Sei sulla pagina 1di 26

La grammatica tra acquisizione e apprendimento

1. DEFINIRE LA GRAMMATICA TRA STORIA, POLISEMIA ED ECLETTISMO


1.1 Storia di una disciplina.
La più antica testimonianza di grammatica è attribuita agli indiani, sono però i geni i primi ad approcciarsi
all’arte di studiare sistematicamente la lingua. A loro dobbiamo il conio del termine «grammatica» cioè la
disciplina che include l’arte di scrivere le lettere. Nella cultura greca infatti la grammatica si riferiva solo alla
capacità di saper scrivere correttamente.
Tra i primi greci che si occuparono di grammatica abbiamo: Protagora che per primo individuò i generi,
Aristotele che distingueva le classi di parole in nomi e verbi. I filosofi storici, in particolare Crispino
continuarono poi a perfezionare l’opera. Gli stoici definirono la lista delle parti del discorso, la nozione di
declinazione e di congiunzione. Arrivando così a Dioniso Trace arrivò a compilare la prima, sistematica,
grammatica greca, è proprio in questo periodo che la grammatica acquisisce lo status di disciplina autonoma.
La prima Ars grammatica romana era un’opera breve e sommaria e comprendeva principi d fonetica e di
flessione.
Palemone fu il primo tra i romani a costruire una Ars grammaticae che approfondiva questioni di sintassi.
L’affermazione della grammatica come disciplina di studio è definitivamente suggellata dalla sua inclusione
nelle arti liberali che costituivano, durante il Medioevo, i due gradi dell’insegnamento scolastico, uno
letterario e l’altro scientifico.
Significativa importanza ebbero gli studiosi medievali e rinascimentali che concentrarono la loro attenzione
sugli aspetti logici della lingua; la grammatica cominciava ad essere lo studio della lingua in uso.
Nel XVI secolo nel nostro paese permaneva la tendenza logicizzante e intellettualistica dei due volumi del
Della Lingua toscana (Firenze, 1643), di Benedetto Buonmattei che preparò la strada alla costruzione della
Grammaire générale et raisonnée di Lancelot, Arnauld e Nicole. In quest’opera si sostiene che in tutte le
lingue vi sono alla base strutture comuni universali.

1.2 Una parola, tanti significati


Tra i pochi ad essere riusciti a conferire un velo di colore alla parola “grammatica” ricordiamo Gianni
Rodari, soprattutto perché questa parola compare in una delle sue opere principali, Grammatica della
fantasia. Si tratta di un volumetto in cui l’autore rivendica il prestigio e il valore dell’immaginazione e lo spazio
che dovrebbe avere nella vita di tutti, grandi e bambini. In questo caso la parola “grammatica” da un lato
conferisce una patina di autorevolezza e rigore a un tema che normalmente è trattato con leggerezza;
dall’altro rimanda a una serie di regole e tecniche da seguire per inventare bellissime storie.
Il termine “grammatica” conserva un suo valore polivalente anche tra i linguisti, gli studiosi di grammatica. In
effetti è probabile che se oggi provassimo a chiedere a chiunque cosa significhi il termine “grammatica è
probabile che riceveremo risposte molto diverse, proprio perché il termine conserva un significato
assolutamente polivalente.
Elenchiamo ora alcuni dei significati che la parola “grammatica” veicola in campo linguistico:
- l’insieme esplicito di regole in cui una varietà di una lingua viene codificata;
- La competenza del parlante;
- La descrizione teorica del sistema linguistico di una lingua naturale che utilizza un metalinguaggio per
addetti al lavoro;
- Un libro che contiene un quadro esplicito, sistematico ed esaustivo delle caratteristiche di una lingua che il
parlante nativo conosce o dovrebbe conoscere;
- Un testo che si pone l’obiettivo di essere oggetto di studio in un contesto scolastico e che utilizza un
metalinguaggio adeguato alle competenze degli apprendenti;
- La sezione di un’unità didattica in cui gli apprendenti sono guidati ad osservare le specifiche
caratteristiche lessico-grammaticali della lingua oggetto di studio.
In ogni caso, il termine “grammatica” viene riferito soprattutto a forme di codificazione e a descrizioni delle
regole relativamente ai livelli di analisi della lingua: fonologico, morfologico, sintattico, semantico e
pragmatico della lingua e dell’apprendimento di questo sistema.

2. CONOSCERE LA GRAMMATICA
2.1 una questione antica e sempre attuale.
Il verbo “conoscere” in italiano indica il risultato finale di due processi molto diversi tra loro. Questo verbo
può riferirsi tanto a un processo di apprendimento, ossia consapevole, quanto a un processo implicito e
intuitivo. Di questo binomio si sono occupati numerosi studiosi, primo fra tutti Erodoto di Alicarnasso che
già nel I libro delle Storie dimostra di possedere una sorprendente finezza metalinguistica quando usa un
verbo per definire il processo esplicito con cui i figli di Ciassare apprendono da una banda di Siiti la lingua
greca e a maneggiare l’arco, e un verbo diverso nel II libro per definire il processo di interiorizzazione
spontanea con cui Loa sacerdotessa di Dodona ha acquisito la lingua greca. Nel primo caso utilizza il verbo
“imparare” nel secondo caso il verbo “acquisire”.
Anche nella Roma del IV secolo la questione della conoscenza della lingua era molto sentita, si studiava
soprattutto il greco, lingua per la quale i latini mostravano rispetto e ammirazione. Quintiliano ci porta la
testimonianza della pratica diffusa nell’antica Roma di affidare i figli a nutrici e a pedagoghi greci affinché
potessero acquisire con naturalezza la lingua. Ecco quindi che l’esposizione alla lingua greca doveva
procedere naturalmente mediante un’interazione quotidiana con un parlante madrelingua.
Con il procedere del tempo si arrivò alla necessità da parte dei greci di apprendere la lingua latina, da questa
necessità di insegnare la lingua latina ad un numero di apprendenti sempre maggiore nacquero nel III secolo
nuove metodologie di insegnamento. Dalla produzione pedagogica utilizzata per insegnare il greco e il
latino come “lingue seconde” ci sono giunti i cosiddetti Hermeneumata, operette eterogenee composte da
differenti parti, che possono essere considerati veri e propri corsi di lingua. Gli Hermeneumata presentano
dialoghi tipici degli approcci che oggi chiameremmo situazionali, seguiti da pratiche didattiche volte a
memorizzare forme e vocaboli (tipici dell’oralità) senza dare spiegazioni sulle regole grammaticali.
2.2 Conoscenza implicita ed esplicita vs acquisizione e apprendimento
Uno dei dibattiti maggiori sulla grammatica è quello che riguarda la grammatica esplicita e quella implicita. La
prima modalità di “assorbimento” è quella tipica dell’acquisizione linguistica, che evolve in modo
autodiretto, esattamente come si impara a camminare e poi a correre; la seconda è tipica di un “processo”,
in genere mediato, che comporta l’adozione di procedure di riflessione consapevole, che in genere sono
eterodirette.
La prima modalità di interiorizzazione produce una conoscenza “implicita” che emerge naturalmente e non
richiede di sapersi spiegare le ragioni per cui la lingua funziona in quel modo; la seconda invece è una forma
di conoscenza esplicita, frutto di istruzione e in condizioni tutt’altro che naturali e che comporta una
capacità di osservazione, analisi, discriminazione, ossia di riflessione metalinguistica.
Proviamo a mettere in relazione conoscenza esplicita e conoscenza implicita con il binomio acquisizione e
apprendimento. Il primo termine è frutto di esposizione all’input di un contesto naturale; il secondo termine è
frutto di riflessione.
Benché la sua teoria non abbia alcuna diretta applicazione alla didattica linguistica, Chomsky è fermamente
convinto che esista una predisposizione innata, una sorta di grammatica interna che viene definita LAD
(language acquisition device) e che consente al bambino di acquisire rapidamente una conoscenza tacita,
ovvero implicita del funzionamento della lingua a cui è esposto. L’affermazione di Chomsky viene ripresa da
McNeil per sostenere che i bambini possiedono il concetto di frase dall’inizio e sono spinti ad interpretare i
dati linguistici che i parlanti offrono loro. Questo concetto è un esempio dell’esistenza di principi linguistici
universali, ossia di una “grammatica universale” di cui l’individuo è dotato geneticamente. Tra i numerosi
studi sull’acquisizione linguistica dobbiamo ricordare quelli che dimostrano la similarità tra i principi che
regolano l’acquisizione della lingua L1 (lingua materna) e L2 (lingua seconda). In questi studi è implicita la
presupposizione che la conoscenza della grammatica in età infantile avviene secondo un ordine “naturale” e
attraverso un costante ricorso a strategie cognitive e comunicative.
Premessa: gli aspetti grammaticali della lingua, su cui fondiamo il nostro ragionamento, non sono considerati
come fenomeni isolati, ma nel contesto situazionale in cui si manifestano. Ciò significa che la necessità di
studiare il funzionamento della lingua nell’ambito degli eventi comunicativi reali comporta un diverso modo di
concepire cosa si intende per conoscenza implicita e conoscenza esplicita. ESEMPIO-> il funzionamento di
verbi come “andare” e “venire” (e i loro relativi nelle diverse lingue) il loro uso, che risulta naturale nella
lingua materna, è legato all’organizzazione della deissi spaziale. Per lo stesso motivo se l’applicazione di uno
o l’altro nella lingua materna risulta naturale, e appreso fino agli otto anni, nelle lingue seconde per
comprenderlo bisogna quindi comprendere la deissi spaziale delle lingue in questione.
In questo caso, come in altri, le differenze tra acquisizione della lingua materna e acquisizione della lingua
altra sono senza’altro forti. Per la lingua materna il problema che si pone sarà quello di rendere esplicita la
conoscenza che già si possiede, mentre per una lingua altra sarà necessario un cammino più lungo, che
consiste nel partire dallo sviluppo di una conoscenza esplicita per poi approdare a quella implicita.
Abbiamo associato la distinzione tra conoscenza esplicita e conoscenza implicita ai termini di “acquisizione”
e “apprendimento” con cui ci si riferisce alla diverse modalità di appropriarsi di una lingua. La prima si
sviluppa per immersione in un contesto naturale in cui la lingua è quella in cui si comunica ed è al modalità
autodiretta; la seconda è invece la modalità eterodiretta in cui l’apprendente è esposto a un input linguistico
che è pianificato da altri.
-> input comprensibile di Krashen: relativo all’acquisizione e all’apprendimento disuna lingua seconda da
parte di adulti (metà anni Settanta).
La teoria dello psicolinguista Krashen opera una distinzione netta tra acquisizione e apprendimento:
l’acquisizione è un processo in cui ha prevalenza il significato sulla forma (ciò che accade nella lingua
materna), si può sviluppare anche con la lingua seconda solo a patto che l’input sia comprensibile cioè che
contenga informazioni rilevanti e significative per l’apprendente; l’apprendimento è il processo teso alla
conoscenza esplicita delle forme della grammatica. Secondo Krashen la conoscenza della grammatica non
nasce da quando si può apprendere in modo consapevole con lo studio delle regole e le spiegazioni che sono
impartite in classe, ma è il frutto di un processo pressoché interamente subconscio, che si sviluppa con
l’input comprensibile. Un’altra affermazione avanzata di Krashen è quella di non confondere l’acquisizione
con l’apprendimento induttivo:
Sia l’apprendimento induttivo che l’acquisizione condividono il
fatto che le caratteristiche dei dati, ossia l’input, precedono la
presentazione delle regole. Sussistono tuttavia diversità
fondamentali: se si tratta di apprendimento induttivo l’enfasi è
sulla forma; se invece l’obiettivo è l’acquisizione lo studente
dovrà tentare di capire il messaggio che l’input contiene.
Quindi la “grammatica” intesa come apprendimento consapevole svolge la funzione di meccanismo di
controllo. Possiamo dire che in questa visione alla conoscenza esplicita delle regole si deve ricorrere “quanto
basta”. Krashen aggiunge che questo meccanismo di controllo può agire quando c’è tempo per revisionare il
proprio messaggio, ossia quando si scrive e non nell’interazione orale.

Teoria, descrizione e pedagogia della grammatica


3.1 LE DIMENSIONI E LE ACCEZIONI DELLA GRAMMATICA
Le dimensioni che nel concetto di grammatica si sovrappongono, si integrano e si influenzano sono tre:
1. “Grammatica” può essere un’opera che illustra un modello generale del linguaggio e si rivolge quasi
esclusivamente a un pubblico di specialisti -> grammatica teo ca.
2. “Grammatica” può indicare
una descrizione esplicita e
sistematica del
funzionamento dei
meccanismi che governano
una data lingua per un
pubblico di persone che la
lingua la conoscono in modo
intuitivo e subconscio ->
grammatica desc ttiva o
normativa
ri
ri
3. “Grammatica” può riferirsi al manuale o al corso di lingua che presenta le caratteristiche morfologiche,
sintattiche, semantiche e fonologiche salienti. Quando si dirige a chi la lingua la deve apprendere offre
definizioni informali, tabelle e schemi utili all’interiorizzazione delle regole -> grammatica pedagogica
Possiamo constatare che anche in passato i tre livelli sono considerati in un rapporto gerarchico di
dipendenza dall’alto al basso, in cui la grammatica pedagogica è associata all’insegnamento.

3.2 GRAMMATICA TEORICA


La prima dimensione rimanda ad un modello teorico da cui la presentazione della grammatica si è enucleata
e che è legata alla tradizione filosofica e culturale di quella lingua specifica. La grammatica teoria è il
modello astratto del linguaggio, una grammatica di questo tipo utilizza un metalinguaggio che è
interscambiabile solo tra studiosi della lingua.

3.3 GRAMMATICA DESCRITTIVA


Nella seconda accezione, descrittiva, il termine “grammatica” rimanda ad un sapere esplicito e riflessivo, he
mette in luce le particolari caratteristiche della lingua in oggetto, descritte con un metalinguaggio specifico
che può variare da lingua a lingua. È diretta ai parlanti nativi che già hanno le competenze naturali per
utilizzare le regole grammaticali. Si rivolge ad insegnanti e studenti, ossia a parlanti sufficientemente
competenti che vogliano soddisfare la loro curiosità.

3.4 GRAMMATICA PEDAGOGICA


Questo tipo di grammatica non deve rispettare alcun criterio di coerenza interna ed è per sua natura
poliedrica. Si pone come traguardo quello di arricchire la capacità d’uso della lingua da parte di chi apprende,
la prerogativa principale è quella di assumere il punto di vista di chi apprende adeguandosi progressivamente
alle varie fasi della sua Interlingua. La grammatica pedagogica si pone come obiettivo il “come” presentarla a
chi deve ancora apprenderla (Noblitt, Corder), definizione degli autori citati:
La GP è organizzata in modo da rappresentare il punto di vista
dell’apprendente, consiste quindi nella formulazione della
grammatica di una lingua straniera che abbia come obiettivo
l’acquisizione di quella lingua (Noblitt).
Una GP è la presentazione delle informazioni sulla lingua a scopi
pedagogici (Corder).

Rivers pone in evidenza la rilevanza pedagogica delle grammatiche, dicendo che queste debbano prendere
forma in rapporto agli obiettivi del corso che scaturiscono dai bisogni (di ogni genere e natura) degli
studenti.
Allen dice che ci sono tre fasi per convertire le descrizioni di una grammatica in grammatica pedagogica,
inoltre afferma che vengano scelti testi, esercizi e prove di verifica che in toto costituiscono il libro del testo.
Zimmerman asserisce che una grammatica pedagogica si costruisce in base a due criteri: a) il destinatario
che può essere l’apprendente o l’insegnante; b) il rapporto con il materiale didattico di un corso specifico di
lingua. Lo studioso distingue tra quattro tipi di grammatiche pedagogiche: a) quella per il docente che non è
legata ad uno specifico manuale di lingua seconda; b) quella per il docente in relazione al lavoro in classe; c)
quella di riferimento per l’apprendente non correlata al lavoro svolto in classe; d) quella per l’apprendente
strettamente correlata al lavoro svolto in classe.
Primo tipo: costituito da descrizioni dei diversi sistemi della lingua;
Secondo tipo: è una guida per l’insegnante in cui vengono specificati gli intendimenti didattici degli autori e
forniti suggerimenti;
Terzo tipo: è una grammatica di riferimento destinata ad apprendenti appartenenti a uno stesso stadio delle
competenze linguistiche;
Quarto tipo: include le presentazioni di aspetti specifici della lingua correlati nella loro presentazione e
progressione agli scopi e agli obiettivi dei materiali degli apprendenti usano in classe.

La grammatica da diversi punti di vista


4.1 LA PROSPETTIVA TRADIZIONALE
La Grammaire scritta nel 1660 da Antonie Arnauld e da Don Claude Lancelot è considerata
l’archetipo dell’orientamento tradizionale, l’incipit riporta:
La Grammatica è l’arte del parlare. Parlare è esplicitare i propri
pensieri tramite segni che gli uomini hanno inventato a questo
fine, i segni più comodi sono i suoni e le voci. Suoni che devono
essere resi duraturi nel tempo e che quindi si tramutato nei
caratteri della scrittura.
La Grammaire di Port Royale ha un’impostazione razionalista, i due signori di Port Royal ebbero l’ambizione
di proporre un modello di grammatica che, sulla base del francese, avesse un carattere generale. In questo
prospettiva la grammatica è del tutto concentrata sulla forma e sul metodo classificatorio. Essa classifica le
diverse forme creando classi regolari che formano un repertorio fisso e stabile. Il metodo si basa sulla
componibilità/scomponibilità delle unità linguistiche. Per una grammatica formale è didatticamente cruciale il
principio dell’analisi e l’esatta denominazione delle categorie distintive in cui si riconoscono gli elementi che
danno vita a un numero infinito di frasi. Il secondo principio è quello della regolarità delle proprietà.
La critica più forte mossa alla grammatica tradizionale è sulla mancanza di una visione sistematica della
lingua nel suo complesso, che avrebbe portato a dare importanza ai soli fenomeni specifici e circoscritti e a
trascurare i fenomeni più salienti e generali.

4.2 LA PROSPETTIVA STRUTTURALISTA


La grammatica strutturale si sviluppa in Europa e negli Stati Uniti come reazione al modello della
grammatica tradizionale e propone una descrizione rigorosa e sistematica delle lingue.
Le grammatiche tradizionali basano la loro descrizione
sull’ortografia, usando spesso procedimenti goffi, e spesso
approdano alla ripetizione invece di mettere insieme le forme che
presentano tratti comuni. La descrizione sistematica tenta di
mettere insieme tutte le forme che hanno qualche caratteristica in
comune e di unirle in un’unica descrizione.
Spiegazione del concetto di “linguistica strutturale” di Hjelmslev:
Per linguistica strutturale si intende un insieme di ricerche
basate su un’ipotesi secondo cui è scientificamente legittimo
descrivere il linguaggio essenzialmente come un’entità autonoma di
dipendenze interne o una struttura. L’ipotesi riduce il suo
oggetto a una rete di dipendenze, e vede i fatti linguistici uno
in ragione dell’altro.
La nozione di struttura è stata proposta dai linguisti seguaci di Bloomfield con approccio tassonomici
distinti quali l’analisi in costituenti immediati e l’analisi di distribuzione, che forniscono un’impostazione
metodologica che consiste nella scomposizione della catena parlata in costituenti e in costituenti immediati
distribuiti in classi. Gli strutturalisti hanno condiviso la convinzione che ogni enunciato fosse descrivibile a
tre diversi livelli.
L’apporto innovativo di questo tipo di linguistica è stato quello di descrivere con un medesimo metodo di
analisi i tre livelli linguistici:
1) frasale: sintassi
2) Morfematico: morfologia e lessico
3) Fonematico: fonologia
Nella prospettiva strutturalista la lingua è concepita come una combinazione di costituenti organizzati in un
insieme strutturato, gerarchico e stratificato. Le unità di ciascun livello si definiscono costituenti
immediati, per indicare che possono entrare a far parte del livello immediatamente superiore. Dal contesto
di occorrenza dipende la distribuzione, ossia la possibilità di un elemento di occupare una determinata
posizione, che è legata all’appartenenza delle varie classi dette classi distribuzionali.
La grammatica strutturale quindi si basa sull’assioma che ogni sistema è costituito da unità che si
combinano tra loro in modo concatenato e influenzandosi a vicenda. I seguaci di Bloomfield hanno
focalizzato la loro attenzione sull’analisi della forma della lingua a livello fonologico,, morfologico e sintattico,
con procedure osservabili. Si parte dal livello fonologico per identificare le unità dei suoni, detti fonemi.
Sin dagli studi dei primi filosofi dell’antichità troviamo accenni circa la possibilità di considerare
l’apprendimento negli esseri umani simile a quello degli animali. Grazie all’opera di Darwin “L’Origine della
Specie” si è arrivati alla conclusione che la mente umana e quella animale siano collegate, in questo modo si
è permesso alla psicologia animale di affermarsi. Gli studi di Pavlov sui riflessi in seguito al
condizionamento classico ha permesso il costituirsi di una teoria sulla cui base poter spiegare
l’apprendimento. La psicologia che si è sviluppata sulla base delle sperimentazioni e sulla registrazione del
comportamento animale è stata denominata in inglese behaviorism.
La scuola che studia il comportamento è anche nota come psicologia stimolo-risposta di cui Skinner è
stato il principale esponente. Utilizza l’espressione “condizionamento operante” per descrivere
l’apprendimento studiato con la sperimentazione in laboratorio sugli animali. La teoria comportamentista
afferma che l’apprendimento ha luogo con una risposta attiva ad uno stimolo. La connessione tra stimolo e
risposta è condizionata dal rinforzo immediato. Al fine di determinare un comportamento linguistico corretto,
devono realizzarsi due condizioni: la ripetizione e il rinforzo. La prima permette di fissare il modello
strutturale scelto, la seconda provoca una gratificazione immediata per la risposta giusta. Gratificazione per
una produzione corretta e reiterazione delle condizioni che hanno indotto l’associazione S-R sono i due
aspetti essenziali di questo tipo di apprendimento. L’apprendimento linguistico consiste nella connessione
che si crea tra stimolo e risposta e che si configura nella contrazione di abitudini verbali o di automatismi
rispetto agli stimoli forniti dall’ambiente esterno. Per il buon fine dell’apprendimento occorre determinare
associazioni stimolo-risposta e si devono realizzare due condizioni: la ripetizione e il rinforzo.
4.3 LA PROSPETTIVA GENERATIVO-TRASFORMAZIONALE
La grammatica generativo-trasformazionale di Chomsky offre informazioni precise ed esaustive . Centrale
in questa linea di pensiero è l’assunto che il bambino interiorizza regole di grande astrattezza e complessità
che governano il funzionamento della sua lingua in modo naturale e spontaneo e che è in grado di produrre
enunciati mai ascoltati prima. Questa visione antitetica rispetto al comportamentismo si fonda sul principio
che la conoscenza della lingua è costituita da un numero definito di regole, che consentono di produrre e
capire un insieme infinito di frasi. In questo modello la varietà è una caratteristica saliente di ogni sistema
linguistico, esiste una sostanziale differenza tra competenza ed esecuzione. La prima si fonda sulla
conoscenza tacita delle regole del sistema, che consente al parlante di riconoscere frasi grammaticalmente
corrette da quelle che non lo sono; la seconda consiste nella capacità di produrre frasi inedite, mai sentite
prima.
Gli esseri umani sono dotati di una capacità innata specie-specifica, un programma interno per l’acquisizione
linguistica universale detto LAD (language acquisition device), l’esistenza di questo dispositivo presuppone
che vi siano alcuni elementi costituivi di ogni grammatica di ogni lingua, che sono universalmente condivisi
-> principio della gramatica universale.
Se la lingua è un sistema governato da un numero finito di regole, scopo della grammatica è di descriverle in
modo tale che con esse sia possibile produrre ogni tipo di frase possibile. La competenza dovrebbe
precedere l’esecuzione, dunque bisogna creare le basi senza ale quali l’esecuzione non è realizzabile. La
grammatica consente di rendere non ambiguo il senso di una frase dandone una rappresentazione diversa
della sua struttura di base.
LAD -> come dispositivo innato implica che l’acquisizione si aut processo che si sviluppa nei primi anni di
vita e che, per attivarlo, sia sufficiente l’esposizione alla lingua. Centrale in questa teoria è l’ipotesi secondo
cui il linguaggio umano sia un processo cognitivo prerogativa esclusiva dell’Homo Sapiens, ossia specie-
specifica. Il lignaggio umano emerge secondo la presenza di una capacità innata dell’uomo e non secondo
stimoli provenienti dall’ambiente esterno. Infatti, la capacità che hanno i bambini di produrre frasi senza
ancora essere avviati allo studio della lingua fa presupporre che l’essere umano abbia al suo interno una
potenziale conoscenza delle regole che governano il sistema linguistico.
Esistono infatti grammatiche ideate per sviluppare la conoscenza esplicita impostate sulla scorta della
rappresentazione delle regole della struttura delle frasi di quelle trasformazionali e morfo-fonemiche proposte
in Syntatic Structures. Le regole trasformazionali agiscono sugli indicatori sintagmatici per produrre
indicatori che rappresentano tipi di frasi più complesse.
4.3 IL COGNITIVISMO
La psicologia cognitiva, dal suo aggettivo, conferisce importanza primaria alla attività mentale, gli studiosi
comportamentisti dichiarano che l’apprendimento dipende da forze esterne all’individuo. Sono infatti gli
stimoli esterni e il rinforzo a determinare quali risposte saranno apprese. Nella concezione cognitivista
prevale l’importanza dell’attività della mente nell’acquisizione linguistica. La mente è una forza attiva e non
una massa plasmata da forze esterne.
Ausbel -> psicologo cognitivista che opera due tipi di distinzioni riguardo l’apprendimento:
1) tra apprendimento meccanico e apprendimento significativo
2) Tra apprendimento ricettivo e apprendimento di scoperta
Per quanto riguarda il secondo punto nota che possono essere entrambi il risultato di un’attività mnemonica
o significativa.
Il punto centrale della teoria cognitiva sta nel fatto che l’apprendimento deve essere significativo: la mente
elabora l’informazione che deve essere appresa, ma perché ciò avvenga è necessario che l’informazione sia
significativa e rilevante. È chiara l’affinità tra la psicologia cognitiva e la linguistica generativo-
trasformazionale.
La grammatica è concepita come facoltà di linguaggio di cui ciascun individuo è dotato. I principi della
grammatica universale consentono di comprendere e produrre un numero illimitato di frasi inedite mediante
l’applicazione di regole ricorsive -> la capacità di applicare ogni volta queste regole definisce la creatività
linguistica.
L’insegnante cognitivista ritiene che ogni individuo sia dotato di una sorta di programma interno, solo
marginalmente condizionato dal modo e dai tempi dell’insegnamento. È convinto che le facoltà della mente
specificatamente connesse all’acquisizione delle conoscenze siano innate, infatti pensa che in realtà non sia
possibile insegnare nulla, ma solo dare degli stimoli che risveglino il linguaggio già presente nella mente.
Von Humboldt-> afferma che la mente è in relazione diretta con il mondo, mentre il linguaggio vi gioca
solamente un ruolo secondario e non è un intermediario nella relazione tra mente e mondo.
4.4 LA PROSPETTIVA LESSICO-FUNZIONALE
Una particolare convergenza di interessi alla fine degli anni Sessanta ha spostato l’attenzione dal linguaggio
come organo di cui i parlanti sono geneticamente dotati allo studio del linguaggio in cui la grammatica è
parte costitutiva di un complesso di sistemi che sono alla base dell’organizzazione sociale.
Il filosofo del linguaggio Austin distingue fra:
1. L’aspetto locutivo, ossia la produzione;
2. L’aspetto illocutivo, la forza o la tensione della proposizione;
3. L’aspetto perlocutivo, il fine o l’effetto della proposizione stessa.
Nelle celebri 12 lezioni tenute ad Harvard, Austin propone una categorizzazione filosofica del verbo come
azione, ovvero dell’elemento segnalatore dell’impegno assunto del locutore circa quanto afferma.
Hymes-> elabora il concetto di competenza comunicativa per indicare un comportamento «governato da
regole» di natura psicologica, sociale e culturale.
Givon-> opera una distinzione netta tra due tipi di comunicazione: a) il linguaggio dei bambini, le lingue
pidgin, il discorso spontaneo; b) il linguaggio degli adulti, le lingue creole, il discorso pianificato.
Nella prima categoria prevalgono le modalità pre-sintattiche (principi regolatori pragmatici: funzioni,
argomenti e lessico), nella seconda dominano le ragioni sintattiche (principio di base dell’ordine soggetto-
verbo, della subordinazione). Givon afferma in un altro scritto che nelle lingue naturali coesistono due distinte
modalità di comunicazione: una flessibile, qualificante le innovazioni e l’apprendimento linguistico; l’altra
rigida, che permette di analizzare il linguaggio rapidamente. La comunicazione rigida è caratterizzata da un
ordine dei costituenti SV (soggetto+verbo) presenta un controllo serrato della subordinazione, un ritmo
sostenuto di esposizione, un ordine semantico.
Goldberg-> si oppone alla teoria di Givon e sostiene che la flessibilità nell’acquisizione della grammatica
nelle fasi iniziali è solo apparente.
Vi è un secondo settore di studi enunciativi che prende in considerazione i fenomeni del linguaggio quali
deissi, la modalità e l’aspetto verbale. Partendo dal presupposto che la lingua assume significato solo nell’uso
che se ne fa, gli studi di questo campo mettono a fuoco le forme gramatica e lessicali dell’enunciazione e
individuano tutti quegli elementi linguistici che saldano l’enunciato al contesto extralingusitico e agli attori
dello scambio comunicativo (pronomi personali e dimostratici, verbi che indicano il movimento da e verso chi
parla, gli avverbi di luogo e le espressioni con riferimento temporale). Questi studi mettono a fuoco le
categorie grammaticali dell’enunciazione e individuano il ruolo di tutti quegli indicatori discorsivi ch
eancorano l’enunciato al discorso extra-verbale.
Per comprendere, per esempio, l’uso dei verbi di movimento non è sufficiente conoscerne le regole
grammaticali ma bisogna conoscere il soggetto di enunciazione e le circostanze di referenza.
Sono molteplici i contributi della linguistica volti ad indagare la dimensione sociale del linguaggio. Un
interessante filone di ricerca sulla grammatica è costituito dagli studi sull’enunciazione avvenuti
soprattutto in Francia. I principali esponenti sono Jakobson e Benveniste che celebrano teorie in cui si
tenta una mediazione tra aspetti pragmatici e grammaticali del linguaggio. Tale mediazione si realizza tramite
l’enunciazione.
Passando alla scuola britannica una posizione di particolare importanza è occupata dalla linguistica dei
corpore, filone di ricerca sviluppato a partire dagli anni Ottanta del Novecento, che è maturato sulla base di
studi di orientamento semantico.
Malinowski-> antropologo che durante il suo lavoro sul campo comprese che era impossibile capire parole
ed enunciati delle persone (esperimento in Nuova Guinea) senza prendere in considerazione: i partecipanti,
il contesto e l’evento in cui quelle parole venivano usate che lui definisce contesto di situazione. Più tardi
si convinse che la funzione pragmatica è primaria per tutte le lingue e arrivò alla conclusione che, per capire
il significato delle parole, fosse necessario capire il ruolo che ricoprono nello svolgimento della
comunicazione.
Firth-> restringe la considerazione del concetto di contrasto di situazione, alle situazioni socialmente
significative. Definisce la situazione in base ai ruoli sociali degli interlocutori.
Halliday-> allievo di Firth, sostiene che la migliore spiegazione dell’organizzazione interna di una lingua
naturale si manifesta nelle funzioni sociali che una lingua svolge, am soprattuto che è impossibile scindere il
lessico dalla grammatica, perché «grammatica e lessico sono la stessa cosa vista da osservatori diversi,
siamo difronte a un fenomeno unico e non a due diversi».
Sinclair-> può considerarsi anche lui il padre della linguistica dei corpora, rifiuta il principio secondo cui la
grammatica spiega le regole generali della lingua, mentre il lessico si occupa del significato dettagliato delle
singole parole o locuzioni:
I grammatici ritengono che la grammatica spieghi le potenti regole
generali, mentre il lessico si occupi esclusivamente di parte
isolate e locuzioni, tutta vita il concerto di “grammatica
lessicale” si è fatto strada nelle grammatiche più avanzate e le
ha rese un tantino più sensibili al lessico.
Dunque, la descrizione di una lingua assume criteri che non separano il lessico comune e lessico
grammaticale come accade solitamente, anche se la linea di confine tra i due tipi è sottile e difficile da
tracciare.
4.5 LA PROSPETTIVA COGNITIVA
Il fatto che il generativismo si concentrasse soprattutto sulla sintassi lasciava da parte altre aree legate al
linguaggio come gli aspetti culturali, sociali e psicologici che diventano invece il punto cruciale degli interessi
di altri ricercatori che si rivolgono principalmente all’intersezione tra linguaggio e significato. La linguistica
cognitiva assume che sia possibile separare le conoscenze e le abilità linguistiche da quelle non linguistiche,
perché le prime sono radicate negli esseri umani in abilità cognitive più generali (percezione, memoria,
attenzione).
La linguistica cognitiva abbraccia una serie di modelli teorici che condividono due principi fondamentali: il
considerare il linguaggi come parte integrante della cognizione e il tentativo costante di spiegare il linguaggi
oda una prospettiva socio-semantico-pragrmatica, basato sull’uso del contesto.

La grammatica negli orientamenti della glottodidattica


5.1 DALLA TEORIA ALLA PRATICA NELLA CONCEZIONE DELLA GRAMMATICA
Nella costruzione dei materiali didattici per l’apprendimento delle lingue si è enfatizzato solo l’aspetto
superficiale dell’approccio funzionale, si sono cioè indotte forme di apprendimento di tipo esclusivamente
comportamentale. È utile capire come il mutato orientamento degli studi linguistici abbia influenzato il modo
di costruire le grammatiche e così anche lo spazio dedicato all’osservazione e alla riflessione all’interno dei
libri di testo per apprendenti.
Tra gli studiosi che maggiormente si sono occupati di come sollecitare la riflessione metalinguistica citiamo:
Rutherford e Sharwood Smith, Fotos e Ellis, Larsen e Freeman.
In particolare intendiamo considerare le scelte dei criteri adottati dagli autori delle grammatiche e dei corsi
per presentare agli apprendenti gli aspetti del sistema linguistico oggetto di studio per quanto concerne:
1. L’organizzazione del syllabus che attiene alla sequenza dei contenuti grammaticali nel programma
didattico;
2. La scelta delle procedure seguite;
3. La lingua utilizzata per descrivere la grammatica.
5.2 LA GRAMMATICA NEI MATERIALI DIDATTICI
La scelta di una grammatica da parte del docente è legata alla capacità dello stesso di riconoscere al suo
interno i principi a cui si ispira e ai quali aderisce. Lo sviluppo della consapevolezza metalinguistica è
trasversale e quindi riguarda anche la lingua materna.
Consideriamo i verbi ergativi per l’inglese in relazione all’italiano: per l’inglese i verbi eragtivi sono presentati
ad apprendenti di livello intermedio e avanzato in due manuali. Osserviamo che sono presentati nell’ambito
che concerne la transitività.
Sis individuano tre aspetti dei verbi ergativi:
1. Il loro poter essere usati in modo transitivo e intransitivo;
2. Alcuni verbi sono ergativi solo in presenza di nomi particolari
3. Alcuni verbi hanno bisogno di un avverbio quando non seguiti da un soggetto.
5.3 PROCEDURE PEDAGOGICHE PER L’APPRENDIMENTO DELLA GRAMMATICA
Le procedure utilizzate per presentare la grammatica nei materiali didattici sono due: procedure induttive e
procedure deduttive.
Le prime fanno si che si parta dal particolare per arrivare alla regola generale, mentre le seconde al
contrario partono dal generale per arrivare al particolare.

5.3.1 PROCEDURE DEDUTTIVE


Si fondano sul principio secondo cui sapere una lingua equivale a conoscere le regole della grammatica e a
saperle applicare in frasi da volgere da una lingua all’altra e viceversa. Apprendere significa quindi analizzare
e riflettere in modo astratto sulle caratteristiche formali della lingua. Deriva da qui l’importanza attribuita nel
metodo grammaticale-traduttivo alla lingua scritta. In questa impostazione è di norma utilizzare brani
estrapolati da testi classici, brani letterari che esemplificano le regole presentate nel corso del tempo. La
lezione in genere prevede l’enunciazione delle regole morfologiche e sintattiche presentate mediante tecniche
di carattere esplicativo/comparativo. I brani letterari rappresentano l’unica opportunità di contatto autentico
con la lingua.
Per quel che riguarda il metalinguaggio gli autori dei manuali per lo studi utilizzano termini che possono
comprendere solo chi ha una buona base grammaticale e ha studiato le lingue classiche.

5.3.2 PROCEDURE INDUTTIVE


Le procedure induttive sono quelle in cui è fondamentale l’osservazione di esempi particolari senza che
venga esplicitata la grammatica. L’approccio induttivo è presente in molti metodi empirici quali il metodo
naturale ottocentesco, ed è incarnato in modo esemplare nella metodologia audio-orale. Nasce negli Stati
Uniti negli anni Quaranta ed è l’applicazione in chiave didattica dei principi dello strutturalismo in campo
linguistico e del comportamentismo in campo psicologico. L’ipotesi di base è che il linguaggio è
comportamento e pertanto il suo apprendimento richiede da parte dell’individuo la formazione di abitudini
senso-motorie che sei contraggono mediante condizionamento. Dunque l’apprendimento di una lingua
consiste nella formazione di un nuovo comportamento verbale, ovvero di un insieme concatenato di abitudini
che si fissano mediante la ripetizione. Per quanto riguarda gli errori nasce la convinzione che l’errore, in
quanto formazione di un’abitudine deviante, vada assolutamente prevenuto e impedito.
Negli orientamenti glottodidattici che puntano allo sviluppo della competenza audio-orale, all’introduzione di
un dialogo o un testo, contenente le strutture e il lessico, che gli studenti devono memorizzare tramite un
metodo imitativo e ripetitivo, segue la fase esclusivamente dedicata alla grammatica, senza esplicitazione
delle regole da parte dell’insegnante. In questa fase lo studente deve eseguire gli esercizi che prevedono la
ripetizione/sostituzione di elementi o o la trasformazione della forma/struttura modello. Lo scopo dei drills
(batteria di esercizi a schema fisso) è di iperapprendere i modelli strutturali con risposte a stimoli linguistici.
Secondo questa metodologia l’attenzione dello studente è spostata sugli aspetti lessicali. L’impostazione
induttiva non contempla alcuna attività di riflessione consapevole da parte dello studente, il cui sforzo è
fissare un comportamento per induzione.

5.3.3 PROCEDURE ABDUTTIVE


L’abduzione, concetto che deriva dal filosofo Pierce e applicato alla linguistica da Goldberg, è un processo
di ragionamento che l’apprendente compie sulla scorta dei dati linguistici.
DDL-> è un’interessante applicazione di utilizzo di procedure induttive con le quali è possibile non solo
riuscire a compiere un processo di generalizzazione in cui l’apprendente è guidato dai dati, ma anche a dare
un senso alle forme e trovare una giustificazione ai dati ai quali sono esposti. In questa prospettiva,
collocazioni come “errore madornale”, “debito efferato” o “pioggia torrenziale” sono caratterizzate dalla
presenza di aggettivi che potrebbero, sulla base del loro significato, combinarsi con altri nomi dando luogo a
nuove combinazioni.
5.4 VERSO IL SUPERAMENTO DELLA DICOTOMIA INDUTTIVO VS DEDUTTIVO
Gli approcci glottodidattici degli ultimi decenni riconoscono la necessità di un’individualizzazione degli scopi
di apprendimento e di un’individualizzazione dell’insegnamento. L’influenza degli studi compiuti nell’ambito
delle scienze del linguaggio si è manifestata nell’elaborazione dei materiali e delle procedure pedagogiche
sempre più finalizzate a sviluppare negli apprendenti capacità di tipo procedurale e successivamente di tipo
dichiarativo. Si è assistito alla cosiddetta “rivoluzione comunicativa” nell’insegnamento delle lingue degli
ultimi 50 anni, che presenta due versioni: una forte e una debole.
Forte-> propone l’esclusione della pratica formale controllata a favore di attività identiche a quelle in cui
l’apprendente sarà impegnato al di fuori della classe;
Debole-> pur sottolineando l’importanza di fornire agli apprendenti opportunità di uso linguistico per scopi
comunicativi, sostiene la necessità di integrare tali attività in un più ampio programma che non esclude
l’insegnamento grammaticale esplicito o l’esercitazione strutturale.
Sarà la seconda ad avere maggior consenso e maggio seguito.
Il comune denominatore delle diverse tendenze comunicati consiste nella assoluta convinzione
dell’insufficienza della conoscenza di strutture e lessico per raggiungere la padronanza dell’uso della lingua.
Esse poggiano sulla convinzione che, per sviluppare le capacità d’uso di una lingua seconda o straniera, la
conoscenza di struttura e lessico non si aia presupposto, ma il risultato naturale del processo di
comprensione e produzione di atti di parola, in cui l’obiettivo è quello di esprimere una funzione sociale
(presentarsi, scusarsi, fare ipotesi). La lingua viene concepita come un organismo dinamico determinato
da particolari contesti e costituito di varietà linguistiche. NB: il successo sarà raggiunto se gli apprendenti
riusciranno non tanto a produrre frasi grammaticalmente corrette, ma se sapranno capire e farsi capire in
diverse situazioni di interazione.
Negli orientamenti glottodidattici “comunicativi” le regole grammaticali propriamente dette sono in un certo
senso subordinate alle regole pragmatiche. L’apprendente deve infatti acquisire la capacità di esprimersi non
soltanto in relazione alle proprie intenzioni ed emozioni, ma anche in rapporto al proprio destinatario
ricorrendo a uno stile e un registro adeguati alla circostanza e al rapporto con l’interlocutore. Inoltre
considerando che la comunicazione è un processo, chi apprende non può limitarsi a imparare forme, nozioni
e funzioni della lingua oggetto di studio, ma deve necessariamente acquisire le capacità di negoziarne il
significato. È mediante l’interazione di chi parla e chi ascolta o chi scrive e chi legge che si comprende il
senso del messaggio.
Tra gli orientamenti più recenti di derivazione comunicativa, l’approccio lessicale manifesta un rinnovato
interessa per la riflessione sulla lingua intimamente connessa con il suo uso reale. Le procedure mirano a
mettere l’apprendente difronte ad attività e problemi da risolvere, da cui far scaturire l’attività di riflessione o
consapevolezza sulla grammatica. L’attività consapevole non si affronta in una fase prestabilita, ma quando
l’apprendente è “pronto”, ossia in occasione di una richiesta o di un errore.
Se proviamo a fare una sintesi, gli orientamenti seguiti per sviluppare la riflessione grammaticale sono:
1. Induttivi/eterodiretti: si suppone che l’apprendente, sulla scorta di esempi, frasi ed enunciati che gli
vengono presentati, adottando un ragionamento di tipo analogico, generalizzi i modelli strutturali, senza
alcuna esplicitazione delle regole.
2. Euristici: cioè guidati dall’apprendente, in cui dopo la presentazione dell’input si sollecita l’apprendente
a scoprire le regole.
3. Misti: in cui le procedure induttive e deduttive dipendono dalle prerogative dell’aspetto trattato.
Le principali caratteristiche degli approcci che si contrappongono a quelli che seguono in modo rigido o
l’approccio induttivo o quello deduttivo sono:
1) la centralità di chi apprende
2) L’organizzazione del materiale linguistico in funzione di contenuti, significati, interessi;
3) La copertura delle strutture linguistiche
4) La grammatica, al momento giusto.

Fare grammatica per l’italiano come L1


6.1 LA GRAMMATICA DELL’ITALIANO TRA SCUOLA E UNIVERSITÀ
La questione sul ruolo che la grammatica dovrebbe avere tra i banchi di scuola viene sollevata in Italia da
Raffaele Simone e Giorgio Raimondo Cardona già nel 1971. I due accademici a seguito di uno studio
condotto a riguardo, denunciavano la difficoltà nel procedere a un profondo rinnovamento dei contenuti, a
causa della mancanza di un’adeguata grammatica di riferimento dell’italiano contemporaneo.
Renzi (1977) arriva ad affermare che la grammatica come insegnamento altamente formale non poteva
essere messa nello zoccolo delle materie comuni e obbligatorie per tutti, il suo posto poteva essere solo a un
certo livello di istruzione, rivolta agli studenti che mostrassero già una certa propensione per questo genere
di attività intellettuale.
Il vecchio modo di fare grammatica viene ulteriormente messo in discussione attraverso la stesura e la
pubblicazione di «Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica» che videro la luce nel 1975 come testo
collettivo del gruppo GISCEL. Le dieci tesi avevano lo scopo di superare l’idea di grammatica come materi a
sé stante, per passare a una più globale prospettiva di educazione linguistica, intesa come educazione
trasversale alle discipline che fosse attenta al rapporto tra sviluppo delle capacità linguistiche nel loro insieme
e sviluppo fisico, affettivo, sociale ed intellettuale dell’individuo. Non si stabiliscono nozioni da apprendere ma
si punta allo sviluppo delle abilità di base da modellare in relazione al contesto comunicativo: parlare,
scrivere e ascoltare.
Raffaele Simone-> linguista italiano, con il suo libro «Libro dell’italiano» (1973) ha il merito di portare come
oggetto di analisi grammaticale non solo l’italiano scritto, ma anche quello orale. Depenna il termine
“grammatica” e si pone come una vera e propria “antigrammatica”, un testo dove la lingua dell’uso è posta
al centro del discorso grammaticale.
Fogliato-> scrive una grammatica scolastica intitolata «Strumenti per l’italiano» (2004) che spicca per
originalità dell’impostazione e per integrazione tra norma e uso. Il testo rivolge l’attenzione agli aspetti più
funzionali della lingua e alla gestualità e che considera lessico e morfologia.
Quindi, le critiche che i linguisti imputano al modello tradizionale per l’insegnamento della grammatica
dell’italiano sono soprattutto relative all’assenza di un’adeguata considerazione del lessico e della pragmatica.
6.2 LA GRAMMATICA VALENZIALE
Quello della grammatica valenziale è un modello di analisi elaborato dal linguista francese Lucien Tesnière.
In Italia il modello è stato proposto da linguisti come Sabatini che è stato il più attivo della diffusione in
contesto scolastico di questo modo di fare grammatica. La grammatica valenziale trae il suo nome dal
lessico della chimica, perché vede nel verbo il “motore” della frase, ovvero l’elemento fondamentale, portatore
di significato a cui sono connessi gli “argomenti” cioè le parti che insieme al verbo sono necessarie per
formare una frase minima di senso compiuto. Il modello valenziale si propone di guardare alla struttura della
frase come si forma nella nostra mente. La valenza è la proprietà che ha lil verbo di richiamare alcuni
elementi strettamente necessari con i quali può costituire una frase. Sulla base della valenza i verbi si
dividono in: a) zerovalenti: non hanno nemmeno l’argomento soggetto (piove); b) monovalenti: che
necessitano di un unico argomento, il soggetto (il bambino dorme); c) bivalenti: che necessitano di due
argomenti (la nonna abbraccia la nipotina); d) trivalenti: che necessitano di tre argomenti (Paolo regala un
libro a Camilla); e) tetravalenti: che necessitano di quattro argomenti (lo scolaro traduce la poesia
dall’italiano all’arabo).
Gli argomenti sono gli elementi strettamente necessari per saturare la valenza del verbo e possono essere:
un sintagma nominale, un sintagma preposizionale, un sintagma avverbiale e una struttura frasale. Nella
grammatica valenziale la frase può essere nucleare ovvero un’unità sintattica formata da un verbo e dai
suoi argomenti (Giulia mangia latte e biscotti), e semplice in cui l’unità sintattica è formata da un verbo, dai
suoi argomenti, da circostanti ed espansioni (Giulia mangia ogni mattina latte e biscotti al farro). I
circostanti sono elementi aggiuntivi di vario tipo, esterni al nucleo, ma legati ai singoli elementi del nucleo.
Possono essere omessi senza per questo rendere la frase agrammaticale. Le espansioni sono gli elementi
che nella frase si affiancano al nucleo e ai suoi circostanti, non collegandosi ad esse con specifici legami
sintattici. Questo modello vuole favorire un approccio di tipo euristico perché tende a far riflettere
metalinguisticamente a partire dalla lingua e dal suo significato. Si costruisce attivamente una competenza
attraverso schemi e rappresentazioni con immagini.
6.3 CONDURRE UNA INDAGINE GRAMMATICALE
La proposta di un radicale cambiamento nel modo di affrontare l’ora di grammatica in classe viene da Lo
Duca. Secondo la studiosa uno dei principali ostacoli che la disciplina presenta è rintracciabile nel fatto che
a uno stesso segmento di lingua vengano affiliate definizioni diverse (complemento, argomento, sintagma).
Questa mancanza di un metalinguaggio condiviso e comprensibile determina anche la perdita della stabilità
del nome e con essa la sicurezza, da parte degli apprendenti, della riconoscibilità dell’elemento in questione. Il
“fare grammatica” che Lo Duca (2013) propone significa attuare percorsi di scoperta grammaticale su cui
condurre gli apprendenti così che imparino a ritrovare quella conoscenza linguistica che hanno già acquisita
e che per tanto è già all’opera nella loro testa. Se nei modelli tradizionali agli apprendenti è richiesto lo sforzo
di riconoscere all’interno di una frase o di un periodo una categoria linguistica, denominarla facendo
attenzione ad utilizzare il giusto termine, il metodo proposto da Lo Duca ribalta questa sequenza, perché
sono gli apprendenti ad operare osservazioni e dibattiti sull’oggetto-lingua, analogamente a quanto si fa, o si
dovrebbe fare, in altri campi dello scibile umano. L’osservazione della lingua come fatto scientifico
presuppone la messa in discussione di un fenomeno che ci conduca a un’analisi con metodo, cercando di
fornire prove. L’approccio alla grammatica di Lo Duca si presenta come un compromesso tra grammatica
implicita ed esplicita. Una grammatica che nasce implicita, ma occorre che diventi esplicita per ridisegnare
continuamente i confini della grammatica della propria lingua in relazione alle diverse situazioni comunicative
e per cogliere corrispondenze sistematiche e relazioni non casuali tra gli elementi della lingua e tra questi e il
contesto extra-linguistico.
-> riportiamo due esempi di esperimenti grammaticali: il primo dal titolo «Quell’avversione è irregolare» che
punta a far riflettere gli apprendenti sul fatto che qualsiasi parte della lingua si presta a esercitare capacità di
osservazione e riflessione; il secondo dal titolo «Aspetti da considerare» che tratta il tema del valore
aspettuale del verbo.
Esiti finali: la linguistica entra finalmente nella scuola e, con lei, le nozioni di storia della lingua italiana, di
sociolinguistica e di pragmatica.

Fare grammatica per l’italiano come L2


7.1 APPROCCI DIVERSI DI FARE GRAMMATICA
La produzione di grammatiche di italiano per stranieri dal XX è vastissima. In tutte le opere che affrontano
questo studio l’organizzazione dei contenuti è coerente con l’obiettivo di presentare il meccanismo del
sistema linguistico composto di regole, strutture e schemi utili per fornire una rappresentazione esauriente
della conoscenza esplicita della lingua italiana. Esse costituiscono uno strumento di consultazione efficace
per chi la lingua la sa già.
Ma quale è invece il modo di fare grammatica per sollecitare la conoscenza della grammatica italiana da
parte dell’apprendente?
Per rispondere ci concentreremo sul diverso modo di fare grammatica proposto da due grandi protagonisti
della didattica dell’italiano per stranieri: Katerin Katerinov e Christopher Humphris. Hanno due
approcci contrastanti per fare grammatica ma hanno un obiettivo comune: comunicare in un’altra lingua.
Katerin Katerinov-> sin dai primi anni Sessanta copre un ruolo di primo piano nel processo di
rinnovamento della didattica dell’italiano presso l’Università per Stranieri di Perugia e nel mondo.
Christopher Humphris-> a partire dal 1978 occupa un ruolo di protagonista nella formazione di
insegnanti di italiano di stranieri al di fuori dell’ambiente universitario.
7.2 L’APPROCCIO DI KATERIN KATERINOV
Nasce in Bulgaria (1938-2016) si forma a Sofia dove si laurea in Filologia romanza. A Perugia inizialmente
insegna il Russo all’Università per poi passare ad insegnare lingua italiana e linguistica. Negli anni Settanta,
ossia nella decade in cui Katerinov diventa il promotore della didattica dell’italiano per parlanti di altee lingue,
l’analisi contrastiva era entrata in crisi. Le ragioni sono principalmente due: la prima è legata al fatto che i
nuovi modelli descrittivi e le nuove teorie non hanno ancora raggiunto un assetto stabile; la seconda è
legata al fatto che dal punto di vista psicolinguistico e pedagogico si affermano gli studi che mettono in
evidenza l’esistenza di una varietà di apprendimento definito da Selinker “interlingua”, un sistema
linguistico evolutivo che l’apprendente sviluppa con caratteristiche che l’analisi contrastiva non era in grado
di spiegare.
Tra gli insegnanti di lingue si diffonde un atteggiamento di rifiuto totale dei metodi di insegnamento in uso.
Nei primi anni Settanta in Italia si era costituito il movimento LEND (Lingua Nuova e Didattica), il cui
obiettivo era di delineare un metodo alternativo tanto a quello grammaticale, quanto a quello audio-orale. È
proprio nell’ambito di questo movimento che nasce il metodo situazionale nella versione italiana, che segna
la rottura con il passato e segnala il passaggio verso le tendenze più attuali della glottodidattica.
Katerinov pubblica assieme a Boriosi un manuale che Vedovelli chiama “libro rosso” per via della copertina. Il
“libro rosso” presenta la lingua italiana in contesti di situazione che aiutano la comprensione del messaggio,
ma prevede anche una fase di osservazione dei fenomeni grammaticali proposti. Il metodo adottato risponde
all’esigenza di guardare alla lingua nella sua globalità intesa come analisi nelle diverse situazioni
comunicative. Il suo modo di fare grammatica è improntato a criteri glottodidattici fondati su basi scientifiche.
Katerinov partecipa attivamente al dibattito scientifico che si svolge in quegli anni contro le capacità
predittive dell’analisi contrastiva. Confuta la posizione di chi partendo da posizioni cognitiviste, sostiene che
gli errori non imputabili all’interferenza della lingua materna siano la prova dell’esistenza di un sistema in fieri.
Nel suo saggio mette in evidenza che vi sono errori imputabili alle caratteristiche intrinseche della lingua
italiana e sottolinea l’importanza della cultura intesa in senso antropologico.
7.3 L’APPROCCIO DI CHRISTOPHER HUMPHRIS
Nasce nel Kent (1946-2018) si trasferisce in Nuova Zelanda e studia scienze dell’educazione per poi
specializzarsi nell’insegnamento dell’inglese a stranieri in Inghilterra. Una volta stabilitosi in Italia inizia a
insegnare inglese per poi dedicarsi alla formazione degli insegnanti presso la DILIT (Divulgazione lingua
italiana). Entra a far parte del radicale cambiamento nella didattica delle lingue, il cui anno zero risale al
convegno tenutosi alla Fondazione “Cini” a Venezia sul tema “Communication and Language Teaching” del
1978. In questo convegno molte delle relazioni avevano messo in evidenza il fatto che, se l’obiettivo
dell’acquisizione e apprendimento delle lingue era di sviluppare la capacità di usare la lingua per i diversi
scopi per cui noi la usiamo normalmente, si doveva cambiare rotta nel modo di definire gli obiettivi sul piano
delle operazioni e del comportamento.
Accettare questa prospettiva significava abbandonare il modo di definire gli obiettivi didattici in termini di
regole grammaticali o di strutture e puntare sulla messa a fuoco dei significati che esprimiamo quando
usiamo la lingua per i vari scopi. Bisogna implicare quindi la necessità si specificare, per ogni lingua, il valore
pragmatico che le frasi possono acquisire nell’uso linguistico. Adottare un approccio comunicativo sanificava
compiere concretamente una rivoluzione programmatica in base alla quale gli obiettivi dell’apprendimento
delle lingue dovevano essere specificate non soltanto in termini di strutture grammaticali, ma anche di
funzioni comunicative indispensabili per sviluppare una effettiva capacità dell’uso della lingua.
La decisione di Humphris di aderire a questa rivoluzione è stata indubbiamente un’operazione temeraria
perché si confrontava con due ordini di difficoltà. La prima è intrinseca alla lingua italiana, la cui complessità
morfologica e sintattica richiede necessariamente in sede didattica di adottare criteri ben calibrati; la
seconda difficoltà consisteva nel fatto che in quegli anni non disponevano ancora di grammatiche di
riferimento in grado di rendere conto in modo sistematico ed esaustivo dei vari aspetti semantici della lingua
italiana al livello del discorso. Nonostante le difficoltà Humphris intraprende la sua impresa innovatrice
dell’insegnamento di una lingua che non è la sua, in un momento in cui l’attenzione sugli elementi anaforici e
cataforici, e in genere su tutti gli elementi di coesione non era ancora penetrata nei materiali didattici per
l’insegnamento dell’italiano come lingua altra.
La cosa principale della visione di Humphris è il ruolo che assegna all’insegnante e all’apprendente: il
docente ha per Humprhris il ruolo di grammatica pedagogica “vivente”, l’apprendente quello di ricercatore.
Per quanto riguarda la figura dell’insegnante che Humphris immagina, essa rispecchia quella che Corder
aveva descritto in queste parole:
L’insegnante può presentare in toto o parzialmente i vari aspetti
della grammatica senza l’aiuto di materiale testuale o registrato.
L’insegnante può fornire i dati o gli esempi oralmente o in forma
scritta. La parte più difficile per l’insegnante è fornire una
quantità adeguata di dati ben contestualizzati. Un insegnante ben
qualificato è dotato di energia e inventiva quindi può essere una
grammatica pedagogica “vivente”.
Per quanto riguarda l’apprendente, ecco come Humphris lo definisce:
Ha la potenzialità di diventare un ricercatore competente, capace
cioè di affrontare un terreno complesso, individuare diversi
esempi di un fenomeno degno di studio, ipotizzare una “regola”
riguardante la sua struttura o funzione.
Coerentemente con la sua vocazione di practitioner le sue idee sono direttamente osservabili, più che negli
scritti, nei numerosi video che ha raccolto per documentare il suo lavoro. Come Katerinov, Humphris ha
interpretato in modo originale il “come” fare grammatica con lo sguardo di chi affronta l’italiano come lingua
altra. Entrambi si sono impegnati a trasferire i principi linguistici e glottodidattici derivanti dalla ricerca nel
campo della didattica delle lingue straniere sulla base di presupposti diversi:
- Katerinov era determinato ad applicare le sue convinzioni scientifiche;
- Humphris era mosso da un’autentica curiosità di “sperimentatore” dell’apprendimento linguistico.

Apprendere la grammatica attraverso il data-driven


learning
8.1 TEORIA, DESCRIZIONE E PEDAGOGIA DELLA GRAMMATICA ATTRAVERSO I CORPORA
Data-driven learning (DDL) è traducibile in italiano con “apprendimento guidato dai dati”. È un approccio
pedagogico basato sull’uso dei corpora, nato per l’apprendimento delle lingue seconde. Vedremo in che
modo sia possibile condurre l’apprendente in un percorso di scoperta guidata della lingua, così come in
attività classiche come il clone e l’abbinamento.
Nel 1960 Randoph Quirk, uno dei massimi grammaticografi della lingua inglese sostiene che la mole di
materiali pedagogici sviluppati fino a quel momento, ai fini dell’insegnamento della lingua inglese, siano in
buona parte inadeguati. Questo perché risultano scarsamente aderenti agli usi linguistici reali, ovvero a
quella varietà e ricchezza linguistica che l’apprendente si troverà di fronte una volta uscito dal contesto
dell’insegnamento formale. Quick infatti afferma:
Sosteniamo che i tanti materiali realizzati negli anni si sono
rivelati piuttosto ineducati per fornire una base grammaticale
pedagogiche di livello elementare.
Questa è tra le considerazioni principali che conducono Quirk a motivare il lancio di Survey of English
Usage, uno dei primi progetti su vasta scala finalizzato alla raccolta di dati linguistici autentici relativi all’uso
della lingua inglese. Gli anni Sessanta segnano l’avvio di un’intensa stagione di costruzione dei corpora
grazie allo sviluppo tecnologico che consente la gestione informatica di una crescente mole di dati e anche
in virtù di un’esigenza di natura specificatamente pedagogica, caratterizzata da una serie di presupposti
teorico-linguistici che risultano ineludibili per la glottodidattica. Innanzitutto, il riconoscimento delle notevoli
varietà he si riscontrano negli usi linguistici reali e degli inevitabili limiti che avranno dizionari, manuali e
risorse di riferimento nel rendere contro di tale varietà. La stessa descrizione di una lingua si baserà su delle
scelte, sia dal punto di vista delle modalità di presentazione dei contenuti, sia dal punto di vista della
selezione degli esempi.
Il DDL riesce ad unire potenza descrittiva, presupposti teorici ed efficacia pedagogica attraverso una serie di
modalità concrete, in grado di permettere l’interazione tra l’apprendente e la lingua presentata nella varietà.
8.2 IL DATA-DRIVER LEARNING: DEFINIZIONE, TIPOLOGIE E STATO DELL’ARTE
I corpora consistono in «collezioni di dati linguistici autentici campionati in modo da essere rappresentativi
di una lingua o di una varietà linguistica». I molteplici usi pedagogici dei corpora vengono in genere suddivisi
in usi diretti e usi indiretti.
Diretti: fanno riferimento ai casi in cui l’interazione tra i dati trattati da un corpus e l’apprendente è
immediata e consapevole. Si tratta dei casi in cui i dati del corpus sono visibili all’apprendente, che potrà
interagire con essi in una molteplicità di forme. Da un lato individuiamo la modalità basata su computer in cui
l’apprendente esplora un corpus attraverso un software di interrogazione; dall’altro la modalità basata su
carta, in cui l’apprendete esplora, in maniera diretta, i dati di un corpus attraverso materiali pedagogici
preliminarmente allestiti dall’insegnante e stampati su carta. Entrambe le attività di prestano ad attività
basate su concordanze, oppure ad attività basate su altre tipologie di dati estraibili dai corpora quali liste di
frequenza e nuvole di parole.
Gli usi indiretti dei corpora per scopi pedagogici fanno invece riferimento ai casi in cui i dati non sono
esplicitamente e immediatamente visibili agli apprendenti. Si tratta dei casi in cui i corpora vengono usati per
la definizione di sillabi e/o per lo sviluppo per lo sviluppo dei curricula, per la progettazione e la realizzazione
di opere lessicografiche e grammaticografiche rivolte ad apprendenti.
Sul piano dello sviluppo storico se da un lato si registra un notevole incremento del numero degli studi sul
DDL, dall’altro si mette in luce la problematicità della normalizzazione del DDL all’interno delle diverse
componenti presenti in contesti pedagogici. Inoltre, sebbene l’approccio nasca principalmente in un contesto
L2. Sviluppi recenti hanno messo in luce le sue potenzialità anche in contesti di apprendimento L1. Sul piano
dell’efficacia e dell’approccio è stato possibile osservare che le evidenze empiriche indicano il DDL come un
approccio in grado di produrre effetti positivi sull’apprendimento di una lingua.
Tra le spinte motrici di tale iniziativa troviamo una condivisa esigenza di integrare una “cultura dei corpora”
all’interno dei percorsi di formazione progettati per docenti di lingua. La diffusione di una tale “cultura” tra i
docenti, nel senso di condivisione di conoscenze pratiche, permetterebbe agli insegnanti di scoprire le
potenzialità dei corpora e di instaurare un dialogo pertenente e orizzontale tra docenti e ricercatori, mirato
alla realizzazione di attività e materiali pedagogici sempre più efficaci e funzionali ai bisogni degli
apprendenti.
8.3 SCOPRIRE LE REGOLE DI UNA LINGUA ATTRAVERSO IL DATA-DRIVER LEARNING
Tim Johns, allievo di John Sinclair, colui che coniò la locuzione stessa di “data-driver learning”. Johns
raccoglieva i dubbi linguistici degli apprendenti per avviare un percorso di ricerca delle risposte attraverso
l’esplorazione di uno o più corpora. «Ogni studente è uno Sherlock Holmes». Il suo concetto è quello che il
ruolo dell’insegnante è quello di una figura che guida o che dimostra, mentre quello dell’apprendente è quello
di una persona che esplora, naviga e viaggia.
Il DDL viene spesso impiegato per favorire l’apprendimento delle collocazioni. Per “collocazione”
intendiamo «la regolare co-occorrenza di due o più parole in un enunciato o enunciati prossimi».
Riprendendo l’esempio delle collocazioni nome+aggettivo, consideriamo il caso della collocabili degli
aggettivi “ madornale, efferato e torrenziale”.
Possiamo senz’altro notare che sul piano pedagogico entrate lessicografiche di questo tipo possono
presentare due limitazioni:
1. Carenza di informazioni sulla presenza di una regola grammaticale associata al lemma;
2. Ridotte opportunità per poter inferire la regola dagli esempi.
È possibile pensare a un’attività DDL di scoperta guidata utilizzando SKELL - Sketch Engine for
Language Learning, un sistema di interrogazione e di esplorazione di un corpus appositamente progettato
per apprendenti. Questa funzione permette di osservare la combinabilità di una parola con determinate parti
del discorso. Questo tipo di attività sfrutta il principio dell’input enhancement (potenziamento dell’input) sul
piano quantitativo e qualitativo. Sul piano quantitativo in quanto l’apprendente ha l’opportunità di interagire
in modo diretto con una notevole quantità di esempi che sciolgono un dubbio, grazie ai contenuti del corpus.
Sul piano qualitativo sia perché gli esempi sono sempre tratti da testi che documentano l’uso autentico
della lingua in una molteplicità di contesti comunicativi, sia perché la parola chiave è evidenziata in rosso.
Grazie a questo l’apprendente si trova nelle condizioni ideali per notare delle regolarità che accomunano i
diversi esempi disponibili. E sarà proprio grazie a questo che l’apprendente sarà in grado di sviluppare una
consapevolezza relativa all’unità linguistica di interesse e un’attenzione rispetto alla regolarità di una lingua.
Nella noticing hypothesis si afferma che l’attività di notare esplicitamente una proprietà della lingua
costituisce una pre-condizione affinché quella proprietà sia interiorizzata e dunque appresa.
L’esplorazione di un corpus avente la finalità di condurre l’apprendente a scoprire le regolarità di una lingua
può essere più o meno guidata dall’insegnante. Il grado di supporto da parte dell’insegnante è definibile sulla
base di tre parametri fondamentali che interagiscono tra loro: il livello di competenza dell’apprendente, la
familiarità dell’apprendente con l’esplorazione dei corpora e le caratteristiche del corpus
esplorato.
Un apprendente che è al livello iniziale e non ha mai lavorato con un corpus potrà beneficiare di un’attività di
scaffolding da parte dell’insegnante (che in italiano potremmo tradurre con “sostegno”).
8.4 IL DATA-DRIVER LEARNING COME STRUMENTO PER L’ARRICCHIMENTO DELL’INPUT NEGLI ESERCIZI CLOZE
E DI ABBINAMENTO
I dati contenuti in un corpus sono utilizzabili per creare esercizi sulla base di format molto noti quali il cloze
e l’abbinamento.
Il cloze è una tecnica di verifica originariamente pensata da Taylor per misurare la difficoltà dei testi scritti
in inglese lingua materna.
L’abbinamento noto anche con il termine di “matching”, consiste nell’abbinare, in modo appropriato, gli
elementi di due insiemi distinti. Gli elementi in questione possono essere per esempio una serie di parole e le
loro definizioni.
Le due attività sono state costruite sulla base del Perugia Corpus, un corpus di riferimento della lingua
italiana contenente dieci generi testuali diversi, distribuiti tra canale parlato e canale scritto.
Cloze: l’obiettivo di apprendimento consiste nel rafforzamento delle conoscenze relative alle combinazioni
nome+aggettivo, in cui l’aggettivo che modifica il nome porta con sé un significato legato all’idea di
grandezza o di gravità. Nel cloze gli apprendenti sono invitati a inserire una serie di aggettivi all’interno del
gruppo di frasi corretto. Basato su concordanze, il cloze, si configura anche come attività di apprendimento
e scoperta della grammatica di una lingua, sia nei confronti che si operano all’interno di un determinato
gruppo di frasi, sia per i confronti tra gruppi diversi.
L’esercizio di cloze diventa un’attività di Problem solving, per raggiunger l’obiettivo della risoluzione del
problema, gli apprendenti hanno l’opportunità di scrutare una ricca mole di materiale linguistico.
Gli stessi dati utilizzati nei cloze possono essere utilizzati per costruire gli esercizi di abbinamento basati
sempre su concordanze. Anche in questo caso siamo di fonte ad un’attività che può essere vista in chiave di
problem solving. L’apprendente sarà chiamato a verificare una serie di ipotesi: confrontando, per esempio, la
prima metà di frase del gruppo A con la prima metà di frase del gruppo 3, e valutando l’adeguatezza della
combinazione, dovrà ripetere la stessa operazione anche per le restanti quattro metà di frasi presenti
all’interno die due gruppi considerati. L’adeguatezza dell’abbinamento dovrà essere soddisfatta in
ciascuno dei cinque abbinamenti necessari a ricomporre gruppi di frasi. L’apprendente sarà implicitamente
esposto all’input molte volte. Ma sarà l’esercizio stesso a fornire una guida verso la soluzione
configurandosi così come vera e propria attività di apprendimento oltre che di verifica. L’arricchimento degli
input che avviene in questi due casi permette all’apprendente di esporsi a opportunità qualitativamente e
quantitativamente più significative, per poter inferire le regole di una lingua. Il DDL riflette la dimensione
descrittiva della grammatica, perché è esso stesso fondato sul presupposto secondo cui, per conoscere la
lingua, è necessario osservarne gli usi e provare a descriverli attraverso strumenti adeguati.

La presentazione della grammatica in una lingua non


vocale e non scritta
9.1 LA LINGUA DEI SEGNI ITALIANA TRA USO E NORMA LINGUISTICA
Affrontiamo il ruolo della grammatica nella LIS, una lingua che presenta caratteristiche uniche rispetto a tutte
le atre lingue naturali, perché sfrutta un canale di comunicazione diverso: visivo in comprensione e
corporeo in produzione.
9.2 QUALE GRAMMATICA PER LA LIS? LA RICERCA DI UNA TEORIA DI RIFERIMENTO
Sono stati due gli orientamenti da cui la ricerca linguistica sulla lingua dei segni si è mossa: il primo si fonda
sul principio che non sia opportuno assumere categorie grammaticali mutuate dallo studio delle lingue vocali,
senza una adeguata riflessione sulle loro specificità; il secondo si basa sul principio che le lingue segnate
sono in tutto e per tutto paragonabili alla lingue naturali, legittima l’applicazione delle categorie della
linguistica sviluppate per le lingue parlate. Da una parte, quindi, troviamo ricerche che hanno adottato una
prospettiva in cui hanno molta importanza gli aspetti iconici e la componente dialogica e interattiva delle
lingue dei segni, usando termini e modalità di analisi inediti e costruiti ad hoc; dall’altra parte le ricerche di
coloro che hanno descritto la LIS partendo da un modello linguistico di stampo generativo, dando rilevanza
agli elementi che in questo modello sono considerati universali e in particolar modo alla sintassi. In questo
senso ha pesato molto l’assenza dei corpora di riferimento della LIS. Due sono stati gli eventi che hanno
avuto forti ripercussioni sulla LIS come sistema linguistico:
1. Il risveglio di un interesse linguistico, scientifico e didattico che ha contribuito a numerosi corsi di lingua
dei segni sul territorio nazionale;
2. L’avanzamento tecnologico che ha fornito la possibilità di potersi videoregistrare e quindi di poter
comunicare in questo modo anche a distanza.
Entrambe queste condizioni hanno fatto si che la LIS passasse da “lingua privata” a lingua destinata a un
pubblico diversificato.
Il primo (1) evento ha operato in modo esplicito all’interno di contesti guidati, nelle classi di LIS per
apprendenti non nativi o nelle occasioni di dibattito sulla ricerca per la LIS; il secondo (2) evento ha agit in
modo implicito sulla lingua perché ha portato con sé la possibilità di trasmettere messaggi in LIS a distanza,
ha permesso al segnante di poter rivedere le proprie produzioni, di operare un’attività di controllo e
riflessione a posteriori sul suo segnato e soprattutto di oltrepassare le barriere dello spazio e del tempo. La
LIS diventa finalmente una lingua che lascia traccia di se. Si espande il bacino di utenti con cui un segnano
entra in contatto nel corso della sua vita e ci si pone di fronte a un maggior presa di coscienza delle
capacità, peculiarità, varietà e irregolarità del sistema linguistico.
All’inizio degli anni Novanta vengono pubblicati i primi dizionari, le prime descrizioni della lingua, i primi atti di
convegno e un corso che propone un metodo per la didattica della LIS.
Intanto si faceva strada tra gli orientamenti teorici quello funzionaloista e quello generativo-
trasformazionale, quest’ultimo propone un0interpretazione nuova delle dicotomie e del rapporto tra i
suono e il senso delle frasi: secondo questa teoria ogni tentativo di saldarli l’uno all’altro senza mediazioni è
destinato al fallimento. La mediazione è offerta, per i generativisti, dalla sintassi perché ogni frase ha due
strutture sintattiche diverse: una è la struttura profonda (con interpretazione semantica e portatrice di
sigificato), l’altra è la struttura superficiale (dotata di realizzazione fonetica). Entrambe sono collegate
tra loro da operazioni matematiche particolari: le trasformazioni.
La pubblicazione del volume “Descrivere la lingua dei segni italiana. Una prospettiva cognitiva e
sociosemiotica” (Volterra, 2019) propone un ulteriore cambiamento di prospettiva teorica nel campo della
descrizione della LIS. La prospettiva pone al centro del modello teorico il significato e lo scopo
comunicativo e mette in evidenza le strategie di rappresentazione simbolica. Il fine è dimostrare come le
proprietà semiotiche della LIS siano in realtà simili a quelle delle lingue parlate e anzi permettano di arrivare a
una migliore conoscenza anche di queste ultime, guardano in particolare alla multimodalità del linguaggio
umano. Secondo questa prospettiva il motore del linguaggio è la semantica.
9.3 PER UNA GRAMMATICA DESCRITTIVA DELLA LIS
Ad oggi non esiste una grammatica descrittiva della LIS che possa essere considerata completa ed
esaustiva, sono stati tanti invece i lavori di ricerca su vari aspetti della lingua. A partire dagli anni Ottanta si
è iniziato a portare alla luce il funzionamento di questa lingua, uno dei problemi principali fu la difficoltà di
ricorrere a un metalinguaggio di riferimento condiviso.
La prima descrizione di impianto strutturale delle unità fonologiche della LIS (cheremi) compare in Volterra
(1987) e più tardi in Radutzky (1992).
Tutte gli studi fatti in merito al funzionamento e all’applicazione della LIS hanno avuto il merito di mostrare al
mondo della linguistica che non esistono solo le lingue parlate o scritte ma anche le lingue dei segni e che la
ricerca su queste lingue può insegnare tanto su cosa è il linguaggio e sulle grandiose capacità degli esseri
umani di esprimersi usando il corpo intero. Le recenti descrizioni della LIS sono volte a mettere in relazione
la continuità e le analogie tra azione, gesto e segno, recuperando la dimensione del corpo nella costruzione
e nella concettualizzazione del linguaggio. Dimostra come gesti e segni abbiano origine dalle azioni della vita
quotidiana e dalle interazioni degli esseri umani fra loro e con l’ambiente che li circonda.
Se consideriamo il concetto di grammatica come l’insieme delle convenzioni di una lingua, per descrivere le
convenzioni della LIS, non sarà utile scomporre la lingua in fonemi, morfemi, sintagmi, proposizioni, periodi e
nemmeno in nome e verbo, ma piuttosto sarà utile partire dall’unità di senso ovvero dal significato del
segno. ESEMPIO-> riportiamo la proposta di classificazione delle unità che compongono un segno. Il
significato è il cuore della descrizione della LIS e questo accade perché la LIS ha in sé la possibilità di
veicolare più significati contemporaneamente. Un segno è un’unità di senso che può essere composta al suo
interno e in modo simultaneo da unità lessicali, deittiche e di trasferimento cioè può contemporaneamente
dire, indicare e mostrare un referente.
9.4 LA PROSPETTIVA PEDAGOGICA
È complesso definire cosa è grammatica e cosa non lo è all’intento del LIS, proprio perché questa lingua
coesiste con l’italiano, non solo nel territorio in cui si muove ma anche nella testa di chi la usa e il confronto
con l’italiano è costante e multilivello. Infatti, tutti i segnanti sono bilingui, tutti conoscono anche la lingua
vocale e ognuno interpreta, organizza e fa congetture sui meccanismi che ne regolano il funzionamento.

9.4.1 LA GRAMMATICA NEI CORSI DI LINGUA DEI SEGNI ITALIANI


La prima traccia scritta di un’esperienza didattica collegata alla LIS la forviamo nel rapporto tecnico dal
titolo “La lingua italiana dei segni insegnamento e interpretariato. Relazione finale al corso per tecnici e
interpreti della lingua italiana dei segni” (Bove, Volterra, 1984). Il documento si presenta come un resoconto
degli argomenti trattati durante i corsi a tre livelli di competenza della LIS. Vengono riportate in maniera
discorsiva le strutture linguistiche affrontate durante i corsi base, intermedi e avanzati e le attività poste in
classe. Questo documento segna l’inizio di una riflessione che riguarda il metodo, l’approccio e le tecniche
utili a insegnare la LIS e la ricerca di un linguaggio tecnico da usare per definire i fenomeni che sono propri
di questa lingua.
Il Metodo VISTA del 1997 è stato il corso di lingua più longevo, e per molti anni l’unico, sulla lingua dei
segni italiana, nasce come adattamento del corso “Signing Naturally” pubblicato per l’insegnamento dell’
American sign language. Siamo nel momento di maggiore diffusione dell’approccio comunicativo. La
grammatica è inglobata nelle attività che il testo propone, quindi viene esplicitata a posteriori.
Nel VISTA i tre livelli sono suddivisi in unità didattiche che mirano a seguire un’impostazione di tipo
comunicativo, ecco le prime 5 unità del primo livello:
1. Come presentarsi;
2. Scambi di informazioni personali;
3. Descrizione dell’ambiente;
4. Parlare di dove abiti;
5. Parlare della famiglia;
La dimensione “funzionale” del VISTA sembra essere stata recepita, mentre non è stata colta la dimensione
“nozionale”. Le funzioni comunicative sono poste in evidenza, ma al contrario la nozioni di tempo, spazio
quantità e deissi non vengono trattate. Lo schema in cui sono organizzati i contenuti è identico nei tre
volumi del corso e procede in 5 punti: a) pratica di conversazione; b) “note grammaticali”; c) esercitazioni di
grammatica; d) esercizi di comprensione; e) note culturali/linguistiche. Alle note grammaticali sono collavate
spiegazioni esplicite, che fanno frequente ricorso a termini metalinguistici come flessione, aspetto,
classificatori, pronomi, aggettivi ecc…

9.4.2 LA RIFLESSIONE METALINGUSITICA NEI CORSI DI LINGUA DEI SEGNI ITALIANA


Vediamo come è affrontato il discorso sulla grammatica nell’ambito dei corsi di lingua dei segni italiana.
Generalmente questi corsi prevedono 110 ore di lezioni di lingua e circa 20 ore di lezioni di teoria per
annualità. Ogni corso prevede, nell’ambito delle 20 ore di teoria, moduli di area socio-psico-pedagogica e
un modulo di 10 ore che affronti le questioni teoriche legate alle descrizione della LIS e alla sua evoluzione
nello spazio e nel tempo. Un primo dato interessante è quello per cui nei corsi LIS il discorso grammaticale e
la descrizione delle caratteristiche della lingua sono affrontati in un modulo a parte, spesso in lingua italiana
non in lingua dei segni. Durante queste ore di “teoria” gli apprendenti colgono spesso l’occasione per porre
domande sul funzionamento della LIS, che riguardano tutti i livelli di analisi. Il processo a cui gli apprendenti
sono implicitamente indotti nel corso delle lezioni è quello di “tuffarsi nella lingua” e di esercitarla quanto più
possibile.
ESEMPIO-> (di una delle autrici del manuale), riguarda l’ambiguità tra la flessione di un verbo nel tempo e
nell’aspetto. Il problema si pone quando il docente presenta la postposizione di un segno che viene tradotto
in italiano come FATTO dopo un segno che indica un’azione (MANGIARE, STUDIARE). L’apprendente
italofono alle prime armi di solito associa questo fenomeno al participio passato pensando che il segno
FATTO traduca il morfema -ato/-ito della lingua italiana. Capita perciò che una frase come IO MANGIARE
+ FATTO venga interpretata come “IO MANGIAVO” attribuendo a quel FATTO il valore di marca temporale
del passato e NON il valore aspettuale di perfettivo (azione conclusa). Nella LIS però la categoria di tempo
grammaticale non si manifesta mai attraverso la flessione del segno.
Le lingue seguono percorsi che non sono determinati da altri se non dalla comunità che le usa; un esercito di
segnanti che non applica regole grammaticali in modo astratto, ma che nel flettere un segno segue logiche
che si basano sulle possibilità articolatorie del segno, sull’economia, sulle caratteristiche concrete o astratte
del referente; sulla situazione comunicativa e sullo scopo dell’enunciazione.

Potrebbero piacerti anche