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Tecniche glottodidattiche - parte prima

Tecniche glottodidattiche
La didattica di tipo “tradizionale”, che è stata descritta nelle lezioni precedenti, può risultare
insoddisfacente non solo nel suo impianto generale ma anche in determinati aspetti più settoriali,
relativi, cioè, ai differenti ambiti di intervento lungo i quali si articola l’azione formativa.
In particolare, per quanto concerne la didattica del greco antico, e l’insegnamento della lingua
greca, i docenti non possono tralasciare le acquisizioni che la moderna riflessione
sull’insegnamento delle lingue cosiddette “vive” ha prodotto e continua a produrre.
Ciò non significa un puro e semplice trasferimento di metodologie didattiche da un campo
applicativo ad un altro, anche in considerazione del fatto che le discipline classiche presentano
delle non trascurabili specificità, che l’intervento educativo deve tenere in considerazione.

12.Tecniche glottodidattiche - parte sesta

Tecniche glottodidattiche: apprendere e padroneggiare le regole


La tecnica glottodidattica detta seriazione richiede agli allievi di mettere in ordine un insieme
caotico, utilizzando per compiere l’operazione un dato parametro, ad esempio:
- ordine alfabetico;
- quantità;
- ordine di importanza dell’informazione.

La seriazione è utile perché è in grado di stimolare fra gli allievi discussioni dal momento che il
riordino effettuato è spesso arbitrario.
La tecnica glottodidattica detta sequenzizione si basa sullo stesso procedimento della seriazione ma
presenta la particolarità di richiedere agli allievi di effettuare le operazioni di riordino focalizzando
la loro attività sul parametro dell’ordine temporale.
Riguarda quindi verbi ed avverbi ma anche insiemi particolari, costituiti, ad esempio, da testi che
includono anacronie (sovvertimenti dell’ordine cronologico) quali anticipazioni (prolessi)
e flashback (analessi).
Approcci e metodi glottodidattici
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Il termine "approccio", in glottodidattica, indica un insieme di tesi glottodidattiche che
un glottodidatta seleziona in rapporto e coerenza con una serie di assiomi ricavati dalle
scienze linguistiche (linguistica generale, linguistica
acquisizionale, sociolinguistica, neurolinguistica), dalle scienze dell'educazione,
dalla psicologia, dall'antropologia ecc.[1], cioè "[d]all'esterno dell'universo
epistemologico della glottodidattica"[2]. In altre parole, l'approccio "costituisce la
filosofia di fondo di ogni proposta glottodidattica"[3], in modo che da un determinato
approccio possono derivare diversi metodi glottodidattici, i quali metodi
rappresentano, dunque, l'applicazione pratica di quelle scelte teoriche.[3]
Non esiste una tassonomia condivisa di approcci e metodi glottodidattici.

Indice

 1Prime forme di approcci deduttivi


 2Prime forme di approcci induttivi
 3Accessibilità della L2 negli approcci deduttivi e induttivi
 4L'approccio strutturalistico
 5Il metodo cognitivo
 6I metodi umanistico-affettivi
o 6.1Total Physical Response
o 6.2Community Counseling
o 6.3Silent Way
o 6.4Suggestopedia
 7L'approccio comunicativo
 8Note
 9Bibliografia
 10Voci correlate

Prime forme di approcci deduttivi[modifica | modifica wikitesto]


Retrospettivamente è stato definito "approccio formalistico"[2] o "deduttivo"[4] il più
antico approccio glottodidattico.
All'approccio deduttivo corrisponde il cosiddetto "metodo grammaticale-traduttivo", le
cui caratteristiche sono le seguenti[4][5]:

 il docente impartisce la lezione in L1 e non è tenuto a saper parlare nella L2;


 la L2 viene usata poco;
 l'apprendimento concerne soprattutto aspetti morfosintattici;
 si affrontano precocemente testi classici della L2;
 le più tipiche attività sono il dettato, la lettura e la traduzione (dalla L2 alla L1 e
talvolta dalla L1 alla L2).
Sulla base di questo metodo si sviluppa una conoscenza della L2 nella forma scritta,
mentre si sviluppano poco le abilità produttive (in particolare quelle orali: monologo e
dialogo)[4]. Il ruolo del docente è quello di illustrare lessico e grammatica della L2
(tramite regole ed eccezioni[6]), mentre il percorso di appropriazione vero e proprio da
parte dello studente è lasciato alle scelte individuali di quest'ultimo[5].
Il corso di validità di questo approccio è stato individuato in tre secoli, fino alla
reazione di nuovi approcci induttivi sorti a cavallo tra Ottocento e Novecento[2].
Secondo altre ricostruzioni, è soprattutto nel Settecento che si definisce un approccio
formalistico, quando la lingua latina perde il suo status di lingua franca e resta nei
curricoli come lingua morta su cui esercitare le proprie facoltà intellettive. In questa
forma cristallizzata, la lingua assume la forma di una raccolta di regole ed eccezioni. La
didattica della lingua latina, così formata, finirà per influenzare profondamente quella
delle lingue straniere: l'approccio formalistico è sopravvissuto, certo non indiscusso,
almeno fino alla fine del XX secolo.[7]
Con l'apparizione di nuovi approcci e metodi, il tradizionale approccio deduttivo è stato
sistematicamente rifiutato, ma esso è sopravvissuto nell'uso (ad esempio
nell'insegnamento delle lingue classiche, il greco e il latino).[2] La stessa apparizione del
concetto di "competenza comunicativa" negli anni settanta del Novecento non ha del
resto eliminato l'importanza che ha la memorizzazione di grammatica e lessico della
L2, anche se si è approfondita la riflessione sulle regole, sull'induzione, la fissazione e il
riutilizzo delle stesse, nonché sulla natura delle stesse regole e dell'errore (non più
visto come momento patologico dell'apprendimento)[5].
Tipiche tecniche glottodidattiche dell'approccio deduttivo sono[8]:

 esercizi di memorizzazione e comprensione delle regole;


 riflessione sulla L2 (tipicamente in L1);
 raffronto contrastivo tra regole della L2 e della L1;
 reperimento delle regole della L2 nei testi;
 dettato;
 traduzione scritta (da L2 a L1 e più raramente da L1 a L2);
 retroversione (traduzione in L1 di un passo tradotto in L2 ma originariamente in L1,
per attività di confronto).

Prime forme di approcci induttivi[modifica | modifica wikitesto]


Come detto, tra Ottocento e Novecento appaiono nuovi approcci, detti "naturali" (o
"induttivi"[9]), tra cui il più estremo è quello di Maximilian Berlitz (1852-1921), il
fondatore della Berlitz.[10]
Questi nuovi approcci si affermano in particolare a partire da un congresso di
glottodidattica tenutosi a Vienna nel 1898, che vede imporsi i cosiddetti "modernisti",
fautori di un'idea di lingua come "organismo vivo". Un altro congresso, tenutosi
a Lipsia nel 1900, rimarca la preminenza delle abilità orali nell'apprendimento delle
lingue straniere, ridimensionando il primato delle abilità di lettura e scrittura che
dominavano negli approcci deduttivi. Queste nuove posizioni sono state raccolte nel
termine cappello "metodo diretto".[9]
Il metodo diretto si caratterizza come segue[11]:

 è escluso l'uso della L1, che quindi l'insegnante non deve conoscere;
 le lezioni prendono spunti da testi dialogici di sapore informale;
 il docente ricorre alla mimica e alle figure per supportare l'insegnamento;
 l'approccio alla grammatica della L2 e alla cultura di riferimento è induttivo;
 l'approccio ai testi letterari è orientato ad una fruizione piacevole e i testi non
vengono sottoposti ad analisi grammaticale;
 il docente deve essere madrelingua o avere una competenza della L2 paragonabile
a quella di un madrelingua.
Nel complesso, nel metodo diretto le sequenze di apprendimento sono scarsamente
strutturate e non adeguatamente graduate. A fronte di questi elementi critici, al
metodo diretto viene riconosciuta la capacità di guardare alla lingua come ad un
insieme organico, senza i limiti e le astrazioni del metodo grammaticale-traduttivo[11].

Accessibilità della L2 negli approcci deduttivi e induttivi[modifica | modifica


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A distinguere principalmente l'approccio deduttivo da quello induttivo era la
considerazione della accessibilità della lingua. Il primo approccio, infatti, considera
l'apprendimento di una lingua non materna come il prodotto dell'acquisizione di una
competenza grammaticale: a partire dalla regola vengono tratti, per deduzione, gli usi
corretti. I metodi che seguono l'approccio naturale obbediscono invece al presupposto
che la lingua venga inizialmente colta come un oggetto unico e che le regole possano
meglio essere desunte per induzione.[12]

L'approccio strutturalistico[modifica | modifica wikitesto]

B.F. Skinner
Una didattica di ispirazione "meccanicistica" era già stata adottata all'inizio degli anni
quaranta, durante la Seconda guerra mondiale, per velocizzare l'apprendimento delle
lingue straniere da parte dei militari statunitensi in partenza per l'Europa, nel contesto
dell'ASTP (Army Specialized Training Program), un programma di formazione intensiva
istituito nel 1942 dalla United States Army che coinvolse, a partire dal 1943,
cinquantacinque università statunitensi.[11][13][14] Scopo di questo programma, per quel
che riguardava l'apprendimento delle lingue, era quello di fornire agli studenti la
capacità di sviluppare rapidamente abilità di dialogo in diverse lingue. Si rese così
necessario sviluppare un nuovo sistema di apprendimento e a questo scopo fu
fondamentale l'apporto del linguista Leonard Bloomfield (1887-1949), professore
a Yale, il quale aveva di recente sviluppato (in Outline Guide for the Practical Study of
Foreign Languages, 1942[15]) un metodo (detto informant method), teso ad agevolare il
lavoro dei linguisti impegnati a studiare le lingue dei nativi americani. Tale metodo
consisteva nell'utilizzare un informant ("informatore"), cioè un nativo, il quale doveva
fornire un repertorio di frasi e di lessico, sotto la supervisione di un linguista, che
conduceva le lezioni.[14]
È negli anni cinquanta e sessanta del Novecento che si afferma un "approccio
strutturalistico"[2]: a tale approccio corrisponde il cosiddetto "metodo audio-orale", un
termine cappello che include diverse varianti (genericamente associabili all'approccio
induttivo[16]). Del 1957 è Verbal Behavior, di Burrhus Frederic Skinner, opera
fondamentale del neocomportamentismo statunitense: per Skinner, l'apprendimento
si basa sull'esposizione intensiva ad una serie di stimoli, cui seguono le risposte da
parte del discente. Tali risposte vengono confermate o invalidate attraverso un
"rinforzo" (positivo o negativo). Sulla tabula rasa del discente vengono sollecitati degli
automatismi inconsci, degli "abiti mentali".[7]
Il comportamentismo è "la prima teoria dell'apprendimento a cui la didattica delle
lingue fa esplicito riferimento" e viene introdotta in ambito linguistico da Bloomfield[17].
È dunque solo con l'approccio strutturalistico che la glottodidattica, dall'essere un
mero ricettario di espedienti per insegnare una lingua, passa a basarsi su una definita
teoria dell'apprendimento, cercando così di profilarsi come disciplina scientifica[7].

Il metodo cognitivo[modifica | modifica wikitesto]

Noam Chomsky
Degli anni cinquanta sono gli interventi del filosofo statunitense Noam Chomsky (nato
nel 1928) e la sua linguistica generativo-trasformazionale. Particolarmente influente
risulterà una recensione di Verbal Behavior che Chomsky scrisse nel 1959: tale
recensione darà luogo a un trentennale dibattito tra strutturalisti e cognitivisti.[18] Sulla
base degli approcci generativo-trasformazionali si fonda il "metodo cognitivo" (anche
se alcuni storici della glottodidattica collocano il metodo cognitivo nell'orizzonte
dell'approccio deduttivo, in quanto la competenza di una lingua viene intesa
innanzitutto come competenza di regole, da acquisire prima dell'esecuzione vera e
propria). Va anche detto che le idee di Chomsky non sono risultate particolarmente
influenti sull'evoluzione della glottodidattica.[9][19] Ciò perché "si tratta di una teoria del
«prodotto» e non del «processo» di apprendimento"[9].
I metodi umanistico-affettivi[modifica | modifica wikitesto]
All'inizio degli anni sessanta si sono sviluppati negli Stati Uniti dei metodi, detti
"umanistico-affettivi", cui viene fatto corrispondere un approccio detto "psicoaffettivo
e psicomotorio". Una prima manifestazione di questo approccio viene individuato
all'inizio del Novecento nella pedagogia steineriana.[20][21]
Tale approccio si basa su scienze psicologiche, psicoanalitiche e pedagogiche con un
movimento di rinnovamento dell'insegnante-apprendente delle lingue rispetto alla
glottodidattica[non chiaro]. Il discente si trova al centro del processo d'apprendimento.
Total Physical Response[modifica | modifica wikitesto]
Fu creato da James Asher nel 1979 e si basa su un apprendimento senso-motorio.
L'insegnante impartisce degli ordini (imperativi come "alzati", "apri", "chiudi") agli
studenti. Questa metodologia si fonda:

 sul BIO-Programm[sarebbe?], per cui la mente è biologicamente predisposta per


l'acquisizione di qualsiasi lingua naturale. La L2 viene appresa come la L1;
 sulla lateralizzazione cerebrale, per cui primariamente il coinvolgimento cognitivo
segue l'emisfero destro (irrazionale e creativo) e successivamente l'emisfero
sinistro per l'acquisizione delle strutture analitiche e morfosintattiche;
 sull'attenuazione dello stress, per cui il discente acquisisce una nuova L2 in un
contesto sereno e in un clima disteso, cui consegue un apprendimento spontaneo
e naturale.
Community Counseling[modifica | modifica wikitesto]
Fu creato da Charles Arthur Curran nel 1976. L'insegnante suggerisce i modi in cui
impostare gli scambi linguistici come un consigliere, mentre il discente può prendere
l'iniziativa didattica come fornire materiali o topic da affrontare durante le ore di
lezione.
Silent Way[modifica | modifica wikitesto]
Fu creato da Caleb Gattegno nel 1963. L'insegnante sta in silenzio per il 90% della
lezione. Il discente si concentra sul brano, risolvendo i problemi linguistici e resta in
silenzio. È una metodologia indirizzata agli adulti e ai bambini, in vista di incontri
giornalieri.
Suggestopedia[modifica | modifica wikitesto]
Fu creato da Georgi Lozanov nel 1970. Si basa su un apprendimento orientato ad
un'atmosfera rilassata, in cui la suggestione è fornita da musica, colori ecc. Si elimina il
filtro affettivo attraverso un ambiente disteso e privo di ansia o pressioni.

L'approccio comunicativo[modifica | modifica wikitesto]


Dell'inizio degli anni settanta del Novecento è il cosiddetto "approccio comunicativo".
Alla base di tale approccio sta il concetto di competenza comunicativa, definito da Dell
Hymes (1927-2009) nel 1972. Il concetto di competenza comunicativa rinvia alla
capacità di un apprendente di utilizzare la lingua in contesti e situazioni determinate,
così coinvolgendo, in opposizione all'astrattezza degli approcci deduttivi, le
dimensioni sociolinguistiche, pragmalinguistiche e interculturali della comunicazione.
La competenza comunicativa è dunque intesa in contrapposizione alla competenza
linguistica di Chomsky.[5][22]
Degli anni sessanta del Novecento sono invece i contributi del linguista britannico John
Langshaw Austin (con How To Do Things With Words, lezione all'Università di
Harvard tenuta nel 1955 e pubblicata nel 1962) e del linguista statunitense John
Rogers Searle (1969), i quali concepiscono la nozione di atto linguistico, inteso come
atto comunicativo prodotto attraverso la lingua e dotato di una specifica intenzione
comunicativa (illocuzione) ed uno specifico effetto sulla realtà (perlocuzione). I due
autori rimarcano dunque l'importanza della dimensione pragmatica nella
comunicazione verbale. La teoria degli atti linguistici è assai rilevante per gli sviluppi
della glottodidattica contemporanea ed è a fondamento dei sillabi nozional-funzionali
elaborati dagli anni settanta.[23]
Un altro che un'altra teoria fondamentale per la nascita dell'approccio comunicativo è
la Gestalttheorie. Mentre con l'approccio formalistico il discente era indotto a partire
da singoli elementi per la costruzione di frasi grammaticali, il metodo comunicativo,
coerentemente ai principi della Teoria della Gestalt, osserva la lingua in atto nella sua
globalità, per poi analizzarne gli elementi.[23]
Elementi di fondo della didattica comunicativa sono:

 attenzione all'uso della lingua (maggiore rilievo attribuito agli aspetti funzionali e
alla competenza comunicativa rispetto alla competenza grammaticale);
 la lingua oggetto è proposta in testi autentici, cioè tratti da monologhi o dialoghi
reali o il più possibile simili a quelli che avvengono nella realtà: materiali tipici
utilizzati nei corsi sono conversazioni reali, brani di trasmissioni radiofoniche o
televisive, annunci, articoli di giornale;
 la progressione dei contenuti non è più lineare (sull'asse della maggiore
complessità), ma ciclica: gli stessi elementi grammaticali diventano più volte
oggetto di trattazione e secondo prospettive diverse;
 l'insegnamento è strutturato in unità didattiche e non più in lezioni, come
nell'approccio formalistico;
 i bisogni linguistici dell'apprendente regolano la gradazione dell'apprendimento: gli
allievi sono spinti a interagire con i pari durante il lavoro in classe, attraverso
tecniche come la simulazione di conversazioni, le drammatizzazioni, i giochi di
ruolo, le attività in coppi o di gruppo.
 ruolo del docente è quello del facilitatore e non più quello dell'interprete
universale e onnipresente del metodo.
Vari metodi sono ascrivibili all'approccio comunicativo: il Project work di N. S.
Prabhu (Second language pedagogy, Oxford University Press, 1987), la Strategic
Interaction di Robert J. Di Pietro (Strategic Interaction. Learning Languages through
Scenarios, Cambridge University Press, 1987), la Intercultural Competence di S.
Bachmann, il Lexical Approach di Dave Willis (The Lexical Syllabus. A New Approach to
Language Teaching, Collins, 1990) e Michael Lewis (Implementing the Lexical
Approach: Putting a Theory into Practice, Language Teaching Publications, 1997).[24]

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