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Il concetto di educazione linguistica nasce negli anni Settanta nella glottodidattica italiana e indica quell'insieme di attività che si

svolgono nell'arco della scolarizzazione a riguardo della lingua «materna» (l'italiano L1, o itaL), delle lingue «seconde» (itaL2 a
immigrati, ma anche nelle aree bilingui ufficiali e non del nostro Paese, dove per alcuni è l'italiano ad essere lingua «seconda», per
altri è la lingua locale - sardo, friulano, ladino, catalano, albanese, sloveno, greco, croato, francese, tedesco), delle lingue «straniere»,
LS, e di quelle «classiche», LC.
Una metafora che ben spiega l'opportunità di vedere l'educazione linguistica non solo come giustapposizione di varie lingue ma come
processo integrato è data da Cummins e traduce visivamente il principio di interdipendenza:

La metafora dell'iceberg mostra visivamente come le punte di ghiaccio che emergono possono sembrare separate all'osservatore che
galleggia sul mare, ma in realtà questi picchi, che sono le singole L1, L2, LS e LC, sono sostenute dall'enorme massa sommersa, in
cui si realizza la facoltà di linguaggio propria degli esseri umani e che rappresenta i processi di acquisizione, sviluppo, potenziamento
e perfezionamento della competenza comunicativa.

Cap.1: SCOPO E NATURA DI QUESTO VOLUME

Uso del termine «glottodidattica»


L'educazione linguistica è l'azione che mira a far emergere la facoltà genetica caratterizzante l'homo loquens, la facoltà di linguaggio, cioè la capacità
spontanea di acquisire (in modo totale o parziale) non solo la lingua nativa e le altre lingue presenti nell'ambiente in cui si cresce, ma anche altre
lingue nel corso della vita.
La scienza che studia l'educazione linguistica ha in Italia varie denominazioni, frutto di un corposo dibattito nella comunità scientifica,
denominazioni che si rifanno a universi epistemologici diversi:
 didattica delle lingue moderne;
 glottodidattica;
 linguistica educativa;
 didattologia delle lingue-culture.

Par. 1.1: CONOSCENZE DICHIARATIVE E PROCEDURALI: APPROCCIO, METODO, TECNICA


Secondo la psicologia cognitiva, la conoscenza è di due tipi:
1. DICHIARATIVA→ constata una realtà, un fenomeno, e lo de. finisce, nella sua forma linguistica più semplice;
2. PROCEDURALE→ si basa sul meccanismo «se... allora»: «se la lingua è uno strumento di comunicazione, allora dovrò
differenziare attività che richiedono l'uso della lingua da attività di riflessione sulla lingua».

Due nozioni dal cognitivismo: «dichiarazione» e «procedura»


Nel cognitivismo esistono due tipi base di conoscenza, dichiarativa e procedurale:
 una dichiarazione è espressa da una frase semplice retta di solito da verbi quali è, c'è, è presente, è composto di, si divide in, ecc (ad esempio:
«Secondo la Grammatica Universale in ogni lingua sono presenti le tre funzioni SVO, soggetto, verbo, oggetto»);
 una procedura è una struttura basata su «dichiarazioni» secondo lo schema se (è vero che)... allora (ne consegue che)...

a. la conoscenza dichiarativa come base degli approcci


La prima dimensione è quella che nella tradizione della glottodidattica chiamiamo APPROCCIO e che viene elaborata dalle scienze
del linguaggio, della cultura, della mente e dell’educazione, quindi all’esterno dell’universo epistemologico della glottodidattica: ad
esempio è il linguista che offre al glottodidatta la definizione e l’analisi della lingua. Definire quindi un approccio glottodidattico
significa selezionare all’interno della ricerca teorica l’ambito su cui si vuole base l’educazione linguistica.
b. la conoscenza procedurale come base dei metodi
La seconda dimensione definisce le PROCEDURE OPERATIVE che sono la traduzione dell’approccio in termini di azione
glottodidattica: è la dimensione che chiamiamo METODO.

Approcci e metodi nella glottodidattica novecentesca


Approcci e metodi dalla tradizione
L'approccio formalistico e il metodo grammatico-traduttivo sono il retaggio di tre secoli in cui la lingua più che come strumento di comunicazione
viene vista come sistema di regole. Si tratta di una tradizione ufficialmente sconfessata da tutti, ma che sopravvive soprattutto nell'insegnamento
dell'itaL1 e, per le LS, in molte scuole e università. Tra Ottocento e Novecento, nelle LS, si affermano gli approcci «naturali», dai più estremi a
quelli più mediati: il tratto comune è l'idea che sia un fenomeno primariamente orale e che la sua acquisizione avvenga primariamente attraverso
l'esposizione alla lingua straniera.
La rivoluzione copernicana degli anni Sessanta
La rivoluzione prende avvio nell'ambito delle LS, con la glottodidattica «scientifica» di Robert Lado, la linguistica tassonomica di Bloomfield e la
psicologia neo-comportamentistica di Skinner e viene favorita dalla diffusione del registratore audio e del laboratorio linguistico.
L'approccio strutturalistico spezzetta la lingua in FRASI MINIME, da ripetere in esercizi meccanici fino a creare habitus mentali; dominante negli
anni 50/60, tale approccio viene cancellato dagli anni Settanta in poi dall'approccio comunicativo centrato sulla nozione di competenza
comunicativa.
Traducendo i due cenni esposti sopra in un modello che ci pare equilibrato, abbiamo questa rappresentazione:

La lettura del modello è, per esempio:


1. data una dichiarazione teorica (esterna alla glottodidattica), quale «la lingua si realizza in una serie di varietà», se la si ritiene
valida la si assume nello spazio della ricerca glottodidattica;
2. ne consegue una procedura, cioè la trasposizione in un modello operativo: «se la lingua si realizza in una serie di varietà,
allora si dovrà decidere:
 quali varietà inserire in percorsi di educazione linguistica relativi a L1, L2, LS, LE, LC;
 a quale punto dei percorsi andranno inserite;
 in quale modalità: comprensione/produzione, orale/scritto»;
3. per trasformare le scelte in azione, si selezioneranno delle tecniche didattiche adeguate, all’interno della gamma di tecniche
offerte dalla metodologia didattica generale.

Le tecniche glottodidattiche (cioè le azioni didattiche che vengono utilizzate per raggiungere un obiettivo) non sono adatte a tutte
le intelligenze e le strategie di apprendimento, e quindi vanno selezionate in modo da non penalizzare un tipo di personalità
rispetto ad un’altra. Sul piano della realizzazione, le tecniche sono di due tipi:
1. ESERCIZI, tendenzialmente manipolativi, mirati alla fissazione più che all’uso della lingua. Negli ultimi decenni sono stati
oggetto di un ostracismo fortissimo in nome di una «creatività» che non tiene conto del meccanismo di funzionamento
del Language Acquisition Device e che considera, a priori, negativa ogni attività che non sia intrinsecamente motivante;
2. ATTIVITÀ, basate sulla creatività, su problemi da risolvere usando la lingua straniera, di solito caratterizzati da un gap da
colmare usando la lingua.
Le tecniche didattiche si valutano sulla base della loro:
 coerenza CONCETTUALE con il metodo e l’approccio al cui interno vengono utilizzate;
 EFFICACIA ed EFFICIENZA nel raggiungere l’obiettivo didattico che si propongono.

Par. 1.2: MODELLI E SCHEMI PER L’EDUCAZIONE LINGUISTICA


Per individuare le tecniche, le attività, gli esercizi, le procedure didattiche da utilizzare nell’educazione linguistica bisogna definire
quali MODELLI TEORICI avere come riferimento, in quanto sono questi che offrono il contesto per le attività didattiche.
1.2.1: L’OBIETTICO DELL’EDUCAZIONE LINGUISTICA: LA COMPTENZA COMUNUCATIVA
Un primo modello di riferimento è quello di competenza comunicativa, cioè l’obiettivo dell’educazione linguistica.

La COMPETENZA COMUNICATIVA è una realtà mentale che si realizza come ESECUZIONE nel mondo, all’interno di eventi
comunicativi che hanno luogo in contesti sociali dove chi usa la lingua compie un’azione.
Le due parole chiave rimandano a competence e performance, la dicotomia chomskyana che contrappone la dimensione mentale
della lingua e la sua realizzazione reale:
a. nella mente ci sono tre NUCLEI di COMPETENZE che costituiscono il sapere la lingua:
 competenza LINGUISTICA, cioè la capacità di comprendere e produrre enunciati ben formati dal punto di vista
fonologico, morfologico, sintattico, lessicale, testuale;
 le competenze EXTRALINGUISTICA, cioè la capacità di comprendere e produrre espressioni e gesti del corpo
(cinesica), di valutare l’impatto comunicativo della distanza interpersonale (prossemica), di usare e riconoscere il valore
comunicativo degli oggetti (oggettemica) e del vestiario (vestemica);
 il nucleo delle competenze CONTESTUALI relative alla lingua in uso [competenza sociolinguistica, pragmalinguistica e
(inter)culturale];
b. le competenze mentali si traducono in azione comunicativa, nel saper fare lingua quando esse vengono utilizzate per
comprendere, produrre, manipolare testi: si tratta di ABILITÀ manipolative che vanno oltre a quelle di base e interattive.
Definiamo PADRONANZA questo meccanismo di attualizzazione della competenza;
c. i testi orali e scritti prodotti attraverso il meccanismo di padronanza contribuiscono a eventi comunicativi, governati da regole
sociali, pragmatiche, culturali: è il saper fare con la lingua.
La certificazione della competenza comunicativa (sarebbe meglio dire della «padronanza» linguistica) è basata sui sei livelli
proposti dal Consiglio d’Europa che possono essere visualizzati in un diagramma di
questo tipo:
Le cinque facce della piramide corrispondono ai cinque componenti del modello: due
facce sono visibili nel mondo della comunicazione reale, quelle legate alla
padronanza e alla pragmatica, le altre tre facce non sono visibili perché costituiscono
la dimensione mentale, le competenze.

I livelli di competenza linguistica secondo il consiglio d’Europa


I livelli individuati dal Consiglio d’Europa descrivono la competenza linguistica suddividendola in sei livelli omogenei per tutte le lingue
coinvolte, noti come A1 e 2, B1 e 2, C1 e C2.
La certificazione di questi livelli non fa riferimento specifico al programma svolto in una data classe o scuola o università, ma rimanda a un
proprio curricolo implicito, valutato sulla base di indicatori.
A1: comprende e usa espressioni di uso quotidiano e frasi basilari tese a soddisfare bisogni di tipo concreto. Sa presentare se stesso/a e gli altri
ed è in grado di fare domande e rispondere su particolari personali. Interagisce in modo semplice purché l’altra persona parli lentamente e
chiaramente e sia disposta a collaborare.
A2: comprende frasi ed espressioni usate frequentemente relative ad ambiti di immediata rilevanza. Comunica in attività semplici e di routine
che richiedono un semplice scambio di informazioni su argomenti familiari e comuni. Sa descrivere in termini semplici aspetti del suo
background, dell’ambiente circostante sa esprimere bisogni immediati.
B1 (livello SOGLIA): comprende i punti chiave di argomenti familiari che riguardano la scuola, il tempo libero ecc. Sa muoversi con
disinvoltura in situazioni che possono verificarsi mentre viaggia nel paese in cui si parla la lingua. È in grado di produrre un testo semplice
relativo ad argomenti che siano familiari o di interesse personale. È in grado di descrivere esperienze ed avvenimenti, sogni, speranze e
ambizioni e spiegare brevemente le ragioni delle sue opinioni e dei suoi progetti.
B2: comprende le idee principali di testi complessi su argomenti sia concreti che astratti, comprese le discussioni tecniche nel suo campo di
specializzazione. È in grado di interagire con una certa scioltezza e spontaneità che rendono possibile un’interazione naturale con i parlanti nativi
senza sforzo per l’interlocutore. Sa produrre un testo chiaro e dettagliato su un’ampia gamma di argomenti e spiegare un punto di vista su un
argomento fornendo i pro e i contro delle varie opzioni.
C1: comprende un’ampia gamma di testi complessi e lunghi e ne sa riconoscere il significato implicito. Si esprime con scioltezza e naturalezza.
Usa la lingua in modo flessibile ed efficace per scopi sociali, professionali e accademici. Riesce a produrre testi chiari, ben costruiti, dettagliati
su argomenti complessi, mostrando un sicuro controllo della struttura testuale, dei connettori e degli elementi di coesione.
C2: comprende con facilità praticamente tutto ciò che sente e legge. Sa riassumere informazioni provenienti da diverse fonti sia parlate che
scritte, ristrutturando gli argomenti in una presentazione coerente. Sa esprimersi spontaneamente, in modo molto scorrevole e preciso,
individuando le più sottili sfumature di significato in situazioni complesse.

1.2.2: GLI AMBITI DI LAVORO INDIVIDUATI ATTRAVERSO I LIVELLI DI COMPETENZA


Le attività didattiche per fare educazione linguistica devono servire per tutta la gamma delle lingue che posso essere presenti nella
scuola e quindi nelle menti degli studenti:
a. lingua materna (L1)
Si intende la lingua parlata nell’ambiente familiare in cui il bambino cresce. La glottodidattica della L1 ha un ruolo preciso:
sistematizzare e migliorare la qualità di una lingua che, al momento un cui si entra nel sistema formativo, è già acquisita quindi
avremo dei modelli di affinamento dell’uso è di riflessione METALINGUISTICA, non di acquisizione.

Apprendimento e acquisizione
Krashen è uno studioso californiano che negli anni 70/80 ha elaborato la SLAT (Second Language Acquisition Theory); tra i suoi fondamenti c’è
l’opposizione tra acquisition e learning.
L’ACQUISIZIONE è un processo inconscio che sfrutta le strategie globali dell’emisfero destro del cervello insieme a quelle analitiche
dell’emisfero sinistro. Invece, l’APPRENDIMENTO è un processo razionale, governato dall’emisfero sinistro e di per sé non produce
acquisizione stabile: la competenza «appresa» è una competenza provvisoria, non definitiva e attivata molto più lentamente di quella «acquisita».
Lo studente di ItaL1 ha già acquisito la lingua quando entra nel processo formale di educazione linguistica, per cui ha bisogno di apprendimento;
gli studenti di itaL2 affiancano l’acquisizione spontanea, nell’ambiente italofono, ad attività di apprendimento nella scuola dove l’insegnante
deve lavorare per produrre, appunto, acquisizione.

b. lingua straniera (LS) e lingua seconda (L2)


 la lingua straniera non è presente nell’ambiente in cui viene studiata (l’inglese studiato in Italia), mentre la lingua
seconda si (l’inglese studiato o acquisito da un immigrato italiano in Inghilterra e viceversa);
 nella LS l’insegnante seleziona e gradua l’IMPUT, offre quindi il modello linguistico proprio e quello delle tecnologie
che sceglie di usare, mentre nella L2 il discente vive immerso nella lingua stessa;
 le attività didattiche di LS sono in molti casi dei FALSI PRAGMATICI, mentre nella L2 le domande sono vere e proprie
e rimandano alla vita reale, non simulata, dello studente.
In questo ambito si pone un problema fondamentale: quando uno studente straniero in Italia ha raggiunto un livello alto siamo
ancora in situazione di itaL2 in fase di acquisizione o possiamo usare le tecniche didattiche proprie del perfezionamento, come in
ItalL1? Lo stesso vale, almeno per certi aspetti della competenza comunicativa, per le LS possedute a un livello B2 e per chi è a
livello C1.
Nell’attribuire il livello d’uso alle attività che presentiamo in questo manuale considereremo il livello di competenza PRIMA
ancora del tipo di lingua.

c. lingua classica
Il greco e il latino non sono più usati per produrre comunicazione ma sono lingue in cui RICEVERE comunicazione. Non sono
«lingue morte» perché l’Iliade, l’Eneide e il Corano «parlano» ancora a milioni di persone.

1.2.3: UNITÀ DIDATTICA, UNITÀ DI ACQUISIZIONE


Sulla base del concetto di lingua che informa l’approccio seguito, nonché dei bisogni stimati dalla struttura educativa per ogni
tipologia di studente, si scelgono e si organizzano i materiali linguistici: si crea un CURRICOLO, poi lo si articola per
programmare il lavoro, dividendolo in blocchi, in UNIT , da presentare allo studente. La struttura di queste unità costituisce un
ulteriore contesto al cui interno vanno collocate le tecniche glottodidattiche.
Nella tradizione glottodidattica è dagli anni Sessanta che si parla di «UNIT À DIDATTICA» (UD): l’aggettivo chiarisce che è uno
schema di riferimento per il didatta, cioè l’insegnante. In realtà, una UD è composta da una serie di singole «lezioni», intese come
sessioni di lavoro: se le consideriamo dal punto di vista dello studente, possiamo chiamarle «UNIT À D’ACQUISIZIONE»: è
quello che lo studente percepisce come blocco unitario e che viene svolto in una sessione di lavoro (UA).
Essa nasce dall’interazione di due componenti che avranno poi un ruolo fondamentale nella scelta e nella valutazione delle
tecniche e delle attività glottodidattiche:
a. una considerazione NEUROLINGUISTICA che si basa su due principi funzionali:
 «BIMODALITÀ»→ divisione funzionale dei due emisferi cerebrali (quello DESTRO preposto alle attività globali,
olistiche, analogiche e quello SINISTRO alle attività razionali, sequenziali, logiche). Le ricerche attuali hanno
dimostrato un’integrazione più forte di quanto si immaginasse tra i due emisferi e le due modalità di interpretazione-
rappresentazione della realtà, ma non hanno intaccato il principio secondo cui i due emisferi sono funzionalmente
differenziati;
 «DIREZIONALITÀ»→ il fatto che, pur nella cooperazione continua tra le due modalità del cervello, quelle emozionali
e globali dell’emisfero destro precedono l’azione di quelle razionali ed analitiche dell’emisfero sinistro;
b. una considerazione PSICOLOGICA, in particolare della psicologia della GESTAL, che vede la percezione come un processo
sequenziale di globalità → analisi → sintesi. Il gestaltismo è stato superato dal neo-comportamentismo degli anni 40/50 e poi
dal cognitivismo degli anni 60/80, ma questa sequenza a tre fasi non è mai stata smentita.

Neurolinguistica, psicolinguistica, psicologia dell’apprendimento, psicodidattica


La neurolinguistica studia il funzionamento del cervello in ordine al LINGUAGGIO. Le sue principali applicazioni riguardano i disturbi del
linguaggio ma in glottodidattica ha avuto un ruolo essenziale nell’indicare il ruolo diverso dei due emisferi cerebrali rilevando che entrambi
cooperano alla produzione e comprensione linguistica, operando secondo una sequenza che vede prima le operazioni globali e solo dopo quelle
analitiche.
La psicolinguistica inizia nella prima parte del Novecento come psicologia del linguaggio, all’interno degli studi psicologici, ma si rende
autonoma e si evolve in direzione delle scienze del linguaggio negli anni 50. I suoi oggetti principali di studio sono l’acquisizione del linguaggio
e i meccanismi di codifica e decodifica.
La psicologia dell’apprendimento e la psicodidattica studiano (rispettivamente dal punto di vista dell’apprendente e del docente) i meccanismi
mentali che presiedono all’acquisizione, linguistica e non. Si basano in parte sulle neuroscienze, in parte sulle ricerche sulla memoria e in
particolare studiano gli stili cognitivi e quelli d’apprendimento.

Da queste basi erano nate negli anni Settanta le riflessioni di Giovanni Freddi e di Renzo Titone sull’UD, intesa come un percorso
di un certo numero di ore con tre fasi che richiamano i tre momenti percettivi, più una fase iniziale di motivazione ed una
conclusiva di verifica.
Negli anni Novanta la tendenza a spostare l’attenzione sul processo di apprendimento come base per l’elaborazione di processi di
insegnamento ci ha portato a smontare l’UD in una serie di UA, che hanno la durata di una sessione, in cui le tecniche didattiche
sono articolate secondo le fasi di “GLOBALITÀ → ANALISI → SINTESI/riflessione”.
Nel primo momento si mira alla percezione globale dell’evento comunicativo o del testo. Essa coinvolge principalmente l’emisfero
destro del cervello e si basa su strategie quali:
a. lo sfruttamento massimo della RIDONDANZA, del supplemento di informazioni contestuali (luogo, momento, partecipanti
ecc.) e co-testuali (ad esempio, l’articolo «le» mi indica che nomi e aggettivi che seguono sono femminili e plurali e non è
necessario un lavoro analitico per recepire le ulteriori informazioni che confermano il femminile plurale);
b. la formazione di IPOTESI SOCIO-PRAGMATICHE su quanto potrà avvenire in quel contesto, sulla base delle nostre
conoscenze del mondo;
c. la formazione di IPOTESI LINGUISTICHE sulla base delle nostre conoscenze grammaticali;
d. l’ELABORAZIONE delle METAFORE in quanto il nostro parlare quotidiano, non solo quello letterario, è denso di metafore
fossili («è una volpe» è quanto resta di «è furbo come una volpe»), volontarie o involontarie che comunque ci consentono di
visualizzare alcuni significati. Lo schema mentale delle metafore è elaborato dall’emisfero destro del cervello;
e. la verifica GLOBALE e APPROSSIMATIVA delle ipotesi (skimming) oppure la verifica di singoli elementi (scanning);
f. la ricerca di ANALOGIE con eventi noti.
Questa prima fase è dedicata all’approccio globale al testo: si tratta di ASCOLTARE, LEGGERE o VEDERE il testo più volte,
ciascuna delle quali con specifiche attività da compiere PRIMA, DURANTE e DOPO l’ascolto, in modo che l’allievo penetri il
testo muovendo dalla globalità per avviarsi a una comprensione: è quella che si definisce «FOCALIZZAZIONE MODALE», cioè
sul left mode del cervello.
A questo punto si apre una serie di sequenze “ANALISI → SINTESI spontanea → RIFLESSIONE” guidata relative a:
a. ciascun ATTO COMUNICATIVO che si vuole far acquisire alla classe. Lo si fa individuare nel testo, poi lo si drammatizza,
lo si fissa e lo si riutilizza, guidando gli allievi nella riflessione sull’aspetto funzionale che hanno acquisito;
b. ASPETTI LINGUISTICI, cioè fonologici, morfosintattici, lessicali e testuali;
c. TEMI CULTURALI impliciti o espliciti nel testo;
d. linguaggi NON VERBALI verbali, se il testo di partenza è un video.
Questa «molecola matetica» è il NUCLEO dell’attività di acquisizione della LS: ogni testo (dialogo, canzone, video, favola,
vignetta, poesia, lettera commerciale, barzelletta, scena di film ecc.) presentato allo studente va esplorato attraverso le tre fasi
della percezione gestaltica: prima in maniera globale, poi in maniera analitica, infine realizzando il più autonomamente possibile
una sintesi e una riflessione che permettano all’apprendimento di evolvere in ACQUISIZIONE.
Un’UA può durare pochi minuti o anche un’ora e più: è l’unità di misura secondo la quale lo studente percepisce il suo
apprendimento: «oggi a scuola abbiamo fatto..., ho imparato a...»; un’UD è invece una tranche linguistico-comunicativa più
complessa, realizzata mettendo insieme eventi, atti, espressioni, strutture linguistiche legati da un contesto situazionale: è una
procedura operativa classica, che rimanda alla pedagogia attivistica degli anni Trenta. Essa può durare dalle 6 alle 10 ore, e talvolta
anche di più, ed è di solito basata su un tema situazionale/culturale.
Lo schema dell’unità didattica può essere questo:

La lettura del diagramma è la seguente:


Motivazione
Non c’è acquisizione senza motivazione. Un percorso complesso come un’UD, che nell’esempio proposto dura almeno due o tre
settimane nelle scuole italiane, richiede una fase motivazionale che renda significativo l’apprendimento, che faccia nascere il
desiderio di iniziare lo sforzo di percorrere l’unità. È una fase in cui ci sono:
a. attività di ELICITAZIONE volte a far emergere quello che già conoscono e quello che immaginano del tema dell’unità, in
modo da mettere insieme il patrimonio di conoscenze già presenti;
b. rapide presentazioni di video, pubblicità, canzoni, materiale autentico, foto, esplorazioni di siti internet e così via. Si tratta di
una fase di STIMOLO all’elicitazione e di prima esplorazione di alcune parole chiave, utili per le fasi successive;
c. eventuale racconto di aneddoti personali che riguardano l’insegnante in quanto offrono una contestualizzazione «umana».
In questa fase il teacher’s talking time è ridotto e si realizza essenzialmente come domande-stimoli, oltre che come narrazione in
lingua, non di esercitazione linguistica.

La motivazione
Acquisire è uno sforzo: la mente deve «accomodare» in memoria le nuove informazioni, integrarle nella propria architettura e ciò comporta
anche un ridisegno delle SINAPSI, cioè dei collegamenti chimico-elettrici tra i neuroni del cervello: l’energia per farlo è costituita dalla
motivazione.
Si possono integrare tre modelli:
a. il modello EGODINAMICO di Renzo Titone
Ogni persona ha un progetto di sé, più o meno consapevole ed esplicito. Se questo richiede la conoscenza di una lingua, la persona individua
una STRATEGIA: decide di iscriversi a un corso. A questo punto subentra il momento tattico, quello del contatto reale con il corso: se si
ottengono risultati non troppo distanti dall’attesa senza dover pagare costi fisici, economici e psicologici eccessivi, la strategia si rinforza e invia
un FEEDBACK positivo all’ego, che continua a mantenere in movimento il processo; in caso contrario il feedback è negativo, il FILTRO
AFFETTIVO si inserisce, e il progetto di apprendere una lingua cade;
b. il modello TRIPOLARE
Individua le tre cause che governano l’agire umano:
 DOVERE→ ancora molto presente nell’itaL1 e nelle lingue classiche, ma non raro anche nelle LS. Questa motivazione non porta
all’acquisizione perché inserisce un filtro affettivo che fa restare nella memoria a medio termine le informazioni apprese. È tuttavia
possibile che il dovere si evolva in «senso del dovere», per cui si produce comunque motivazione;
 BISOGNO→ motivazione razionale che ha la necessità sia di essere percepito, sia di funzionare fino a quando lo studente decide che ha
soddisfatto il suo bisogno;
 PIACERE→ motivazione che può motivare il ragazzo ad appassionarsi al francese o al latino o all’analisi del periodo se il docente usa
metodologie che inducono piacere;
c. il modello della motivazione legata all’INPUT
Un’ultima notazione viene dalla riflessioni neuro-biologiche, basate sul presupposto che l’emozione giochi un ruolo fondamentale nel processo
cognitivo. Secondo gli studi di Schumann, il cervello, di fronte a un input, procede a un APPRAISAL, che è insieme «valutazione» e
«apprezzamento», e su questa base decide poi se accettare l’input, se interiorizzare gli elementi nuovi che compaiono nello stimolo. In altre
parole il cervello seleziona quello che vuole acquisire sulla base di cinque motivazioni:
 NOVITÀ;
 ATTRATIVA, dovuta alla piacevolezza, alla bellezza dello stimolo;
 funzionalità nel rispondere al bisogno che lo studente percepisce (è la cosiddetta NEED SIGNIFICANCE);
 REALIZZABILITÀ→ un compito possibile viene percepito come motivante e innesca il L AD, mentre un compito ritenuto troppo arduo
chiude la mente;
 SICUREZZA psicologica e sociale → ciò che si deve imparare e la risposta che si deve dare allo stimolo non mettono a rischio l’autostima
e l’immagine sociale (non devono innescare il filtro affettivo).
Sequenza-rete di unità d’apprendimento
I materiali didattici offrono una sequenza che è il modo più semplice di svolgere un’unità didattica. Ma se un docente ritiene che il
terzo «pallino» sia troppo complesso, può posticiparlo; oppure, se i ragazzi, spontaneamente o stimolati, portano una loro
esperienza o un testo che hanno trovato, la sequenza può essere integrata con altre UA. La presenza di alunni stranieri, che possono
portare esperienze personali sul tema dell’unità didattica, può fornire occasione per brevi UA aggiuntive.

Verifica e valutazione
La verifica è riferita al raggiungimento degli obiettivi (il classico test); la valutazione è il giudizio che l’insegnante dà sulla
performance di ogni singolo allievo sulla base di considerazioni quali il percorso di miglioramento. La verifica riguarda
specificamente gli obiettivi linguistici, pragmatici, culturali dell’unità appena conclusa, ma rileva e valuta anche quegli elementi
che, a quel punto del percorso di acquisizione della LS, dovrebbero essere stati acquisiti in unità precedenti.

Verifica e valutazione, «achievement» e «proficiency»


È opportuno richiamare due dicotomie in cui compaiono termini spesso usati come sinonimi ma che tali non sono:
a. verifica vs valutazione: con verifica intendiamo il REPERIMENTO di dati, atto ben diverso dal processo di valutazione, in cui si rapportano «i
RISULTATI dell’APPRENDIMENTO scolastico con la storia personale dell’allievo, con i suoi atteggiamenti verso la scuola e la società, con i
condizionamenti psicofisici e ambientali ai quali è soggetto» (Porcelli);
b. achievement vs proficiency: la prima nozione descrive la misurazione alla fine di una o più unità didattiche o di un modulo;
la proficiency invece riguarda il livello di COMPETENZA COMUNICATIVA a un certo momento, indipendentemente dal tipo di corso seguito
o dal percorso di acquisizione, come nel caso di test d’ingresso oppure test di certificazione.

Attività supplementari
La lingua non è solo quella presente nell’UD, esiste un mondo di testi che trattano gli stessi temi, soprattutto sul piano culturale:
finita l’unità, prima di procedere meccanicamente a quella successiva, può essere utile inserire una o due lezioni di
DECONDIZIONAMENTO dalla logica input → acquisizione: presentazione di testi non didattici, quali canzoni o spezzoni di
film/pubblicità, esplorazione della rete, ecc. Si tratta di una fase essenziale sul piano del sostegno della motivazione generale.

Par. 1.3: PARAMETRI DI VALUTAZIONE DELLE TECNICHE DIDATTICHE


Carrol nel 1980 suggerisce quattro parametri legati dall’acronimo RACE:
a. RELEVANCE, cioè pertinenza→ questo criterio individua l’oggetto effettivo di una tecnica, che tornando all’esempio del
dettato non è semplicemente «comprensione e ortografia»;
b. ACCETTABILITÀ da parte degli studenti e quindi effetto di quell’attività nel sostegno o nell’abbattimento della loro
motivazione e dell’acquisizione. Ci sono molte tecniche che possono mutare in termini di accettabilità a seconda delle
varianti usate: un dettato che deve essere consegnato all’insegnante perché lo corregga e lo valuti inserisce il «filtro
affettivo», una carica di ansia che può impedire che esso conduca all’acquisizione, mentre lo stesso dettato autocorretto non
porta a questo risultato negativo, in quanto lo studente sta mettendosi alla prova di fronte a se stesso;
c. COMPARABILITÀ dei risultati→ caratteristica rilevante per il testing oggettivo;
d. ECONOMICITÀ di somministrazione, esecuzione e correzione→ le ore di lezione e quelle di studio individuale sono
limitate, quindi questo parametro ha un ruolo rilevante.
Questi parametri classici non ci sembrano più sufficienti, in quanto sono essenziali anche:
a. FLESSIBILITÀ OPERATIVA, possibilità di varianti→ ad esempio, un’attività che richiede tassativamente tavoli intorno ai
quali si siedono gruppi di studenti è rigida ed inapplicabile se l’aula ha banchi fissi;
b. RELAZIONALITÀ nella classe→ alcune attività stimolano la competitività ed altre la cooperazione; alcune prevedono un
lavoro collettivo ed altre invece individuale; alcune provocano forme di comunicazione collettiva, mentre altre richiedono che
uno parli e gli altri ascoltino;
c. ADATTABILITÀ psicologica alle differenti caratteristiche e attitudini degli studenti→ ogni studente ha una combinazione
unica di dominanza emisferica, stili cognitivi e d’apprendimento, tipi di intelligenza, tratti della personalità. Per privilegiare
tutte le diverse caratteristiche è preferibile alternare le tecniche;
d. AUTONOMIA che viene concessa allo studente nel prepararsi da solo i materiali, nel gestire l’attività, nell’individuare e poi
correggere gli eventuali errori;
e. TECNOLOGIE.

Par. 1.4: LE ATTIVITÀ DIDATTICHE IN PROSPETTIVA UMANISTICA


Da trent’anni esiste un’ampia letteratura glottodidattica basata su un «approccio umanistico» che vede come autore di riferimento è
Stevick. Anzitutto va fatta una precisazione terminologica:
a. non siamo di fronte ad un approccio glottodidattico ma a un contributo che ci viene dalla psicodidattica, per cui si presentano
come metodologie;
b. «umanistico» non rimanda a una stagione della cultura europea ma all’attenzione alla natura complessa del HOMO SAPIENS,
che include ragione ed emozione, che lavora con due emisferi rispettivamente preposti alle elaborazioni analitiche ed
emozionali, che presenta diversi tipi di intelligenza e così via.
Non abbiamo usato il tradizionale «umanistico-affettivo» perché l’affettività è solo uno dei tratti della humanitas e non va
necessariamente enfatizzato. Esistono vari modelli di classificazione delle emozioni ma il più diffuso identifica OTTO emozioni
PRIMARIE: quattro positive (gioia, approvazione, sorpresa, aspettativa) e quattro negative (paura, dispiacere, rabbia, disgusto).
Ridurre tutto ciò all’affettività è improprio in quanto le tecniche usate in classe e le attività che vi si svolgono, devono tener conto
di tutta la gamma emozionale.
La glottodidattica umanistica
In Italia la glottodidattica umanistica trova terreno abbastanza fertile in itaL2 e nell’insegnamento delle lingue straniere. Essa è legata a tre idee
portanti:
a. gli esseri umani sono differenti per CARATTERITICHE COGNITIVE (diverse combinazione dei tipi di intelligenza e di stili cognitivi e
apprenditivi), PERSONALITÀ, storia personale, MOTIVAZIONI;
b. affrontano gli input che arrivano dal mondo esterno secondo la direzionalità neurologica globalità → analisi → sintesi;
c. sono BIDIMENSIONALI (sia emozionali sia razionali).

Par. 1.5: TECNICHE IN PROSPETTIVA COLLABORATIVA, DI MEDIAZIONE SOCIALE


La lingua è un fenomeno sociale, chi parla da solo parla a vanvera. Necessariamente molte attività richiedono un lavoro
individuale, rispettoso delle caratteristiche personali di ogni essere umano, ma altrettanto necessariamente è che esso deve essere
COMPLEMENTARE ad un lavoro sociale, in cui ciascuno non solo usa la lingua in maniera significativa con altri ma in cui
collabora con essi per risolvere problemi linguistici.
Le attività basate sulla mediazione sociale sono di natura costruttivistica e possono essere ricondotte all’APPRENDIMENTO
COOPERATIVO, in cui il lavoro comune per la soluzione di problemi costituisce il dato qualificante.

Va richiamata, prima di tutto, la distinzione tra attività COLLABORATIVE, in cui ogni studente ha un compito e l’integrazione tra
i compiti individuali porta a raggiungere l’obiettivo, e COOPERATIVE, in cui l’obiettivo va raggiunto lavorando insieme: in tal
modo i diversi tipi di intelligenza, stile cognitivo e d’apprendimento, motivazione e personalità si integrano e ciascuno impara
dagli altri non solo a risolvere quello specifico problema linguistico ma che esistono anche varie strategie per risolverlo.
Per far compiere agli studenti questo PASSO METACOGNITIVO, molte delle attività possono avere, come conclusione abituale,
una richiesta del tipo «Come hai fatto a giungere a questa conclusione? Come ti è venuta l’idea di fare in questo modo.
In questa logica, uno dei grandi problemi dell’insegnamento, cioè il fatto che ogni classe è una C AD, classe ad abilità differenziate,
viene trasformato in una risorsa.

Un’altra tipica metodologia di mediazione sociale è il TUTORATO tra pari, per cui alcuni studenti assumono funzione di tutor di
altri: non solo gli eccellenti, ma tutti, a seconda delle loro caratteristiche. Ad esempio, in alcuni tipi di attività in cui quel che conta è
riuscire a comprendere un testo in breve tempo, studenti intuitivi, ma spesso superficiali in termini di accuratezza, possono aiutare i
più «precisini», e questi a loro volta aiuteranno i più intuitivi a scoprire la necessità di correttezza formale: si realizza così una sorta
di LEADERSHIP DISTRIBUTIVA in cui ciascuno, di volta in volta, assume funzione di tutor di qualcun altro.

Par. 1.6: LE TECNICHE E LA DIMENSIONE LUDICA


La glottodidattica ludica non consiste nel fare giochi ma nella GIOCOSITÀ, in cui lo scopo dell’azione è giocare e, se possibile,
vincere. La RULE OF FORGETTING di Krashen, secondo cui si acquisisce meglio quando ci si dimentica che si sta acquisendo una
lingua, si applica al massimo nella didattica ludica.
Freddi nota che nel gioco si integrano, in maniera diversa a seconda delle tipologie ludiche, componenti:
a. COGNITIVE→ elaborazione di strategie, comprensione delle regole, valorizzazione dei diversi tipi di intelligenza;
b. LINGUISTICHE→ lettura, negoziazione, spiegazione delle regole, scambi comunicativi necessari allo svolgimento del gioco,
routine culturali come le conte o le frasi rituali («colpito», «affondato»);
c. SOCIALI→ interazione con squadra, necessità di mediare tra competitività e collaborazione;
d. MOTORIE e PSICOMOTORIE nei giochi con una dimensione fisica;
e. EMOTIVE→ paura, tensione, senso di liberazione, divertimento, piacere.

Fissazione delle strutture: «pattern drill» e esercizi di manipolazione


Il meccanismo di acquisizione linguistica (LAD) si articola in cinque fasi:
1. OSSERVAZIONE dell’input;
2. creazione di IPOTESI sul suo funzionamento;
3. VERIFICA dell’ipotesi e sua eventuale RIFORMULAZIONE;
4. RIPETIZIONI;
5. SISTEMATIZZAZIONE formale
La risposta nella storia della glottodidattica è duplice:
a. esercizi di MANIPOLAZIONE→ «volgi al futuro le seguenti frasi», «inserisci il passato dei verbi tra parentesi», «rispondi affermativamente
alle seguenti domande», ecc;
b. esercizi STRUTTURALI o pattern drill→ si compongono di batterie di STIMOLI (frasi minimali), cui lo studente deve fornire
una RISPOSTA sulla base del modello iniziale, per poi ascoltare dal nastro registrato o dall’insegnante la CONFERMA.

Sul piano della memorizzazione, il gioco ha il grandissimo pregio di consentire la reiterazione gradita, spesso cercata del gioco
stesso. Ecco alcuni esempi per illustrare le diverse tipologie di gioco.
I primi tre riguardano gli esercizi STRUTTURALI e quelli MANIPOLATIVI: sono utili per la fissazione ma demotivanti in sé per la mancanza
di significatività.
Una seconda categoria di giochi è basata sulla rapidità di esecuzione, che favorisce le persone più intuitive rispetto a quelle riflessive; possono
essere svolte in coppia ma, in molti casi, anche a gruppi più corposi o anche dividendo la classe in due squadre.

Un’altra famiglia di giochi si basa sugli insiemi: ci può essere un elemento da eliminare oppure ci può essere un’attività di riordino dell’insieme
in sotto-insiemi, sulla base di un parametro previsto dal docente al fine di far emergere un dato su cui poi ragionare.
Altre attività ludiche presuppongono l’uso di materiali reperiti sul mercato, in alcuni casi specificamente pensati per l’insegnamento linguistico,
come le flashcard tematiche tipiche della scuola elementare e le carte dei giochi di ruolo più adatte a preadolescenti, in altri casi nate come veri e
propri strumenti di gioco, come nel caso delle carte del Memory.

Infine ci limitiamo a un cenno ai molti giochi di simulazione, ampiamente utilizzati nella didattica delle lingue moderne da decenni. Una variante
di uno di questi giochi, l’intervista impossibile, è utilizzabile anche nell’insegnamento delle lingue classiche – meglio, in questo caso, della loro
dimensione culturale:
Anche da questi semplici esempi si deducono due forti cambiamenti di ruolo introdotti dalla metodologia ludica: da un lato, gli STUDENTI sono
PROTAGONISTI e sono attenti alla correttezza, alla ricchezza lessicale ecc; dall’altro, l’INSEGNANTE non è più giudice ma ARBITRO: se
uno studente ritiene che il compagno abbia enunciato un periodo ipotetico dell’irrealtà anziché quello della possibilità che veniva richiesto, prima
negozierà l’interpretazione con il compagno e poi ricorrerà all’insegnante per un’analisi corretta: solo la metodologia ludica può portare due
preadolescenti a discutere e a volere chiarezza sul periodo ipotetico.

Cap.2: IL LESSICO
Lessico, parola, termine; dizionario, vocabolario, terminologia
Il lessico* è l’insieme delle PAROLE e delle LOCUZIONI di una lingua e può essere visto nella sua completezza (il lessico dell’italiano da
quello degli Indovinelli veronesi di mille anni fa a quello d’oggi) oppure per sezioni sincroniche (l’italiano del Duecento, quello del Ventennio
mussoliniano); nessun parlante possiede l’intero lessico della sua lingua (raccolto nei dizionari), ma ne conosce una parte, che costituisce il
suo VOCABOLARIO: il vocabolario che una persona comprende, detto RICETTIVO, è di solito più vasto di quello che utilizza, cioè ATTIVO.
L’insieme delle parole e delle locuzioni che, sulla base del lessico di frequenza, si ritiene copra il livello soglia della comunicazione in una
lingua oggetto di studio è detto lessico FONDAMENTALE o di base. Esso non include solo le 800 parole di più alto rango nella lista delle
frequenze, ma anche il lessico ad alta disponibilità o accessibilità, cioè parole che comunque devono essere incluse in un sillabo, ad esempio
«ambulanza».
Abbiamo usato finora «parola», ma si tratta di una... parola difficile da definire. Intuitivamente sono parole quelle comprese tra due spazi
bianchi, ma in realtà abbiamo almeno tre categorie:
 parole «PIENE», con un significato intrinseco («penna», «tastiera»);
 parole «VUOTE», che hanno un significato funzionale (articoli, pronomi ecc.);
 «LOCUZIONI», cioè gruppi di parole che veicolano un significato unitario (modi di dire come «farne di cotte e di crude», congiunzioni o
avverbi come «in quanto a», «accanto a»), che sono diverse dalle «COLLOCAZIONI», cioè parole spesso collocate insieme («buon
giorno», «indurre in tentazione/peccato/errore»).
Le parole sono di solito POLISEMICHE, hanno cioè più significati, spesso vicini (una «linea» può essere tracciata con una penna, ma può essere
data da un manager, o indicare la condotta da seguire); nelle microlingue le parole sono, per quanto possibile, MONOSOMICHE e vengono
dette TERMINI, raccolti nella TERMINOLOGIA di un dato ambito scientifico-professionale.

* Prendendo le mosse da Lewis, notiamo che esso comprende almeno quattro categorie:
a. parole SINGOLE o COMPLESSE→ parole singole e locuzioni che esistono in quanto unite, come «marca da bollo»;
b. CO-OCCORRENZE o collocazioni→ combinazioni ad alta frequenza;
c. ROUTINE→ «buon giorno», «neanche per idea» e così via. Sono entità fissate nell’uso, hanno un significato unitario e creano
spesso problemi in lingue non native, dove non sempre ci sono routine corrispondenti a quelle italiane;
d. modi di dire, METAFORE FOSSILI, proverbi→ entità lessicali di base metaforica («è furbo come una volpe») o di cultura
popolare («l’abito non fa il monaco») che hanno un significato unitario talmente fissato dalla tradizione che consentono la
creazione di varianti comprensibili solo se si conosce il modo di dire originario.

Par. 2.1: L’ACQUISIZIONE DEL LESSICO NELLE FASI INIZIALI DI ITAL2 E DELLE LINGUE STRANIERE E
CLASSICHE
La didattica del lessico è da tempo al centro dell’interesse nella didattica delle lingue seconde e straniere, sull’onda del LEXICAL
APPROACH lanciato in Inghilterra negli anni Novanta da Lewis, mentre nelle lingue classiche il focus è ancora morfosintattico.
Qui ci occuperemo soprattutto delle attività che favoriscono la MEMORIZZAZIONE del lessico.
Ma cosa significa «acquisire lessico»?
In termini psicolinguistici, si tratta anzitutto di PERCEPIRE una parola o un item lessicale (cioè un’espressione di più parole con un
significato unitario) e poi di ACCOMODARLI nella nostra memoria semantica, per poterli poi RECUPERARE quando li si trova o li
si usa in un testo. Per utilizzare al meglio le potenzialità della mente occorre ricordare che questa tende a memorizzare per:
a. CAMPI SEMANTICI→ i colori, l’arredamento ecc. Molti campi semantici hanno dei corrispondenti morfologici, ad esempio,
per fare solo esempi in italiano, i colori sono tutti maschili anche se terminano in –a («rosa» e «viola» sono femminili solo se
indicano il fiore), le città sono tutte femminili anche se terminano in –o (tranne pochissimi casi diversi), le parti del corpo
umano che sono maschili al singolare possono avere un plurale femminile in – a (membro, braccio ecc.; ma rimangono
morfologicamente regolari se non riguardano il corpo, come «membri», «ossi» ecc.).
Facciamo rientrare in questa nozione anche quelli che nelle LS vengono spesso definiti «CAMPI NOZIONALI», ad esempio
il complesso delle nozioni di quantità, spazio, tempo ecc. La mente memorizza creando degli INSIEMI SEMANTICAMENTI
OMOGENEI e completi;
b. SISTEMI COMPLETI→ «alto/basso», «grasso/magro», «bello/brutto», «dentro/fuori», «sopra/sotto», «prima/dopo» sono
sistemi completi, anche se ridotti ai due poli essenziali. Spesso queste coppie sono articolate in maniera diversa in altre
lingue, ad esempio l’italiano «alto» è articolato in high e tall in inglese, così come «sopra/sotto» si articola
in on/under e above/below.
La conseguenza glottodidattica principale è che le liste lessicali sono inutili se le parole o gli item lessicali non sono
contestualizzati e resi «sistema».
Vediamo ora alcune tecniche didattiche il cui scopo è la memorizzazione del lessico. Le attività A2.5 riguarda la mera memorizzazione,
mentre A2.6 accoppia la funzione di fissazione mnestica all’acquisizione e al rafforzamento dell’abilità di lettura.
Memoria e lessico
Aristotele teorizzava il meccanismo di memoria che oggi chiameremmo «associazionismo»: si ricorda per SOMIGLIANZA o per CONTRASTO.
Esse possono indubbiamente essere utili, ma solo se le crea lo studente stesso, per quanto guidato: il ricordare prevede un ruolo attivo in quanto
serve un obiettivo e una strategia per raggiungerlo. In altre parole, APPRENDERE è un PROGETTO.
Di fronte a un’affermazione chiara e precisa come quella appena fatta, troviamo molta meno chiarezza sul modo in cui questo «progetto», una
volta tradotto in «ATTO DIDATTICO», vada poi a incidersi nella memoria e come avvenga poi la rievocazione di quanto interiorizzato.
Ci sono vari modelli, tra i quali troviamo una certa consonanza laddove indicano che:
 a una maggiore RIFLESSIONE corrisponde una maggiore MEMORIZZAZIONE;
 a CODIFICA profonda è a livello SEMANTICO più che sintattico, LESSICALE più che grammaticale. Il lessico però ha significato e
quindi viene immagazzinato nella memoria semantica solo se considerato all’interno di un testo e di un contesto;
 l’immagine visiva è, contrariamente a quanto si ritiene, meno efficace di quella sonora.
Altrettanto complesso e ancor meno conosciuto è il processo di recupero del lessico dalla mente, soprattutto se si pensa che avviene in pochi
centesimi di secondo: si ipotizza che il lessico sia organizzato in una serie di RETI SEMANTICHE, in cui classifichiamo le esperienze, e di
«COPIONI» COMPORTAMENTALI.

Muoviamo ora dalle semplici acquisizione e memorizzazione all’uso produttivo della lingua. Per quanto lessico si possieda in una lingua, anche
nella lingua madre, accade sempre che per stanchezza, per stress o per carenze lessicali non si riesca a trovare la parola necessaria: il problema si
risolve curando lo sviluppo e l’abilità di fare PERIFRASI, che consente di illustrare il significato di una parola che non si sa.

Par. 2.2: IL LAVORO SUL LESSICO IN ITAL1 E NEI LIVELLI AVANZATI DI ALTRE LINGUE
Nei livelli avanzati di competenza linguistica il lessico si misura in QUANTITÀ e QUALITÀ. Sul primo fattore c’è stata
un’abbondante discussione sulla quantità di lessico che lo studente dovrebbe possedere alla fine dei vari livelli scolastici: basta
ricordare che le prime 2000 parole del vocabolario di base coprono il 94% di qualsiasi discorso si legga o si ascolti. Ma questa logica
quantitativa non è sufficiente per due ragioni:
 da un lato NON DISTUNGUE tra lessico ricettivo, che viene compreso, e attivo, quello effettivamente usato da parte dello
studente che parla o scrive;
 d’altra parte una mera quantificazione ignora il fatto che ogni persona ha un suo IDIOLETTO personale, cioè una porzione della
lingua che lui o lei utilizza di preferenza.
L’intervento di base riguarda l’abitudine di smontare e rimontare il lessico posseduto, in modo da far scoprire i meccanismi di
funzionamento di questa componente essenziale della lingua: prefissi, suffissi, meccanismi di alterazione, ecc.
Un secondo tipo di arricchimento riguarda il continuum che parte dalla totale DENOTAZIONE delle microlingue e giunge alla
totale CONNOTAZIONE del testo letterario.

Denotazione e connotazione
Ogni segno, linguistico e non, è composto da un oggetto fisico (un suono, un segno grafico, un gesto, ecc.) che è il «SIGNIFICANTE», e da un
concetto, un’idea, il «SIGNIFICATO».
I significati tuttavia hanno una duplice natura, legata alle due dimensioni fondamentali della comunicazione umana:
a. comunicazione pura, semplice e diretta, mirata a conseguire un fine pragmatico che corrisponde alla dimensione DENOTATIVA della lingua;
b. comunicazione che esprime uno stato d’animo, un giudizio, una considerazione particolare su ciò che viene denominato. Esso ha un significato
affettivo, una CONNOTAZIONE.
Il modo più semplice e grammaticalizzato di esprimere connotazioni è dato dalle ALTERAZIONI, anche se ci sono quasi più eccezioni che
regolarità: una «cagnetta» è bella e cara, ma una «donnetta» è disprezzabile; un «cagnaccio» fa paura, ma un «ragazzaccio», a seconda del tono,
può essere ancor più pauroso o un ragazzo apparentemente violento ma in realtà amabile, così come il «ragazzone» e il «ragazzino» non
riguardano solo le dimensioni o l’età.
Un altro forte problema di connotazione è costituito dall’ordine delle parole, in una lingua come l’italiano che lascia una certa libertà: «uomo
grande» vs. «grande uomo», «donna buona» vs. «buona donna», e così via.
SINONIMIA e ANTINOMIA→ termini che indicano due fenomeni opposti. Il primo indica due parole che hanno più o meno lo
stesso significato, il secondo due parole di significato opposto.

IPERONIMIA e IPONIMIA→ termini che indicano due fenomeni opposti. Il primo indica una parola che è di rango superiore a una
serie di parole («felino» rispetto a «gatto», «leone», «lince» ecc.), il secondo indica la parola inferiore («gatto», nell’esempio) rispetto
a quella generale.

NEOLOGIZZAZIONE→ meccanismi di generazione delle parole che vanno al di là dell’affissazione e dell’alterazione.


In particolare ci si può soffermare sui tre metodi più semplici che si utilizzano per creare nuove parole:
a. ONOMATOPEA→ parola creata attraverso l’imitazione del suono (miao, bau, etcciù, smack, dlin dlon, crac, ciuf ciuf, clic,
bang, ecc.);
b. uso di SIGLE;
c. METAFORIZZAZIONE→ ogni computer ha un «topo» (mouse), può prendersi un virus, può avere un baco (bug), ha varie
«porte» dove si infila la «penna, pennina, pennetta»; talvolta il computer «va in tilt» come un vecchio flipper; ogni sito
internet ha la sua casa (home) e delle parole «sensibili» o «calde» (hot words) su cui, con una splendida onomatopea, si
«clicca». A parte questi neologismi, il lavoro sulle metafore è motivante quando, ad esempio, si organizza una «caccia alla
METAFORA FOSSILE» di cui abbonda il parlare quotidiano («Gianni è un leone», «Lucia fa la civetta» ecc.); si può anche
organizzare una gara sulla migliore metafora, che motiva e rende creativa anche la classe più ribelle, purché l’oggetto da
metaforizzare sia psicologicamente rilevante.

Nelle varie lingue ci sono delle CO-OCCORRENZE, due o più parole che si presentano spesso accoppiate, come «ubriaco fradicio»,
«stanco morto» (spesso l’ordine è diverso nelle varie lingue, come nel caso di «bianco e nero» e «black and white»).
In ItaL1 l’attività sulle co-occorrenze stimola una riflessione, spesso molto sofisticata. Ad esempio, senza un’attività mirata, il cui
scopo è abituare ad osservare e non acquisire una regola già presente, può far scoprire che «indurre in» si presenta, solo in
combinazione con «errore» e «tentazione», con parole connotate negativamente.

Cap.3: LE GRAMMATICHE
Il termine «grammatiche» sta ad indicare tutti quei COMPLESSI di MECCANISMI (di solito detti «REGOLE» che rimandano a
«regolarità», cioè meccanismi che ricorrono regolarmente, e non a «norme») che governano i vari assi di strutturazione della
lingua:
a. grammatica FONOLOGICA→ riguarda i fonemi e la prosodia, l’intonazione (PRONUNCIA);
b. GRAFEMICA→ riguarda i meccanismi di trascrizione di una lingua (ORTOGRAFIA);
c. MORFOSINTATTICA→ a livello teorico è scissa nelle due componenti (MORFOLOGIA e SINTASSI) e tale rimane
nell’insegnamento della L1, nelle altre lingue funziona meglio se viene considerata come un complesso unitario che si evolve
in maniera integrata. La morfologia include anche i meccanismi di neologizzazione e di alterazione del lessico;
d. TESTUALE;
e. SOCIOLINGUISTICA→ riguarda l’uso appropriato della lingua a seconda dei CONTESTI. In questo capitolo è integrata
con la grammatica culturale che governa le relazioni interpersonali;
f. PRAGMALINGUISTICA→ riguarda le STRATEGIE e gli atti attraverso i quali un locutore cerca di raggiungere i propri
SCOPI utilizzando la lingua. In questo capitolo la tratteremo insieme quella socio-culturale. In ItaL1 non esiste tradizione
alcuna di insegnamento legato alle funzioni e agli atti comunicativi;
g. grammatiche EXTRALINGUISTICHE→ regolano l’uso comunicativo del corpo (gesti, espressioni: è la «CINESICA»),
della distanza interpersonale («PROSSEMICA»), degli oggetti (vestiti, status symbol ecc.: «OGGETTEMICA») e
costituiscono uno dei grandi problemi glottodidattici: i linguaggi non verbali non vengono insegnati e analizzati malgrado
accompagnino sistematicamente la comunicazione verbale.
Prima di affrontare le tecniche specifiche per l’acquisizione delle «regole», è tuttavia utile accennare a tre nozioni* quadro.

Grammatica e grammatiche
Una «grammatica» è l’INSIEME di REGOLE che governano uno dei vari sistema della lingua (non solo la morfologia e la sintassi, ma anche la
fonologia, il lessico, la testualità, nonché l’uso socio-pragmatico della lingua); «regola» non è qui sinonimo di norma, di legge da rispettare pena
una sanzione, ma indica una regolarità di funzionamento di un meccanismo.
Esiste una grammatica mentale («COMPETENZA») che raccoglie le regole e ne governa l’uso; esiste una grammatica descrittiva, che si occupa
di illustrare, catalogare, descrivere le regole di una data lingua; esiste una grammatica pedagogica che teorizza il modo in cui organizzare le
regole in modo da graduarle, da far sì che una persona le acquisisca (si crei, cioè, una competenza) e le usi – e se possibile ci ragioni su
(«METACOMPETENZA»).
Nel Medioevo la grammatica (intesa come capacità metalinguistica piuttosto che come mera e meccanica conoscenza delle regole del latino) era
una delle tre arti del Trivio, accanto alla retorica e alla dialettica: questa tradizione di grammatica come arte nobile, insieme a quella
dell’approccio formalistico, hanno attribuito alla componente grammaticale nello studio delle lingue un ruolo esclusivo accanto alla disponibilità
di lessico, facendone spesso il punto di partenza anziché quello di arrivo dell’insegnamento, nonché lo strumento principe per rispondere a dubbi
e correggere errori.

Par. 3.1: IL LAD DI CHOMSKY, IL LASS DI BRUNER, LA «RIFLESSIONE SULLA LINGUA »


*1 Il Language Acquisition Device di Chomsky è un meccanismo geneticamente caratterizzante della nostra specie che consente
l’AQUISIZIONE del LINGUAGGIO sulla base di alcuni capisaldi costituiti dalla Grammatica Universale.
Tale meccanismo funziona secondo una sequenza base che prevede:
a. OSSERVAZIONE dell’input che si riceve;
b. CREAZIONE di IPOTESI sulla base dell’osservazione;
c. VERIFICA delle ipotesi (input e output);
d. FISSAZIONE dei meccanismi ipotizzati e verificati;
e. SISTEMATIZZAZIONE in «regole» inconsapevoli, che permettono di produrre e riconoscere (knowing in termini
chomskyani, acquisistion nella versione di Krashen) enunciati grammaticalmente ben fatti, che viene resa consapevole
(cognizing in Chomsky, learning in Krashen) dall’attività metalinguistica.

Dovremo quindi articolare le attività glottodidattiche sulla base di queste fasi, differenziando tra:
 insegnamento di itaL1, che produce cognizing/learning, in quanto si opera su una lingua già acquisita;
 insegnamento di itaL2 e della lingua etnica, che hanno una forte componente di acquisizione spontanea extrascolastica;
 didattica della lingua straniera e classica dove si procede parallelamente all’acquisizione inconsapevole e all’apprendimento,
cioè alla sistematizzazione consapevole.
Per le prime tre fasi, si utilizza una METODOLOGIA che richiama la sequenza gestaltica GLOBALITÀ → ANALISI → SINTESI:
dato un input, l’insegnante focalizza l’attenzione su alcuni aspetti e chiede agli studenti di ipotizzare come funziona quel tale
meccanismo morfologico, pragmatico, sociolinguistico e così via; poi guida alla verifica delle ipotesi sia tornando sul testo, sia
proponendo altri esempi, sia completando o correggendo direttamente le ipotesi. La sintesi giunge a conclusione di un percorso.

La fase della fissazione è quella cui si dedica tradizionalmente più tempo nelle lingue non materne, mentre la sistematizzazione
costituisce gran parte del lavoro in itaL1, con l’analisi della parola (ANALISI GRAMMATICALE), della frase (ANALISI LOGICA)
e del «periodo».
Non basta però attivare il LAD per acquisire una lingua: la linguistica acquisizionale individua delle sequenze in cui ogni anello
della catena presuppone che sia stato acquisito l’anello precedente, per cui si acquisiscono solo gli elementi che sono nella «ZONA
di SVILUPPO PROSSIMALE», come la chiama Vygostkij: gli altri elementi possono essere appresi razionalmente ma non entrano
nella memoria stabile.

*2 La seconda nozione viene da Bruner che nota come il LAD abbia bisogno di un LASS, Language Acquisition Support System, che
nel nostro caso è un docente. Il termine system indica una prospettiva più ampia del semplice docente: il LASS non è costituito da una
persona ma da un SISTEMA, che include la scuola nel suo complesso (materiali, tecnologie glottodidattiche, famiglia).
Abbiamo ripreso questa nozione per focalizzarci sulla prima «s», SUPPORT. È una nozione chiarissima, che affida al LAD il
compito di acquisire e al docente il compito di sostenerlo (offrire input da osservare; guidare lo studente nella creazione di ipotesi
e nella loro verifica e fissazione; garantire una sistematizzazione corretta).
Questo ruolo di sostegno diviene fondamentale per cogliere il passaggio dal tradizionale insegnamento della grammatica alla *3RIFLLESSIONE
sulla LINGUA, che caratterizza la glottodidattica italiana dagli anni 70.
L’idea di grammatica e riflessione linguistica in glottodidattica
L’idea che sta alla base della contrapposizione che abbiamo visto nella tabella non è nuova: secondo il primo Ministro dell’Educazione Pubblica
del Regno d’Italia, Francesco DE SANCTIS, la grammatica andava intesa come «analisi dei fatti» piuttosto che come «teoria della lingua»;
Giuseppe Lombardo Radice nel 1912 ribadiva che apprendere una lingua implica una «spontanea formazione di regole, nate dal confronto fra il
proprio e l’altrui linguaggio, e dallo sforzo di adeguare il proprio pensiero all’altrui»; uno dei fondatori della glottodidattica moderna, Harold
Palmer, a cavallo tra 800 e 900 aveva definito inventional grammar, la grammatica induttiva, che viene «trovata» dallo studente sotto la guida
dell’insegnante. In questo senso, quindi, il passaggio dall’«insegnamento della grammatica» alla «riflessione sulla lingua» non è una rivoluzione
improvvisa, bensì la consacrazione di una tradizione presente da oltre un secolo nel pensiero pedagogico e glottodidattico.
Nell’educazione linguistica fino agli anni Cinquanta-Sessanta prevale l’idea che l’insegnamento grammaticale vada condotto attraverso l’analisi
grammaticale e logica in italiano, in latino e nelle LS. Nel 1975 le Dieci Tesi, un testo fondamentale del gruppo di studiosi che fa capo a
TULLIO DE MAURO, attaccano questo principio nell’italiano L1, dove la nozione di lingua statica e definita viene attaccata alla radice; nelle
lingue straniere si afferma l’approccio strutturalistico, che comunque ritiene centrale l’acquisizione grammaticale, ma negli anni Settanta
l’affermarsi dell’approccio comunicativo mette in primo piano il raggiungimento della competenza comunicativa, di cui la grammatica è solo una
componente. Sia in italiano sia nelle lingue straniere alcune versioni estreme dell’istanza comunicativa finiranno per far dimenticare che la
grammatica rappresenta l’impalcatura formale della competenza comunicativa. Un ritorno all’attenzione grammaticale si ha nel movimento focus
on form, che si sta diffondendo soprattutto nel mondo anglosassone da una decina d’anni.

Par. 3.2: L’ACQUISIIONE GRAMMATICALE IN ITAL2 E NELLE FASI DI ACQUISIZIONE INIZIALE E


INTERMEDIA DI LS E LINGUE CALSSICHE
Ricordando che alla base di tutto il nostro impianto la logica di fondo è quella gestaltica, l’acquisizione avviene attraverso un
percorso neuro-psicolinguistico costituito da tre fasi, globalità → analisi → sintesi.
In questo capitolo privilegeremo quindi percorsi INDUTTIVI, che comunque non possono esaurire il lavoro perché talvolta sarà
necessario ricorrere anche a procedure DEDUTTIVE (si parte da uno schema per ricostruire un meccanismo morfosintattico,
fonologico o testuale).

3.2.1: ATTIVITÀ BASATE SULL’INSIEMISTICA


Una prima serie di attività applica in maniera completa la sequenza gestaltica vista sopra: si parte da un insieme, che viene
esplorato globalmente e su cui poi si effettua una analisi, per giungere alla sintesi e alla riflessione sulla «regola».
L’insiemistica offre un vasto ventaglio di attività, come:
a. INCLUSIONE: dato un insieme (ad esempio 20 nomi) i suoi elementi devono essere inclusi in due sottoinsiemi di rango
inferiore (ad esempio, un insieme di nomi maschili e uno di nomi femminili, oppure singolari/plurali, concreti/astratti,
primitivi/derivati, propri/comuni ecc.);
b. ESCLUSIONE: dato un insieme si devono escludere quello o quegli elementi che non sono coerenti con il principio che
ordina l’insieme (ad esempio, se l’insieme è di nomi concreti vanno esclusi tutti gli astratti): la tradizione didattica chiama
questa tecnica «fuori l’intruso!».
Su questi modelli si possono creare attività rapide, veloci, ben accette agli studenti, su moltissime delle «grammatiche» di una lingua, dalla
morfosintassi alla varietà di registro sociolinguistico ai connettori testuali e così via. C’è un’altra attività tipica dell’insiemistica, che è il suo
riordinamento sulla base di un parametro.
Si può lavorare sulle nozioni di frequenza da mai a sempre, di colore dal più chiaro al più scuro, ecc. Spesso serie di questo tipo
sono almeno in parte arbitrarie, legate alla sensibilità personale, e ciò è positivo se si coglie l’occasione per far discutere gli allievi:
abbiamo già anticipato il contesto in cui nacquero i pattern drill [stagione strutturalista degli anni Cinquanta-Sessanta, risultato
della linguistica tassonomica di Bloomfield e della psicologia comportamentistica di Skinner, ma in realtà questi esercizi, basati
sulla ripetizione di compiti minimali, così come quelli di manipolazione appartengono a una tradizione secolare].
La scoperta recente dei neuroni specchio nel nostro cervello e del loro ruolo nell’apprendimento e nell’empatia ha portato ad una
riconsiderazione totale del ruolo della «RIPETIZIONE», vista come «REITERAZIONE ATTIVA e DINAMICA»:
 attiva perché i neuroni specchio sono fortemente attivati in questa azione;
 dinamica perché implica una risistemazione continua dell’architettura della propria conoscenza, coinvolgendo motivazioni,
emozioni, intelligenze multiple;
 reiterazione perché non ci si limita a ripetere un compito. Se i neuroni specchio vengono coinvolti nella ripetizione di compiti
significativi essi percorrono più volte, ad ogni ripetizione, un itinerario: re-iterano un significato ed una forma.

Gli esercizi strutturali classici constano di una batteria di stimoli cui l’allievo deve fornire la risposta, che viene poi confermata o
corretta dal nastro o dal docente. Non c’è scambio di significati, siamo nel semplice addestramento, ma questo non basta per
cancellare dalla pratica didattica qualche breve batteria svolta in classe, in cui ad esempio l’insegnante dice un verbo e indica uno
studente che deve produrre il negativo. È possibile, però, avere una reiterazione anche in contesti significativi se anziché proporre
dei pattern drill su sintagmi morfosintattici o su paradigmi lessicali li si usa per COMUNICAZIONE REALE.

Le tecniche insiemistiche comportamentistiche di tipo strutturale mirano ad una fissazione meccanica, spontanea delle regole; le
attività di manipolazione, introdotte da consegne del tipo «Volgi al...», possono affiancare la mera ripetizione ad una riflessione
sulla regola che si sta fissando. Sono esercizi poco significativi e demotivanti ma se gli studenti vengono resi consapevoli del ruolo
che la manipolazione può avere e se gli esercizi sono brevi possono contribuire all’automatizzazione di alcuni meccanismi.
È tuttavia possibile trovare una giustificazione comunicativa anche per le attività di manipolazione come ad esempio:

3.2.3: DALLA FISSAZIONE ALLA RIFLESSIONE


Tutte le tecniche di fissazione basate su ripetizione e manipolazione si prestano come stimoli per una riflessione, prima individuale
e poi collettiva, ma ci sono attività in cui è l’aspetto ripetitivo ad essere meno significativo e la riflessione emerge come la vera
finalità dell’attività.
3.2.4: IL LAVORO SULL DIMENSIONE SONORA DELLA LINGUA
Nelle fasi iniziali di acquisizione di una lingua uno degli aspetti maggiormente delicati è costituito dalla dimensione SONORA:
a. FONETICA→ corretta realizzazione dei suoni;
b. FONOLOGIA→ consapevolezza che alcuni suoni (studiati dalla fonetica) hanno un valore distintivo nelle varie lingue;
c. INTONAZIONE→ produce difficoltà per molti stranieri che studiano italiano, dove l’intonazione ha non solo funzione
espressiva ma anche SINTATTICA, come ad esempio nell’interrogativa, mentre in inglese l’interrogazione è segnata
dall’ordine verbo/soggetto o dall’ausililare do e non modifica l’intonazione;
d. PROSODIA→ ci consente di separare le sezioni di un enunciato.
Una delle attività da proporre inerente a questa dimensione d è quella di scoprire il nostro APPARATO ARTICOLATORIO: ciò
rede consapevoli gli studenti dei dove e come nascono i vari foni.

Le attività sono essenzialmente di tre tipi:


 scoprire lo spazio in cui avviene la produzioni di vocali e consonanti. Il risultato più utile è nella scoperta che la differenza tra
le coppie sorda/sonora non riguarda la posizione di labbra e lingua, ma la vibrazione delle corde vocali che si sente
appoggiando lievemente il polpastrello di un dito sul pomo d’Adamo e pronunciando in alternanza coppie come t/d, p/b, f/v;
 scoprire che alcuni fonemi italiani hanno due varianti («ALLOFONI») che non incidono sulla sua funzione unitaria, mentre in
altre lingue corrispondono a due fonemi distinti: ad esempio n/ŋ sono due allofoni in italiano e due fonemi in inglese;
 imparare a produrre suoni non presenti in italiano.

3.2.5: IL LAVORO SULL’ORTOGRAFIA


Il problema ortografico varia moltissimo a seconda delle lingue che si insegnano. Per esercitare l’orotgrafia abbiamo due attività
essenziali:
 COPIATURA (individuale)→ può avvenire in tre modi: ricopiatura classica, autodettato e completamento di un dialogo;
 DETTATO (collettiva).
Un modo ludico per lavorare sull’ortografia è il CRUCIVERBA.

Par. 3.3: L’ACQUISIIONE GRAMMATICALE IN ITAL2 E NELLE FASI DI ACQUISIZIONE INIZIALE E


INTERMEDIA DI LS E LINGUE CALSSICHE
Con studenti che hanno già acquisito l’itaL1 o che sono comunque a livelli avanzati di lingue non native, le attività «grammaticali»
non mirano più all’acquisizione, al knowing, ma all’APPRENDIMENTO RAZIONALE, al cognizing.

La riflessione sulla lingua costituiva un contributo all’autopromozione della persona, allo sviluppo delle sue abilità cognitive
applicate alla lingua e all’imparare ad imparare.
3.3.1: PERCORSI PER LA RIFLESSIONE SULLA LINGUA
La riflessione può essere condotta secondo varie metodologie.
a. in maniera INDUTTIVA o DEDUTTIVA
Nel primo caso, dato un insieme di verdi come ad esempio

lo studente «scopre», sotto la guida dell’insegnante, che alcuni verbi non hanno bisogno di «ARGOMENTI» (soggetto,
complementi), altri ne vogliono uno (soggetto), altri due (soggetto, oggetto), altri tre (soggetto, oggetto, termine): scoperte le
funzioni, queste vengono etichettate come «soggetto», «oggetto», «termine».

Nella prospettiva deduttiva, invece, si trasmette l’informazione «ogni frase ha un soggetto e un verbo e può avere
COMPLEMENTI diretti e indiretti» e poi si elencano i vari tipi di complemento: è una procedura più rapida della prima, ma certo
poco accettabile per gli studenti, ridotti a vasi vuoti da riempire anziché considerati soggetti pensanti, e privilegia solo coloro che
hanno uno stile astrattivo e un’intelligenza logico-matematica.

b. in maniera INDIVIDUALE o in COPPIA


La prima procedura è economica in termini di tempo in quanto può essere condotta a casa, ma la seconda è più formativa in quanto
riduce il rischio di errore e consente di completare le conoscenze che mancano ad uno dei membri.

c. su FRASI DECONTESTUALIZZATE o su TESTI SIGNIFICATIVI


L’abitudine è quella di volgere, analizzare, completare «frasi» – ma nulla impedisce di fare l’analisi logica di un aneddoto, di un
fumetto, della mail di uno studente, in modo che le frasi siano inserite in un contesto significativo.

d. in maniera SERIA (seriosa?) oppure LUDICA


La tradizione rimanda ad un’analisi grammaticale, logica, del periodo, condotta sul quaderno ma nulla vieta di fare un gioco
dell’oca in cui a ogni casella c’è un complemento, un tipo di verbo, una nozione morfologica o quant’altro e il punteggio vale solo
se si dice una frase con quel complemento, si mette quel verbo al passato remoto, e così via a seconda della consegna.

e. in prospettiva INTRA- o INTER-LINGUISTICA


È una delle scelte fondamentali sia sul piano teorico sia su quello operativo. Il principio della prospettiva interlinguistica è
elementare: anziché vedere i pronomi personali soggetto oppure gli atti comunicativi solo in una lingua, li si schematizza in più
lingue; sul piano organizzativo, richiede solo una semplice PROGRAMMAZIONE di TEMPI: lo schema interlinguistico va
completato in uno o al massimo due giorni, per cui i vari docenti impegnati nell’educazione linguistica devono concordare sul
giorno e il modo in cui condurre l’analisi.

f. con il sussidio del COMPUTER


Esistono decine di programmi che consentono di creare attività, soprattutto di carattere ludico, anche se non si ha una specifica
competenza riguardo ai computer: scelte multiple che si creano automaticamente, cruciverba che offrono le combinazioni possibili
di una serie di parole indicate dal docente, ecc.
Esploreremo nell’attività A3.11 una peculiare caratteristica del computer, cioè il suo poter contenere BANCHE DATI
IPERTESTUALI: una grammatica di riferimento è infatti una banca dati, i link ipertestuali ne connettono le varie parti – ma
soprattutto è possibile creare, anziché acquistare, una banca dati grammaticale.
Queste variabili incidono fortemente su uno dei parametri di valutazione delle tecniche glottodidattiche, l’ACCETTABILITÀ da
parte degli studenti, e si possono applicare a tutto il gruppo di attività che elenchiamo di seguito.

3.3.2: L’ANALISI MORFOLOGICA, SINTATTICA, TESTUALE, SOCIOLOGICA


Analisi grammaticale, logica e del periodo sono tre incubi per i preadolescenti che le affrontano alle scuole medie, senza capirne
senso, finalità e senza trovare una logica nella marea di complementi che vengono riversate loro addosso.
a. la riflessione morfologica
L’analisi grammaticale richiede l’attribuzione delle singole parole ad alcune CATEGORIE MORFOLOGICHE. Ci troviamo qui di
fronte ad una scelta: da un lato, processo e terminologia di questa attività sono consolidati nella tradizione, nell’esperienza collettiva,
quindi non può essere evitata; dall’altra basta sfogliare le grammatiche scolastiche per notare le incongruenze concettuali e le
arbitrarietà terminologiche della tradizionale analisi delle «nove parti del discorso», in cui rifluisce di tutto e in cui
a. mancano nozioni essenziali come, ad esempio, l’aspetto verbale;
b. ci sono contraddizioni (il pronome è una parte «variabile», ma tra i principali pronomi ce ne sono molti di invariabili; il
pronome «sta al posto del nome», ma a quale nome si riferisce in «lo dicevo che veniva a piovere»?);
c. si presentano come universali categorie che non sono.
L’analisi grammaticale comunque va fatta e non si può disconoscere una tradizione radicata, ma si può spiegare agli studenti fin dal
primo giorno che è una tradizione che funziona solo approssimativamente per molti parti del discorso, che non è universale e serve a
due scopi:
1. condividere una terminologia imperfetta ma utile per comprendersi nell’apprendimento di una lingua;
2. imparare a classificare, spiegando l’essenziale ruolo cognitivo di questa funzione e spiegando che classificare qualcosa che si
conosce bene esercita l’abilità di classificazione senza porre problemi di contenuto.

L’accettabilità dell’analisi grammaticale da parte degli studenti si costruisce sul desiderio di crescere cognitivamente e sul senso
del dovere, sulla fiducia che il ragazzino ripone nel suo insegnante di italiano; nelle LS a livello avanzato, invece, la
MOTIVAZIONE dovrebbe essere INTRINSECA, finalizzata al perfezionamento della propria (meta)competenza; ma è anche
possibile aggiungere un tocco motivazionale con la scelta di frasi significative (ottimo in questo senso è l’uso di fumetti, le cui
battute sono frasi brevi).
L’uso di dadi, tris, battaglie navali e quant’altro può fortemente contribuire a variare la classica analisi condotta sul quaderno.
b. la riflessione sintattica
Questa tradizione si basa su categorie ancor più arbitrarie dell’analisi grammaticale e le impone fin dalla scuola media, in cui la
capacità astrattiva non è sufficiente per una riflessione autonoma, per cui l’attività si limita ad etichettare i «COMPLEMENTI» con
espressioni più o meno fantasiose.
Alle medie può essere sufficiente distinguere tra predicato, soggetto, e complementi diretti/indiretti da un lato, e
necessari/facoltativi dall’altro. Con la crescita della capacità di analisi, il complemento OGGETTO può articolarsi nelle sue tre
forme (SEMPLICE, INTERNO, PARTITIVO), quello PREDICATIVO può essere scisso a seconda che riguardi il soggetto o
l’oggetto ma la divisione in complemento d’agente e di causa efficiente, di compagnia e d’unione ecc. ci pare inutile.

Al livello superiore rispetto alla frase semplice, per l’«ANALISI del PERIODO», all’inizio sarà fondamentale solo distinguere tra
REGGENTI, COORDINATE e SUBORDINATE, denominando i tipi principali di queste ultime, ma quel che interessa per lo
sviluppo cognitivo anno dopo anno è lavorare sulla funzione delle «CONGIUNZIONI» coordinanti e subordinanti, sulle differenze tra
subordinate ESPLICITE e IMPLICITE, tra subordinate NECESSARIE («ha detto» è una reggente che richiede necessariamente
un’oggettiva) e FACOLTATIVE, sull’articolazione dei periodi ipotetici in tre tipi, ecc.

Una dimensione interessante per l’analisi sintattica, soprattutto nelle scuole in cui gli studenti affrontano anche il latino e il greco,
è l’ANALISI LOGICA VALENZIALE.
Tradizionalmente l’analisi logica ruota di fatto intorno al soggetto, ma Tesnière, alla fine degli anni Cinquanta, sposta l’attenzione
sul verbo: la frase non è l’unione necessaria di soggetto + predicato, ma è tutto quel che ruota intorno al PREDICATO sulla base
del significato del verbo.
È la GRAMMATICA «VALENZIALE» (così detta in analogia con le «valenze» degli atomi, che possono combinarsi con uno o
due o tre o più atomi a seconda del complesso delle valenze disponibili), centrata sul VERBO e i suoi «ARGOMENTI»: chiedere
allo studente di individuare il verbo, di vedere di quanti completamenti obbligatori ha bisogno, individuarli nel testo e distinguere
tra necessari e facoltativi diventa cognitivamente PIÙ MOTIVANTE.

c. l’analisi testuale
Molto spesso la dicitura «analisi testuale» viene considerata sinonimo di «analisi della letterarietà di un testo» e nell’educazione
linguistica si parla di «analisi del periodo», anche se l’analisi di un testo va ben oltre il periodo, dai meccanismi di COESIONE a
quelli che evidenziano la COERENZA logica, dalla tipologia dei TESTI* 1 a quella dei GENERI TESTUALI* 2. L’analisi delle
caratteristiche costitutive dei tipi testuali riguarda l’individuazione di alcune caratteristiche universali, presenti in ogni lingua, per i
vari tipi testuali come ad esempio i *1 testi:
 DESCRITTIVI;
 ARGOMENTATIVI;
 REFERENZIALI;
 REGOLATIVI;
 NARRATIVI.
L’aspetto fondamentale è la necessità di lavorare su testi COMPLETI e abbastanza corposi.

*2I generi testuali (o comunicativi) realizzano concretamente uno o più tipi testuali e le loro caratteristiche spesso variano da lingua a
lingua: una LETTERA è un genere retoricamente molto STRUTTURATO, richiede un mittente, un destinatario, saluti iniziali e
conclusivi, data, ma le regole retoriche variano in italiano, francese, latino ecc. In questa prospettiva l’analisi comparativa di testi
simili nelle varie lingue può fare emergere immediatamente le peculiarità.

d. la riflessione sulla varietà della lingua


La lingua non è un monolite statico ed invariabile, e ci sono delle precise variazioni nelle grammatiche delle diverse varietà. In
tutte le lingue si possono analizzare le varietà legate:
a. al mezzo (DIAMESIA) ad iniziare dall’opposizione tra comunicazione orale e scritta, continuando con la lingua dei giornali,
quella trasmessa ecc;
b. all’età;
c. al tempo (DIACRONIA) anche traducendo dalle varietà dei secoli scorsi a quelle odierne all’interno della stessa lingua,
posseduta a livelli avanzati;
d. all’argomento (DIAFASIA) dai linguaggi settoriali alle microlingue scientifico-professionali.
In itaL1 la riflessione dovrebbe toccare le varietà regionali, con due obiettivi:
1. distinguere tra i «DIALETTI ITALIANI» che sono vere e proprie lingue, e i «DIALETTI DELL’ITALIANO», come quelli
dell’Italia centrale;
2. cogliere le caratteristiche FONOLOGICHE, MORFOSINTATTICHE, LESSICALI della propria varietà regionale,
riconoscendone la ricchezza di vincolo sociale locale ma anche il rischio di confonderla con l’«italiano» tout court.

e. la riflessione sugli atti comunicativi


La dimensione pragmalinguistica è al centro del capitolo dedicato all’ABILITÀ di DIALOGO, ma le regole d’uso dei suoi
componenti minimi (atti comunicativi) costituiscono un campo di riflessione interessante che includiamo in questo capitolo sul
complesso delle grammatiche di una lingua.
La competenza pragmatica o funzionale è alla base delle grammatiche usate per l’insegnamento delle LS, per cui gli studenti sanno
fare un’ANALISI FUNZIONALE in termini di atti comunicativi, ma non applicano questa loro abilità in itaL1 e nelle lingue
classiche.

Par. 3.4: IL LAVORO SULLE GRAMMATICHE NON VERBALI


Il modello di competenza comunicativa ipotizza la presenza di due set grammaticali, quelli linguistici e quelli extralinguistici. In
questo secondo caso si tratta delle grammatiche che governano la gestualità e le espressioni (« CINESICA»), la distanza ed il
contatto interpersonale («PROSSEMICA»), l’uso comunicativo di oggetti quali status symbol, vestiario e così via
(«OGGETTEMICA»). Di solito si commettono tre errori gravi in ordine alla competenza extralinguistica:
a. non si è consapevoli del fatto che i linguaggi non verbali sono governati da grammatiche;
b. si considerano i linguaggi NON VERBALI come «naturali», mentre sono «CULTURALI»: le loro grammatiche variano da
cultura a cultura e questo crea problemi nelle lingue seconde, etniche, straniere;
c. si dimentica che molti testi che siamo abituati a considerare come «linguistici» sono in realtà testi verbali e non verbali
insieme: basti pensare ai testi teatrali che si fanno leggere in tutte le scuole quando si insegna letteratura.
I tre ambiti di inconsapevolezza visti sopra devono essere superati se si vuole lavorare alla (meta)competenza comunicativa
attraverso un’attività complessa, che richiede varie ore di lavoro e si presenta come un’UD specifica dedicata alla cinesica.
Con una procedura simile, ma in maniera più rapida, si può anche fare una rapida catalogazione della DISTANZA
INTERPERSONALE, partendo dal principio biologico di «spazio di fuga» che fa sì che tutti gli animali abbiano la sensazione
continua di chi entra in questo spazio, provocando un’allerta sensoriale.

Tra i linguaggi non verbali ce n’è uno cui sono particolarmente attenti studenti della scuola media e del liceo: la VESTEMICA.
Di alcuni elementi sono consapevoli:
 sanno che ci sono divise;
 indicatori di status come quelli religiosi, dal semplice colletto bianco alla veste porpora dei cardinali e bianca del papa;
 sanno quale tipo di scarpe, jeans o magliette siano «vecchi» (cioè dell’anno precedente), quali ornamenti siano da «coatti».
Posseggono pienamente la grammatica vestemica della loro fascia generazionale e del loro ambito sociale, per cui rovesciano il
detto secondo cui l’abito non fa il monaco.

Par. 3.5 TECNICHE DIDATTICHE E VALUTAZIONE DELLA (META)COMPETENZA NELLE GRAMMATICHE


Tra i parametri di valutazione e classificazione delle tecniche glottodidattiche troviamo la «PERTINENZA», cioè a che cosa serve
realmente quella attività, la «COMPARABILITÀ» dei risultati, l’«ACCETTABILITÀ» anche emozionale da parte dello studente,
la «ADATTABILITÀ PSICOLOGICA» alle differenze di stili cognitivi e d’apprendimento, ai tipi di intelligenza ecc: sono tutte
caratteristiche di cui tenere conto quando si selezionano delle attività per la valutazione.

a. pertinenza / 1→ la prima domanda riguarda il fatto se una data tecnica verifica una competenza, o almeno quel che si può
dedurre della competenza sulla base di quanto lo studente esegue, oppure una meta-competenza, cioè se verifichi «sapere
qualcosa» vs. «sapere su qualcosa»: attività di classificazione come quelle che abbiamo visto sopra per le grammatiche non
verbali sono chiaramente mirate alla metacompetenza, dall’analisi grammaticale a quella logica e del periodo, ma non dicono
nulla sulla competenza d’uso, in quanto misurano la competenza sull’uso;
b. pertinenza / 2→ quale grammatica, quale aspetto della competenza viene verificato? Un dettato in italiano può verificare la
capacità di discriminare in breve tempo «o/ho, a/ha, ai/hai, anno/hanno» ma non dice nulla sulla capacità di comprensione del
testo;
c. comparabilità→ in alcuni casi si possono anche concepire attività individuali, come ad esempio il classico tema in classe, ma
la maggior parte delle verifiche anche informali di ambito grammaticale è comune a tutta la classe, è mirata cioè a fornire al
docente un feedback sull’evoluzione e la competenza dei suoi studenti. In questo secondo caso la comparabilità dei risultati,
spesso espressi in numeri, è fondamentale;
d. accettabilità→ abbiamo richiamato il concetto di filtro affettivo: la sua attivazione non solo impedisce l’acquisizione stabile
ma è una variabile che annulla l’affidabilità dei risultati di una verifica;
e. adattabilità psicologica→ una batteria di test deve evitare di favorire alcune componenti della personalità perché questo
significa favorire alcuni studenti rispetto ad altri – ma nella verifica meta-grammaticale questo è inevitabile: la
metacompetenza grammaticale è per definizione analitica. Quindi si devono mettere in campo dei correttivi, il primo dei quali
è dare tempo: le intelligenze linguistiche e gli stili globalistici non sono incapaci di analisi, ma ci mettono più tempo delle
intelligenze logico-matematiche e degli stili analitici – e le nostre classi sono composte da studenti di entrambe le nature.

Ciò detto, la domanda fondamentale è se abbia senso misurare la competenza nelle grammatiche isolandola dall’uso significativo
della lingua in un dialogo, nello scrivere, nel parlare. A nostro avviso non ha senso per cui le informazioni sulla competenza
grammaticale possono essere ricavate senza problemi e con maggiore affidabilità e accettabilità dalle attività che riguardano le
abilità d’uso della lingua.
Cap.4: LO SVILUPPO DELLE ABILITÀ RECETTIVE
Widdowson distingue tra ability e skill, cioè tra il PROCESSO COGNITIVO e la sua REALIZZAZIONE in una specifica
situazione (nel nostro caso, il processo di comprensione e il fatto di saper comprendere uno specifico testo in una specifica lingua).
In una prospettiva di educazione linguistica lo sviluppo della ability del processo è più rilevante della padronanza delle skill.

Par. 4.1 LA NATURA DELLA COMPRENSIONE


La comprensione è l’ABILITÀ CARDINE di ogni forma di apprendimento, soprattutto dell’acquisizione linguistica. Dagli anni
Settanta prevale un’idea di comprensione come «indovinello psicolinguistico» in cui le previsioni di chi comprende, i suoi processi
cognitivi, la sua conoscenza del mondo divengono centrali.
In Italia un evento chiave fu il CONVEGNO del 1985 della SLI sulla comprensione vista «dalla parte del RICEVENTE». Secondo
tale prospettiva, la comprensione non procede dagli stimoli che riceviamo dall’esterno, il cui ruolo è solo quello di attivare dei
processi cognitivi che costituiscono una «grammatica dell’anticipazione» che, dall’alto, top down, guida la percezione e ne
corregge gli errori.
La comprensione si basa su TRE ELEMENTI fondamentali (oltre che sulla competenza comunicativa nella lingua-cultura in cui il
testo viene prodotto):
1. la conoscenza del mondo (spesso detta «ENCICLOPEDIA»), organizzata in «SCHEMI» che ci consentono di classificare la
nostra esperienza di vita, di studio ecc., e in «COPIONI» di comportamento, ipotizzati da cognitivisti come Minsky, Schank e
Abelson. A differenza dello «schema» statico, qui abbiamo «scenari» in cui le situazioni tipiche della vita vengono viste
come il frutto di grammatiche pragmatico-comportamentali. In altre parole, capiamo un testo, o meglio, l’informazione nuova
portata da un testo quando questa è:
 limitata quantitativamente rispetto al resto del testo, che richiama informazioni già immagazzinate in memoria,
 collocata in certe posizioni, e in qualche modo prevedibile all’interno di un paradigma abbastanza limitato di possibilità;
in tal modo il nostro cervello non deve esplorare tutta la banca lessicale in suo possesso, ma si può limitare a scegliere tra una
gamma limitata di possibilità;
2. alcuni PROCESSI COGNITIVI che contribuiscono a «costruire» la comprensione. Tali processi legano la fonte esterna di
informazioni (il parlante, lo scrivente ed il loro testo) con la realtà psichica di chi comprende. Il principale di questi
meccanismi è quello «PROPOSIZIONALE», secondo il quale la proposizione (nell’accezione propria della logica formale)
da comprendere deve necessariamente includere un predicato e degli argomenti, i due elementi cardine che la mente va a
cercare nelle proposizioni che deve comprendere: i predicati non possono sussistere da soli e la memoria deve per forza
cercare un «argomento» cui appoggiarli, costruendo il senso della proposizione. Un altro processo è quello legato alla
RIDONDANZA SINTATTICA (l’articolo «le» fa prevedere nomi, aggettivi, pronomi femminili plurali, nonché il verbo al
plurale), di COERENZA e COESIONE TESTUALE;
3. la COMPETENZA nella lingua in cui è steso il testo.

La comprensione non attiva solo le OPERAZIONI logico-linguistiche proprie della corteccia dell’emisfero sinistro del cervello,
ma anche quelle ANALOGICHE, globali della corteccia destra nonché alcuni centri interni, non corticali; rimane valido anche il
principio per cui la PERCEZIONE e la successiva RIELABORAZIONE sono DIREZIONALI, cioè seguono il percorso che porta
dalla globalità all’analisi, dal contesto al testo.

La «expectancy grammar»
Se si dovesse comprendere sommando le informazioni, parola dopo parola, frase dopo frase, il compito sarebbe impossibile. In realtà la
comprensione è il risultato di un PROCESSO di CREAZIONE di ipotesi, che vengono verificate mano a mano che il testo procede: chi sa
comprendere bene in realtà sa anticipare bene quel che può comparire in quel testo.
Questa si basa su una serie di componenti, tra cui emergono:
a. la PREVISIONE SITUAZIONALE e PRAGMATICA, basata su preconoscenze socio-culturali;
b. la previsione SEMANTICA;
c. la previsione COMUNICATIVA.
L’expectancy grammar viene costruita nell’infanzia e nell’adolescenza: l’educazione linguistica richiede expectancy grammar ma è anche
un’area formativa in cui questa può essere esercitata, accresciuta, consapevolizzata, contribuendo in tal modo alla socializzazione di una persona.

Par. 4.2 LA COMPRENSIONE FINALIZZATA ALL’ACQUISIZIONE INIZIALE DELL’ITAL2 E DELLE LINGUE


STRANIERE E CLASSICHE
Il titoletto del paragrafo include tre dimensioni che hanno in comune il fatto di essere collocate all’inizio di un processo di
acquisizione linguistica, ma che sono differenti in termini di
a. QUANTITÀ e CONTROLLABILITÀ dell’input: in itaL2 questo è esteso per l’intera giornata ed è incontrollabile, mentre
nelle lingue straniere e classiche l’input è limitato ad alcune ore settimanali ed è gestito dal docente;
b. TRADIZIONE GLOTTODIDATTICA: i docenti di itaL2 e LS hanno assunto da decenni il principio che la «grammatica» è il
punto d’arrivo e che il perno dell’azione didattica è la comprensione e produzione di testi, mentre nell’insegnamento delle
lingue classiche prevale ancora la dimensione della frase, se non della singola parola, e la grammatica costituisce l’asse su cui
si costruisce l’intero percorso.
Tratteremo le tecniche di comprensione tenendo in considerazione queste differenze ma senza piegarci ad un’idea come quella
dominante nella didattica delle lingue classiche che, sul piano neuro-psicolinguistico e filogenetico, va «contro natura» in quanto
muove dall’analisi alla funzione.

Gli studenti principianti o comunque con padronanza limitata non sono in grado di comprendere un testo per
intero e immediatamente, per quanto facile esso sia: si deve penetrare progressivamente nel testo, procedendo da una comprensione
estensiva che
1. coglie ogni suggerimento dal PARATESTO→ saper cogliere le informazioni che sono intorno al testo (titoli, sottotitoli, foto,
didascalie, grafici, indice o titoletti) è una componente fondamentale dell’abilità di comprensione. È un’attività
STIMOLANTE, motivante, che mette in gioco l’intuizione degli studenti, li porta a costruire insieme, a collaborare, ciascuno
stimolato dalle ipotesi degli altri, e che non distingue gli studenti sulla base della loro competenza linguistica ma della loro
abilità cognitiva e della capacità di intuire;
2. mira a carpire il significato globale, operazione detta SKIMMING nella glottodidattica internazionale e spesso anche in
quella italiana di matrice angloamericana e/o a cercare alcune informazioni specifiche, operazione detta SCANNING;
3. una volta costruito il significato generale, procede ad un’ANALISI che focalizza i punti indicati dal docente per sostenere
l’acquisizione spontanea con un apprendimento razionale, secondo la procedura detta modal focusing dai neurolinguisti.
L’ascolto avviene in tempi rapidi, che consentono la comprensione ma non l’analisi; questa, soprattutto nelle lingue straniere, dove le
ore di esposizione sono poche, e nelle lingue classiche, che non prevedono esperienze di ascolto, va compiuta sulla trascrizione di testi
ascoltati oppure su testi scritti, dove l’insegnante può focalizzare alcuni obiettivi linguistici chiedendo allo studente, che ha già
compreso estensivamente il testo, di completare la sua comprensione anche in alcuni dettagli e, allo stesso tempo, notare un dato
aspetto formale, che costituisce uno degli obiettivi dell’attività.

Uno dei problemi specifici dell’educazione linguistica è il fatto che la lingua costituisce sia l’oggetto di acquisizione, di
apprendimento o di perfezionamento, sia lo strumento per queste operazioni. Le due tecniche che seguono,
la TRANSCODIFICAZIONE e la TOTAL PHYSICAL RESPONSE cercano di aggirare questo problema.

Nel paragrafo che segue indichiamo alcune tecniche, come il cloze, e alcune attività di incastro, che possono essere usate anche
con principianti se si scelgono testi semplici.

Par. 4.3 LO SVILUPPO DELLA COMPRENSIONE IN ITAL1 E IN LIVELLI AVANZATI DI ALTRE LINGUE
Le attività che abbiamo visto nel paragrafo precedente possono essere una guida anche per lo sviluppo della comprensione da parte
di studenti madrelingua che hanno difficoltà, anche se vanno condotte con testi più lunghi e complessi di quelli utilizzati per
studenti in fase di acquisizione di base. In generale con studenti di madrelingua o avanzati di lingue non native può essere più
produttivo privilegiare due classi di tecniche che:
 hanno molte varianti, caratteristica fondamentale per la motivazione ad affrontare un input in maniera produttiva per
imparare;
 non creano ansia, quindi non inseriscono il filtro affettivo;
 possono essere svolte a casa senza dare la sensazione di dover fare compiti tradizionali;
 possono essere predisposte dagli stessi studenti, coinvolgendoli in tal modo nelle attività volte al recupero di lacune;
 si prestano sia alla correzione collettiva sia a quella autonoma.
Che gli studenti siano principianti o avanzati, madrelingua o studenti di lingua seconda o straniera o classica a livello avanzato, le
attività devono favorire l’ACQUISIZIONE della FORMA MENTIS che li porta a seguire il percorso gestaltico naturale di
comprensione e acquisizione, cioè partire da una comprensione globale e procedere solo dopo ad una comprensione analitica.

Le due famiglie di attività che indichiamo di seguito, il CLOZE* e gli INCASTRI, costringono gli studenti a non fermarsi sul singolo
dettaglio ma a leggere anche quel che viene dopo l’ostacolo, scoprendo che molte volte quanto segue rende chiaro quel che prima non
si era compreso. Si tratta di attività che, con testi semplici, possono essere utilizzate proficuamente anche con studenti di livelli
iniziali, ma che consigliamo soprattutto per gli studenti avanzati, con l’uso di testi complessi che costituiscano una sfida
(contribuendo a dare un aspetto ludico) non contro il docente ma contro se stessi, la propria abilità di ascolto o lettura.

*Ha varie finalità:


a. nelle lingue non native, abitua lo studente a non fermarsi di fronte ad una parola sconosciuta ma ad esplorare
globalmente il testo per avere indicazioni su quale parola inserire;
b. nella lingua materna e a livelli avanzati di altre lingue dà risultati altamente affidabili sulla capacità di comprensione di
uno studente;
c. visto che risolvere un cloze attiva tutte le componenti della comprensione e tutti gli aspetti della lingua, è un ottimo
esercizio per il recupero, e può essere predisposto dallo studente stesso.
Questa tecnica, che è una sorta di gioco con se stessi, consente di discutere gli ERRORI uno per uno in fase di correzione,
chiedendo di ricostruire il percorso mentale che ha portato a compiergli: in tal modo l’errore diviene FATTORE POSITIVO, di
crescita cognitiva e linguistica, e non ha effetti frustranti.

La seconda famiglia di attività utili per lo sviluppo dell’abilità di comprensione è la RICOMPOSIZIONE di testi frantumati e poi
scompaginati come tessere di un PUZZLE, che offrono il testo completo solo dopo che sono state accostate in modo che ciascuna
vada nell’unica posizione in cui può andare.
Nel nostro caso, si tratta di frantumare un testo (verbale o verbale + visivo) e di chiedere di ricomporlo: come per l’esecuzione di
un puzzle è necessario aver osservato con attenzione il disegno globale, così per la ricomposizione di un testo è necessario
osservare globalmente i vari segmenti a disposizione e, solo dopo costruita la comprensione globale del significato, si può
procedere ad analizzare i singoli segmenti per ricondurre il tutto alla sintesi finale.
In tutti i casi si tratta di tecniche che non attivano alcun filtro affettivo, in quanto si presentano come gioco enigmistico, come sfida
giocosa con le proprie capacità logiche prima che linguistiche.

Par. 4.4 DUE TECNICHE MOLTO DIFFUSE PER LO SVILUPPO E LA VERIFICA DELLA COMPRENSIONE: LA
«DOMANDA» E LA «SCELTA MULTIPLA»
a. la domanda
Ha il pregio di andare direttamente al punto che si vuole far notare o verificare, ma che presenta almeno tre problemi:
1. è un FALSO PRAGMATICO→ non si chiede una cosa che non si sa, ma qualcosa di cui si conosce già la risposta. È quindi
un’attività poco motivante, non accetta da parte degli studenti e pone l’insegnante in funzione di giudice;
2. costituito dalla LINGUA in cui viene posta la domanda→ se la si pone in italiano, la domanda offre un implicito
suggerimento alla comprensione, fornisce lessico che potrebbe altrimenti essere ignorato; se la si pone in lingua straniera, si
aggiunge difficoltà a difficoltà e la risposta non è sempre attendibile in quanto a non essere compresa può essere la domanda
e non il testo;
3. la scelta di chiedere una risposta in lingua straniera sposta l’ATTENZIONE dalla comprensione alla PRODUZIONE, spesso
ridotta ad una semplice ricopiatura.
A parte queste considerazioni sull’opportunità di usare sistematicamente le domande, ricordiamo che esse sono di due tipi
profondamente differenti:
 REFERENZIALI cioè trovano la loro risposta nel testo, per cui la comprensione si riduce alla ricerca di una risposta possibile
ed è molto guidata dalla domanda stessa;
 INFERENZIALI che costringono a ragionare sul testo, ad andare più in profondità, e dimostrano una comprensione più
profonda. Sono meno meccaniche e quindi più stimolanti cognitivamente.

b. la scelta multipla
Esistono più varianti di questa tecnica; le più comuni sono quelle a doppia possibilità, di solito indicate come «vero/falso», e
quella a tre o quattro possibilità. In sede di testing questa tecnica è assolutamente inaffidabile, in quanto consente una risposta
casuale con alte possibilità di essere corretta; si possono introdurre due correttivi:
a. si chiede di GIUSTIFICARE la scelta, ma questo introduce un elemento di scrittura in prove di comprensione;
b. si inserisce un DISTRATTORE, cioè una delle possibilità di scelta, assolutamente incoerente e chi lo sceglie viene
penalizzato di un punto, per cui le possibilità di guadagnare un punto con una risposta casuale viene annullata dalla pari
possibilità di perderlo.
Creare scelte multiple è tecnicamente facilissimo, ed alcuni programmi di computer dedicati agli insegnanti hanno procedure
automatizzate per crearle. È tuttavia meno semplice creare scelte multiple affidabili, perché spesso i distrattori sembrano chiari, in
quanto il docente sa già la risposta, ma possono risultare ambigui o addirittura fuorvianti per chi non la conosce.

Domande e scelte multiple sono due delle tecniche che possono essere usate per la VERIFICA e sono tra le più comuni, ma in
realtà quasi tutte le tecniche che abbiamo presentato in questo capitolo sono adatte a informare il docente sul livello di
comprensione raggiunto dai suoi studenti.
Le procedure di verifica sono simili per l’orale e lo scritto, ma nel primo caso i risultati sono meno affidabili, perché si tratta di
prove svolte in tempo reale, che raramente consentono agli studenti di ritornare sulle loro ipotesi e non lasciano il testo a
disposizione dello studente, come succede nella lettura: di conseguenza, le differenze individuali giocano un ruolo molto marcato e
il filtro affettivo, dovuto all’ansia da prestazione, fa sì che poco o nulla di quanto fatto nelle sessioni di verifica si trasformi in
acquisizione stabile.

Par. 4.5 IL CONTRIBUTO DELLE GLOTTOTECNOLOGIE


Testi preziosi sono anche quelli PUBBLCITAri in quanto:
 ci sono moltissimi riferimenti culturali, non solo nelle immagini ma anche nella lingua, che ricorre intensivamente
a PROVERBI, li modifica, talvolta li stravolge, e usa moltissime figure retoriche e giochi di parole assai
sofisticati;
 l’eloquio è spesso molto VELOCE;
 la traducibilità è spesso nulla, o per ragioni culturali o per ragioni linguistiche e quindi la sfida di tradurre lo spot
è motivante, divertente, oltre che di livello molto alto.

Par. 4.6 UNA NUOVA FRONTIERA: L’INETRCOMPRENSIONE TRA LINGUE ROMANZE


L’intercomprensione è una metodologia che perfeziona la padronanza delle strategie di comprensione chiedendo comprensione di testi
in lingue non studiate a scuola, ma della stessa famiglia dell’italiano e di un’altra lingua romanza studiata.
Cap.5: LO SVILUPPO DELLE ABILITÀ PRODUTTIVE
La produzione orale (ad esempio la preparazione e la realizzazione di un «monologo» in un’interrogazione o un esame, la
discussione di una tesi, la presentazione di un progetto ecc.) e la produzione scritta (i vari tipi di composizione, di relazione, di tesi
ecc.) si elaborano e realizzano secondo un percorso lineare:
1. CONCETTUALIZZAZIONE e reperimento delle idee;
2. PROGETTAZIONE del testo e riordino delle idee;
3. REALIZZAZIONE del testo, che nel caso di uno scritto può poi essere sottoposto ad una REVISIONE.

5.1.1 CONCETTUALIZZAZIONE
In questa fase si reperiscono i contenuti basandosi su procedure sia olistiche, sia analitiche. Il lavoro di gruppo o anche quello
collettivo di classe è fondamentale importanza sul piano educativo generale in quanto può aiutare ad apprendere dai propri
compagni strategie e percorsi.
Le attività tipiche di questa fase sono due varianti operative dello stesso processo:
5.1.2 PROGETTAZIONE DEL TESTO
In questa seconda fase si trasformano le idee, le associazioni, le metafore emerse nella prima fase in una SCALETTA, in un
flowchart, in una struttura concettuale che fornirà al testo il filo del discorso, la coerenza testuale.
Se nella prima fase ha dominato la prospettiva associativa, durante la progettazione si è nel momento della STRUTTURAZIONE
ANALITICA. Ancora una volta, come si vede, si segue il percorso neurolinguistico che muove dalla globalità per proseguire
con l’analisi ed approdare alla sintesi conclusiva, cioè la stesura.

5.1.3 REALIZZAZIONE DEL TESTO


È la fase conclusiva del processo, quella in cui si PRODUCE un testo orale o si procede alla stesura del testo scritto. È in questa
fase che emergono le carenze lessicali e grammaticali nonché i problemi di struttura testuale e sintattica.
Nella realizzazione orale, soprattutto in lingua straniera, una soluzione sta nell’imparare a semplificare le frasi; nella scrittura, oltre
alla semplificazione strutturale vista per l’orale, la procedura migliore è quella di non interrompere il filo del discorso durante la
stesura per andare a cercare parole sul dizionario o informazioni su una enciclopedia o una grammatica di riferimento.
Verba volant: nell’oralità, la rilettura (naturale nei testi scritti) è ovviamente impossibile, ma il RIASCOLTO della registrazione
del proprio monologo come «prova generale» prima della realizzazione pubblica del monologo può essere molto utile.

Par. 5.2 LA PRODUZIONE DI MONOLOGHI


L’esercizio al monologo è fondamentale sia per preparare lo studente alla principale forma di verifica orale della tradizione italiana,
sia perché nella società di oggi è un’abilità più necessaria di quanto non sia percepito dagli studenti stessi.
La registrazione del monologo è di due tipi:
a. INDIVIDUALE→ lo studente si autoregistra e poi riascolta la sua performance. L’autoregistrazione, preceduta dalle fasi di
concettualizzazione e progettazione, va inserita come prassi normale per la preparazione delle interrogazioni ma può anche
introdurre attività collettive che si faranno in classe;
b. COLLETTIVA→ la visione di una videoregistrazione anche realizzata individualmente è comunque collettiva.
La videoregistrazione non richiede l’uso di particolari apparecchiature; l’importante è che la classe sia dotata di videoproiettore, senza
il quale le attività di questo tipo sono inutili.

Iniziamo con due attività indirizzate a studenti di ital2 e di livelli medio-bassi di LS, caratterizzati da una padronanza linguistica che,
nel monologo, ha effetti maggiori in termini di carenza a livello lessicale:
Il monologo, utile con studenti di padronanza medio-bassa, è indubbiamente più adatto a studenti con una buona padronanza e il suo
scopo in questo caso è una prova che lo studente deve offrire a se stesso della propria capacità di usare e piegare la lingua ai suoi scopi
e alla situazione.

Per studenti intermedi e avanzati possiamo pensare a tecniche come:

Par. 5.3 LA PRODUZIONE SCRITTA


A livelli bassi di competenza in lingue non native, quindi in itaL2 e in LS, la produzione dovrebbe risolversi nella
TRASPOSIZIONE SCRITTA di attività già svolte oralmente o nella trattazione di argomenti che sono stati discussi in classe: la
sua funzione infatti è quella di riflessione lenta, secondo i ritmi e le strategie personali, su quanto fatto.
C’è un’attività propedeutica che gli studenti ritengono infantile ma che è assai utile sul piano grafemico (e non solo): la
RICOPIATURA. Essa serve a focalizzare l’attenzione sulla grafia, ma un’attività abbastanza lenta come questa consente di far
emergere anche problemi morfosintattici e lessicali contribuendo alla loro acquisizione. Tuttavia è demotivante e mal accetta da parte
degli studenti se non ne viene spiegata la funzione e se non si accentua il fatto che ha il vantaggio di non mettere lo studente «in
balia» del professore, ma di consentire l’autocorrezione e quindi la scoperta dei propri punti deboli.
L’accezione che noi diamo a «ricopiatura» in questo capitolo è meno meccanica di quanto si possa immaginare: il compito di
ricopiatura infatti va svolto leggendo una frase del testo modello e scrivendola affidandosi alla memoria sia semantica sia
ortografica, in una sorta di ri-produzione del testo stesso.
È possibile organizzare attività che non richiedono ufficialmente la ricopiatura ma che possono implicarla, addirittura dando allo
studente il piacere di «gabbare» il docente. L’esecuzione parte come una piacevole sfida a se stessi, ma ogni volta che lo studente è
in difficoltà egli tende a barare, andando a copiare dall’originale. E ricopiare è infatti quel che gli si voleva far fare.
Se si chiede di ri-produrre il testo usando il computer, il fatto che Word sottolinea le parole che non riconosce graficamente
costituisce un ottimo aiuto.

La SCRITTURA vera e propria è un’ABILITÀ COMPLESSA e per questo funziona bene solo con studenti che hanno una buona
padronanza della lingua, come i madrelingua e gli studenti avanzati in lingue non native.
Nella tradizione scolastica dominano due forme di composizione scritta:
 il TEMA che può essere argomentativo, descrittivo, narrativo ecc;
 il COMMENTO ad un testo letterario,

Nella versione tradizionale, il tema, il commento o la relazione comportano che il processo di IDEAZIONE e di PROGETTAZIONE
del testo rimangano INVISIBILI, chiusi nella mente dello studente, mentre l’unica cosa che diviene pubblica è la stesura, il foglio che
viene dato all’insegnante che, a sua volta, svolge un lavoro di:
 LETTURA;
 ANALISI;
 COMMENTO;
 VALUTAZIONE che solo in parte si trasferisce materialmente sul foglio prendendo la forma di segni rossi e di un voto.
Se questo è buono, lo studente presterà poca attenzione ai commenti interni; se è cattivo, l’attenzione sarà mirata a dimostrare la
fiscalità eccessiva delle correzioni del docente, il confronto con i compagni sarà finalizzato a verificare che cosa è stato segnato
come errore ad altri, e così via.

Se ipotizziamo gruppetti di tre-quattro studenti, eventualmente di livello diverso ma tutti coinvolti in un compito comune, fare un
buon tema, e li poniamo di fronte ad un computer, dove uno scrive e gli altri cooperano, lo scenario cambia totalmente:
a. gli studenti si confrontano in un BRAINSTORMING che si traduce in una scaletta sulla quale si può discutere, modificare e
accogliere i contributi di tutti: il processo di progettazione del testo diviene ESTERNO, si concretizza su uno schermo, non
rimane chiuso nella mente; ed è un processo sottoposto alle critiche di tutti i membri del gruppo, che hanno tutti quanti lo
stesso interesse a fare le cose faticando meno e producendo un buon risultato;
b. trovato l’accordo sulla scaletta, si inizia la STESURA del testo, combinando l’attenzione di tre-quattro persone su ortografia,
sintassi, scelta del lessico, uso di strutture subordinate meno contorte, e così via: il processo di stesura viene CONDIVISO e
criticato nel suo farsi, non a posteri;
c. l’INSEGNANTE non è escluso da questi processi, come nel tema su carta. Una classe di 28 persone ha 7 gruppetti al lavoro,
e questo significa che ogni quarto d’ora può dedicare due minuti a ciascun gruppo, visionando la scaletta, suggerendo
integrazioni e modifiche, può risolvere i problemi linguistici che affiorano nel momento della stesura, può segnalare la
presenza di errori: l’insegnante PARTECIPA al processo di composizione e condivide con gli studenti direttamente
interessati il suo processo di valutazione.

Par. 5.4 LA VALUTAZIONE DELLO SCRITTO


La principale caratteristica della valutazione della produzione scritta è che, a differenza di quanto avviene con il monologo che
viene valutato in tempo reale o al massimo con un lieve ritardo quando se ne visiona la videoregistrazione, la fase di valutazione è
staccata da quella di stesura. Un secondo elemento che rende complessa la correzione è il fatto che richiede tempo e quindi essa
avviene in più giorni, perdendo di vista l’omogeneità dei parametri.
Per ovviare a questo problema l’essenziale è procedere con una GRIGLIA, che va condivisa con gli studenti e in cui i parametri
sono stabili:
a. EFFICACIA COMUNICATIVA→ dal punto di vista pragmatico si verifica se quel che è comunicato è chiaro, se il
messaggio viene veicolato;
b. CORRETTEZZA MORFOSINTATTICA→ importante distinguere tra
 sbaglio, che non dovrebbe esserci vista la possibilità di rilettura, ma che comunque è possibile ed ha un peso limitato;
 errore di competenza o mancanza di competenza nella morfosintassi;
 errore di interferenza, nell’itaL2 e nelle lingue straniere, dovuto alla lingua materna;
c. RICCHEZZA LESSICALE→ nei livelli in cui questa è possibile;
d. COESIONE TESTUALE→ strutturazione del testo e distribuzione dei contenuti nei vari paragrafi;
e. coesione LINGUISTICA→ tra un paragrafo e l’altro, in termini di temporalità, riferimenti pronominali, ecc;
f. APPROPIATEZZA SOCIOLINGUISTICA→ in termini di scelta di registro;
g. FLUENZA→ parametro meno oggettivo dei precedenti e va affidato alla competenza del docente.

Cap.6: LO SVILUPPO DELL’ABILITÀ DI DIALOGO


L’abilità di dialogo non è la somma di fasi di comprensione e di produzione, bensì una CO-COSTRUZIONE del significato cui
partecipano tutti gli interlocutori: usando la lingua e gli altri codici disponibili, ciascuno dei partecipanti allo scambio
comunicativo persegue i propri scopi pragmatici, e per farlo negozia con l’interlocutore un punto di incontro tra i rispettivi
interessi, punti di vista ecc.
La dimensione della co-costruzione, della negoziazione dei significati, è spesso ignota agli studenti e dunque sul piano educativo la
scoperta del dialogo come INTER-AZIONE è una meta fondamentale, che può essere perseguita soprattutto nell’insegnamento
dell’itaL1 e rafforzata in itaL2 e lingue straniere. La videoregistrazione di dialoghi e la sua successiva analisi in termini di strategie
e azioni di negoziazione di significati, scopi, ruoli, nonché co-costruzione dei testi può essere la maniera migliore per riflettere
sulla natura profonda dell’abilità di dialogare.

Par. 6.1 IL DIALOGO AUTENTICO E SIMULATO


Nell’insegnamento di itaL1 il dialogo può essere AUTENTICO, cioè coinvolgere due o più interlocutori in un’attività che mira a
raggiungere un risultato vero. Non è però escluso che, quasi come in un gioco teatrale, gli studenti vengano coinvolti in
SIMULAZIONI [accettabili perché dichiaratamente tali e finalizzate a migliorare la propria capacità di (con)vincere in un dibattito].

Anche in itaL2 il dialogo è autentico quando l’italiano è la sola lingua condivisa da studenti di madrelingue differenti, mentre
diviene simulazione un dialogo in italiano tra due studenti albanesi, che condividono la lingua materna.

Nelle lingue straniere il dialogo è autentico solo se c’è uno straniero presente fisicamente in aula o presente virtualmente in
teleconferenza, altrimenti il dialogo è necessariamente simulato e si basa su un doppio falso:
a. LINGUISTICO→ due italiani che condividono la madrelingua vengono costretti a faticare per scambiarsi informazioni in una
lingua straniera. A questo problema non si può porre rimedio se non condividendo con gli studenti le ragioni per cui si esegue
la simulazione ed eventualmente considerandola una sorta di prova generale preliminare al fatto che una coppia verrà
chiamata a ripeterla di fronte a tutti e, dove possibile, sarà videoregistrata e commentata a posteriori: si trasforma in tal modo
in una sorta di teatro con una forte componente giocosa;
b. PRAGMATICO→ due persone che non hanno alcun interesse nel fornire e ricevere alcune informazioni devono comunque
sforzarsi per scambiarsi informazioni non desiderate o addirittura già note all’interlocutore: viene MODIFICATO un
elemento chiave di ogni comunicazione, lo SCOPO, che non è più scambiare informazioni ma esercitare la lingua. Questa
perversione dei fini può essere sanata, ancora una volta, trasformando la simulazione in una prova preliminare ad una
performance teatrale.
In entrambi i casi torna il concetto di «GIOCO», che ha due conseguenze positive:
 da un lato sposta l’attenzione dall’autenticità ad una realtà in cui le «regole del gioco» non devono necessariamente essere
fedeli a quelle della vita quotidiana;
 dall’altro il gioco è AUTOTELICO, fine a se stesso, quindi abbatte il filtro affettivo in quanto anche l’eventuale brutta figura
fa parte del gioco, è in qualche modo estranea alla realtà autentica dello studente.

Par. 6.2 DIALOGARE IN ITAL2 E NELLE LS


Se sul piano pragmatico le due situazioni sono opposte, in quanto in itaL2 il dialogo è autentico mentre in LS è prevalentemente
simulativo, sul piano delle attività didattiche non ci sono differenze sostanziali.
Le attività che abbiamo visto sopra sono introduttive all’abilità di dialogo e riguardano studenti con un livello basso o appena
intermedio di lingua, che sono disposti ad eseguirle perché sanno che sono funzionali all’ acquisizione; studenti più avanzati
richiedono tuttavia attività più mirate sull’uso della lingua, dove c’è comunque acquisizione ma il focus è la pratica di uso della
stessa. Si tratta di attività dove la dimensione creativa è più accentuata, ma dove è possibile procedere, attraverso la
videoregistrazione, a una riflessione sulle strategie comunicative.

Par. 6.3 LA RIFLESSIONE SUL DIALOGO IN ITALIANO E LIVELLI AVANZATI DI LS


Le attività viste in 6.2 sono finalizzate all’acquisizione della lingua e non consentono di lavorare ad uno sviluppo della
METACOMPETENZA sul dialogare, sulle STRATEGIE PRAGMATICHE, sulla natura della DIALETTICA.
Le attività che proponiamo in questo paragrafo hanno, oltre alla finalità esercitativa per quanto riguarda le lingue straniere, anche
una finalità metacomunicativa che riguarda soprattutto l’insegnamento della lingua materna.
Una riflessione metacomunicativa interessante può riguardare la LINGUA «INVIATA», quella cioè delle chat, dei messaggi, delle
mail. Tecnicamente la lingua «inviata» è lingua scritta, ma di fatto avviene in una situazione di quasi ORALITÀ perché:
a. le battute in una chat si susseguono rapidamente come in un dialogo, e anche uno SCAMBIO di messaggi, tweet o mail può
essere RAPIDISSIMO;
b. in una chat, ciò che viene scritto in un computer compare sincronicamente nel computer del corrispondente, per cui non è
possibile rileggere il testo prima di spedirlo;
c. l’ interesse per l’accuratezza linguistica è minimo, soprattutto sul piano ortografico poiché abbondano abbreviazioni
che consentono di velocizzare lo scambio. L’interesse maggiore sul piano formale è a LIVELLO SOCIOLINGUISTICO in
quanto la comunità dei «chattanti» è molto esigente in termini di netiquette, di rispetto di regole sociali di interazione online.
Un tipo particolare di lingua «inviata» è presente nell’insegnamento delle lingue straniere: la METODOLOGIA TANDEM. In
realtà, è una lingua inviata solo nella variante condotta via mail o in quella via skype che si accoppia ad un contemporaneo
scambio via mail o chat o comunque su un testo scritto condiviso.

Par. 6.4 I PROBLEMI NELLA VALUTAZIONE DELL’INTERAZIONE ORALE


La prevalenza dell’aspetto pragmatico negli scambi comunicativi pone forti problemi nel caso in cui, oltre ad esercitare questa
abilità, si voglia valutarla: infatti, se nelle abilità ricettive la valutazione si focalizza necessariamente sull’aspetto semantico e
situazionale e in quelle produttive si valuta non solo l’efficacia pragmatica ma anche l’appropriatezza sociolinguistica e la
correttezza formale, nella VALUTAZIONE dell’abilità interazionale
a. ci sono almeno due studenti coinvolti: proprio per l’idea di dialogo come co-costruzione di un testo, al singolo possono essere
ascritte imperfezioni lessicali o grammaticali, ma il complesso del dialogo non è ascrivibile al singolo; inoltre, in una coppia
di studenti eccellenti o di studenti in difficoltà ciascuno contribuisce secondo i propri mezzi, ma in coppie miste vengono
entrambi penalizzati;
b. se è vero che un dialogo cerca un punto di incontro tra gli scopi pragmatici degli interlocutori, valutare significa vedere se
quel punto è stato raggiunto, ma questo significherebbe sapere in anticipo gli scopi di ciascuno, il livello minimo di
soddisfazione su cui si accetterà di chiudere lo scambio. Questo non solo è irrealistico, ma contrasta con una delle
caratteristiche fondanti degli SCAMBI INTERAZIONALI, cioè il loro essere FLESSIBILI, il fatto che alcuni scopi possono
essere lasciati cadere e nuovi scopi possono essere assunti durante lo scambio stesso;
c. lo scambio comunicativo avviene in tempo reale e quindi la valutazione ha necessariamente una forte componente
SOGGETTIVA, tant’è vero che tutte le certificazioni internazionali focalizzano da anni la loro ricerca proprio sulla
valutazione dell’abilità di interazione;
d. il peso da attribuire ai parametri di valutazione è discutibile: efficacia pragmatica, appropriatezza socio-culturale, accuratezza
linguistica e morfosintattica sono gli aspetti chiave, e già decidere il loro peso è un fatto arbitrario; ma in una prospettiva più
complessa, non si possono trascurare anche elementi di psicologia relazionale come ad esempio il grado di EMPATIA (la
capacità di mettersi «nei panni» dell’interlocutore per meglio agire su di lui portandolo sulle proprie ragioni) oppure tratti
della personalità come le opposizioni remissivo/aggressivo, realista/velleitario e così via.

Queste riflessioni ci portano a concludere che valutare in modo accurato ed affidabile la competenza interazionale è sostanzialmente
impossibile o, comunque, è caratterizzato da un alto livello di soggettività ed APPROSSIMAZIONE: ciò non significa rinunciare a
valutare la capacità di dialogare, ma essere consapevoli che questa valutazione offre solo l’opinione del valutatore.
Cap.7: LO SVILUPPO DELLE ABILITÀ DI TRASFORMAZIONE DEI TESTI
La suddivisione tradizionale delle abilità linguistiche è basata su uno spazio suddiviso in quattro quadranti. In realtà la capacità di
«fare» lingua non include solo la RICEZIONE e la PRODUZIONE, ma anche una serie di abilità di TRASFORMAZIONE di testi,
che vengono recepiti in una forma o in una lingua e vengono ri-prodotti in un’altra forma e/o in un’altra lingua.

Un’altra percezione dovuta alla tradizione deve essere sfatata: le uniche abilità di trasformazione che producono necessariamente
testi scritti sono il DETTATO e la stesura di APPUNTI, mentre tutte le altre possono produrre testi scritti ma anche orali; e in tutti
i casi, tranne che nel dettato, che si basa necessariamente su un testo orale, il testo di partenza può essere sia scritto sia orale.
Rispetto alle abilità primarie il processo di trasformazione richiede un lavoro più complesso, soprattutto nella versione orale → orale
che avviene in tempo reale e che ha il suo esempio più evidente nella traduzione simultanea. Per quanto riguarda in particolare il
riassunto e la stesura di appunti (abilità essenziali per l’attività di studio), esse richiedono non solo un filtro, una trasformazione
linguistica, ma anche una RICONCETTUALIZZAZIONE COGNITIVA, che è cosa diversa dalla trasformazione linguistica e che
quindi va tenuta separata da quest’ultima in termini di valutazione.

Par. 7.1 LO SVILUPPO DELLE ABILITÀ DI RIASSUMERE


Riassumere non è soltanto un’abilità linguistica quanto primariamente un’ABILITÀ COGNITIVA che si basa su un testo
linguistico e lo trasforma in un secondo testo linguistico più breve, ordinato sequenzialmente, senza discorso diretto: i testi sono la
fonte e l’esito, ma l’attività centrale è cognitiva e si basa, a livello di lettura analitica, su tre azioni:
a. INDIVIDUAZIONE dei NUCLEI INFORMATIVI, composti da un elemento cardine e da una serie di informazioni
accessorie su quell’argomento;
b. DIVISIONE dei nuclei informativi tra ESSENZIALI, senza i quali il testo finale non ha più lo stesso significato globale del
testo di partenza, ed ACCESSORI, gerarchizzati in rango di importanza;
c. RICOSTRUZIONE della SEQUENZA INTRISECA (logica, temporale ecc.) dei nuclei informativi essenziali,
indipendentemente dall’ordine in cui compaiono nel testo di partenza;

e solo dopo questa attività cognitiva giunge la FASE LINGUISTICA che nella tradizione didattica si definisce «riassumere», cioè
d. STESURA di un TESTO STRUTTURATO secondo la sequenza «c», in cui siano presenti tutti i nuclei essenziali ed
eventualmente alcuni dei nuclei accessori più rilevanti, a seconda della valutazione personale di chi svolge il riassunto.

Come si vede, mentre i processi cognitivi sono molto chiari, l’azione linguistica è più vaga e lascia un ampio margine di decisione autonoma. Per
fare del riassunto un’attività produttiva sul piano dell’educazione linguistica occorre declinare questa abilità di trasformazione almeno in due tipi
di attività didattiche che ne facciano emergere i nodi di fondo.
Le attività che abbiamo suggerito non prevedono la stesura di un riassunto vero e proprio ed operano sul versante cognitivo, anche
se la risistemazione sintattica conclusiva rappresenta un esercizio utile. Quando si passa al riassunto vero e proprio si devono
chiarire le regole, altrimenti si rischia che per gli studenti riassumere sia sinonimo di accorciare:
a. le INFORMAZIONI che vengono conservate per il riassunto vanno collocate in ORDINE TEMPORALE (prima, durante,
dopo), LOGICO (tesi, antitesi, sintesi), CAUSALE (causa, effetto) ecc., anche se nel testo di partenza ci sono flashback,
anticipazioni, percorsi temporali paralleli. Questa «regola» va spiegata agli studenti riflettendo sulla finalità del saper
riassumere, che è la base delle abilità di studio e rappresenta il percorso di memorizzazione alternativo all’apprendere
mnemonico: chi riassume si appropria dei contenuti essenziali facendoli propri, ma per poterli acquisire i contenuti devono
avere un ordine che poi si possa logicamente, temporalmente, causalmente ripercorrere;
b. il discorso diretto, per le stesse ragioni di memorizzazione viste sopra, viene ridotto alla sua essenza e quindi a DISCORSO
INDIRETTO.

Nella tradizione italiana si chiede «un riassunto», in molte tradizioni straniere si chiede «un riassunto di x parole»: la differenza
opera sul piano cognitivo, di gerarchizzazione delle informazioni, ma non su quello linguistico.
 In itaL1 si crea un testo nuovo e il fatto che gli studenti siano di madrelingua garantisce la conoscenza di iperonimi, delle forme
verbali necessarie per passare dal discorso diretto a quello indiretto, e così via;
 nelle LS e in itaL2 il riassunto rischia di coincidere con una CONTRAZIONE del testo originale, trasformandosi in un esercizio
di ricopiatura selettiva. Far stendere qualche riassunto/contrazione può essere utile per procedere poi ad una correzione collettiva
in cui l’insegnante mostra come si poteva scrivere un testo nuovo che non fosse una semplice contrazione del testo base. In altre
parole il contributo del riassunto in lingue di cui non si ha piena padronanza sta nella fase di correzione piuttosto che in quella di
esecuzione;
 nelle LC il riassunto in lingua classica può costituire un’occasione per svolgere attività scritta in cui l’attenzione non sia
concentrata sul tradurre; la stesura di riassunti in italiano di testi in lingua classica è in realtà una prova di COMPRENSIONE.

Par. 7.2 LO SVILUPPO DELLE ABILITÀ DI PARAFRASARE


La parafrasi, abilità che TRASFORMA un testo in un altro testo, eliminandone i discorsi diretti, SEMPLIFICAndo la morfosintassi se
necessario, ma senza modifiche di carattere contenutistico né selezione delle informazioni, ha una duplice natura:
 da un lato c’è una DIMENSIONE COGNITIVA, quasi sempre trascurata nella scuola e che invece può avere un valore
formativo e cognitivo rilevante, che trascende l’educazione linguistica per riguardare l’educazione tout court;
 dall’altro c’è la dimensione LINGUISTICA, che consiste nella trasformazione morfosintattica di un testo.

Qualche attività di parafrasi può essere utile come strumento per l’esercizio morfosintattico e lessicale, i due ambiti in cui si deve
agire per trasformare un testo ma, in tal caso, conviene partire da testi della vita quotidiana, senza umiliare un testo letterario
considerando insignificante le scelte dell’autore e convincendo gli studenti che la letterarietà sta nell’intreccio anziché nelle scelte
fonologiche, lessicali, morfosintattiche, testuali.

Par. 7.3 LO SVILUPPO DELL’ABILITÀ DI SCRIVERE SOTTO DETTATURE


Scrivere sotto dettatura è un’abilità utilissima per alcune professioni ma per la maggior parte delle persone non è un’ABILITÀ
LINGUISTICA ma solo un’attività scolastica, legata all’apprendimento dell’ortografia ed alla valutazione nelle lingue straniere.

In realtà il concetto di DETTATO necessita di una riflessione in ordine alla sua pertinenza, per riprendere il parametro presentato nel
primo capitolo:
a. scrivere sotto dettatura attiva COMPETENZE DIVERSE da lingua a lingua;
b. il dettato avviene in TEMPO REALE per cui può essere una piacevole sfida con se stessi se è autocorretto, per cui ciascuno si
misura con se stesso, ma può essere anche una fonte di ansia se è strumento di valutazione;
c. c’è una sostanziale differenza tra il dettato a viva voce e quello che utilizza una fonte , ad esempio un CD o un DVD. Nel
primo caso, lo studente è abituato alla pronuncia dell’insegnante, il quale da parte sua è inevitabilmente portato a rallentare, a
scandire le parole che ritiene difficili per i suoi studenti, a pronunciare ogni segmento con un’intonazione che tende ad essere
conclusa in sé. Il dettato da una fonte preregistrata ha una maggior accuratezza fonologica, intonativa, ritmica, ma è rigido sul
piano della somministrazione.
Data la tradizione italiana nella didattica delle lingue straniere, è necessaria anche una riflessione sull’uso del dettato ai fini della
valutazione. Il fatto di aver scritto una parola non significa che essa sia stata compresa; di converso, il fatto di non aver scritto una
parola non significa non conoscerla.
Quindi il dettato è un TEST assolutamente INAFFIDABILE; invece, in una logica di autovalutazione il dettato è una tecnica
ottima perché mette ogni studente di fronte alle proprie caratteristiche ed alla propria competenza linguistica.

Par. 7.4 LO SVILUPPO DELL’ABILITÀ DI PRENDERE APPUNTI


Saper prendere appunti è funzionalmente utilissimo per studiare, sia che gli appunti riguardino una lezione orale sia che derivino
da un manuale scritto; in questo secondo caso spesso la stesura di appunti coincide con il riassunto, per cui focalizzeremo
l’attenzione sugli appunti da un testo orale, attività sempre più necessaria nelle esperienze di CLIL.

CLIL, Content and Language Integrated Learning


È una metodologia in rapida diffusione in Europa, che prevede l’insegnamento di una DISCIPLINA in LS, attività peraltro già diffusa nei licei,
dove la storia letteraria straniera viene da sempre insegnata in lingua.
Il CLIL si basa sull’assunto che l’esposizione a una lingua, anche se il focus non è sulla lingua stessa, ne migliora comunque la competenza
portando ad acquisizione spontanea che poi può anche trasformarsi, con alcune focalizzazioni linguistiche, in APPRENDIMENTO FORMALE.
In altre parole, è un’applicazione piena della rule of forgetting di Krashen, secondo la quale si impara meglio una lingua quando ci si dimentica
che la si sta imparando.
Una sessione CLIL prevede tre fasi:
1. COMPRENSIONE dell’INPUT, che viene dato di solito in forma orale supportato da testi scritti;
2. TRAFORMAZIONE del testo in appunti, che lo studente deve abituarsi a prendere nella lingua dell’input per evitare una difficoltà
aggiuntiva (traduzione);
3. INTERAZIONE e PRODUZIONE, che può essere sotto forma di domande degli studenti al docente e di relative risposte, di ripresa
collettiva dei contenuti, di brevi monologhi-interrogazioni o di riassunti-relazioni scritti.

La raccolta di appunti è un’abilità con tre componenti:


a. LINGUISTICA→ si deve comprendere il testo e contemporaneamente scrivere gli appunti, che devono essere abbastanza
chiari da essere poi riletti ed interpretati. Se si prendono appunti da un testo in lingua straniera, la componente linguistica si
accentua non tanto sul piano della comprensione, quanto su quello della SCRITTURA: gli appunti sono necessariamente presi
nella stessa LINGUA del TESTO di PARTENZA, perché tentare di tradurre quel che si comprende per trascriverlo rallenta
troppo e impedisce di seguire il testo;
b. EXTRALINGUISTICA→ è costituita da frecce, SOTTOLINEATURE, segni che indicano relazioni logiche, rimandi,
opposizioni ecc.;
c. COGNITIVA→ capacità di ANALISI rapidissima delle INFORMAZIONI in termini «rilevante vs. accessorio».

Par. 7.5 LO SVILUPPO DELL’ABILITÀ DI TRADUZIONE CON STUDENTI DI COMPETENZA AVANZATA


In glottodidattica la parola «traduzione» indica due realtà:
 da un lato, definisce una delle abilità linguistiche, complessa perché INTEGRA RICEZIONE e PRODUZIONE e può essere
svolta per iscritto oppure oralmente;
 dall’altro, la traduzione è anche una TECNICA GLOTTODIDATTICA, cioè un’attività utilizzata per acquisire/apprendere
una lingua e, sebbene senza alcuna affidabilità, per valutare la competenza.

Da mezzo secolo, nella didattica delle lingue straniere la traduzione è considerata una tecnica CONTROPRODUCENTE perché può
abituare a tradurre dalla L1 alla lingua straniera anziché a generare testi direttamente in questa lingua: il risultato è stato una
«diffamazione» della traduzione che ha portato alla sua esclusione di fatto dall’insegnamento delle lingue straniere moderne (questo
dibattito non ha interessato il settore delle lingue classiche dove la traduzione è ancora la tecnica didattica di base).

Indubbiamente, l’USO della traduzione che i formalisti hanno fatto per secoli nella didattica delle lingue straniere e continuano
spesso a fare in quelle classiche è PERVERSO, cioè va contro il «verso naturale»: ha come scopo quello di ESERCITAre o,
peggio ancora, di VALUTAre la MORFOSINTASSI e il LESSICO, anziché quello di sviluppare la sensibilità e la flessibilità
nell’uso della lingua: hanno lavorato, per usare i parametri di Gardner, all’intelligenza logico-matematica anziché a quella
linguistica.
È perverso (nell’accezione, questa volta, di «cattivo») imporre a degli studenti che non hanno ancora strumenti linguistici e
culturali sufficienti una delle abilità più complesse di uso della lingua, un’abilità che si basa su una SEMIOSI COMPLESSA e
deve vedersela con l’alterità culturale. È controproducente, ai fini della comunicazione, abituare gli studenti a produrre lingua
straniera traducendo dalla L1: la traduzione è un PROCESSO LENTO (si svolge prevalentemente nella corteccia cerebrale
dell’emisfero sinistro, che è sequenziale e quindi richiede tempo), FATICOSO (trascura quelli che i neurolinguisti e gli
psicolinguisti chiamano «processi automatizzati» e favorisce i «processi controllati»), disabitua alle strategie di aggiramento
dell’ostacolo fondamentali per comunicare.

Gli obiettivi dell’uso della traduzione sono molteplici e tutti importanti. Essa:
1. far riflettere e produce METACOMPETENZA;
2. è uno STRUMENTO per l’apprendimento o cognizing;
3. sviluppa i PROCESSI CONTROLLATI e non automatici;
4. mira all’ANALISI dei testi, non alla produzione di testi, anche se ne producono;
5. è uno STRUMENTO di ANALISI e COMPARAZIONE socio-pragma-culturale e di riflessione interculturale.

Tra gli obiettivi di uso della traduzione non abbiamo parlato di verifica e di valutazione: la traduzione è probabilmente la più non-
comparabile delle attività didattiche. Certo, possono emergere carenze lessicali, morfosintattiche, ortografiche ma per valutare
accuratamente queste dimensioni esistono tecniche che richiedono molto meno sforzo e tempo e sono molto più accurate.
Tradurre, abbiamo detto, è un’attività faticosa, difficile: la MOTIVAZIONE può nascere solo se il ruolo della traduzione
nell’apprendimento viene chiarito dall’insegnante e se si premette la separazione tra il lavoro traduttivo a la valutazione.
Per motivare il LAVORO TRADUTTIVO è necessario che questo:
a. venga condotto su testi psicologicamente rilevanti;
b. sia e venga percepito come COMPITO REALIZZABILE, per rispondere ai parametri dell’attrattiva dell’input e della
fattibilità del compito;
c. sia una forma di piacere di lavoro sulla lingua, di RIFLESSIONE sulle proprie competenze, di gara tra persone, coppie,
gruppi per trovare soluzioni migliori, di COOPERAZIONE per giungere ad un testo conclusivo condiviso da tutti come la
miglior traduzione possibile;
d. venga posto come SFIDA con se stessi, per cui la traduzione va presentata come la più alta, complessa, sofisticata sfida
possibile.

La motivazione deve essere tale da durare a lungo, perché la traduzione richiede tempo e sforzo sia di realizzazione che di
correzione, intesa come commento in classe, ricerca delle soluzioni migliori tra quelle proposte dagli studenti, creazione di un testo
condiviso: cercare di giungere ad una traduzione condivisa è l’attività chiave senza la quale la traduzione non ha senso
glottodidattico e non viene accettata dagli allievi, che la subiscono come un dovere.

Quanto agli strumenti, utilizzabili solo nella traduzione scritta LS/classica → italiano, il loro uso deve essere compatibile con le
procedure di percezione e comprensione del nostro cervello e della nostra mente: non vanno usati nella fase della globalità proprio
per non interferire con il processo.

La traduzione può essere effettuata secondo diverse modalità.


a. la traduzione scritta dalla LS o classica all’italiano
La direzione indicata dal titolo non solo è quella classica ma è anche quella naturale, nonché quella normalmente praticata tra i
traduttori professionisti.
Questo tipo di traduzione concentra l’attenzione sia sulla lingua di partenza sia sulla QUALITÀ della LINGUA D’ARRIVO
(italiano) contribuendo così all’educazione linguistica complessiva.
L’OBIETTIVO primario del lavoro con questa modalità traduttiva è il lavoro sul LESSICO. Oltre all’attenzione lessicale è
possibile un lavoro meno evidente sulla sintassi del PERIODO, soprattutto nella ricollocazione delle subordinate in posizioni
diverse da quelle dell’originale e nella trasformazione della struttura paratattica.

b. la traduzione orale da testi scritti nella LS o classica all’italiano


Richiede molta concentrazione e questa tende a sparire rapidamente se non si è direttamente impegnati. Tuttavia qualche
esercitazione di questo tipo, purché contenuta nei tempi, può essere una SFIDA MOTIVANTE e, se la traduzione orale viene
registrata, l’efficacia della tecnica aumenta radicalmente in quanto diventa possibile coinvolgere tutti gli studenti nell’analisi sia
del modo in cui è stato compreso il testo di partenza sia della qualità del testo d’arrivo, in termini anzitutto pragmatici e poi anche
formali.

c. la traduzione dall’italiano alla LS o classica


È la forma classica della traduzione nell’APPROCCIO FORMALISTICO e in quello GRAMMATICO-TRADUTTIVO, spesso fatta
su frasi decontestualizzate o assolutamente prive di significato pragmatico.
La traduzione verso la lingua straniera o classica fa emergere soprattutto le DIFFICOLTÀ MORFOSINTATTICHE e si limita a
distinguere tra LESSICO CONOSCIUTO e IGNORATO, da recuperare sul dizionario.

In questo tipo di traduzione la scelta del testo è di particolare delicatezza. La tradizionale traduzione in lingua non nativa di testi
letterari non trova alcuna giustificazione:
 TESTUALE→ il testo letterario è quello linguisticamente più complesso, richiede un’analisi letteraria prima della traduzione
e presuppone competenze altissime nella lingua d’arrivo;
 GLOTTODIDATTICA→ non serve a rafforzare la produzione nella LS «quotidiana» e ha sempre un effetto demotivante
perché rappresenta una sfida troppo alta, il cui risultato è sempre deludente se viene poi confrontato con la traduzione fatta da
un professionista.

d. la retrotraduzione
Il meccanismo è semplice: si prende un testo italiano nella traduzione in lingua straniera e si chiede agli studenti di tradurlo in
italiano, dopo di che si confronta il testo ottenuto con quello di partenza e si riflette sulle discordanze.
Il principale PREGIO della retrotraduzione è PSICODIDATTICO, in quanto il compito si presenta come una sfida dello studente
(o della coppia, del gruppo di studenti) con se stesso e con un testo.

e. la traduzione da una lingua non nativa a un’altra lingua non nativa (straniera o classica)
Nelle scuole dove si studiano due LS e nei licei dove si studiano le lingue classiche è possibile anche la traduzione tra le lingue
studiate, ad esempio dal latino all’inglese.
Lo SCOPO di questa variante della traduzione non è tanto o solo linguistico, ma soprattutto METODOLOGICO: allo studente
appare immediatamente chiaro che tradurre seguendo il percorso «latino → italiano → inglese» è inefficiente, complica le cose,
per cui diventa evidente che la traduzione è un PASSAGGIO PSICOLINGUISTICO da COMPRENSIONE a PRODUZIONE;

f. la traduzione diacronica
È un’attività che ha:
 uno SCOPO UTILITARISTICO, in quanto rende più facilmente leggibili testi scritti in una varietà antica di una lingua;
 uno FORMATIVO che far riflettere sull’evoluzione della lingua.
La struttura della traduzione diacronica è semplice in quanto prevede di riportare alla lingua contemporanea, nel registro adeguato,
un testo scritto in varietà classiche della lingua.
g. la traduzione di dialoghi di film stranieri
Si parte dalla versione di una breve scena in DVD con i SOTTOTITOLI nella lingua originale, in modo da agevolare la
comprensione perché il FOCUS dell’attività è la TRADUZIONE, non la comprensione. Fatta la traduzione, si rivede la scena con
sottotitoli in italiano e si confrontano le traduzioni.
Il passaggio successivo consiste nel confronto con il doppiaggio in italiano, in cui c’è il problema della lunghezza del labiale, dei
riferimenti culturali propri del mondo straniero da rendere comprensibili allo spettatore italiano, delle battute non traducibili e del
turpiloquio, che vanno ricreati in italiano.

h. la traduzione di canzoni straniere


Mentre nel doppiaggio il primo problema riguarda l’equilibrio tra il testo italiano ed il movimento labiale dell’attore straniero, la
traduzione di canzoni deve produrre un testo che si adagi nel numero di sillabe permesso dalla struttura di accenti richiesta dal
ritmo e sull’accentuazione musicale.
Questa attività, molto motivante, funziona molto bene se condotta in piccoli gruppi, che possono anche lavorare per mail, in orario
extrascolastico, lasciando all’attività in aula la fase di confronto tra le varie traduzioni, in modo da giungere a una versione
condivisa da cantare insieme.

i. la traduzione di pubblicità televisiva


La pubblicità è un testo particolare:
 da un lato per il suo USO spesso spregiudicato di FIGURE RETORICHE, di scarti linguistici, di sintesi tra parlato e cantato;
 dall’altro per l’altissima PRESENZA di ELEMENTI CULTURALI, che rappresentano l’enciclopedia implicita di riferimento
che rende comprensibili ed efficaci testi complessi che spesso durano pochi secondi.
La traduzione di pubblicità si presenta dunque come un compito apparentemente semplice, stimolante, breve e si traduce in un
lavoro difficilissimo, ma non per questo meno stimolante.
Cap.8: LA DIMENSIONE CULTURALE
Questo capitolo è più breve perché le attività specifiche per la riflessione culturale e interculturale sono relativamente poche, ma
non perché l’argomento sia meno rilevante di quelli cui sono stati dedicati i primi sette capitoli: anzi, oggi che l’itaL2 è ormai visto
come chiave d’accesso ai processi di socializzazione e culturalizzazione degli immigrati, che le lingue straniere sono insegnate
soprattutto per poterle utilizzare in contatto con stranieri, che nell’insegnamento delle lingue classiche la dimensione culturale sta
occupando il posto primario che una volta era attribuito alla morfosintassi. Lavorare su una lingua non nativa significa sempre più
lavorare sulla cultura che le sta dietro.

Cultura, civiltà, modello culturale, comunicazione interculturale


«Cultura» è parola d’uso quotidiano, ma è anche un termine scientifico specifico delle scienze antropologiche, dove definisce il modo in cui si dà
risposta a bisogni di natura: il modo di nutrirsi, di vestire, di formare famiglie e gruppi sociali, di immaginare la divinità ecc. In didattica delle
lingue si fa riferimento a questo significato quando si parla di insegnamento della «cultura».
In molte lingue troviamo anche termini derivati da civilitas, cioè la cultura di chi abitava a Roma o nelle grandi città, punto di riferimento per chi
abitava nelle campagne e nelle piccole città. Ogni popolo ha dei modelli di cultura quotidiana e dei modelli di civiltà, cioè dei valori o dei
comportamenti che considera esemplari, e considera «in-civili» i popoli che non condividono tali modelli.
L’unità minima di analisi della cultura è il «modello culturale» che è la risposta a un problema: ad esempio, il modo in cui una cultura risponde
al bisogno di nutrirsi nell’arco della giornata; il modo in cui si risponde alla necessità di organizzare il movimento nelle strade; il modo in cui si
organizza la vita scolastica degli adolescenti ecc.
Nelle società complesse i modelli culturali variano con tale rapidità e si contagiano in maniere così imprevedibili, a opera di emigrazioni,
turismo e mass media, che più che insegnare la «cultura» si deve educare alla differenza, alla variabilità delle culture e, soprattutto, si
deve insegnare a osservare una cultura.
Diversa, per quanto legata alla riflessione sulla dimensione culturale nell’insegnamento delle lingue straniere e classiche, è la riflessione
sulla comunicazione interculturale, cioè sui punti critici che, al di là della buona conoscenza della lingua straniera, si presentano nella
comunicazione; questi punti critici, che possono portare al fallimento dello scambio comunicativo, aumentano a dismisura quando viene usata
una lingua franca, come l’inglese: per quanto fluenti in inglese, un tedesco, un brasiliano, un cinese e un iraniano hanno software mentali diversi.

Par. 8.1 LO SVILUPPO DELL’ABILITÀ DI TRADUZIONE CON STUDENTI DI COMPETENZA AVANZATA


Negli anni 30 e 40, Malinowsky e Firth, rispettivamente antropologo e antropolinguista, individuano la CULTURA come
componente essenziale della SITUAZIONE in cui avviene la comunicazione.
Negli anni 50 e 60, Robert Lado effettua un passo fondamentale sul piano glottodidattico: la cultura è vista come
PROBLEMA anche situazionale ma soprattutto COMUNICATIVO, in quanto essa caratterizza e modifica la natura e la forma della
comunicazione. È la prospettiva che prenderà forma piena nei primi anni 70 con Hymes e tutti gli altri studiosi impegnati in
sociolinguistica e nell’etnografia della comunicazione: la cultura, o meglio la COMPETENZA INTER-CULTURALE diviene una
componente essenziale della COMPETETNZA COMUNICATIVA.
Nella seconda parte degli anni 80 emerge una prospettiva nuova, che proviene dagli studi aziendalistici: secondo la metafora di
Hofstede, ogni persona ha un SOFTWARE OF MIND, che include, tra i vari «file», anche quelli che costituiscono la competenza
comunicativa. Essi funzionano automaticamente quando siamo all’interno della nostra cultura, ma nel momento in cui si comunica
con membri di altre culture è necessario «salvare» i nostri testi in formati interscambiabili.

Si può insegnare una competenza interculturale? La risposta ci pare negativa: è difficile perfino descrivere la comunicazione
interculturale, data la sua estrema variabilità: la sua evoluzione continua ad opera di mass media, turismo, scambi commerciali e
militari. Ma si può insegnare ad osservarla, si può insegnare a crearsi una «banca dati» su carta o su file, da aggiornare mano a mano
che si incontrano stranieri, si guardano film, arrivano nuovi compagni non italiani ecc. Per osservare occorre un modello che guidi e
dia struttura all’osservazione.

Nelle due schede che seguono presentiamo due modelli per l’OSSERVAZIONE della DIMENSIONE CULTURALE e della
COMUNUCAZIONE INTERCULTURALE.
a. valori culturali
Tra i software of the mind di cui si è di solito inconsapevoli e che possono creare problemi troviamo:
 il concetto di TEMPO→ è ovvio, per un italiano, che la giornata inizi con l’alba, mentre è ovvio a asiatici e africani pensare
che la giornata inizi al tramonto; è ovvio che Natale sia d’inverno, Pasqua a primavera e così via – ma metà dei popoli del
Mediterraneo usa il calendario lunare, quindi le loro festività progrediscono di undici giorni all’anno. Questi esempi sono utili
per far intuire la complessità del problema, pur non ponendo problemi sul piano comunicativo. Ma il concetto di tempo crea
molti problemi relazionali, quindi comunicativi, anche se non sempre linguistici;
 i concetti di GERARCHIA, STATUS, RISPETTO→ la gerarchia è la concretizzazione di un’idea del potere; a seconda della
natura del potere nelle diverse culture, in alcuni casi si comunica tra funzioni, in altri tra persone: sono due rapporti
interpersonali totalmente diversi. Alla base della gerarchia c’è il concetto di «status», che può essere attribuito
automaticamente o guadagnato sul campo con la propria preparazione, il proprio curriculum: a queste persone si comunica in
maniera diversa, usando i registri rispettosi, formali, familiari, colloquiali

b. i codici non verbali


Le parti del CORPO COMUNICAno e spesso interferiscono o contraddicono quanto diciamo in lingua straniera:
 la testa che annuisce significa «sì» per noi, ma significa «no» dai Balcani al Medio Oriente al Mediterraneo del sud; i
nostri occhi fissano direttamente qualcuno per indicare franchezza e sincerità ma in molte culture comunicano una sfida;
la bocca sorride per dire «sì» da noi, ma in Giappone può voler dire «no» se si tratta di un sorriso silenzioso;
 mani e braccia non solo informano sulla nostra tensione, ma gli italiani le agitano troppo e vengono percepiti dagli
anglosassoni come ridicoli, se non come aggressivi e scalmanati (questo è sufficiente a compromettere la comunicazione);
 il corpo emana odori e produce rumori che in alcune parti del mondo sono vietati: soffiarsi il naso in Oriente è simile al
defecare in pubblico da noi, quanto a effetto, mentre nelle stesse culture un rutto sonoro sta a significare il piacere di un buon
pranzo.

In tutti questi casi il RISCHIO COMUNICATIVO è DUPLICE:


 da un lato, la persona non consapevole di queste cose può essere portata a considerare aggressivo o irrispettoso il comportamento
altrui e quindi può attuare delle STRATEGIE DI CONTRATTACCO, al che l’interlocutore reagisce a sua volta innescando un
circolo vizioso;
 dall’altro, il fatto di essere messo di fronte a forme di comunicazione ignote distrae chi parla, costringendolo a un
AUTOCONTROLLO faticosissimo.

Il corpo «parla» con i suoi gesti ma anche:


1. con i suoi vestiti, che hanno REGOLE SITUAZIONALI precisissime,
2. con gli oggetti che si hanno sul corpo come STATUS SYMBOL;
3. con i regali che hanno tabù, significati, confezioni, regole di apertura diversi nelle varie culture.

I corpi hanno anche bisogno di una DISTANZA di SICUREZZA: viviamo dentro una sorta di «bolla» che ha il raggio di un
braccio teso: chi entra nella bolla ci «assale». Ma un mediterraneo entra senza problemi nella bolla altrui, tocca l’interlocutore, lo
prende a braccetto, il che infastidisce gli italiani del nord. Ancora una volta, si tratta di elementi che possono concorrere a una
valutazione errata dell’interlocutore.

c. lingua e comunicazione interculturale


Il TONO di VOCE è l’impressione che un anglosassone trae dal comportamento di un latino, la cui lingua è molto più vocalica,
quindi «rumorosa», e viene usata con un tono di voce e con una prosodia più accentuate dell’inglese. Se a questo «urlare continuo»
dei latini si aggiunge il fatto che essi interrompono spesso, agitano le mani e invadono la «bolla» prossemica, la sensazione di
aggressività si trasforma in una certezza e induce a comportamenti altrettanto aggressivi.
Di converso, il parlante mediterraneo tende a considerare il tono compassato, la voce bassa, il rispetto dei turni di parola, i lunghi
silenzi degli inglesi come supponenza, presunzione, distacco e mancanza di entusiasmo, di disponibilità umana, e ancora una volta si
inseriscono turbative alla comunicazione.

Molta rilevanza va attribuita anche al modo in cui il TESTO procede dal punto di partenza alla conclusione: gli anglosassoni
hanno testi composti da una SEQUENZA di SEGMENTI BREVI, per cui il massimo di perfezione è una serie di frasi semplici e
chiare, legate dalla coordinazione. Agli italiani questo tipo di testo dà spesso l’impressione di banalità, portando a sottovalutare la
capacità concettuale dell’interlocutore. La società globale ha portato nell’arena della comunicazione internazionale anche gli asiatici e
i nordafricani: essi prediligono testi «A SPIRALE», cioè testi che si avvicinano lentamente al fulcro del discorso, e ritengono volgare,
quasi violento e offensivo, quel procedere straight to the point che è il massimo valore degli anglo-sassoni.

Ci limiteremo a un cenno sugli ASPETTI SOCIO-PRAGMATICI, perché sono quelli su cui più facilmente si focalizza l’attenzione
dei docenti di lingue e sui quali esiste già una sensibilità diffusa in conseguenza dell’approccio comunicativo.
Ci basti ricordare due fatti:
1. alcuni ATTI COMUNICATIVI rimandano a differenti valutazioni dei RAPPORTI INTERPERSONALI: un cinese, ad esempio,
ringrazia solo chi ha fatto per lui qualcosa che non era tenuto a fare, per cui commetterà errori ringraziando troppo o troppo poco
o fuori momento quando parla con europei o americani;
2. alcune MOSSE COMUNICATIVE sono permesse in certe culture e non in altre: «interrompere» per cooperare alla
comunicazione è permesso in area latina e vietato in area anglofona; «ironizzare» è una mossa ottima in Inghilterra ma
sconsigliabile in Nordafrica; «vantarsi» ed esibire dati positivi in maniera plateale è corretto in America e, in parte, in Germania,
ma è volgare in Italia o Inghilterra dove si preferisce l’understatement.

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