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CAPITOLO 1 1.

I fondamenti della glottodidattica come scienza


La glottodidattica è una disciplina teorico-pratica, collocabile tra le scienze del linguaggio e dell'educazione, meglio
definibile come una costellazione disciplinare. Nasce convenzionalmente nel 1942 grazie al saggio di Bloomfield
“Outline guide for the practical study of foreign languages” in cui l’autore definisce l'apprendimento di una lingua
straniera come iperapprendimento, dunque apprendimento lungo e intensivo, fatto di pratica e di imitazione del parlante
nativo. In questo caso il filosofo del linguaggio e il linguista teorico sono più utili di un insegnante, in quanto aiutano a
proporre delle osservazioni utili alla scoperta e ad interiorizzare i modelli di lingua. Questo punto di vista è in
contraddizione con il metodo di insegnamento del XIX secolo fatto di grammatica, traduzione e analisi della lingua, con
memorizzazione di regole ed eccezioni.
Bloomfield quindi riporta l'attenzione sulla lingua orale, sull’oralità della lingua oltre che sulla sua forza di espressione
e di comunicazione. Nasce così una stagione storica riformatrice le cui radici vanno ricercate negli ultimi decenni del
XIX secolo e i primi decenni del XX: la stagione dei metodi diretti, semplificati, all’interno dei quali troviamo gli
elementi fondanti della disciplina glottodidattica come scienza: la fonetica e la psicologia del comportamento.

1.1 La fonetica
Breymann, studioso tedesco, recensisce nel '700 opere di fonetica di varia natura mentre Rousselot descrive la nascita
della fonetica sperimentale, il cui aspetto articolatorio rimane allungo dominante, fino a giungere all’individuazione e
alla trascrizione dei simboli fonetici, costitutivi dell’alfabeto fonetico internazionale. Per arrivare alla nozione di
“fonema”, l’unità fonologica distintiva, ci è voluto un processo lento e graduale.
Bell fondò la classificazione delle vocali su basi articolatorie, lavorò sull'inglese come lingua straniera prima che questa
fosse una grande lingua veicolare, mentre Renzo Titone fu il fondatore della disciplina nel nostro paese ma prima di
tutto fu un anglista e psicologo del linguaggio. L’incontro delle due lingue straniere e la formazione in psicologia del
linguaggio possono gettare qualche luce sulla nascita della glottodidattica italiana e possono costituire l’anello di
congiunzione fra i due elementi fondanti la disciplina come scienza.

1.2 La psicologia
La psicologia è un altro grande pilastro su cui poggia la glottodidattica all’atto del suo nascere in quanto la lingua è una
cosa essenzialmente parlata quindi la lingua è comportamento. Gouin descrive i suoi sterili tentativi compiuti per
imparare il tedesco con i metodi della grammatica-traduzione prima, con i metodi diretti poi, infine affidando sia un
apprendimento mnemonico del dizionario. Secondo lui l'organo a cui ci si deve affidare non è l'occhio ma l'orecchio, la
lingua è infatti una materia sonora che bisogna ascoltare e ripetere per poterla creare, in quanto la lingua stessa è
comportamento quindi risultato di osservazione attenta: per esempio un bimbo di 3 anni secondo il legame di causa ed
effetto, di successione e di finalità ripete ad alta voce e sottolinea le azioni che vede. Decide allora di trasferire questa
intuizione alla ricerca sul metodo di insegnamento della lingua e inventa la nozione di "serie". Che cos’è una serie?
È l'insieme di una ventina di frasi che riguardano lo stesso tema e che occorre memorizzare accompagnando questo
all'esecuzione dell'azione. Per avere un apprendimento duraturo ovviamente, è necessario inventariare l'insieme delle
serie di un linguaggio oggettivo ruotante attorno a 5 grandi serie generali: la casa, l'uomo nella società, la vita nella
natura, la scienza e le professioni.
A loro volta queste sono divise in sotto-serie, ma queste “serie oggettive” tuttavia non costituiscono tutta la lingua,
bisogna aggiungere e commentare i fatti, quindi sono necessarie altre serie dette “soggettive” che rappresentano la
lingua della facoltà dell’animo. Accanto al linguaggio oggettivo e soggettivo, è necessario il linguaggio figurato cioè il
linguaggio delle “relazioni di analogia” composto da frasi inventariate che si ricollegano al linguaggio oggettivo e
vengono apprese prima di quelle soggettive.
In pratica non potrà mai essere insegnata una frase come per esempio "sradicare il vizio" prima di aver insegnato
"sradicare l'albero" in quanto il concreto precederà sempre l’astrazione; quindi, quello che si può vedere e toccare
precederà l'immaginabile, pensabile, desiderabile.
La grammatica per Gouin è costituita di tre soli capitoli:
-il verbo attorno al quale si costruisce ogni preposizione;
-la modalità che permette di cogliere le sfumature del significato;
-la funzione che è da considerarsi quasi come sinonimo di costruzione, cioè di sintassi (che ha che fare con la capacità
delle parole di correlarsi tra di loro, con il ruolo e il valore che ciascuna di esse esercita nel testo).

1.3 I precursori
I tre grandi precursori della glottodidattica sono Sweet, Jespersen e Palmer vissuti tra l'Ottocento e primi del 900,
seguaci di quella linguistica stìincronica la cui nascita si fa convenzionalmente risalire alla pubblicazione di “Cours de
Linguistique générale” di Saussure.
•Sweet: il filologo inglese alterna i principi generali e i principi particolari, delineando 5 momenti di un metodo
progressivo che vanno seguiti in ogni circostanza.
Spicca la convinzione che nella lingua esistono elementi razionali e altri più arbitrari e che nelle combinazioni
grammaticali prevale la razionalità mentre in quelle lessicali domina piuttosto l’irrazionalità. La lingua sarebbe un
coacervo di questi due diversi elementi. Per quanto riguarda i principi particolari sono di natura psicologica e con la
psicologia associazionistica, egli raccomanda la ripetizione che facilita il formarsi di associazioni.
La memoria è legata all'attenzione che a sua volta scaturisce dall’interesse; dunque, questi tre elementi (memoria,
attenzione e interesse) devono guidare il docente nella scelta del materiale didattico in modo da motivare il discente.
Dal punto di vista linguistico emergono infine altri 2 principi speciali cioè:
- la convinzione che l'unità minima della lingua sia la frase e non la parola;
- e che dal punto di vista grammaticale è più importante la sintassi della morfologia.

Il metodo progressivo fa di Sweet il primo precursore della didattica e secondo lui attraverso diverse fasi passa
l'insegnamento linguistico:
1. Momento meccanico Dedicata alla fonetica cioè alla costruzione dell'articolazione (fase fonetica);
2. Momento grammaticale Dedicata alla grammatica con creazione di frasi corrette grammaticalmente (fase
grammaticale);
3. Momento idiomatico/lessicale in cui lessico si amplia (fase lessicale);
4. Momento letterario dove c'è l'approccio con il testo letterario attuale (I fase letteraria);
5. Momento arcaico dove ci si approccia al testo letterario del passato (II fase letteraria).

•Jespersen: linguista danese autore del celebre lavoro tradotto in italiano “come si insegna una lingua straniera” si
muove anche lui tra orientamenti metodologici generali e principi speciali e fra i primi conta il concetto di
comunicazioneogni azione didattica deve muoversi attorno a reali comunicazioni, entro una lingua verosimile. Egli
tende a valorizzare la lingua viva, reale e non mozziconi di frasi decontestualizzate o liste di parole avulse da qualche
contesto da cui far partire l’azione didattica. E tale azione deve tutta ruotare attorno a principi speciali:
- contatto diretto e prolungato con la lingua: significa dare spazio all'oralità
- varietà degli esercizi: significa lavorare a lungo facendo percepire la lingua come viva e mutevole
- grammatica inventiva: è quella grammatica da scoprire insieme al maestro (dal latino invenire: scoprire e non
“creativa”). Conduce a una grammatica nuova, scoperta dall’allievo insieme al maestro. É una grammatica induttiva in
cui sintassi e morfologia sono strettamente legate correlate insieme.

•Palmer: pubblicò molte opere di fonetica i suoi trattati si basavano sulla linguistica, la psicologia e la pedagogia
(stanno alla base dei principi generali), sintetizzabili in alcuni concetti chiave la ripetizione deve essere graduale; va
quindi da forme più note a quelle meno note attraverso facili tappe che dedichino la proporzione giusta alle quattro
abilità fondamentali dall’orale prima che dello scritto in successione: capire, parlare, leggere e scrivere.
Secondo Palmer se un approccio globale domina nei principi generali, alcuni altri principi speciali fanno da contrappeso
ai primi cioè:
1. la segregazione che isola un fatto linguistico per condurre a una riflessione esplicita e trasformare la lingua in
metalingua;
2. il periodo di incubazione che riporta l’apprendimento di una L2 all’acquisizione della lingua materna, in modo
passivo prima del lavoro attivo;
3. i modi di semantizzare (sono 4) e che chiamano anche modi di “portare significato”:per condurre gli studenti al
valore semantico di una determinata unità linguistica. Come portare l’allievo ai significati? Tramite:
-il procedimento ostensivo,
- la traduzione,
- la definizione,
- il contesto.

Per Palmer gli altri “studi” sono di morfologia, lessicologia, di semantica; per quanto riguarda la morfologia comprende
anche gli studi dei suoni cioè la fonetica, delle lettere e delle dell'ortografia poi anche degli etimi e quindi
dell'etimologia.
Domina in Palmer la raccomandazione di non considerare mai la parola, ma la frase come unità minima di senso.

1.4 L’educazione linguistica


In Italia la glottodidattica diventa scienza dell’educazione linguistica nel momento in cui nasce la scuola media
unificata nel 1962, quando l’espressione educazione linguistica si afferma dal punto di vista storico-istituzionale e
legislativo. Gli anni ‘60 sono anni cruciali per la scuola del nostro paese.
Il volume di Freddi “Metodologia e didattica delle lingue straniere” mette in luce i tre poli costitutivi del tradizionale
“triangolo didattico” intorno al quale ruotano i bisogni e gli obiettivi formativi e didattici. I tre poli sono: la lingua,
l'allievo e l'insegnante. Ad esso di aggiungono altri 2 macro argomenti: il Contesto e i sussidi.
L'educazione linguistica si può considerare completa quando oltre che l'attenzione per le lingue straniere si aggiunge
l'attenzione per la lingua materna e, grazie al GISCEL, un gruppo di studiosi della Società di Linguistica italiana
vengono create dieci tesi: Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica (vedi pag 26).

2. Dalla linguistica applicata alla glottodidattica in ambito italiano


2.1 Gli antefatti
Per arrivare al passaggio dalla linguistica applicata alla glottodidattica in Italia, bisogna capire dove le lingue erano
inserite nella didattica. L'insegnamento delle lingue verso il ventesimo secolo escludeva dal sistema scolastico tutta la
pratica, i corsi di laurea in Lingue la pratica, i corsi di laurea in Lingue erano in realtà corsi di laurea in Letterature e gli
insegnamenti erano impartiti in italiano dal lettore che leggeva i testi facendo ascoltare la buona pronuncia, la lingua
parlata era penalizzata in quanto gli affari di allora si svolgevano soprattutto tramite lettere, e la popolazione italiana
parlava per lo più il dialetto locale, quindi la priorità era insegnare la lingua nazionale. In più il fatto che nel secolo
precedente l'Italia era in guerra con tutti i paesi le cui lingue venivano proposte come materia di studio, per molti era
causa di ostacolo all'acquisizione delle lingue in quanto inconsciamente erano avversi e demotivati a causa dei racconti
che i ragazzi ascoltavano in famiglia dai padri e dai nonni che vedevano gli stranieri come nemici, e alla base della
acquisizione di una lingua ci vuole innanzitutto la disponibilità psicologica.

2.3 Gli anni Sessanta


Negli anni 60 la lingua straniera di prestigio era il francese, ed era l'unica insegnata mentre l'inglese cominciò a
diffondersi dopo l'istituzione della scuola media unica, e il tedesco e lo spagnolo hanno sempre avuto un ruolo
marginale nell'università. La Francesistica fu dominante per lungo tempo ma dal '68 con la contestazione studentesca,
gli studenti di Lingue di Cà Foscari chiesero spazio per l'apprendimento delle lingue straniere .
La risposta fu l’acquisto di un laboratorio linguistico e l’incarico a Freddi di coordinare le attività ed egli si attivò in 3
modi:
1. Promozione e conduzione di attività di formazione in servizio;
2. Organizzazione di convegni e seminari di studio sulla Didattica delle lingue moderne;
3. Pubblicazione della rivista “Lingua e Civiltà”. di Lingue di Cà Foscari chiesero spazio per l'apprendimento delle
lingue straniere.

2.4 Nascita del termine “glottodidattica”


La nascita del termine glottodidattica è datata 1966 contemporaneamente sia in Italia che in Polonia; all’inizio vi fu una
controversia che portò a preferire “didattica delle lingue straniere”, mentre “glottodidattica” si riferiva piuttosto
all’insegnamento dell’italiano come lingua materna o seconda lingua. In seguito la controversia dell’incerta misura
superata definendo la blocco didattica come “metodologia di educazione linguistica”. Le principali fonti e i principali
orientamenti furono gli studi e le esperienze provenienti dall'estero, metodi audio-orali e in seguito anche audiovisivi.
In Italia l'uso costante ed esclusivo dell'italiano ha isolato i nostri studi sulla materia dal panorama internazionale, molte
elaborazioni di tutto rispetto sono quasi sconosciute alla comunità internazionale in quanto elaborate solo in italiano;
quindi, ci si rese conto che era prioritaria la formazione degli insegnanti nelle lingue, molti di questi infatti non avevano
neanche mai messo piede fuori dall'Italia.

3. L glottodidattica oggi: scienza (interdisciplinare) dell’educazione (pluri)linguistica


3.1 Alcune considerazioni epistepologiche
Giovanni Freddi contribuì all’importazione in Italia e la diffusione della celebre metafora di Robert Lado secondo cui la
professione medica e quella dell’insegnante di lingue condividono un approccio, e dunque una formazione
interdisciplinari. Il medico conosce la fisiologia, l’anatomia, la chimica, ma nella sua attività professionale non si trova
mai ad usare una sola scienza la volta. Similmente l’insegnante di lingue non può ignorare i risultati della linguistica,
della psicologia dell’apprendimento e dell’età evolutiva, della pedagogia. Secondo un approccio scientifico serio alla
propria professione di medico o di docente richiede la conoscenza di più discipline e la capacità di applicarle in maniera
sempre diversa per rispondere alle esigenze dei singoli. Questo punto di vista introduce il tema dell’interdisciplinarietà
della didattica linguistica.
La glottodidattica fin dalla sua nascita si presenta come una scienza interdisciplinare che attinge ad aree scientifiche
diverse a loro volta complesse e interdisciplinari (si parla addirittura di costellazione disciplinare).
Indipendentemente dal numero delle discipline che si intersecano la cosa che conta è l'intersezione stessa, quindi il
risultato dei diversi ambiti disciplinari. Il glottodidatta non solo assume uno o più concetti da altre discipline, ma filtra
tali concetti e li rilegge in funzione di una specifica situazione didattica o di un preciso bisogno comunicativo. Ecco
allora che dalle intersezioni nascono continue relazioni che modificano, rinnovano e rendono complessa e viva la
glottodidattica.

La glottodidattica possiede una dimensione interna e una esterna; quella interna detta anche glottocentrica e quindi
teorica, comprende gli studi delle lingue sulle interazioni fra discente e docente, fra discente e discente oppure fra
discente e disciplina, o ancora fra discente e contesto. Fa parte di questa dimensione la grammatica universale, uno
strumento teorico utile per spiegare l'acquisizione di una lingua. Mentre la glottodidattica esterna, quindi quella
didattico-centrica si concentra su studi e discorsi applicativi, ossia: la tecnica, l'abilità linguistica, il programma ecc...
Esse contribuiscono non solo a definire la glottodidattica, ma soprattutto partecipano entrambe all’interdisciplinarità
della scienza nel suo complesso, tanto che è possibile distinguere tra interdisciplinarità interna e esterna.
•Interdisciplinarità interna  rientrano contenuti glottoentrici. Quelli cioè connessi alle discipline che sono relative alla
dimensione teorica della glottogidattica.
-bilinguismo: per essere compreso e studiato implica discorsi interdisciplinari che coinvolgono la linguistica, ma anche
la psico- e neuro-linguistica.
-competenza comunicativa: si estende oltre la dimensione linguistica, poiché comprende anche aspetti di natura socio-
linguistica ed etno-linguistica.
-concetto di lingua-cultura:binomio diventato monomio che non può essere spiegato senza coniugare discorsi sulla
lingua a discorsi sociolinguistici e antropologici. Molti vocaboli sono culturalmente determinanti (proverbi, parole di
canzoni famose, titoli di film…).
•Interdisciplinarità esterna  rientrano contenuti di natura regolativa, didattico-centraca.
-approcci e metodi glottodidattici: sono contenuti esterni poiché trasformano le teorie in un linguaggio fatto di
indicazioni pratiche per orientare la didassi di un insegnante di lingue.
-verifica e valutazione: conoscenze e competenze linguistiche si verificano utilizzando parametri.
-lettura dei programmi e delle Indicazioni nazionali: si intrecciano discorsi di carattere giuridico-economico e
sociopedagogiche.
Tuttavia, la particolarità della scienza della educazione linguistica sta soprattutto nel reciproco rapporto fra le due facce
della glottodidattica che a loro volta si intrecciano realizzando così una interdisciplinarità globale.
Ogni aspetto, ogni contenuto, ogni riferimento della glottodidattica può essere letto da diversi punti di vista: quello
interno o esterno; dal punto di vista psicologico, pedagogico, linguistico; ma soprattutto da quello glottodidattico e cioè
quello globale che mette in relazione tutti gli altri punti di vista.
Per concludere possiamo affermare che la glottodidattica non solo possiede un’interdisciplinarità interna e una esterna,
ma si prospetta anche come scienza meta-disciplinare, nel senso che i numerosi spunti teorici e le continue intersezioni
tematiche tra l’esterno e l’interno e tra le discipline adesso afferenti contribuiscono a caratterizzare la glottodidattica
come una scienza che riflette su sé stessa e sui propri principi, che si trasforma e si plasma in continuazione. Tutto ciò
in funzione di un unico obiettivo principale: l’insegnamento di una lingua-cultura a un determinato apprendente in un
preciso contesto sociale.

3.2 L’oggetto della glottodidattica


L'oggetto della glottodidattica è la persona che apprende per cui questo deve essere il punto di partenza e di ritorno di
ogni ricerca. Attualmente con la globalizzazione sono stati aboliti numerosi confini spazio-temporali, per cui la
formazione nei confronti di lingue e culture diventa cruciale: c'è la necessità di sviluppare nel cittadino europeo
competenze comunicative plurilingue e interculturali, ma essere plurilingui non significa conoscere bene un numero alto
di lingue, bensì crearsi competenze d'uso in più lingue, sviluppando diverse abilità a scopi diversi.
La competenza plurilingue deriva dalle conoscenze assimilate in contesti differenti: si tratta di competenza
comunicativa generale.
Le punte dell’iceberg con cui Cummins identifica la conoscenza di una o più lingue sembrano isole separate, ma in
realtà affondano le radici nella stessa massa di ghiaccio, la facoltà di linguaggio, ovvero la padronanza dei processi di
comprensione e di produzione linguistica la cui crescita modifica l’intero blocco e cioè la competenza nella sua
globalità. Questa competenza globale rappresenta un continuum semiotico che conduce all'idea di integrazione fra due o
più lingue, per avere una multi-competenza ci vuole un'educazione all'interculturalità e al plurilinguismo, e questa
diventa più forte in quanto è una necessità imparare e insegnare le lingue, visto che ad oggi significa favorire la crescita
di competenze plurilingue.
•Hymes sviluppa il concetto di competenza comunicativa negli anni 70, comprende anche aspetti di natura socio ed
etno-linguistica, saper scegliere la varietà linguistica più adeguata al contesto comunicativo e comprendere il
significato, il valore attribuito, e la distanza fra gli interlocutori dal tono della voce fa parte delle conoscenze
fondamentali per sviluppare la competenza comunicativa. Anche il bilinguismo per essere compreso e studiato implica
discorsi interdisciplinari che coinvolgono linguistica e anche la psico e la neuro linguistica, si affiancano poi anche studi
del bilinguismo coordinato oppure composito, o ancora di diglossia, ma anche di educazione plurilinguistica il concetto
della lingua come cultura è diventato un tutt'uno. Molti vocaboli sono determinati culturalmente in quanto possiedono
un valore culturale condiviso grazie all'uso, e al contesto in cui questa parola viene utilizzata, non sempre i dizionari
tengono conto di questo aspetto.

CAPITOLO 2 - ACQUISIZIONE E APPRENDIMENTO DI UNA LINGUA


Introduzione
Bloomfield sostiene che l’acquisizione del linguaggio costituisce la massima prestazione intellettuale dell’esistenza. Se
è vero che essa ha luogo primariamente in età infantile, soprattutto in ambiente familiare, essa può in vari modi ripetersi
più volte nella vita, pur in età avanzata, per esempio in seguito all’immigrazione in un paese straniero. L’acquisizione
della lingua materna o lingua prima (L1) e quella di una lingua seconda (L2) sono due esperienze simili, benché non
coincidenti, che negli ultimi decenni hanno attirato l’attenzione di varie discipline. La conoscenza di come procede
l’acquisizione di una lingua costituisce un Prerequisito fondamentale per una consapevole e corretta impostazione del
suo insegnamento. In questo ambito troviamo due termini usati talora sinonimicamente, talora con accezioni diverse:
acquisizione (linguistica) e apprendimento (linguistico).
-Per acquisizione (acquisition) si intende un processo di appropriazione (di L2) inconsapevole, implicito, subconscio,
quale quello per cui i bambini imparano la loro prima lingua (L1).
-Per apprendimento (learning) si intende un processo consapevole, focalizzato sulla lingua da apprendere, in contesti in
cui la seconda lingua viene appresa e insegnata in classe.
Soprattutto nell’ambito di L1, il concetto di acquisizione è contrapposto a quello di sviluppo linguistico (language
development), poiché l’acquisizione implica un processo idealmente istantaneo, mentre lo sviluppo linguistico allude a
un movimento attraverso stadi successivi.
-Il sistema linguistico appreso, tanto dal bambino, quanto dall’adulto, viene poi chiamato lingua bersaglio, d’arrivo o
lingua Target;
-la lingua di partenza è nominata la lingua materna o L1;
-quando una seconda lingua viene appresa accanto alla prima contemporaneamente ad essa, non si parla di acquisizione
di L2, ma piuttosto di acquisizione bilingue primaria.

L’apprendimento di L2 è infine detto spontaneo quando avviene in un contesto in cui viene utilizzata normalmente
nell’interazione sociale (si parla allora propriamente di lingua seconda: pensiamo all’italiano appreso in Italia da
immigrati); si parla di apprendimento linguistico guidato dove il contatto con L2 si ha solo in classe, in corsi di lingua
sotto la guida di un docente; se la lingua appresa in tale contesto non è la lingua del contesto esterno si parla
propriamente di lingua straniera (com’è il caso dell’inglese imparato in Italia). Quando la lingua seconda è appresa sia
nell’interazione sociale sia in corsi di lingua si parla di apprendimento misto. La lingua etnica è la lingua d’origine di
immigrati di seconda e terza generazione.

1. Apprendere L1 e L2: elementi per un confronto


L’acquisizione della lingua materna è un’esperienza condivisa da tutti gli esseri umani, normalmente inseriti fin dalla
nascita in un contesto internazionale che utilizza tale strumento di comunicazione, è un processo che pare accadere da
sé, a una certa età, poco dopo il primo anno di vita, senza particolare sforzo.
Si pensa che l’apprendimento di altre lingue richieda non pochi sforzi e conduca spesso a esiti più diversificati e meno
soddisfacenti. Vediamo alcuni tratti comuni e le maggiori differenze tra essi.

Tratti comuni all’acquisizione di L1 e di L2


-Entrambi fanno leva da un lato su processi di socializzazione in cui la lingua funge da strumento di comunicazione
all’interno di un certo gruppo sociale (famiglia, gruppo dei pari, colleghi di lavoro), dall’altro su risorse cognitive e
articolatorie tipiche della specie umana. Studi empirici condotti sull’acquisizione di L1 e di L2 mostrano inoltre un
procedere attraverso fasi di sviluppo ricorrenti e in parte comuni.

-Sia in L1 che in L2 ricorrono alcuni errori comuni. Questi errori comuni, detti evolutivi, sono spesso produzioni
analogiche, semplificazione paradigmatica o sintagmatiche (La problema, la pigiama, dicete). Spesso si nota come tanto
in L1 quanto in L2 alcune difficoltà acquisizionali siano legate a strutture della lingua d’arrivo che esibiscono tratti di
marcatezza, ossia tratti rari nelle lingue del mondo o tratti particolarmente complessi. Per esempio, foni marcati
dell’italiano quali le affricate (ts, dz) o la vibrante (r), gruppi consonantici complessi (str, rs) pongono problemi al
bambino che apprende L1 (negossio per “‘negozio”, faffalla per “farfalla”, tada per “strada”), ma spesso anche
all’adolescente o all’adulto che impara una nuova lingua (pensiamo alla difficoltà della vibrante dell’italiano (r), assente
come fonema dal cinese).

Principali differenze tra L1 e L2


- Una prima differenza è costituita dal fatto che per L1 l’acquisizione linguistica è parallela e concomitante con lo
sviluppo cognitivo, con la progressiva conoscenza e categorizzazione del mondo, mentre per L2 essa può poggiare su
uno sviluppo cognitivo più avanzato se non completo e su una conoscenza del mondo più ampia.

- L’acquisizione di L2 avviene poi in soggetti che conoscono un’altra lingua e che pertanto già dispongono di nozioni
linguistiche potenzialmente utili al fine di interpretare le forme della nuova lingua, ma al contempo possibili fonti di
errori e interferenze o transfer negativi.

- In L2 il peso delle differenze individuali sembra maggiore che in L1.

- Lo stadio finale raggiunto è diverso: in L1 è solitamente buono, nativo, mentre in L2 di solito è meno soddisfacente.
- in L1 è più forte e intimo il legame fra lingua e identità personale piuttosto che per L2. Più spesso L2 viene sentita
come estranea alla propria identità.

- per L1 è abbondante l'input linguistico in quanto il bambino è esposto tutto il giorno al parlato di familiari, mentre per
L2 l'input è limitato in classe in tale contesto l'input risente del grado di apertura del soggetto verso la società e la
cultura di L2;

- L1 l'input linguistico cui è esposto il bambino (il child-directed speech o baby talk) è più favorevole all'apprendimento
in quanto è sintonizzato sui bisogni e sulle esperienze di chi apprende per L2 invece le caratteristiche degli input sono
meno sistematiche;

- L1 ha un peso maggiore e spesso avviene anche l'apprendimento implicito quindi inconsapevole, mentre per L2 il
ruolo decisivo è giocato dall’apprendimento esplicito;

- molte differenze tra L1 e L2 sono neurobiologiche in quanto i processi e le condizioni cerebrali si collocano in età
diverse in L2 il substrato dell'apprendimento differisce in modo significativo, L1 si configura come un’organizzazione
graduale di un'architettura neurale, mentre per L2 tutte le architetture neurali legate a L1 e quindi le aree cerebrali
coinvolte sono diverse, infatti l'emisfero sinistro per L1 mentre per L2 si attivano delle aree cerebrali aggiuntive.

Si collega a tali considerazioni la discussione circa l'ipotesi detta del periodo critico, proposta dapprima da Lenneberg
e poi ripresa e modificata da altri, secondo la quale, anche per l'acquisizione della lingua pare esserci un limitato
periodo favorevole (entro la pubertà per Lenneberg, secondo altri molto prima, entro 5 anni ) poiché in tale periodo il
cervello è particolarmente pronto a elaborare automaticamente una lingua a partire dai semplici input.

2. Approcci teorici all’acquisizione di L1


Le principali ipotesi sull’apprendimento della lingua materna risentono dei vari orientamenti teorici della linguistica e
della psicologia contemporanee e sottolineano fattori che coincidono su tale processo: l’intelligenza generale e lo
sviluppo cognitivo, capacità innate legate alla lingua, l’ambiente esterno. Questi hanno ispirato alcuni modelli teorici
sull'acquisizione di L2.

2.1 Principali studi e filoni


Fino agli anni '50 in un contesto dominato dalla psicologia comportamentista (o behaviorista), l'acquisizione della
lingua veniva letta come il formarsi di abitudini linguistiche mutato da meccanismi di ripetizione, imitazione e
consolidamento. Tale lettura risultava poco illuminante nell'ambito della grammatica, infatti non tutto ciò che il
bambino produce è frutto di imitazione dell’input dei genitori, bensì pare obbedire a regole elaborate dal bambino
stesso. Di conseguenza fu messo in discussione il modello behaviorista da parte di Chomsky che sostiene che
l'acquisizione della lingua non è un'abitudine, né una pura imitazione ma un processo creativo di apprendimento di
regole basato su una facoltà di linguaggio innata (innatismo).
Negli anni 70 ci furono altre teorie acquisizionali:
1. teorie innatiste o nativiste, di matrice generativa;
2. teorie cognitiviste su basi cognitive e meccanismi di processazione del linguaggio;
3. teorie ambientalistiche, quindi attente agli aspetti della socializzazione e al ruolo dell'input materno e al ruolo del
contesto nell'apprendimento.

Queste teorie hanno comunque peso e rilevanza diversi e una teoria esaustiva sulla acquisizione di L1 ancora non esiste.
Il primo filone è simbolico nel senso che rappresenta la conoscenza linguistica come un insieme di simboli e regole.
Nel secondo prevalgono approcci connessionisti che rappresentano la conoscenza come pattern di attivazione di reti
neurali.
Recentemente sono state classificate le teorie sull'acquisizione di L1 da cui si ottengono quattro posizioni teoriche
diverse combinando le opzioni di: innatismo vs non innatismo, con domini specifici (relativi alla sola acquisizione
linguistica) vs ricorso a capacità generali (memoria, percezione):

1) la posizione innatista-dominio specifico lo sviluppo grammaticale del bambino poggia sulla grammatica universale
innata e su capacità linguistiche, la facoltà di linguaggio sarebbe quindi autonoma;
2) la posizione innatista-dominio generale per cui il bambino nasce con una dotazione biologica innata non linguistica
che elabora l'informazione;
3)la posizione non innatista-dominio specifica il linguaggio si sviluppa in base a rappresentazioni dominio specifiche
legate al linguaggio, non innate, e che emergono in processi di modularizzazione;
4)la posizione non insista-dominio generale il bambino nel suo sviluppo costruisce rappresentazioni cognitive
generali da cui scaturiscono sistemi di problem solving tra cui il linguaggio.
2.2 Teorie innatiste
Le teorie innatiste sono ispirate a Chomsky. Partono dall’idea secondo cui gli uomini apprendono la lingua in modo del
tutto naturale, rapido e uniforme, a fronte di un input povero, talora non grammaticale e non completo: si tratta
dell’argomento della povertà dello stimolo o del problema logico dell’acquisizione linguistica che richiede una
spiegazione per il fatto che l’apprendente sa più di quanto potrebbe evincere dall’input (che costituisce l’evidenza
positiva). Tali teorie enfatizzano inoltre il fatto che i bambini imparano senza insegnamento esplicito e con rare
correzioni (evidenza negativa). L’acquisizione ha luogo grazie alla presenza di un patrimonio di conoscenze e principi
astratti innato, quindi abbiamo una grammatica universale (GU). La grammatica universale comprenderebbe principi
innati e parametri che determinerebbero l’insieme di lingue umani possibile. Il bambino fisserebbe i parametri di GU
(parameter setting) sulla lingua a cui viene esposto. Secondo molti innatisti, oltre alla GU, pure la modularitá interna
della grammatica sarebbe innata e così le categorie sintattiche, le categorie funzionai e i tratti fonologici.
In tale quadro viene quasi del tutto trascurato l’apprendimento induttivo e vengono ritenuti marginali altri aspetti
cognitivi, così come componenti sociali, individuali, funzionali e internazionali dell’apprendimento.
Sono state mosse varie critiche all’approccio: mancano le prove neurobiologiche che dimostrano che la grammatica
universale sia innata. Tomasello ha dimostrato che alcune regole grammaticali che si supponevano innate possono
emergere da capacità cognitive generali e da processi di grammaticalizzazione legati all’universo frequente.
L'idea di una predisposizione innata allo sviluppo del linguaggio è accettata anche fuori dal riferimento alla GU: in
particolare alcuni ritengono i nati i meccanismi responsabili per l’acquisizione e l’uso della lingua che non sarebbero
però di natura strettamente linguistica (si parla di innatismo generale).

2.3 Teorie cognitivo-funzionali


In queste teorie la cognizione è intesa come un fenomeno che emerge da processi semplici e da capacità cognitive
generali, non da rappresentazioni simboliche innate. Al suo interno l'acquisizione del linguaggio nel bambino è vista nel
contesto del suo sviluppo intellettuale. Viene dedicata una speciale attenzione alle procedure seguite dalla mente per
analizzare, comprendere e acquisire le strutture linguistiche.

•Piaget  secondo questo studioso la competenza linguistica nel bambino si forma in particolare nella prima fase
linguistica, fino ai 18 mesi (detta olofrastica, caratterizzata da enunciati costituiti da singole parole). Questa fase è
relazionata con lo sviluppo dell'intelligenza senso-motoria, in quanto la capacità di nominare oggetti dipende dalla
consapevolezza della permanenza degli oggetti tipica dell’ultima fase dello stadio sensomotorio, anche se queste teorie
sono difficilmente dimostrabili.
Egli, perciò, cercava correlazioni fra gli stadi dello sviluppo cognitivo preposti da lui e il formarsi della competenza
linguistica nel bambino.

•Slobin  pone una particolare enfasi sulla base cognitiva dello sviluppo linguistico. Egli è un oppositore della visione
innatista di uno sviluppo linguistico autonomo da quello cognitivo; per lui l'ordine di acquisizione è costante nelle varie
lingue materne, ed è indipendente dai mezzi formali. Dopo alcuni studi dimostra l'emergere di alcuni principi operativi
comuni a diverse lingue, che sono la base per costruire il linguaggio e quindi guidano l'apprendente nella percezione
dell'input e nella costruzione della grammatica.

•Andersen  riferendosi a Slobin ha proposto poi dei principi operativi analoghi per l'acquisizione di L2. Enfatizza il
ruolo della funzionalità comunicativa nell’acquisizione: il bambino impara certe forme linguistiche per poter adempiere
a certe funzioni (es. domandare per chiedere). Il suo compito primario è dunque quello di scoprire i corretti rapporti
forma-funzione nella sua L1.
Questa è la base del Competition model di MacWhinney secondo cui l'apprendimento si basa su indizi, per cui
l'apprendente deve coglierli, riconoscerli e dare loro il giusto valore.
Nella produzione il bambino inizierebbe con lo stabilire le categorie basilari di topic, comment e agente scegliendo le
loro codificazioni tramite gli elementi superficiali più salienti e coerenti nella sua L1.

• Dressler Un ulteriore modello che combina elementi cognitivo funzionali con una teoria linguistica applicata anche
a settori diversi dall’apprendimento (mutamento linguistico, disturbi e afasie) è la teoria della naturalezza di Dreller
proposta per spiegare l’acquisizione di L1. Secondo questa teoria le strutture fonologiche e grammaticali più naturali
sarebbero preferite da chi impara una lingua in quanto facilmente elaborabili, più trasparenti, più diffuse e anche quelle
più coerenti con il tipo di lingua in questione.

•Rosch  fa parte del filone cognitivo, negli anni ‘70 sviluppa la teoria dei prototipi in ambito psicologico; questo
spiega alcuni meccanismi della categorizzazione umana. Secondo questa teoria l'acquisizione delle categorie
linguistiche parte spesso riconoscendo un significato prototipico ed estendendolo in seguito in maniera graduale. Lo
sviluppo quindi delle diverse teorie mette in dubbio l'idea di universalità dello sviluppo linguistico, segnalando la
sensibilità del bambino a strutture diverse. A differenza di quanto si ha nei modelli generativi, nel filone cognitivo-
funzionale non vengono postulate categorie o regole linguistiche innate, ma viene sottolineato il ricorso dei bambini a
un apprendimento distribuzionale, attento cioè ai pattern di co-occorrenza di certi tratti semantici o morfosintattici.
Si possono ricondurre al filone cognitivista dei modelli attenti alle basi neurologiche, il principale è il modello neurale
che utilizza le reti neurali per simulare come i bambini in L1 acquisiscono alcuni aspetti della grammatica. Gli studi
hanno mostrato che l'immissione nella rete neurale di un certo numero di forme flesse di una lingua, tramite vari cicli di
allenamento consentono alla rete neurale di apprendere il passato anche irregolare dei verbi nuovi con pochi errori.

•McWhinney → sulla base del suo competition model ha proposto un modello unificato dell'apprendimento di L1 e L2
che postula per la rappresentazione del linguaggio nel cervello la formazione di mappe autorganizzate cioè di reti
neurali aventi funzioni simili spazialmente unificati, appunto, in mappe. Questa ricerca deve ancora svilupparsi del
tutto.

•Tomasello  nelle sue ricerche ha mostrato come i bambini imparano le strutture linguistiche a partire da singole
parole, in seguito intorno a isole verbali che poi gradualmente diventano rappresentazioni generali. L'acquisizione ii L1
non è spiegata quindi sulla base di conoscenze innate ma sull'abilità di identificare le intenzioni comunicative altrui, e
nella comprensione degli altri come esseri intenzionali.

•Goldberg  ha creato l'approccio costruzionista che interpreta l'acquisizione linguistica come un passaggio graduale
da unità singole a costruzioni più astratte: si parte in L1 da formule fisse e routines, poi modelli o pattern a bassa
generalizzabilità, infine si arriva a costruzioni astratte.

Tale sequenza è stata anche proposta per l'acquisizione di L2. Taluni studiosi hanno prefigurato per L1 possibili
soluzioni di compromesso, in cui accanto a meccanismi connessionisti potrebbero operare dispositivi di tipo simbolico
di basso livello.

2.4 Teorie ambientaliste


Secondo queste teorie i fattori esterni hanno un grande ruolo, in particolare il soggetto apprende attraverso la
socializzazione per cui serve un coinvolgimento del bambino in alcune attività sociali per poter produrre atti linguistici.
Emerge così la sensibilità dei bambini al valore socio-culturale. questo dimostra l'infondatezza dell'idea di Chomsky di
un input degenerato, della povertà dello stimolo e del ruolo dei fattori innati.
Infatti l'input infantile, quindi il discorso che viene rivolto ai bambini chiamato anche child directed speech o baby
talk è solitamente corretto e chiaramente scandito, e aiutato dall'uso di gesti che aiutano il bambino nella costruzione di
frasi. Quindi il baby talk ha un effetto considerevole sull'acquisizione del lessico per i bambini, le prime parole usate dal
bambino sono per esempio quelle a cui è esposto più spesso, ma gli approcci ambientalisti hanno comunque alcuni
problemi in quanto lo stile comunicativo dei genitori sull'acquisizione Linguistica, (quindi il baby talk) non sembra
essere un requisito indispensabile nell'acquisizione di L1, quindi ha un'incidenza secondaria mentre il ruolo più
importante è dato dai fattori cognitivi e inoltre l'ambiente, l'intelligenza generale e la predisposizione innata sono in
continua interazione fra di loro, e il loro ruolo cambia nel tempo come anche il peso dei fattori ambientali che cresce
dopo i tre anni di vita.

3.L’Inter lingua e la questione dell’errore


I primi ad occuparsi negli anni 50 di insegnamento e apprendimento della seconda lingua, influenzati dalle teorie
comportamentistiche, considerano il fenomeno dell’acquisizione linguistica come l’automatizzazione di abitudini basata
su meccanismi di stimolo-risposta, rinforzo e di imitazione. Nel quadro dell’analisi contrastiva si confrontano le due
lingue in contatto (L1 e L2) e le loro strutture (fonologiche, morfo sintattiche, lessicali), per determinare i potenziali
errori e le difficoltà dell’apprendente, riputati probabili laddove vi sono differenze tra le lingue e dove le abitudini
assunte con L1 potrebbero condizionare l’apprendimento di L2. Per imparare L2 si tratterebbe dunque di superare tali
abitudini e di assumerne altre, conformi a L2.
Nel filone di analisi degli errori della seconda metà degli anni 70 si studia il comportamento linguistico degli
apprendenti, in particolare di quello deviante dalle norme della lingua d’arrivo, degli errori, e si formulano
classificazioni per i vari tipi di errori. Con stupore si riscontrano errori non solo in aree di L2 diverse da L, ma pure in
ambiti non previsti (in contesti di somiglianza o identità fra giudicati facili); talora non se ne trovano laddove l’analisi
contrastiva li prevede.

CorderPropone di interpretare gli errori non come esito di imitazione o di abitudini legate a L1, bensì come
testimonianze di un sistema linguistico in formazione, come si fa per gli errori linguistici compiuti dei bambini. Egli
distingue errori di competence (errors o “forme transitorie”) da errori a livello di performance (mistakes), fra cui i
lapsus, presenti pure nei dati dei nativi (errori riconosciuti come tali dai parlanti dovuti a fatica, disattenzione e NON a
mancata conoscenza delle regole. Come il bambino per L1, per l’apprendente di L2, va considerato un creatore di
regole, un generatore di ipotesi sulla lingua da mettere alla prova. La sua competenza in L2 è una competenza
transitoria con sua grammatica dotata di sistematicità e regolarità.

Selinker formula la nozione di Interlingua, cioè la lingua imperfettamente posseduta dalla prendente concepita come
un sistema linguistico a sé stante. L’interlingua può ricorrere in un fenomeno assente in L1, cioè nella fossilizzazione (Il
permanere o raffio rare di strutture errate), comprende cinque processi:
* Il transfert linguistico= Derivante dall’influsso della lingua materna su L2
* Il transfert di insegnamento= Errori dovuti all’applicazione indebita di regole e strutture su cui punta l’insegnamento
* Le strategie di acquisizione di L2= risultato di un modo in cui la prendente affronta il materiale da prendere (per
esempio omettendo o semplificando i morfemi grammaticali)
* Le strategie di comunicazione in L2= Risultato che in modo identificabile in cui la prendente affronta la
comunicazione con parlanti nativi (per esempio facendo appello al loro aiuto)
* La sovrestensione di regole di L2 a contesti in cui non andrebbero applicate

Soprattutto a partire da Corder e Selinker la concezione dell’interlingua rimanda a due caratteristiche: sistematicità e
dinamismo.
Il tema dell’errore ha rilevanza anche per l’insegnamento.se nell’ottica acquisizione Ale l’errore è indizio di una fase
transitoria, una strategia acquisizione ali, in chiave didattica esso viene spesso letto come un problema, mentre in realtà
può essere utilizzato proficuamente dal docente. Va distinta la descrizione dell’errore e si possono distinguere quattro
tassonomie descrittive degli errori:

1. Tassonomia delle categorie linguistiche= Si basano sull’elemento linguistico. Possiamo parlare per esempio di:
- errori fonetico fonologici (semplificazione di nessi consonantici, omissione o sostituzione di foni: liso per “riso”)
- errori morfologici (errori nella flessione di numero, genere, tempo: due amica, una uomo)
- errori sintattici (omissione dell’articolo, dell’ausiliare: lui scendere macchina)

2. Tassonomia delle strategie superficiali= Comprendono omissioni di elementi necessari (preposizioni, articoli);
aggiunte improprie di elementi non necessari (We didn’t went); malformazioni; ordini improprio degli elementi.

3. Tassonomie comparative= Si basano sul confronto tra la struttura degli errori in L2 e altri tipi di costruzioni. Gli
errori possono essere:
- evolutivi o intralinguali: presenti anche in L1
- interlinguali: Riflettono la struttura della lingua nativa dell’apprendente e si hanno solo in L2.
- ambigui: meno facilmente classificabili

4. Tassonomie degli effetti comunicativi= Trattano gli errori dal punto di vista dei loro effetti sulla comunicazione,
sull’ascoltatore o sul lettore. Si distinguono errori che causano difficoltà di comunicazione da errori che non ne causano.

4. Approcci teorici all’apprendimento di L2


Le teorie sull'acquisizione di L2 sono ricondotte, a parte alcune differenze, alle stesse teorie utilizzate per L1
I modelli sono 4:
1. modelli innatisti: enfatizzano anche per L2 ruolo della competenza linguistica innata e secondo questo modello
anche L2 poggia su un dispositivo linguistico innato;
2. modelli cognitivo funzionali: secondo questo modello l'acquisizione linguistica è un processo guidato da principi
cognitivi generali e motivazioni funzionali;
3. modelli ambientalisti sono teorie ispirate a modelli della psicologia sociale quindi l'acquisizione di L2 è un processo
di acculturazione;
4. modelli integrati: questi modelli cercano di tenere conto dei vari fattori in gioco.

Tra i modelli innatisti c'è il Modello del Monitor di Krashen creato nell' 85.

4.1 Il modello del Monitor


È una macro-teoria che tiene conto di vari fattori dell'apprendimento per cui l'acquisizione di L2 risente dei fattori
ambientali esterni ed interni, e viene attuata da tre operatori mentali. Sulla base di diverse competenze, anche
lacunose vengono prodotti degli output in L2.
Personalità Età

Ambiente linguistico Filtro Organizzatore Monitor  esecuzione verbale dell’apprendente


(INPUT) (OUTPUT)
Prima lingua

I primi due operatori sono il filtro e l’organizzatore che sono subcoscienti, il terzo, il monitor è cosciente.
Al filtro arriva l’input fornito dall’ambiente in base a fattori emotivi (motivazioni, attitudini, stati emozionali). Più le
motivazioni sono forti, più il filtro è abbassato, più l'input riesce a penetrare e dunque più si impara.
Le motivazioni possono essere integrative (desiderio di partecipare alla vita della comunità) o strumentali (desiderio di
saper parlare la L2); gli stati emozionali agiscono anch'essi sul filtro per cui chi è calmo e rilassato è più favorevole
all’acquisizione; quindi, è bene insegnare in una situazione rilassata e imparare nello stato tra veglia e sonno.
Ovviamente anche l'attitudine incide sul filtro.
In seguito, l'organizzatore elabora a livello subconscio i dati in entrata, creando la competenza linguistica in L2. La sua
opera è visibile anche tramite gli errori.
Infine, il monitor è il responsabile dell'elaborazione linguistica consapevole, derivante dallo studio della grammatica;
esso è visibile nelle autocorrezioni. Non da tutti il monitor è utilizzato in egual misura; ciò dipende da vari fattori, ossia:
- l'età quindi il livello dello sviluppo cognitivo,
- l'esecuzione del compito in quanto se si dà più attenzione alla forma piuttosto che al contenuto si ricorre
maggiormente al monitor,
- influirebbe poco la quantità di istruzione ricevuta,
- la personalità, poiché il monitor infatti è usato maggiormente dalle persone incerte e timorose di sbagliare.

Per Krashen la vera acquisizione che l'organizzatore opera non è quella data dallo studio consapevole che egli chiama
apprendimento, ma quella operata dall’organizzatore che porterebbe a parlare in modo automatico. Quindi,
l'acquisizione delle abilità comunicative dipende dal filtro e dall'organizzatore.
Chi si attiene a tale modello promuove un insegnamento a livello del subconscio, alla comunicazione naturale, più che
grammaticale, tenendo conto di fattori affettivi e motivazionali. Krashen stesso ha riassunto il modello del monitor in
cinque ipotesi:
1. ipotesi dell'acquisizione/apprendimento: sono 2 sistemi conoscitivi, l'acquisizione è da privilegiare, è subconscio ed è
operato dall'organizzatore; mentre l'apprendimento è conscio e più superficiale quindi non si può convertire in
acquisizione;
2. ipotesi dell'ordine naturale: le strutture di L2 verrebbero acquisite in ordine naturale, fisso, indipendente
dall'insegnamento;
3. ipotesi del monitor: attivo nell'apprendimento linguistico consapevole e in compiti focalizzati sulla forma;
4. ipotesi dell'input comprensibile: l'apprendimento è possibile solo se l'input è comprensibile e di complessità
lievemente superiore a quella della varietà posseduta (es. se questa è di livello=i, l’l’input favorevole all’acquisizione è
i+1).
5. ipotesi del filtro affettivo: affinché l'input venga utilizzato ed elaborato è necessario che il filtro non sia bloccato a
causa di ansia e che non manchino nell’apprendente motivazione e autostima.

Questa teoria, anche se intuitiva è importante come tentativo di organizzare alcuni esiti della ricerca, è stata criticata
specie perché vaga di alcune nozioni e l’assenza di spiegazioni causali.

4.2 Il ruolo di GU nell’apprendimento di L2


Sempre nel filone innatista si collocano tutti i seguaci di Chomsky, che cercano di spiegare il linguaggio nelle sue
proprietà più che la sua acquisizione, sottolineando l'impossibilità di imparare una lingua senza una conoscenza innata
di alcuni principi universali linguistici, quindi senza una grammatica universale. Il riferimento alla grammatica
universale proposta per l'acquisizione della lingua materna è stata poi estesa anche ad L2; ciò significa riposizionare i
parametri già esistenti per L1 e settarli anche per L2.
Sempre ad opera di Chomsky è stato il Programma minimalistico, che rivaluta il ruolo del lessico, per cui
l'acquisizione linguistica consiste nell’ imparare il lessico. Nell'apprendimento di L2, come in L1, si attraversa una fase
in cui sono presenti solo le categorie lessicali (nomi, aggettivi), mentre la sintassi verrebbe appresa in seguito. Ma la
teoria della GU in L2 crea dei pareri discordi fra gli studiosi.
Tra gli innatisti c'è chi esclude per L2 l'accesso alla grammatica universale, chi invece ritiene che ci sia un accesso
parziale o indiretto, chi nega l'accesso alla grammatica universale per L2. Chi nega l’accesso ritiene che per apprendere
L2 si ricorra ad abilità generali di risoluzione di problemi, ad abilità cognitive innate.
Per la valutazione dei modelli innatisti va ricordato che si tratta più di descrizioni della grammatica centrale delle lingue
e della competenza che di teorie acquisizionali interessate al processo di apprendimento. A livello empirico studiosi
innatisti si interessano soprattutto dell’acquisizione della sintassi in L2, non toccando livelli, semantici, pragmatici e
discorsivi e trascurando fattori sociologici e psicologici.

4.3 Modelli cognitivo-funzionali


I modelli ispirati a una posizione funzionalista e cognitiva assumono che nel processo acquisizionale interagiscano
fattori ambientali, fattori interni, cognitivi e neurologici; questi approcci si oppongono perché trattano l'apprendimento
linguistico come quello di altri tipi di conoscenza: verrebbe conseguito quest'ultimo tramite strategie e operazioni
cognitive senza ricorrere a conoscenze linguistiche astratte ed innate.
Alcuni modelli si soffermano sull'acquisizione di competenze in L2 altri invece sulla produzione delle strategie
utilizzate.
Anche la teoria dell'interlingua va inquadrata nel filone cognitivo in quanto l'acquisizione di L2 viene letta come un
processo mentale di costruzione di regole attraverso formazione e verifica d'ipotesi.
Mentre alcune teorie cognitive di stampo psicologico, in particolare il modello ACT (adaptive control of thought),
fanno riferimento alla differenza tra conoscenza esplicita (consapevole) ed implicita (intuitiva) e fra le conoscenze
dichiarative (quindi il sapere qualcosa) e quelle procedurali (saper praticare una certa conoscenza). Per alcuni fra le due
c'è una separazione totale (quella esplicita porta all’apprendimento, quella implicita all’acquisizione), mentre per altri è
possibile un’”interfaccia”: pure pratiche formali di L2, oltre a tradursi in competenza esplicita, potrebbero tradurre a
competenza implicita.
L’acquisizione avverrebbe attraverso l'automatizzazione e ristrutturazione delle conoscenze esplicite e grazie a una
pratica frequente, che aiuta le elaborazioni mentali. Il modello dell'information processing di Mac Laughlin vede
l'apprendimento come passaggio da processi controllati a processi automatici e rapidi.

Studi di ambito cognitivo hanno inoltre messo in luce il ruolo della memoria a breve termine e di quella a lungo termine
nell’acquisizione della L2, insieme al ruolo di processi di percezione ed elaborazione dell’informazione linguistica e più
in particolare dell’automatizzazione: l’acquisizione di L2 comporterebbe il passaggio da un’elaborazione della lingua
controllata condizionata dai limiti della memoria a breve termine, a una automatica. Le conoscenze automatizzate
sarebbero poi spostate nella memoria a lungo termine.

Ispirandosi al modello ACT di Anderson, Ullmann ha elaborato il suo modello dichiarativo- procedurale secondo
cui due sistemi cerebrali diversi vengono utilizzati per acquisire L2: il primo, un sistema cerebrale (nel lobo temporale)
sottoposto alla memoria dichiarativa, presidierebbe al lessico mentale e alle conoscenze linguistiche arbitrarie, mentre il
sistema complementare indipendente sovraintende alla memoria procedurale e quindi alle conoscenze grammaticali
basate sulle regole. Questo modello è supportato da molte prove, in quanto gli apprendenti iniziali di L2 fanno più leva
sull'apprendimento dichiarativo di quanto lo facciano i nativi per i quali gli aspetti procedurali sono più spiccati.
Tali indagini offrono supporto all’ipotesi di uno sviluppo dal dichiarativo al procedurale (dall’esplicito all’implicito).

Un altro modello è quello della teoria della processabilità (TP) di Pienemann secondo cui ciò che è facile da
elaborare (processare), è anche facile da imparare per cui imparerebbero a gestire prima procedure di livello basso poi
quelle di livello più alto, e ogni procedura è un prerequisito per la successiva. Nell'ordine abbiamo:
- accesso al lemma (uso di singole parole, frasi fisse);
- procedura categoriale (riconoscimento della categoria lessicale del lemma e flessione;
- procedura sintagmatica (accordo interno al sintagma, per esempio accordare genere);
- procedura frasale (accordi soggetto-verbo o soggetto- predicato);
- procedura della frase subordinata.

La TP ipotizza che la sequenza implicazionale con cui sono attivate le procedure durante la produzione del parlato
dipenda dalla distanza sintattica tra gli elementi i cui tratti richiedono lo scambio di informazione: più lontani sono
sintatticamente, maggiore è il costo di elaborazione per l’apprendente e più alto è il possibile numero di errori.
Pienemann nell’ipotesi dell’insegnabilità (o teachability) suggerisce di rispettare questo percorso, insegnando una
struttura di L2 solo dopo che gli stadi acquisizionali precedenti sono stati attraversati.

Parallelamente a L1, anche per L2 sono stati elaborati dei modelli ispirati alla linguistica cognitiva per cui ci sono
delle visioni costruttiviste dell'acquisizione: attraverso la base percettiva, motoria, percettiva e cognitiva si potrebbero
costruire delle rappresentazioni linguistiche in L2 proprio come si fa in L1 (in L2 il ruolo decisivo è giocato della
frequenza e l'uso).

Sul versante connessionista si dimostra come anche per L2 la regolarità di associazioni fra forme e funzioni basti per
imparare le regole grammaticali.
Negli studi su L2 si parte dall'idea che l'apprendimento fa leva su “formule”, blocchi inanalizzati (mi chiamo x; non lo
so): si partirebbe dall’individuazione e memorizzazione di sequenze fisse e frequenti in L2, per poi utilizzarlo
successivamente con elementi diversi, e infine apprendere costruzioni più astratte e generali.

Anche gli approcci funzionalisti correlano l’acquisizione di L2 con la sua funzionalità comunicativa. Essi rimandano
a principi generali di carattere universale e tipologico che agiscono sulle lingue e interlingue e sono fondati su
motivazioni comunicative e cognitive.
Nell'interlingua si passa dalla modalità pragmatica a quella sintattica in modo graduale. Sempre negli approcci
funzionalisti possiamo porre il competition model citato per L1 che si basa sugli indizi dell'apprendimento linguistico,
mentre quando L2 fa riferimento a indizi o criteri diversi per una certa regola, l'apprendente tende a privilegiare i criteri
usati in L1, poi criteri universali ed infine utilizza i criteri di L2.

Pure i lavori condotti sull’italiano L2 nel Progetto di Pavia sono di stampo funzionalista. Dimostrano che
l'apprendente cerca di comunicare con i mezzi linguistici a sua disposizione: cerca di spiegare almeno gli elementi
essenziali del messaggio trascurando anche aspetti formali e grammaticali non essenziali.

L'acquisizione di L2, è guidata quindi da bisogni comunicativi e comporta la nascita e lo sviluppo di varietà di
apprendimento. Sono varietà caratterizzate dall'input e da precedenti conoscenze linguistiche di L1; lo studio di queste
varietà consente di comprendere la facoltà linguistica e i suoi principi che sono di validità generale, ossia:
a) il principio semantico Focus last che colloca alla fine dell'enunciato le informazioni salienti;
b) il principio semantico Controller first per cui l'elemento che controlla l'azione del verbo, quindi il soggetto, è
posizionato all'inizio dell'enunciato;
c) altri principi sintattici di linearizzazione dei costituenti specifici delle singole lingue che vengono appresi in momenti
successivi ai principi a) e b) con una certa gradualità evitando prima le strutture discontinue e le negazioni.

Il ruolo chiave nell'evoluzione delle varietà acquisizionali è lo sviluppo della grammatica.

4.4 Modelli ambientalisti


Sono teorie acquisizionali che puntano sull'ambiente, correlando l'acquisizione di L2 a processi di integrazione
dell’apprendente nel contesto socio-culturale di L2 e dei fattori psicosociali (in particolare gli atteggiamenti, siano essi
favorevoli o sfavorevoli e le motivazioni).

Schumann con il suo modello dell'acculturazione afferma che la distanza sociale e psicologica dell’apprendente
incidono negativamente sull' apprendimento di L2 nei confronti della lingua e della cultura.
•Per distanza sociale s' intende la chiusura di una comunità immigrata: più la comunità immigrata è chiusa, maggiore è
la distanza sociale e meno favorito l’apprendimento della lingua della società d’arrivo.
•Per distanza psicologica s'intende lo shock linguistico che l'apprendente subisce quando incontra la comunità che lo
ospita; quindi per una acquisizione adeguata è necessaria una ridotta distanza sociale e psicologica con atteggiamenti
positivi da entrambe le parti.

Altri modelli ambientalisti di stampo socioculturale considerano l’apprendimento un fenomeno interindividuale, poi
intrapersonale: l'acquisizione di L2 viene vista come uno strumento per costruire delle conoscenze dove sono
fondamentali l'interazione sociale ed il dialogo. Da qui si porta l'attenzione a fenomeni come lo “scaffolding” anche
detto intelaiatura.

Gli approcci sociolinguistici ed etnografici sottolineano l'influsso delle variabili socioanagrafiche (la rete sociale, il
sesso), dell’autostima, della gestione dei problemi.

Anche gli approcci dell'interazione fra i nativi e apprendenti possono essere visti come approcci ambientalisti, in
particolare l'ipotesi interazionista di Long che sviluppa la stessa ipotesi di Krashen, per cui l'input comprensibile è utile
all'apprendimento e comprende modifiche linguistiche. Ma Long sottolineò il contributo dei fattori interni
all'apprendente e anche di quelli esterni suggerendo a chi insegna la cura dell'input sulla cui base l'alunno può costruire
le ipotesi su L2.

4.5 Modelli integrati


Alcuni studiosi hanno proposto di tenere conto di vari modelli e fattori acquisizionali. Fra questi ricordiamo il Modello
multidimensionale contempla l’azione congiunta di principi e processi cognitivi, come il grado di integrazione
dell'apprendente e i suoi atteggiamenti aiutano l'apprendimento. Gass sviluppa il Modello integrato considerando i vari
fattori esterni e interni che incidono sull'apprendimento e propone quattro fasi di elaborazione di L2:
1) percezione dell'input in cui incidono i fattori personali, psicologici e ambientali;
2) comprensione dell'input favorita da modifiche dell’input e strategie di negoziazione nelle quali si ricorrerebbe a
conoscenze linguistiche universali o specifiche legate a delle altre lingue note oltre che L1 e L2 per poter comprendere
l'input;
3) accettazione dell'input (e passaggio all’intake) con la formazione e verifica di ipotesi su L2 sulla grammatica;
4) integrazione dell'intake nel sistema di interlingua grazie a principi specifici come la naturalezza. Sulla base delle
competenze costruite l'apprendente produce poi l'output in L2.
Il modello di Towell e Hawkins combina un approccio innatista con aspetti del modello di Anderson e del modello
psicolinguistico, integrando la grammatica universale, il transfer della memoria da L1 e di altri meccanismi e fattori
cognitivi oltre che di conoscenze apprese.

I modelli che più penetrano nel cuore del processo acquisizionale sono quello innatista e quello cognitivista-
funzionalista, mentre gli approcci ambientalisti descrivono le condizioni per l'instaurarsi del processo stesso.

5. Fasi di sviluppo delle varietà di apprendimento


5.1 Cenni di sviluppo di L1
•dai 3 ai 10 mesi abbiamo la fase prelinguistica (con la produzione di suoni biologicamente determinati, rifletti fino a 2
mesi; il gioco vocale dai 4 ai 7 mesi; il balbettio 6-7 mesi; la lallazione dai 7 ai 12 mesi); lallazione e balbettio servono
come allenamento al linguaggio, e si accompagnano al riconoscimento di alcuni significati. Verso i 9 mesi comincia la
prima condizione per lo sviluppo linguistico a livello psicologico e cognitivo e inizia la comunicazione gestuale;
• dai 12 ai 20 mesi c'è la fase olofrastica o monorematica: qui inizia la produzione linguistica con enunciati di una sola
parola (uto-“sono caduto”);
• 20 ai 24 mesi fase bimebre: gli enunciati sono di 2 parole e vengono per lo più fatte richieste in stile telegrafico (no
npappa-“non voglio mangiare”/nanna no (non voglio dormire);
• dopo 24 mesi inizia lo sviluppo della grammatica: enunciati sono di più parole e la pronuncia è ancora semplificata,
spesso con assimilazioni consonantiche (guaddare) e caduta di sillabe (menticato-“dimenticato”);
• dopo i 3 anni c'è uno sviluppo graduale della coordinazione e della subordinazione: il vocabolario aumenta, la
pronuncia si avvicina a quella degli adulti; verso i 10-12 anni la competenza linguistica è sostanzialmente uguale a
quello degli adulti mentre successivamente comincia a svilupparsi la sintassi, il lessico e la testualità e questi sono
campi in cui interviene la scuola.

5.2 Fasi di sviluppo di lingue seconde


Ci sono alcune frasi ricorrenti negli apprendimenti spontanei quindi si può parlare di un comune programma evolutivo
per acquisire L2:
1. fase iniziale (varietà pre-basica) → l’apprendente comincia e produrre enunciati brevi ed elementari, poche parole
note all'apprendente, si fa leva anche a risorse non linguistiche come i gesti, l'intuito e l'aiuto del nativo. Abbiamo
enunciati privi di verbo, di preposizioni o articoli. Tali frasi ruotano attorno a parole chiave. Il principio organizzativo
dell'enunciato e pragmatico presentando di solito una prima parte tematica e una seconda rematica che contiene il focus.
2. il verbo compare nella successiva varietà di base → li troviamo in forma basica, non flessa, e la frase non è finita,
mentre il lessico comincia ad arricchirsi, ma la sintassi e la morfologia sono ancora carenti;
3. varietà post basiche → le frasi sono organizzate secondo i principi di L2 con il verbo flesso; ci possono essere errori
in fasi avanzate. Il passaggio dalle fasi 1 a 3 testimonia lo sviluppo da varietà semplici a sistemi più convergenti con il
target, in cui gradualmente vengono integrate regole strutturali specifiche. Solo nelle frasi post-basiche il sistema L2 è
acquisito nelle sue caratteristiche strutturali più tipiche, nelle sue categorie grammaticali e lessicali.

5.3 Ordini e sequenze d’acquisizione in inglese e francese L2


Per l'inglese L2 negli anni 70 Dulay e Burt trovano un ordine di acquisizione costante relativo all’apprendimento della
morfologia, simile a quello di L1 evidenziato da Brown. Krashen riassume l'ordine di acquisizione dell'inglese L2
raggruppandoli in una scala:

GRUPPO 1 GUPPO 2 GRUPPO 3 GRUPPO 4


-ing progressivo, Articoli the/a, Passato irregolare Passato regolare,
plurale -s, be copula be ausiliare -s 3 sg, -s poss

In una formulazione successiva si trovano aggiunte e lievi modifiche (es. prima del gruppo 1 viene appreso l’ordine
delle parole e la differenza di caso tra i pronomi I/Me; dopo il gruppo 4 il participio in -en e l’ausiliare have per il
perfetto).
Questa sequenza mette in evidenza il fatto che l'ordine va in base alla difficoltà. Più interessanti sono i lavori sul
progressivo strutturarsi nelle interlingue di sottoinsiemi della grammatica, evidenziano delle vere e proprie sequenze
acquisizionali in cui la conoscenza dell'ultima regola implica il conoscere anche le strutture che la precedono.
Nell’inglese L2, ad esempio, parallelamente all’inglese L1, si evidenzia una sequenza di acquisizione per le frasi
interrogative parziali o domande wh-. Tra gli ultimi tipi appresi vi sono le domande negative (Isn’t it?).
Nel francese L2, per esempio, per acquisire la formula della negazione, bisogna tenere conto che nello standard essa è
discontinua (sia preverbale che post verbale= Je ne sais pas) mentre nel parlato essa è post-verbale (je sais pas), ma la
complessità del sistema d'arrivo provoca incertezze sulla forma della negazione da utilizzare. Solo apprendenti che sono
nella fase post-basica e usano verbi finiti, flessi, padroneggiano le regole della negazione. Le sequenze di acquisizione
sono interessanti perché richiedono una interpretazione utile all'insegnamento.
5.4 Alcune sequenze acquisizionali in italiano L2
Un primo dominio indagato negli studi sull’italiano L2 dal Progetto di Pavia è stato il sistema tempo-aspettuale,
codificato con la morfologia verbale. Hanno evidenziato che tempi e modi verbali dell’italiano hanno la sequenza
acquisizionale costante di tipo implicazionale:
Forma di base (presente/infinito)ausiliare+part passimperfettofuturocondizionalecongiuntivo.
I verbi sono utilizzati prima per il loro valore lessicale in una forma base, come l’infinito. In seguito, la forma diventa
più complessa nella forma in -to per azioni compiute (lavorato) marcata per aspetto perfettivo, poi si apprende il passato
imperfettivo. Di solito affiorano pure forme con valore modale: il futuro, il condizionale e infine il congiuntivo.
Le categorie codificate sulla classe lessicale del verbo sono:
Aspetto(perfettivo/imperfettivo)tempo(presente/passato/futuro)persona e numeromodogenere e diatesi
(attivo/passivo).
Secondo la morfologia nominale per l'accordo di genere c'è una specifica sequenza:
Pronomearticoloaggettivo attributivoaggettivo predicativoparticipio passato
L'accordo di genere viene appreso in base a esigenze pragratico-semantiche (è acquisito presto dove è più significativo
e utile, cioè nel pronome: lui vs lei) e secondo considerazioni di distanza sintattica: più lontano si va dal nome, più
raramente compare l’accordo. Questo è coerente con la teoria della processabilità di Pienemann, secondo cui gli accordi
che si stabiliscono fra sintagmi diversi sono più difficili di quelli interni ai sintagmi.

6. Dalla linguistica acquisizionale alla glottodidattica


La linguistica acquisizionale è una disciplina descrittiva che fornisce alla glottodidattica le conoscenze sulle fasi e sui
processi di apprendimento di L2. La glottodidattica sceglie come servirsene nelle sue teorie. Gli esiti della linguistica
acquisizionale sono utili anche al docente per conoscere e comprendere le ragioni di difficoltà e gli errori degli
apprendenti; alcuni ricercatori sostengono però che la linguistica acquisizionale sia irrilevante per la glottodidattica in
quanto credono che l'acquisizione di L2 è incidentale perché non c'è un collegamento fra la conoscenza acquisita
(inconsapevole) e quella appresa, facendo leva sul fatto che senza istruzione l'acquisizione di L2 in età adulta è più
difficile. L'interazione fra glottodidattica e linguistica acquisizionale non sempre è stata incoraggiata.
Per Krashen l'insegnamento esplicito di L2 non porta all'acquisizione della lingua in questione, ma ad un apprendimento
consapevole. Il compito dell'insegnante è quello di fornire occasioni per acquisire in modo inconsapevole L2,
esponendo gli alunni ad un input comprensibile e motivante. Tuttavia, alcuni filoni hanno riallacciato i rapporti tra
linguistica acquisizionale e glottodidattica rivalutando il ruolo dell'istruzione nei processi acquisizionali. Ecco alcuni
punti su cui la riflessione a cavallo tra LA e GD si è concentrata:
- insegnabilità delle strutture di L2 = offre una nuova concezione dell'errore come indizio di apprendimento;
- il ruolo dell'input del feedback, dell'output e dell’interazione in classe = questi studi contribuiscono a far accrescere la
consapevolezza della complessità delle regole da apprendere;
- ruolo dell'istruzione secondo i diversi approcci (focalizzati sulla forma, sul contenuto…)= questi studi sviluppano un
metodo per valutare l'acquisizione delle forme e quella delle modalità per esprimere varie funzioni in L2.

Un approccio glottodidattico può contribuire a sviluppare un’attitudine più oggettiva, problematizzante e


tendenzialmente scientifica verso la lingua da apprendere.

Insegnabilità
Pienemann  secondo la sua Ipotesi di insegnabilità ad ogni stadio vanno insegnate delle strutture “imparabili”, cioè
immediatamente successive a quelle dello stadio precedente già appresa. Infatti l’insegnamento può favorire
l’acquisizione linguistica solo se l’interlingua è vicina al punto in cui la struttura da insegnare viene acquisita nella
situazione naturale.

Secondo la Projection Hypotesis l'insegnamento è efficace anche quando punta su forme marcate e in una gerarchia
acquisizionale: in questo caso vengono acquisite anche forme non marcate quindi la consapevolezza delle sequenze di
acquisizione, gli errori di L2 contribuiscono ad affinare nel docente un metodo osservativo per descrivere e valutare la
competenza in L2 del singolo alunno, interpretare le sue difficoltà, valorizzare quanto già acquisito, decidere su quali
strutture insistere nel passo successivo.

Input, output, feedback e interazione in classe


L'apprendimento di L2 è naturale quando parte dall'interazione di non nativi con dei nativi grazie all'input linguistico in
L2 di nativi o parlanti più esperti, per cui l'apprendente è costretto a produrre un output in L2.
In questi contesti sembrano funzionali alla comprensione e potenziale acquisizione riformulazioni, domande di
chiarimento e di conferma, controlli della comprensione.
Gli approcci didattici quindi invitano i docenti a curare le interazioni e le comunicazioni delle classi di L2, inoltre alcuni
studi hanno dimostrato come la negoziazione del significato (in cui gli interagenti cercano di prevenire o porre rimedio
a un problema comunicativo) è utile per l'apprendimento.
Long  sostiene con la sua Interaction Hypotesis che l'input, le capacità interne dell’apprendente fra cui l’attenzione
selettiva e l'output entrano in gioco nell' acquisizione della lingua. Inoltre è utile fornire all'alunno l'evidenza positiva,
cioè un input comprensibile e motivante, ma anche l'evidenza negativa, cioè la correzione di forme non corrette, un
feedback che favorisca la presa d’atto di un punto di difficoltà o divergenza.

Cenni al trattamento degli errori nell’insegnamento


Durante l'insegnamento gli errori possono:
- essere trascurati: per cui l'insegnamento si basa solo sull'evidenza positiva, senza la correzione degli errori ma gli esiti
sono poco soddisfacenti;
- essere corretti esplicitamente: fornendo un'evidenza negativa, questa strategia è la più efficace
- essere corretti implicitamente: ad esempio ripetendo con tono interrogativo la forma errata, riformulando in modo
corretto quanto prodotto dall’apprendente, fornendo quindi evidenza positiva più che negativa (recast). Pare che questo
tipo di correzione abbia un'efficacia minore.
La correzione può avvenire subito dopo l'errore, interrompendo il fluire della comunicazione, ma anche in momenti
successivi. La messa fuoco della forma, che sia errata oppure no, da parte del docente e poi del discente tramite
correzione o altri mezzi, favorisce il noticing quindi la presa d'atto e accelera l'apprendimento evitando la
fossilizzazione.

Ruolo dell’istruzione
Le forme di istruzione L2 possono essere esplicite (deduttive, con spiegazione di regole) oppure implicite (esponendo
l’apprendente a materiali in L2, senza far leva su riflessioni metalinguistiche), e possono produrre tipi di conoscenza
differenti, ossia: dichiarativa/consapevole vs procedurale/automatizzata; linguistica vs metalinguistica, apprendimento
implicito vs esplicito. Gli approcci didattici possono essere focalizzati sul "significato", in tal caso viene detta focus on
formdedica attenzione al contenuto. Oppure sulla "forma" detta focus on formS che è la più tradizionale e punta a
tratti linguistico-formali di L2.
Un’analisi condotta da Norris e Ortega ha evidenziato una gerarchia di efficacia dei vari tipi di istruzione per cui
troviamo: focus on form esplicito>focus on formS esplicito>focus on form implicito>focus on forms implicito

Ciò conferma la Noticing Hypotesis di Schmidt, secondo cui l'acquisizione è fortemente condizionata e anche aiutata da
ciò che viene notato nell'input tramite l'attenzione selettiva, questa sarebbe l'origine dell’intake che aiuta l'analisi
dell'input. L'approccio didattico esplicito con focus on form che mira a favorire l'acquisizione dell'input, è detto
processing instruction in cui vengono fornite istruzioni all’apprendente per elaborare l'input, soprattutto quando L1 può
indurre a fare degli errori. Possiamo quindi affermare che in L2 l'istruzione può fare la differenza se impostata
regolarmente tenendo conto degli esiti delle ricerche acquisizionali. Se è vero che l’istruzione formale contribuisce
soprattutto alla conoscenza esplicita di L2, essa pare favorire pure quella implicita. La condizione è che l’apprendente
sia pronto ad acquisire le strutture di L2.
L’input in L2 può diventare intake e suscitare conoscenza implicita stimolando le tre seguenti operazioni: il noticing
(attenzione a specifici tratti linguistici dell’input), il comparing (confronto nella memoria a breve e medio termine fra
tali tratti e quelli del proprio output) e l'integrating (costruzione di nuove ipotesi sull’interlingua alla luce di tali tratti
nella memoria a lungo termine) e ciò porta ad un output.

INPUT→noticing → INTAKE → comparing → [integrating] IMPLICIT KNOWLEDGE → OUTPUT

Sulla scorta dei risultati della ricerca e di lavori sperimentali sull’acquisizione guidata di L2, si può sperare lo sviluppo
di una didattica acquisizionali, cioè un “modello teorico di didattica linguistica che si rapporti alle prospettive
acquisizionali, rispetti le fasi di sviluppo dell’acquisizione di L2 e non violi le sequenze implicazionali”.
Essa può servire al docente per:
- procedere tenendo conto delle tappe acquisizionali;
- adottare nella descrizione linguistica categorie che consentano di giustificare l’uso delle forme, mettendo in evidenza
la connessione tra forme e funzioni della lingua;
- potenziare livelli diversi della competenza linguistica (es. lessico, testualità);
- scomporre elementi della lingua target in procedure semplici da trasmettere gradatamente.

CAPITOLO 3 - ELEMENTI DI LINGUISTICA EDUCATIVA


Introduzione
La linguistica educativa può essere definita come settore delle scienze del linguaggio che ha per oggetto la lingua
considerata in funzione dell’apprendimento linguistico e del più generale sviluppo delle capacità semiotiche.
1.Elementi per una didattica del livello fonetico-fonologico
Nella pratica didattica italiana lo spazio che viene dedicato a livello fonico, cioè alla didattica e alla verifica
dell’apprendimento della pronuncia della lingua è minimo se non del tutto assente per l’italiano L1. Per quanto riguarda
l’insegnamento di L2, l’attenzione è maggiore ma anche in questo caso la didattica trascura quasi completamente di
descrivere questo livello della lingua e privilegiando i piani morfosintattico, lessicale e testuale.
Le cause possono essere storico-pedagogiche e storico linguistiche. Ricordiamo una propensione a privilegiare la lingua
scritta forse attribuibile alla tradizione di insegnamento delle lingue classiche (necessariamente limitata alle varietà
scritte), alla diglossia (compresenza nel repertorio di due varietà differenziate, una alta- l’italiano, e l’altra bassa- il
dialetto) per la quale l’italiano è stata una lingua quasi esclusivamente scritta fino al periodo manzoniano. Insegnare una
lingua significava spesso in passato insegnare a scrivere e a leggere, non tanto a comunicare oralmente. La scarsa
attenzione alla pronuncia a diversi tipi di ricadute sul piano dell’apprendimento, che possono essere classificate in base
al livello, fonologico e fonetico.
Le conseguenze fonologiche comportano una neutralizzazione di coppie minime nella lingua appresa: per esempio un
italiano viene neutralizzata l’opposizione tra vènti (pronuncia settentrionale) e vénti (meridionale).
Sono di tipo fonetico invece i problemi che non comportano una cancellazione di coppie minime, ma soltanto una
sostituzione di un fono non standard al posto di quello standard. Evidente che la devianza di tipo fonologico può
comportare equivoci e incomprensioni nella comunicazione orale, mentre quella di tipo fonetico è all’origine di quelli
che comunemente definiamo “accenti regionali”.

1.1 Livello fonetico-fonologico e didattica di L1: il caso dell’italiano


Bisogna essere consapevoli della necessità di un’attenzione costante al livello fonico, non tanto allo scopo di ottenere
sempre in tutti i discendenti una pronuncia perfettamente standardizzata, ma per rendere ciascuno consapevole della
distanza complessiva e delle specifiche divergenze tra la propria pronuncia regionale e quella standard, e capace di
eliminare o ridurre i tratti regionali nei contesti che richiedono un registro accurato. Per poter insegnare in modo
efficace i suoni della lingua, il docente di italiano deve dunque avere una solida conoscenza teorica e pratica del sistema
fonetico e del sistema fonologico. Uno strumento fondamentale è l’alfabeto fonetico che consente di visualizzare la
forma fonica ideale o quella reale della parola.
Alla plurisecolare diglossia che ha visto in Italia coesistere un livello di lingua alta, cioè l’italiano, è un livello di lingua
bassa, i dialetti, si andata via via sostituendo nel XX secolo una situazione di didalìa, in cui l’italiano è andato
gradualmente ad affiancare i dialetti negli usi orsi colloquiali, conservando anche il suo spazio come lingua colta.
Questa nuova convivenza tra italiano e dialetti nel parlato informale ha dato luogo a fenomeni di ibridazione e alla
nascita degli italiani regionali.
La scuola è intervenuta in modo abbastanza blando, limitandosi a stigmatizzare alcuni tratti fonetici locali, ma
ignorando tutti gli altri casi di divergenza tra pronuncia regionale e italiano standard.
Se alcuni tratti non standard sono percepiti come tali e sono di conseguenza oggetto di riflessione didattica o
semplicemente di stigmatizzazione, mentre altri tratti non standard sono del tutto ignorati, ciò può essere messo in
relazione con la classica distinzione sociolinguistica introdotta da Labov per classificare le variabili in indicatori e
marcatori.
•Sono indicatori quelle variabili sensibili ai fattori sociali che il parlante non controlla e che si presentano invariate in
qualunque contesto situazionale. Sono tutti i tuoi tratti regionali che ciascun parlante non sa essere regionali o locali o
informali e che utilizza in qualunque contesto.
•Sono marcatori quelle variabili sensibili ai fattori sociali ma anche a quelli stilistici che il parlante mostra di
controllare modificando la propria realizzazione in funzione dello stile che il contesto richiede. Sono elementi su cui si
gioca la variazione diafasica e che il parlante sa variare in funzione del grado di formalità o informalità che desidera
esibire.
Questa distinzione tra indicatori e marcatori ricade sulla didattica che segnala i marcatori e trascura gli indicatori.
Immaginiamo uno studente campano che pronuncia la parola scuola con un accento locale: l’insegnante eventualmente
interverrà sul tratto della palatizzazione di [s] davanti a consonante non dentale (marcatori) e proporrà [‘skwola], ma
molto probabilmente ignorerà l’altro tratto regionale presente nella realizzazione dell’alunno, cioè la chiusura di [wɔ] in
[wo] (indicatore) e si asterrà quindi dal segnalare la pronuncia standard [‘skwɔla].
Un altro fattore sociolinguistico che condiziona i comportamenti linguistici dei discenti riguarda ciò che definì Labov il
prestigio celato di cui godono nell’ambito di gruppi sociali di varia estensione le varietà di lingua o le varianti d’uso
ufficialmente stigmatizzate. Accade che in molti casi il parlante pur conscio del prestigio manifesto di un determinato
tratto, lo eviti per non incorrere nel giudizio negativo del gruppo di Pari. Il docente deve essere consapevole
dell’esistenza di questi meccanismi che possono spingere l’alunno a preferire lo Stigma dell’insegnante a quello dei
compagni, anche al costo di una valutazione scolastica negativa.
Se esistono forze di tipo sociolinguistico che attirano verso il basso, che portano il discente verso forme fonetiche non
standard, esistono anche spinte uguali e contrarie verso l’alto. Tuttavia, un controllo solo parziale delle variabili
fonetiche e fonologiche porta al tipo di deviazione dello standard definito ipercorrettismo. La stigmatizzazione sociale
e scolastica nei confronti di alcune realizzazioni regionali produce infatti che anche forme perfettamente standard
vengono evitate e corrette (taliare per tagliare) che si producono per effetto del tentativo di evitare pronunce regionali
di tipo settentrionali come Itaglia, oglio.

Un altro fattore condizionante è costituito dall’interferenza tra la grafia della lingua e la sua pronuncia. L’interferenza è
motivata dalla correlazione esistente tra la forma parlata e quella scritta della parola, che rappresenta idealmente una
trascrizione fonetica della prima. Tuttavia, molto spesso è la parola scritta a esercitare una sua influenza su quella
parlata. Un esempio del condizionamento del livello grafico su quello fonico sta nella difficoltà del parlante anche colto
di aria italiana settentrionale ad applicare il raddoppiamento sintattico in sequenze come ho visto, è forte, in cui la
lunghezza rispettivamente di [vv], [ff] non è indicata dalla grafia. Lo stesso parlante non hai invece particolari difficoltà
a pronunciare le consonanti intense all’interno della parola quando la grafia corrisponde alla pronuncia, come in ovvio,
buffo. Un altro esempio di interferenza del livello scritto su quello parlato si osserva in parole come diciamo, rugiada,
nelle quali al grafema <i> non corrisponde nello standard un suono [i], ma che a causa del condizionamento della grafia
il parlante o lettore può essere spinto a pronunciare: dic-i-amo, rug-i-ada.

1.2 Livello fonetico-fonologico e didattica di L2


Nella didattica di L2 il livello fonico assume una rilevanza maggiore rispetto a quella che ha nella didattica di L2 perché
è indispensabile di esplicitazione della relazione tra grafia e fonetica. È ovvio che i problemi dell’apprendimento della
pronuncia di sono più complessi e richiedono un lavoro didattico di gran lunga maggiore perché non si tratta di
modificare parzialmente un uso già posseduto, ma di istituire delle abitudini fonetiche in gran parte estranee.
L’apprendimento dell’articolazione dei suoni esotici, cioè dei foni di L2 che sono assenti in L1 viene spesso trascurato,
come se si trattasse di un accessorio della lingua e quasi di un fattore di disturbo. La sostituzione dei suoni esotici con i
suoni della che soggettivamente appaiono più vicini a quelli è una pratica molto frequente: il sistema fonetico di L1 è in
sostanza prestato in parte o del tutto a L2. Si può in tal caso parlare di transfer fonetico-fonologico da L1.
Da un punto di vista didattico è opportuno che gli insegnanti abbiano la consapevolezza delle caratteristiche della
fonetica e del sistema fonologico della lingua che insegnano e che siano adeguatamente informati in merito.
Accade a volte che L2 possieda suoni che sono presenti in L1, ma che in L2 costituiscono varianti di un unico fonema,
mentre in hanno valore distintivo. La lunghezza delle vocali esempio in italiano è determinata da regole fonotattiche
(combinazione lineare dei suoni) per esempio in “Luca” la U è lunga perché si trova in sillaba aperta, mentre in
“Lucca” la U è breve perché si trova in sillaba chiusa. L’opposizione di lunghezza vocaliche a valore determinante per
distinguere coppie di parole come in inglese ship “nave” e sheep “pecora”.
Accade anche che opposizioni pertinenti in italiano non lo siano in L2: è il caso della lunghezza delle consonanti, che è
pertinente in italiano (casa/cassa, fata/fatta). Eccetto il caso isolato della vibrante R in spagnolo, la cui lunghezza è
fonologica perché oppone coppie minime come caro e carro, la lunghezza consonantica non risulta mai pertinente in
spagnolo per nessun’altra consonante, né in francese, né in inglese, né in tedesco. L’apprendente italiano tende a
realizzare come lunghe le consonanti che nell’ortografia di queste lingue appaiono scritte con una doppia, come in
“aller”, “happy”, mentre per i rispettivi sistemi fonologici questo allungamento non è previsto.
Un aspetto generalmente trascurato è quello del condizionamento esercitato sullo studente dalla propria pronuncia
regionale dell’italiano. Le interferenze che si presentano possono essere molto diverse: una stessa pronuncia regionale
può creare difficoltà, ma risultare in altri casi utile per alcuni aspetti della pronuncia di L2. Gli apprendenti Italofoni che
applicano il raddoppiamento simpatico rischiano di esportare questa propria abitudine anche a lingue come il francese o
lo spagnolo, che non possiedono questo fenomeno. La graduale diffusione della conoscenza scolastica di alcune lingue
straniere, soprattutto l’inglese, unita al crescente ricorso di anglicismi e forestierismi vari fa sì che le occasioni di
pronunciare parole straniere siano sempre più numerosi anche per chi della lingua straniera in questione a conoscenza
estremamente limitate. Si è diffusa un’abitudine italiana di pronuncia dell’inglese come di altre lingue che non coincide
con l’effettiva norma di queste, ma che ha acquisito quasi il rango di una Sub-norma italiana. È il caso dei prestiti e dei
nomi propri (management, country…).
Un effetto della diffusione della pronuncia italianizzata di L2 è paradossale e produce una circolarità viziosa: anche chi
conosce l’esatta pronuncia straniera ed è in grado di riprodurla è condizionato ad evitarla in quanto questa viene
percepita come errata e ridicola o addirittura come incomprensibile. La diffusione dell’inglese come lingua globale
produce come effetto frequente l’applicazione di vere presunte regole di pronuncia dell’inglese a parole e nomi che
invece appartengono ad altre lingue. Si pensi alla pronuncia di nomi propri come per esempio Daniel, Gabriel,
Sebastián che in spagnolo sono accentate sull’ultima sillaba e quindi si sono pronunciati come Dàniel, Gàbriel,
Sebàstian. Ai termini stranieri si preferisce applicare una pronuncia anglicizzata.

1.3 Sintesi e indicazioni per la didattica del livello fonetico-fonologico.


Elenchiamo alcune indicazioni che devono essere tenute presenti dall’insegnante di L2 nella sua pratica didattica.
a) Per riequilibrare una didattica spesso sbilanciata a favore degli usi scritti è necessario riflettere sulla primarietà
dell’uso orale: gli orali precedono quelli scritti, che nascono come riflesso e rappresentazioni di quelli orali; inoltre i
contesti situazionali che prevedono usi orali sono più frequenti rispetto a quelli che richiedono il ricorso alla lingua
scritta.
b) essenziale è la trascrizione fonetica.
c) Il corretto apprendimento della fonologia della L2 è fondamentale per un’efficace comunicazione in quanto la
sostituzione di un fonema con un altro produce significati diversi o forme prive di significato.
d) Il corretto apprendimento della fonetica della L2 è essenziale per l’integrazione sociale e culturale dell’apprendente.
Come tale, esso va coltivato in classe, anche se con un’enfasi inferiore rispetto all’apprendimento della fonologia.
e) Lo studio della fonetica e della fonologia della propria lingua insieme allo studio contrastivo delle differenze con la
fonetica e la fonologia rappresenta un prerequisito fondamentale per un efficace apprendimento di queste ultime;
altrettanto importante è che l’apprendente raggiunga la consapevolezza delle proprie caratteristiche fonetiche-
fonologiche regionali o dialettali per non trasferirli inconsapevolmente nella pronuncia di L2.
g) La diffusione nel nostro paese di una pronuncia italianizzata e non corretta delle lingue straniere rappresenta un
limite all’apprendimento di una corretta pronuncia.

2. Grammatica e competenza metalinguistica


2.1 Che cosa intendiamo con grammatica
Il dizionario di linguistica di Beccaria cita “lo studio, l'insegnamento, esercizio di lettura e scrittura dei caratteri
alfabetici”. In un’accezione più ampia si intende con grammatica “la descrizione di un sistema linguistico che consiste
di un insieme di regole più o meno astratte che possono essere date in forma di frasi dichiarative o come elenchi di
forme con le relative regole d'uso o attraverso rappresentazioni grafiche di vario tipo”.
La definizione non è una regola della grammatica italiana, ma una pattuizione sul significato che attribuiamo a un certo
termine tecnico.
L'insegnamento grammaticale richiede non solo l'insegnamento delle regole della lingua, ma anche l'insegnamento
della terminologia tecnica.
Non tutti gli studiosi concordano sul fatto che una grammatica debba includere regole tendenziali oltre a : le prime non
riescono ad essere predittive, cioè non riescono a predire quali frasi sono corrette e quali no; ma riescono comunque a
descrivere la specificità di un sistema linguistico. Prandi sottolinea proprio questo aspetto: la grammatica di una lingua
è un sistema che include sia regole vincolanti sia opzioni alternative. La scelta fra opzioni alternative produce differenze
di significato: ad esempio l'ordine soggetto-verbo in italiano non è rigido, ma ordini diversi possono avere diverso
valore (oggi pago io / oggi io pago).
Un'ultima riflessione è relativa alle regole che descrivono lo stesso fenomeno (l'accordo di genere e numero fra
participio passato e soggetto) ricorrendo a concetti diversi: l'insieme dei verbi il cui participio è interessato all'accordo
viene definito servendosi rispettivamente del concetto di “verbo ausiliare” e di quello di “verbo inaccusativo”. Non si
tratta di due descrizioni equivalenti.
Verbi con ausiliare essereaccordo participio-soggetto
Verbi con ausiliare avereaccordo participio-oggetto
La regola in italiano dice che esistono tre classi di verbi: transitivi, inergativi (che includono una parte di quelli chiamati
inransitivi) e inaccusativi (che includono un'altra parte di intransitivi e i passivi).
Secondo quest’ipotesi l’insieme delle diverse caratteristiche non sarebbe casuale, ma sarebbe il riflesso del fatto che la
relazione sintattica esistente fra il verbo il soggetto è diversa per i tre tipi di verbo. La relazione fra soggetto e verbo
sarebbe simile nei verbi inergativi e transitivi; invece nei verbi inaccusativi la relazione tra soggetto e verbo sarebbe più
simile a quella che esiste fra verbo e complemento oggetto nei verbi transitivi.

Una descrizione di una lingua non coincidere con la lingua stessa, ovvero non è l’unica descrizione possibile di quella
lingua, ma è in alternativa con altre ipotesi descrittive. Tuttavia una descrizione grammaticale dovrebbe essere coerente,
ovvero includere in regole che diano una descrizione unitaria.la coerenza terminologica dovrebbe essere intesa anche in
prospettiva Inter linguistica: pochino ogni ciclo scolastico della scuola italiana lo studente è esposto all’insegnamento di
diverse lingue, l’adozione di una terminologia grammaticale unica e condivisa fra i diversi docenti di lingua consente la
comparazione fra la grammatica delle diverse lingue. Se ci si attiene all’etimologia proposta all’inizio, la definizione di
grammatica sembra coincidere con quella che oggi chiameremmo ortografia, cioè lo studio della corretta scrittura.
Un sistema linguistico possiede regole relative a diversi livelli: il livello fonico, il lessico, la morfosintassi, ecc.In
un’accezione ampia una grammatica può includere quindi le regole di tutti questi diversi livelli del sistema.un uso più
ristretto del termine intende invece co grammatica l’insieme delle sole regole relative alla morfologia e alla sintassi
della lingua.

2.2 Quale lingua deve descrivere una grammatica


Lo studio della lingua orale ci garantisce che anche le varietà orali di una lingua possiedono regole che non sempre
coincidono con quelle scritte. Possiamo chiederci se la grammatica si identifica come sistema di sistemi, oppure se deve
selezionare solo alcune varietà di lingua delle quali descrivere le regole. Si dovrebbero assumere le regole come valide
precisando che talvolta non sono rispettate.ma come vanno spiegati gli errori? Questa domanda pone un problema serio
soprattutto quando si constata che gli errori non sono tutti casuali, ma esiste una sistematicità anche nel comportamento
deviante. I problemi relativi a quali sono le regole della grammatica italiana non sono di competenza dell’insegnante,
ma sono già risolti dal compilatore di grammatiche. Infatti la maggior parte delle grammatiche di riferimento seleziona
alcune varietà di lingua come esemplari.
La maggior parte delle grammatiche didattiche, cioè rivolte all’insegnamento, sia della madrelingua che di lingua
straniera, Selezionano spesso solo alcune varietà del sistema grammaticale. Non sempre però i fruitori delle
grammatiche hanno la consapevolezza che la descrizione grammaticale proposta riguarda una selezione di alcune
varietà di lingua. Le grammatiche didattiche spesso sembrano suggerire che di una lingua esista una sola grammatica. Si
assiste così alla formazione di norma sommersa: una norma che non è data dalla lingua che si osserva effettivamente
dalla realtà, ma che si autoperpetua nelle grammatiche stesse. Ad esempio nell’insieme dei pronomi personali non c’è la
descrizione effettiva della situazione del sistema dei pronomi personali della lingua italiana contemporanea. Per la terza
persona soggetto, ad esempio, i parlanti italiani non usano i pronomi egli o, esso, essa, essi; quanto piuttosto lui, lei,
loro.
Le finalità dell’insegnamento possono variare: mentre uno studente non madrelingua deve essere dotato di un nucleo di
regole e forme grammaticali stabili, lo studente più competente può essere avvicinato alla scoperta di varietà diverse di
lingua. In ogni caso la discrepanza fra la descrizione del sistema proposta dalle grammatiche e il comportamento dei
parlanti effettivo induce a riflessioni sul modo di intendere la nozione di regola. Le regole possono essere intese in due
modi:
- Esistono regole regolative che vengono imposte ad un fenomeno (ad esempio il traffico automobilistico, l’uso
linguistico) da un’autorità (il codice stradale, un’accademia) per disciplinare il fenomeno stesso;
- Esistono regole costitutive che sono connaturate al fenomeno che descrivono e non imposte dall’esterno (le regole che
dicono che in caso di forte traffico i veicoli rallentano, che in italiano l’aggettivo accorda in genere e numero con il
nome cui si riferisce).

Una grammatica può contenere entrambi tipi di regole. Occuparsi delle regole costitutive di una lingua significa cercare
le regole di funzionamento di una lingua così come i parlanti la usano, con un approccio descrittivo. Le regole in questo
senso descrivono come la lingua funziona (grammatica descrittiva) e non come la lingua dovrebbe funzionare.
Occuparsi delle regole regolative significa occuparsi di definire e descrivere un modello linguistico ritenuto esemplare.
Le regole in questo caso sono intese come norme da rispettare che descrivono come i parlanti dovrebbero usare la
lingua. Ciò che viene descritto è come la lingua dovrebbe funzionare (grammatica normativa) e non come la lingua
funziona. L’insegnamento della grammatica può essere affrontato da entrambi punti di vista, ma le finalità sono diverse.
Insegnare le regole con un approccio descrittivo significa trattare la lingua come un oggetto di cui osservare il
funzionamento. Insegnare le regole con un approccio normativo all’obiettivo di trattare la lingua come un oggetto da cui
imparare il corretto uso.

2.3 Perché insegnare la grammatica


Il dibattito glottodidattico sulle motivazioni dell’insegnamento grammaticale ha vissuto varie fasi: dopo una fase di
forte critica a partire dagli anni 70, negli anni 90 si è nuovamente orientato su una posizione favorevole alla sua
centralità nell’insegnamento linguistico. Un documento di riferimento in Italia “Le 10 Tesi per l’educazione linguistica
democratica” elaborato a metà degli anni 70, ha avuto una posizione critica sull’insegnamento grammaticale
tradizionale. Emerge come la critica non fosse tanto indirizzata all’insegnamento grammaticale, quanto alle modalità
praticate nelle scuole. Gli scopi dell’insegnamento grammaticale sono due:
1. Raggiungimento di una competenza linguistico-comunicativa, cioè di una migliore capacità di usare la lingua. Si
parla anche di competenza implicita o procedurale
2. Raggiungimento di una competenza metalinguistica, cioè di una migliore conoscenza dei meccanismi di
funzionamento della lingua stessa. Si parla anche di competenza esplicita o dichiarativa.

Il potenziamento di queste due competenze può avere importanza diversa in contesti didattici diversi: nell’insegnamento
di una seconda lingua o di una lingua straniera l’insegnamento grammaticale è normalmente pensato come strumento
per potenziare una competenza linguistico comunicativa, mentre il potenziamento delle competenze metalinguistiche è
pensato quando la lingua in questione è la madrelingua.
In Italia l’attività grammaticale di tipo metalinguistico è propria del docente di italiano, mentre il docente di lingua
straniera applica un insegnamento della grammatica come uno strumento per sviluppare competenze linguistico
comunicative. In realtà la terminologia grammaticale è strumento di lavoro di tutti i docenti che si occupano di
insegnamento di lingue, per cui i loro obiettivi sono parzialmente coincidenti e dovrebbe essere considerata
fondamentale una loro collaborazione. Nella classe plurilingue, infine, nella quale gli allievi non condividono la stessa
madrelingua, la ripartizione degli obiettivi è più complessa: al docente di italiano spetta il compito di potenziare la
competenza metalinguistica dell’intera classe e di partecipare con gli altri docenti allo sviluppo della competenza
linguistico comunicativa in italiano degli allievi italofoni non nativi.
La competenza linguistico comunicativa e quella metalinguistica non sono necessariamente collegati. Su questo già le
10 tesi erano scettiche e, parlando di inutilità dell’insegnamento grammaticale tradizionale sostenevano che pensare che
lo studio riflesso di una regola grammaticale mi agevoli il rispetto effettivo è come pensare che chi meglio conosce
l’anatomia delle gambe e corre più svelto. Il paragone proposta però è solo parziale: una competenza dichiarativa non
sviluppa una competenza procedurale, ma può essere uno strumento per potenziarla. Un medico non corre più veloce
per il solo fatto di conoscere l’anatomia, ma grazie alle sue competenze può progettare degli esercizi o delle terapie per
potenziare l’uso degli arti. Analogamente una maggior consapevolezza metalinguistica non può direttamente
influenzare la competenza linguistico comunicativa del discente, può però dotarlo di strumenti per perfezionarla.
Perché la competenza metà linguistica sia utile al miglioramento delle abilità linguistiche e necessario che essa sia
intesa non solo come un bagaglio di conoscenze ma anche come l’acquisizione di uno strumento, di un metodo
osservative che può essere applicato.
La grammatica può essere insegnata con un metodo sperimentale, proposto negli anni 90 da Maria lo duca attraverso il
quale l’autrice propone di portare in classe l’attività sperimentale dello studioso di linguista, il quale ricerca le regole di
una lingua, la sua grammatica, a partire dall’osservazione dei dati. Il metodo sperimentale ottiene un duplice risultato:
- Imposta in modo corretto il tema della natura della grammatica mostrando che la grammatica nasce dall’osservazione
della lingua e non si impone ad essa
- Fornisce un metodo di ragionamento

2.4 Quale grammatica insegnare


Torniamo sulla differenza tra la Grammatica, intesa come l’insieme di regole di un sistema linguistico possedute dai
parlanti di quella lingua e le diverse grammatiche, intesi come proposte descrittive. Le 10 Tesi erano pessimiste sulla
capacità delle grammatiche didattiche di fornire un adeguato strumento descrittivo. La strumentazione concettuale
adoperata era giudicata qualitativamente bassa. Mancando gli strumenti teorici e descrittivi adeguati, l’insegnamento
grammaticale veniva considerato nocivo. Un’ulteriore critica veniva fatta alla parzialità della descrizione grammaticale
tradizionale che non teneva conto dei fenomeni della storia linguistica, della storia della lingua e della sociologia del
linguaggio; d’altro canto, isola il fenomeno grammaticale del sistema linguistico più ampio senza tener conto della
psicologia del linguaggio e della semantica.
Alcuni tratti necessari per una buona grammatica didattica:

•Esplicitare e motivare la terminologia


Una grammatica deve adottare una terminologia coerente, esplicita e rigorosa in cui ogni nozione usata sia definita in
modo da consentire di individuare e distinguere il fenomeno a cui esso fa riferimento. Tutte le grammatiche
attribuiscono grande importanza alla distinzione in parti del discorso ma a volte la stessa classificazione risulta
ambigua. Parole come quindi, tuttavia, comunque sono in alcune grammatiche considerate avverbi, in altre
congiunzioni, ma l’aspetto più problematico è che non sempre vengono dati i motivi per attribuirle all’una o all’altra
categoria; altre come ma o perché vengono considerate congiunzioni. Tutte queste parole hanno una funzione analoga-
la connessione di frasi (sono simili dal punto di vista funzionale)-e analogo comportamento formale-perché sono
invariabili. Ciò che li distingue è il diverso comportamento sintattico, perché le prime (quindi, tutta via, comunque)
sono mobili all’interno della frase, mentre le seconde (ma, perché) vanno tra due frasi. Per questo alcune grammatiche
preferiscono considerare le prime come una sottoclasse degli avverbi (privilegiando la mobilità sintattica) mentre altre
le collocano fra le congiunzioni (privilegiando il valore funzionale).

•Una terminologia ridotta e potente


Una terminologia grammaticale deve essere potente ovvero essere in grado di spiegare il maggior numero di fenomeni
con il numero minimo di concetti. Una tassonomia è utile solo si riesce a individuare dei gruppi di fenomeni oggetti
aventi le stesse proprietà o facili proprietà. Le tassonomie proposte dalle grammatiche sono spesso appesantite da una
terminologia che considera aspetti secondari del comportamento delle parole la cui rilevanza ai fini didattici andrebbe
discussa.

•La struttura gerarchica a costituenti


E denunciate, anche se si esprimono linearmente (è un suono dopo l’altro, una parola dopo l’altra) hanno una
organizzazione in costituenti (gruppi di parole, di morfemi, di suoni) organizzati in dipendenze gerarchiche e ricorsiva e
(cioè un costituente può a sua volta essere scomposto in costituenti). Il riconoscimento di questa proprietà dovrebbe
essere uno degli obiettivi fondamentali dell’insegnamento grammaticale. Per ottenere questo obiettivo un modello
semplice ed efficace è quello della grammatica Valenziale che descrive la sintassi delle frasi a partire dal sistema di
valenza proiettato dal verbo.

•Grammatica come strumento descrittivo di ogni lingua umana


La grammatica andrebbe intesa momento descrittivo che si apprende e si insegna in quanto potenzialmente in grado di
descrivere altri sistemi linguistici; solo secondariamente su questo obiettivo si può innestare anche la preoccupazione
normativa ovvero la preoccupazione di insegnare le regole della grammatica di varietà di lingua.

3. Lessico e semantica
È opinione condivisa che il lessico di una lingua sia un sistema dotato di organizzazione interna e che il suo
apprendimento non abbia luogo attraverso la meccanica memorizzazione di associazioni tra forme e significati, ma
sfruttando regole e strutture proprie di tale organizzazione. Inoltre, è condivisa l’idea che lessico e grammatica non
costituiscono due componenti separate e che esistano correlazioni tra il comportamento morfologico e sintattico delle
parole e le loro proprietà semantiche.

3.1 L’informazione lessicale


L’informazione lessicale è l’insieme di informazioni che si suppone siano contenute in una parola. L’informazione
principale collegata a ogni parola è il suo significato: il significato è in sostanza il valore informativo della parola. Il
significato di una parola può essere di vario tipo:
1. una prima distinzione è quella tra significato lessicale e significato grammaticale in base alla quale le parole si
distinguono in due grandi gruppi:
- le parole contenuto forniscono il contenuto (verbi, nomi, aggettivi, avverbi)
- le parole funzione  tendono a svolgere funzioni supplementari come quella di chiarire le relazioni esistenti tra le
parole che introducono il contenuto (articoli, pronomi, congiunzioni e preposizioni).
2. Una seconda distinzione e quella tra significato denotativo e significato connotativo. Il significato denotativo è la
proprietà di una parola di indicare o riferirsi all'intera classe degli elementi che condividono le proprietà di un oggetto.
Ad esempio, la parola pesce denota la classe degli elementi che appartengono al tipo pesce.
Il significato connotativo invece riguarda le proprietà che possono aggiungersi al significato denotativo e specificare per
esempio l'atteggiamento del parlante nei confronti del referente della parola (mamma connotato affettivamente/ madre
non connotato).
3. Un altro significato è quello collocazionale, cioè il significato che una parola assume soltanto in combinazione con
un'altra parola. È il significato che battente in italiano assume in combinazione con pioggia (forte, incessante).
4. Significato azionale è proprio delle parole che descrivono una situazione nel mondo: si tratta di verbi e nomi derivati
da verbi (costruzione, allenamento). Il significato azionale può essere definito come il modo in cui una parola presenta
la situazione che descrive in relazione alle fasi temporali, per esempio, dormire presenta un evento colto nel suo
processo; addormentarsi presenta un evento colto nella fase di inizio.

Oltre al significato le parole hanno altre proprieà ad esempio le proprietà foniche (hanno un suono), le proprietà
grafiche (costituite dall'insieme di caratteri attraverso i quali il suono è reso nello scritto), proprietà morfologiche.
Sono considerate morfologicamente semplici le parole composte da un unico morfema (bar, ieri, dopo) mentre sono
complesse le parole composte da più morfemi (i derivati, i composti e le forme sia derivate che composte come
“statunitense”). Un'ultima proprietà è quella di appartenere a una determinata classe lessicale cioè di essere ad
esempio un verbo, un nome, un aggettivo, un avverbio. Se è vero che tutte le parole sono collegate ad almeno una classe
lessicale ci sono molte parole che ne e hanno più di una (bottle= sia “imbottigliare” che “bottiglia”).

3.2 Strutture paradigmatiche e sintagmatiche nel lessico


Analizziamo la struttura del lessico.
Una relazione paradigmatica è il rapporto tra due parole che possono essere sostituite una all’altra in uno stesso
contesto, ad esempio nella frase “ho letto il ___di cui mi hai parlato”: è possibile inserire nello spazio vuoto la parola
libro e altre parole come volume o romanzo, ma non parole come tavolo o pensiero. Insieme delle parole che possono
essere inserite in questo specifico contesto costituisce una serie paradigmatica. I rapporti paradigmatici sono rapporti in
absentia in quanto riguardano le parole che sono in alternativa tra loro. Le relazioni paradigmatiche possono essere di
vario tipo:
1. relazioni verticali nelle quali uno dei termini è sovraordinato e l’altro è sottoordinato. Ad esempio, in veicolo
(sovraordinato) e macchina (sotto ordinato) o in macchina (sovraordinato) e volante (sottoordinato). I due casi sono
diversi tra loro perché il primo esempio implica una relazione di iperonimia/iponimia, mentre il secondo è un caso di
olonimia/meronimia.
2. Relazioni orizzontali, come quelle di equivalenza o sinonimia (barriera/ostacolo) e di opposizione (antonimi come
lungo/corto, complementari come vero/falso, conversi come padre/figlio) nelle quali i termini non solo l’uno
sovraordinato e l’altro sotto ordinato ma si trovano sullo stesso piano.

Una relazione sintagmatica è quella che intercorre tra due o più parole quando sono combinate per formare unità
linguistiche più complesse come sintagmi, le frasi e i testi. Una relazione sintagmatica è per esempio quella che lega
l’aggettivo “veloce” al nome “treno” nell’espressione “è un treno veloce” (veloce significa che si muove velocemente),
oppure quella che lega lo stesso aggettivo al nome “strada” nell’espressione “è una strada veloce” (veloce significa che
si percorre velocemente). In questo caso si parla di rapporti in praesentia poiché le parole che hanno tra loro relazioni
informali dei compaiono una dopo l’altra in sequenza.

Esistono diversi tipi di relazioni sintagmatiche caratterizzate dalla presenza di 3 tipi di restrizioni:
1. Restrizioni concettuali=Derivano dalla proprietà del referente della parola, della quale siamo consapevoli grazie la
nostra esperienza del mondo (“quella sedia non la smette di parlare” Questa frase esprime un conflitto concettuale ed è
errata dal punto di vista ontologico cioè dal punto di vista di come fatto il mondo).
2. Restrizioni lessicali basate su una solidarietà semantica=Non è fondata su un conflitto ontologico ma sul conflitto
lessicale. Il conflitto lessicale a che fare con il modo in cui la lingua lessicalizza un concetto (“Luca calzava una
cravatta rossa”. Questa frase viola una solidarietà semantica perché in italiano la parola calzare si lega a scarpe e
guanti).
3. Restrizioni lessicali basate su una solidarietà consolidata dall’uso= Combinazioni caratterizzate da un elemento di
convenzionalità tra parole, nonostante anche altre combinazioni sono possibili (si dice: avere paura, ma non “avere
tristezza”; essere in ansia, ma “non essere in angoscia”). La violazione di questo tipo di restrizione provoca un errore
sanabile che può essere rapidamente eliminato attraverso la sostituzione del termine che viola la restrizione. È possibile
individuare quattro tipi principali di combinazioni di parole:
a) Combinazioni libere: combinazione di due o più parole che non è sottoposta a restrizioni. Le combinazioni
totalmente libere nella lingua sono in realtà inesistenti. Infatti qualsiasi combinazione presenta almeno qualche
restrizione di tipo concettuale, ad esempio la parola pane ammette attributi più o meno tipici (fresco, bianco, integrale),
operazioni più o meno tipiche (cuocere, tostare, mangiare, affittuari), ma non ammette altre cose: ad esempio il pane
non si può bere.
b) Combinazioni ristrette: tutte le combinazioni di parole sono sottoposte a restrizioni di tipo concettuale. Inoltre
esistono tipi diversi di combinazioni ristrette a seconda che la restrizione sia legata alla presenza di un’implicazione
sintagmatica di contenuto oppure sia dovuta principalmente a una consuetudine d’uso. Per quanto riguarda le
combinazioni legate a un’implicazione sintagmatica di contenuto ecco alcune considerazioni:
* Le restrizioni si distinguono in quanto alcune sono più circoscritte di altre. Nelle combinazioni verbo-nominali se la
restrizione è meno circoscritta, il verbo ammette più classi di oggetti come nel caso di “comprare” che non ammette in
genere oggetti astratti ma ammette svariate classi di oggetti fisici. Se la restrizione più circoscritta il verbo ammette
un’unica classe di oggetti (parcheggiare, indossare) o un solo oggetto (pastorizzare).
* Il significato della combinazione ristretta è calcolato a partire dal significato delle singole parole
* La sostituibilità dei membri della combinazione è ridotta a causa della restrizione
* I membri della combinazione sono autonomi dal punto di vista sintattico (parcheggiare la/una/molte/delle macchine).
c) Collocazione: È una combinazione di parole soggetta a una restrizione lessicale per cui la scelta di una specifica
parola (il collocato) per esprimere un determinato significato è condizionato da una seconda parola (la base) alla quale
questo significato è riferito. Ad esempio in italiano è “pioggia battente”: per esprimere il concetto di intensità, pioggia
(la base) si abbina a un aggettivo specifico, battente (il collocato), anziché ad altri aggettivi come intenso o impetuoso.
d) Locuzioni: allargare le braccia (rassegnarsi), alzare il gomito (bere troppo).
Sono caratterizzate da un diverso modo in cui viene costruito il significato, che si costruisce a partire da procedimenti
come quello della similitudine o quello delle combinazioni. Il risultato è una metafora, cioè un significato traslato.

3.3 Lessico e apprendimento


Esistono molti modi di apprendere e di conoscere una parola. Si può conoscere il significato di una parola senza saperlo
usare attivamente in un contesto. Si può conoscere il significato di una parola in modo parziale, per esempio conoscere
il significato letterale ma non i significati estesi e gli usi metaforici. Si può non conoscere la specifica segmentazione in
un determinato ambito concettuale: per esempio non sapere che mentre la parola italiana “tempo” copre i tre concetti
differenti ovvero il tempo metereologico, il tempo grammaticale e il tempo atmosferico, in inglese ci sono tre parole
diverse (time, tense, weather).
Si può non essere in grado di associare una parola ad altre parole affini, opposte o a parole che esprimono sottotipi
(palazzo, villa), parti (muro, porta). Vai esperimenti hanno mostrato che nelle prime fasi di acquisizione di una lingua di
parole sono memorizzati soprattutto associandole in base alla loro forma o al suono (ad esempio associando borsa a
rimborsare) mentre le fasi più avanzate si tende a memorizzare le parole associandoli in base al contenuto (ad esempio
associando borsa a sacco). Nelle prime fasi di apprendimento il significato delle parole è sconosciuto all’apprendente e
l’associazione formale è l’unica che può attuare. Un’importante distinzione è quella tra lessico passivo e lessico attivo.
Il lessico passivo è l’insieme delle parole che un apprendente può riconoscere ma non è in grado di usare attivamente. Il
lessico attivo comprende le unità lessicali di cui l’apprendente si serve nella produzione linguistica scritta e orale.
L’ordine di apprendimento delle informazioni lessicali:
Semantica e fonologia>sintassi>morfologia
Un apprendente ha incertezza nell’assegnare alle parole la corretta categoria grammaticale., infatti nelle interlingue
iniziali sono frequenti casi di nomi impiegati come verbi (l’uomo guerra con persone nere) o di forme verbali impiegate
come nomi (posso fare un fotografare?).
Quanto all’ordine di apprendimento delle parole e suo pari guidato da criteri specifici, come la similarità sonora, la
trasparenza morfologica, la specificità semantica (gli apprendenti prediligono le parole che possono essere dati in una
più larga gamma di contesti). Per quanto riguarda il tipo di elementi lessicali, le prime parole apprese sarebbero singoli
elementi o pezzi di lingua con valore pragmatico (parole e formule per salutare, per attirare l’attenzione, fatti ascoltare),
parole contenuto (elementi grammaticali come articoli e ausiliari).

3.4 Spunti per l’insegnamento del lessico nel contesto dell’istruzione formale
È possibile formulare alcune linee guida per ciò che riguarda l’insegnamento dell’lessico in contesto formale.
L’obiettivo del docente non deve essere esclusivamente quantitativo, ma piuttosto qualitativo; il docente deve porre
l’accento non solo sul significato delle parole, ma sulle interazioni tra il significato delle parole e il loro comportamento
formale: è proprio questa interazione l’aspetto strutturante della conoscenza lessicale e il canale che ne consente e
facilita la memorizzazione.
Una pratica didattica è quella ispirata all’approccio lessicale, in cui lessico e grammatica sono insegnati in modo
integrato. Le parole non sono presentate in isolamento, ma sono proposti alla prendente nella gamma di contesti
sintattici in cui possono apparire. L’operazione di contestualizzazione può essere sfruttata non solo per sottolineare i
rapporti tra lessico e grammatica, ma anche per analizzare il comportamento delle parole più generali (le parole con cui
tipicamente si combinano, i significati che assumono in collocazione con parole diverse). Infine l’operazione di
contestualizzazione può essere utilizzata per illustrare in senso più ampio le circostanze extralinguistiche in cui una
parola è adoperata. Una delle tecniche usate e la catena di azioni. È un’attività complessa suddivisa in singole fasi
successive, ciascuna rappresentata da almeno una frase. Per esempio l’attività “Guidare un’automobile” può essere
suddivisa e descritta linguisticamente nelle seguenti fasi: take the Keys/go to the garage/open the garage door, ecc.
Un altro aspetto rilevante nella didattica del lessico è quello di stimolare il consolidamento dei legami associativi
(semantici e formali) tra le parole apprese. Un metodo diffuso è quello di chiedere all’apprendente di creare diagrammi
che rappresentano i legami intercorrenti tra vocaboli a partire da un vocabolo base.
Questo metodo può essere impiegato utilizzando alcune nozioni per esempio la nozione di ruolo Qualia secondo
Pustejovsky, Secondo cui il significato di una parola può essere descritto facendo appello a quattro dimensioni
principali (dette ruoli Quolia):
- il ruolo formale (che cos’è x)
- il ruolo Costitutivo (di che cosa è fatto x)
- il ruolo Agentivo (come x è portato in essere)
- il ruolo Telico (a cosa serve x).
Per esempio un coltello è un manufatto (Qualia formale), ha come parti manico, lama (Qualia costitutivo), serve per
tagliare (Qualia Telico) e così via.

Per quanto riguarda la distinzione tra lessico attivo e lessico passivo, l’insegnamento si differenzierà. Le parole nuove
sono prima apprese passivamente, poi in una fase successiva se ne stimolerà l’uso produttivo. Un esempio di
insegnamento volto a consolidare il lessico attivo è costituito dall’utilizzo della teoria della valenza nell’insegnamento
del lessico verbale. I verbi sono insegnati mettendone in rilievo le proprietà argomentatali, corrispondenti al numero
minimo di complimenti richiesti per complimentarne il significato e alla loro realizzazione sintattica (verbi zero valenti,
monovalenti, bivalenti, trivalenti).
Uno i gatti la naturale seguirà i seguenti accorgimenti generali: favorire la presentazione di parole del vocabolario di
base, includere le espressioni multiparola (composti come ferro da stiro, locuzioni come tavola rotonda), evidenziare le
proprietà grammaticali, sintattiche e collocazionali delle parole.

4. Lingue per lo studio e linguaggi specialistici


4.1 Premessa
Facciamo risalire la nascita convenzionale della glottodidattica al 1942, al decennio 1960-1970 i primi contributi in
Italia, al decennio 80-90 i contributi in didattica delle lingue seconde.
Gli ultimi decenni del xx secolo sono decenni di immigrazioni e innescano progetti e studi sull'acquisizione-
apprendimento delle lingue seconde; nasce l'espressione 'lingua per lo studio' che si oppone all'espressione 'lingua per
accoglienza'. Il quadrato di Cummins ci aiuta a penetrare nella complessa interrelazione tra pensiero e linguaggio, tra
attività pragmatiche di contestualizzazione e attività cognitive della lingua e dunque rende conto della diversità dei
compiti cui devono adeguarsi il docente di lingua e il docente di materia ‘altra’ in lingua. L'educazione linguistica deve
interessare ogni docente, se l'insegnamento di una lingua straniera si può fare e ha fatto riferimento nel tempo a
metodiche di tipo traduttivo, diretto, semplificato ecc, l'insegnamento in una lingua altra ha meno strumenti cui
attingere. Rispetto alla lingua dell'accoglienza allora, la lingua dello studio deve andare più in profondità, deve essere
più trasparente e più semplice. Deve saper passare dalla struttura profonda a quella superficiale.
4.2 La lingua per lo studio
4.2.1 Per una definizione
Che cos’è la lingua per lo studio? La lingua per lo studio è la lingua delle abilità integrate, del riassunto e della presa di
appunti. Non si tratta della lingua del capire, o del parlare o del leggere o dello scrivere prese singolarmente e
successivamente una dopo l'altra, ma di tutte queste abilità considerate simultaneamente e intrecciatesi l'una con l'atra,
l'una nell'altra. Il riassunto e la presa di appunti sono esercizi molto complessi perché coinvolgono il capire e implicano
la capacità di sintesi (collegata al sistema cognitivo di ognuno). È noto quanto sia utile l’esercizio di manipolazione
breve di un testo lungo, l’esercizio di sintesi. Volendo approfondire il concetto di 'lingua per lo studio' ci imbattiamo
nella nozione di testo scientifico-tecnico descrittivo, narrativo, ma soprattutto argomentativo di cui è importante
cogliere l’organizzazione gerarchica delle informazioni, gli snodi concettuali, i riferimenti al già noto. Perché questa
triplice dimensione del testo sia chiara per l'alloglotto occorrono un'architettura, una testura piana e nello stesso tempo
incisiva. La tripartizione:
1. Organizzazione gerarchica delle informazioni
Le informazioni contenutistiche devono essere presentate in modo gerarchico e non lineare, in maniera tale che quanto è
essenziale alla comprensione appaia subito, mentre quanto è secondario non rivesta la stessa importanza.
2. Snodi concettuali
I passaggi da una nozione a un’altra, devono essere segnati anche tipograficamente grazie a un uso sapiente della
grafica che con i suoi titoli, titoletti, schemi e grafici orienti e faciliti la comprensione.
3.Collegamenti-riferimenti al già noto
Per imparare è necessario preparare anche linguisticamente un approccio ciclico al sapere, che sappia frantumare le
nozioni minute per poi ricomporle (in cui la funzione centrale della lingua appaia e sia realmente quella referenziale).

4.2.2 La 'linguistica' della lingua per lo studio


La lingua dello studio comprende quel lessico di secondo livello che solitamente entra in un’interlingua che da basica
diventa post-basica. Le sue espressioni sarebbero costituite essenzialmente da parole il cui spettro semantico si
restringerebbe fino a farle diventare termini ossia lessemi specialistici tipici di una scienza, di una tecnica. I principali
costitutivi della conoscenza sono l'argomentare, il trarre conclusioni, l'affermare, il contraddire, il fare previsioni,
ipotesi e deduzioni ecc.

4.2.3 Il carico informativo e la complessità linguistica


È necessario che l’organizzazione testuale di un testo di studio sia chiara e trasparente. Per questo è necessario che ogni
nozione, ogni concetto, abbiano uno spazio ben definito in modo tale da apparire di immediata lettura e decifrazione. La
frase breve sarà da preferire alla frase lunga, complessa. Ogni nozione chiave deve essere circoscritta ed espressa in
modo da apparire in tua la sua nitidezza e la sua evidenza. Analogalmente la 'densità (complessità) sintattica’, cioè l'uso
di un periodare complesso che fa ricorso a frasi subordinate con forme verbali come gerundio o participio, sarà sciolto
in un periodare perifrastico, analitico, paratattico, che permette un'evidenziazione più marcata dei nuclei concettuali
fondanti il testo di studio. Anche le forme passive e impersonali tipiche delle microlingue (varietà linguistica
specialistica) si prestano talvolta a evidenziare meglio i significati profondi, a farli emergere con maggiore incisività che
con strutture attive e personali. I testi 'ad alta comprensibilità' sono testi in cui il carico informativo è ben distribuito
nella sequenza linguistica, corrispondente al paragrafo concettuale, il quale, a sua volta, è reso evidente da accorgimenti
tipografici come caratteri speciali, titoli, sottotitoli ecc.

4.3 I linguaggi specialistici


4.3.1 Dalla 'preistoria'...
Palmer viene considerato il precursore della didattica microlinguistica. Anceh in Italia alcuni studiosi affrontano il
problema di una lingua “tecnica” che si oppone alla lingua d’uso.
L'espressione linguaggi settoriali è la più diffusa e tra le prime nate in Italia in epoca di glottodidattica ormai affermata
(anni 70 del XX secolo). Con 'linguaggi settoriali' troviamo pure 'lingue speciali/di specializzazione', 'microlingue'. Il
termine 'microlingua', nel Dizionario di glottodidattica di Balboni è accompagnato dagli aggettivi 'scientifico-
professionale' 'con un duplice scopo':
-Ottenere il massimo della chiarezza
-Permettere a chi la usa appropriatamente di essere identificato come membro del gruppo scientifico-professionale.
Questi due scopi non si raggiungono sempre, com'è stato precisato da Migliorini, lo studioso elenca sei principi che
assicurano la comprensione e ai quali ogni lingua dovrebbe attenersi e cioè: l'univocità, l'uniformità, la continuità, la
coerenza al sistema, la brevità e la bellezza.

4.3.2 ...alla storia


Per affrontare il percorso della didattica microlinguistica, occorre richiamare lo stage di Saint-Cloude nel 1967, i cui
Atti appaiono nel 1970, in questi si affrontano problemi scientifici e istituzionali e si analizzano strumenti didattici e
applicazioni relativi alle tre grandi lingue straniere (francese, inglese e tedesco). Dal punto di vista teorico i problemi
erano allora di natura epistemologica; dal punto di vista didattico l'abilità più studiata era quella della lettura.
A tale proposito ricordiamo le dicotomie secondo le quali si distinguono diversi tipi di lettura:
-La lettura globale o cursoria vs la lettura analitica
-La lettura di skimming(scremante) vs la lettura di scanning (esplorativa)
-La lettura onomasiologia (che va dal senso al segno linguistico) vs la lettura semasiologia (o contrario)
Negli anni successivi appaiono approfondimenti sulla natura del testo specialistico, prevalentemente argomentativo, di
cui si studiano alcuni tipici caratteri quali:
•La monoreferenzialità
•Le categorie definitorie tipiche del discorso scientifico
•I processi di pertinentizzazione
•La spersonalizzazione del discorso
•L'impiego di modi e tempo verbali 'semplici'
•Le composizioni lessicali, le nominalizzazioni, il proliferare di acronimi.
Viene pure evidenziato il ricorso ad alcune categorie concettuali comuni alla lingua standard, come il rapporto causa-
effetto, tesi-antitesi.

4.3.3 Dalla lingua speciale agli obiettivi specifici


Il passaggio dalla centrazione sulla lingua alla centrazione sull'allievo tocca anche la didattica particolare delle lingue di
specialità. È la glottodidatttica che da linguistica applicata alla lingua diventa sociopsico-linguistica applicata all'utente,
di cui si occupano i progetti europei. Le analisi dei bisogni comunicativi di chi si sposta nell'ambito dei pesi europei
aumentano a dismisura e orientano in modo diverso anche la didattica microlinguistica. Il concetto di ‘unità
capitalizzabile’ di una didattica a base semantica sfocia in diverse proposte operative. La più fortunata è l'approccio
nozionale-funzionale di Wilkins, basato su diversi tipi di significato, che vengono analizzati partitamente; La presenza
di items linguistici che veicolano notions, cioè categorie concettuali appartententi a un determinato micro-mondo
settoriale, mostra come anche in questo settore specializzato la didattica del comunicativismo abbia avuto il
sopravvento sulle liste di parole, sulle terminologie specialistiche ecc, Nella discussione se sia meglio affidare una
classe a un docente di lingua straniera o un docente disciplinarista, si profila chiara la compresenza dei due.

4.3.4. I livelli di specializzazione della lingua per 'scopi speciali'


Giovanni Freddi distingue tre livelli di comunicazione microlinguistica, ruotanti attorno a termini di 'descrizione' e di
'trattazione'. La descrizione si divide in due sotto-setttori: la descrizione generica e la descrizione specifica, mentre la
trattazione specialistica può presentare il carattere della 'formazione' e della 'formalizzazione'. Freddi aggiunge che
non tutte le scienze raggiungono i livelli più alti di formalizzazione ma che le scienze umane in particolare si fermano
alla descrizione specifica, mentre soltanto le scienze come la botanica o la zoologia o le più astratte come l'algebra
raggiungono i due sottolivelli della trattazione specialistica e cioè la formulazione e la formalizzazione.

5. Testo, tipi testuali e pratiche didattiche


Sia nella lingua madre che in altre lingue il discente si confronta con testi di varia dimensione, complessità e argomento
che rappresentano campioni della lingua che sta apprendendo. Qui parleremo delle caratteristiche strutturali del testo. In
ambito linguistico si è sottolineato che l'unità 'frase', non è la più adatta a rendere ragione degli scambi comunicativi
interindividuali, ma serve un'unità di altro livello, sensibile anche alla dimensione pragmatica e contestuale: il testo. Si
ritiene perciò che, nell'ottica di una linguistica educativa, è opportuno tener conto pure di tali dimensioni, collegabili a
quella che Saussure chiama la parole, l'uso linguistico. Vediamo alcuni elementi principali costitutivi del testo.

5.1 Testo e competenza testuale


Ogni testo ha un tessuto di relazioni sia di significati che formali. Insegnare a comprendere e a produrre testi in una
lingua, è uno dei principali obiettivi della scuola, come anche le recenti Indicazioni nazionali per le scuole dell'infanzia
e del primo ciclo di istruzione esplicitano.
Definizione di testo
Negli anni 60-70 del XX secolo la linguistica testuale, pone al centro dell'attenzione il testo, leggendolo come il segno
linguistico primario, l’unità fondamentale della lingua e vi evidenzia la presenza caratteristica di elementi quali
pronomi, articoli, connettivi, il cui uso rimanda a una misura superiore a quella di una frase (dunque transfrastica). Il
testo viene identificato come occorrenza comunicativa, unità linguistica formata secondo le regole grammaticali della
particolare lingua usata, che l'intenzione dell'emittente e ricevente ritiene linguisticamente compiuta. Vengono così
poste le basi per un approccio semantico-pragmatico e procedurale.
Il testo viene inteso come unità comunicativa ed entità pragmatica caratterizzata da
a) Un tema corrente;
b) Una chiara funzione comunicativa;
c) In rapporto con certe situazioni e presupposti.
Fornire all'apprendente gli strumenti per poter gestire tale entità, assume un'innegabile rilevanza formale e didattica. Si
tratta di sviluppare nei discenti una competenza testuale; essa può essere definita come la capacità di riconoscere che
cosa è un testo e cosa non lo è; sul versante produttivo, essa comporta saper produrre testi compiuti, semanticamente e
formalmente coerenti. Tale competenza di solito viene gradualmente sviluppata in L1 e può essere successivamente
coltivata in altre lingue e culture.
5.2 Alcuni criteri di testualità
Secondo il classico lavoro di De Beaugrande e Dressler, un buon testo risponde ad alcuni requisiti di testualità, più
precisamente:
•coesione abbraccia la rete di relazioni grammaticali e superficiali fra unità del testo, segnalata da vari tipi di marche
di continuità testuale (ripetizioni, pronomi, parallelismi, congiunzioni). Un tipico effetto coesivo è prodotto in
particolare da anafore e catafore, cioè da rimandi coreferianziali a referenti menzionati in precedenza. Un ruolo
coesivo hanno anche i connettivi testuali che collegano parti di testo in quanto unità discorsive, il loro uso implica una
consapevolezza metatestuale (Le anafore sono in corsivo=Carlo chiese a Giorgio di portargli il libro, ma questi se lo
dimenticò). Un ruolo importante è svolto anche dai connettivi testuali, che collegano parti del discorso in quanto unità
discorsive: parliamo di congiunzioni (e, ma), avverbi (allora, ora), particelle modali (appunto), verbi di dirre (dico,
ripeto), interi enunciati (questo è un esempio).
•coerenza riguarda la continuità del senso nel testo. Si tratta di connessione delle parti di un tutto. Contribuiscono alla
coerenza semantica di un testo:
-Il ricorso a mezzi lessicali e fraseologici esprimenti le relazioni semantiche di tipo paradigmatico (sinonimia,
antonimia, iponimia) e sintagmatico (collocazioni)
-La messa in evidenza dell'articolazione logica del testo, sia con specifici connettivi (per prima cosa, quindi, in seguito),
sia con dispositivi grafici (paragrafazione, titolazione)
-Le scelte di organizzazione retorica del testo (ad es. il rispetto dell’ordine cronologico dei fatti).
•intenzionalità Un buon testo consente senza troppa fatica di ricostruire le intenzioni dell'emittente (intenzionalità).
•accettabilità Al contempo il ricevente deve poter identificare come accettabile il testo, cioè come ben formato
(accettabilità)
•informatività e deve essere messo nella condizione di riconoscere la sua valenza informativa, in quanto esso
aggiunge qualche elemento nuovo alle conoscenze dello stesso ricevente (informatività).
•situazionalità Ciascun testo porta in sè rimandi al contesto situazionale, compresi riferimenti a oggetti e persone. La
situazionalità del testo si concretizza soprattutto tramite il meccanismo della deissi che si esplica in cinque principali
tipi:
-Personale (riferimento al parlante, ad es. con mezzi come io, mio; e all’interlocutore, tu, tuo);
-Temporale (riferimento al momento dell’enunciazione: ieri, domani);
-Spaziale (riferimento al luogo dell’enunciazione: qui, questo);
-Testuale (riferimento a segmenti del testo: nel paragrafo seguente, come detto prima);
-Sociale (codifica le relazioni sociali fra i partecipanti all’evento comunicativo: si pensi all’uso del tu o del lei).
•intertestualità riguarda il rapporto del testo con altri testi e i rimandi fra un testo e l'altro, che spesso vanno scoperti
per una comprensione piena del messaggio. Essa include pure la questione dei tipi di testo, classi di testo con funzioni e
strutture simili.
I criteri di coesione e coerenza sono centrati primariamente sul testo. I criteri di intenzionalità e accettabilità sono più
sensibili a dimensioni pragmatiche. Sul rispetto di tali criteri è opportuno che la didattica di L1 e L2 si soffermi,
tematizzandoli con opportune attività, a partire da testi autentici ben formati.

5.3 Aspetti procedurali e organizzazione informativa del testo


Utili indicazioni per la didattica del testo ci giungono considerando, in ottica procedurale, le fasi del processo di
produzione del testo, che sono cinque:
1.Progettazione del testo (planning);
2. Ideazione (ricerca di idee);
3 Sviluppo (elaborazione delle idee);
4. Espressione (ricerca di espressioni collegate ai vari contenuti mentali);
5. Sintesi grammaticale (inserimento delle espressioni grammaticali).
Tutte queste fasi influiscono simultaneamente l'una sull'altra. Al fine di comprendere un testo, saranno utili al ricevente
nozioni enciclopedihe sull'argomento del testo, dati di conoscenza sulla situazione e sul tipo di testo e saperi consolidati
in specifici formati di rappresentazione, fra cui schemi, scripts, frames. Più precisamete lo schema è una struttura di
dati per la rappresentazione di concetti generici e rappresenta conoscenze in modo strutturato (per es. il tipico schema
narrativo della fiaba). Il frame costituisce il quadro di riferimento per rappresentare un concetto, eventi o sequenze di
eventi. Lo script consiste nella successione ordinata di eventi prevedibili (ad es. lo script di una festa di compleanno
con torta, candeline e palloncini). I Plans descrivono l'insieme di scelte che una persona deve fare allorchè si accinge a
perseguire un obiettivo.
Dal punto di vista informativo, nel testo è spesso riconoscibile un tema o topic su cui il testo verte. Nei singoli
enunciati testuali si ha spesso una bipartizione informativa: a una parte tematica (topic, o tema), se ne affianca una
nuova, il comment o rema. Più precisamente all'interno del rema si identifica una parte massimamente saliente e
informativa, il focus, che costituisce la porzione fondamentale dell'enunciato che aggiunge informazioni nuove al
destinatario.
Es. C’era una volta un re (Rema 1). Il re (tema1) aveva due figlie (rema 2). La prima (tema 2) si chiamava Bianca
(rema 3).
Il modo in cui procede lo sviluppo dei temi di un testo (progressione tematica) può assumere configurazioni ricorrenti,
per esempio, troviamo progressione lineare in quanto, il rema dell'enunciato (un re), diventa tema del successivo
enunciato; progressione con rema scisso laddove il rema viene di seguito scisso in due nuovi temi nel seguito (due
figlie viene scisso in due nuovi temi: la prima... e più avanti la seconda); progressione con tema costante (allo sesso
tema si assegnano vari remi); progressione con ipertema, cioè un tema sovraordinato, spesso all’inizio del testo.
La struttura informativa di un testo può essere utilmente messa in relazione con la domanda di cui il testo si propone di
rispondere: la quaestio. Un testo narrativo risponderà, per esempio, alla domanda o quaestio: “Che cosa è capitato a X
nel momento T?”
La risposta alla quaestio viene data dagli enunciati del testo appartenenti alla sua struttura principale (o primo piano).
Questi, di norma, contribuiscono alla sua macrostruttura, cioè la forma logica di un testo, struttura astratta. Le
informazioni collaterali rispetto al quesito di base, le digressioni, fanno invece parte della sua struttura laterale (o
sfondo) e verranno facilmente omesse in un suo riassunto. La quaestio condiziona lo sviluppo dell'informazione nei vari
domini referenziali (tempo, spazio, persona, eventi, modalità) all'interno degli enunciati del testo.
Un modello di analisi basato sulle quaestio è adeguato a un approccio comunicativo-funzionale, inoltre aiuta a stabilire
una tipologia testuale perché tipi di testo differenti rispondono a domande diverse.

5.4 Tipi di testo e operazioni testuali, fra teoria e didattica


In chiave descrittiva i testi sono ascrivibili a diversi tipi testuali, che si distinguono sulla base di vari criteri. Ricordiamo
alcuni criteri, proposti da Lavinio:
-Mezzo o canale (testi orali, scritti, trasmessi)
-Numero di istanze enunciative (unica o molteplice)
-Funzione comunicativa dominante (descrizione, narrazione, argomentazione, ecc)
-Vincoli per la codifica: da testi più vincolanti (leggi, testi scientifici e tecnici) a testi fi più libera interpretazione (testi
letterari, pubblicitari).
Alcuni criteri comprendono il grado di pianificazione, aspetti legati alla forma linguistica del testo, al grado maggiore o
minore di radicamento nel contesto situazionale, al grado di individualità o ripetitività del testo.
Si riconoscono generalmente cinque tipi testuali: descrittivo, narrativo, espositivo, argomentativo e regolativo. I tipi
testuali possono ulteriormente differenziarsi in generi (ad esempio il testo narrativo si declina in generi come: novella,
romanzo, poesia epica, leggenda, fiaba, articolo di cronaca, biografia).
Quanto ai tratti condivisi, prendendo come esempio le descrizioni, si può rilevare che esse si concentrano su stati o
qualità di ciò che viene descritto. Dal punto di vista linguistico gli enunciati descrittivi sono spesso atemporali,
contengono tempi con aspetto imperfettivo e talora mancano di verbo (enunciati nominali).
Ai generi testuali tradizionali vanno ora aggiunti nuovi generi testuali e ipertestuali legati alle tecnologie digitali (lettere
e-mail, chat, forum) che spesso presentano abbreviazioni o sigle.
Le abilità testuali in L1 vengono acquisite dapprima con modalità informali, in seguito all'esposizione a testi presenti
nel contesto del discente (ad esempio fiabe, brevi racconti narrati al bambino lo introducono presto al tipo narrativo) e
alla progressiva maturazione cognitiva di abilità necessarie per comprendere e produrre specifici tipi testuali (dal
concetto di successione temporalr a relazioni logiche utili per comprendere testi narrativi).
La didattica di L1 ha fra i suoi obiettivi lo sviluppo di una competenza finalizzata alla produzione di diversi tipi testuali,
conformi alle esigenze e alle capacità cognitive dell’alunno delle varie fasce d’età e via via sempre più finalizzate
ell’ambito anche professionale.
Per quanto concerne l'acquisizione di abilità testuali in L2, da un lato essa può fruire di competenze testuali già
acquisite in L1, dall'altro essa richiede lo sviluppo di mezzi lessicali e grammaticali specifici di L2. Nella didattica sarà
pertanto opportuno sia tematizzare specifiche strutture linguistiche di L2, specificandone la valenza testuale, sia puntare
sulle peculiarità della testualità nella specifica di L2.
Nella didattica di L1 e L2 è opportuno ricorrere ad alcune operazioni inerenti il livello testuale. Prima si svolgono
attività riguardanti il versante tematico e contenutistico del testo (individuazione della quaestio, del tema principale,
della contestualizzazione spazio-temporale). Dopo averli osservati in testi ben formati possono essere esercitati con
manipolazioni o riformulazioni di testi dati o tramite l'elaborazione di nuovi testi.

6. Elementi di pragmatica
6.1 Rilevanza della dimensione pragmatica
La linguistica educativa e gli approcci funzionali e comunicativi alla didattica delle lingue invitano a coniugare
l'obiettivo di sviluppare nel discente la competenza in una lingua ai suoi diversi livelli con l'obiettivo di fornire gli
strumenti per agire e interagire in quella lingua in modo efficace e adeguato al contesto, coerente con i suoi scopi
comunicativi (competenza pragmatica). La competenza pragmatica è uno dei principali fini della didattica delle lingue.
Bisogna distinguere 2 componenti della competenza pragmatica. La componente socio-pragmatica ha a che fare con le
norme sociali che in una certa società e cultura sovrintendono l'agire linguistico e l’interazione verbale tra individui. La
componente pragmalinguistica riguarda la codificazione linguistica di tali dimensioni. Il potenziamento della
competenza pragmatica di L1 e L2 ha a che fare con entrambe le componenti, non risolvendosi solo in un'istruzione su
forme linguistiche specifiche, ma richiedendo pure l'esplicitazione delle norme sociali suddette.

6.2 Gli atti linguistici


Una prima dimensione pragmatica riguarda l'idea del linguaggio come strumento di azione. Parlando, si possono
compiere infatti azioni di vario tipo: informare l'interlocutore, incitare, ringraziare, chiedere. Azioni compiute
ricorrendo elettivamente al linguaggio verbale sono definibili come atti linguistici. Gli atti linguistici si compongono di
vari livelli:
-Enunciativo o locutorio: enunciazione di parole e suoni di una certa lingua;
-Proposizionale o locutivo: riferimenti a eventi, stati di cose, a entità e predicazioni (Quel vaso sta cadendo!).
-Illocutivo: atto compiuto nel proferire un certo enunciato, forza illocutiva di quanto detto.
-Perlocutivo: effetto che l’atto linguistico vuole generare sull'interlocutore
L'atto linguistico può talora essere compiuto ricorrendo a un verbo, detto performativo, che etichetta e produce l'atto
stesso, ad esempio avvisare (Ti avviso che quel vaso sta cadendo).
Vi sono atti linguistici diretti e indiretti, con possibili aggiunte di modificatori di forza illocutiva, come per “favore,
volevo chiederti se”.
Da Searle in poi si riconoscono cinque classi di atti linguistici, basate su una classificazione di diverse forze illocutive e
su diverse condizioni per la riuscita:
• Dichiarativi, che producono un cambiamento istituzionale nella situazione (battezzare, dichiarare guerra, nominare ad
una carica);
• Rappresentativi o assertivi, che impegnano il parlante sulla verità della proposizione espressa -Commissivi, che
impegnano il parlante a fare qualcosa in futuro (affermare, concludere);
• Direttivi, che richiedono all'interlocutore di fare qualcosa (chiedere, ordinare);
• Espressivi, che esprimono uno stato psicologico del parlante (salutare, congratularsi).
Tali dimensioni di variazione, pertinenti in chiave di pragmatica interculturale, vanno tenute presenti in una
glottodidattica pragmaticamente informata.

6.3 La logica della conversazione


Un filone cospicuo della pragmatica si sofferma su norme generali che governano la conversazione, come la forza delle
intenzioni comunicative dei soggetti interagenti, la razionalità o logica della conversazione. Alla base del
funzionamento delle conversazioni e del lavoro di ricostruzioni delle intenzioni altrui nel corso di conversazioni,
secondo Grice vi sarebbe il principio di cooperazione. Si parte dal presupposto che normalmente l'interlocutore,
coopera alla buona riuscita della comunicazione. Tale principio si declinerebbe in quattro massime conversazionali,
che guiderebbero il parlante rispettivamente a fornire un contributo pertinente e rilevante nel contesto (massima della
relazione), ritenuto vero per cui ha prove (massima della qualità), quantitativamente adeguato (massima della quantità),
e chiaro (massima del modo). Le massime possono talora essere violate, ma in tal caso l'ascoltatore inferisce altri
significati, operando implicature conversazionali (cioè inferenze scaturite dal comportamento del parlante).

6.4 Interagire parlando: Turni, mosse comunicative, dominanza e cortesia.


Dal punto di vista strutturale, l'interazione può essere descritta facendo riferimento a una serie di regolarità discorsive e
di unità su cui punta l'attenzione l'analisi della conversazione.
Il turno è lo spazio di intervento del singolo parlante durante uno scambio comunicativo. Nelle diverse comunità
linguistiche vigono regole relative a come si alternano i turni in una conversazione. L'avvicendamento dei turni si ha di
norma in punti detti di rilevanza transizionale, variamente segnalati (ad esempio dopo aver selezionato il parlante
successivo con una domanda).
Pause, silenzi e sovrapposizioni nelle conversazioni reali sono tutt'altro che rari assumendo diverse valenze e
svolgendo varie funzioni. Essendo tali comportamenti in parte diversi da cultura a cultura, è opportuno istruire
l'apprendente sia su come gestire i suoi interventi alla conversazione secondo specifiche regole di avvicendamento dei
turni, sia su come la specifica cultura e lingua d'arrivo tende a gestire e a interpretare sovrapposizioni, pause e silenzi.
Dal punto di vista delle azioni comunicative svolte nei diversi turni della conversazione e del loro concatenarsi, una
nozione pragmaticamente rilevante è quella di mossa (comunicativa). Tra queste abbiamo il saluto e risposta, domande,
giustificazione/spiegazione, ecc. In generale le mosse spesso si organizzano in sequenze complementari (ad es.
domanda/risposta) che generano attese negli interlocutori (ad es. dopo che una persona domanda, quella si aspetta una
risposta). La struttura della conversazione risente anche del diverso potere interazionale degli interlocutori. Alcune
mosse interazionalmente forti che condizionano il comportamento altrui (porre domande) sono spesso appannaggio di
chi ha maggior potere interazionale. La dominanza di uno degli interlocutori può essere dovuta a cause diverse, sia di
tipo sociale, sia di tipo contestuale o linguistico. Tale dominanza affiora per esempio pure nella frequente struttura
triadica dell'interazione didattica, costituita da una mossa iniziale, una mossa di risposta del discente, infine una mossa
di chiusura. Incidono e si intrecciano con tali dinamiche aspetti relativi alla gestione della faccia o immagine sociale del
sè, per i quali nell'interazione, i partecipanti tendono pure a salvaguardare e promuovere la propria immagine,
presentandola come attenta all’altro, a esibire rispetto per quella altrui, evitando offese e cercando di non invadere il
campo d’azione dell’altro (faccia negativa) e di promuovere la sua immagine (faccia positiva). La gestione di aspetti
interpersonali tanto delicati è più problematica nel caso di lingue e culture non del tutto familiari ai partecipanti, i quali
rischiano di operare inconsapevoli transfert pragmatici della propria L1. Contribuisce alla gestione della faccia la
codifica verbale della cortesia presente in tutte le culture, in modalità diverse. Si avvale di mezzi morfologici (morfemi,
persone verbali, modi di cortesia: imperfetto, condizionale: volevo/vorrei un panino), lessicali (attenuatori: un po’;
lessemi di registro elevato o medio: sorseggiare, bere vs trincare), sintattici (formule interrogative o di dubbio: non so
se/ non è che puoi prestarmi l’auto?).

6.5 Imparare e insegnare aspetti pragmatici di un'altra lingua


La ricerca sull'acquisizione di aspetti pragmatici in L2/LS è più recente di quella relativa alla morfosintassi e si è
occupata finora di:
-Come si impara a eseguire in L2 alcuni atti rischiosi per la faccia (positiva, negativa) dei partecipanti (ad es. richieste,
scuse, rifiuti).
-Quanto lo sviluppo della pragmatica sia condizionato da quello della grammatica
-Quali fattor incidano su tale tipo di acquisizione
A livello generale si osserva che in L2 spesso la forma che assumono gli atti linguistici è più diretta ed esplicita che in
L1 e che per compensazione in L2 si ricorre più spesso a marche di cortesia di tipo lessicale (per favore). La
competenza pragmalinguistica (relativa alle forme) pare precedere quella socio-pragmatica, concernente norme
socioculturali della specifica comunità linguistica di L2. Quanto al rapporto fra sviluppo di competenze pragmatiche e
grammaticali, gli esiti delle ricerche non sono univoci. Da un lato le prime paiono precedere le seconde, in quanto
apprendenti adulti che già dispongono di una competenza pragmatica legata alla loro lingua e cultura d'origine, questa
può sostenere quella in fieri di L2. D’altro canto, si è dimostrato che una competenza pragmatica può svilupparsi solo
con l'avanzamento della competenza morfosintattica. Lo sviluppo pragmatico in L2 è pure sensibile ad altri fattori
relativi al contesto di apprendimento, a dimensioni psicosociali e socioculturali legate a L2.
Alcune ricerche sperimentali hanno tentato di sondare se e quanto siano efficaci alcuni metodi di insegnamento di
aspetti pragmatici di L2. Ne emerge che solitamente le classi sperimentali ottengono risultati migliori di quelle di
controllo e che l'insegnamento esplicito con riflessioni metapragmatiche è spesso più efficace di quello implicito.
L'esito dell'insegnamento dipende pure da altri fattori tra cui il livello di competenza degli apprendenti, la durata
dell'intervento, il tipo di elementi da insegnare.

CAPITOLO 4 – LA DIDATTICA DELLA L2


Introduzione
Insegnare una L2 significa innanzitutto sviluppare nell’apprendente una competenza linguistico-comunicativa altra
rispetto a quella in lingua materna. Però l'apprendimento di una o più L2 permette non solo di diffondere la cultura del
bi- o meglio del plurilinguismo, ma soprattutto di sviluppare la cosiddetta competenza plurilingue, o multi-competence.
Questo concetto richiama la nota ed efficace teoria dell’interdipendenza di Cummins, secondo cui le lingue apprese in
apprendimento si potenziano reciprocamente grazie al fatto che si fondano su una medesima matrice cognitiva e cioè il
pensiero, le conoscenze e le esperienze dell'individuo. Obiettivo principale dell'apprendimento e dell'insegnamento
delle lingue è dunque lo sviluppo della competenza linguistico-comunicativa dell’apprendente, non solo nelle sue
molteplici sottocompetenze (linguistica, extra-linguistica e socio-pragmatica), ma soprattutto nella sua natura plurima
poiché il risultato di più competenze linguistico-comunicative.

1. Elementi per un curricolo


Secondo Freddi quando si arriva al momento dell'insegnamento delle lingue nel vivo delle classi, a contatto diretto con
gli apprendenti, occorre proiettare le grandi questioni (chi, che cosa, perché, dove, quando, come) all'interno della
situazione reale e disegnare il progetto di insegnamento che chiameremo curricolo.
Il curricolo è dunque un modello, un meglio una “procedura” che nasce si afferma nel secolo scorso grazie al contributo
di autori e di discipline diverse. Quale definizione, oltre a quella citata in apertura di “progetto di insegnamento”,
possiamo fornire di curricolo? Il curricolo esplicita di fatto il programma, presentando un vero e proprio piano di lavoro
proiettato di norma su un intero ciclo scolastico. Esso definisce le mete gli obiettivi (finali e intermedi) da raggiungere
in rapporto al contesto sociale e alle caratteristiche degli apprendenti, indica i materiali, i sussidi e le tecniche di lavoro
da mettere in gioco, descrive le forme di accertamento e di valutazione.

Il curricolo risponde dunque a diverse domande:

 DOVE?
La risposta a questa prima domanda chiama in causa il contesto, sociale e scolastico, entro il quale il curricolo si deve
sviluppare. Per progettare un percorso di apprendimento linguistico occorre innanzitutto conoscere e dunque rispettare
le Indicazioni nazionali. Le scelte curricolari, tuttavia, non dipendono solo dalla politica linguistica del paese in cui ci si
trova ad operare, ma anche dalla singola scuola. Ciò significa che per tracciare un curricolo glottodidattico è necessario
considerare quali e quante lingue sono inserite nel sistema educativo, quali lingue sono parlate e/o conosciute dagli
studenti e dalle loro famiglie. L'impostazione di un curricolo, dunque, non può prescindere da un'attenta analisi del
contesto a tutti i livelli, dalla nazione, alla regione, alla città, alla scuola, alla classe, alle singole famiglie degli alunni.

 CHI? (L’APPRENDENTE)
I bisogni linguistici dell’apprendente rappresentano un elemento fondamentale per l'organizzazione del curricolo. La
necessità e l'interesse che l’apprendente ripone nell’appropriarsi di una L2 influenzano inevitabilmente le proposte
curricolari. Pianificare un curricolo linguistico per i bambini della scuola primaria implica scelte di contenuto e
conoscenze psicopedagogiche diverse da quelle utili per pianificare un curricolo per ragazzi della scuola secondaria o
dell'università; per questo bisogna tener conto dei livelli di età, dei tipi di corso ma anche delle motivazioni e degli
atteggiamenti degli apprendenti nei confronti della L2. Il curricolo va dunque costruito intorno all'apprendente in
funzione dei suoi bisogni linguistico-comunicativi, delle sue motivazioni, della sua personalità, del suo stile cognitivo e
delle sue conoscenze pregresse in modo tale da procedere con la pianificazione del macroprofilo dell’apprendente a cui
il curricolo è destinato.

 CHI? (L’INSEGNANTE)
Oltre all’apprendente, la risposta a questa domanda chiama in causa anche l'insegnante di L2. L'impostazione e l'esito di
un buon curricolo, infatti, dipendono anche dalle competenze dalla preparazione del o dei docenti che progettano quel
curricolo. Un buon docente di lingue non solo deve possedere un'adeguata competenza comunicativa nella lingua
oggetto del suo insegnamento, consapevole dei tratti culturali veicolati da quella lingua, ma deve anche aggiornarsi
costantemente sull'evoluzione della stessa tramite contatti continui con i nativi e i luoghi in cui essa è lingua nazionale o
ufficiale (formazione continua: attività di aggiornamento culturale e professionale, anche nel paese straniero, di
ricerca-azione condotte nell'ambito delle classi e impostate secondo la formula aggiornamento-sperimentazione-
verifica-modificazione). Insegnare una L2 significa non solo istruire ma anche educare a quella lingua e fare educazione
(pluri)linguistica; motivo per il quale l’insegnante deve essere competente non solo sulla parte linguistico-comunicativa
ma anche sulla didattica generale, sugli approcci, metodi e tecnologie relative all’educazione linguistica stessa.

 CHE COSA?
Trattandosi di insegnamento linguistico i contenuti inseriti nel curricolo saranno strettamente connessi allo sviluppo
della competenza comunicativa nella L2, che a sua volta è costituita da quattro diverse componenti:
• competenza linguistica, che prevede riferimenti alla fonologia, al lessico, alla morfosintassi, alla testualità;
• competenza para linguistica, che prevede riferimenti all'intonazione, tono della voce, suoni non verbali, ritmo e pause;
• competenza extralinguistica, che si riflette sulle dimensioni cinesica e prossemica (ovvero il linguaggio del corpo e
gesti all'interno di una comunicazione), oggettuale, vestemica, olfattiva, tattile;
• competenza socio-pragmatica, che chiama in causa la sottocompetenza strategica (legata alla capacità di relazionarsi
con l'interlocutore per raggiungere i propri obiettivi comunicativi), sociolinguistica, culturale.

 COME?
Questa è l'ultima domanda che bisogna porsi quando si va alla ricerca degli elementi imprescindibili del curricolo. È
necessario domandarsi quali procedimenti, quali mezzi, quali strumenti presentare i contenuti pianificati perché
rispondano ai bisogni dei discenti e diventino parte della loro competenza comunicativa. L’impostazione del curricolo
possiede oggi una natura tridimensionale (proposta da Balboni). Il curricolo è sempre stato presentato in maniera
bidimensionale: sull'asse orizzontale abbiamo gli anni di studio o i livelli scolastici, su quello verticale i livelli di
competenza comunicativa. Ma si tratta di un modello inadeguato perché produce curricoli generici e statici. Quindi si
tratta di passare a curricoli tridimensionali perché la competenza comunicativa è un volume, uno spazio profondo,
complesso e non una tabella di regole o una lista di lessico. La complessità del curricolo è inevitabile perché la società
odierna è sempre più multiculturale, le classi sempre più plurilingui, e tutto ciò rende necessario un curricolo flessibile,
creato sulla base di un preciso profilo d’apprendente, con specifici bisogni, obiettivi, caratteristiche e contesti sociali.
La ricerca di modalità di programmazione curricolare più rispondenti a una visione complessa ed evolutiva
dell’apprendimento linguistico ha spinto alcuni a rifiutare il sillabo a priori, a favore dell’osservazione e registrazione
dei processi che avvengono nella classe in tempo reale con quanto c'è di imprevedibile e ambiguo. Tale concezione
complessa ma completa del curricolo comprende oggi le nozioni più tradizionali di sillabo, inteso come corpus, elenco
di contenuti da affrontare in un percorso didattico, e di programma utilizzato per tracciare i fini contenuti i metodi e i
criteri di valutazione di un corso di lingua oggi sostituito dalle indicazioni nazionali.
Progettare un curricolo glottodidattico significa dunque considerare i seguenti elementi imprescindibili:
1.La contestualizzazione, a livello di politica linguistica e scolastica nazionale e locale;
2. I destinatari, attraverso un’attenta e approfondita analisi dei profili degli apprendenti cui il curricolo si rivolge;
3. I registi del curricolo (insegnanti) che organizzano il percorso, lo presentano, aiutano a percorrerlo, lo modificano in
corso d’opera se necessario;
4. I contenuti, in termini di competenza comunicativa e in funzione del tipo di approccio e di metodo adottato nella
realizzazione del curricolo;
5. La struttura del curricolo stesso, la sua natura tridimensionale che lo rende flessibile e permette la selezione dei
contenuti in funzione del tipo di corso, dei bisogni dei destinatari, dei tempi di insegnamento e degli approcci utilizzati.

Dal curricolo, il macropercorso tracciato dal docente, è necessario passare al micropercorso, cioè alla pianificazione dei
segmenti didattici di cui il curricolo è costituito e che lo rendono effettivamente operativo. Molte sono le definizioni e le
prospettive adottate dalla glottodidattica per definire tali segmenti e caratterizzarli in rapporto al progetto generale:
• dal dialogo socratico o maieutico della tradizione classica, caratteristico oggi di poche privilegiate situazioni
d’insegnamento (dottorato, master d’alta specializzazione);
• alla lezione tradizionale, frontale, asimmetrica in cui il docente costituisce l’unico e incontestabile mezzo di
trasmissione dei contenuti al discente;
• ai più recenti schemi e modelli di organizzazione dell’attività didattica noti come modulo, unità didattica e unità di
acquisizione, proposti a partire dagli anni Settanta.

Il modulo, per le sue caratteristiche si colloca a metà strada tra l'ampio curricolo e la più circoscritta unità didattica e
risponde alla complessità della realtà didattica attuale. Un modulo per essere definito tale deve avere caratteristiche
precise:
• deve essere autosufficiente: i contenuti devono permettere al discente, a conclusione dello stesso, di operare in
maniera autonoma in riferimento a quanto appreso;
• deve fondarsi su ambiti comunicativi complessi non limitati a semplici situazioni comunicative;
• deve potere essere valutato;
• deve essere flessibile e potersi accordare con altri moduli ogni modulo è costituito da una rete di unità didattiche
ognuno dedicate a un contenuto specifico.
Un modulo è un blocco tematico concluso in sé, autosufficiente, significativo che raccoglie i contenuti che
tradizionalmente si distribuivano su unità didattiche. Ogni modulo è costituito da una rete di unità didattiche, ognuna
dedicata a un contenuto specifico. Il passaggio dal concetto di lezione frontale e asimmetrica a quello di unità didattica
si realizza negli anni Settanta del secolo scorso; segno di tale innovazione è lo schema di unità didattica proposto da
Giovanni Freddi, da lui stesso definito modello, poiché inteso come sinonimo di modulo di intervento sì organizzato e
coerente, ma anche suscettibile di integrazioni e adattamenti che nuove variabili e nuovi risultati di ricerca possono
introdurvi. L’unità didattica inizialmente era costituita da 5 momenti consecutivi
1. Presentazione;
2. Accostamento globale al testo;
3. Induzione delle strutture morfosintattiche;
4. Applicazione delle strutture indotte attraverso esercizi;
5. Sistematizzazione delle strutture e controllo.
Diventano 6 con gli approfondimenti che Freddi propone del modello negli anni Novanta. Le sei fasi riprendono la
sequenza globalità-analisi-sintesi, seguite dalla fase della riflessione; a queste se ne aggiungono altre due: la fase della
motivazione, in apertura, finalizzata ad attivare l’attenzione e a stimolare l’interesse degli apprendenti e quella del
controllo, in chiusura, nella quale si verificano caratteristiche e profondità degli apprendimenti avvenuti anche in vista
di una più ampia valutazione.
Uno dei limiti dell’organizzazione in fasi dell'unità didattica è la rigidità nella sequenza delle fasi. La rilettura dell’unità
didattica come rete di unità d'acquisizione ci sembra particolarmente utile per superare la staticità e la limitatezza della
idea di sequenza a favore di una maggiore flessibilità e di conseguenza adeguatezza ai ritmi. Alla luce di queste
osservazioni è possibile proporre la metafora del curricolo identificandolo con un paesaggio di natura diversa a seconda
delle variabili che lo compongono; un paesaggio percorribile, o meglio esplorabile seguendo vie diverse, alla scoperta
delle sue componenti costitutive e caratteristiche.
2. Approcci, metodi e tecniche
Per passare dalla macroprogettazione alla microprogettazione è necessario, prima di organizzare i contenuti da trattare
in moduli e unità didattiche, precisare la prospettiva metodologica da adottare per rendere il curricolo operativo nella
didassi quotidiana. È indispensabile indicare l'approccio, il metodo e la tecnica che insieme costituiscono un modello
glottodidattico strettamente connesso a quello sovraordinato che descrive la natura interdisciplinare della scienza di cui
ci occupiamo. Le teorie, esterne alla glottodidattica, forniscono al glottodidatta spunti, definizioni, descrizioni varie
diversificate che egli assume, facendoli rientrare nello spazio di ricerca proprio della scienza dell’educazione
linguistica. Tale processo di implicazione dall’esterno all’interno dello spazio di ricerca della glottodidattica determina
la messa in atto di un approccio specifico, fondato su teorie. L’approccio è la filosofia di fondo, il pensiero dominante.
Nello spazio della ricerca glottodidattica le conoscenze dichiarative devono dare luogo a conoscenze procedurali che
stanno alla base di un modello operativo concreto, un metodo, che realizza operativamente le indicazioni
dell’approccio, permettendo così di stabilire come organizzare il curricolo e le singole unità didattiche, quali contenuti
privilegiare, ecc. All’esterno dello spazio della ricerca glottodidattica si colloca il mondo dell’azione, quello
genericamente metodologico-didattico da cui il glottodidatta attinge per selezionare le tecniche, cioè le procedure
didattiche concrete che permettono di realizzare gli obiettivi del metodo.
Facciamo una panoramica degli approcci e i metodi che si sono sviluppati e diffusi nell’ ultimo secolo e in particolare a
partire dal 1942, data con la quale convenzionalmente si fa nascere la glottodidattica e che corrisponde all'anno di
pubblicazione dell’Outline guide for the practical Study of Foreign Languages di Bloomfield. Per presentare tale
approccio a tali metodi seguiamo un criterio misto che fonde più chiavi di lettura possibili:
• quella cronologica
• quella scientifica
• fattori costitutivi dello spazio didattico (studente, insegnante, disciplina)
• osservazione delle tecniche e degli strumenti tecnologici utilizzati per raggiungere gli obiettivi
• aree di sviluppo degli approcci.

Questo criterio misto permette di focalizzare l'attenzione sui punti seguenti:


- QUANDO?  nascita, sviluppo e diffusione dell'approccio
- PERCHÈ?  eventuale teoria scientifica di riferimento
- CHI?  fattore dello spazio didattico messo in luce (cioè soggetto, oggetto, agente, contesto, o più fattori insieme)
- DOVE?  eventuali aree di sviluppo e di diffusione privilegiata
- CHE COSA?  contenuti privilegiati
- COME?  metodi sviluppatisi a partire dall’approccio tecniche e strumenti tecnologici privilegiati.

2.1 Approccio formalistico VS. approccio naturale


Trattiamo insieme l’approccio formalistico e l'approccio naturale perché entrambi hanno caratterizzato la didattica
linguistica prima del 1942, data di nascita simbolica della glottodidattica a base scientifica.

2.1.1 L’approccio formalistico

- QUANDO?
L’approccio formalistico o della grammatica-traduzione si sviluppa a partire dal XVIII secolo, quando il latino
comincia ad essere insegnato come lingua classica. Si avverte nello stesso modo in Europa di apprendere le lingue
moderne, che vengono insegnate come le lingue classiche.

- PERCHÉ?
Secondo questo approccio solo il procedimento deduttivo favorisce l’apprendimento. Ciò significa seguire un itinerario
che procede dalla regola alla lingua, dalla forma alla funzione, dalla norma all’uso.

- CHI?
Il fatto privilegiato in termini di spazio didattico è la lingua oggetto dell’insegnamento. Compito dell’insegnante è la
presentazione sistematica delle caratteristiche dell’oggetto di studio, dunque delle regole e delle eccezioni.

- DOVE?
L’approccio formalistico si sviluppa in area europea e in contesti di apprendimento elitari, religiosi o della media e alta
borghesia.

- CHE COSA?
La caratteristica principale di questo approccio consiste nell’identificare la lingua da insegnare con la sua grammatica. I
contenuti privilegiati vertono sulle abilità scritte (leggere e scrivere) e prevedono elenchi di regole, dalla pronuncia alla
morfosintassi, da studiare prima e poi da applicare attraverso esercizi specifici e liste di vocaboli da apprendere a
memoria, in genere presentati con la traduzione nella lingua materna.
- COME?
L’approccio formalistico si realizza nel metodo grammaticale - traduttivo, concentrato sull’insegnamento delle regole,
di pronuncia e di morfosintassi e di liste di vocaboli da apprendere a memoria. Il modello operativo per eccellenza è la
lezione frontale in cui il docente riversa i contenuti sugli apprendenti che passivamente li assorbono, li memorizzano e li
applicano, in attesa del controllo da parte del docente: il docente legge un testo, spiega il lessico e la grammatica nella
lingua materna dell’apprendente, richiesta di applicazione delle regole apprese attraverso esercizi specifici,
grammaticali e di traduzione. Le tecniche didattiche privilegiate sono la traduzione, il dettato e gli esercizi di
manipolazione e di trasformazione. I materiali e gli strumenti utilizzati sono i testi letterari, i manuali di grammatica, i
dizionari. Fra i metodi scaturiti dall’approccio formalistico vi è il Reading Method (metodo della sola lettura) e i metodi
cognitivi. Il Reading Method nasce intorno agli anni Venti del secolo scorso per rispondere all’esigenza di avvicinarsi
alle L2 per permettere un accesso più rapido e diretto ai testi originali in un periodo storico buio e critico per i liberi
contatti interpersonali. A forte matrice induttiva, questo approccio anticipa di settant’anni i metodi che nel XXI secolo
intendono sviluppare competenze parziali, facendo perno su una o due abilità di base. Il secondo metodo, invece, risente
dell’influenza della grammatica generativo-trasformazionale chomskiana che diventa punto di riferimento per
l’insegnamento della lingua. L’apprendente possiede una capacità innata per l’apprendimento linguistico che
l’insegnante deve saper sviluppare presentando input mirati dai quali partire per ricostruire il sistema di regole della
lingua oggetto. Le regole sono dunque fondamentali per la costruzione della competenza dell’apprendente.
2.1.2 L’approccio naturale

- QUANDO?
L’approccio naturale nasce come reazione alla rigidità e impostazione innaturale dell’approccio formalistico e si
diffonde tra la fine dell’Ottocento e gli anni Quaranta, soprattutto nel Nord Europa, in Svizzera e negli Stati Uniti.

- PERCHÉ?
La sua filosofia di fondo venne influenzata dagli studi di fonetica che hanno caratterizzato la fine dell’Ottocento.
Secondo tali studi l’oralità deve precedere la scrittura attraverso una successione ordinata nello sviluppo delle abilità,
rivendicando così la priorità dell’orale sullo scritto, al contrario di quanto asserito dall’approccio formalistico. Si
afferma progressivamente l’idea che la lingua straniera debba essere insegna all’adulto come la madre insegna la lingua
materna al bambino, adottando un approccio induttivo che dall’uso conduca alla norma, dalla funzione alla forma, dalla
lingua alla regola.

- CHI?
Come per l’approccio formalistico, il fattore dello spazio didattico privilegiato dall’approccio naturale è la lingua, non
come forma ma come uso, quindi la lingua di tutti i giorni, la lingua utile all’apprendente per capire e farsi capire
dall’interlocutore nativo.

- DOVE?
L’area di sviluppo e di diffusione dei metodi diretti, scaturiti dall’approccio naturale, è l’Europa, in particolare i paesi di
forte immigrazione quali il Nord Europa, Svizzera e Stati Uniti.

- CHE COSA?
L’approccio naturale segue i principi dei metodi diretti in cui particolare enfasi viene attribuita alla pronuncia e allo
sviluppo delle abilità orali (comprendere e parlare), senza alcun ricorso alla lingua materna. La grammatica viene
acquisita in maniera induttiva e senza un ordine preciso e gli elementi culturali impliciti alla lingua vengono
approfonditi solo se emergono spontaneamente.

- COME?
Tra le tecniche didattiche maggiormente utilizzate abbiamo la conversazione con il docente madrelingua e il mim-mem
approach, che prevede l’accostamento del discente a campioni di lingua da assumere mediante imitazione gestuale,
drammatizzazione e accoppiamento parole-frasi. La lingua materna e la traduzione sono bandite da questi metodi,
professati da docenti che parlano e insegnano unicamente in lingua straniera. Fra i principali metodi diretti vi sono:
• i metodi diretti naturali e/o fonetici, che permettono di concepire la lingua come comportamento. In una successione di
momenti didattici si procedeva dalla ripetizione mnemonica di modelli fonetici, allo studio delle strutture grammaticali
fino a focalizzare l’attenzione alle forme lessicali che coinvolgono aspetti non razionali nella lingua.
• i metodi semplificati, che si fondano sulla creazione di un vocabolario ridotto, scelto sulla base della frequenza d’uso.
L’uso forzato di tale lingua di base produce però espressioni stereotipate e innaturali. Il metodo diretto semplificato più
noto fu il Basic English elaborato da Ogden tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta del secolo scorso. Il
Basic English, costituito da 850 parole scelte in base al criterio della polisemia, rappresenta il primo lavoro di
individuazione delle parole fondamentali per una comunicazione quotidiana di base.
• i metodi diretti eclettici, che si basano sull’analisi degli aspetti fonetici della lingua, accompagnata da un vocabolario
costituito dal lessico più frequente.

2.2 L’approccio strutturalistico


Con l'approccio strutturali stico nascono i cosiddetti approcci scientifici, cioè quelli che si basano sempre meno sulle
esperienze concrete o sul buon senso e che costituiscono invece il risultato di una vera e propria linguistica applicata
alla didattica.

- QUANDO?
L’approccio strutturalistico nasce negli Stati Uniti degli anni Quaranta grazie all’applicazione nella didattica di alcuni
principi della linguistica tassonomica di Bloomfield. Dagli Stati Uniti, si diffonde in Europa dove, il metodo strutturo-
globale-audio-visivo (detto SGAV) avrà particolare successo in area francofona.

- PERCHÉ?
Le teorie di riferimento di questo approccio sono: la linguistica di Bloomfield e la psicologia comportamentista di
Skinner: la lingua viene appresa per imitazione costante e fissazione dietro rinforzo positivo di uno stimolo.

- CHI?
Il fattore dello spazio didattico privilegiato in questo approccio torna ad essere la lingua, non intesa come norma, ma
come un insieme di regole da fissare in modo automatico grazie ad esercizi; questa fissazione quasi meccanica delle
regole rende possibile una comunicazione viva e autentica con il parlante vivo. Lo studente, in questo approccio, è una
tabula rasa da incidere attraverso esercizi meccanici, mentre il docente si limita a gestire il laboratorio linguistico e a
correggere gli esercizi scritti.

- DOVE?
L'approccio nasce negli Stati Uniti e si sviluppa, fino agli anni Sessanta, anche in Europa, soprattutto nella sua versione
audio-visiva appunto

- CHE COSA?
Particolare attenzione viene attribuita alle abilità orali alla fissazione delle regole tramite imitazione costante di uno
stimolo linguistico.

- COME?
Le tecniche privilegiate sono i cosiddetti esercizi strutturali (pattern drills), di ripetizione, di sostituzione e di
trasformazione. Gli strumenti tecnologici sono il laboratorio linguistico, il registratore e il videoproiettore.
I principi dell’approccio strutturalistico sviluppano tre metodi in particolare:
• il metodo ASTP (Army Specialised Training Program), sviluppatosi durante la Seconda guerra mondiale e destinato
ad insegnare le lingue degli alleati e dei nemici ad ufficiali, tecnici e diplomatici americani. Per la prima volta, accanto
all’insegnante che coordina il corso e cura l’apprendimento della grammatica, vi è un insegnante madrelingua, un
linguista, che fornisce modelli vivi e autentici di lingua curando spesso con l’aiuto di un terzo insegnante, anche
l’insegnamento della cultura e della civiltà. È un metodo di natura intensiva che prevede 36 ore settimanali di lezioni
• il metodo audio-orale, che si afferma negli anni Cinquanta e costituisce un affinamento dell’ASTP. Si sviluppa negli
Stati Uniti e si fonda sull’applicazione costante di esercizi strutturali, costruiti da un insieme di 8/10 frasi simili per
forma e diverse per significato da ripetere o manipolare, sostituendo o trasformando la struttura linguistica da fissare. Il
rigore di questo metodo consiste nella progressione in difficoltà delle situazioni proposte e nell’attenzione ai molteplici
aspetti della lingua, fonetica, morfosintassi, elementi culturali e di civiltà.
• il metodo audio-visivo (o SGAV: strutturo-globale-audio-visivo), con cui si ha il primato dell’orale sullo scritto e
l’utilizzo di tecniche audio-visive. L’immagine è il veicolo del significato: ogni item sonoro è collegato a una precisa
immagine; tuttavia, lo sforzo di ridurre la polisemia dell’immagine a una relativa monosemia rivela la fragilità di questi
metodi.

2.3 L’approccio comunicativo


Con l'avvento dell'approccio comunicativo si attua una vera e propria rivoluzione, o meglio, una profonda evoluzione
metodologica che scardina i principi validi fino a quel momento per affermare definitivamente la centralità del discente.

- QUANDO?
L’approccio comunicativo si afferma a partire dagli anni Settanta in area europea.

- PERCHÉ?
Alla base di questo approccio vi sono due concetti fondamentali: il bisogno comunicativo e la competenza comunicativa
– i contenuti da insegnare vengono organizzati sulla base degli effettivi bisogni comunicativi degli apprendenti,
s’insegna la competenza comunicativa che consiste nella capacità di relazionarsi verbalmente e non verbalmente in
modo efficace con individui che appartengono ad una cultura diversa dalla propria. Il modello SPEAKING di Hymes
che definisce ed evidenzia gli otto fattori caratteristici dell’evento comunicativo: situazione comunicativa, partecipanti,
scopi, atti comunicativi, chiave (psicologica), strumenti, norme, generi.

- CHI?
La centralità dei concetti di bisogno comunicativo e di competenza comunicativa mette in luce il fattore soggetto con i
suoi bisogni specifici e le sue motivazioni all'apprendimento di una seconda lingua, mentre l'insegnante si fa sempre di
più accompagnatore e facilitatore di un processo di apprendimento in cui l'unico protagonista è il discente stesso.

- DOVE?
L'approccio comunicativo si sviluppa in Europa e si diffonde ovunque nel mondo.

- CHE COSA?
La competenza comunicativa, le abilità orali hanno la priorità su quelle scritte che vengono comunque affrontate in
modo approfondito in un secondo momento.

- COME?
Le lezioni sono strutturate per unità didattiche e ruotano intorno a un testo. I documenti autentici sostituiscono i
documenti creati appositamente con una finalità didattica, permettendo così allo studente di entrare in contatto con
varietà, registri linguistici reali. Dialoghi e conversazioni si fanno sempre più liberi e creativi. Le spiegazioni
grammaticali costituiscono riflessioni induttive sulla lingua realizzate a partire dal testo e in funzione dei bisogni
specifici. La progressione dei contenuti e spesso ciclica, ciò significa che il sillabo utilizzato riprende la stessa funzione
per arricchirla di enunciati sempre più complessi. Gli strumenti più comuni sono il laboratorio linguistico e il
registratore audio e video, con i dovuti aggiornamenti tecnologici. Tra i metodi dell'approccio comunicativo ritroviamo:
• il metodo situazionale, che può essere considerato come una prima traduzione concreta dell’approccio comunicativo,
per certi versi innovativa ma ancora molto influenzata dai metodi precedenti, per esempio nell’uso massiccio di esercizi
strutturali. Tale metodo si propone di perseguire l’acquisizione di una competenza comunicativa attraverso una
situazione che da fisica (al ristorante, in stazione) si trasforma in situazione verbale (chiedere per sapere, chiedere
permesso). Con questo metodo s’introduce il concetto di funzione comunicativa, destinato a diventare prioritario
rispetto a quello di categoria linguistica.
• il metodo nozionale-funzionale, supera il concetto di categoria linguistica dei metodi precedenti, introducendo quello
di categoria concettuale a cui lega quello di funzione comunicativa. Il suo scopo ultimo è lo sviluppo della competenza
comunicativa nella L2 attraverso lo studio delle funzioni e delle nozioni della lingua, combinate con il concetto di
situazione. Il concetto di “funzione”, nato nell’ambito della filosofia del linguaggio ha dato luogo a diversi modelli, fra
cui quelli di Jakobson e di Halliday. Il modello di Jakobson, privilegiato nell’insegnamento della lingua materna,
individua sei funzioni, ognuna relativa alle sei principali componenti della comunicazione: emotiva, conativa,
referenziale, poetica, metalinguistica, fatica. Halliday propone una partizione delle funzioni presenti nella lingua in tre
macrofunzioni (ideazionale, interpersonale e testuale), a loro volta scomponibili in sette funzioni, ognuna legata a
specifici scopi della comunicazione. Nella glottodidattica italiana si è diffuso un modello che individua sei funzioni
intese come macro-scopi comunicativi.
Altri due elementi essenziali sui quali il metodo nozionale-funzionale si fonda sono i concetti di nozione e di bisogno
comunicativo.
- nozione  comprende le nozioni generali (tempo, spazio, quantità) e quelle specifiche, proprie di ciascuna lingua
(possono essere considerate nozioni specifiche il trapassato prossimo il simple past o il passé composé, cioè il modo
diverso in cui ogni singola lingua esprime formalmente la nozione generale).
- bisogno comunicativo  implica invece che l’input dell’insegnante deve rispondere ai bisogni reali degli allievi,
attraverso la presentazione di atti comunicativi concreti.
Un notevole contributo alla definizione del metodo nozionale-funzionale dell’approccio comunicativo è stato offerto
dagli studi promossi nella seconda metà degli anni Settanta dal Consiglio d’Europa sui bisogni linguistici dei cittadini
nei loro spostamenti in altri paesi comunitari. Gli esperti del Progetto Lingue moderne del Consiglio hanno elaborato a
questo scopo i concetti di livello soglia (livello minimo di competenza linguistica utile per capire e farsi capire nella
quotidianità) e di unità capitalizzabili di apprendimento (possibilità d’analizzare in unità dei dati da acquisire in L2).
Nel decennio 1990-2000 vengono dati alle stampe gli studi relativi al Quadro comune europeo di riferimento,
rispondente all’esigenza in quegli anni di omologare i livelli di apprendimento di lingue a livello europeo e di unificare i
metodi di insegnamento e i processi di apprendimento (livelli di competenza A, B, C).

2.4 L’approccio “umanistico-affettivo” o glottodidattica affettiva


L'approccio “umanistico-affettivo” è caratterizzato da proposte spesso molto diverse, anche se tutte accomunate da una
particolare attenzione al “patrimonio di affettività dell’apprendente”. È importante fare però delle precisazioni:
l'etichetta “umanistico-affettivo”, affermatasi soprattutto in Italia, sembra oggi eccessiva. Inoltre, al posto del termine
“approccio” si predilige oggi il termine glottodidattica umanistica. Si ha l'esigenza di porre al centro dell’attenzione
pedagogica gli aspetti psicologici dell'apprendimento, prestando particolare attenzione all’ atmosfera di classe,
all’ambiente rilassante, alla motivazione e il coinvolgimento dell’apprendente.

- QUANDO?
La glottodidattica umanistica nasce in alcune sue realizzazioni già a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, per
poi svilupparsi, soprattutto in Europa, dagli anni Ottanta in poi.

- PERCHÉ?
Le teorie alla base della glottodidattica umanistica sono le stesse dell’approccio comunicativo, con una maggiore
focalizzazione, però, sulle dimensioni psicologica, neurolinguistica e affettiva, grazie all’influenza dell’umanesimo
psicologico. Si ha la volontà di coinvolgere la persona dell'allievo nella sua completezza chiamando in causa la
componente emozionale.

- CHI?
Il fattore privilegiato risulta ancora l’apprendente, artefice del proprio apprendimento e aperto all'esperienza linguistica
grazie all'abbassamento e alla neutralizzazione del filtro affettivo. Il docente è una figura discreta che osserva, segue,
consiglia e incoraggia i suoi apprendenti.

- DOVE?
Gli approcci e metodi collocabili entro la glottodidattica umanistica nascono negli Stati Uniti e si sviluppano
progressivamente in area europea.

- CHE COSA?
I contenuti privilegiati non sono sempre esplicitati e, anzi, sono spesso generici.

- COME?
Le lezioni virgola che in questo caso possiamo definire sessioni di insegnamento/apprendimento, si realizzano nei modi
più diversi: dalla lezione frontale, alla presenza silenziosa e rassicurante dell'insegnante, ha qualcosa di simile alla
seduta di psicoterapia. Nell'ambito della glottodidattica umanistica e ricordiamo tra i metodi più noti:
• Risposta fisica totale (Total Physical Response o TPR), elaborato negli anni Settanta dallo psicologo americano James
J. Asher, il metodo è caratterizzato dalla reazione fisica totale, dal coinvolgimento totale, psichico e fisico del discente
nell’atto dell’apprendimento, l’allievo è posto al centro del processo di apprendimento, viene motivato, protetto dagli
insuccessi, guidato verso l’autorealizzazione. La lingua è connessa al movimento, alle azioni e alla fisicità degli
studenti. L’insegnante offre stimoli verbali e non-verbali, la cui acquisizione, concepita come un processo lento e
personalizzato, avviene in un ambiente attento a minimizzare situazioni ed esperienze frustranti. Il metodo si fonda sul
principio dell’accoppiamento parola-azione per permettere la cosiddetta delayed oral practice, che si basa sulla
necessità di lasciare del tempo tra il momento in cui un testo viene presentato per la comprensione e il momento in cui
si chiede allo studente di utilizzare elementi presenti in quel testo. Tale prassi si fonda sul rispetto del periodo silenzioso
che caratterizza sia l’acquisizione della lingua materna sia l’apprendimento spontaneo di una seconda lingua. È un
metodo efficace per l’insegnamento precoce delle lingue straniere, praticabile nelle prime fasi dell’apprendimento e in
classi poco numerose.
• il Community Language Learning/Community Counseling, metodo messo appunto alla fine degli anni Settanta da
Charles A. Curran e traspone in didattica i modelli della seduta psicoterapeutica a gruppi. Nasce per l’insegnamento
delle lingue ad adulti e si basa sulla figura dell’insegnante come consigliere, che aiuta, consiglia e cerca di individuare
lo stile d’apprendimento degli allievi, rimanendo fuori dal processo acquisizionale che avviene in gruppo e in modo
auto-diretto. Il discente è considerato come un apprendente autonomo, di un cliente al l’insegnante fornisce risposte e
sicurezza in momenti di difficoltà.
•il Natural Approach, evoluzione a base scientifica del primo approccio naturale. Si basa sull’assunto per cui una lingua
straniera può essere appresa seguendo lo stesso itinerario percorso per l’acquisizione della lingua materna. Proposto da
Krashen e Terrell è imperniato sul modello del Monitor. Un ruolo fondamentale lo ha l’abilità di comprensione orale; la
lingua straniera viene utilizzata solo dall’insegnante che permette al discente l’uso della lingua materna finché non si
ritiene pronto, vengono utilizzati molteplici sussidi per presentare vocaboli e strutture della L2, le spiegazioni
grammaticali e gli esercizi strutturali hanno luogo solo dopo la lezione, in classe l’apprendente è in grado di utilizzare la
lingua studiata senza inibizioni. Il punto debole consiste nella difficoltà di adattarlo all’insegnamento in classe dove la
necessità di raggiungere obiettivi programmatici e la compresenza di individui dagli stili congnitivi diversi rendono
difficoltosa l’individualizzazione dell’insegnamento.
•la Suggestopedia, messo a punto dallo psicoterapeuta Lozanov negli anni Sessanta. Metodo che si fonda sul principio
psicologico della suggestione che l’insegnante effettua al gruppo di studenti lasciando che essi stessi dettino il ritmo
dell’apprendimento. Si va a creare un ambiente sereno e stimolante, in cui si chiede all’adulto di tornar bambino,
cambiando nome e fingendo di essere sicuro delle proprie capacità; impartendo poi un insegnamento tradizionale
attraverso spiegazioni della grammatica e del lessico ed esercitazioni; lezioni terminate con una seduta di circa un’ora
tenuta in salotti con poltrone e musica mentre i discenti fanno esercizi di yoga, l’insegnante presenta nuove strutture e
vocaboli leggendo in lingua straniera; invitando i discenti a rileggere i contenuti appresi prima di addormentarsi la sera
e la mattina appena sveglia così da favorire la memorizzazione.
• il metodo silenzioso (The Silent Way), messo a punto da Caleb Gattegno negli anni Settanta, si fonda sul principio del
silenzio da parte dell’insegnante, il quale deve limitarsi a fornire input e a dare istruzioni, correggendo gli errori con
gesti convenzionali piuttosto che con le parole lasciando che siano gli allievi a scoprire ed esercitare i meccanismi della
lingua. Massima concentrazione del discente, ambiente non competitivo, minimizzare ansia studente, favorire
l’intervento dello studente nell’aiuto e nella collaborazione con i compagni.
•l’interazione strategica, teorizzato da Robert Di Pietro agli inizi degli anni Ottanta, il metodo si basa sulla concezione
di comunicazione verbale che non può essere mai neutra poiché le parole dei parlanti sono sempre strategicamente
connotate. L’interazione non può essere considerata un semplice scambio di informazioni poiché rimanda alla
realizzazione di specifici obiettivi tramite negoziazioni e strategie comunicative diverse. L’insegnamento avviene in
contesti chiamati sceneggiature che implicano l’interazione fra più persone; l’interazione ha l’obiettivo di far risolvere
una situazione difficile utilizzando in modo mirato la L2.
• Project Work, l’apprendimento linguistico coincide con la realizzazione di un progetto. Tale metodo può essere
considerato un’emanazione dell’approccio comunicativo poiché condivide con esso molti principi generali: lingua come
sistema dinamico e risultato di un’interazione, apprendimento linguistico come processo di negoziazione di un
significato in un contesto socioculturale, prevalenza contenuto sulla forma, del processo sul prodotto.

2.5 L’approccio integrato


Il percorso fin qui tracciato evidenzia un’evoluzione metodologica che ha visto spostare progressivamente l'attenzione
dal processo di insegnamento al processo di apprendimento, dalla lingua come prodotto verso una sempre più esplicita
centralità del fattore soggetto rispetto agli altri fattori dello spazio didattico. Si dà anche una particolare attenzione alla
formazione degli insegnanti, al proporre l'approccio più adeguato e meglio rispondente alle esigenze degli allievi e alle
caratteristiche del contesto specifico, cioè l'approccio integrato.

- QUANDO?
l'approccio integrato nasce e si sviluppa negli anni Novanta come maturazione ragionata del glottodidatta alla luce
dell'evoluzione e metodologica, degli approcci teorico scientifici più recenti e delle esigenze rinnova degli apprendenti.

- PERCHÉ?
Le teorie scientifiche a cui fa riferimento sono molteplici trattandosi di una proposta globale e completa, in cui gli
elementi di ogni singolo approccio precedente che si sono rivelati efficaci vengono selezionati e integrati
organicamente. L'approccio integrato è la somma, o meglio, la fusione delle singole componenti parziali: dalla
cognitiva, alla comportamentistica, a quella interattiva e affettiva. Costituisce un punto d'arrivo delle diverse ricerche
teoriche nel campo della glottodidattica e fornisce indicazioni metodologiche essenziali per progettare interventi
didattici il più possibile completi e attenti ai bisogni dei discenti.

- CHI?
Il fattore dello spazio didattico privilegiato è il soggetto apprendente, con i suoi bisogni comunicativi e le sue
caratteristiche, personali, sociali, cognitive. Anche il docente ha un ruolo centrale in questo approccio in quanto
coordinatore e regista delle scelte didattiche.

- DOVE?
L'approccio nasce e si sviluppa in contesto europeo per poi diffondersi anche al di fuori di questi confini, purtroppo
però siamo ancora tutt’oggi nella fase della promozione e non dell'applicazione.

- CHE COSA?
I contenuti privilegiati sono tutti contenuti utili allo sviluppo di una competenza comunicativa funzionali alle esigenze
di un dato apprendente.

- COME?
Le tecniche utilizzate dipendono dalle diverse esigenze a cui l'approccio integrato è chiamato a rispondere. Si possono
quindi utilizzare esercizi strutturali, esercizi di grammatica tradizionali, lavori di gruppo, esercizi più creativi. Per
quanto riguarda i materiali si utilizzano un dizionario bilingue e monolingue, il laboratorio linguistico, cd video e
strumenti multimediali. Alla domanda quale sia l'approccio migliore per insegnare le lingue, la risposta viene fornita da
Christian Puren che, riprendendo le parole di Adrien Pinloche, riconosce nell’approccio integrato la strada più efficace
per raggiungere gli obiettivi didattici.

2.6 Le tecniche per lo sviluppo della competenza comunicativa


Le tecniche sono attività didattiche destinate a guidare ma anche a sostenere l'apprendimento, sia in classe alla presenza
dell’insegnante, sia a casa durante il lavoro autonomo. Le tecniche costituiscono la forza motrice che anima e mette
relazione ai fattori costitutivi dello spazio di azione didattica, il triangolo studente-disciplina-insegnante. Diversi criteri
sono stati proposti nel corso degli anni per catalogare le tecniche didattiche, fino a giungere alla più recente
suddivisione basata sulle componenti della competenza comunicativa. Caratteristiche delle principali tecniche didattiche
in base alla componente della competenza comunicativa che intendono sviluppare:

1. Tecniche per lo sviluppo della competenza linguistica


Lo sviluppo di questa è favorito grazie a tecniche specifiche per l'acquisizione e il consolidamento delle
sottocompetenze che la compongono, ovvero quella fonologica, grafemica, morfosintattica, lessicale e testuale.

a) La sottocompetenza fonologica.
Le tecniche utili allo sviluppo devono favorire nel discente dapprima il riconoscimento e poi la realizzazione dei
fonemi della lingua in apprendimento. Fra le tecniche più note ricordiamo per esempio le coppie minime, si tratta
di liste di parole accoppiate tra loro in base alla differenza di un solo fonema come, per esempio,
nonno-nono/sano-sanno; la ripetizione regressiva quando lo studente ripete i sintagmi di una frase partendo
dall'ultimo per arrivare al primo, quindi alla frase intera; e la ripetizione ritmica, in cui lo studente ripete modelli
ritmici della seconda lingua sempre più velocemente.

b) La sottocompetenza grafemica.
Per questa sono utili tecniche di fissazione, tra le quali ricordiamo la semplice copiatura e la realizzazione di
cruciverba.
c) La sottocompetenza morfosintattica.
Insegnare la grammatica di una lingua nel senso più tradizionale del termine. La grammatica non deve essere
imposta e presentata fuori contesto piuttosto scoperta autonomamente come risposta a esigenze comunicative. Si
parla di riflessione sulla lingua. Le tecniche utili sono quelli che permettono di riconoscere prima e di fissare poi le
regolarità di funzionamento della lingua, tra cui ricordiamo le tecniche di inclusione, esclusione e seriazione; gli
esercizi strutturali; le tecniche di manipolazione (esercizi come “volgi al…); la tradizionale analisi grammaticale.
d) La sottocompetenza lessicale.
Tra le tecniche più note ricordiamo l'accoppiamento parola-immagine, il completamento di diagrammi o mappe
concettuali, i cruciverba e le perifrasi
e) La sottocompetenza testuale.
È la capacità di riconoscere nei testi le caratteristiche di coesione formale e di coerenza logico-semantica, di
comprendere e produrre testi coerenti e coesi e non solo frasi isolate, di conoscere le regole costruttive proprie
delle diverse tipologie testuali. Le tecniche devono mirare al riconoscimento e alla fissazione non solo dei
connettivi e dei diversi tipi di subordinazione, ma anche delle caratteristiche tipologiche dei diversi tipi e generi
testuali.

2. Tecniche per lo sviluppo della competenza extralinguistica


Sappiamo che la competenza extralinguistica si compone di diverse sottocompetenze fra cui quella cinesica,
prossemica, oggettuale, vestemica e cronemica. Per svilupparla è necessario ricorrere a tecniche didattiche che facciano
leva sulla non universalità e quindi sulla dimensione interculturale dei concetti di spazio individuale e sociale. Fra gli
esercizi possibili citiamo:
- a partire dall'osservazione di video e fotografie di chiedere il riconoscimento e di confrontare con quelli appartenenti
alla propria lingua/cultura;
- una serie di gesti e di espressioni del viso dei movimenti del corpo;
- le caratteristiche del contatto fisico della vicinanza con l'interlocutore;
- eventuali valori i ruoli attribuiti a vestiti oggetti e simboli.
Sulla base dell’esperienza personale il confronto con gli altri e ricerche bibliografiche precise, poi descrivere le diverse
sfumature attribuite ai concetti di tempo e di spazio.

3.Tecniche per lo sviluppo della competenza socio-pragmatica


Possedere tale competenza significa essere in grado di raggiungere il proprio scopo comunicativo rispettando le norme
di organizzazione del discorso della lingua/cultura oggetto di studio, scegliendo la varietà linguistica più adeguata alla
circostanza. Tecniche utili a svilupparla: esercizi di riconoscimento e/o di comparazione con la L1 a partire da
registrazioni video e audio, da testi scritti di vario genere e dagli esiti di interviste effettuate ad hoc con parlanti nativi.

4. Tecniche per lo sviluppo delle abilità linguistiche


Lo sviluppo delle abilità linguistiche, semplici e integrate, costituisce un momento essenziale per il raggiungimento di
una competenza comunicativa completa ed efficace. Le tecniche didattiche finalizzate a tale scopo possono essere
suddivise in:

a) Tecniche per lo sviluppo delle abilità di comprensione (orale e scritta)


Si tratta di saper attivare la cosiddetta expectancy grammar, una sorta di grammatica dell’anticipazione che
consiste nel predire ciò che può comparire in un testo operando sulla base della situazione, della parte di testo
che si è già compresa, del paratesto. Tra le tecniche ricordiamo:
- l'analisi del paratesto, ovvero i titoli sottotitoli posizione del testo della pagina;
- le griglie da compilare;
- la domanda chiusa e la scelta multipla;
- la domanda aperta;
- la transcodificazione, cioè passare da un codice linguistico un altro tipo di codice;
- l'accoppiamento lingua-immagine;
- la procedura cloze, che consiste nel completamento di un testo a cui dopo alcune righe intatte è stata
cancellata una parola ogni 7. Del cloze ci sono diverse versioni: il cloze facilitato in cui le parole cancellate
sono messe in evidenza accanto al testo, il cloze a crescere, realizzato cancellando una parola ogni 7, poi ogni
sei, poi fino a 5 fino a rendere il testo particolarmente oscuro, il cloze alternativo dove vengono tolte parole o
parti di parole a caso.
Un’altra tecnica è l'incastro o il riordino di fumetti, di battute di un dialogo, di paragrafi di un testo o di testi
diversi appartenenti a un medesimo evento comunicativo.

b) Tecniche per lo sviluppo delle abilità di produzione (orale e scritta)


Saper produrre testi orali e scritti significa conoscere la lingua utilizzata per produrli ma anche saper
organizzare il proprio pensiero per progettare prima, e realizzare poi, testi di natura diversa. Per sviluppare le
abilità di produzione bisogna esercitarsi nello:
- stendere una scaletta;
- riconoscere, smontando e rimontando, tipi di test diversi le cui caratteristiche costituiranno la traccia a favore
di una produzione sempre più autonoma;
- svolgere esercizi di semplificazione e di facilitazione testuale, di transcodificazione, nel senso di
cambiamento di genere e di tipo di testo e di scrittura controllata.

c) Tecniche per lo sviluppo delle abilità integrate


Le abilità integrate risultano dall’ interazione di più abilità semplici. Sono abilità integrate:

• Dialogare  Interagire con un parlante di L2 oggetto di studio, nativo o non, costituisce un'abilità
fondamentale. È necessario sia comprendere i testi orali nella seconda lingua sia produrne di propri. Bisogna
essere in grado di riconoscere il turno di parola e quando intervenire, riconoscere determinati atti comunicativi
che prevedono risposte fisse o interventi prevedibili, essere in grado di cogliere le intenzioni comunicative
spesso implicite dell'interlocutore. Per esercitare quest'abilità ci sono:
-la drammatizzazione, ovvero la recita a memoria o leggendo un copione di un dialogo;
- il dialogo a catena, che permette di fissare atti comunicativi e strutture grammaticali pur richiedendo una
personalizzazione minima;
- il dialogo aperto, che fornisce tutte le battute di un interlocutore e lascia una certa libertà all'allievo che deve
rispondere con parole proprie;
- il role taking, dove non c'è alcuna creatività nella gestione del dialogo perché si tratta di dimostrare di saper
tradurre in dialogo una serie di indicazioni comunicative;
- il role play, si tratta di situazioni comunicative da animare;
- il role making, costituisce la versione più libera più motivante dal punto di vista comunicativo delle attività
finalizzate allo sviluppo del saper dialogare;
- la telefonata simulata o reale.

• Scrivere sotto dettatura;


• Prendere appunti;
• Riassumere;
• Parafrasare;
• Tradurre.

In conclusione, perché le tecniche scelte dall’insegnante risultino davvero efficaci è opportuno valutare l'uso che se ne
può fare. Gianfranco Porcelli propone in proposito un interessante acronimo CAVEAT, ovvero:
Coerenza della tecnica con i singoli atti didattici;
Ampiezza delle competenze e delle abilità chiamate in causa per ogni singola tecnica;
Vivacità nella realizzazione;
Efficacia ed efficienza in relazione agli obiettivi didattici;
Affaticamento provocato da certe tecniche, che deve essere preso in considerazione per determinare la durata delle
attività e la sua collocazione all’interno dell’unità didattica;
Tecnologizzazione.

Questo acronimo può essere complementare all'altro PACE, che lo stesso autore propone per la valutazione delle
attività di testing e che può essere utilizzato anche per valutare le tecniche didattiche
Pertinenza;
Accettabilità;
Comparabilità;
Economicità.

Negli ultimi anni gli apporti psicopedagogici alla scienza dell'educazione linguistica hanno permesso di introdurre altri
parametri essenziali come la flessibilità, tipi di relazione e di comunicazione, adattabilità, autonomia e contributo delle
tecnologie.

3. Tecnologie per l’educazione linguistica


Nella glottodidattica italiana esistono almeno tre terminologie dedicate al connubio tra didattica delle lingue e
tecnologie:
- Glottotecnologie;
- Tecnologie glottodidattiche avanzate;
- Tecnologie per l’educazione linguistica.
I diversi termini rimandano sia a differenti momenti storici dell’adozione delle tecnologie sia alle abitudini di metodo e
di approccio delle diverse scuole della glottodidattica. Il termine glottotecnologie denota in particolare quei primi
strumenti elettronici portati nella classe di lingue (dal magnetofono al televisore) che caratterizzano un periodo di
fiducia nella panacea tecnologica. Il passaggio dalle glottotecnologie alle tecnologie glottodidattiche avanzate (TGA)
denota la presa di coscienza dello sviluppo dell’informatica e dell’importanza del ruolo strumentale destinato ai
dispositivi digitali. Le nuove tecnologie a disposizione, come il computer, cominciano a essere considerate per
l’adozione glottodidattica in base alla loro efficacia didattica nel realizzare determinati obiettivi linguistico-
comunicativi in assistenza al docente. Il termine più opportunamente utilizzato è ora tecnologie per l’educazione
linguistica: tecnologie pensate per l’apprendente, soggetto attivo e responsabile del proprio percorso educativo e
impostare sui suoi bisogni e sulle sue abitudini di apprendimento. Le nuove tecnologie hanno oggi raggiunto un tale
grado di penetrazione e pervasività, entro la sfera sociale delle abitudini umane, tanto da risultare indispensabili,
addirittura imprescindibili anche nelle più piccole azioni d’ogni giorno, in particolare per gli apprendenti in età scolare
nati nell’epoca della rivoluzione digitale. Per questo motivo si può dunque parlare di inevitabilità delle tecnologie.

3.1 Le risorse tecnologiche dell’audio-oralità


Verso la fine dell’800, a partire dalla commercializzazione del fonografo (brevetto di Edison), hanno inizio negli Stati
Uniti esperimenti di fonetica analizzati sulla distinzione della natura nei suoni vocalici. L’importanza di questi
esperimenti è stata tale da influenzare l’impostazione audio-centrica dei primi laboratori per l'allenamento fonetico in
lingua straniera degli anni 20. Tra gli strumenti tecnologici relativi all’audio-oralità ricordiamo in particolare il
grammofono ed il magnetofono che consente la riproduzione e la registrazione di suoni tramite un sistema di bobine
scrittorio sul nastro. Per quanto riguarda le tecnologie per l'istruzione programmata ricordiamo il concetto di teaching
machine, un sussidio tecnologico con potenzialità ben al di sopra del docente umano. Tra le tecnologie più comuni negli
esperimenti di didattica comportamentista si annoverano le macchine Pressey: dispositivi per somministrare agli allievi
domande a risposte multiple. Spesso sono corredati da un self-rater un apparecchio che grazie a schede perforate
permette la registrazione del risultato e del tempo impiegato dallo studente per rispondere alle domande. Negli anni
della diffusione del metodo audio-orale nasce il laboratorio linguistico, alla fine degli anni Cinquanta, che presenta tratti
caratteristici. Al suo interno vi si trova una console centrale nella zona dedicata all’insegnante, che comprende i
comandi per controllare il nastro e per interagire con gli studenti; un numero variabile di postazioni in serie, dotate di
apparecchiature tecnologiche ed una serie di cuffie con microfono.

3.2 Dall’audiovisivo alla multimedialità


Di forte influenza statunitense, ma grande diffusione europea sono quei metodi definiti strutturo-globali-audio-visivi
(SGAV). Il primo importante esempio è stato il proiettore di immagini fisse o “filmine”. Le immagini sono proposte
solitamente come contesto situazionale al fine di agevolare la comprensione degli studenti. Lo sviluppo tecnologico
porta poi a preferire il più funzionale proiettore di diapositive. Il primo strumento elettronico in grado di permettere una
vera sincronizzazione tra documento audio e immagine fissa a schermo è stato il diatape, un ibrido tecnologico che
incorpora le funzionalità del proiettore di diapositive e del registratore audio. Il videoregistratore permette poi di
contestualizzare gli input linguistico comunicativi e di mettere in luce la situazione socioculturale, favorendo l'incontro
tra culture e civiltà diverse ed educando così il giudizio critico. Il primo e forse il più noto computer per l'uso nella
didattica delle lingue è il sistema PLATO (Programmed Logic for Automatic-Teching Operations) sviluppato a partire
dal 1960 nei laboratori dell’università di Illinois, una primitiva intelligenza artificiale in grado di eseguire e mantenere
una programmazione di micro-eventi didattici. Nasce verso la fine degli anni Novanta il concetto di CALL (Computer
Assisted Language Learning) concentrato nella creazione di attività e giochi educativi di manipolazione testuale e
ricostruzione di senso a partire da elementi testuali. Adesso si riscontra l'adozione preferenziale in classe del computer.
La maggiore disponibilità e potenza del mezzo permette la convergenza e l'integrazione di diverse modalità testuali
(scritte, orali, iconiche, musicali ecc…) entro un unico supporto leggibile da tutti i computer in commercio. Lo
sfruttamento di tutte queste potenzialità ha stimolato la produzione di software glottodidattici per la scuola in forma di
dizionari ipertestuali, enciclopedie, virtuali visite museali, affiancati anche dalla diffusione di capaci supporti digitali
quali il CD-ROM ed il DVD.

3.3 La glottodidattica sul Web e oltre


Nel 1993 il CERN di Ginevra rende pubblica la rete informatica di collegamento ipertestuale tra archivi e documenti
presenti in diversi computer sparsi in tutto il mondo: il nucleo originario della Rete globale. Internet e il servizio del
World Wide Web diventano una risorsa universale. Tuttavia, la visione della Rete come un unico database di contenuti
didattici ha portato a risultati non eccellenti, contribuendo a sviluppare un novero ridotto di buone pratiche e tecniche
glottodidattiche efficaci, come le webquest, attività di ricerca online su tracce programmate dal docente entro le quali
piccoli gruppi di studenti applicano logiche di ricerca e indiziarie su siti consigliati. Rendere l’apprendimento, anche in
internet, un processo in cui il discente è soggetto attivo e responsabile è l’obiettivo dei progetti di e-learning 2.0 e del
social networking, ossia la costruzione di comunità di apprendimento basata sulla collaborazione tra studenti (e, allo
stesso livello, tra studenti ed insegnanti) e sulla co-costruzione di conoscenza ed esplorazione della e nella lingua.
Il Web deve essere quindi un luogo alternativo e complementare per la didattica delle lingue altre, ove possono aver
luogo incontri, paritetici scambi d’opinione, compiti ed esercizi comuni e di gruppo (come può avvenire nelle
piattaforme Edmodo o Moodle), ma il tutto non deve essere, in alcun modo, un sostituto della glottodidassi in presenza.
L’accostamento ideale è, probabilmente, descritto nelle modalità del blended learning: un approccio integrato la cui
caratteristica principale è il percorso formativo misto tra presenza e distanza, tra attività didattica sincrona e asincrona.

3.4 Nuovi scenari per l’educazione linguistica


Il progresso delle tecnologie non si è fermato alla produzione di nuovi software e hardware per l’uso didattico:
l'esempio più visibile di innovazione tecnologica sono senz'altro le Lavagne Interattive Multimediali (LIM), la
tecnologia più sponsorizzata dalle istituzioni scolastiche tra il 2009 e il 2010. Tali supporti digitali consentono di
visualizzare e navigare i contenuti del computer e del web, di integrarli con osservazioni e commenti, importare e
modificare oggetti, stampare e rendere disponibile i contenuti di una sessione di lavoro. L'ambiente glottodidattico in
cui la LIM dovrebbe essere inserita si avvicina al modello TELE (Technology Enhanced Learning Environment)
impostato in modo tale da veicolare una percezione il più possibile naturale della tecnologia diffusa. I dispositivi
elettronici sono presenti nella classe così come al di fuori di essa. Negli anni 2000 tecnologie rinnovate e disponibilità
di connessioni veloci rendono possibile l'ampliamento dell'orizzonte glottodidattico anche a dispositivi digitali mobili di
sempre più comune utilizzo come lo smartphone e il tablet. Lo smartphone è oggi uno strumento imprescindibile
dall’agire quotidiano. Vietare il cellulare a scuola, dunque, da una parte rimuove un possibile elemento di distrazione,
ma dall'altra ottunde una strategia di accesso a informazioni risorse materiali per la didattica delle lingue – strategia,
quest'ultima, che è senza dubbio preferenziale. Emblematico è l’esempio dei dizionari online. Sia tablet che smartphone
sono componenti essenziali del mobile learning: un’impostazione didattica che permette di portare i processi di
insegnamento e di apprendimento anche al di fuori dei luoghi tradizionalmente legati all’educazione.

CAPITOLO 5 – L’ACCERTAMENTO DELLE COMPETENZE


Introduzione
L’attenzione si focalizza sul controllo delle competenze e sui concetti di verifica, di valutazione e di Language Testing
(LT).
1. Verifiche, competenze e testing in L2
Insegnare vuol dire aiutare ad apprendere, e dare aiuto è gratificante; accettare il profitto porta con sé una buona dose di
conflittualità, dato che tali verifiche hanno conseguenze notevoli sullo sviluppo della carriera scolastica – promozioni,
“debiti” e “riparazioni”, bocciature. Per quanto riguarda il Language Testing (LT), non esistono delle procedure e delle
tecniche che garantiscono equità, correttezza e completezza dell’accertamento del profitto. Se vi fossero sarebbe
possibile delegare un computer operazioni importanti nell'ambito della valutazione. Per prima cosa la macchina ci
chiederebbe che cosa intendiamo per profitto e sarebbe difficile darle una risposta univoca e precisa. Alla macchina
possiamo affidare la gestione di test anche molto complessi ma l'interpretazione dei risultati è demandata alla
competenza psicopedagogica e alla sensibilità educativa dell'insegnante. Ciò che le verifiche controllano è la
performance ossia l'esecuzione in situazioni che il più delle volte sono cariche di stati emotivi ansiosi.

1.1 Controllo, verifica, misurazione e valutazione


Controllo e verifica sono usati come sinonimi di accertamento del profitto in L2, mentre per valutazione si intende
l'analisi dei dati ottenuti attraverso le verifiche e la loro interpretazione alla luce della storia personale dell’esaminato. In
ambito scolastico questa valutazione è compito soprattutto del consiglio di classe e non del singolo insegnante. Per
quanto riguarda la misurazione, tale termine risulta controverso: possiamo misurare un oggetto in quanto abbiamo
un'unità di misura e soprattutto un punto che corrisponde allo zero; nessuna di queste due condizioni si applica alle
procedure di verifica del profitto. I voti si differenziano nettamente dai punteggi dei test che fanno invece riferimento
esclusivamente all'esecuzione della prova e il risultato conseguito in termini di risposte esatte.

1.2 Verifiche e testing


Le verifiche possono essere condotte in modi diversi dall’interrogazione-colloquio ai temi, alle relazioni, ai riassunti ed
alle traduzioni. L'adeguatezza dello strumento usato si riferisce ai contenuti delle prove, al modo in cui sono condotte,
all'attendibilità dei risultati che producono, alla gestibilità in termini di tempi. La validità di una prova è il prodotto di
tutte queste adeguatezze.
Il termine test oggettivi è ora in disuso tra gli esperti ma sopravvive a volte nel mondo della scuola. Si tratta di un test
ben costruito, con quesiti univoci e procedure chiaramente definite. Definire oggettiva una prova può far però
dimenticare che la scelta dei contenuti è soggettiva, come altrettanto soggettiva e la scelta del tipo di quesito. C'è chi si
sente a proprio agio con certe forme di verifica e ne detesta altre.
Va fatta una distinzione tra i test di padronanza o “specifici” e i test di livello o “aspecifici”.
- Test di padronanza: fanno riferimento a una precisa e singola situazione didattica. C'è un gruppo di allievi che hanno
seguito un corso, per un dato numero di ore di lezione, usando certi materiali didattici e si vuole accertare esistono stati
appresi i contenuti di quel programma di studio le prove di questo tipo sono quindi calibrate sulla materia svolta per
quanto riguarda la scelta da sottoporre alla verifica.
- Prove di livello: fanno invece riferimento a un certo grado di competenza o profitto nella lingua a prescindere dal
percorso didattico seguito per raggiungere quel livello.

In Europa da qualche tempo i parametri più seguiti sono quelli offerti dal Quadro comune europeo di riferimento ma già
prima che venissero definiti e descritti i sei livelli del quadro, le certificazioni avevano la caratteristica di essere
impostate sulla base di questa aspecificità. Nell’approccio tradizionale, per quanto riguarda i voti nelle scuole, la
determinazione del livello di sufficienza è demandata alle esperienze all'intuizione dell'insegnante. Non ci si preoccupa
di chiedersi se e come sappia comunicare quel soggetto se andasse all'estero. È un dato che ha valore solo all’interno di
quella specifica situazione scolastica. L'altro approccio è detto criteriale perché mette in gioco la sufficienza
riconducibili a situazioni di vita extrascolastica.

1.3 Evoluzione del testing


Una delle prime conquiste è stata la differenziazione tra esercizi e test: le tecniche possono essere le stesse ma
cambiano:

a) la fase dell'unità o un modulo: gli esercizi si collocano normalmente nella fase centrale, i test nella fase finale,
b) l'obiettivo, che per gli esercizi è di instaurare o consolidare gli apprendimenti, mentre per i test è quello di
verificare che tali apprendimenti si siano instaurati in modo stabile e funzionale.

Un errore frequente è quello di cercare di sottoporre a verifica l' “argomento del giorno” come se nell'apprendimento di
una lingua altra vi potessero essere dati isolabili da tutto il resto. Idealmente le verifiche dovrebbero estendersi non solo
in senso circolare abbracciando quante più “microfunzioni” sia possibile, ma anche in senso radiale verso il centro
recuperando esponenti facendo parte di unità precedenti. Il tratto caratteristico del Language Testing è la
parcellizazione, ossia il controllo dei singoli elementi spesso individuati sulla base delle dissimetrie tra L1 e L2 messe
in luce mediante un'analisi contrastiva.

1.4 Testing pragmatico


Come reazione al testing e in sintonia con l'approccio comunicativo, verso la fine degli anni 70 si afferma l’esigenza di
un testing “pragmatico” basato sulla dimensione testuale, non più sulle parole o frasi isolate, e sulla “grammatica
dell'attesa” o expentancy grammar. Per padroneggiare la lingua è necessario essere in grado di fare ipotesi plausibili sul
messaggio orale o scritto che stiamo ricevendo e verificarle man mano. A questa stagione del Language testing sono
legate due operazioni significative:
1. Il recupero del dettato, non come prova di ortografia ma come test di comprensione orale.
2. Si attribuisce a Wilson Taylor l'introduzione del termine Cloze (dal verbo inglese to close “chiudere”). Il
termine richiama infatti il concetto di chiusura così come è stato elaborato nell'ambito della psicologia della
forma. Nel percepire cogliamo prima l’insieme e poi dettagli, questi ultimi acquistano significato solo
nell'ambito dell'unita maggiore. Se qualcosa ostacola la nostra percezione, riusciamo tuttavia a ricostruire
mentalmente l'oggetto intero completandolo. Per fare ciò ci serviamo della nostra esperienza, più lo stimolo ci
è familiare tanto è più semplice ricostruire nella sua interezza ciò di cui abbiamo potuto cogliere solamente
qualche dettaglio. La tecnica che più facilmente porta a realizzare un cloze test vario e valido è quella più
semplice, meccanica, che richiede di eliminare sistematicamente una parola ogni n vocaboli del testo. Il valore
di n è compreso di norma tra 5 e 10 in rapporto alla lunghezza e complessità del testo e al livello di difficoltà
desiderato. Per quanto riguarda la correzione sono possibili due tecniche: la prima richiede che venga
individuato esattamente la parola esistente nel testo originale rigettando qualsiasi alternativa; la seconda
procedura occorre invece esaminare le soluzioni alternative per vedere quali siano accettabili. Verranno
ritenuti validi non solo i sinonimi dei vocaboli esatti ma anche tutte le parole in qualche modo equivalenti e
comunque compatibili col testo.

Oller accenna un certo numero di test di tipo pragmatico, molti dei quali rappresentano varianti della procedura Cloze o
combinazioni tra questa e altre modalità di verifica.
• Procedura cloze orale: il brano è presentato in forma orale con pause al posto degli spazi bianchi. L’esaminato deve
fornire le parole omesse;
• Combinazione di dettato e cloze: l'esaminato ha davanti a sé il brano da completare e contemporaneamente ascolta la
lettura integrale del brano, il che facilita notevolmente il compito di ricostruzione;
• Procedura cloze facilitata: vengono lasciate le lettere iniziali delle parole omesse oppure le parole stesse sono
ricostruibili in base a un criterio noto agli esaminati, così da restringere il campo delle scelte possibili;
• Dettato parziale: alcune parti del brano da dettare sono presentate anche per iscritto all’esaminato mentre altri
dovranno essere ricostituite;
• Dettato-composizione: un brano viene letto una o più volte agli esaminati, i quali devono poi riprodurlo il più
fedelmente possibile usando i medesimi vocaboli, le medesime costruzioni e colmando le eventuali lacune della
memoria con parole proprie;
• Dettato di numeri: elimina il problema ortografico ed esplora una delle aree semantiche verso la quale si riscontrano
forti resistenze psicologiche, data l’enorme difficoltà per chiunque di fare calcoli in una lingua non materna, anche se
ben conosciuta.

1.5 Involuzione del testing?


Gli anni recenti sono stati testimoni di una profonda divaricazione. Si è constatata ad esempio l'elevata inaffidabilità dei
quesiti a scelta binaria (vero/falso) o comunque con due sole alternative. Se una prova di comprensione lo consente si
può trasformare la dicotomia vero/falso in una scelta tripla: vero, falso, il test non lo dice. Sicuramente però preoccupa
l’abuso delle tecniche di testing nell’insegnamento quotidiano. Troppi insegnanti trovano comodo fotocopiare da vari
libri, siti ecc…, test già pronti, più o meno attinenti agli argomenti da verificare. Nulla di male, se non fosse che si è
constatato che in troppi casi gli studenti mettano le crocette al posto giusto o riempiono abbastanza correttamente gli
spazi basandosi su indizi esterni di diversa natura. Se si chiede loro di tradurre in italiano le frasi su cui hanno lavorato,
non lo sanno fare – in altre parole alla risposta giusta non corrisponde alcun effettivo apprendimento.

2. Le certificazioni di competenza linguistica


La considerazione della fase del controllo degli apprendenti e dell'accertamento delle competenze chiama in causa
anche le certificazioni. Quest'ultima, diversamente dal testing e dalle verifiche, si caratterizzano per la loro autonomia e
indipendenza da precisi percorsi didattici e hanno l'obiettivo di descrivere il livello di competenza linguistico-
comunicativa di un apprendente: un esame di certificazione “fotografa” il livello di competenza in una lingua straniera
posseduto dagli apprendenti prescindendo da particolari metodologie o percorsi da questi adottati per raggiungere quel
livello di conoscenza della lingua. Di norma, infatti, le prove certificatori e sono realizzate da enti esterni virgola che
nulla hanno a che vedere con i contesti e percorsi formativi di quanti si accostano alle certificazioni stesse. Ed è proprio
l'autonomia conferire a queste prove il carattere di validità ed obiettività che le contraddistingue e che ne ha permesso la
diffusione, a partire dalle prime proposte del Syndicate di Cambridge, alle numerose certificazioni linguistiche esistenti
per le diverse lingue straniere, fino alle più recenti certificazioni di competenza glottodidattica.
Possedere un certificato di competenza significa testare pubblicamente di possedere un certo livello di conoscenza in un
preciso ambito disciplinare. Questo riconoscimento ha una duplice utilità:
- personale, in quanto attesta il livello raggiunto nella padronanza di una certa disciplina;
- professionale, poiché costituisce una testimonianza riconosciuta delle proprie competenze.

Dovendo a testare i livelli di competenza, le certificazioni presentano due macro-caratteristiche comuni:


1) La suddivisione in livelli: fino al 2000 i livelli erano spesso molto diversi e variamente organizzati a seconda
degli enti erogatori e delle diverse lingue di riferimento. Nell'ultimo decennio, con la diffusione del Quadro
comune europeo di riferimento e della rispettiva scala di valutazione, i livelli sono ormai omologati e tutte le
certificazioni, perlomeno in ambito europeo, si riferiscono ai sei livelli di competenza del quadro, da A1 a C2.
2) la somministrazione, per ogni livello, di prove diversificate: finalizzata ad testare le abilità di base e, di
norma, anche la “competenza metalinguistica”, ovvero la conoscenza delle regole d'uso della lingua.

Le competenze attestate dalle certificazioni riguardano prevalentemente la cosiddetta “lingua comune”, anche se in
molti casi, ormai, singoli enti propongono certificazioni mirate, limitate, per esempio, ad un certo linguaggio settoriale o
ad un certo tipo di pubblico (bambini, adolescenti, adulti).

2.5 Italiano L2
Riconosciute dal Ministero degli affari esteri:
- CILS = certificazione di italiano come lingua straniera. Rilasciata dall’università per stranieri di Siena;
- CELI = certificato di conoscenza della lingua italiano, CELI immigrati (A1, A2, B1), CELI adolescenti (da A2 a B2).
CIC, certificati di conoscenza dell’italiano commerciale rivolti a quanti operano in contesti aziendali in cui è richiesta la
conoscenza della lingua italiana. Costruiti a partire da testi specifici della comunicazione aziendale, i CIC si articolano
su due livelli: CIC intermedio B1 e CIC avanzato C1. Rilasciato dall’università per stranieri di Perugia;
- IT = certificato per la conoscenza dell’italiano come L2, rilasciato da RomaTre;
- PLIDA = progetto lingua italiana Dante Alighieri, rilasciato dalla Società Dante Alighieri e ricopre i sei livelli di
competenza del Quadro. PLIDA Juniores è destinato a un pubblico di adolescenti di età compresa fra i 13 e i 18 anni da
A1 e B2, il PLIDA Commerciale destinato a quanti studiano l’italiano per motivi di lavoro connessi all’ambito
finanziario, commerciale, industriale e degli affari.

Rilasciate all’estero:
- CLIP = (Conoscenza dell’italiano a livello professionale, rilasciato dalla Camera di commercio italiana di Parigi);
- CITA = (Certificato di italiano, rilasciato dalle Volkshochschulen tedesche e dalle International language schools
europee);
- UNIcert, rilasciato dai centri linguistici delle università tedesche;
- Certificato statale di lingua italiana, rilasciato dal Ministero greco della pubblica istruzione.

Certificazione per didattica dell’italiano L2. L’Università per Stranieri di Siena eroga il DITALS:
- DITALS di I livello che attesta dal punto di vista teorico una competenza di base nella didattica linguistica e da quello
pratico una competenza specifica con un preciso gruppo di utenti. Richiesto C1 agli stranieri;
- DITALS di II livello competenza glottodidattica avanzata e la capacità di operare con qualunque gruppo di
apprendenti. Richiesto C2 agli stranieri.

L’Università per Stranieri di Perugia offre una certificazione in didattica dell’italiano lingua straniera che attesta le
conoscenze teoriche, la consapevolezza pedagogico - didattica e le capacità operative di un insegnante di italiano L2
operante in qualunque contesto di insegnamento e con allievi di qualunque età. Il laboratorio ITALS dell’Università Ca’
Foscari di Venezia propone due certificazioni per la didattica dell’italiano a stranieri:
- CEDILS = competenza nella didattica dell’italiano lingua straniera o lingua seconda;
- CEFILS = competenze professionali indispensabili a esercitare la professione di facilitatore di apprendimento, colui
che si occupa dell’accoglienza, l’inserimento e la formazione degli stranieri nella lingua/cultura italiana.

CAPITOLO 6 – LA FORMAZIONE DELL’INSEGNANTE DI LINGUA


Introduzione
Con il termine “docente di lingua” intendiamo riferirci non solo al docente di lingua straniera ma tutti coloro che si
occupano di educazione linguistica in generale e che quindi insegnano o veicolano una lingua. quando si parla di
formazione dell'insegnante è necessario distinguere la formazione iniziale della formazione continua in servizio. Infine,
è necessario distinguere le conoscenze e competenze linguistiche e metalinguistiche sulle quali ci siamo soffermati nel
capitolo 3, dalle conoscenze e competenze glottodidattiche, entrambe indispensabili per esercitare al meglio la
professione. Non è infatti sufficiente conoscere bene una lingua e la sua grammatica per poterlo insegnare, sono
indispensabili anche doti e conoscenze pedagogiche e didattiche oltre che relazionali e sociali psicologiche.

1. Il quadro normativo italiano


Consideriamo il periodo di operatività delle SSIS scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario, come lo
spartiacque tra il com'era prima e il dopo. La legge 341 del 1990 istituisce le SSIS attribuendo alle università il compito
di formare i futuri docenti anche attraverso specifici tirocini. Solo nel 1998 le SSIS cominciano a operare e a formare i
docenti grazie al decreto che definisce i criteri generali per la disciplina da parte delle università degli ordinamenti dei
corsi di laurea in scienze della formazione primaria e delle scuole di specializzazione all'insegnamento secondario.
Prima di questa data i docenti venivano reclutati tramite concorso. In quel periodo non vi erano specifici percorsi di
formazione rivolti ai futuri docenti ai quali bastava inserire un esame cosiddetto di indirizzo, per esempio linguistica
generale o glottodidattica per insegnare lingue straniere, per potersi iscrivere un concorso e accedere alle graduatorie
permanenti. Con l'avvento delle SSIS cambia il percorso formativo iniziale dei docenti. Chi vuole insegnare deve, dopo
avere ottenuto una laurea magistrale, frequentare un biennio di specializzazione universitaria caratterizzato da
insegnamenti trasversali a tutte le discipline, nonché laboratori pratici e tirocini. L'accesso alle SSIS è regolato da un
concorso con posti limitati e il percorso si conclude con un esame di Stato abilitante. La realizzazione dei piani di studio
è stata lasciata alle singole università e ciò ha determinato conseguenze sia positive sia negative e laddove il testo di
legge è stato diversamente interpretato creando così squilibri e mancanza di omogeneità fare percorsi formativi. Questa
è una delle ragioni, insieme all’adeguamento ai percorsi formativi europei, per cui 10 anni dopo l'attivazione delle SSIS,
il decreto-legge 112/2008 le sospende, in attesa di un percorso abilitante alternativo. Tale percorso viene introdotto con
il decreto ministeriale numero 249 del 2010 che definisce nuove modalità per la formazione degli insegnanti. Si tratta di
un obiettivo ampio e articolato da attuare non più attraverso un biennio di specializzazione post-laurea magistrale
comprensivo di tirocinio come avveniva con le SSIS, bensì attraverso un corso di laurea magistrale biennale ed un
successivo anno di tirocinio formativo attivo TFA.
Le novità più interessanti rispetto ai percorsi SSIS riguardano: l'esplicito riferimento a una competenza nella lingua
inglese di livello B 2 per tutti i futuri docenti, l'acquisizione di competenze digitali, l'acquisizione di competenze
didattiche per favorire l'integrazione di alunni con disabilità, la realizzazione di un anno di tirocinio formativo attivo. Il
tirocinio formativo attivo costituisce forse la più radicale innovazione rispetto ai percorsi precedenti. Si tratta di un
corso di preparazione all'insegnamento costituito da attività pari a 60 CFU comprendenti insegnamenti di Scienze
dell’educazione, un tirocinio indiretto e diretto di 475 ore presso le istituzioni scolastiche sotto la guida di un tutor,
insegnamenti di didattiche disciplinari e laboratori pedagogico didattici. Un’altra novità interessante riguarda la
possibilità per le università di prevedere specifici percorsi di formazione per insegnare una disciplina non linguistica in
lingua straniera, i cosiddetti insegnamenti CLIL/EMILE.
CLIL. Il termine generico CLIL descrive qualunque attività di apprendimento in cui la lingua è usata come strumento
per apprendere soggetti e temi. Nell 'ambito di queste classi lingua e contenuto hanno un valore complementare. Gli
apprendenti progrediscono sia la lingua sia nei contenuti disciplinari. La metodologia CLIL, Content and Language
integrated learning, apprendimento integrato di lingua e contenuto e spesso nominata anche metodologia CLIL/EMILE
dove l'acronimo francese sta per insegnamento di una disciplina attraverso l'integrazione di una lingua straniera. Questa
definizione completa quella inglese, centrata sull'apprendimento, spostando l'attenzione sull’ insegnamento e
specificando che si tratta di un apprendimento integrato di contenuti disciplinari e di lingua straniera. Obiettivo
dell'insegnamento veicolare è il miglioramento della qualità e dei tempi dell'acquisizione linguistica. Dal punto di vista
glottodidattico entrano in gioco i seguenti fattori:
- i tempi di esposizione alla lingua è maggiore;
- la lingua appare più autentica poiché è impiegata come strumento per parlare d'altro;
- gli eventuali enunciati incomprensibili possono essere compresi grazie ai contenuti veicolati;
-lo spostamento dell’attenzione dalla forma ai contenuti favorisce l'apprendimento della forma stessa, come Krashen ci
ricorda con la cosiddetta rule of forgetting secondo la quale la lingua si acquisisce meglio quando ci si dimentica che la
si sta apprendendo e semplicemente la si usa per realizzare altri obiettivi.

FIT. Formazione iniziale e tirocinio. Sostituisce il TFA ed è preceduto da un concorso sostenibile grazie al possesso di
una laurea magistrale e dei 24 CFU in discipline antropologiche psicologiche pedagogiche. dopo il superamento del
concorso i candidati stipulano un contratto triennale retribuito FIT, che una volta concluso per mettere ai candidati di
ricoprire la carica di docente di ruolo.

2. Le raccomandazioni europee
Educazione, istruzione e formazione costituiscono oggi ambiti importantissimi per i quali la cooperazione fra gli Stati
membri dell'unione europea e fortemente favorita. Il primo progetto che di fatto sancisce l'inizio di una lunga serie di
interventi finalizzati alla condivisione delle conoscenze e delle competenze nella didattica linguistica è sicuramente il:
• Progetto lingue moderne o Lingue vive.
Obiettivo del progetto era l'individuazione delle funzioni e delle nozioni principali utili allo sviluppo di una competenza
comunicativa “soglia”, che consentisse cioè a un adulto di interagire in contesti di vita quotidiana. il risultato sulla
pubblicazione dei cosiddetti livelli soglia. L’apporto del progetto lingue moderne fu notevole, anche se non ha avuto
una forza teorica tale da uniformare la glottodidattica europea, il concetto e la declinazione dei livelli soglia sono stati
alla base del progetto seguente che costituisce invece il primo risultato di una effettiva unificazione in tema di politica
linguistica educativa: il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue. Esso si pone infatti come una base
comune in tutta l'Europa per l'elaborazione di programmi, linee guida curricolari, esami libri di testo per le lingue
moderne eccetera. Il Quadro intende incoraggiare la riflessione e la comunicazione su tutti gli aspetti dell'insegnamento,
dell'apprendimento e della valutazione le lingue. Intende incoraggiare le diversità sulla base di una migliore
intercomprensione indispensabile nell’Europa delle molteplici lingue culture. Nonostante alcune critiche connesse
soprattutto alla terminologia utilizzata l'impatto scientifico del quadro è stato dirompente sia dal punto di vista teorico
sia da quello operativo. Dal punto di vista teorico il quadro ha contribuito a diffondere una più ampia dimensione della
competenza linguistico comunicativa fondata su una particolare idea di educazione linguistica che si vuole “pluri” e
cioè plurilinguistica e pluri, o meglio, interculturale. Dal punto di vista operativo invece un primo effetto tangibile
prodotto dal quadro è rappresentato dall'omologazione dei livelli di competenza linguistica nelle principali certificazioni
europee EE. Pagina 293 scala globale con i descrittori relativi ai sei livelli comuni di riferimento.
Un altro importante lavoro frutto dell'intesa degli esperti del Consiglio d'Europa e il cosiddetto PEL, Portfolio europeo
delle lingue, un vero e proprio portadocumenti nel quale registrare in itinere il livello raggiunto nelle lingue conosciute
secondo i parametri del quadro e archiviare certificati attestanti le proprie esperienze. Si compone di 3 sezioni:
 il passaporto linguistico, che fornisce indicazioni sulla competenza linguistico comunicativa raggiunta dal
apprendente in diverse lingue e include certificazioni ufficiali valutazione fornita dalle insegnanti istituzioni scolastiche
 la biografia linguistica, che descrive dettagliatamente la storia dell’apprendimento linguistico del soggetto e aiuta a
quest'ultimo a riconoscere e a valutare le proprie competenze ed esperienze
 il dossier, che raccoglie documenti certificati e materiale di vario genere attestanti le competenze e le esperienze
indicate nelle prime 2 parti.

Attualmente è disponibile online una versione elettronica del portfolio che permette di registrare le proprie competenze
nelle principali lingue europee utilizzando documenti multimediali. Accanto a questo ci diamo anche un altro utile
strumento in line: DIALANG, che permette non solo di auto valutare le proprie competenze nelle lingue straniere
attraverso specifici test, ma anche di esercitarsi sulle debolezze emerse favorendo così l'autoapprendimento. Nel 1995
viene pubblicato un importantissimo documento che getta le fondamenta per l'impostazione delle principali linee di
politica educativa degli anni 2000:
 Libro bianco su istruzione e formazione- insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva, in cui fra i 5 obiettivi
prioritari per il sistema educativo e formativo, si esplicita insieme alla necessità di conoscere almeno 2 lingue oltre alla
propria lingua materna, anche l'importanza di investire in formazione. Con la fine degli anni 90 la preoccupazione per lo
sviluppo di progetti e strategie nell'ambito della educazione e della formazione diventa sempre maggiore e la
formazione dei docenti, con particolare attenzione a quelli di lingue, costituisce uno degli aspetti più importanti
all’interno però di una dimensione più ampia.

Nel 2000 ci fu il Consiglio europeo di Lisbona che adottò un preciso obiettivo strategico per il nuovo decennio:
diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita
economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro. Investire nell'innovazione e nella ristrutturazione dei
percorsi formativi degli insegnanti costituisce uno dei punti chiave necessarie per realizzare tale obiettivo strategico.
Sempre nel 2.000 la commissione europea approva un importante documento: il memorandum sull'istruzione e la
formazione permanente, in cui si individuano sei messaggi chiave nell'ambito delle misure da adottare nel campo della
formazione permanente tra i quali: sviluppare contesti e metodi efficaci di insegnamento e di apprendimento per
un'offerta ininterrotta di istruzione e di formazione lungo l'intero arco della vita in tutti i suoi aspetti. Gli estensori del
documento sottolineano la necessità per il sistema di istruzione e di formazione di aggiornarsi e di adeguarsi alle
rinnovate esigenze degli utenti. Bisogna innanzitutto procedere ad una revisione e ad una riforma minuziosa della
formazione iniziale e permanente degli insegnanti.
Il Consiglio europeo di Stoccolma svolto nel marzo 2001 ha discusso gli obiettivi futuri e concreti dei sistemi di
istruzione e formazione e ha definito a sua volta ha 3 obiettivi strategici, tra cui quello di migliorare la qualità e
l'efficacia dei sistemi di istruzione e formazione nell’Unione europea.
Il Consiglio di Barcellona svolto nel 2000 da seguito i propone come il nuovo obiettivo generale di rendere i sistemi di
istruzione e di formazione dell'unione un punto di riferimento di qualità a livello mondiale entro il 2010. i temi chiave
connessi al miglioramento dell’istruzione e con formazione degli insegnanti e dei formatori sono 4:
 individuare le competenze che insegnanti e formatori devono possedere;
 creare le condizioni per sostenere adeguatamente insegnanti e formatori nel loro impegno di risposta alle sfide della
società della conoscenza anche attraverso la loro formazione iniziale e continua;
 assicurare un livello sufficiente per l'accesso alla professione di insegnante in tutte le materie a tutti i livelli;
 attirare nuovi insegnanti e formatori che abbiano esperienza professionale in altri campi.
Da ricordare nel 2002 è la Dichiarazione di Copenaghen, sulla promozione di una maggiore cooperazione europea in
materia di istruzione e formazione professionale. Del 2003 è il Consiglio dei ministri dell'istruzione europei in cui si
individuano 5 aree di intervento prioritarie per il 2010 centrate in particolare sulla diminuzione degli abbandoni
scolastici e sull'incremento della partecipazione a iniziative di formazione soprattutto permanente. Del 2003 è anche
l'adozione da parte della commissione europea, del piano d'azione 2004-2006 destinato a promuovere l'apprendimento
delle lingue e la diversità linguistica. Il 2003 è anche l'anno della pubblicazione della prima versione della Guide for the
development of language education policies in Europe. Offrire uno strumento analitico che possa servire come
riferimento per formulare organizzare l'insegnamento linguistico negli Stati membri e attraverso questo stesso
strumento promuovere una riflessione sulle politiche linguistiche europei. Si possono trovare in questo documento
numerosi spunti perché plurilinguismo e pluriculturalismo considerato come competenza, ma anche come valore,
fondamento della tolleranza linguistica e dell'educazione interculturale, costituisca non solo un obiettivo da raggiungere
per tutti i cittadini, ma soprattutto una caratteristica imprescindibile dell’insegnamento di lingue in Europa.
Nel 2004 abbiamo le conclusioni del Consiglio europeo di Bruxelles nel quale si sottolinea l'urgenza e l'importanza di
raggiungere gli obiettivi tracciati a Lisbona e si lancia il programma “istruzione e formazione 2010. L'urgenza delle
riforme per la riuscita della strategia di Lisbona”. si individuano 4 settori o meglio 4 leve su cui puntare per favorire
l'attuazione della strategia di Lisbona: concentrare le riforme e investimenti sui punti chiave, appare dell'apprendimento
permanente una realtà concreta, costruire l'Europa dell'istruzione della formazione e che darà il suo vero spazio
istruzione e formazione 2010. La formazione dei docenti ancora una volta gioca un ruolo centrale costituire una precisa
preoccupazione all'interno della prima leva. un altro documento del 2004 e il profilo europeo per la formazione degli
insegnanti di lingue sviluppato presso l'università di Southampton. Esso costituisce di fatto un vero e proprio
vademecum per organizzare la formazione dei docenti dal punto di vista strutturale sia dei contenuti e delle competenze.
Per il 2005/e citiamo un nuovo quadro strategico per il multilinguismo un documento importante per la formazione
degli insegnanti perché orientato allo sviluppo e alla promozione del multilinguismo, inteso qui anche come pure
linguismo quindi sia riferimento alle società che gli individui. dopo il consiglio europeo di Bruxelles il 2006 è l'anno
della prima verifica dei progressi effettuati, dell’ambito della strategia di Lisbona, nell'attuazione del programma di
lavoro istruzione e formazione 2010. Tra progressi e lentezze viene ribadita la necessità di proseguire nel programma di
lavoro rafforzando il modello sociale europeo. Nel 2006 viene deliberato un nuovo programma d'azione per
l'apprendimento permanente per il periodo 2007-2013, nel quale si ribadiscono e si potenziano le finalità della
strategia di Lisbona e in particolare il programma istruzione e formazione 2010, soprattutto in riferimento alla mobilità
e alla cooperazione internazionale nell'ambito dei sistemi di istruzione e formazione. Molto significativa è anche nel
dicembre 2006 le raccomandazioni del Parlamento europeo e del consiglio relativa a “competenze chiave per
l'apprendimento permanente” in cui vengono indicate 8 competenze chiave. È del 2007 la comunicazione della
commissione “migliorare la qualità della formazione degli insegnanti”. Questa comunicazione intende tracciare
alcune linee guida per garantire innovazione e qualità nella formazione a livello europeo. Innovazione e qualità devono
fondarsi sull’ottenimento di specifiche qualifiche, una conoscenza approfondita della sua materia e una buona
formazione pedagogica nonché la capacità di comprendere le dimensioni sociali e culturali di istruzione; sulla mobilità.
Gli insegnanti sono incoraggiati a lavorare o studiare in altri paesi europei avviene lo sviluppo professionale; sul
partenariato, l'estinzione di formazione degli insegnanti lavorano in partenariato con scuole, abbia di lavoro, a formatori
del mondo del lavoro. Il secondo appuntamento per la verifica dei progressi nella realizzazione del programma
istruzione e formazione 2010 ha prodotto un ulteriore interessante documento. Sforzi ulteriori per raggiungere gli
obiettivi lontani nel 2000 sono necessari in 3 settori, quella relativa all’aumento del livello delle competenze di giovani
lavoratori e professionisti, a quello connesso all’implementazione di strategie mirate allo sviluppo dell'apprendimento
permanente, infine l'ambito noto come triangolo della conoscenza e cioè istruzione ricerca e innovazione centrale
affinché la strategia di Lisbona venga attuata in pieno. Le conclusioni del Consiglio dell'Unione europea del 28
maggio 2009 riconoscono il ruolo cruciale dell'istruzione e della formazione per raggiungere gli obiettivi di Lisbona.
lanciano un nuovo quadro strategico decennale per la cooperazione europea nel settore dell'istruzione e che della
formazione: ET 2020, dove ET sta per education and training. Gli obiettivi sono 4:
- fare in modo che l'apprendimento permanente la mobilità diventano una realtà,
- migliorare la qualità e l'efficacia dell'istruzione della formazione,
- promuovere equità coesione sociale e la cittadinanza attiva,
- incoraggiare la creatività e l'innovazione.

Quanto alla formazione degli insegnanti le azioni prioritarie riguardano non solo lo sviluppo professionale degli
insegnanti e dei formatori, consigliano di concentrarsi sulla qualità dell’istruzione iniziale e sul sostegno a inizio
carriera per i nuovi insegnati e sforzarsi di innalzare la qualità delle opportunità di sviluppo professionale continuo degli
insegnanti dei formatori e di altro personale del settore dell’istruzione. Numerosi altri documenti sono stati prodotti nel
corso del 2009 ricordiamo in particolare le “Conclusioni del consiglio sullo sviluppo professionale degli insegnanti e
dei capi di istituto”. In questo testo si riconoscono almeno 3 punti imprescindibili perché gli Stati membri possono
rivalutare e innovare la professione docente in linea con le tendenze europee:
1- un insegnamento di qualità, la capacità di stimolare tutti gli alunni e dare il meglio di sé possono avere un impatto
positivo e duraturo sul futuro dei giovani
2- I programmi di formazione per insegnanti devono essere ricchi di qualità basarsi su una serie di ricerche accademiche
e vasta esperienza pratica
3- Gli insegnanti devono assumersi maggiori responsabilità riguardo il proprio apprendimento permanente come mezzo
per aggiornare e sviluppare le proprie conoscenze e competenze.

La qualità dei sistemi informativi è ribadita nelle conclusioni del consiglio sulla dimensione sociale dell'istruzione e
della formazione e nelle conclusioni del consiglio sul ruolo dell’istruzione e della formazione nell'attuazione della
strategia Europa 2020. Oltre alla qualità la comunicazione della commissione dal titolo “Ripensare l'istruzione:
investire nelle abilità in vista di migliori risultati socioeconomici” sottolinea l'importanza dell’innovazione
metodologica e tecnologica ricordando dall'altro la necessità di un insegnamento plurilingue.
Alla luce dei documenti citati, il docente dovrebbe possedere un altra formazione iniziale gli fornisca competenze
disciplinari e competenze pedagogico-didattiche di qualità e innovative, da acquisire anche all'estero attraverso scambi
e periodi di immobilità fondamentali sia nel periodo della formazione iniziale sia in servizio.exe dovrebbe possedere
capacità relazionali gestionali e di ricerca le quali dovrebbero essere implementate altri nelle diverse tappe obbligatorie
di cui la formazione continua e permanente dovrebbe caratterizzarsi, per mettere al docente di aggiornarsi
costantemente, di insegnare ad apprendere in maniera autonoma e di saper gestire le classi di oggi è sempre più
eterogenee.

3. L’insegnante di lingua in Europa: quali competenze?


L'inizio del XXI Secolo vede emerge l'interesse per un'operazione analoga sulle competenze dei docenti di lingue
straniere riconosciute come figure chiave per l'attuazione di una politica Linguistica europeo a favore del
plurilinguismo. Il primo documento che presentiamo è il Profilo europeo per la formazione degli insegnanti di lingue.
Nei primi anni del 2000 viene avviata una ricerca presso l'università di Southampton con l'obiettivo di tracciare linee
guida ampie e chiare che possono servire da punto di riferimento per impostare percorsi di formazione iniziale e
continua degli insegnanti. Il lavoro per la redazione del profilo si è sviluppata in 4 fasi:
1) Prima fase, dedicata alla consultazione dei materiali esistenti sulla formazione dei docenti di lingue straniere;
2) Seconda fase, in cui la scrittura i contenuti e la terminologia del profilo vengono fatti analizzare da un gruppo di
esperti nella formazione degli insegnanti in Europa;
3) Terza fase, nota come “Studio Delphi” in cui sono stati somministrati alcuni questionari a un gruppo di formatori di
insegnanti appartenenti a 12 paesi europei;
4) Quarta fase, delicata gli studi di caso, si tratta di 11 istituzioni europee selezionate per diventare oggetto di studio
nella ricerca di Southampton con l'obiettivo di fornire esempi pratici dei descrittori del profilo individuando eventuali
problemi o difficoltà nella loro applicazione.

Il profilo non è da intendersi come una serie di regole e norme, ma è stato progettato come quadro di riferimento
facoltativo che i responsabili della politica linguistica e i formatori potranno adattare ai programmi già esistenti ai propri
bisogni. Il documento finale presenta 40 elementi, o temi, fondamentali per organizzare un percorso formativo completo
e innovativo per il docente di lingue straniere in Europa, elementi suddivisi in 4 sezioni che sintetizzano gli ambiti e le
conoscenze imprescindibili per il docente europeo.
 “Struttura” descrive gli elementi costitutivi della formazione dei docenti indica come potrebbero essere organizzati
individuando 13 elementi chiave che di fatto forniscono indicazioni sulle caratteristiche che dovrebbero avere la
formazione iniziale sull’importanza delle esperienze di studio e di lavoro all'estero, sulla centralità del ruolo del mentor
e sulla necessità della formazione in servizio. Esempi: un curricolo che integra lo studio accademico e l'esperienza
pratica di insegnamento; sperimentare un ambiente interculturale e multiculturale; partecipazione ad una rete di contatti
con i partner all'estero che comprende visite scambio contatti in line; formazione continua per i formatori di docenti

 “Sapere e comprendere” descrive ciò che i docenti di lingue in formazione dovrebbero sapere e comprendere
sull'insegnamento e sull'apprendimento delle lingue come risultato della propria formazione iniziale e in servizio. Si
compone di 8 affermazioni chiave che mettono a fuoco la centralità di una specifica formazione glottodidattica del
docente. Esempi: la formazione nel campo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per l'uso didattico
in classe; la formazione sulla teoria e la pratica della valutazione dei programmi

 “Strategie e abilità” presenta ciò che i docenti dovrebbero saper fare e il modo in cui realizzarlo. Viene messa a
fuoco l'importanza di tradurre la teoria in pratica adottando approcci, metodi e tecniche ai diversi contesti di
insegnamento riflettendo sulle proprie strategie di insegnamento e sulle modalità di insegnare ad imparare in maniera
autonoma e mettendo in atto i processi di ricerca-azione e di reale integrazione tra ricerca accademica e insegnamento
quotidiano. Esempi: formazione su come adattare gli approcci didattici al con testo educativo e ai bisogni individuali
degli apprendenti; formazione sui metodi per imparare a imparare; formazione sulle applicazioni pratiche del curricolo e
del sillabo; formazione sull’apprendimento integrato di lingua e contenuto CLIL; formazione sull'uso del portfolio
europeo delle lingue per l'autovalutazione
 “Valori” composta da sei elementi chiave, riguarda i valori che i docenti di lingua informazione dovrebbero imparare
a promuovere durante e attraverso il proprio insegnamento linguistico, come per esempio la pluralità linguistica e
culturale, la cittadinanza europea, l'apprendimento tutto l'arco della vita; formazione sui valori sociali e culturali;
formazione sulla pluralità delle lingue delle culture; formazione sul lavoro in squadra sulla collaborazione e sulla rete di
contatti all'interno e all'esterno del con testo scolastico.

Il PEFIL, Portfolio europeo per la formazione iniziale degli insegnanti di lingue, viene elaborato nel 2005 a partire
dagli obiettivi tracciati dal profilo e costituisce in un certo senso il corrispettivo didattico del PEL e per alcune
caratteristiche del progetto DIALANG. come il progetto DIALANG metti a fuoco le competenze linguistico
comunicative nella lingua seconda dell’apprendente, così il PEFIL permette al futuro docente di lingua di valutare le
proprie competenze glottodidattiche attraverso una batteria di quesiti a cui l'interessato stesso è invitato a rispondere.
Come il PEL rappresenta uno strumento per tenere il conto dei progressi Gela nell’apprendimento della seconda lingua,
così il PEFIL aiuta il futuro docente a riflettere e prendere nota e aggiornare le esperienze, i progressi e gli attestati
ottenuti durante la propria formazione iniziale. Anche il PEFIL è suddiviso in 3 sezioni, in cui il docente in formazione
può registrare insieme alle proprie riflessioni e aspettative riguardo all'insegnamento -1 sezione, affermazioni personali
-e a tutta la documentazione relativa al percorso formativo e alle proprie esperienze -3 sezione, dossier - anche le
proprie competenze didattiche -2 sezione, autovalutazione. Nel 2007 viene pubblicato un nuovo documento utile per la
formazione dei docenti di lingue “The TrainEd Kit” Scritto da un'equipe di esperti del Consiglio d'Europa presso il
centro europeo per le lingue moderne di Graz. si rivolge ai formatori degli insegnanti di lingua proponendo loro letture,
approfondimenti e domande da utilizzare come spunto di riflessione e di autovalutazione sul proprio ruolo, le proprie
competenze le proprie strategie didattiche. Un altro lavoro nel 2007 è QualiTraining. Si propone come guida per
formatori di insegnanti i responsabili della formazione finalizzata a monitorare, auto valutare e quindi garantire la
formazione dell’insegnamento linguistico arrivare ai livelli del sistema educativo. Concludiamo l'elenco dei testi utili
per la formazione dei docenti di lingua citando la griglia degli scrittori EAQUALS. Ispirandosi ai sei livelli di
competenza linguistico comunicativa proposti dal quadro, alla griglia propone altrettanti descrittori per classificare le
competenze le conoscenze e le qualifiche dei docenti di lingua. i macrolivelli sono 3.
 Basico per il docente in formazione non è ancora qualificato ma che già lavora come insegnante di lingua. T1/T2
 Indipendente il docente che ha ottenuto un titolo ma è ancora relativamente in esperto T3/T4
 Esperto il docente di lingua che ha seguito un ulteriore percorso formativo e professionalizzante che si assume nei
ruoli di responsabilità, compresa l'assistenza e la supervisione di altri docenti meno esperti T5/T6.

Ogni macrolivello è suddiviso in 2. T1/T2 - T3/T4 - T5/T6. Per ogni livello la qualità del docente viene misurata
tenendo conto di 4 ambiti essenziali all’esercizio della sua professione: la conoscenza della lingua, le qualifiche
ottenute, le competenze fondamentali, ulteriori abilità. Il percorso formativo del docente di lingua secondo gli esperti
europei dovrebbe prevedere un periodo di formazione iniziale seguito da una costante e aggiornata formazione
continua. Dovrebbe favorire una formazione di qualità fondata su un giusto equilibrio fra teoria e applicazione pratica,
quindi tirocinio. affinché la formazione sia di qualità è necessario che ci sia valutazione e autovalutazione a tutti i
livelli, dalle conoscenze teoriche alle competenze pedagogico didattiche alle capacità relazionali e organizzative, sia per
il form Andy sia per i formatori. il percorso formativo nel suo complesso deve basarsi su precise e solide competenze
disciplinari. La normativa italiana in merito alla formazione dei docenti sembra rispondere positivamente alle
indicazioni europee in relazione ai seguenti punti: ristrutturazione della formazione iniziale, stretta connessione tra
teoria accademica e pratica didattica, introduzione di un anno di tirocinio formativo attivo, valorizzazione delle
competenze tecnologiche, introduzione di percorsi formativi specifici per il CLIL. Ci sembrano invece ancora carenti i
seguenti punti: la normativa non fa riferimento a periodi ne ha modalità di formazione permanente rivolta ai docenti in
servizio. Non sono previsti né consigliati periodi di formazione e aggiornamento all'estero. Le competenze plurilingue e
interculturale del docente non vengono valorizzate. assenza di una formazione obbligatoria in ambito glottodidattico nei
percorsi formativi degli insegnanti di lettere. In particolare, per il percorso di laurea magistrale in filologia moderna il
decreto ministeriale non prevede crediti formativi né in linguistica generale né in didattica delle lingue moderne. Molti
gruppi di studio e di ricerca hanno lavorato e continuano a lavorare per proporre linee guida sintetiche e concrete a cui
attingere sia per organizzare percorsi formativi sia per aggiornarsi ed eguale fin da subito le proprie competenze da
insegnante o futuro insegnante alle tendenze sovranazionali. citiamo 2 lavori.
Il primo presenta la ricerca svolta da un’équipe mista, composto da docenti e ricercatori universitari, insegnanti di
scuola secondaria superiore e da for mandi destinati a diventare i futuri insegnanti. La sintesi proposta presentò 9 linee
direttrici sintetizzate nell'acronimo ANDROMEDA, che rimanda all'immagine di una galassia e del relativo movimento
a spirale, il quale permette di superare il concetto di linearità in favore di una professione ciclica dinamica in stabile
dove ogni elemento si formula potenziandosi proprio come accade nella costruzione di ogni professionalità.

Aggiornamento
Nuove tecnologie
Didattica delle lingue
Ricerca azione
Organizzazione
Mentore
Esperienze europee
Diversità di lingue e culture
Autovalutazione.

Il secondo lavoro che citiamo come spunto per organizzare percorsi formativi per gli insegnanti di lingue viene dalle
raccomandazioni stilate da 7 istituzioni europee riunite in un consorzio finalizzato ad analizzare e migliorare la
formazione degli insegnanti di lingue in Europa sulla base del forte impulso scaturito dei documenti e delle
raccomandazioni Europe EE. Hanno permesso di tracciare alcune raccomandazioni che non hanno la pretesa di agire
come concerti pronti all'uso ma si danno piuttosto come piste di riflessione e promettenti, destinate ad essere
approfondite e ad adottare in funzione dei diversi contesti nazionali. Le raccomandazioni di guarda non sognare
tematiche entro le quali sono state individuate 10 priorità che peraltro confermano le linee guida tracciate con il
progetto ANDROMEDA.

Per concludere gettiamo uno sguardo al passato e citiamo la nona delle Dieci tesi per l'educazione linguistica
democratica, GISCEL. “La nuova educazione linguistica richiede attenzioni e conoscenze sia negli alunni sia negli
insegnanti, quest'ultima in particolare. in una prospettiva futura è ottimale che prevede la formazione di insegnanti
attraverso un curriculum universitario e che post-universitario adeguato alle esigenze di una società democratica, nel
bagaglio dei futuri docenti dovranno entrare competenze finora considerate riservate agli specialisti e staccate l'una
dall'altra. si tratterà allora di integrare nella loro complessiva formazione e competenze sul linguaggio e le lingue e
competenze sui processi educativi e le tecniche didattiche. L'obiettivo ultimo è quello di dare agli insegnanti una
consapevolezza critica e creativa delle esigenze che la vita sparasti Capone e degli strumenti con cui esse rispondere.

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