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Linguistica Testuale
Linguistica
Università degli Studi di Napoli L'Orientale
46 pag.
I linguisti si sono resi conto che la linguistica dell'enunciato, la linguistica della frase,
andava ormai superata; non era più possibile permanere in una prospettiva che fosse quella
linguistica e che andava superata con una linguistica che fosse la linguistica del testo: la
linguistica che spiega finalmente cosa è un testo in quanto unità testuale, in quanto
occorrenza unitaria. Si sono resi conto che per fare ciò avevano bisogno di un
metalinguaggio ancora inesistente perché ancora non esistevano le parole che servivano ad
indicare questi fenomeni. Determiniamo come testo qualsiasi occorrenza comunicativa,
che può essere breve o brevissimo, oppure lungo o anche lunghissimo.
E’ vero che l’attenzione al testo in senso stretto è recente (risale, infatti, agli anni
Sessanta/Settanta), ma in realtà già tempo fa si iniziò a prestare attenzione alla dimensione
testuale. Infatti la forma più antica di analisi dei testi la troviamo nella retorica che è giunta
fino a noi dagli antichi Greci e Latini. Anticamente il termine indicava l'arte del parlare in
pubblico e la finalità della retorica era quella di formare individui che avevano il compito di
parlare in pubblico e quindi dovevano persuadere gli altri delle loro idee. Dobbiamo
ricordare, infatti, che la testualità imita il discorso e molti testi che ci sono pervenuti
dall’antichità sono trascrizioni di discorsi. La retorica è tradizionalmente intesa come
l'arte del dire, del parlare, e più specificamente del persuadere con le parole.
La retorica antica, circa l’organizzazione del testo, ci ha insegnato che si devono avere delle
“caselle fondamentali” da rispettare se si vuole fare un discorso in pubblico. La gerarchia
che si deve rispettare è la seguente: per prima cosa, si deve rispettare l’inventio. Si deve
inventare ciò che si vuole dire. Dopo aver cercato le idee adatte al discorso che si vuole fare,
Altra disciplina con cui la linguistica testuale è in contatto è la STILISTICA, cioè lo studio
e l’interpretazione di testi di ogni tipo in relazione allo stile linguistico ed espressivo. Lo
stile è il risultato di una tipica scelta di opzioni per produrre un testo e per stabilire lo stile di
un autore in termini linguistici si analizzano le strutture selezionate e le occorrenze
stilistiche: quanto più una struttura non è predicibile dal punto di vista testuale, tanto più è
caratterizzante lo stile di un autore. Chi si occupa di stilistica, infatti, ha ben presente che un
testo deve rispondere a delle qualità che ci consentono di collocare il testo in un determinato
stile. Quello che noi chiamiamo “stile” si stabilisce in base a 4 criteri ricorrenti che sono: la
correttezza, la chiarezza, l’eleganza e l’appropriatezza.
Qualunque testo che non sia elegante, in base alla gradazione di questa eleganza, può
risultare aggressivo, offensivo, inopportuno, inappropriato. Un testo, quale che sia, deve
sempre essere elegante. Ma non per renderlo formale oltremisura. La formalità non è
eleganza. L’eleganza, nel suo valore etimologico, si fonda sull’eligere, cioè sul fatto di stare
fuori da un certo modo di essere canonico. Praticamente, è ciò che fa la testualità.
Quindi, retorica antica, stilistica e linguistica testuale sono dei contesti di studio della
testualità che hanno in comune delle preoccupazioni.
***
Nella seconda metà del Novecento c’è stata una rivoluzione che è nota come “linguistica
generativa” o, per meglio dire, “grammatica generativa”. La grammatica generativa è una
teoria del linguaggio ideata da Noam Chomsky negli anni cinquanta che si concentra sulla
facoltà del linguaggio, ponendo enfasi soprattutto sull’aspetto mentale del linguaggio.
Noam Chomsky, infatti, sostiene che il linguaggio è una capacità biologica propria della
sola specie umana, che si deve studiare e analizzare con una metodologia analoga a quella
delle scienze naturali.
Secondo Chomsky, la nostra facoltà di linguaggio è come un organo (come il fegato, il
cuore) che si sviluppa e al quale noi non diamo ordini. Noi infatti - come afferma Chomsky
- non ordiniamo al nostro linguaggio di operare, la facoltà di linguaggio opera e basta. Noi
abbiamo la possibilità di costruire frasi complesse, con una forma e un significato definito;
questo non lo dobbiamo apprendere in base ad un ordine specifico, così come il bambino
Tutto questo ha in qualche modo a che vedere con il significato, in quanto ha a che vedere
con una parte del linguaggio che non è visibile, che sta in profondità. Questo è uno degli
approcci allo studio del linguaggio e non può non generare degli effetti anche sullo studio
del testo (sulla definizione del testo) e ha, quindi, come oggetto quella che chiamiamo
facoltà di linguaggio (ossia lo stato iniziale e gli stati che seguono). A questo proposito, è
importante ricordare Igor Mel’čuk che è stato qualcuno che, quando ha riflettuto sulla
testualità, ha preso una strada originale e autonoma. Mel’čuk parla di qualcosa che ha fatto
sempre paura, in particolare alla linguistica del Novecento: il significato. La linguistica del
Novecento, infatti, ha preferito dedicarsi ad altre cose: moltissimo spazio è stato dato alla
fonetica, un po’ alla fonologia. Il significato faceva paura, perché se il suono lo sentiamo (è
qualcosa di tangibile) ed è qualcosa che puoi addirittura misurare se hai gli strumenti atti a
fare questo, il significato no (non lo vediamo, ci sfugge, non lo misuriamo, lo possiamo
descrivere, ma mentre lo descriviamo ci rendiamo conto che ci sfuggono delle parti). Quindi
il significato non soddisfaceva quell’esigenza di rigore scientifico che ci può offrire qualche
altro ambito del linguaggio, quindi nel Novecento ci si è dedicati molto meno al significato.
Secondo Mel’čuk, però, noi dobbiamo capire come il significato si converte in testo.
La fase embrionale della linguistica del testo, intesa in senso moderno, si sviluppa negli anni
’50 in ambito strutturale con Zellig Harris. Egli, infatti, affermò che il linguaggio si
presenta sotto forma di connected speech (o writing), e cioè che un testo consiste nella
ripetizione di elementi che ricorrono nello stesso contesto. Il punto debole del discorso di
Harris risiede nell’esclusione della semantica: non è possibile spiegare un testo senza
considerare la semantica. Si veda il seguente esempio:
Qui, formalmente c’è ripetizione, ma non c’è relazione semantica: i due enunciati sono
sconnessi: certo, c’è la ripetizione di elementi, ma non si può parlare di testo.
A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta si sviluppa la grammatica testuale, sviluppatasi
sulla falsariga della grammatica generativa. Gli obiettivi della grammatica testuale sono:
individuare cosa fa di un testo un testo, individuare i confini tra i testi, individuare le
tipologie testuali differenti in base agli elementi linguistici. Il nome più rilevante sullo
scenario della grammatica del testo è sicuramente quello di Teun A. van Dijk, il quale
introduce i concetti di macrostruttura e microstruttura. Diceva van Dijk che la
formazione di un testo deve partire da un'idea principale e questa idea principale
gradualmente si sviluppa nei significati particolari che entrano nei singoli passi del testo e
che hanno la lunghezza di un enunciato. Queste sono le sue parole: "Quando viene
presentato un testo, occorre che ci siano operazioni che agiscono in senso inverso, affinché
sia possibile ricavarne di nuovo l'idea principale. Queste operazioni vengono chiamate la
delezione, la generalizzazione e la costruzione:
Beaugrande e Dressler sono critici rispetto alle posizioni dei generativisti, ma anche degli
strutturalisti, perché per loro il linguaggio è un sistema di interazione, cioè è un insieme di
elementi ciascuno dei quali ha una sua funzione che contribuisce al funzionamento del
complesso. Inoltre, secondo Beaugrand e Dressler “il testo è un grande sistema
cibernetico", cioè un sistema che si autogoverna, ossia che riesce, mediante un meccanismo
cibernetico, a orientare gli elementi che lo compongono verso un fine. Tutti gli elementi che
compongono il testo hanno una funzione, la funzione è quella di rendere chiaro l'obiettivo
del testo, di rendere perspicuo quel testo, in questo senso è un testo cibernetico. Secondo
De Beaugrande e Dressler, la linguistica testuale non può essere costruita estendendo la
linguistica della frase poiché testo e frase non sono entità omogenee. Frase e testo sono
differenti: la frase è un’unità grammaticale, mentre il testo è un’unità comunicativa.
Per questo, i due studiosi adottano un approccio al testo non strutturale, bensì procedurale.
Questa procedura focalizza i processi e le strategie che operano nella produzione e nella
comprensione dei testi.
Gli utenti del sistema testo devono avere le idee chiare su come funzionano i principi del
testo, altrimenti l'uso del sistema risulta compromesso o bloccato. Se io non so come
funziona il sistema e voglio essere uno specialista dei testi, allora l'uso che io faccio di quel
sistema risulta compromesso o bloccato. Il problema per lo scrittore è quello di creare il
testo così come lui ce l'ha in mente. Quindi scrivere un testo ma anche recepire un testo, dal
punto di vista cognitivo, equivale alla soluzione di un problema.
Se non si rende perspicua la connessione tra gli elementi del testo, il problema che si cerca
di risolvere scrivendo il testo è fallito o meglio fallisce il tentativo di soluzione del
problema, quindi bisogna sempre mantenere perspicua la relazione tra gli elementi, cioè la
connessione.
Eugen Coseriu
Eugen Coșeriu è stato un importante linguista del ‘900, nato in Romania. Ad un certo
punto Coșeriu ha detto che non possiamo analizzare un testo, qualunque esso sia, senza
tenere conto del contesto. Coșeriu diceva che noi dobbiamo associare sempre il testo
scritto al contesto, perché se non lo facciamo poi non siamo in grado di decodificare nulla
del testo.
Coșeriu si preoccupò di creare anche un termine per indicare questa sua necessità e quindi
parlò di détermination (pronunciato in francese) e di contorno, ciò che sta intorno al testo.
Noi non possiamo decodificare il testo se ci sfugge ciò che sta intorno ad esso; il testo è
calato in una realtà e noi dobbiamo conoscere qualcosa di questa realtà, dobbiamo fare delle
associazioni, altrimenti noi quel testo non lo leggiamo, non lo sappiamo determinare.
Quando Coșeriu, quindi, parla di determinazione si riferisce al fatto di come i significati
delle parole possono essere applicati alle nostre conoscenze, come possono essere
estrapolati in quella che è la connotazione specifica che si vuole attribuire loro. Coșeriu
quindi dice che ogni significato va determinato, il che non significa altro che ogni
significato va circoscritto, delimitato, ritagliato e questa è una procedura che la nostra mente
opera in continuazione, senza che noi ce ne rendiamo conto, ma continuamente noi
facciamo un’operazione di determinazione e di contornizzazione, cioè delimitiamo e
cerchiamo di capire qual è il contorno all’interno del quale questa delimitazione si deve
produrre. Questo contorno non è più linguistico, ma è un contorno culturale, sociale,
storico, cognitivo; quindi se ci sfuggono questi passaggi, noi abbiamo delle difficoltà.
Determiniamo come testo qualsiasi occorrenza comunicativa, che può essere breve o
brevissimo, oppure lungo o anche lunghissimo. Per un linguista non è testo solo quello che
si iscrive dentro una cornice di nobiltà, come il testo della grande letteratura, ma anche
qualunque formula che abbia una funzione comunicativa. Per esempio anche l’opera di un
writer, di qualcuno che scrive sui muri, è un testo. Le proprietà che distinguono un testo da
un cosiddetto “non testo” vengono chiamate testualità e le più importanti sono la coerenza e
la coesione, ossia tutti i fenomeni che mostrano rapporti logici e formali tra le parti del testo.
I parametri della testualità sono 7: coesione, coerenza, informatività, accettabilità,
Il testo è un'occorrenza comunicativa, breve o lunga, che deve soddisfare i sette criteri di
testualità di coesione e coerenza (incentrate sul testo), informatività, accettabilità,
situazionalità, intenzionalità e intertestualità, definiti da Beaugrande (Bogràn - francese)
e Dressler (tedesco).
Se scaviamo ancora più a fondo nell'etimologia della parola testo, arriviamo al termine tak
che indicava un elemento con cui anticamente venivano costruite case (il mattone). Ancora
una volta troviamo un significato che non indicava un’operazione di scrittura o di lettura,
però gli elementi con cui si costruiva una casa non erano presi a caso e dovevano essere
potenzialmente sistemabili tra loro, in maniera tale che la casa non crollasse, e questo è ciò
che succede anche quando noi produciamo un testo.
L'idea di testo come un qualcosa che si potesse leggere arriverà molto anni dopo.
Quando si parla di testualità, infatti, si parla anche di discorso, cioè della capacità
cognitiva di fare dei collegamenti di elementi tra loro. Cos’è il discorso? È ciò che noi a
volte leggiamo come “logos”. Discorso è una possibile traduzione della parola logos, che è
una parola difficilmente traducibile. Ossia è la resa più vicina possibile per indicare
quell’operazione mentale che noi facciamo per collegare le parole tra loro. Quando
facciamo un discorso facciamo un’operazione di collegamento delle parole tra loro.
Dal punto di vista cognitivo, quando noi guardiamo un testo il nostro cervello lega gli
elementi tra loro, trova delle ragioni che tengono assieme, cerca e trova delle ragioni che
tengono assieme questi elementi. Quando leggo, lego gli elementi tra loro, ma affinché io
possa farlo devo trovarne il capo, devo riuscire a fare dei collegamenti. Se non ci riesco c’è
un problema di testualità.
Il testo è quindi dinamico, perché è sottoposto all’incontro con la mente di chi lo legge. Il
testo se ne sta in un libro finché io non lo confronto con le dinamiche della mia mente,
quindi è come se prima di ciò non esistesse.
Efficienza Grado di impegno che un testo richiede ai partecipanti per il suo uso. Un testo
deve essere facilmente compreso; inoltre deve essere in stretto rapporto con una determinata
situazione e con gli scopi del testo stesso.
Efficacia capacità del testo di rimanere impresso nella memoria del destinatario.
Appropriatezza rapporto tra i contenuti e i caratteri testuali (il modo in cui vengono
espressi)
I sette requisiti fondamentali (o princìpi costitutivi) del testo sono presenti in varia misura
nei diversi tipi testuali. La coesione e la coerenza possono essere in parte trascurate nella
lingua parlata, ma devono essere osservate rigorosamente nei testi scritti.
Gli elementi all’interno del testo possono essere organizzati in modo modulare o
interattivo. Nel primo caso, le componenti del testo sono considerate come indipendenti
l’una dall’altra, sono quindi una serie di moduli messi insieme, e chi legge riesce tramite
delle inferenze a cogliere il legame tra i diversi elementi, ma di per sé il testo non risulta
compatto. (nei film, le scene)
Secondo Beaugrand e Dressler “il testo è un grande sistema cibernetico", cioè un sistema
che si autogoverna, ossia che riesce, mediante un meccanismo cibernetico, a orientare gli
elementi che lo compongono verso un fine. Tutti gli elementi che compongono il testo
hanno una funzione, la funzione è quella di rendere chiaro l'obiettivo del testo, di rendere
perspicuo quel testo, in questo senso è un testo cibernetico. Secondo De Beaugrande e
Dressler, la linguistica testuale non può essere costruita estendendo la linguistica della frase
poiché testo e frase non sono entità omogenee. Frase e testo sono differenti: la frase è
un’unità grammaticale, mentre il testo è un’unità comunicativa.
“La prima fase della produzione del testo può essere introdotta normalmente con la
PROGETTAZIONE. Chi produce il testo ha l’intenzione di raggiungere un certo fine per
mezzo del testo: di diffondere ciò che sa, ad esempio, o di ottenere l’adesione a un suo
progetto. […] I testi sono integrati nel progetto mediante l’aggancio progettuale.”
L’aggancio progettuale è un sottotipo dell’aggancio procedurale. Quindi, l’aggancio
procedurale è la parte più generale, quando devo creare un testo ho bisogno dell’aggancio
procedurale. Se io devo inventare un testo, ho bisogno di una competenza sulla procedura,
sul procedimento. Se ad esempio devo scrivere un’e-mail, devo avere una competenza
rispetto alla procedura, come quando devo guidare una macchina, devo sapere come
procedere. Dopo posso fare ricorso all’aggancio progettuale, conosciuta la procedura,
sapendo come si fa, serve l’aggancio progettuale per determinare il progetto.1
Dopo che si è stabilito il fine e si è scelto il tipo di testo segue la fase dell’IDEAZIONE,
cioè la fase di invenzione in cui si inventa quello che si andrà a scrivere nel testo. Cos’è
un’idea rispetto alla procedura e alla progettazione di un testo? “Un’idea è una
configurazione di contenuto creata interiormente che mette a disposizione centri di controllo
per un agire creativo e sensato quale, ad esempio, la produzione testuale”. L’idea, quindi,
serve alla produzione testuale, senza di essa non avviene nessuna produzione. Persino per
scrivere una e-mail serve un’idea.
“All’ideazione succede una fase di SVILUPPO che serve ad ampliare, precisare meglio,
elaborare e collegare fra loro le idee trovate. Si può considerare lo sviluppo come una
ricerca di spazi di sapere memorizzati, ossia di disposizioni di contenuto organizzate
nell’intimo della memoria. Lo sviluppo può oscillare tra due estremi: da un lato, quello del
richiamo di spazi di sapere più o meno intatti, e dall’altro quello di connettere combinazioni
davvero insolite.”
Poi c’è la fase DELL‘ESPRESSIONE, cioè quando cerchiamo le espressioni più adatte per
comunicare le idee che abbiamo trovato. Espressioni già attivate in passato verrebbero
assunte in quanto PREFERENZE.
1A. de Beaugrande e W. U. Dressler, Introduzione alla linguistica testuale, Il Mulino, 1994, pag.54 par. 20.
Se voi ricordate l’esempio del razzo giallo che viene lanciato in alto, le persone che stanno lì
per togliersi dal pericolo derivante dal lancio, arretrano e vanno a proteggersi dietro un
parapetto e lì ci sono degli elementi, nella sequenza del testo, che devono stare
necessariamente in un certo ordine. Se noi cambiamo l’ordine di questi elementi abbiamo
una difficoltà.
Un’altra cosa che dobbiamo tenere a mente è la RICEZIONE DEL TESTO che è ancora
una volta un altro discorso. Il ricevente quando sente un testo o quando lo legge comincia a
interpretarlo vedendo qual è la sua organizzazione di superficie. E quindi fa appello alla sua
competenza, a quello che lui già sa, le conoscenze preliminari e poi scende verso una
dimensione più profonda per cercare di capire meglio cosa significa quel testo. Però prima
deve analizzare il testo di superficie, cioè sciogliere la sua catena lineare, gli elementi nella
loro linearità di superficie, in dipendenza di ordine grammaticale. Bisogna vedere qual è
l’ordine grammaticale. Gli elementi di queste dipendenze sono, secondo Beaugrande e
Dressler, LE ESPRESSIONE CHE ATTIVANO CONCETTI E RELAZIONI CHE
VENGONO MEMORIZZATE MENTALMENTE. Esiste innanzitutto quando si legge o
sente un testo quella che viene chiamata fase di richiamo dei concetti, cioè io cerco di
capire quali sono i concetti espressi in quel testo e poi devo capire quali sono le relazioni
che legano tra loro questi concetti. La configurazione dei concetti si denota in modo sempre
più marcato facendo riconoscere DENSITÁ E DOMINANZE. Le idee essenziali possono
essere fissate in una fase di richiamo delle idee: io devo saper richiamare i concetti espressi
nel testo ma devo anche richiamare le idee che sono espresse nel testo. C’è un terzo
richiamo quando si sta di fronte ad un testo: è il richiamo del progetto, in base alla quale
io cerco di capire qual è il progetto di quel testo, che obiettivo ha. Questo ci porta al
progetto di colui che ha realizzato il testo, perché se c’è un testo significa che c’è qualcuno
che lo ha realizzato e che aveva un progetto che noi dobbiamo riuscire a ricostruire quando
siamo di fronte al testo.
Quindi la ricezione testuale contiene, come affermano Beaugrande e Dressler, una SOGLIA
TERMINE: significa che c’è una zona nella quale noi ci muoviamo in maniera
differenziata a seconda se sono io, se è lei o l’altro e comprendere cosa questo testo ci stia
comunicando. Dicono Beaugrande e Dressler che quando il testo è importante per il
ricevente questa soglia è corrispondentemente alta. Un critico letterario ad esempio
dedicherebbe in modo atipico un grande sforzo di elaborazione a certi testi di natura
letteraria prendendo in esame non solo gli aspetti più probabili ma anche aspetti che ad altri
destinatari di quel testo interessa poco.
Beaugrand e Dressler introducono un altro elemento nella loro terminologia che è soglia-
termine. In ogni situazione c’è una soglia in cui il producente ritiene che il suo testo sia
soddisfacente ai fini dello scopo comunicativo prefissato e il destinatario ritiene che la sua
interpretazione sia adeguata riguardo allo sforzo cognitivo prodotto.
Fanno una considerazione molto semplice, di buon senso: se io voglio scrivere un'email, la
posso perfezionare quanto voglio, ma ad un certo punto mi dovrò pur fermare. Quindi, c'è
una soglia-termine oltre la quale non ha molto senso portarsi, perché se io volessi
continuare all'infinito questo perfezionamento, allora il testo non sarebbe mai concluso. Non
esiste il testo perfetto di un genere testuale, non esiste la poesia perfetta, perché questo
significherebbe che noi avremmo raggiunto la perfezione di un genere e quindi quel genere
non avrebbe motivo di essere. In un certo senso, bisogna accontentarsi, e quindi capire qual
è la soglia-termine nella produzione di un testo che lo rende anche recepibile.
C'è anche una considerazione di tipo diacronico, che noi dobbiamo fare: dobbiamo tener
presente che il modo di raggiungere la soglia-termine cambia nel tempo, il modo di scrivere
un semplice messaggio, un qualunque testo, così come ce lo si aspetta oggi è cambiato, è
diverso rispetto a quello di 10 anni fa. Il feedback, il riscontro che tu mi dai su una qualità
del mio testo, produce il tentativo di tentare un testo un po' più fruibile, migliore; cioè il
feedback che dà il lettore o il ricevente, in generale, serve a riequilibrare la soglia-termine.
La coesione testuale
Quando ci approcciamo per la prima volta ad un testo, c’è necessità che quel testo sia coeso,
cioè gli elementi devono avere un ordine superficiale minimo che mi consenta di fare dei
collegamenti perché se è tutta roba messa a caso o non vediamo nessun collegamento
oppure cominciamo a fare dei collegamenti che non erano nelle intenzioni di chi ha scritto il
testo. Il nostro compito è trovare per prima cosa nel testo la coesione o un principio di
coesione, ossia gli elementi che io materialmente vedo o sento devono essere coesi tra loro.
Quindi un testo, nel momento in cui lo vedo e lo leggo, deve risultare coeso, cioè i diversi
elementi devono avere un ordine di superficie che mi permette di fare dei collegamenti.
es.
Un cartello stradale che indica di rallentare a causa della presenza di bambini "SLOW,
CHILDREN AT PLAY".
Si tratta di una delle filastrocche di Toti Scialoja (Scialòia) in cui al centro vi sono spesso
degli animali. Anche se le filastrocche dovrebbero essere brevi testi per far sorridere i
bambini attraverso delle rime, notiamo che questo testo appare come una domanda sul senso
della vita in cui topo sta per topos, appunto luogo, mondo, universo, vita.
Il testo risulta dunque solo apparentemente semplice. Il criterio di coesione da solo non
basta per comprenderlo. Nella testualità fantastica noi tendiamo ad accettare tutto ciò che
leggiamo anche se non ci sono dei collegamenti logici, questo perché ci sono diversi criteri
di accettabilità.
La coesione riguarda la stabilità del testo in quanto sistema, un sistema che si caratterizza
per la continuità delle occorrenze. Il concetto di continuità è fondamentale nella nozione di
coesione perché noi ci aspettiamo una continuità basata sulla contiguità degli elementi,
elemento A contigua ad elemento B e non a elemento M o addirittura a elemento Z e via
dicendo. Noi ci aspettiamo di avere accesso a questo livello di superficie e questo
ovviamente è immediatamente percepibile sul piano della sintassi.
Noi abbiamo una memoria di portata lunga e abbiamo una memoria di portata breve. La
memoria di breve portata è fondamentale per accompagnarci nell’operazione che vede la
coesione del testo. Se un elemento in un testo mi viene detto troppo in là, troppo avanti
rispetto all’elemento precedente che sta in quel testo, io ho dimenticato delle informazioni.
Quindi gli elementi devono essere in qualche modo contigui in una sorta di continuità
altrimenti io lo dimentico. Il testo deve avere la sua forza di coesione.
Sintagma il sintagma è la formula che identifica lo stato larvale della testualità, siamo
oltre la parola ma siamo già ad un livello strutturale che ci dà qualche informazione. Certo
non è un’informazione definita. Il sintagma è un’unità con un elemento principale e
almeno un elemento dipendente. Per esempio, “panda turchese”: c’è l’elemento
principale e c’è l’elemento dipendente. Un ENUNCIATO può essere PARZIALE,
significa che possiamo avere un’unità testuale dotata di un sintagma nominale e di un
sintagma verbale che sia congruente con questa prima parte: “una panda turchese correva”.
Un ENUNCIATO, però, può essere anche PIENO: ossia una unità delimitata, ben chiara,
che a sua volta ha un enunciato parziale dipendente. Quindi partiamo da questo presupposto:
sintagma, enunciato parziale e enunciato totale.
Catafora Si tratta dell'opposto dell'anafora, perché la catafora mette prima l’elemento
che è ignoto e poi dopo svela a cosa si riferisce. Così, ad esempio, nella frase:
Ellissi L'ellissi è l'omissione di qualche elemento che resta sottinteso in una frase e
risulta ricavabile dal contesto. Gli elementi che si possono omettere sono il soggetto, il
predicato verbale, una preposizione ecc.. Ad esempio: “Sono partiti i tuoi genitori? No, [i
miei genitori] non sono ancora partiti“.
Giunzione sono delle parti del discorso che utilizziamo per segnalare le relazioni tra
avvenimenti e situazioni. Quattro sono i tipi fondamentali di giunzione:
- congiunzioni, che collegano elementi dello stesso status (e, inoltre),
- disgiunzioni, che collegano elementi con status alternativo (oppure, altrimenti)
- controgiunzioni, che collegano elementi dello stesso 'status', ritenuti talvolta inconciliabili
(ma, però)
- subordinazioni, che collegano elementi per i quali lo 'status' di uno dipende da quello
dell'altro (poiché, infatti, perché). Può essere espressa mediante relazioni di causalità,
ragione, prossimità temporale e modalità.
Gli elementi linguistici tipici della deissi sono detti "elementi deittici" e sono, quindi,
elementi che consentono un riferimento diretto alla situazione del discorso nello spazio e nel
tempo. Ci sono tre tipi principali di deissi:
La coerenza testuale
La coerenza, quindi è il prodotto del nostro pensiero, del nostro pensiero che fa appello alle
conoscenze che già abbiamo, alle conoscenze testuali, le conoscenze dei tipi testuali e alle
conoscenze memorizzate dentro ognuno di noi, per collegare tra loro i concetti. Quindi
quando vediamo un testo per prima cosa lo incaselliamo in un genere come poesia, mail,
racconto breve ecc., e non sarebbe possibile questo se non avessimo preconoscenze e
precompetenze.
Quindi, ogni testo si basa su concetti e relazioni e affinché sia coerente è necessario mettere
in relazione tra loro i concetti. I concetti possono essere messi in relazione tra loro
attraverso gli anelli di congiunzione. Le relazioni sono gli anelli di congiunzione fra i
concetti che si presentano assieme nel mondo testuale; ogni anello dovrebbe apportare una
designazione del concetto con cui stabilisce un collegamento (ad es. 'stato di', 'attributo di'
ecc.). Sono queste relazioni a delimitare il valore d'uso di ciascun concetto.
I concetti non sono tutti uguali tra loro, per esempio abbiamo il concetto d’oggetto, il
concetto d’azione, il nesso di causa ecc…
Es: Paolo (c. d'oggetto) è caduto (c. d'azione) e si è ferito (nesso causale).
Per capire se un testo è coerente possiamo servirci anche della causalità, cioè il rapporto tra
causa e effetto. Infatti non si può non esplicitare i nessi causali all’interno di un testo perché
sennò si farebbe un “torto” al destinatario del testo e anche al fatto che il testo deve essere
un’occorrenza comunicativa. Per esempio, nella frase “Gianni è caduto e si è rotto la testa”
c’è un evento che è il CADERE che è la causa della rottura della testa.
Altri elementi importanti all’interno del testo che lo rendono coerente sono lo scopo e il
tempo. E’ importante saper costruire e rilevare nel testo la condizione temporale, la
consecutio temporali, la successione delle sequenze temporali. Quindi, la coerenza è il
risultato dell’unione di tutti questi elementi: causalità, scopo, tempo ecc…
Es: Paolo manda fuori Marco che deve fare la spesa (la ragione\lo scopo).
Si deve pensare che i concetti contengano delle componenti che possono essere tenute
insieme da una particolare FORZA DI CONNESSIONE. Le componenti essenziali per
l'identità di un concetto costituiscono un sapere determinato, un sapere generale e vero (ad
es. tutti gli uomini sono mortali/tutti gli animali respirano). D'altro lato, le componenti che
sono vere solo nella maggior parte dei casi in cui viene adoperato un concetto, si
definiscono sapere tipico, cioè un sapere specifico di una situazione (ad es. gli uomini di
solito vivono in comunità/ i gatti di solito fanno le fusa). Infine, le componenti che possono
essere vere o no rappresentano un sapere accidentale (ad es. alcuni uomini sono grassi/
alcune persone hanno i capelli rossi).
Le relazioni sono gli anelli di congiunzione fra i concetti che si presentano assieme nel
mondo testuale; ogni anello dovrebbe apportare una designazione del concetto con cui
stabilisce un collegamento (ad es. 'stato di', 'attributo di' ecc.). Sono queste relazioni a
delimitare il valore d'uso di ciascun concetto.
Dressler e Beaugrande creano un elenco di concetti che secondo loro sono rinvenibili nei
testi e che ci aiutano ad esaminare, ricostruire il quadro di coerenza di un testo. Dressler e
Beaugrande suddividono questi concetti in primari e secondari che sono i pilastri della
testualità, pilastri della coerenza. Se io analizzo un testo devo individuare i concetti primari
di quel testo e poi quelli secondari. I CONCETTI PRIMARI sono 4:
- OGGETTI: entità concettuali con identità e costituzione stabili (“la macchina
bianca correva”)
- SITUAZIONI: configurazioni di oggetti in relazione reciproca nel loro stato attuale;
“il cervo si fermò in mezzo alla strada e poi andò a nascondersi in un cespuglio”
- AVVENIMENTI: casi occorrenti che modificano una situazione o uno stato
all’interno di essa “… poi mio padre scese dalla macchina e andò a prenderlo”
- AZIONI: avvenimenti prodotti intenzionalmente da un agente “Paolo prese a pugni
il cuscino”
Posso immaginare un testo molto semplice come un gatto camminava sul tetto. In questo
testo l’oggetto è il gatto, immaginiamo che il gatto si muove perché si trova sul testo e
possiamo immaginare che ad un certo punto il gatto saltò su un albero che stava affianco al
tetto. In questo caso c’è una situazione relativamente al tetto e all’albero che sono in
relazione reciproca.
***
Parlando della coerenza, dobbiamo accennare all' ereditarietà, cioè tutto ciò che si presume
di sapere non viene esplicitato nel testo. L'ereditarietà è la trasmissione di conoscenze tra
unità di tipi e sottotipi identici o simili. L'ereditarietà agisce in modo da identificare e
catalogare le conoscenze: quanto più sono determinati e tipici i tratti di un rappresentante o
di una sottoclasse, tanto più celermente essi verranno riconosciuti come elementi di questa o
quella classe. Cioè tutte le volte che si scrive un testo non si deve parlare di tutti gli antefatti
possibili che riempiono i pattern, ma bisogna tenere anche conto dell'immenso spazio di
fraintendimento, della carenza di fattori di coerenza che ci sono tra queste due polarità 'il
fatto che io dia per scontato' e 'il fatto che tu non mi dica'. Ci sono 3 tipi di ereditarietà:
- Il rappresentante che può esercitare tutte le caratteristiche della sua classe a meno che
esse non vengano cancellate in modo esplicito. Ad esempio, diamo per scontato che
Napoleone abbia dieci dita dei piedi perché si considera scontato che ne abbia anche se
nessuno ha effettuato uno studio specifico su questo.
- Le sottoclassi ereditano dalle sopraclassi solo quelle proprietà in base a cui si
definiscono con più esattezza le sottoclassi. Per esempio, la sottoclasse “struzzi” si
differenzia dalla sopraclasse “uccelli” poiché lo struzzo non può volare ma può correre
molto veloce.
- Le unità possono prendere qualcosa in eredità dalle altre unità con cui hanno un
Quindi, quanto più sono determinati e tipici i tratti di un rappresentante o di una sottoclasse,
tanto più essi verranno riconosciuti come elementi di questa o quella classe (ad. es. la
frase la gallina è un uccello, quindi un animale contiene il concetto 'gallina' affiliato alla
sottoclasse 'uccello', della classe degli animali. Il rappresentante gallina però ha tratti poco
tipici rispetto alla sottoclasse 'uccello'; per conseguenza, verrà più facilmente identificato
come facente parte della classe animale). Cioè se io dico “la gallina è un animale” e “la
gallina è un uccello” la vostra mente arriva più rapidamente ad una conclusione sul primo
esempio che non sul secondo.
L’ereditarietà è connessa alle questioni di economia del testo. Quando parliamo di economia
ci riferiamo all’economia testuale e quindi che dobbiamo provare a mettere il numero
necessario di elementi nel testo.
Intenzionalità e accettabilità
Intenzionalità e accettabilità sono due parametri della testualità che fanno riferimento al
mondo extra testuale. L'intenzionalità è quel parametro che riguarda l'atteggiamento di
colui che produce il testo. Un autore deve avere l'intenzione di formare un testo coeso e
coerente perché deve far arrivare agli altri le sue conoscenze e queste conoscenze devono
rendere chiaro il fine per cui quel testo è stato costituito. In senso più ampio, indica tutti i
mezzi utilizzati da chi produce il testo per perseguire e realizzare le proprie intenzioni.
Per esempio, abbiamo visto i fumetti di Sio che, molto spesso, sono dei fumetti
incomprensibili. Tuttavia, nonostante non abbiano un senso, fanno comunque divertire e
infatti l’intento dell’autore è quello di far ridere. Di fronte a questi testi molto spesso noi
siamo tolleranti. Rispetto ad un testo, come quello che abbiamo appena visto di Sio, la
nostra tolleranza è molto larga, siamo talmente tolleranti che accettiamo che non ci sia uno
scopo, una causalità, l'agevolazione e ci accontentiamo di tutto questo, dicendo che tutto
sommato questo testo è coerente. Inoltre, siamo sempre tolleranti quando parliamo con
qualcuno, perché nel parlato spesso facciamo un sacco di pause e di esitazioni prima di
arrivare all’informazione che ci interessa.
Poi accettiamo che una rana avesse un milione di anni, ma ancora più curioso è accettare
che la figlia ne avesse 90 mila, cioè la rana madre ha fatto la figlia quando aveva 910mila
anni, come dire, è un po' curiosa questa storia, non funziona tanto bene. Poi un giorno la
Quando l'accettabilità subisce una restrizione, allora questo può causare un appesantimento
del testo. Ad esempio, se un personaggio dice: “sai ora dovremmo agire in questa
situazione” e l’altro risponde “no, però adesso hai visto che bel tempo”, significa che in
qualche modo c'è un intoppo sulla comunicazione, e in questo modo l’autore sta rallentando
la coesione del testo, sta appesantendo la comunicazione e rendendo il testo quasi
inaccettabile.
Quindi il testo noi lo intendiamo sempre come qualcosa che deve avere la sua coesione,
però ci possono essere delle difficoltà, delle difficoltà più o meno volontarie che disturbano
la coesione. E quindi si possono come slegare tra loro le superfici del testo/dei testi e noi
sappiamo che la superficie del testo è proprio la sede della coesione e questa slegatura può
essere ad esempio provocata da fattori di contesto e quindi dalla situazione (per questo poi
dovremo parlare appositamente di situazionalità). Questo è per quanto riguarda la coesione.
Altra cosa appare quando si disturba la coerenza: la coerenza come si disturba? La
coerenza si disturba quando io ti dico delle cose che contengono magari anche delle
ripetizioni, che contengono anche delle frasi fatte che dovrebbero significare che le cose che
sto dicendo sono semplici, però poi in realtà queste cose sono un po’ slegate tra di loro. Ad
esempio: c’è un esempio in cui ci sono due soggetti che si parlano: c’è un poliziotto che
parla ad un signore. “Allora, Sir”, disse il poliziotto, ‘è l’uomo che cercavamo, non c’è
dubbio; però non è l’uomo che cercavamo. Infatti l’uomo che cercavamo non era l’uomo
che volevamo trovare, Sir, se comprende le mie semplici parole’. Diciamo che qui c’è un
disturbo della coerenza.
Dicono Beaugrande e Dressler che, nella gran parte dei casi, anche se c’è un difetto di
coerenza, l’interlocutore (il destinatario) lo accetta e lo tollera perché tutto sommato riesce a
capire quello di cui si sta parlando. Ma ci sono delle situazioni in cui il difetto di coerenza è
tale che si crea difficoltà di comunicazione.
In ogni cosa che facciamo, sul piano comunicativo, noi abbiamo un obiettivo e questo
obiettivo fa seguito ad un progetto; oppure al contrario, noi abbiamo in mente un obiettivo e
cerchiamo di costruirci attorno un progetto, ci immaginiamo rapidamente in mente come
costruire questo obiettivo. Il modo in cui noi vogliamo realizzare questo obiettivo si
rappresenta, dal punto di vista testuale, con degli elementi di base.
La prima cosa da fare è fissare il ruolo, cioè in un testo, che sia esplicito o meno, va fissato
il RUOLO DEGLI INTERLOCUTORI, cioè devo far passare un’informazione su me
L’esempio più centrale è quello di un’odiosa conversazione tra i personaggi. Uno è Zia
Rachele (una signora) e l’altro è il signor Tupman (il suo interlocutore). In sostanza, questo
testo è una conversazione nella quale Zia Rachele (Zia sottointende il fatto che non sia
sposata) cerca di mettere in cattiva luce le sue due nipoti perché è preoccupata del fatto che
il Signor Tupman possa essere distratto dalla bellezza e dalla giovinezza delle ragazze. La
zia, invece di dire che lei è preoccupata, trova una strategia manipolativa e comincia a parlar
male delle due nipoti. Questo meccanismo è interessante perché rende il testo credibile,
inoltre noi sappiamo che queste cose sono difficilissime, è difficile parlare di una cosa senza
parlare direttamente di quella cosa e pretendendo al tempo stesso di non essere scoperti
nelle nostre reali intenzioni. Sono operazioni difficili da mettere su. Questo è il gioco
dell’INTENZIONALITA’ e dell’ACCETTABILITA’. Comunque, la prima azione del
discorso è una domanda perché la zia chiede al signore se trova carine le sue nipoti. La zia,
però, sussurra e la sua voce sussurrata rivela (dicono Beaugrande e Dressler) la sua speranza
in una risposta che deluda le due nipoti. La risposta del sig. Tupman a quel sussurrare della
zia, indica che, in linea di massima, lui è disposto ad essere cooperativo e ad appoggiare il
fine degli sforzi amorosi di zia Rachele.
[…]Tapman risponde: “Ne troverei carine se non vi fosse qui la loro zietta” replicò pronto
il Pickwickiano con uno sguardo appassionato.
Quindi lui è stato al gioco e significa anche che il gioco è già partito. Al tempo stesso, però,
la risposta mette la zia in agitazione in quanto si capisce che Tupman pone sullo stesso
piano sia Zia Rachele che le due nipoti. Anzi, egli dà proprio intendere (come sostengono
Beaugrande e Dressler) che ci sono buoni motivi per considerarle carine. Il sig. Tapman,
giustamente, non ha risposto che non sono carine perché la domanda di Zia Rachele aveva
un fine (o un valore) pragmatico che andava oltre l’aspetto letterale. Cioè, lei non voleva
che lui rispondesse in modo educato. Lei voleva un’altra risposta, ossia “mi piaci di più tu”
o anche “trovo migliore te”. Invece lui dice: “Si, sono carine ma visto che ci sei qui tu,
allora per me il fatto che loro siano carine importa poco”. Rachele allora si spaventa e inizia
a sottolineare alcuni aspetti negativi delle nipoti (come la brutta carnagione o il fatto che
sono curve etc…). Dunque maschera le sue critiche dietro questa difesa, quasi tentasse più
di sminuire un difetto che di richiamare l’attenzione su di esso: un tipico caso di
Lo scrittore, quindi, deve essere in grado di mascherare e mettere su dei dialoghi improntati
al mascheramento del progetto però deve anche comunicare al lettore che lo fa con piena
cognizione di causa.
La filosofia ha influenzato molto la linguistica, in effetti molti filosofi si sono chiesti come
le intenzioni siano effettivamente correlate alla forma delle enunciazioni. I tre grandi padri
fondatori degli atti linguistici sono John Austin, Paul Grice e John Searle. Questi sono i
tre grandi nomi da tenere a mente quando si parla di questo argomento e quando si vuole
parlare nel più ristretto campo della linguistica testuale di intenzionalità e accettabilità.
Sebbene la teoria degli atti linguistici abbia apportato contributi notevoli alla pragmatica,
essa ha alcuni limiti oggettivi. Infatti, c’è una grossa differenza fra atti relativamente ben
definiti come il “promettere”, o il “minacciare” e altri atti più vaghi come “descrivere”,
“esporre”, “affermare” eppure tutti quanti sono raggruppabili negli “atti illocutivi”.
Atti linguistici: John Austin rifletteva sul fatto che attraverso il parlare, quindi attraverso il
linguaggio, noi possiamo causare modifiche nel mondo, abbiamo il potere di cambiare le
cose. Secondo Austin, dire qualcosa equivale a compiere tre atti simultanei: un atto
locutorio, un atto illocutorio e un atto perlocutorio:
Questi sono gli atti linguistici e sono intrecciati tra loro. La prima cosa da dire è che
Austin naturalmente aveva presente che doveva fare una classificazione degli atti e
classificò gli atti linguistici illocutori in cinque classi:
- atti verdittivi sono quelli con cui si esprime un giudizio, un verdetto (“valutare”);
- esercitivi quando esercitiamo un potere attraverso il nostro parlare (“te lo
ordino”);
- commissivi sono gli atti linguistici con i quali si assume un obbligo oppure sono
delle dichiarazioni relative a quest’obbligo. I commissivi sono tipicamente verbi
come ‘promettere’, ‘giurare’ e via dicendo;
- quelli relativi alle espressioni del comportamento tipicamente sono quelli con
cui io ti dico qualcosa che è relativo al mio comportamento. Quando, ad esempio, io
mi scuso, quando ad esempio io ti ringrazio, quindi se io ti ringrazio per qualcosa
sto, in qualche modo, descrivendo il mio comportamento, ti sto ringraziando e
quindi tu hai una descrizione in quel momento del mio comportamento.
- Espositivi gli atti linguistici espositivi, secondo Austin, sono quelli che
chiariscono delle ragioni; sono quelli con i quali noi esprimiamo le nostre
argomentazioni. Tipicamente, un verbo che rientra fra questi atti è ‘spiegare’: “lascia
che ti spieghi”, oppure ‘negare’ oppure ‘affermare’.
Anche John Searle si dedica a suo tempo, naturalmente, alla classificazione degli atti
linguistici e cambia la terminologia in misura pressoché totale. Per quanto riguarda la
classificazione di Searle, abbiamo:
- Atti rappresentativi: gli atti rappresentativi sono quelli che impegnano il parlante
rispetto a ciò che sta dicendo, rispetto alla verità di ciò che dice. Cioè quando io
parlo ad una persona, creo in quella persona una rappresentazione di me stessa
basata sulla veridicità di ciò che dico. Anche quando noi diciamo la cosa più banale
“E ti porterò lontano con la forza di un missile e ti prenderò per mano, ti porterò a giocare
su un prato e il telefono l’ho buttato e ho buttato tutte le pare” (tratto da “Tutto tua madre”,
J-Ax) anche questo è interessante ed è fatto per noi perché io posso dire “ma qui ci sono i
commissivi” oppure “c’è un livello illocutivo commissivo” cioè quello con cui ci si assume
un obbligo o si fa una dichiarazione relativa a questo obbligo, promettere giurare.
Un approccio più generale è stato elaborato da Paul Grice. Egli propone una serie di
massime cui normalmente si attiene chi produce un testo in una conversazione. Queste
massime sono strategie direttive e non “regole” come le immagina Searle.
Spesso si viola una massima per comunicare implicitamente qualcos’altro. Cioè, spesso si
è intenzionalmente indiretti, far capire, illudere, fare intendere piuttosto che dire
esplicitamente ciò che pensiamo.
Le implicature conversazionali sono delle informazioni implicite che stanno sempre in uno
scambio comunicativo. La teoria delle implicature conversazionali afferma che in una
comunicazione è sempre possibile ricavare un numero sorprendentemente alto di
implicature, delle quali noi non ci rendiamo neanche conto nella maggior parte dei casi.
Per esempio, se dico “hai visto l’ultimo di Woody Allen?” e tu mi rispondi “Francamente
no, da quando si è messo a fare le cose europee non mi interessa più”, quante implicature ci
sono in questo? C’è un’implicatura, la prima è che tu sai chi è Woody Allen, e la seconda è
che tu sei pure aggiornato sulla sua produzione.
Tutto questo ad un livello un po’ più alto rientra in quello che chiamiamo
COMUNICAZIONE. La comunicazione è l’insieme di parole, gesti e immagini e, come
dice Paul Watzlawick, la comunicazione modella la realtà. Perché la realtà non è quella che
molti pensano che sia, quello che noi vediamo, la realtà è quella che noi modelliamo
attraverso la nostra comunicazione e ogni fatto di comunicazione non trasmette solo
informazioni, ma nel momento stesso in cui si verifica ti impone un comportamento quindi
io non ti trasmetto solo informazioni, ma ti impongo un comportamento. Quindi questo che
significa ? Che la comunicazione ha una funzione pragmatica, ha la capacità di provocare
- Il primo assioma: è che non si può non comunicare. Ricordate quando vi ho fatto
l’esempio di quello se aveva sentito l’ultima canzone di Eminem e lui risponde solo
si? Comunque sta comunicando qualcosa.
Azione di discorso
Fra le massime di Grice e la classificazione degli “atti linguistici” di Searle c’è un campo
ancora inesplorato: come si manifestano le azioni nei testi o nei tipi testuali e sotto quali
controlli particolari? Bisogna cominciare con la definizione di AZIONE data da Von Wright.
Informatività
C'è un quinto criterio della testualità, che si chiama informatività, e questo è uno dei
criteri forse più sottili e difficili da individuare, è un po' intuitivo. Si tratta del grado di
informazione veicolato dal testo. Noi siamo portati a pensare che il testo sia tanto più
informativo quante più informazioni ci dà, ma questo non è vero. Il testo non è informativo
se ci dà più informazioni, al contrario il testo può essere molto informativo se trattiene
informazioni. Sicuramente ogni testo è in una qualche misura sempre informativo, cioè deve
dare delle informazioni perché altrimenti quel testo non avrebbe motivo di esistere. Per
esempio, se diciamo “il mare è composto d’acqua”, stiamo dando un'informazione inutile
perchè quasi tutti lo sanno, se invece diciamo che "il mare è composto d'acqua, di sale, e di
batteri, ecc.", allora in questo caso stiamo fornendo informazioni perché non tutti potrebbero
saperlo.
- Grado superiore o primo grado: è il grado più basso, infatti i testi che non
arricchiscono la comunicazione di fatti nuovi hanno un livello di informatività molto
basso. Le occorrenze di primo grado sono piuttosto banali perché sono integrate così
bene in un contesto o in un sistema da attirare su di sé ben scarsa attenzione. Per
esempio, il segnale dello stop si tratta di un testo che per quanto riguarda la
coesione e la coerenza e altri fattori, persino gli elementi di contesto come la forma
o il colore, portano tutti ad una predicibilità del significato di contesto per cui noi la
riconduciamo ad un’informatività di primo grado. C’è poco da ragionare, insomma.
Tanto è vero che in tante lingue, come anche la nostra, ci sono le PAROLE-
FUNZIONE (cioè articoli, preposizioni, congiunzioni) che segnalano più relazioni
che contenuti, suscitando quindi poca attenzione anche quando sono presenti in un
numero considerevole all’interno di uno stesso testo. A proposito di queste parole-
funzione, si tratta di parole che in un contesto comunicativo essenziale o di
emergenza posso anche farne a meno. Questo noi lo vediamo quando in letteratura
viene descritto il modo in cui si parla con qualche straniero. Questo, istintivamente,
testimonia il fatto che noi pensiamo che le parole-funzione siano accessorie e che
quindi le PAROLE-CONTENUTO (es. scopa, prendere, casa, pulire), ovvero
quelle che hanno valore lessicale, siano invece più importanti. Le parole-funzione
addirittura possono essere pronunciate velocemente, poco o male in alcune
occorrenze comunicative tanto da essere cancellate in una comunicazione. Nel
telegramma, infatti, si è tenuti alla massima economia e si cercano di evitare le
parole-funzione e si usano spesso contenuti cristallizzati. Questo fa parte
Svalutazione dell’informatività:
Chi riceve il testo intraprende una ricerca di motivazione che serve a capire perché sono
state scelte determinate occorrenze. Quando ci troviamo davanti ad occorrenze di terzo
grado, quindi molto informative, noi dobbiamo prestare maggiore attenzione per cercare di
coglierne il significato e in qualche modo reinserirle in quella che è la continuità di un
contesto. Se questa ricerca ha successo, allora le occorrenze di terzo grado possono essere
svalutate al fine di ottenere il secondo grado.
Fonti di attese:
Dicono Beaugrande e Dressler di fare attenzione perché ci sono delle fonti di attese, cioè
quando noi elaboriamo un testo applichiamo delle strategie che servono a cogliere e a
ordinare il mondo reale, a meno che la complessità del mondo reale non diventi indomabile,
cioè qualcosa che non riusciamo a domare. Queste strategie Beaugrande e Dressler le
chiamano “fonti di attesa", un riferimento che sta a monte di tutti i nostri tentativi di
comprensione di quel testo:
- Prima fonte di attesa: sicuramente la prima fonte di attesa è l'ordine temporale
degli elementi. Per quanto le scene possano sembrare molto sorprendenti e inattese
c’è sempre una sequenza temporale. Io mi aspetto che gli eventi disposti nel testo
seguano un ordine cronologico. Prima esce dalla doccia, poi mette l'accappatoio, poi
si pettina, ecc. Ci sono dei modelli strutturali dai quali veramente non possiamo
prescindere.
- Seconda fonte di attesa: la seconda fonte di attesa riguarda l'organizzazione della
lingua che noi utilizziamo in un testo. Questo riguarda proprio la lingua, anche
proprio tipologicamente e strutturalmente. Dicono Beaugrande e Dressler “ad
esempio in lingue come il tedesco o l’inglese, molte combinazioni sono dettate da
convenzioni arbitrarie";
- Terza fonte di attesa: la terza fonte di attesa deriva dalle tecniche con cui si
ordinano gli elementi o i gruppi di elementi in considerazione della loro
informatività. Quindi le proforme, le ellissi, l’intonazione. Io ti posso dire qualcosa
con delle parole che viene smentito dall'intonazione con cui te lo dico. Io ti posso
"La transcodificazione della metamorfosi di Franz Kafka" ad opera di Peter Cooper: Peter
Cooper fa una trasposizione de la Metamorfosi di Kafka in un fumetto. Un altro autore che
lavora alla transcodificazione di Kafka in fumetto è Robert Crumb.
Questo è il fumetto di Crumb. Qui è quando la madre e la sorella entrano nella stanza di
Gregor, il protagonista, che una mattina si sveglia e si ritrova trasformato in un insetto, che
La sorella un giorno entra nella stanza e vede Gregor che si arrampica sulla parete, allora lei
impedisce alla madre di entrare nella stanza perché non vuole che la madre veda il figlio
trasformato, però la madre lo vede comunque e sviene, questo è il modo in cui rappresenta
questo drammatico passaggio del racconto breve di Kafka in disegno.
Peter Cooper rappresenta la stessa scena con una espressività assolutamente diversa,
molto più marcata, e rappresenta in modo diverso anche il modo di parlare, le nuvolette:
infatti, ci sono quattro tipi diverse di nuvolette in una sola tavola. Quindi ci sta suggerendo
che queste voci cambiano, sono modulate in modo diverso di scena in scena. Quindi sta
facendo appello alla nostra competenza metalinguistica dicendoci di immaginare la donna
che parla a voce bassa, o immaginarla che urla.
La struttura resta la stessa, però il testo di Peter Cooper è sicuramente più informativo
perché dice quello che io già so. Robert Crumb prende alla lettere quello che Kafka racconta
(la madre e la figlia entrano nel soggiorno e lo scarafaggio si sta arrampicando alla parete
ecc.) e la reazione della madre, seppur disegnata, è quella che ci si aspetta. Peter Cooper,
invece, restituisce ad assoluta novità questi elementi perché li rappresenta in un modo che il
lettore non si aspetta. Anche il modo in cui fa svenire la madre è diverso, il modo in cui la
rappresenta è diverso; rompe le aspettative, quindi è un testo più informativo rispetto a
quello di Robert Crumb.
I casi standard sono quelle corrispondenze ricorrenti nei testi che noi ci aspettiamo. come
Beaugrande e Dressler le chiamano preferenze, ossia la tendenza a scegliere una possibilità
tra le tante a disposizione. Da queste immagini si può vedere che Peter Cooper rompe lo
schema delle aspettative, rompe lo schema dello stato standard e della preferenza perché
Beaugrand e Dressler dicono che "è evidente che il pensiero umano trova privo di interesse
tutto quello che è pienamente noto o, per dirla in termini di cibernetica, totalmente stabile”.
Il testo di Robert Crumb dal punto di vista cibernetico è troppo stabile, mentre quello di
Peter Cooper smuove le cose e vivacizza il racconto di Kafka. "Ecco perché la
comunicazione funziona come un costante sconvolgimento e ristabilimento della stabilità
mediante l'interruzione e il ripristino della continuità del testo e delle sue parti”. Allora gli
utenti del sistema (inteso come testo) devono avere le idee chiare su come funzionano i
principi del testo, altrimenti l'uso del sistema risulta compromesso o bloccato. Se chi vuole
essere uno specialista dei testi non sa come funziona il sistema, allora l’utilizzo che ne fa
risulterà compromesso o bloccato. A questo punto possiamo forse affermare che Robert
Crumb sia un bravissimo disegnatore, ma non conosce bene come funziona il sistema testo,
perché dovrebbe sapere che un testo si completa nella sua testualità se vi ricomprende
anche l'informatività, altrimenti è inutile. Robert Crumb disegna uno scarafaggio che si può
reggere a una parete, non va contro le leggi di gravità, però ancora una volta il suo testo è
meno informativo, dimostra di non conoscere fino in fondo le leggi del testo.
Ci sono dei casi in cui l'ambiguità, le contraddizioni e le discrepanze che impediscono l'uso
del sistema sono tenute in serbo per raggiungere effetti particolari (è il caso delle barzellette
o degli aforismi). In pratica l’autore può addirittura introdurre degli strumenti di disturbo
perché ha un obiettivo, quello di raggiungere effetti particolari.
Situazionalità
Chi produce il testo, registra un oggetto o avvenimento inatteso e lo assume come TOPIC
del testo. Quando si produce un testo, posto un topic, noi dobbiamo essere pronti ad
accettare dei NEGOZIATI (cioè o rifiuto quel topic o lo accetto). Negoziato che può
svolgersi all’interno del testo, oppure negoziato che l’autore del testo propone a noi in
quanto destinatari del testo. Noi, in quanto destinatari, non dobbiamo avere un
atteggiamento stolido. Dobbiamo essere pronti ad accettare dei negoziati. Ci sono dei testi
che presentano dei negoziati che noi rifiutiamo, in quel caso rifiutiamo di leggere quel testo;
oppure rifiutiamo di comprendere il significato di quel testo. Ma il più delle volte, noi
accettiamo il negoziato che ci viene proposto all’interno di un testo. Il negoziato cosa è? È
un’operazione di scambio, dove io ti do qualcosa e tu mi dai qualcosa in cambio. Tutti i
contesti prevedono un negoziato.
Come si trasferisce il negoziato nel testo? Dov’è il negoziato nel testo e nel parlare? Per
esempio, in questo testo di Shakespeare (Enrico V):
Il testo ci sta invitando ad immaginare un mondo diverso, a non pensare al nostro modello
del mondo o della realtà, ma ad immaginare quel tipo di mondo, che esso sia reale, e che noi
concediamo all'autore che quel mondo sia fatto in quella maniera, altrimenti la lettura
diviene inutile.
Oppure, quando parliamo con qualcuno e diciamo “Ti prego, non rispondermi così”, questo
è un negoziato. “Ti prego, non rispondermi così”; “Ti supplico, non parlarmi in questo
modo”. C’è una richiesta, una domanda. C’è l’attivazione di un negoziato ed è un modello
che si trasferisce anche nelle strutture testuali.
Questo è quello che avviene in un testo che la gran parte di noi conosce. Mi riferisco a “I
promessi sposi”. “I promessi sposi” comincia proprio con un espediente di questo tipo,
Esistono delle proforme che rimandano a delle realtà che sono esterne al testo. Quindi o si
fa appello ad una conoscenza del lettore, come nel testo di Manzoni, o si chiede di
immaginarlo. Anche le proforme sono elementi che a pieno titolo concorrono alla
definizione della situazionalità. Ed in particolare dobbiamo imparare a riconoscere le
esofore, e dobbiamo imparare a riconoscere se l'autore del testo fa esplicitamente appello a
noi e alla nostra conoscenza o se dà per scontato una nostra finta o reale conoscenza.
Allora, vedete, i pronomi di prima e seconda persona sono di per sé esoforici perchè
designano chi produce e riceve il testo, tuttavia posso utilizzare il pronome di prima e
seconda persona in modo generico, però questi comunque conserveranno una carica
designativa che riguarda sia chi produce sia chi riceve il testo, bisogna quindi fare
attenzione a queste cariche residuali. Tuttavia, l’esofora può designare anche altri
partecipanti alla comunicazione oltre a chi produce e a chi riceve il testo, ad esempio per
mezzo di pronomi di terza persona o deittici quali questo o quello (per esempio, “questo è
il mio amico Luigi”). I deittici, infatti, possono servire ad indicare una situazione o una
successione di avvenimenti nella loro globalità.
A volte può succedere che anche su fini per i quali noi di solito siamo d’accordo, ci possono
essere delle difficoltà in situazioni normali, in situazioni semplici come ad esempio il fatto
che io ti voglio chiedere una mela e vedo che tu hai lì vicino una bella mela. Questa mela è
tua, io te la voglio chiedere e però so che se te la chiedo in modo diretto tu non me la dai.
Allora io devo mettere in atto una strategia di orientamento della situazione, alla fine della
quale tu quasi mi chiedi di prenderti questa mela perché me la vuoi regalare, e io quasi quasi
ti dico pure “ma no guarda, non esiste proprio”. Allora proprio perché ti sto dicendo non mi
permetterei mai, tu insisti ancora di più per regalarmela. E alla fine quasi ho fatto un favore
io a te prendendoti la mela che ti ho indotto a darmi con l’orientamento della situazione.
Quindi, vediamo che l’orientamento della situazione deve coinvolgere pure un
NEGOZIATO SUI FINI, ossia dei metodi atti a raggiungere l’approvazione e la
collaborazione di altri. Noi spesso non negoziamo solo sul contenuto, ma anche sui fini.
Dicono Beaugrande e Dressler che il primo livello in cui noi negoziamo sui fini è quello del
CHIEDERE, quando noi abbiamo dei testi in cui chiediamo qualcosa. Noi possiamo
semplicemente CHIEDERE a qualcuno di fare o di dirci qualcosa e questo già è un
negoziato. Poi possiamo invocare un tema (un tema è un topic che ritorna sempre nel
discorso) o informare l’interlocutore delle nostre ragioni e questo è diverso perché se io ti
dico le mie ragioni allora ci troviamo ad un livello più alto di negoziato (quindi, chiedere-
invocare-informare). Con il negoziato si può concludere col partner un’azione di scambio
per un favore o per un oggetto desiderato, ma nel caso in cui falliscono tutte le azioni di
discorso e non si arriva a nessun risultato, secondo Beaugrande e Dressler si potrebbe
passare ad altro, come minacciare o sopraffare il partner. In questo caso, quando un agente
passa alle azioni più estreme, possiamo usare il termine di ESCALATION della
PRATICA PROGETTUALE. Una simile escalation potrebbe verificarsi anche all’interno
di una singola pratica progettuale. Cioè, io posso formulare in modo più dettagliato la
domanda e, inoltre, si può intensificare l’azione di scambio offrendo favori più grandi o
oggetti più prezioso, o si può minacciare in modo sempre più deciso e violento o accentuare
la SOPRAFFAZIONE con armi più distruttive.
(maestro di questo è proprio Shakespeare perché Shakespeare riesce a creare dei dialoghi
soprattutto, nei quali mostra come il negoziato può arrivare a un livello talmente alto che addirittura
poi si può risolvere in vere e proprie tragedie, e quindi qualcuno magari si uccide, si suicida.)
Strategie:
Prendiamo il testo tratto dal libro “Le Avventure di Tom Sawyer”. Si tratta di una scena ben
costruita, c'è Tom che è costretto a verniciare uno steccato, allora passa Ben e lo prende in
giro "ti è andata male oggi, io vado a farmi un bagno" e Tom che da un lato è infastidito da
questo approccio e però ha anche un fine, però questo fine non lo può dire ed è un fine
veramente malefico, cioè vuoi vedere che io riesco a far fare a questo scemo il lavoro che
sono costretto a fare io? Non solo questo, mi deve anche ringraziare che glielo faccio fare.
Twain riesce a costruire questo dialogo e lo rende anche credibile. Questo dialogo dimostra
tutto ciò che noi stiamo dicendo sui fini e sulla progettualità.
L'invocazione di un atteggiamento cortese e amichevole o il tentativo di nozioni di
scambio, possono avere più fortuna di altre strategie.
Beaugrande e Dressler fanno una lista di strategie su come orientare una situazione,
affermando però che non tutte queste strategie possano funzionare:
- Strategia 1 quando si esercita un controllo sulla situazione per cominciare un
discorso. Per esempio, quando incontriamo qualcuno e ci inizia a parlare del tempo,
questo ci fa capire che non vuole parlare di altro. Questa considerazione è poco
informativa, perché tutti possono vedere che tempo fa, però non suscita conflitti. (a
volte un controllo riferito al tempo può anche essere rivalutato).
- Strategia 2 se il contributo di qualcuno non si accorda con la propria opinione
non lo si deve accettare. Lo si può rifiutare, mettere in dubbio, ignorare o sostituire
col proprio controllo. La scelta di una di queste possibilità dipende, molto spesso,
dalla dominanza sociale che c’è tra i partecipanti.
- Strategia 3 per incoraggiare una escalation della pratica progettuale si rivaluta
l’oggetto o l’azione che ci si chiede di dare o fare;
- Strategia 4 se un controllo non viene accettato, lo si sostituisce con una versione
meno mediata. Per esempio, nel racconto di Tom Sawyer, Ben si accorge che il suo
controllo non viene riconosciuto e quindi si mette vicino a Tom per essere notato
meglio e cerca di cambiare strategia.
- Strategia 5 si proiettano i propri desideri e fini sugli altri partecipanti; a meno
che non vi sia un’evidenza contraria. Questa strategia è fine perché fa riferimento
proprio al meccanismo della proiezione, che è uno dei meccanismi più potenti
nell’ambito della psiche umana, per esempio io posso proiettare nell’altra persona il
negativo di cui ho paura. Quindi quando qui parliamo di strategia numero 5 (la
rilegge) stiamo parlando di un meccanismo parecchio articolato, parecchio difficile
da mettere in atto.
- Strategia 6 se i controlli dei partecipanti non sono in pieno accordo reciproco, si
dovrebbe negoziare il senso dei concetti controversi del topic;
- Strategia 11 per rivalutare il proprio contributo e avviare l’escalation a
Tutto questo è per dire che quando si mettono in atto queste strategie quello che noi
rivediamo di solito è che chi lo fa invoca dei temi, cioè c’è un tema, faccio riferimento a
quel tema, invoco quel tema, mi aggancio a quel tema e quel tema di solito tu non me lo
puoi negare. Quindi invocazione di temi e informazione sulle ragioni: quanto più il tema
che tu invochi è alto (per esempio la patria), tanto meno io ti chiedo informazioni sulle
ragioni, non mi permetto nemmeno di chiedertele. Se mi parli del padre eterno non ci
mettiamo a discutere se esiste.
Beaugrande e Dressler dicono che i testi devono essere accettabili, se un testo diventa
accettabile non è dovuto necessariamente alla sua correttezza rispetto al mondo reale, un
testo non è corretto solo perché riflette la realtà del mondo. In un testo possiamo anche
trovare una persona con 3 braccia e 2 nasi, l’importante è che l’autore renda questo testo
credibile, rilevante.
L’intertestualità è l’insieme di rapporti che ogni testo intrattiene con tutti gli altri testi e che
permette al ricevente di collocarlo in una determinata tipologia testuale (per es.: indicazione
stradale, messaggio pubblicitario, poesia, fiaba). Quindi, i testi si organizzano in base a
categorie e tipi riconoscibili dal lettore e ogni tipo è caratterizzato da delle regole proprie
che inducono nel lettore una serie di aspettative che lo aiutano nella comprensione dei testi.
I tipi di testo (o tipi testuali) sono classi di testi in cui sono attese determinate
caratteristiche per determinati scopi. Per la determinazione della tipologia di un testo si può
far riferimento a fattori sia interni che esterni. Le classificazioni quindi dipendono dalla
forma e l'uso di un testo. In particolare, si classificano i testi in base allo scopo
dell'emittente, il tipo di destinatario e il contesto comunicativo. Tali variabili influenzano o
determinano le caratteristiche linguistiche del testo (in particolare, la scelta del lessico,
della sintassi, delle forme verbali). I fattori interni di un tipo testuale sono caratteristiche
strutturali che si mostrano nella costruzione del testo, come la divisione in paragrafi,
i riferimenti incrociati o la costruzione del periodo. Fattori esterni al testo sono quelli che ne
determinano la nascita, l'utilizzo e lo scopo.
Noi facciamo in continuazione una mediazione tra tipi testuali. Se io faccio una citazione o
un’allusione a testi letterari che già esistono, la mediazione si restringe perché faccio una
mediazione ristretta a quel testo. Quindi CITAZIONE E ALLUSIONE indicano che la
MEDIAZIONE si RIDUCE. Attenzione però, perché è vero che esistono questi testi già
decisi e selezionati però è anche vero che ogni individuo è diverso e il linguaggio di ogni
individuo ha versioni proprie. IL LINGUAGGIO DI OGNI INDIVIDUO HA VERSIONI
PROPRIE DEI TIPI TESTUALI COMUNI dice Dressler.
“Vieni a vivere con me e sii il mio amore e proveremo tutte le gioie che offrono valli,
boschetti, colline e campi, foreste o ripide montagne.”
Nello stesso anno in cui Marlowe scrive questo componimento, c’è un altro autore, Walter
Raleigh, che scrive la risposta della ragazza al pastore:
“Se tutto il mondo e l’amore fossero giovani e verità sulla lingua di ogni pastore, queste
gioie potrebbero indurmi a vivere con te e ad essere il tuo amore.”
Raleigh suggerisce di superare quello schema, ma la cosa che ci interessa dal punto di vista
dell’intertestualità è che se non ci fosse stato il testo di Marlowe, lui non avrebbe fatto il suo
testo. Quindi c’è un ALLUSIONE AL TESTO di Marlowe.
Raleigh e Donne hanno deriso le richieste del pastore, ma non la scelta dei temi
operata da Marlowe. Quindi loro stanno prendendo in giro le richiesta del pastore, ma non
la scelta del tema. Il tema, quello che 300 anni prima aveva individuato Marlowe, se voi ci
fate caso non è mutato, è identico, è lo stesso. Però c’è questa allusione al testo su un altro
livello che costituisce una derisione di quel contenuto.
Quando queste allusioni al testo sono esattamente perspicue, con tanto di nome e cognome
del testo, allora, l’intertestualità è evidentissima.
Per esempio:
Nella prima domanda del procuratore, c’è una richiesta di chiarire chi è l’agente, cioè chi è
noi. Il procuratore non si focalizza sugli altri aspetti della narrativa, ma dice qualcosa che
non c’entra nulla con ciò che ha detto Pfeiffer. Il procuratore irrompe con una domanda “chi
è noi?”, ovvero fa una richiesta del chiarimento del topic. Poi il testo continua, Madre
Courage chiede per quanto tempo non sopporta ingiustizie, un’ora o due. Qui Madre
Courage sta facendo una richiesta di esplicitazione del topic riguardo alla relazione di
tempo. Nel testo, Madre Courage vuole avere delle informazioni precise. Quindi relazioni di
agente, di tempo (come ci ha fatto rilevare Giovanna), di localizzazione, di scopo, di
possesso.
Una pro-forma è per sua natura variabile e tu la devi rendere perspicua quando qualcuno
te lo chiede. Che significa variabile? Significa che tu usi una pro-forma e questa pro-forma
può essere riferita a diverse parti del testo, o meglio a parti diverse nel testo e tu non puoi
approfittare di questo. Questa variabilità della pro-forma, che può essere sempre la stessa
ma riferita a parti diverse nel testo, ad esempio IT in inglese, tu la devi riferire in modo
perspicuo e univoco a un referente.
L'inferenziazione
Per scrivere un testo bisogna conoscerne anche i criteri di formularità. Di cosa si tratta? La
formularità raggruppa i criteri che dobbiamo padroneggiare quando abbiamo la pretesa di
produrre un certo tipo testuale. Per scrivere un testo devo conoscerne le meta-regole, come
per esempio l’attacco e la conclusione. Per esempio, l’attacco formulare di una email può
essere “gentile professore”, “egregio professore”, ecc.. Quelle più utilizzate sono abbastanza
poche, quindi se qualcuno scrivesse “gentile docente” capiremmo che chi scrive ha poco
presenti gli attacchi formulari del testo che ha scritto. Anche le formule di commiato sono
poche. Inoltre, queste formule possono cambiare a seconda delle varie lingue e della persona
a cui ci si rivolge.
Quando un linguista vede un testo, che sia anche un testo minuscolo in un fumetto o su una
panchina della stazione, si chiede “cos’è questo testo? E’ informativo? C’è coerenza e
coesione? C’è un pensiero dietro a questo testo?”. Questi testi non hanno un nome proprio,
non hanno uno studio dal punto di vista dell’intertestualità, e si caratterizzano per la loro
precarietà. Esistono moltissimi testi che sono considerati secondari e che si possono
definire precari. Questa è la testualità precaria. Questi testi, quindi, sono testi scritti sul
corpo, sulle panchine, sui banchi, sugli alberi ecc… Sono testi che a volte possono essere
importantissimi. La testualità precaria noi la troviamo continuamente e non dobbiamo
pensare che questi testi siano inutili, o che sporchino soltanto, ma da un punto di vista
linguistico dobbiamo cercare di capire quale sia il loro statuto testuale. Questi testi possono
essere anche più forti di quelli che solitamente sono considerati importanti. Possono avere
un aspetto illocutivo. Che significa? In linguistica, illocutivo è l’enunciato con il quale il
parlante esprime la sua volontà di affermare, chiedere, ordinare, offrire, promettere, rifiutare
ecc… Tale volontà, o forza illocutiva, si manifesta nell’enunciato in varî modi: tramite una
particella, il modo del verbo, l’intonazione; per esempio, nell’enunciato «Sei andato dal
medico?», l’indicatore di forza illocutiva è l’intonazione interrogativa.
Bisogna analizzare un testo in base alla sua informatività, cioè la misura in cui una
presentazione testuale è nuova rispetto alla precedente. La loro densità informativa.
Noi, per adesso, non ci possiamo soffermare su quelle che sono le vere e proprie
classificazioni dei testi. A cosa pensiamo quando pensiamo ad un testo? Ad un giornale, ad
un libro, ad una poesia ecc… Sono poche le forme testuali che ci vengono in mente e,
sicuramente, non ci vengono in mente i testi precari (tipo scritte sulla sabbia o scritte sul
corpo, per esempio). Come classifico, però, questi testi? In realtà un’etichetta esatta non
esiste per questi testi. Ma anche per i testi a cui siamo più abituati (tipo i testi sui vestiti) non
ci siamo mai preoccupati di dargli un nome.
Tuttavia, per alcuni testi si sono formate delle etichette. Come chiamiamo, ad esempio, quel
testo che ha avviato la possibilità di lanciarsi un messaggio in forma testuale, quando l’unica
Come si chiama, invece, un testo su facebook? Post. Questa è un’altra etichetta perché la
parola “post” identifica questo tipo testuale su facebook. Se vogliamo parlare di un
messaggio su whatsapp o telegram, invece, parliamo solo di “messaggio”, non c’è una
etichetta in questo caso per un testo su whatsapp o telegram.
PERTESTUALITA’
Secondo l’Encyclopedia of Language and Linguistics, nel fumetto ci sono solo tre gruppi
principali di testo scritto:
Il testo nella nuvoletta
Il testo nella vignetta
La cosiddetta “didascalia”.
E’ come se la pertestualità non fosse vista o considerata, i pertesti non vengono classificati.
Il testo nel corpo della vignetta (ad esempio “bam!”) non sempre è indispensabile, mentre il
pertesto molto spesso è indispensabile perché dà una informazione al lettore che è
necessaria (ad esempio un cartello stradale su cui c’è scritto “Warning!” o una lettera nella
quale c’è scritto qualcosa di importante). Quindi, quella definizione dell’Encyclopedia è
sbagliata.
Quindi c’è una volontà dell’autore di rendere quella che è la funzione del pertesto.
I pertesti non sono né testi nella nuvoletta né testi nella vignetta, né didascalie, ma sono altre
cose.
Molto spesso il pertesto è perspicuo, nel senso che ci dà delle informazioni molto precise,
per esempio nome e cognome del ricercato e anche perché è ricercato, per assassinio, c’è
un’informazione molto precisa. Questo è un fumetto che risale all’epoca fondativa di
Wonder Woman, questo personaggio è Wonder Woman, non è certamente la W. Woman che
noi conosciamo adesso, diciamo che si è evoluta, qui siamo negli anni ’50. Nella vignetta
numero 2, il pertesto non è leggibile, nella vignetta numero 3 il pertesto diventa leggibile.
Stessa cosa, spero che vediate il topolino qui, con la lettera in mano, “Topolino contro
Wolp” , storia vecchissima. Lui riceve una lettera perché Minnie viene rapita con scritto
“Topolino se volete che Minnie sia resa, venite a prenderla al castello della Rocca,
conducendo con voi mille capi di vaccine che mi terrò come riscatto, se tarderete non la
vedrete più, firmato Wolp”. Il pertesto è enorme, vi ho fatto vedere questo per
sensibilizzarvi rispetto al fatto che la pertestualità, anche è diacronica, non è che il pertesto
nasce in modo già ben definito. Il pertesto ha una sua storia e una sua evoluzione. Oggi
giorno rappresentare un pertesto così ingrandito, forse sarebbe un po’ percepito come
qualcosa di superato, questo per dire che c’è una storicità anche da questo punto di vista. Vi
mostro adesso una slide in cui ci sono tutti gli elementi metatestuali del fumetto: la
nuvoletta è il nome con cui si designa il contenitore del parlato scritto, se voi prendete testi
della prima produzione, soltanto se vogliamo parlare di quella italiana, qui sto prendendo la
tradotta, che è un periodico dei cosiddetti giornali di trincea, che venivano mandati ai soldati
che stavano al fronte, durante la prima guerra mondiale. Quindi contenevano anche delle
brevi storie, e qui si cominciava a vedere qualche esempio di nuvoletta, perché la tradizione,
ad esempio nel corriere d iPiccoli che compare nel 1908 in avanti voleva che il testo parlato
fosse rappresentato, magari in rima, e sotto la vignetta, non certo nella nuvoletta, che era
considerata una cosa un po’ di registro basso, comunque si comincia a vedere qualche
nuvoletta, e qua la pipetta, ovvero la punta della nuvoletta, che indica la direzione da cui
proviene il parlato.
Allora, se voi vedete, vi ricordo rapidamente i parametri della variazione linguistica: sono la
diacronia (variazione in rapporto al tempo), diatopia (variazione, il fenomeno linguistico in
rapporto allo spazio), diastratia (la variazione del fenomeno in rapporto alla condizione
sociale dei parlanti), diamesia (in rapporto al mezzo che abbiamo tangenzialmente
accennato all’inizio), diafasia (variazione con rapporto alla situazione), quello che non è
rilevato è la pertestualità cioè il testo mediato da un altro testo, i pertesti così come altre
forme della testualità che sono le imitazioni del parlato, la didascalia, ecc. hanno sempre
una funzione, se c’è quel testo là dentro è perché ha sempre una funzione, un testo non sta
mai per caso da nessuna parte, nemmeno se un bambino scrive una dedica, la più tenera del
mondo, alla sua mamma, quello ha una funzione.
I testi hanno sempre una funzione, così come ce l’hanno i testi riconosciuti come tali, ce
l’hanno anche i pertesti, ora noi, se voi vedete questo schemino “+ scrittivo, - (meno)
scrittivo” i tipi testuali che entrano nel parlato o se ne distanziano sono diversi, cioè è come
se ci fosse una gradazione, una gradualità, non è che sono tutti allo stesso modo
intenzionalmente scrittivi o imitazione del parlato, ma c’è una gradazione: ci sono dei testi
Molto spesso, i traduttori dei fumetti si limitano a tradurre ciò che c’è nelle nuvolette e tutto
il resto, tralasciando però i pertesti. Spesso i traduttori ritengono di non dover intervenire sul
pertesto e questo, dal punto di vista funzionale, indebolisce il testo nella sua complessità,
perché ha tolto un’informazione che poteva essere rilevante (per esempio, in un fumetto di
Batman c’è il protagonista che esce dalla banca e sull’edificio c’è scritto “Bank” nella
versione italiana, quindi il pertesto non è stato tradotto). Inoltre, spesso il pertesto viene
proprio cancellato in alcune traduzioni, come se fosse percepito come qualcosa che non è
importante.
Vittorio Giardino, invece, è un fumettista italiano che dedica al pertesto una cura
eccezionale. Mostra una vignetta in cui c’è un personaggio che sta davanti a un botteghino
del teatro e sta comprando o chiedendo un’informazione. Vittorio Giardino disegna anche la
locandina dello spettacolo che c’è quella sera e se ingrandiamo, vediamo che in questa
locandina riusciamo a leggere anche i nomi degli attori, dei personaggi, ecc. Quindi c’è una
cura attenta, meticolosa al pertesto.
Vediamo adesso alcune definizioni dei pertesti da parte di alcuni specialisti del fumetto:
David Berona, su un articolo dedicato al testo nel fumetto, definisce i pertesti rappresentati
nel fumetto con la parola signs, mentre gli altri tipi di testo li chiama words, parole. Un altro
autore significativo, N.C. Couch, in un articolo dedicato a Yellow Kid, che rappresenta la
fondazione del fumetto moderno, e che tra l’altro è pieno di pertesti, definisce i pertesti con
la parola text, quindi per lui sono dei testi. Per Annalisa Miglietta i pertesti rientrano tra le
immagini, questa studiosa quando incrocia i pertesti, lei li classifica come immagini, non
vede proprio che siamo di fronte a un testo. F. Ruggiano, invece, che anche opera nel
campo della linguistica italiana, chiama i pertesti oggetti. Ruggiano non identifica l’aspetto
testuale nel pertesto, è lampante. Ladinse Lotti non sa come definire il pertesto, oppure li
definisce come messaggi che si inseriscono dentro il disegno, però riconosce una cosa
importantissima: “Questi messaggi che si inseriscono dentro il disegno, che non saprei come
definire, a pensarci bene rappresentano la zona più critica per il traduttore”. Se ne rende
conto, ma non affronta la cosa. J. Podeur ha dedicato parte della sua attenzione di ricerca
alla traduzione del fumetto e definisce il pertesto come una “scrittura dentro il disegno” o
come “iscrizioni”, poi però anche lei dice effettivamente che questo è l’aspetto più difficile
da gestire per i traduttori, queste iscrizioni sono il luogo dell’incertezza.
“Un grande razzo V-2 nero e giallo e lungo 46 piedi stava in un deserto del Nuovo
Messico. Vuoto pesava cinque tonnellate. Come carburante aveva caricato otto tonnellate
di alcool e ossigeno liquido. Tutto era pronto. Scienziati e generali si ritirarono ad una
certa distanza e si misero al riparo dietro dei terrapieni. Due razzi luminosi rossi si
alzarono come segnale per la partenza del razzo. Con un grande frastuono e una grande
emissione di fiamme l'imponente razzo si levò, prima lentamente e poi sempre più veloce.
Dietro di sé trascinava una striscia gialla di fiamme lunga venti metri. Ben presto la
fiamma ebbe l'aspetto di una stella gialla. Pochi secondi dopo sparì alla vista, ma sul radar
si poteva osservare come esso schizzasse via alla velocità di tremila miglia all'ora. Pochi
minuti dopo la partenza il pilota di un aereo ricognitore lo vide ritornare ad una velocità di
duemilaquattrocento miglia all'ora e schiantarsi al suolo a 40 miglia dal punto del
decollo.”
Questo testo è importante perché viene utilizzato per dimostrare che se noi
volessimo spiegare tutte le reti concettuali, tutti gli relazioni che tengono assieme tra loro i
vari elementi, si tratterebbe di un lavoro infinito. Lo sforzo che fanno qui B. e D. è quello di
mostrare come questo testo abbia una sua coerenza, sebbene manchino informazioni, e per
farlo loro ricorrono a uno schema dei vari elementi, ossia le parole che compongono il testo,
collegandolo tra di loro grazie ai concetti primari e secondari e dimostrando che mediante
questi concetti noi possiamo riprodurre il ragionamento che facciamo quando leggiamo un
testo.
Quando ci troviamo davanti ad un testo, la prima cosa che dobbiamo fare è individuare il
centro di controllo di quel testo, cioè capire qual è l’elemento attorno al quale ruota
tutta la coerenza testuale e in questo caso il centro di controllo è il razzo. Bisogna
immediatamente individuare il centro di controllo perché è da qui che partono tutte le
informazioni e qualunque informazione, anche quella in fondo al testo, la devo poter
collegare al razzo. Il centro di controllo è anche il concetto di oggetto, cioè quello che si
riferisce a entità concettuali con identità e costituzioni stabili.
A questo concetto sono assegnati degli attributi, cioè delle condizioni particolari e questi
attributi sono: la grandezza, infatti leggiamo che è molto grande e lungo, poi un altro
attributo è il colore (sappiamo che è nero e giallo) e poi un altro attributo è quello della
localizzazione, infatti sappiamo che si trova in Messico e in un deserto. Sappiamo anche il
nome del razzo: V-2. Dicono Beaugrande e Dressler che tutte queste relazioni concettuali
possono essere inserite in una rete e al centro di questa rete mettiamo il concetto d’oggetto,
quindi il razzo che è il centro di controllo, e da questa parola dipartono gli altri concetti,
quindi noi andiamo a mettere in corrispondenza di ogni concetto la sigla del concetto
stesso, quindi “grande, nero e giallo” sono definiti con la sigla “at”, ossia sono attributi di
razzo, per V-2 invece scriviamo che è un “sp”, cioè un attributo di specificazione ecc. In
questo modo abbiamo trasformato un frammento di testo in uno schema.
Questo schema ci mostra come un certo autore lavora ai suoi testi e come li crea.
L’elaboratore, infatti, passa da uno stato attuale a quello successivo in modo da tentare di
identificare il tipo di nodo da raggiungere appoggiandosi all’attivazione ampliata,
E’ importante sapere che nel primo paragrafo del testo sul “razzo” c’è un MACROSTATO
concettuale nel quale i singoli concetti sono MICROSTATI.
Una cosa importante dicono B. D. è che nello schema la pro-forma deve essere soppressa,
non è necessario riprenderla perché in questo modo, di volta in volta, prenderebbe il posto
della nozione centrale e questo impedirebbe l’analisi più estesa del testo.
Anche le inferenze sono molto importanti per la coesione di un testo e questo testo è pieno
di inferenze. Inferenziare vuol dire combinare e collegare le informazioni allo scopo di
costruire dei piani testuali coerenti. Per esempio, quando dice: “scienziati e generali si
ritirarono in una certa distanza e si misero al riparo dietro dei terrapieni”. Qui abbiamo
un’inferenza; non ci viene spiegato perché si ritirarono a una certa distanza, ma noi
sappiamo che lo fanno per non rimanere bruciati, per non morire. Quindi, noi dalla nostra
enciclopedia mentale ricaviamo l’informazione che è persino inutile dare e cioè che, se
quelli stavano lì, finivano polverizzati dalla fiammata del razzo. Noi accettiamo questa cosa,
la diamo per scontato. Questo è molto importante, perché quando noi ci troviamo di fronte a
un testo che, tutto sommato si capisce, allora siamo portati a pensare che, chi ha scritto quel
testo non ha visto la necessità di aggiungere quel determinato dettaglio perché ha fatto
affidamento sulle nostre capacità di fare inferenze condivise. Il problema si pone allora, in
questi termini: fino a che punto si assomigliano il mondo testuale di chi produce il testo e il
mondo di chi lo recepisce? E’ un mistero (ad esempio il prof non capiva l’email della
studentessa, non capiva a quale esame si riferiva perché lei aveva detto “il seguente esame”
senza specificare). Però la capacità di fare inferenze non è una cosa che hanno tutti.
Beaugrande e Dressler vogliono farci vedere che a mano a mano che andiamo avanti
nell’analisi di questo testo lo schema diventa sempre più complicato, ma sarebbe molto più
complicato fare uno schema di tutte le possibili inferenze che noi facciamo quando
leggiamo un testo. Alla fine, noi vediamo che un testo così semplice mostra una complessità
che non avevamo mai pensato fosse possibile, con questa rete di collegamenti basati sui
concetti primari e secondari.
In qualsiasi testo c’è sempre una discontinuità. Anche in questo testo così semplice ci sono
delle discontinuità, infatti noi non sappiamo, per esempio, cosa stessero guardando quegli
scienziati. Quindi è vero, ci sono delle discontinuità, ma la maggior parte delle volte non ce
ne accorgiamo.
Allora, questo esperimento per B. e D. costituisce come una topografia del testo
(rappresentazione grafica).
Testo coeso ma non coerente: “con tutti i miei compagni di classe ho fatto subito amicizia;
con qualcuno no, perché è meno simpatico.”