
sottosistema del Dispositivo di Traduzione che dà il comando al cervello (ok-stop
computing). L’orecchio interno opera una valutazione comparativa: stabilisce in modo
euristico che, se l’autore dell’enunciato di partenza avesse usato la lingua della traduzione,
avrebbe scelto quell’unità linguistica. Il funzionamento dell’orecchio interno per la
traduzione richiede un ottimo bilinguismo funzionale, ovvero la capacità di immaginare
qualcosa contemporaneamente in due realtà verbali. Anche nel caso di un traduttore
professionista si possono avere dei problemi di orecchio dovuti a interferenze che derivano
dal code-mixing.
L’orecchio interno di un bilingue che ha sentito l’enunciato di partenza, non può fare a meno
di averlo capito e, condizionato dal TP, quando va a valutare l’opzione traduttiva da
selezionare, può sceglierne una non equivalente (un bilingue italiano-spagnolo legge una
frase in spagnolo e la capisce bene, ma la traduce male in italiano perché è sotto l’effetto
dello spagnolo e non nota il difetto perché nell’orecchio interno ha memorizzato l’effetto
della frase spagnola che suonava bene). Questo fenomeno è un’interferenza della memoria
ecoica, legata all’eco mentale dei suoni. Quest’interferenza può indurre anche un traduttore
esperto all’uso del traduttese: è il risultato di un calco sintattico, morfologico o lessicale è
una piaga della glottodidattica scolastica. È una specie di ibrido, una lingua inesistente, che
può essere grammaticamente esatta, ma che non corrisponde alla pragmatica della realtà
linguistica di arrivo. La traduzione, quindi, è soggetta a vincoli temporali non tanto per la
tempistica imposta dal mercato, ma per quella imposta dal cervello. Il processo traduttivo,
per essere ottimale, deve realizzarsi entro soglie critiche che variano a seconda della
tipologia del TP, ma che prevedono la produzione e la selezione di soluzioni intuitive, i cui
passaggi euristici non lasciano traccia cosciente. L’orecchio interno misura la f-marcatezza,
che sollecita o inibisce l’attenzione al COME è stata formulata un’invariante. L’orecchio
interno entra in azione 2 volte: per valutare l’input (enunciato di partenza) e per verificare
l’output (enunciato di arrivo).
La f-marcatezza
Definisce una forma o una struttura poco usata, cioè a bassa occorrenza. La f-marcatezza in
un’unità linguistica, quindi non è un fattore desumibile dalle parole, ma dalle parole nel
contesto; cioè il risultato del rapporto tra il COME (B) e il COSA (A) e i fattori WH- in quel
determinato contesto. Indipendentemente dal contesto non c’è niente di marcato o non
marcato. L’equivalenza funzionale di 2 unità in due lingue diverse è data dall’identica f-
marcatezza. La traduzione scritta sembrerebbe vantaggiosa, ma in realtà non è così perché
sebbene il traduttore abbia a disposizione più tempo per prendere le sue decisioni, è
costretto a dedurre in modo euristico gli elementi dell’oralità che la scrittura non è in grado
di codificare (l’intonazione, le pause), che sono imprescindibili per stabilire cosa voleva dire
l’autore del testo. In sostanza, la PTT afferma che l’equivalenza di un testo L1 a un testo L2
emerge dalla corrispondenza di unità marcate e non che conservino un identico livello di
stranezza, altrimenti l’equilibrio complessivo si sbilancia e si finisce per trasformare un testo
in qualcos’altro. La f-marcatezza è il parametro che consente al traduttore di selezionare, tra
i potenziali sinonimi pre-attivati nel suo catalogo mentale, l’unico vero sinonimo che
funziona nell’altra lingua come l’unità di partenza. Perciò, la traduzione può essere definita
come processo di selezione di sinonimi equi funzionali.
L’equivalenza funzionale misura la corrispondenza della f-marcatezza tra unità del TP e unità
del TA rispetto all’informazione della variante e dell’invariante. Se 2 unità hanno la stessa f-
marcatezza, allora sono f-equivalenti. È la consapevolezza pragmatica a far selezionare
l’opzione che rispecchia la stessa occorrenza nel contesto, viceversa i traduttori elettronici
che non conoscono il contesto risolvono le ambiguità in modo casuale. In sintesi, il modello
teorico afferma che un testo in L1 è equi funzionale a un testo in L2 se conserva, unità per
unità, la stessa combinazione di informazione sul COSA e sul COME.
Attualizzazione e storicizzazione
In alcuni casi tra l'epoca in cui è stato scritto il TP e l'epoca del traduttore e dei destinatari
del TA esiste una significativa distanza temporale. Il traduttore deve quindi scegliere se
attualizzare il testo, ovvero tradurre il TP in un TA, in modo tale che il TA sia recepito dal
lettore di arrivo contemporanea del traduttore così come il TP era recepito dal lettore di
partenza, coevo dell'autore, ovvero eliminare la distanza temporale tra TP e TA. Oppure
storicizzare, che significa tradurre il TP in un TA in modo tale che il TA sia recepito dal lettore
di arrivo contemporaneo del traduttore così come il TP è recepito oggi dal lettore di
partenza, coevo del traduttore, ovvero marcare la distanza temporale tra i due testi.
Omologazione, straniamento e estraniamento
Per quanto riguarda le opzioni relative alla distanza culturale, l'approccio è analogo a quello
che riguarda la distanza temporale. Si può distinguere tra tre strategie. La strategia
dell'omologazione implica di eliminare gli elementi culturali estranei alla cultura d'arrivo ed
è quindi indicata per testi che si riferiscano al mondo mitico o inesistente delle fiabe o del
fantasy. Il concetto di straniamento era stato introdotto e utilizzato un secolo fa dai
formalisti russi per indicare un interessante artificio letterario, che si ottiene quando una
cosa ben nota al lettore viene mostrata come se fosse nuova e strana, come se la
descrivesse chi la vede per la prima volta. Una descrizione appare straniata agli occhi del
lettore quando è mostrato dalla prospettiva di chi vede strano ciò che il lettore ben conosce.
Lo straniamento, dunque, agisce sulla cognizione umana, addestrando a sentire che la
normalità o la stranezza dipendono sempre dal punto di vista di chi osserva. Questa
strategia crea una certa distanza culturale. L’estraniamento, si ha quando l'autore si riferisce
a qualcosa di ignoto e incomprensibile per il lettore, senza fornire spiegazioni al deliberato
scopo di suscitare una sensazione di esclusione ed estraneità; significa lasciare che il lettore
di arrivo proprio non capisca quello che nel testo di partenza è chiaro ai lettori di partenza.
Nella teoria della traduzione, il termine estraniamento indica una paradossale strategia di
non traduzione, che consiste nel non esplicitare al lettore di arrivo quello che il lettore di
partenza desume immediatamente, senza bisogno di spiegazioni. Per evitare
l’estraniamento è utile adottare la tecnica dell’esplicitazione. In alternativa si può applicare
la strategia dell'omologazione cambiando il riferimento alla cultura di partenza con uno alla
cultura d'arrivo, ma questo implica cancellare le tracce della diversità culturale. Nel primo
caso si aggiunge una spiegazione, ma si lascia l'effetto straniante, nel secondo caso si
omologa alla cultura italiana italianizzando oggetti e concetti.
Oggi, dato il numero ben più elevato di traduttori professionisti l’estraniamento non è
affatto diffuso tra i traduttori, bensì tra i teorici dei Translation studies, che in alcuni casi lo
applicano ancora come forma di enfatizzazione della diversità culturale. Il più convinto di
questa tecnica è Venuti, che ha molto insistito negli ultimi decenni sulla legittimità e sulla
necessità di valorizzare questa strategia come mezzo per combattere la globalizzazione e
l'invisibilità del traduttore. Le reazioni all’estraneità possono essere molto negative poiché
provocano l'allontanamento invece del coinvolgimento e dell'empatia, alimentando la
convinzione che il TP sia ben più strano di quanto potrebbe sembrare se la traduzione fosse
davvero equi funzionale. Infatti, una reazione negativa dei destinatari del TA rischia di
compromettere non solo la ricezione di una singola opera, ma quella di tutte le opere dello
stesso autore o addirittura quella della cultura di partenza in toto.
Ibridazione
L’ibridazione è uno dei principi fondanti dell'arte e della creatività umana. Infatti, in
generale l'effetto estetico di qualsiasi artefatto si realizza sempre attraverso una
combinazione di elementi nuovi, sorprendenti perché inattesi, assieme a elementi attesi che
innescano riconoscimento. L’ibridazione può essere rappresentata così:

L'arte letteraria creata con le lingue naturali, non fa eccezione: l'effetto artistico di un testo
si ha se il testo disattende in parte le attese, ovvero sorprende e al tempo stesso se evita
che la sorpresa ecceda i limiti che trasformano la novità in fastidio o shock.
Per una storicizzazione totale non solo servono competenze molto particolari e un progetto
troppo complesso, ma le asimmetrie tra i canoni linguistici ed estetici delle due tradizioni
comportano sempre il rischio di inficiare il rapporto sforzo/beneficio. Per questa ragione, i
traduttori professionisti optano per l'attualizzazione, dosando tuttavia alcuni elementi di
storicizzazione, aiutando il destinatario a inserirsi mentalmente in un'altra epoca, senza
perdere la credibilità espressiva che il TP aveva per il suo lettore coevo.
Le tecniche di traduzione
Il traduttore deve utilizzare delle tecniche di traduzione grazie alle quali al TA vengono
trasferite sia le informazioni invarianti sia quelle innescate dalle varianti formali del TP
(linguistiche, stilistiche e metaforiche). Queste tecniche sono poche e facilmente acquisibili,
ma è opportuno saperle dosare applicandole in modalità e quantità diversa a seconda del
singolo progetto. Grazie a queste tecniche è possibile mantenere simmetrico il potenziale di
innesco di TP e TA. Certamente più i vincoli testuali sono numerosi e sofisticati, più è
prevedibile una certa entropia, ovvero una divergenza tra i due testi, che renderà meno
probabile una riconversione precisa del TA nel TP. Come si è detto, l'entropia è del tutto
accettabile persino in matematica e comunque in traduzione non preclude mai il
riconoscimento del rapporto stretto tra i due testi; se la corrispondenza non si ha a livello
della singola unità, si ha comunque a livello di somma degli addendi e del definitivo
potenziale d'innesco. Le tecniche traduttive sono quattro.
Esplicitazione
Comporta la conversione di un frammento del TP in un parallelo del TA che sia egualmente
informativo, dando la priorità all'informazione implicita più rilevante. È spesso
indispensabile nel caso degli omonimi, cioè dei termini dell'onomastica (nomi di persona, di
luoghi); se per esempio nel TP viene nominata la via centrale di una città il cui nome si
prevede non inneschi alcuna informazione nella mente del lettore di arrivo, il traduttore
aggiunge sulla “Centralissima” via XX. Viene trasferita a livello esplicito l'informazione
implicita al destinatario del TP. In corsivo viene data l'esplicitazione di primo grado e tra
parentesi quadre quella di secondo grado, necessaria solo se non desumibile dal contesto.
Esistono due modalità di esplicitazione, la prima è quella che produce una generalizzazione,
ovvero un’esplicitazione per iperonimia (il marchio di sigarette diventa più in generale il
fumo); la seconda modalità è quella che produce una specificazione, ovvero
un’esplicitazione per iponimia.
Condensazione
È opposta all'esplicitazione, infatti mira a condensare due termini o due concetti in uno solo.
Ad esempio, un aggettivo e un sostantivo diventano un solo sostantivo (small table-
tavolino). È una tecnica usata continuamente nel sottotitolagli, nel doppiaggio, quando a
causa dei limiti spazio-temporali è indispensabile trasmettere le stesse informazioni con un
numero ridotto di parole.
Compensazione
Si usa quando in caso di asimmetria tra le due lingue, non si riesca ad ottenere l’equi
funzionalità tra due unità corrispondenti dei due testi. Il diverso potenziale espressivo di un
elemento in un segmento del TP viene compensato da un altro elemento nel TA. Si usa in
poesia e nella canzone d'autore.
Spostamento
È la tecnica con cui uno o più elementi di un enunciato vengono ricollocati nel TA in
posizione diversa rispetto a quella del TP. Lo spostamento può implicare l'anticipazione di
una parola (dislocazione a destra), o la sua posticipazione (dislocazione a sinistra). Nella
traduzione di testi in prosa, lo spostamento è spesso usato nei TA sotto forma di inversione
sintattica per motivi prosodici e euforici.
Il cult text
Sono testi che hanno un ruolo fondamentale per la cultura di partenza e per il gruppo di
riferimento. In questa categoria rientrano canzoni, film, romanzi, poesie e tutti i testi che
detengono un particolare potenziale evocativo basato su meccanismi identitari, ovvero un
gruppo di persone distinto, per età e strato sociale, si identifica con l'opera cult. Questa
tipologia di testi rivela un potenziale memetico molto superiore alla media, non solo ha la
capacità di diffondersi, ma anche di attecchire nella memoria delle persone, agendo come
elemento coesivo di una collettività. La poesia e le canzoni sono più consone a diventare
cult text, poiché la prosodia, il ritmo e la rima facilitano l'attivazione dei circuiti mnestici.
L'unica procedura per tentare di riscrivere un test cult in un'altra lingua è quella di provare e
riprovare, valutando consenso e dissenso e pubblicando piccoli frammenti di testo per un
pubblico esperto e ristretto. In tal modo si può partire proprio dalle strofe più cult per le
quali più severo sarà il giudizio degli esperti che, conoscendo il TP, potranno misurare il
grado di equi funzionalità del TA o, al contrario di dissacrazione. Una volta verificato quali
soluzioni siano state più apprezzate dagli esperti, si prosegue adottando lo stesso progetto.
Strumenti
Riccio sottolinea il fatto che la comparsa della rete ha cambiato la metodologia di ricerca e
l'interpretazione dei dati. Con Internet è possibile reperire velocemente informazioni
complesse ed accedere a una quantità strabiliante di informazioni multilingui, ma proprio il
fattore quantità è al contempo il maggior pregio e il peggior difetto della rete. Come noto,
quando le informazioni sono troppe e quando sono discordanti o sono prive di fonti
affidabili, ci si può ritrovare senza criteri per stabilire quale risposta sia più affidabile
dell'altra. In un mondo con una tecnologia in accelerazione esponenziale, i termini stessi di
cui si servono scienza e tecnologia sono in parallela evoluzione. Proprio per questo i
traduttori devono prestare un'attenzione particolare alla coerenza diacronica, diatopica e
diastratica per quanto riguarda il lessico quotidiano, la fraseologia e la pragmatica della
cosiddetta lingua standard (un termine che prima era considerato sbagliato, oggi può
trovarsi nei dizionari: tramite usato come connettore e non sostantivo). Ci sono parole,
idiomatismi e modi di dire che possono sembrare a un primo sguardo traducenti ottimali,
ma che, commisurati al contesto, risultano incoerenti e marcati. Per aggiornarsi sulla
statistica d’uso di parole e termini, il traduttore è oggi più che mai costretto a mantenere un
contatto costante con la comunicazione quotidiana nelle sue lingue di lavoro e a seguirne
l'evoluzione.
I dizionari
Per i traduttori l'uso del dizionario bilingue è sempre stato dannoso. I dizionari bilingui
ovviamente, possono avere una certa utilità in alcuni rari casi e per alcuni utenti, ma non
sono mai utili ai traduttori in generale. Quando non si conosce un termine, l'ultima cosa
raccomandabile è quella di andare a cercarlo in un repertorio lessicografico che non si
conosce e che quindi non può si riconoscere il termine adatto tra un elenco di suggerimenti
poco contestualizzati, non si può riconoscere ciò che non si conosce. C'è solo un caso in cui
il dizionario bilingue può servire a un traduttore: quando si verifica un’anomia, cioè quando
il traduttore non riesce a richiamare alla memoria a breve termine una parola che sa di
conoscere bene, ma che ha dimenticato in quel momento e che quindi può riconoscere tra i
traducenti proposti dal dizionario. Sei si considera la traduzione specializzata di testi
professionali in alternativa al dizionario bilingue si possono utilizzare i glossari terminologici.
I corpora
I corpora non sono nati con l'elettronica, ma costituiscono un concetto e un oggetto noto fin
dall'antichità. Il corpus è l'insieme di testi che costituiscono l'oggetto della ricerca.
L'utilizzo di corpora di testi fin dal lontano passato è stato il terreno di sviluppo degli studi
letterari. La ricerca letteraria, infatti, ha sempre aspirato a trovare gli elementi dominanti
dell'opera di un autore attraverso termini ed espressioni linguistiche ricorrenti nel corpus
dei suoi testi. All'alba degli studi di linguistica, i corpora di testi sono stati una fonte preziosa
per formulare ipotesi di tipo teorico partendo dai dati della lingua realizzata (metodo dal
basso); ma anche in senso inverso, i corpora di testi sono stati e restano un'importante
punto d’arrivo per la verifica di ipotesi teoriche formulate a partire da premesse (metodo
dall'alto). La comparsa di corpora di testi in formato elettronico ha cambiato radicalmente le
prospettive di lavoro di linguisti, letterati e traduttori. I corpora elettronici sono banche dati
di testi, selezionati da specialisti secondo parametri ben precisi, che vengono inseriti in reti
informatiche con accesso libero e controllato. Ogni corpus elettronico consente, attraverso
uno specifico indirizzo web, l'accesso a dati linguistici discreti presenti nei testi di una banca
dati selezionata secondo criteri cronologici, autoriali e tematici. Accedendo al corpus si può
effettuare la ricerca di singoli termini o di una precisa sequenza di parole, ottenendo
l'elenco di tutte le occorrenze e potendole confrontare, eventualmente, con quelle di altri
corpora. Ciò consente al ricercatore in pochi minuti, di valutare la tipologia e affidabilità
della fonte, del contesto e della frequenza d'uso.
I corpora possono essere generali (che rappresentano la lingua in ogni sua varietà) e
specialistici (distinti per varietà testuali); possono distinguersi in scritti, parlati e misti;
nonché in diacronici (che considerano testi di epoche diverse) e sincronici (che riguardano la
lingua degli ultimi 10-20 anni); possono essere monolingui e bilingui e possono essere
comparabili (corpora di confronto, testi della stessa tipologia in lingue diverse che non sono
traduzioni) o paralleli (gruppi di testi uniti alle loro traduzioni, possono essere unidirezionali,
i TP in una sola lingua e il TA in un’altra; oppure bidirezionali, TP in entrambe le lingue con i
rispettivi TA nell’altra lingua).
È pertanto fondamentale che alle banche dati esterne ci si affidi quando già si è consolidato
nel cervello un dizionario pragmatico interno. Questo perché i corpora elettronici inducono
a preoccuparsi dell'ortografia più che dei problemi fonetici e prosodico-intonazionali,
distraendo l’utente dall'oralità che, come si è visto, va sempre ricostruita per valutare la
marcatezza funzionale di un enunciato nel contesto. Anche per questo è opportuno che,
prima di andare a lavorare coi testi scritti in formato elettronico, gli studenti abbiano ben
sviluppato l'orecchio implicito alla lingua e abbiano imparato a capirla e a riprodurla per
imitazione.
Il panorama professionale
Dal 1941 in Italia i diritti d’autore dei traduttori sono protetti da una legge. Eppure, per
poter pubblicare il proprio lavoro, il traduttore deve cedere del tutto i propri diritti
all’editore. Le ragioni di uno scarso prestigio professionale dei traduttori e delle loro scarse
possibilità di negoziare con i clienti un prezzo rispettabile sono dovute all’assenza di un
ordine professionale riconosciuto ufficialmente dallo Stato. Chiunque può fare il traduttore
poiché la legge sul diritto d’autore tutela chiunque si auto-proclami traduttore. In Italia
esiste l’Associazione Italiana Traduttori e Interpreti (AITI), che però non è un ordine
professionale, per entrare a farvi parte non è necessario un titolo di studio; se almeno
l’iscrizione a un’associazione riconosciuta fosse vincolante si eviterebbe l’amara
incongruenza tra il numero degli iscritti (1100 membri) e il numero dei “traduttori” che
operano in Italia.
Oggi la professionalità di traduttori editoriali è nettamente migliore rispetto a qualche
decennio fa e la sensibilizzazione alla complessità della professione ha certamente
contribuito alla crescita del senso di responsabilità dei traduttori e al rigore delle traduzioni.
Tuttavia, manca ancora del tutto una classe di critici competenti che educhi le competenze
dei destinatari. Finora, fatta eccezione per le riviste scientifiche destinate al circuito
accademico, la critica delle traduzioni è stata pressoché assente dalla stampa italiana.
Popovic sosteneva che esistevano due tipi di critica: quella modellata sulla critica letteraria
applicata direttamente al TP; e quella che non ne teneva alcun conto, poiché riferita
esclusivamente al sistema nazionale di arrivo. In realtà, una nuova e credibile critica della
traduzione editoriale dovrebbe essere una sintesi dei due approcci. Ovviamente, un critico
della traduzione può non essere un traduttore, ma deve essere esperto nel proprio campo
(di traduzioni). In sintesi, la critica della traduzione può esistere solo sulla base di un
modello teorico.
Traduzione specializzata
La traduzione dei testi tecnici e scientifici basati su terminologia specialistica è la tipologia
professionale più diffusa sul mercato mondiale e viene definita traduzione specializzata. Il
traduttore dovrebbe avere una competenza di base rispetto alle tematiche oggetto di
traduzione. Un traduttore che ha ampia esperienza in un certo settore con una particolare
coppia di lingue, è facilitato a diventare traduttore in quello stesso settore, qualora
introduca una lingua nuova; così come è anche avvantaggiato se, diversamente, vuole
introdurre per la sua abituale coppia di lingue un nuovo ambito di specializzazione. I termini
delle lingue settoriali sono detti microlingue.
L’interpretazione
Dell’interpretazione di conferenza fanno parte 3 tipologie di prestazioni molto diverse che si
svolgono nello stesso contesto e che richiedono una preveniva preparazione tematica e
terminologica: interpretazione simultanea, interpretazione consecutiva, chuchotage.
La traduzione meno faticosa è la traduzione simultanea, avviene in una cabina che oscpita 2
interpreti ciascuna. Tranne rari casi il simultaneista traduce sempre in modalità passiva (cioè
verso la L1) e solo eccezionalmente in modalità attiva (in retour verso la L2).
Il consecutivista non sta dentro una cabina, ma in piedi o seduto a breve distanza dal
relatore osservando direttamente il pubblico, non ha le cuffie e interviene a intervalli più o
meno regolari. Non traduce le singole unità coprendo le parole del relatore, traduce un gran
numero di unità tutte insieme, successivamente al relatore che si ferma appositamente per
essere tradotto; l’interprete prende appunti per non dimenticare. Lo chuchotage è una
tipologia anomala di simultanea in assenza di cabina che è più disagevole per tutti per tutti.
L’interprete si posiziona dietro due, massimo tre destinatari della traduzione ed esegue la
simultanea solo per loro, sottovoce.
L’interpretazione di trattiva diverge da quella di conferenza per alcuni aspetti fondamentali:
l’interprete, che siede al tavolo con i destinatari delle 2 lingue in diretta esposizione, per lo
più lavora da solo e quindi opera in modalità attiva e passiva e deve quindi operare una
maggiore mediazione interculturale. La funzione del trattativista è quella di far svolgere una
discussione efficace e di far raggiungere un accordo tra le parti oltre all’accuratezza nel
trasmettere i contenuti del dialogo. Il trattativista viene assunto da una delle due parti, ma
non deve discriminare la controparte. il vantaggio di queste prestazioni rispetto a quelle di
conferenza, è quello, qualora non sia compreso qualcosa di poter chiedere alcune rapide
spiegazioni durante i singoli interventi; inoltre, considerando situazioni conflittuali,
l’interprete può chiedere a chi ha parlato se ci sia qualcosa che sia meglio non tradurre. C’è
quindi un canale di comunicazione tra interprete e relatore. Anche lui prende appunti.
La mediazione interculturale o community interpreting è una modalità di traduzione orale
che può essere definita come interpretazione in ambito sociale. Non gode di un prestigio
paragonabile a quello di conferenza, ma ha un ruolo fondamentale in società interetniche e
in epoche di forti ondate migratorie, per facilitare la comunicazione negli ospedali, nei
commissariati e negli enti pubblici.
Per quanto riguarda il cinema, le tipologie di traduzione più diffuse sono 3:
 Il doppiaggio (diffuso in Italia, Germania, Spagna)
 Il sottotitolaggio (diffuso in Francia e Inghilterra)
 La voce in sovrapposizione, ovvero l’inserimento di un voice over (diffuso nei paesi
dell’est europeo, compresa la Russia
Il doppiaggio consiste in 4 fasi:
1. La traduzione dei dialoghi, fatta per iscritto dal dialoghista
2. L’adattamento di questa traduzione da parte di un adattatore che sulla base del
confronto con le immagini, rimodella i dialoghi tradotti
3. L’intervento del direttore di doppiaggio che è il regista che guida la recitazione degli
attori doppiatori, serve anche a migliorare la funzionalità dei dialoghi. Dopo aver
adattato il prodotto, il direttore segue la recitazione degli attori nello studio di
doppiaggio, un luogo apposito in cui sono disponibili attrezzature standard
4. La sincronizzazione con macchinari ad alta tecnologia che perfezionano la sincronia di
voci e immagini
La suddivisione dei compiti traduttivi nelle tappe del doppiaggio cine-televisivo dipende
dalla lingua di partenza. Se la lingua è l’anglo-americano i problemi sono ridotti perché il
direttore solitamente è competente e le case produttrici americane trasmettono agli
operatori non anglofoni dei vari paesi le trascrizioni dei dialoghi, con le informazioni ostiche
per qualsiasi traduttore (le caratteristiche diatopiche, dialettali e accenni ai nomi propri,
qualora siano realia della cultura americana (concetti tipici esclusivamente di quella
cultura). In tal modo chi traduce il film è cosciente della marcatezza del TP e sui realia. Un
simile ausilio è inimmaginabile nel caso di un film di una lingua rara (giapponese, polacchi).
La nascita del sottotitolaggio risale all’epoca del film muto, quando le scritte a fondo
schermo avevano una funzione simile a quella del testo nei baloons dei fumetti. Con la
comparsa del sonoro, questa pratica si è rivelata efficace come metodo di traduzione
interlinguistica, in quanto non impediva al destinatario l’accesso alla prestazione degli attori
in versione originaria. Tuttavia, un buon doppiaggio piò rendere onore alla recitazione degli
attori e spesso migliorarla, mentre il sottotitolaggio distrae lo spettatore dalle immagini,
costringendolo a leggere, invece di guardare. La difficoltà risiede nella capacità di operare
una selezione delle informazioni per trasformare un messaggio orale, il cui ascolto richiede
un tempo ridotto, in un messaggio scritto, per cui ci vuole più tempo. Si tratta di una vera e
propria tecnica di riduzione che comprende regole come la condensazione, l’esplicitazione,
l’eliminazione totale. Uno dei limiti del sottotitolaggio è che, nei dialoghi di un audiovisivo
sono presenti tutti gli elementi del parlato: intonazione, accenti locali o stranieri, aspetti del
dialetto che danno informazioni sulla provenienza sociale del parlante; nei sottotitoli,
invece, si deve ricorrere alla tecnica della compensazione, ma non c’è sufficiente spazio.
Per quanto riguarda la pratica della voice over, si tratta della sovrapposizione di una voce in
lingua di arrivo ai dialoghi di partenza, i quali tuttavia non vengono eliminati, ma solo
trasmessi a volume ridotto. Per eseguire questa tecnica, come nel doppiaggio, si traducono i
dialoghi e si adattano in modo sommario alle immagini, ma invece di far recitare i dialoghi
tradotti ad attori diversi, una singola voce legge tutte le battute. In certi casi i lettori dei
dialoghi sono due attori: uno per coprire le voci maschili e l'altra quelle femminili. In epoca
sovietica la tradizione del doppiaggio era eccellente, pur con una tecnologia obsoleta, quella
russa era una delle migliori scuole al mondo. Tuttavia, in mancanza dei fondi statali bloccati
dalla crisi degli anni 90, non è stato più possibile affrontare un impegno quantitativo così
straordinario come quello richiesto dal neocapitalismo russo. Non c'erano mezzi per pagare
i dialoghisti e i doppiatori professionisti. Il voice over si è rivelato una soluzione economica e
veloce per la traduzione in serie e il pubblico si è abituato semplicemente, al punto che
ancora oggi è molto diffusa in questi paesi. Come la sottotitolatura, questo metodo ha
anche il vantaggio di preservare il TP con le relative intonazioni, cosa utile in caso lo
spettatore conosca un poco la lingua di partenza, sempre udibile in sottofondo.
La traduzione dei testi teatrali
Per quanto riguarda la traduzione delle opere teatrali, si lavora solitamente con margini di
tempo ridotti, ma con la possibilità di avvalersi della consulenza del regista e dei suoi
collaboratori. L'opera teatrale richiede una particolare preparazione culturale da parte del
traduttore, che deve avere dimestichezza con il teatro in generale, con i canoni di
recitazione e di recitazione del singolo autore. Esistono due tipologie diverse della
traduzione teatrale:
 Il testo tradotto è finalizzato esclusivamente alla rappresentazione, non è un prodotto
autonomo, ma uno strumento per il regista che lo manipola
 Il testo è destinato alla pubblicazione e gode quindi di una sua autonomia,
rispondendo alle regole del mercato editoriale. In questo caso la traduzione può
essere progettata per la sola lettura o anche per la rappresentazione.
La traduzione dei testi cantati
Del tutto diversa e più complessa è la traduzione della canzone d'autore, che è uno speciale
artefatto in cui devono congiungersi in modo ottimale due componenti:
- Il microtesto musicale semif-isso, detto maschera, che può essere eseguito con
varianti strumentali
- Il microtesto linguistico, a sua volta scindibile in testo scritto e testo canoro.
Il traduttore, quindi, varierà il progetto a seconda che si tratti di tradurre il microtesto
linguistico per la pubblicazione a stampa oppure di tradurre il microtesto linguistico per
l'esecuzione canora, ovvero costruendo il TA direttamente sulla maschera musicale.
Etica e deontologia
Verso la fine del secolo scorso, il traduttore e teorico della traduzione Pym pubblicava un
volume dal titolo ‘Pour une ethique du traducteur’, che costituiva il primo dettagliato studio
sull'etica della traduzione. Pym considerava il fine ultimo della professione del traduttore
essere mediatore nella cooperazione tra culture dominanti e culture dominate. Ciò che
interessava l'autore era individuare un concetto trasversale di guadagno, collegato alla
professione del traduttore, che in termini semplificati, definisse l'etica come cooperazione
economica: “Ci devono guadagnare tutti. C'è quindi in questa forma di cooperazione
qualcosa di etico”. Sulla base della definizione dei termini etica e deontologia, le questioni
sollevate da Pym paiono decisamente deontologiche non etiche. L'etica, infatti, riguarda una
sfera che può essere in contrapposizione con la cooperazione professionale. Nel significato
odierno la deontologia comprende l'insieme delle norme che regolano una professione e
che sono quindi condivise da coloro che la esercitano. L'etica, al contrario, riguarda
l’insieme delle regole morali soggettive che, a prescindere dalla cooperazione professionale,
ogni essere umano si dà in base a valori individuali. La deontologia, infatti, impone ai
professionisti di applicare la legislazione vigente in materia, mettendo in pratica al meglio le
proprie abilità professionali. L'adesione alle norme professionali previste dalla deontologia
suggerisce a qualsiasi traduttore di avvantaggiare con il proprio lavoro il committente, ma la
complessa struttura etica personale può indurre a posporre la deontologia all'etica. La
deontologia risulta delegata interamente alla cultura, l'etica, invece, avrebbe a che fare con
la natura biologica dell'essere umano. L'esistenza del libero arbitrio pare proprio una
condizione indispensabile per parlare di etica.

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