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ADELE REI

Il muro della terra esce nel 1975, sono passati 10 anni dalla raccolta precedente Congedo
del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee (che l'autore giudicava quasi incompiuta).
Le date di composizione 1964-1975 indicano una sovrapposizione cronologica fra i due
volumi e la continuità è confermata da molti testi che proseguono gli stessi temi. Caproni è
già conosciuto sia come poeta che come traduttore, ma è proprio con questa raccolta che
arriva il vero successo. Una nota d'autore aggiunge: tutte le poesie qui raccolte sono
inedite in volume, tranne Arpeggio, Palo e Oss’Arsgiàn, già apparse ne Il “Terzo libro” e
altre cose. Il titolo in copertina è tratto da Dante, inferno x 2. Questo titolo è il secondo
titolo dantesco di Caproni dopo il seme del piangere. Nei versi della commedia siamo
subito dopo l'entrata nella città di Dite che è ingresso nell'inferno più profondo. Dante e
Virgilio camminano fra le mura e le tombe degli eretici e degli epicurei negatori di Dio. La
citazione di Caproni è subito successiva al momento della crisi e dell'impotenza di Virgilio,
prima costretto a lasciare temporaneamente Dante, e poi ad affidarsi a un Messaggero
celeste. C'è il tema del bisogno di guida, fondamentale in questa raccolta e ci sono dei
riferimenti che legano al percorso dantesco i viaggi poetici dell'ultimo Caproni. Per Caproni
l'abbandono e l'attesa della guida sembrano protrarsi indefinitamente, non prospettare
nessuna risoluzione. Il motivo dell'assenza, della negazione o della morte di Dio (la guida
prima) si ripropone con diversi travestimenti nell'intera raccolta. “Il muro della terra” allude
a una condizione costrittiva, a un impedimento, ad un ostacolo. La terra qui non è la città
come in Dante, ma è vera terra o forse anche l'intero pianeta. in molte interviste Caproni
afferma che il muro è per lui il limite che incontra a un certo punto la ragione, che vuole
significare l'impossibilità umana di sorpassare la nostra condizione. Questo muro della terra
potrebbe essere il nostro cranio, la caverna famosa di cui parlava Platone; al di là di quel
muro si estendono i luoghi “non giurisdizionali”, alieni e inconoscibili. Ci si sta addentrando
in un'altra dimensione, in un mondo intermedio fra vita e morte che fa perdere ogni
illusione di razionalità e ogni capacità di ritorno. Si accentuano la solitudine e si replicano i
congedi e gli addii in un paesaggio sempre più residuale, dove gli interlocutori si riducono e
le parole finiscono per risuonare nel vuoto, parole che l'io rivolge a sé stesso o semmai ai
lettori fuori del libro, unici destinatari rimasti. Affiorano gli spettri strazianti di un passato
concluso e pieno di rimorsi, resistono le figure dei familiari evocati ripetutamente nelle
dediche e nei testi come ancore affettive che possono, forse, addolcire il naufragio nel
nulla. Le storie che cominciano e si interrompono mettono in scena una metafora del
viaggio che si sta compiendo, cantandole talvolta con ironia tipica del teatro; ma finiscono
sempre per dichiarare un'assenza e si interrompono nel timore. Si perdono le coordinate
spazio-temporali, il quando e il dove diventano incerti. I luoghi si fissano sui punti di
passaggio (il confine, la stazione). Nelle poesie il personaggio che dice “io” si trova in
ambienti che sembrano essersi materializzati dal nulla; nessuna mappa o sentiero. “Io non
so ben ridir com’io v’entrai” aveva dichiarato Dante nel primo canto. Terre dove ogni traccia
di vita civile e sociale pare in via di cancellazione. Anche il tempo è anomalo e inaffidabile:
si blocca, torna indietro, si allarga. Se il muro della terra rende inattingibile l'oltre, sono
accessibili solo calcinacci e mattoni, pezzi che hanno smarrito la loro primitiva funzione. La
continua certificazione del vuoto corrisponde a una progressiva rarefazione delle parole,
che tendono a sgranarsi e a distanziarsi allargando gli spazi bianchi. Una poesia scarna,
frantumata, incidentata da parentesi e puntini di sospensione. Il suono precede e quasi
induce il senso, riecheggia in una rete fittissima di rime, assonanze e allitterazioni. Anche il
libro è sapientemente costruito un po’ come si può concepire una Sonata, combinando
cioè vari tempi. Le varie sezioni interrompono la continuità del testo e inseriscono
titolazioni che valgono da segnali, ma sono legate fra loro da plurimi richiami tematici. il
registro breve, aforistico si alterna con testi di più ampia portata narrativa, anticipandoli o
fissando la morale della favola. Temi elevati e quesiti religiosi vengono risolti in poche frasi,
irrisi da una metrica facile ed elementare. Figure diverse rispecchiano spesso
ambiguamente l'io. Non si capisce bene se stiamo leggendo di un viaggio nelle terre di
nessuno -dove ripetutamente si annuncia di partire ma non si arriva mai, o ci si ritrova al
punto di partenza bloccati e sospesi in una sorta di antinferno- o se invece siamo in un
teatro. La costruzione delle poesie, la metrica e la sintassi sono determinate da un costante
criterio binario: si procede con un andamento pendolare per coppie bifronti. Un principio
di contraddizione sovrappone gli opposti rendendoli equivalenti e reversibili. Anche
l'identità e le funzioni si scambiano e si invertono. L'io si sdoppia, diventa un alter ego e
spesso coincide con quel Dio assente o morto che si insegue per tutto il libro. Il tema
conduttore di questa raccolta è la ricerca ininterrotta e fine a sé stessa. Nella raccolta
riecheggia un battito sordo, quasi un memento Mori che accompagna molte poesie; spesso
inserendosi come un sottofondo sordo che batte l'ora morta, che bussa alla porta. Un
rullare che richiama quello delle esecuzioni, che segnala l'avvicinarsi di una minaccia.
Questo tetro rintocco risuona con varie intensità in un paesaggio decolorato, in bianco e
nero, dove luce e buio si alternano nullificando il potere di ogni lampada o lanterna. “Non
si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte?” gridava l'uomo folle
nel celebre aforisma 125 della Gaia scienza di Nietzsche annunciando l'assassinio di Dio.
Ma è proprio dal totale azzeramento che paiono nascere un'inedita libertà e una nuova
leggerezza. Il vuoto che si allarga e investe ogni campo provoca una sorta di ebbrezza.
Questo libro sembra pronto e predisposto a infinite variazioni, a plurimi ampliamenti e non
a caso sia Vittorio sereni che Attilio Bertolucci leggevano oltre l'apparente negatività di
questa raccolta, e vi riconoscevano una sorta di potere energizzante, perfino consolatorio.
NOTA BIOGRAFICA
Caproni nasce a Livorno nel 1912, 10 anni dopo si trasferisce a Genova che sarà per lui la
prediletta città dell'anima. A diciott'anni abbandona l'ambizione di diventare violinista, ma
la musica resta una delle passioni della sua vita. Nel 1936 esce la sua prima plaquette
Come un'allegoria. Nel 1938 sposa Rina e vince un concorso per maestro a Roma, ma
scoppiata la guerra viene mandato sul fronte occidentale. Caproni resta in Val trebbia dove
collabora attivamente alla resistenza partigiana, ma senza sparare nemmeno un colpo.
Negli anni difficili del dopoguerra si trasferisce con la famiglia a Roma, dove insegna alle
elementari e collabora fittamente a giornali e riviste con saggi e recensioni. In questo
periodo comincia anche la sua carriera di traduttore, soprattutto del francese; traduce Il
tempo ritrovato di Proust, Baudelaire, Garcia Lorca, Apollinaire e Flaubert. Nel 1952 esce la
raccolta poetica Le stanze della funicolare (premio Viareggio), poi ripresa nel Passaggio
d’Enea. Il seme del piangere testimonia la ricerca di un linguaggio limpido e cristallino. Il
libro successivo, Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee del 1960
inaugura la fase forse più innovativa della carriera di Caproni, che sperimenta una poesia
metafisica e narrativa, tragica e ironica. Nel muro della terra i grandi temi del viaggio, del
transito, del colloquio con i morti, della duplicità, della ricerca sono ritrovati nel loro valore
universale, compensati da un'ironia. Si prospetta poco dopo un'altra raccolta intitolata Res
amissa, ma la morte di Caproni interrompe il progetto. Negli ultimi decenni l'opera di
Caproni ha ottenuto una sempre crescente fortuna critica e anche il costante allargamento
dei lettori.
Caproni ha espresso più volte una esplicita diffidenza sull'utilità dei commenti alla poesia,
in ogni caso, diceva, l'onere e le responsabilità spettano ai critici e ai lettori, che possono
magari fare meglio dello stesso autore.

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