La neurologia descrive il fenomeno della lateralizzazione: i due emisferi cerebrali lavorano in maniera
specializzata.
La psicologia descrive la natura di tale specializzazione (emisfero destro: compiti di natura globalistica,
olistica, simultanea, analogica; emisfero sinistro: compiti di natura analitica,sequenziale, logica), oltre ai
meccanismi della memoria.
La neurolinguistica individua nell’emisfero sinistro le due aree in cui avviene l’elaborazione del linguaggio.
Con il contributo delle ricerche neurosemiotiche, indica come i diversi tipi di messaggio vengano elaborati
attraverso una sequenza di operazioni interrelate tra i due emisferi.
Marcel Danesi (1998) ha tratto le implicazioni glottodidattiche di questi fenomeni, sintetizzabili in due
parole chiave: bimodalità e direzionalità.
Bimodalità
La comunicazione linguistica coinvolge entrambe le modalità del cervello; di conseguenza esse devono
essere integrate perché l’intera mente dell’allievo, e non solo la sua dimensione razionale, formale e logica,
sia coinvolta nel processo di acquisizione linguistica.
L’opposizione di Krashen tra acquisizione (memoria a lungo termine, integrazione dei due emisferi) e
apprendimento (memoria a medio termine, emisfero sinistro) riprende questo principio.
L’approccio grammatico-traduttivo e quello strutturalistico hanno trascurato il principio di bimodalità, che
invece è stato accolto dallo schema di unità didattica elaborato da Giovanni Freddi fin dagli anni Sessanta:
fasi di Motivazione (integra le emozioni e le curiosità del cervello destro con l’analisi dei bisogni di quello
sinistro), Globalità (modalità destra), Analisi (modalità sinistra), Sintesi (+ Controllo/Valutazione).
Direzionalità
L’uso bimodale del cervello avviene secondo una direzione precisa: dall’emisfero destro (modalità
contestualizzanti e globalistiche) all’emisfero sinistro (modalità formali).
Perciò durante le prime fasi si motiva all’acquisizione coinvolgendo in maniera bimodale la dimensione
affettiva e quella logica, poi si presenta il materiale in modo contestualizzato (modalità destra), infine si
formalizza l’analisi con tecniche associate alla modalità sinistra.
Dalla metà degli anni Novanta è tramontata la corrente di pensiero che attribuiva lo sviluppo del linguaggio
alla pressione dell’ambiente, attraverso la creazione meccanica di mental habits. Oggi la psicolinguistica è
concorde nel ritenere che esista una facoltà di linguaggio propria della specie umana e che essa sia innata,
quindi trasmessa geneticamente.
Questa idea si fonda su tre osservazioni:
a. nel bambino, l’acquisizione linguistica segue tappe prevedibili per ogni lingua; lo sviluppo del linguaggio
segue percorsi simili e indipendenti dall’ambiente socio-culturale;
b. come ha mostrato la linguistica acquisizionale, tale ordine naturale vale anche nell’acquisizione
spontanea di altre lingue, indipendentemente dall’età;
c. lo studio delle lingue esistenti oggi nel mondo mostra l’esistenza di meccanismi comuni sottostanti a
tutte le lingue (grammatica universale): ciò è possibile solo ipotizzando una facoltà di linguaggio
geneticamente preordinata.
Lo studente di lingua straniera, quindi, non è un vaso vuoto da riempire, ma è un soggetto attivo, dotato di
un meccanismo di acquisizione linguistica (LAD) che va supportato e reso più efficiente soprattutto nei
tempi di acquisizione. Questa funzione è svolta dal LASS (Language Acquisition Support System) ipotizzato
da Bruner a completamento del LAD chomskyano (per la L1: famiglia, adulti; per la lingua straniera:
insegnante, compagni, social network). L’insegnante di lingua straniera può dunque essere inteso come un
esperto nella funzione LASS in lingua straniera.
Secondo Krashen l’acquisizione – anche in presenza di un input reso comprensibile dal LASS e di stimoli
collocati nel giusto punto delle sequenze acquisizionali – richiede una situazione in cui non ci sia paura o
ansia da prestazione, cioè un filtro affettivo, altrimenti la memorizzazione è temporanea e non stabile.