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1.1.

L'approccio comunicativo

A partire dagli inizi degli anni '70, grazie al contributo della


sociolinguistica e della sociosemantica (Hymes, Halliday,
Searle, Austin), si sviluppò un orientamento didattico ormai
comunemente definito come approccio COMUNICATIVO.

Tale innovazione nell'ambito della didattica delle lingue si


configurò come critica alle applicazioni glottodidattiche
delle teorie di Chomsky. Il cognitivismo aveva infatti
promosso un insegnamento delle lingue straniere basato
sulla necessità di far acquisire quelle regole profonde che
avrebbero messo lo studente in grado di produrre una serie
limitata di frasi grammaticalmente corrette. Esaltando la
'competenza linguistica' del discente, cioè la sua
conoscenza di quell'astratto sistema di regole che gli
permetteva di capire e creare frasi corrette
grammaticalmente e quindi accettabili nella comunità di
parlanti cui appartiene, si era finito con l'esaltare il
prodotto linguistico piuttosto che il processo di
apprendimento stesso. Lo studente diventava un soggetto
consapevole, il centro di un processo di scoperta ed analisi
delle regole della lingua straniera studiata (come reazione
alla concezione meccanicistica dell'approccio audio-orale)
ma ancora una volta lo studio era metalinguistico più che
linguistico. Il risultato fu una generazione di studenti con
buone capacità di analisi linguistica ma con evidenti
difficoltà nell'esecuzione dei più semplici scambi
comunicativi, l'enfasi sulla COMPETENCE (che Chomsky
definisce la conoscenza perfetta della lingua da parte di un
parlante ideale che vive in una comunità omogenea, e che
non è soggetto ad alterazioni dovute a limiti di memoria,
distrazioni, calo d'interesse o attenzione) aveva prodotto
come risultato una PERFORMANCE (uso della lingua in
condizioni sociali caratterizzate da alterazioni dovute ai
fattori sopra indicati, fattori definiti irrilevanti
grammaticalmente) del tutto insoddisfacente.

Questa contrapposizione tra lingua ed uso della lingua, tra


competenza ed effettiva esecuzione fu superata appunto
nella concezione sociolinguistica di Hymes. Egli criticò la
visione di performance come stato imperfetto risultante da
fattori deprivati di dignità scientifica. La linguistica
applicata, a suo parere, doveva invece avvalersi di una
teoria che potesse dar conto della varietà linguistica
prodotta da una comunità disomogenea in cui gli scambi
comunicativi fossero studiati nella loro interezza, come atti
verbali, sociali e psicologici. Da qui l'allargamento del
concetto di competenza linguistica a COMPETENZA
COMUNICATIVA intesa come conoscenza ed uso della lingua
nei suoi quattro parametri fondamentali:

Grammaticale

Psicolinguistico

Socioculturale

Di fatto.

In questa nuova visione la conoscenza grammaticale


corrisponde alla competenza linguistica chomskiana, ma a
questa vengono aggiunte la conoscenza dei fattori
psicolinguistici e socioculturali che influiscono sull'uso reale
che il parlante fa della lingua. Tale utilizzo 'de facto'
dipende perciò dalla conoscenza e dall'uso che ogni singolo
individuo fa di essa. La competenza comunicativa verrà
quindi allargata a comprendere quei comportamenti
pragmatici individuabili nelle sotto-competenze:
paralinguistica, cinesica e prossemica

Lo studio del linguaggio come comportamento sociale


viene ripreso da Halliday, linguista britannico che
sviluppa, negli anni '70, una teoria socio-semantica del
linguaggio. Esiste, a suo parere, una rete di sistemi
interconnessi di tipo comportamentale (behaviour options: I
CAN DO), semantico (semantic options: I CAN MEAN) e
linguistico (linguistic options: I CAN SAY) che regolano la
lingua. In questo sistema le opzioni semantiche vengono
considerate direttamente derivanti dalla struttura sociale
ed i messaggi linguistici non sono mai 'neutri' ma
adempiono a delle funzioni comunicative precise
riconducibili a sette: strumentale, regolativa, interazionale,
personale, euristica, immaginativa e informativa.

Anche i filosofi del linguaggio Austin e Searle danno il


loro contributo alla concezione di linguaggio verbale inteso
come strumento di comunicazione-azione sociale. Con gli
studi di Austin, che risalgono agli anni '60, si passa da una
visione del linguaggio come descrittore del mondo ad una
di linguaggio come attività, come insieme di atti linguistici
prodotti in funzione di uno scopo comunicativo. Questa
concezione pragmatica della lingua s'innesta su un tessuto
psicolinguistico con Searle e la sua ipotesi di
comunicazione linguistica fondata sull'atto linguistico come
'unità di base' . Secondo i suoi studi il parlante, producendo
una frase, compie due tipi di attività mentale: rappresenta
il contenuto (funzione locutiva) e la sua intenzione
(funzione illocutiva). Quando l'interlocutore, che ha delle
aspettative riguardo all’atto linguistico, riesce, a sua volta,
a riconoscere l'intenzione del parlante la comunicazione
raggiunge il suo fine, la frase pronunciata esplica cioè la
sua funzione perlocutiva (ha delle conseguenze sul
ricevente).

E' a partire da queste basi teoriche che si sviluppano


dunque gli approcci COMUNICATIVI. L'uso del plurale indica
una varietà di metodologie che hanno in comune la critica
ai metodi fondati sull'analisi linguistica da un lato e a
quelli fondati sull'uso della lingua dall'altro: i primi nel
subordinare il significato alla forma grammaticale ed allo
studio delle regole non erano per niente motivanti e
producevano una certa inefficacia comunicativa (gli
studenti conoscevano il sistema linguistico ma non
sapevano utilizzarlo adeguatamente in reali contesti
situazionali); i secondi, troppo attenti alle sequenze
linguistiche rigidamente graduate, proponevano dialoghi
solo apparentemente più autentici, ricadendo in un uso
meccanico e niente affatto creativo della lingua studiata.

Il metodo situazionale degli anni '60 d'altro canto, la


prima realizzazione dell'approccio comunicativo, sembrava
ancora incompleto. Studiare la lingua straniera così come
veniva utilizzata in reali contesti situazionali - e per
situazione s'intendeva il quando il dove e il chi
partecipava allo scambio linguistico - presentava ancora
delle difficoltà sia nel predire gli items linguistici di una
data situazione sia nella gradazione del materiale. Le
tecniche utilizzate nel metodo situazionale erano infatti
quelle di presentazione e sfruttamento di un dialogo -
attraverso esercizi di manipolazione linguistica riferiti al
lessico, alle strutture ed ai ruoli dei personaggi - legato ad
una situazione di vita reale (far spesa in un supermercato,
ordinare del cibo in un ristorante, prenotare un biglietto
aereo ecc..). Si esaltavano i tratti prosodici del dialogo per
l'interpretazione delle emozioni dei parlanti che spesso
interagivano in uno scambio a più voci, corredato da rumori
di fondo, che veniva fatto ascoltare in classe. Anche la
produzione scritta era sociologicamente motivata e ben
contestualizzata: chi scrive a chi per quale scopo. La
gradazione del corpus linguistico avveniva in base alla
frequenza delle situazioni a cui l'allievo poteva venire
esposto nella normale interazione sociale e non in base alla
difficoltà delle strutture grammaticali. Scopo di questo
metodo era dunque quello di portare gli studenti a
comunicare - oralmente e per iscritto - nella L2 tramite la
ripetuta simulazione di reali scambi comunicativi
nell'ambito della classe. Tuttavia, come ho già detto,
restavano da risolvere alcune contraddizioni che con
l'andar degli anni apparvero chiare: la scelta della
situazione imponeva a volte delle costrizioni sull'uso di
particolari strutture piuttosto che altre ed era difficile poter
sempre prevedere e quindi graduare logicamente gli items
linguistici più frequenti in un dato contesto situazionale. Il
risultato fu spesso una sequenza di enunciati appropriati a
contesti situazionali fissi che perdeva di parte della sua
efficacia se trasportata nella realtà extrascolastica.

Fu come risposta a tale inadeguatezza che si fece strada in


glottodidattica il metodo definito nozionale-funzionale
sviluppato da D.A.Wilkins, J.A.Van Ek, L.G. Alexander,
R.Richterich., J-L Chancerel, H.G. Widdowson e altri (1). Nel
1971, sotto l'impulso di un programma inter-europeo di
educazione linguistica per adulti promosso dal Consiglio
d'Europa, si iniziò a definire un nuovo modello d'analisi
della lingua straniera basato sui bisogni comunicativi di un
parlante adulto nella società europea. Si trattava di
scomporre il processo d'apprendimento in una serie di unità
distinte e organicamente collegate tra loro che
corrispondessero alle reali necessità (di sopravvivenza >
survival-level, o di interazione minima > threshold-level) di
uno studente di lingua straniera. Riprendendo la
concezione di esponente linguistico come prodotto
dell'intenzione del parlante che si veste di un contenuto
e di una forma si evidenziarono delle categorie semantico-
grammaticali (NOZIONI di esistenza, proprietà, qualità,
relazioni spaziali, temporali e logiche) che venivano
utilizzate per esplicare tutta una serie di FUNZIONI
linguistiche specifiche (fornire e richiedere informazioni,
esprimere e sollecitare comportamenti intellettuali,
emotivi, morali, persuasivi e interazionali).Nonostante le
numerose critiche sollevate sull'arbitrarietà
dell'individuazione delle funzioni linguistiche all'interno del
livello soglia (Threshold-level) e sul rischio di confusione tra
analisi formale e funzionale (ex: saper parlare al futuro) in
cui spesso i materiali glottodidattici incorrono, questa
nuova visione di lingua come insieme di nozioni, funzioni e
situazioni fu certamente produttiva da un punto di vista
glottodidattico. I metodi comunicativi, infatti, posero
l'accento sullo studio della lingua straniera come strumento
di comunicazione sociale in cui parlante ed interlocutore
(con i rispettivi ruoli psicologici e sociali) interagiscono in
un tempo, e in un luogo, cioè in una situazione reale, per
uno scopo preciso (l'intenzione comunicativa esplicitata
attraverso una funzione linguistica) e su un particolare
argomento (nozione). Da qui la consuetudine di definire gli
approcci comunicativi utilizzando la triade nozionale-
funzionale-situazionale.

Tale insegnamento, definito COMUNICATIVO, che si


svilupperà con grande successo in tutta Europa e che verrà
applicato a tutte le lingue straniere, seppure in tempi e
modi diversi, ha di fatto secondo Howatt (2) due tipi di
applicazioni che rappresentano gli estremi di un continuum
di pratiche didattiche. Dire infatti che occorre insegnare il
linguaggio per comunicare rappresenta a suo parere
un'inversione di termini in quanto un parlante di fatto
comunica ed il linguaggio rappresenta solo lo strumento
utilizzato a tale fine. Da qui l'individuazione di una
versione forte ed una debole di metodo
comunicativo: la prima che propone pratiche
comunicative in lingua straniera allo scopo di promuovere
lo sviluppo del sistema linguistico ("… using English to
learn it".) e la seconda che si concentra sulle abilità che il
parlante straniero deve possedere per promuovere e
mantenere vivo uno scambio comunicativo ( "…learning to
use English, ) (3). Queste due tendenze avranno
caratteristiche metodologiche diverse: la prima si orienterà
verso esercizi di tipo comunicativo (information-gap
activities, simulations, role-plays, problem-solving activities
ecc.) che ricalchino completamente l'interazione sociale
autentica, escludendo qualsiasi forma di analisi formale o di
pratica guidata, la seconda integrerà invece il syllabus
comunicativo a riflessioni strutturali e semantiche più
generali. Sarà quest'ultima a trovare più ampia
applicazione nel nostro sistema scolastico dopo un primo
periodo di fortuna del metodo comunicativo inteso in senso
stretto.

1.2. Caratteristiche dell' approccio


comunicativo

L'obiettivo metodologico di tale approccio è,


come già detto, quello di sviluppare nello
studente la competenza comunicativa, di renderlo
consapevole della corrispondenza tra forme e
funzioni linguistiche: ad ogni forma corrispondono
più funzioni ("could you tell me your name,
please?" può esplicare la funzione di semplice
richiesta d'informazione oppure, se caricata di
particolare enfasi, può rappresentare l'inizio di un
rimprovero) ed una stessa funzione (per esempio:
proporre qualcosa a qualcuno) può essere
realizzata attraverso diverse forme (What about
going to a restaurant? Shall we go to a
restaurant? Do you fancy the idea of going to a
restaurant? ecc.). Il discente dovrebbe diventare
capace di negoziare il significato dello scambio
comunicativo con il proprio interlocutore,
dovrebbe cioè saper improvvisare ed adattare i
propri enunciati allo scopo della conversazione,
alla conoscenza enciclopedica propria e del
proprio ascoltatore ed alle convenzioni sociali e
culturali a cui la lingua straniera è soggetta (4). La
correttezza formale dunque si dovrà affiancare
all'appropriatezza linguistica senza la quale un
messaggio rischia di non aver alcun valore
illocutorio e perlocutorio. Il famoso esempio
fornito da H.G.Widdowson (5): B:" The rain
destroyed the crops" risulterà sempre corretto
formalmente ma appropriato solamente in
contesti conversazionali del tipo: A: "What did the
rain do?" e del tutto incomprensibile in contesti
verbali diversi: A:"Excuse me, where is the
station? B:" The rain destroyed the crops".

Occorre quindi una competenza più completa che


metta il discente in grado d'interpretare uno
scambio conversazionale anche in assenza di
coesione formale. Riprendiamo un altro esempio
fornito da Widdowson:

A: That's the telephone.

B: I'm in the bath.

A: O.K.

La coerenza e l'appropriatezza di tale scambio,


nel quale le caratteristiche proposizionali non
corrispondono a quelle illocutorie, è chiara nella
misura in cui i parlanti sanno fornire i legami
mancanti, ristabilendo a livello implicito la
coesione formale:

A: That's the telephone. Can you


answer it, please.
B: No, I can’t answer it because
I'm in the bath.
A: O.K. I’ll answer it.
Tutto questo trova applicazione in classe in
esercizi di reale comunicazione del tipo:

Teacher: "Where is Tom?"


Student: "He isn't well today"
Reacher: "Oh, I'm sorry"
che sviluppano il controllo sull'USO della lingua
(USE per Widdowson) e non sulla lingua stessa
(USAGE per Widdowson) (6). Si abbandonano cioè
pratiche legate a metodi di presentazione un po’
sterili per adottare attività più contestualizzate
linguisticamente e socialmente.
Invece del tradizionale: "Look, this is a pen!" per
la presentazione dell'aggettivo dimostrativo THIS
si preferisce utilizzare enunciati come: "The
English word for this is pen!" rispettosa del
contesto situazionale oppure "This is a barometer"
nel quale la forma deittica viene mantenuta ma è
riferita ad un oggetto che forse gli studenti non
conoscono. Invece di: "What am I doing? I'm
walking to the door!" per l'uso del presente
progressivo con i verbi di movimento, si preferisce
inserire il tempo in un reale contesto d'uso come
quello di un testimone che, al telefono, descrive i
movimenti di qualcuno: " Now the man is crossing
the road and…". L'enfasi viene posta dunque non
solo sulla correttezza formale ma anche
sull'appropriatezza attraverso scambi
comunicativi che presentano caratteristiche
ricorrenti quali:

1. libertà di scelta (il parlante sceglie la forma da


dare alla propria intenzione comunicativa) ;
2. gap informativo (il parlante sa qualcosa che
l'interlocutore ignora);
3. feed-back (chi parla è pronto a modificare il
proprio messaggio, a negoziare a seconda
della risposta del proprio interlocutore).
Le attività sono poi condotte su testi e materiali
autentici spesso corredati da illustrazioni o
fotografie e arricchiti da kit multimediali.

Anche la cultura della lingua studiata acquista


importanza in quanto parte integrante di quel
comportamento verbale ed extra-verbale che il
discente dovrà apprendere.

Come ho già detto una tale didassi considera lo


studente ed i suoi bisogni linguistici concreti al
centro della lezione in un cambiamento di ruoli nel
quale l'insegnante diventa facilitatore, promotore
ed organizzatore di attività linguistiche ed il
discente vero responsabile del processo
d'apprendimento. Si prediligono perciò esercizi di
coppie o di gruppo durante i quali gli studenti
sono impegnati a coagire utilizzando la lingua
straniera insegnata anche nelle sue vatietà
sociolinguistiche diverse da quella standard.

Questo tipo di pratica ha lo scopo di aumentare la


motivazione all’uso della L2 e di fornire maggiore
sicurezza agli studenti grazie al lavoro di
cooperazione. Tutte quattro le abilità linguistiche
(parlare, comprendere, lehhere, scrivere) hammo
uguale importanza e l’insegnante utilizza
prevalentemente la lingua straniera che da
oggetto di studio diventa quanto più possibile
veicolo naturale di comunicazione in classe.

Anche il processo di verifica e valutazione dei


risultati raggiunti acquista una nuova
conformazione. L’errore viene tollerato e spesso
l’insegnante preferisce posporre la correzione ai
momenti della lezione in cui l’enfasi è sulla
correttezza formale più che sulla scorrevolezza
dello scambio verbale. Gli enunciati errati sono
considerati manifestazioni di una “interlingua” in
evoluzione che lo studente perfezionerà
attraverso la pratica e sono perciò importanti per
definire lo stadio provvisorio raggiunto e il
processo individuale di progressiva correzione.

I test sono spesso basati su interazioni informali in


cui viene valutata sia l’accuratezza che
l’appropriatezza linguistica nei vari campi:
sintattico, lessicale, fonologico e pragmatico.
Quelli formali invece sono di tipo integrativo,
vengono verificate cioè tutte quattro le abilità
applicate a contesti socio-linguistici specifici.

1.3. Le abilità orali nell’approccio comunicativo

Passando dalla lingua come oggetto di studio alla lingua


come mezzo espressivo il più possibile autentico, il metodo
comunicativo dà grande spazio alla pratica delle abilità
orali, quelle certamente più utilizzate nella società
moderna. Cercando di sviluppare negli studenti la
competenza d’azione (la capacità d’interagire
linguisticamente in modo autentico utilizzando la lingua
straniera in situazioni comunicative reali) si prediligono
all’inizio attività (definite generalmente tasks) (7) di
produzione e comprensione orale.

1.4. Ascoltare

La prima abilità che viene chiamata in causa dal discente


che è alle prese con una lingua straniera è quella
dell’ascolto. Diversa, come sottolinea Widdowson, dalla
semplice ricezione passiva di un flusso di suoni in quanto
accompagnata da un processo attivo di interpretazione da
parte dell’ascoltatore. Ascoltare e capire un messaggio
orale presuppone infatti un processo mentale piuttosto
complesso che in lingua prima risulta quasi automatico ma
che necessita di esercizio se trasferito nella lingua
straniera. Widdowson definisce il processo di LISTENING
come "searching and selecting relevant parts from the
whole to construct our personal coherent interpretation" (8).
In questa definizione ci sono tre termini che vanno
approfonditi per capire il processo nella sua complessità:
relevant parts (parti rilevanti), coherent (coerente), ed
interpretation (interpretazione). La ricerca e selezione
infatti delle parti rilevanti del testo ascoltato
presuppongono innanzitutto uno scopo preciso
dell’ascoltatore. Tale scopo varia in un cuntinuum che va
dalla semplice interazione sociale (chiacchierare per
passare il tempo, mantenere una atmosfera cordiale ecc.)
fino al trasferimento di informazioni (il parlante comunica
all’ascoltatore dati precisi). Il fatto poi che l’interpretazione
risulti coerente presuppone una messa in relazione dei
nuovi dati acquisiti durante l’ascolto con il già noto, con
l’esperienza pregressa personale dell’ascoltatore, con la
situazione comunicativa e con il contesto linguistico e
paralinguistico. Molti errori di comprensione accadono
proprio per l’incoerenza tra questi dati. Il termine
interpretazione poi indica la necessità di elaborare
mentalmente una versione personale che parte dallo
sfruttamento del valore informativo (connotativo e/o
denotativo) di lessico, sintassi ed intonazione del testo
ascoltato.

Ecco quindi che il processo di ascolto diventa altamente


attivo, l’ascoltatore deve infatti operare sul versante
sociale mantenendo viva la conversazione, mostrando
comprensione tramite un feedback appropriato e
considerando lo stato psicologico del parlante e sul
versante transazionale riconoscendo il tema della
conversazione, facendo predizioni sul contenuto e
verificandole durante l’ascolto stesso, scartando le parti
ridondanti (non informative) e sciogliendo le ambiguità in
modo implicito o esplicito tramite richiesta di chiarimenti
ed informazioni aggiuntive. Le sotto-competenze coinvolte
in questa abilità sono dunque molteplici: quella fonologica,
relativa alla discriminazione dei singoli suoni, dei limiti delle
parole e dei blocchi frasali e al riconoscimento del
significato convogliato dall’intonazione; quella sintattica,
relativa alla comprensione della struttura frasale; quella
semantica, relativa alla comprensione dei lemmi, e quella
pragmatica, relativa al significato aggiuntivo fornito dal co-
testo linguistico e dal contesto extra-linguistico.
Tornando al processo cognitivo che sottostà ad una
semplice interazione parlante –ascoltatore scopriamo che si
tratta di un percorso circolare nel quale l’ascoltatore riceve
gli stimoli acustici, li identifica, li comprende, seleziona
quelli significativi, li interpreta, li riduce a forma
memorizzabile e tutto mentre l’ascolto continua e vengono
ricevuti nuovi stimoli che mettono in moto dall’inizio lo
stesso meccanismo.

Nella fase di ricezione ed identificazione dei suoni entra in


gioco la nostra competenza fonetica, in quella di
comprensione e selezione il nostro bagaglio sintattico e
lessicale ed in quella di interpretazione e memorizzazione
la nostra conoscenza pragmatica (i processi di induzione,
deduzione, classificazione ecc.).

L’abilità linguistica di ascoltare e comprendere un brano in


lingua straniera presuppone quindi una serie di sotto-
competenze piuttosto raffinate che, come è già stato detto,
sono ormai ben consolidate nei nostri studenti adulti per
quanto riguarda la lingua materna ma che richiedono
certamente un esercizio mirato per la lingua straniera. Si
tratta cioè di abituare lo studente ad applicare alla
comprensione orale in L2 quelle strategie normalmente
utilizzate in L1 in modo quasi inconscio.

Per questo motivo vengono proposte attività diverse per le


tre fasi di pre-ascolto, ascolto e di successivo
approfondimento.

All’inizio si organizzeranno esercizi volti a sensibilizzare lo


studente, a sollecitare la formulazione di ipotesi
sull’argomento del brano ed a stabilire uno scopo per
l’ascolto. Durante l’ascolto invece si solleciteranno i
processi di identificazione e memorizzazione delle
informazioni fondamentali con attività che tengano viva
l’attenzione dello studente, infine, nella fase di
approfondimento il materiale linguistico verrà analizzato in
modo più dettagliato e poi riutilizzato in contesti diversi per
favorirne la memorizzazione.

Il metodo comunicativo ci fornisce tutta una serie di


esercizi riconducibili a queste tre fasi:

pre-ascolto: "Cosa sai su..., cosa diresti in questa


situazione..., cosa pensi di....?" (il tema del brano può
essere presentato con l’aiuto di immagini); "Ascolta l’inizio
del brano e fai ipotesi sul suo possibile sviluppo"; "Fai una
lista di argomentazioni a favore e/o contro il seguente
tema..."ecc.;

ascolto: "completa", "colora", "numera", "combina", "vero o


falso", "disegna" ecc;

dopo l’ascolto: "domande a scelta multipla",


"rielaborazione", "transfer d’informazioni su un altro
ambito" ecc.

Naturalmente prima di organizzare un’attività di ascolto


occorre fare delle considerazioni preliminari relative a quale
tipo di lingua e di tipologia testuale scegliere, a quali
potrebbero essere le aree di maggiore difficoltà per la
classe ed a quale supporto didattico ricorrere per facilitare
la comprensione del brano.

La lingua ascoltata infatti potrebbe essere una variazione


nazionale o dialettale oppure la lingua standard, si
potrebbe scegliere un monologo piuttosto che un dialogo,
un annuncio televisivo piuttosto che un dibattito d’attualità,
le diverse varianti naturalmente modificheranno le
strategie d’ascolto. L’insegnante potrebbe scegliere di
fornire un supporto iconografico (realia, fotografie ecc.) o di
chiarire delle aree lessicali o sintattiche oscure prima di
procedere all’ascolto. In ogni caso il materiale proposto per
tale attività dovrà essere conforme a criteri generali quali
l’adattabilità agli obiettivi del programma, la possibilità di
sfruttamento tramite tecniche note agli studenti, dovrà
risultare quanto più possibile motivante per i nostri
discenti, adatto al loro livello di competenza linguistica,
stimolante a livello cognitivo, flessibile ed autentico.
Sull’autenticità della lingua proposta agli studenti è stato
scritto molto, certamente il metodo comunicativo ha avuto
il grande merito di spostare l’attenzione sulla lingua d’uso
("USE" di Widdowson), il tipo di conversazione cioè nella
quale uno studente potrebbe trovarsi coinvolto al di fuori
della classe, uno scambio in cui possono comparire
espressioni idiomatiche ed informali, false partenze,
anacoluti ed esitazioni di vario genere. Una lingua reale che
non sia rallentata o depurata da ogni imperfezione a fini
pedagogici, né prodotta in laboratorio in assenza totale di
rumori di fondo. Un tale esempio linguistico risulterebbe
infatti scarsamente efficace per abituare lo studente ad
una comprensione reale. Materiale autentico dunque
reperibile tramite registrazioni radio televisive o prodotto
direttamente dall’insegnante.

Nel confronto con il materiale prodotto a fini strettamente


didattici quello autentico risulta infatti molto più ricco di
informazioni linguistiche e paralinguistiche che tanto
importanti sono per ridurre fraintendimenti ed
incomprensioni dovute alle diversità culturali (9).

1.5. Il materiale didattico per l’ascolto

Ma in che misura tale autenticità compare nei


nostri libri di testo? Il metodo comunicativo ha
prodotto una proliferazione commerciale senza
precedenti, ogni anno le case editrici specializzate
nell’insegnamento delle lingue straniere lanciano
sul mercato nuovi testi, tutti rigorosamente
‘comunicativi’; ma quante delle intenzioni
dichiarate nella premessa vengono poi realizzate
veramente?
L’insegnante si trova spesso a dover scegliere uno
strumento importante (anche se non l’unico)
quale il libro di testo tra una moltitudine di
volumi spesso graficamente accattivanti ma
impostati su testi (orali o scritti) del tutto
inautentici. Occorre quindi far attenzione alla
qualità delle registrazioni fornite a corredo del
testo, al relativo ‘transcript‘ stampato in ogni
unità oltre che naturalmente al tipo di esercizi di
sfruttamento indicati dall’autore(10). Le
caratteristiche più facilmente controllabili di un
brano di lingua orale, gli elementi da considerare
per operare una scelta ed una gradazione
adeguata alla realtà del gruppo classe sono:

1. Brano
§ Organizzazione delle informazioni (sequenza
cronologica / logica, alternanza dei turni
conversazionali, numero dei partecipanti ecc.);
§ Argomento trattato (conoscenze
richieste/possedute dagli studenti);
§ Grado di esplicitazione delle informazioni
(ridondanze, quantità di legami referenziali,
inferenzazione richiesta ecc.)
§ Tipologia testuale (brano descrittivo, narrativo,
argomentativo ecc.).
2. Contesto didattico
§ Quantità d’informazioni nell’arco del tempo a
disposizione
§ Supporti visivi e ausili didattici
§ Attività individuali, a coppie, in gruppi.
3. Attività
§ Ascolto estensivo o intensivo, libero o analitico
(mirati alla comprensione globale o guidati da
fogli di lavoro dettagliati)
§ Ascolto selettivo o valutativo (lo studente
seleziona solo alcune informazioni o valuta in
termini critici il brano)
§ Risposte immediate o differite (esercizi come:
disegna, completa ecc.; oppure riassumi,
commenta ecc.).
In base a tali parametri il docente potrebbe
arricchire l’offerta del libro di testo con materiale
realistico creato ad hoc per la propria classe,
sarebbe sufficiente registrare una conversazione
tra madrelinguisti che parlano di se stessi, che si
confrontano su argomenti di vita quotidiana o
dibattono temi sociali o d’attualità; oppure,
scegliendo un’altra tipologia testuale, far
raccontare la stessa storia a più persone secondo
punti di vista diversi, o fare interviste sulla base di
un questionario scritto. Le possibilità sono
molteplici e per ognuna di esse non sarà difficile
trovare anche esempi estrapolati da programmi
televisivi o radiofonici.

1.6. Parlare

Le attività di ascolto sopra trattate sono sempre


accompagnate da esercizi di produzione orale o scritta e
spesso precedute o seguite da approfondimenti che
coinvolgono anche l’abilità di lettura e comprensione. E’
chiaro infatti che, sempre per il principio dell’autenticità
dello scambio comunicativo, ogni ambito linguistico andrà
esercitato in comunione con gli altri, così come avviene
nella realtà di ogni giorno: ascoltiamo e parliamo (due o più
interlocutori), ascoltiamo e prendiamo appunti (lezioni,
riunioni, telefonate ecc.), ascoltiamo e leggiamo (sottotitoli,
transcript ecc.). L’abilità che più naturalmente si lega
all’ascolto è però la produzione orale. Nella pratica
didattica molto comune è l’utilizzo di un dialogo: ad un
primo ascolto a libro chiuso segue spesso una fase di
discussione orale sull’argomento trattato, sui personaggi,
sulla situazione; ed una fase successiva di manipolazione
del linguaggio tramite esercizi di drammatizzazione sempre
meno guidati fino a forme semi-libere quali il role-taking, il
role-making o il dialogo aperto (11).

Siamo ancora nell’ambito della pseudo-comunicazione in


cui molti degli elementi utilizzati dal parlante sono forniti
dall’insegnante ma si tratta comunque di una efficace
preparazione al successivo lavoro di produzione originale e
spontanea che assumerà le caratteristiche di una reale
interazione comunicativa.

Il processo di produzione orale presuppone infatti la


capacità di interagire ad alta velocità selezionando frasi
appropriate al contesto linguistico ed extra-linguistico.
Ancora una volta il discente è chiamato a coniugare fluidità
del discorso a correttezza formale ed appropriatezza
paralinguistica. Come per l’ascolto, sono molteplici le sotto-
competenze chiamate in causa: conoscenza fonetica,
morfosintattica e lessicale adeguata all’argomento trattato,
capacità di adattare la propria produzione alle esigenze
manifestate dall’interlocutore tramite il feedback, capacità
di negoziare (12).

L’obiettivo dell’insegnante è quello di fornire le condizioni


affinché un reale scambio comunicativo possa avvenire
anche in un ambiente di simulazione come la classe. A tale
scopo si organizzano di solito attività preparatorie volte ad
abbassare le ‘barriere psicologiche’ così forti in questo tipo
di pratica: lo studente è spesso intimidito dal compito di
produrre qualcosa di originale, teme il ridicolo, sente il
disagio di utilizzare un mezzo di cui non ha piena
padronanza come per la L1. Gli esercizi iniziali sono di
solito d’introduzione al lavoro:

si stabilisce l’obiettivo dell’attività di produzione orale;

si analizza il tipo linguaggio che si utilizzerà e se ne


praticano gli elementi più problematici;
si forniscono le linee guida, più o meno dettagliate, per lo
scambio comunicativo stesso.

Anche in questo caso le attività andranno da forme molto


controllate di produzione (‘ascolta e ripeti’, ‘ascolta e
intervieni’) ad esercizi di pseudo-comunicazione in cui lo
studente sarà sollecitato a produrre scambi linguistici
controllati (drammatizzazione di un dialogo noto,
ricostruzione di storie, dialoghi, canzoni), a forme di
maggior creatività come inventare una sequenza narrativa,
creare un dialogo o descrivere una situazione con il solo
stimolo visivo (una serie di immagini, role cards, foto ecc.).
Il percorso proseguirà con produzioni sempre più originali e
libere: l’assunzione di ruoli, o la simulazione di interazioni
orali di tipo realistico (gli studenti rappresentano se stessi
in situazioni concrete di vita quotidiana). Come ho già
detto, tutti gli esercizi in cui esiste un ‘gap
informativo’(‘raccogli o fornisci informazioni su...’), e
durante i quali sia lasciata libertà di negoziazione sono
ottime occasioni per il discente di esercitare la propria
abilità di produzione orale. Durante queste attività - in cui
l’enfasi sarà posta sulla scorrevolezza ed appropriatezza
del linguaggio più che sull’accuratezza formale - gli
studenti dovrebbero infatti essere sollecitati a parlare
liberamente cercando di esprimere le proprie opinioni,
portando avanti le istanze che la situazione richiede,
descrivendo o narrando eventi in maniera originale.
Occorrerà dunque esercitarsi ad usare al meglio la lingua
appresa, avventurandosi nella formulazione di frasi mai
sentite prima, raggirando gli ostacoli (la tecnica di
sopperire alle lacune lessicali o sintattiche riformulando le
frasi o utilizzando sinonimi; l’uso del linguaggio gestuale o
di un’intonazione esagerata per aiutare l’espressione; la
semplificazione ecc.) e combinando le varie sotto-
competenze allo scopo di capire e farsi capire,. L’obiettivo
sarà infatti rendere chiaro ‘il messaggio’, ciò che si vuole
comunicare in termini di significato, anche a rischio di
qualche inevitabile errore formale. Questo genere di attività
didattiche dovrebbe rappresentare la regola e non
l’eccezione, e, come suggerisce Brumfit (13), almeno un
terzo del tempo totale dovrebbe essere dedicato a questa
‘palestra di conversazione’.

1.7. Il materiale didattico per la produzione orale

Ma quali attività di produzione orale compaiono nei libri di


testo definiti comunicativi?

Secondo un’analisi recente, condotta su un campione


rappresentato da sei libri di testo di lingua inglese per la
scuola elementare tra i più diffusi sul territorio nazionale
(14), è emersa una certa povertà dell’impianto didattico
relativo alla produzione orale nonostante l’enfasi posta dai
programmi ministeriali (del 1985!) sull’importanza di
promuovere un processo d’apprendimento in cui "... il
fanciullo apprende un’altra lingua solo imparandone l’uso
come strumento di comprensione e di comunicazione" (15).

L’unica attività di tipo orale è spesso limitata all’ascolto e


sfruttamento del dialogo presentato all’inizio di ciascuna
unità didattica, solo occasionalmente compaiono esercizi di
coppia o di gruppo in cui il discente sia impegnato in
scambi orali guidati, o semi-liberi e solo raramente, e
specie nel materiale rivolto a studenti più grandi, si
sollecita lo scambio conversazionale spontaneo e libero.
L’ascolto e la produzione orale sono ancora considerati
come integrazione all’impianto didattico fondamentale
incentrato su attività controllate di tipo analitico. La
cassetta audio o video, intorno alla quale ruotano la
maggior parte degli esercizi orali, è parte di un kit che
accompagna il libro di testo ma che spesso viene
trascurato dall’insegnante. Ancora una volta occorre
dunque un’attenta analisi dei materiali in commercio per
adottare uno strumento che sia davvero in linea con la
metodologia comunicativa. Un testo cioè che solleciti lo
studente ad esercitare, fin dall’inizio, quella complessa
abilità linguistica che è il saper parlare, dialogare in L2.

(1) D. A. Wilkins, Linguistics in Language Teaching,


1972; J. A.Van Ek, L. G. Alexander, Threshold Level
English, 1975; R. Richterich, J-L Chancerel, Identifying
the needs of adults learning a foreign language,
1974; H. G. Widdowson, Teaching Language as
Communication, 1978.

(2) A.P.R. Howatt, A History of English Language


Teaching, 1984.

(3) Ibidem p. 279.

(4) C. Brumfit, Communicative Methodology in


Language Teaching, 1984.

(5) H. G. Widdowson, op.cit., 1978.

(6) Ibidem.

(7) Definito da Nunan "a piece of classroom work which


involves learners in comprehending, manipulating,
producing or interacting in the target language while their
attention is principally focused on meaning rather than
form", in Designing Tasks for the Communicative
Classroom, CUP, 1989, p. 10.

(8) H. G. Widdowson, op. cit., 1978.

(9) Per una trattazione più completa della tipologia del


materiale autentico cfr. F. Sisti, J. Taylor, Il video
nell'insegnamento delle lingue straniere, SEI, 1995,
pp. 31-34.
(10) Per una trattazione più completa sull'argomento cfr. F.
Sisti, 'Il libro di testo di lingua straniera: adottarlo o
inventarlo?', in Scuola Viva, XXXI, 4 (suppl.), SEI, 1995,
pp. 33-36.

(11) Per un approfondimento di tali tecniche cfr. Infra


Modulo 2.

(12) Cfr. Infra Modulo 1, L'approccio comunicativo.

(13) Brumfit, 1984.

(14) P. Desideri, F. Sisti, 'La lingua straniera nella scuola


elementare: la questione del libro di testo', in R. Calò e S.
Ferreri (a cura di), Il testo fa scuola. Libri di testo,
linguaggi ed educazione linguistica, Quaderni del
GISCEL/18, La Nuova Italia, 1997.

(15) Programmi didattici per la Scuola Primaria D.P.R.


12 febbraio 1985, Roma, Zecca dello Stato, 1985.

Siti web per approfondimenti:

C. M. Luise - Approcci e metodi della glottodidattica


http://helios.unive.it/~aliasve//materiali/approcci%20e%20metodi.htm

E. Ballarin & P. Begotti - La glottodidattica umanistico-affettiva e funzionale


http://helios.unive.it/~aliasve//moduli/ballarin-begotti/bal-beg.html

Learning and instruction: theories http://tip.psychology.org/index.html

Common European Framework


http://www.culture2.coe.int/portfolio/documents_intro/common_framework.html

Programmi didattici per la scuola primaria


http://www.edscuola.it/archivio/norme/decreti/dpr104_85.pdf

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