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Tecniche glottodidattiche
La didattica di tipo “tradizionale”, che è stata descritta nelle lezioni precedenti, può risultare
insoddisfacente non solo nel suo impianto generale ma anche in determinati aspetti più settoriali,
relativi, cioè, ai differenti ambiti di intervento lungo i quali si articola l’azione formativa.
In particolare, per quanto concerne la didattica del greco antico, e l’insegnamento della lingua
greca, i docenti non possono tralasciare le acquisizioni che la moderna riflessione
sull’insegnamento delle lingue cosiddette “vive” ha prodotto e continua a produrre.
Ciò non significa un puro e semplice trasferimento di metodologie didattiche da un campo
applicativo ad un altro, anche in considerazione del fatto che le discipline classiche presentano
delle non trascurabili specificità, che l’intervento educativo deve tenere in considerazione.
La seriazione è utile perché è in grado di stimolare fra gli allievi discussioni dal momento che il
riordino effettuato è spesso arbitrario.
La tecnica glottodidattica detta sequenzizione si basa sullo stesso procedimento della seriazione ma
presenta la particolarità di richiedere agli allievi di effettuare le operazioni di riordino focalizzando
la loro attività sul parametro dell’ordine temporale.
Riguarda quindi verbi ed avverbi ma anche insiemi particolari, costituiti, ad esempio, da testi che
includono anacronie (sovvertimenti dell’ordine cronologico) quali anticipazioni (prolessi)
e flashback (analessi).
Approcci e metodi glottodidattici
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Il termine "approccio", in glottodidattica, indica un insieme di tesi glottodidattiche che
un glottodidatta seleziona in rapporto e coerenza con una serie di assiomi ricavati dalle
scienze linguistiche (linguistica generale, linguistica
acquisizionale, sociolinguistica, neurolinguistica), dalle scienze dell'educazione,
dalla psicologia, dall'antropologia ecc.[1], cioè "[d]all'esterno dell'universo
epistemologico della glottodidattica"[2]. In altre parole, l'approccio "costituisce la
filosofia di fondo di ogni proposta glottodidattica"[3], in modo che da un determinato
approccio possono derivare diversi metodi glottodidattici, i quali metodi
rappresentano, dunque, l'applicazione pratica di quelle scelte teoriche.[3]
Non esiste una tassonomia condivisa di approcci e metodi glottodidattici.
Indice
è escluso l'uso della L1, che quindi l'insegnante non deve conoscere;
le lezioni prendono spunti da testi dialogici di sapore informale;
il docente ricorre alla mimica e alle figure per supportare l'insegnamento;
l'approccio alla grammatica della L2 e alla cultura di riferimento è induttivo;
l'approccio ai testi letterari è orientato ad una fruizione piacevole e i testi non
vengono sottoposti ad analisi grammaticale;
il docente deve essere madrelingua o avere una competenza della L2 paragonabile
a quella di un madrelingua.
Nel complesso, nel metodo diretto le sequenze di apprendimento sono scarsamente
strutturate e non adeguatamente graduate. A fronte di questi elementi critici, al
metodo diretto viene riconosciuta la capacità di guardare alla lingua come ad un
insieme organico, senza i limiti e le astrazioni del metodo grammaticale-traduttivo[11].
B.F. Skinner
Una didattica di ispirazione "meccanicistica" era già stata adottata all'inizio degli anni
quaranta, durante la Seconda guerra mondiale, per velocizzare l'apprendimento delle
lingue straniere da parte dei militari statunitensi in partenza per l'Europa, nel contesto
dell'ASTP (Army Specialized Training Program), un programma di formazione intensiva
istituito nel 1942 dalla United States Army che coinvolse, a partire dal 1943,
cinquantacinque università statunitensi.[11][13][14] Scopo di questo programma, per quel
che riguardava l'apprendimento delle lingue, era quello di fornire agli studenti la
capacità di sviluppare rapidamente abilità di dialogo in diverse lingue. Si rese così
necessario sviluppare un nuovo sistema di apprendimento e a questo scopo fu
fondamentale l'apporto del linguista Leonard Bloomfield (1887-1949), professore
a Yale, il quale aveva di recente sviluppato (in Outline Guide for the Practical Study of
Foreign Languages, 1942[15]) un metodo (detto informant method), teso ad agevolare il
lavoro dei linguisti impegnati a studiare le lingue dei nativi americani. Tale metodo
consisteva nell'utilizzare un informant ("informatore"), cioè un nativo, il quale doveva
fornire un repertorio di frasi e di lessico, sotto la supervisione di un linguista, che
conduceva le lezioni.[14]
È negli anni cinquanta e sessanta del Novecento che si afferma un "approccio
strutturalistico"[2]: a tale approccio corrisponde il cosiddetto "metodo audio-orale", un
termine cappello che include diverse varianti (genericamente associabili all'approccio
induttivo[16]). Del 1957 è Verbal Behavior, di Burrhus Frederic Skinner, opera
fondamentale del neocomportamentismo statunitense: per Skinner, l'apprendimento
si basa sull'esposizione intensiva ad una serie di stimoli, cui seguono le risposte da
parte del discente. Tali risposte vengono confermate o invalidate attraverso un
"rinforzo" (positivo o negativo). Sulla tabula rasa del discente vengono sollecitati degli
automatismi inconsci, degli "abiti mentali".[7]
Il comportamentismo è "la prima teoria dell'apprendimento a cui la didattica delle
lingue fa esplicito riferimento" e viene introdotta in ambito linguistico da Bloomfield[17].
È dunque solo con l'approccio strutturalistico che la glottodidattica, dall'essere un
mero ricettario di espedienti per insegnare una lingua, passa a basarsi su una definita
teoria dell'apprendimento, cercando così di profilarsi come disciplina scientifica[7].
Noam Chomsky
Degli anni cinquanta sono gli interventi del filosofo statunitense Noam Chomsky (nato
nel 1928) e la sua linguistica generativo-trasformazionale. Particolarmente influente
risulterà una recensione di Verbal Behavior che Chomsky scrisse nel 1959: tale
recensione darà luogo a un trentennale dibattito tra strutturalisti e cognitivisti.[18] Sulla
base degli approcci generativo-trasformazionali si fonda il "metodo cognitivo" (anche
se alcuni storici della glottodidattica collocano il metodo cognitivo nell'orizzonte
dell'approccio deduttivo, in quanto la competenza di una lingua viene intesa
innanzitutto come competenza di regole, da acquisire prima dell'esecuzione vera e
propria). Va anche detto che le idee di Chomsky non sono risultate particolarmente
influenti sull'evoluzione della glottodidattica.[9][19] Ciò perché "si tratta di una teoria del
«prodotto» e non del «processo» di apprendimento"[9].
I metodi umanistico-affettivi[modifica | modifica wikitesto]
All'inizio degli anni sessanta si sono sviluppati negli Stati Uniti dei metodi, detti
"umanistico-affettivi", cui viene fatto corrispondere un approccio detto "psicoaffettivo
e psicomotorio". Una prima manifestazione di questo approccio viene individuato
all'inizio del Novecento nella pedagogia steineriana.[20][21]
Tale approccio si basa su scienze psicologiche, psicoanalitiche e pedagogiche con un
movimento di rinnovamento dell'insegnante-apprendente delle lingue rispetto alla
glottodidattica[non chiaro]. Il discente si trova al centro del processo d'apprendimento.
Total Physical Response[modifica | modifica wikitesto]
Fu creato da James Asher nel 1979 e si basa su un apprendimento senso-motorio.
L'insegnante impartisce degli ordini (imperativi come "alzati", "apri", "chiudi") agli
studenti. Questa metodologia si fonda:
attenzione all'uso della lingua (maggiore rilievo attribuito agli aspetti funzionali e
alla competenza comunicativa rispetto alla competenza grammaticale);
la lingua oggetto è proposta in testi autentici, cioè tratti da monologhi o dialoghi
reali o il più possibile simili a quelli che avvengono nella realtà: materiali tipici
utilizzati nei corsi sono conversazioni reali, brani di trasmissioni radiofoniche o
televisive, annunci, articoli di giornale;
la progressione dei contenuti non è più lineare (sull'asse della maggiore
complessità), ma ciclica: gli stessi elementi grammaticali diventano più volte
oggetto di trattazione e secondo prospettive diverse;
l'insegnamento è strutturato in unità didattiche e non più in lezioni, come
nell'approccio formalistico;
i bisogni linguistici dell'apprendente regolano la gradazione dell'apprendimento: gli
allievi sono spinti a interagire con i pari durante il lavoro in classe, attraverso
tecniche come la simulazione di conversazioni, le drammatizzazioni, i giochi di
ruolo, le attività in coppi o di gruppo.
ruolo del docente è quello del facilitatore e non più quello dell'interprete
universale e onnipresente del metodo.
Vari metodi sono ascrivibili all'approccio comunicativo: il Project work di N. S.
Prabhu (Second language pedagogy, Oxford University Press, 1987), la Strategic
Interaction di Robert J. Di Pietro (Strategic Interaction. Learning Languages through
Scenarios, Cambridge University Press, 1987), la Intercultural Competence di S.
Bachmann, il Lexical Approach di Dave Willis (The Lexical Syllabus. A New Approach to
Language Teaching, Collins, 1990) e Michael Lewis (Implementing the Lexical
Approach: Putting a Theory into Practice, Language Teaching Publications, 1997).[24]