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Studi di Glottodidattica 2009, 2, 35-47 ISSN: 1970-1861

LA DIDATTICA DELLE LINGUE IN LINGUA STRANIERA: RESOCONTO


DI UN’ESPERIENZA IN AMBIENTE UNIVERSITARIO
BRUNA DI SABATO
Facoltà di Lettere
(Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli)

Parole chiave: lingua veicolare didattica, modulo, università

The meeting of two personalities is like


the contact of two chemical substances;
if there is any reaction,
both are transformed.
Carl Gustav Jung

1.1. Premessa
Ho scelto di aprire il mio contributo alla discussione sull’apprendimento delle lingue straniere in
ambiente CLIL con questo incipit perché ritengo sia un’affermazione ampiamente condivisibile a
proposito dell’incontro tra personalità che può, peraltro, essere estesa all’incontro tra due oggetti
del sapere, ancor più se questi oggetti sono una lingua e i contenuti che essa è chiamata a
veicolare.
In questo caso la “trasformazione” auspicata da ogni insegnante che intraprende la faticosissima
costruzione di un percorso CLIL è, naturalmente, un incremento della competenza dell’allievo in
entrambi i campi, perseguita attraverso l’uso estensivo di attività task-based, ovvero incentrate
sull’assolvimento di compiti, e ispirate alla filosofia del learning-by-doing, dell’apprendere
facendo. Senza dubbio, tuttavia, anche le personalità che si confrontano all’interno di un
ambiente CLIL subiscono una “trasformazione”. Coonan mette in rilievo soprattutto la
“reazione” positiva determinata dall’incontro tra l’insegnante di lingua straniera e il collega di
disciplina curricolare: il primo, grazie alla formazione ricevuta, è senza dubbio più attento

to a whole series of issues and potential solutions that the non-foreign language subject matter
teacher is normally not aware of. It is to be expected therefore that CLIL material will exhibit
perhaps more tasks and a greater variety of task formats than is normally the case in L1 subject
matter teaching (Coonan 2002: 63).

A ciò aggiungerei altri due influssi derivanti da un’esperienza CLIL: il confronto tra le strategie
di apprendimento/insegnamento della lingua e quelle curricolari, promuove certamente una
maggiore consapevolezza di queste differenze, non solo negli insegnanti coinvolti, ma anche
negli apprendenti: diventa infatti palese che quanto più si usa la lingua in contesti comunicativi
autentici e non simulati, tanto maggiore è la competenza acquisita. Anche che la diversa
organizzazione del pensiero in relazione all’ambito disciplinare oggetto di studio è strettamente
correlata alla capacità comunicativa. Infine, induce un maggior focus sull’aspetto funzionale
della lingua, certamente di beneficio anche ad alcuni insegnanti di lingua straniera che, nella
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pratica, finiscono per dedicare più spazio del dovuto all’aspetto nozionale (spesso anche
decontestualizzato).
Nelle pagine che seguono presento una sperimentazione didattica tenuta lo scorso anno
accademico (2007-2008) all’interno di un corso di Didattica delle lingue straniere moderne a
livello universitario.
Come si vedrà, tutti i partecipanti sono certamente stati influenzati da questa esperienza che ha
condotto a riflessioni più ampie sull’apprendimento delle lingue straniere e sui possibili gradi di
integrazione tra queste e altre discipline componenti il curricolo di un percorso formativo a
livello universitario.

1.2. Com’è nata l’idea


Premetto che fino ad ora il mio interesse nei confronti dei vari gradi di possibile integrazione di
lingua e contenuti è stato sbilanciato in favore della prima. Il mio percorso scientifico e didattico
è partito dall’insegnamento dell’inglese come lingua straniera, quindi dalla pratica didattica, per
poi deviare sempre più verso la riflessione glottodidattica.
Da insegnante di lingua straniera, ho sempre dedicato ampio spazio alla comunicazione
specialistica, ad un uso della lingua per scopi speciali che presuppone strategie d’insegnamento
molto simili a quelle di ambiente CLIL.1 D’altronde, all’insegnante di lingue, la necessità di
contenuti significanti, di “avere qualcosa da dire”, è sempre ben presente. Questo è uno dei
motivi principali della ricerca di collaborazione con insegnanti di contenuti curricolari:

1
In Coonan 2002 viene specificato che l’uso di CLIL per riferirsi all’integrazione di lingua e contenuti all’interno
di un percorso di apprendimento “reclama pari dignità per ambedue le discipline coinvolte” (114); e questa
accezione dell’acronimo è presente anche nel documento Eurydice del 2006, nel quale si ribadisce che “i suoi
promotori mettono l’accento sul fatto che la lingua e la materia non linguistica sono tutte e due oggetti
d’insegnamento, riconoscendo la stessa importanza ad entrambe” (7). Ma la letteratura sull’argomento di fatto
utilizza spesso CLIL per alludere a tutti i possibili gradi di questa integrazione, da un estremo – focus sulla
disciplina, nel qual caso il veicolo è la lingua utilizzata – all’altro – focus sulla lingua, nel qual caso è il contenuto ad
assumere funzione veicolare per apprendere la microlingua. Lo stesso documento Eurydice, dopo la premessa
appena citata, specifica che all’interno del documento l’acronimo “è usato come termine generico per indicare tutti i
tipi di insegnamento in cui una seconda lingua (lingua straniera, regionale o minoritaria e/o un’altra lingua ufficiale
dello Stato) è usata per insegnare alcune materie del programma di studi al di fuori dei corsi di lingua stessi” (8). La
confusione potrebbe essere acuita dall’esistenza di più denominazioni associate al concetto di apprendimento
integrato di lingua e contenuti già a partire dai diversi aspetti assunti dall’insegnamento di questo tipo in ambiente
canadese negli anni Settanta (Swain Lapkin 1982). Da allora in poi, questo tipo di esperienze si sono estese al di
fuori dei confini ristretti di contesti territoriali dal profilo linguistico particolare (documento Eurydice 2006),
acquisendo nomi diversi nelle varie lingue e anche all’interno dello stesso codice a seconda delle caratteristiche
dell’apprendimento (scuola di base, o gradi successivi; lingua seconda o lingua straniera, predominanza data alla
disciplina o alla lingua, per esempio).
Ma allo stato dei fatti, la coesistenza di tante denominazioni sembra piuttosto determinata da consuetudine d’uso e
comunque di rado legata a diversità nell’area semantica coperta dai vari termini (si veda anche l’allegato 1 al già
citato documento Eurydice del 2006 “Terminologie nazionali associate al concetto di CLIL”). In lingua inglese, per
esempio, a CLIL è spesso preferito CBA, Content-Based Approach. In questo caso sembrerebbe accentuata
l’importanza data ai contenuti, eppure nella Routledge Encyclopedia of Language Learning and Teaching (2004),
alla voce “Content-Based Approach” (unico tra i tanti lemmi che all’interno della lingua inglese vengono usati per
riferirsi all’integrazione lingua contenuti ad essere presente all’interno del volume) l’area semantica coperta dal
termine è perfettamente identica a quella attribuita in ambiente europeo e certamente in Italia a “Content and
Language Integrated Learning”. Questa premessa mi è sembrata necessaria per precisare che in questo testo CLIL
verrà utilizzato per riferirsi ad un percorso di apprendimento integrato all’interno del quale l’inglese è lingua
veicolare e i contenuti sono costituiti da un approccio glottodidattico e dalle sue applicazioni. La preminenza data ai
contenuti è strettamente dipendente dal contesto di apprendimento, ovvero un modulo curricolare di didattica delle
lingue straniere, non già un modulo di lingua inglese o un modulo extracurricolare che permetta la considerazione
della lingua e dei contenuti come mete glottodidattiche di pari importanza.
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This ‘having something to say’ is a reason why many language instructors choose collaboration
with teachers of other disciplines. They see the need to have students’ language grow and
expand in the context of a technical area of another discipline. (Shannon e Meath-Lang 1993:
120).

Da insegnante di lingua straniera, quindi, se il ricorso a contenuti specifici e a tecniche


didattiche basate sull’obiettivo di “apprendere facendo”2 non è mai mancato, l’oggetto
dell’apprendimento delle mie lezioni restava la lingua, pur se si trattava spesso di quelle varietà
diafasiche necessarie a far fronte a “scopi speciali”.
Invece, da docente di Didattica delle lingue straniere, ho spesso trattato il CLIL come uno degli
argomenti dei miei corsi. Anzi, per due anni accademici ho anche dedicato un modulo da 4
crediti formativi all’apprendimento linguistico in immersione.
L’argomento ha sempre destato molta curiosità negli studenti che non potevano non vedere
un’indubbia utilità ai fini della competenza linguistica di questo tipo di approccio. Tuttavia, si
domandavano, e mi domandavano, perché un approccio così efficace non fosse mai stato
sperimentato all’interno del loro percorso curricolare.
Spesso durante queste lezioni mi veniva chiesto “dove fosse il trucco”; perché, se questi metodi
si sono rivelati così efficaci, l’esposizione alla lingua straniera non venisse potenziata nella
pratica attraverso moduli CLIL all’interno di un corso di laurea in Lingue e Letterature Straniere.
Trattare questi temi all’interno della mia realtà universitaria che prevedeva un curricolo in
Lingue e culture straniere di durata triennale metteva gli studenti davanti all’evidenza di una
grossa contraddizione: infatti, persino la letteratura straniera veniva insegnata in lingua italiana,
poiché la gran parte dei colleghi di letteratura riteneva che l’insegnamento in lingua straniera
impoverisse la competenza nella disciplina da parte degli studenti. Quindi, in tale contesto
didattico, immaginare un’apertura da parte di chi insegnava contenuti disciplinari per ampliare la
qualità e lo spazio di esposizione alla lingua straniera era impensabile. Non restava che lasciare i
miei studenti con la sensazione che tra il dire e il fare... A meno di non sfruttare le mie
competenze come insegnante di lingua e di disciplina curricolare.
Così è nata l’idea di provare a fare da sola, proponendo un modulo interno al mio corso di
Didattica delle lingue straniere in lingua inglese.
Il percorso didattico creato era di tipo modulare e il primo modulo da quattro crediti formativi
obbligatorio per tutti era raccordabile con un altro modulo da quattro crediti a scelta tra due: il
modulo CLIL – in lingua inglese – e un modulo sulla didattica dell’italiano come lingua seconda
– in lingua italiana. La scelta era obbligata per gli studenti che non avevano inglese tra le loro
lingue di studio, ma gli altri erano liberi di scegliere. Dei circa 180 studenti che avevano
frequentato il primo modulo, circa ottanta non avevano altri crediti sulla disciplina e hanno
perciò concluso il loro percorso. Dei restanti 100 studenti, circa quaranta si sono iscritti al
modulo in lingua italiana e i restanti sessanta si sono iscritti al modulo in lingua inglese. Di
questi, quarantotto sono coloro i quali hanno seguito con assiduità, partecipato ai task e sostenuto
la prova di fine modulo che sostituiva il tradizionale esame di profitto. Gli altri sono apparsi e
scomparsi più volte e alcuni di loro, pur frequentando e partecipando alle attività con regolarità,
hanno optato per l’esame orale posticipando il momento della valutazione finale. I dati che
riporto qui di seguito sono quindi relativi al monitoraggio dei sessanta studenti il cui percorso di
apprendimento è tracciabile dall’inizio alla valutazione finale.
Il gruppo classe era quindi costituito da studenti italiani ad eccezione di quattro studenti
ERASMUS, tra i quali due studenti polacchi, una studentessa francese e uno spagnolo. Gli
studenti italiani erano iscritti al secondo anno del corso di laurea triennale in Lingue e culture

2
Sul concetto di compito (task) si veda tra gli altri Coonan 2006, 2002; Ellis 2003; Mazzotta 2001; Nunan 1989;
Robinson 2001; Willis 1996).
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moderne, tranne nove che provenivano invece dal corso di laurea specialistica in Letterature
comparate. Secondo i parametri del Quadro Comune di Riferimento per le Lingue, il livello di
competenza in lingua inglese era valutabile in termini di B1 per gli studenti del corso di laurea
triennale. Quanto agli altri, il livello degli iscritti alla laurea specialistica e degli studenti
polacchi era certamente migliore, valutabile come B2+.
La conoscenza della lingua veicolare non mi spaventava particolarmente. È stato già dimostrato
(sebbene relativamente a classi miste, formate da apprendenti madrelingua e di diversa lingua
madre) che studenti che posseggono un livello di competenza linguistica inferiore a quello
generalmente richiesto per frequentare corsi di livello universitario, possono comunque riuscire a
seguire il corso con successo (si veda, per esempio, Mohan e Marshall Smith 1993). Ed ero certa
che la cooperazione tra studenti con un livello di competenza eterogeneo, favorita anche dal
lavoro di gruppo necessario a portare avanti i task previsti dal percorso, avrebbe contribuito per
lo meno in parte a ridurre il gap rappresentato dalla scarsa competenza in lingua straniera.
Il percorso didattico è stato caratterizzato da un’interessante interrelazione tra disciplina e
contenuti e tra oggetto dell’apprendimento e metodologia didattica utilizzata: in parole semplici
si è trattato di un corso su come si apprende/insegna una lingua, tenuto in lingua inglese, a
studenti di inglese come lingua straniera. Inoltre l’argomento del modulo, l’approccio lessicale,
è spesso messo in relazione con esperienze di apprendimento integrato lingua contenuti, come
rilevato anche da altre esperienze qui presentate e da alcune pubblicazioni sull’argomento
(Porcelli 2006). In un continuo gioco delle parti lo studente ha vestito di volta in volta i panni
dell’apprendente, dell’insegnante e del creatore e valutatore di materiali didattici, e si è trovato a
riflettere sulle modalità di apprendimento/insegnamento della stessa lingua che era tenuto ad
utilizzare per acquisire informazioni e comunicare con gli altri.

2.1. Programmazione del modulo


La scelta dell’argomento è caduta sull’approccio lessicale e sull’omonimo e ben noto libro di
Lewis The Lexical Approach (1993) per tre motivi: si tratta di un approccio che interessa gli
apprendenti che lo affrontano con la meraviglia di chi prende coscienza improvvisamente di un
dato di fatto inconfutabile; il libro utilizza un registro poco formale e una lingua che è
comprensibile a chi ha una competenza in lingua inglese di livello intermedio; infine, concetti e
termini specifici sono preceduti da una moltitudine di esempi, il che facilita la comprensione e al
contempo permette allo studente di assorbire in modo inconsapevole il modello di tipo induttivo
che Lewis propone come approccio alla lingua straniera.
Ricordo che questa esperienza costituisce la seconda parte di un percorso modulare, la cui prima
parte è stata svolta in italiano. In questa prima parte si è perseguito l’obiettivo di introdurre
l’apprendente alla disciplina: sono stati trattati i principali argomenti relativi alla glottodidattica
sia dal punto di vista diacronico (storia dell’evoluzione dei principali approcci, metodi e tecniche
nel corso del secolo scorso) che dal punto di vista sincronico (soprattutto i principi fondanti
dell’approccio comunicativo e della glottodidattica umanistico-affettiva, nonché alcuni approcci
come il CLIL e alcuni ambienti glottodidattici come l’insegnamento dell’italiano lingua seconda,
apparsi di “recente” in Italia). Alla fine del modulo gli studenti possedevano una buona
competenza concettuale e lessicale di ambito specifico che senz’altro forniva un background
knowledge sul quale contare nel corso del secondo modulo. Il secondo modulo è infatti partito
con una serie di attività di brainstorming intese a promuovere un passaggio graduale ad una
riflessione in lingua inglese sulla disciplina. Durante il confronto su base interlinguistica, gli
apprendenti hanno spontaneamente messo in luce differenze concettuali e linguistiche
interessanti. Per esempio, la non totale equivalenza semantica tra le varie denominazioni in
italiano - glottodidattica, didattica delle lingue straniere, educazione linguistica, ecc. - nonché la
difficile individuazione di un traducente trasparente in lingua inglese tra le varie opzioni
disponibili – per esempio, foreign language learning (and teaching), foreign language didactics,
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educational linguistics, e così via, ha indotto gli studenti a riflettere sulla poliedricità di
quest’area disciplinare e sulla molteplicità delle prospettive dalla quale la si può affrontare.
Sono proprio momenti didattici di questo tipo che hanno definito un percorso che mi ero limitata
a tracciare. Per esempio, lo spunto fornitomi dal confronto terminologico tra le varie
denominazioni della disciplina in italiano e in inglese ha dato vita ad una ricerca lessicografica
sull’area semantica coperta dai vari lemmi individuati in italiano e poi all’individuazione di
possibili equivalenti in lingua inglese. A questo scopo, gli studenti si sono serviti di risorse
internet e di bibliografia da me fornita o reperibile presso le biblioteche universitarie.3 Pur
avendo ben chiare la filosofia di fondo e la base concettuale del corso, nonché le mete didattiche
che ero determinata a raggiungere, avevo deciso di non procedere ad una programmazione
dettagliata in termini di contenuti e di materiali, nella convinzione che sarebbero stati i bisogni
del gruppo classe a suggerirmi le scelte giuste: non mi interessava la quantità di concetti che
sarei riuscita ad affrontare, quanto piuttosto la creazione di una competenza operativa
nell’ambito disciplinare di riferimento.
2.2. Obiettivi
La programmazione ha tenuto conto di alcuni obiettivi prefissati: alla fine del modulo gli
studenti avrebbero dovuto essere in grado di reperire informazioni su argomenti specifici, di
ragionare con spirito critico sull’apporto di un determinato approccio allo studio di una lingua
straniera e sulle loro modalità di apprendimento per essere buoni insegnanti di domani. L’intento
principale era riuscire a trasmettere agli studenti una consapevolezza metodologica soprattutto
come apprendenti, sebbene a questo scopo abbia puntato sulla simulazione, creando situazioni
nelle quali lo studente invece era portato a ragionare e ad ‘agire’ in qualità di insegnante, come si
vedrà.
Se lo “spazio” utilizzato era quello destinato alla disciplina, il focus sulla lingua che ero abituata
ad adottare nell’insegnamento delle microlingue andava abbandonato in favore di una maggiore
preminenza dei contenuti. Ma, naturalmente, avevo prefissato anche degli obiettivi linguistici:
oltre al possesso della terminologia specifica in lingua inglese necessaria a reperire informazioni
tipiche dell’ambito disciplinare e a trasmetterle, puntavo ad una più ampia competenza
microlinguistica atta ad orientarsi nell’utilizzo di testi e contesti tipici della comunicazione
accademica tra esperti ma anche tra questi ultimi e coloro che aspirano a diventarlo, i cosiddetti
“would-be experts”: stilare una relazione, tenere una lezione, preparare materiali didattici, e così
via. L’aumento dell’esposizione alla lingua straniera costituiva più che un obiettivo una delle
motivazioni alla base del percorso stesso. Mentre, più specificamente miravo al superamento
della barriera psicologica che impedisce a molti apprendenti di prendere parte attiva durante le
lezioni di lingua e, quindi, al raggiungimento di una maggiore “fluency” anche a spese
dell’accuratezza formale. All’interno di un percorso di apprendimento non di lingua straniera ma
in lingua straniera, l’apprendente si trova ad “usare” la lingua puntando ad un differente obiettivo
curricolare. Così la barriera costituita dal filtro affettivo si indebolisce e la competenza
comunicativa in lingua straniera aumenta. Grazie a task specifici del tipo che illustrerò più avanti
gli studenti si trovavano a dover “fare in lingua” e “fare con la lingua”, conseguendo così quelle
competenze scritte e orali che Cummins classifica come “CALP” (Cognitive Academic

3
Tra i siti consultati, il sito Eurydice in italiano: http://www.indire.it/eurydice/index.php e in inglese:
www.eurydice.org/; i glossari presenti al sito dell’Istituto pedagogico:
http://www.ipbz.it/Generale/VisualizzaDescrSezione.aspx?area=8&id=537; il nozionario di glottodidattica presente
al sito: http://www.ipbz.it/ImagesUpload/Area/8/nozionarioglotto.pdf.
Tra i volumi: Encyclopedia of bilingualism and bilingual education a cura di C. Baker e S. Prys Jones (1998);
Routledge encyclopedia of language teaching and learning a cura di M. Byram (2004); l’Oxford handbook of
applied linguistics a cura di R. Kaplan (2002); An A-Z of ELT di S. Thornbury (2006).
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Language Proficiency).4 Si tratta nel nostro caso del possesso delle abilità linguistiche necessarie
ad affrontare i contenuti disciplinari in lingua straniera.
Infine, grazie al diverso grado di competenza linguistica dei partecipanti al corso e alla mia
presenza come “facilitatore”, gli studenti avrebbero potuto affinare capacità di negoziazione del
significato, spendibili in qualsiasi contesto comunicativo.5
2.3. Metodo
Le strategie adottate sono strettamente correlate all’esigenza di favorire il massimo
coinvolgimento dell’apprendente: la progressiva riduzione del “Teacher’s Talking Time” (TTT)
è stata possibile grazie alla programmazione di task affidati a gruppi di studenti che a turno
dovevano assumere il ruolo di insegnanti e illustrare alla classe il topic di cui si erano occupati. Il
mio contributo alle lezioni è stato soprattutto iniziale, e volto a fornire concetti indispensabili
agli studenti per affrontare il lavoro in autonomia, nonché la lingua atta a veicolarli.
L’argomento prescelto si è rivelato molto adatto perché di semplice comprensione e allo stesso
tempo interrelato con concetti glottodidattici di fondamentale importanza ai quali si arrivava
però per deduzione nel ragionare sulla centralità del lessico nell’apprendimento/insegnamento
delle lingue straniere. Durante i miei interventi, dunque, ho cercato di concentrare l’attenzione
dello studente sulla natura stessa dell’approccio lessicale e sui suoi principi fondanti. Una
strategia da me spesso adottata è di intervenire spesso ma per breve tempo, facendo ricorso a
“pezzi di lingua” che gli studenti avrebbero potuto riutilizzare durante i loro interventi: formule
di introduzione e/o conclusione, di coesione, brevi esposizioni di un concetto secondo una
strutturazione coerente del contenuto, collocazioni ricorrenti e elementi lessicali tipici della
disciplina, e così via. Le espressioni chiare erano ulteriormente enfatizzate dal loro utilizzo anche
nelle slide di accompagnamento. È lo stesso Lewis (2003: 10) a mettere bene in evidenza che la
quantità di Talking Time da parte dell’insegnante va gestita con buon senso perché a volte gli
apprendenti beneficiano maggiormente dall’ascolto di un “input controllato” (controlled teacher
input) piuttosto che dalla pressione emotiva determinata da un eccessivo aumento del loro
“Talking Time” (STT).
La presenza della lingua straniera, pur non avendo uno spazio didattico appositamente dedicato,
può dirsi “incidentale” secondo l’accezione utilizzata in taluni contesti di apprendimento
linguistico basato sui contenuti. Secondo le parole di Lyster (2007: 27):

Incidental learning is generally defined as learning without the intent to learn, or the learning of
one thing when the learner’s primary objective is to do something else (see Schmidt 1994).

I temi da me introdotti erano presentati con una serie di esempi tratti da materiali autentici
didattizzati o meno a seconda dei casi. Allo scopo di verificare concretamente i risvolti nella
effettiva creazione di materiali didattici delle teorie esposte, gli studenti erano invitati a portare
in classe i libri di testo utilizzati nei corsi di lingua straniera (non solo inglese ma anche francese,
portoghese, russo, spagnolo, tedesco). L’utilizzo di testi a loro familiari ha certamente aumentato
l’efficacia della esemplificazione, anche perché l’idea di “valutare” non tanto la validità dei nodi
teorico-metodologici quanto la validità dei loro libri di testo li ha motivati oltre ogni aspettativa.
4
Cummins (1984a/b) adotta questo acronimo per riferirsi alla competenza richiesta per affrontare contenuti
curricolari in lingua straniera. Si tratta di quella competenza necessaria all’allievo che si trova in un contesto di
apprendimento che utilizza un idioma diverso dalla sua lingua madre per raggiungere gli obiettivi scolastici con
successo. Il livello precedente al CALP è classificato da Cummins come “BICS” (ovvero Basic Interpersonal
Communicative Skills): si tratta del livello soglia raggiunto da quegli studenti che sono in grado di interagire e di
“sopravvivere” in un contesto di apprendimento non di lingua madre. Il BICS è riconducibile a quelle abilità che il
Quadro Comune Europeo classifica entro il livello B.
5
Parlo qui di negoziazione del significato perché la preminenza è data ai contenuti espressi, sebbene spesso la
negoziazione di forma e significato non siano così facilmente separabili in contesti di apprendimento basato sui
contenuti (si veda Lyster 2007: 107).
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Per esempio, gli studenti hanno notato la preferenza per alcuni metodi e tecniche a seconda della
lingua oggetto d’apprendimento.6
L’invito alla riflessione sui propri bisogni di apprendente in relazione alle soluzioni proposte
dall’approccio lessicale è stato costante, ma agli studenti veniva anche chiesto di trasformarsi in
insegnanti e in creatori di attività. Questo atteggiamento ha grandemente favorito la motivazione.
Lo studente è stato gratificato dalla richiesta di mettersi nei panni di un insegnante per elaborare
percorsi, strutturare attività, ecc. domandandosi in continuazione quale fosse il modo migliore
per raggiungere un determinato obiettivo.
Il lavoro a casa è stato parte integrante del percorso: gli studenti hanno compreso fin da subito
che la progressione dei contenuti era strettamente dipendente dal loro stesso lavoro. Quanto al
mio di lavoro, soprattutto nella seconda fase del modulo, è stato per lo più dedicato a fornire
quell’“impalcatura” (Bruner 1986) necessaria a rendere i task assegnati realizzabili dallo
studente senza sforzo eccessivo.
L’orario di lezione è stato integrato da spazi di tutorato durante i quali ho supportato gli studenti
che ne avevano bisogno al fine di completare il compito assegnato, oppure ho riveduto la loro
produzione in lingua inglese allo scopo di individuare punti critici. Questo tipo di supporto era
fornito solo agli studenti che lo richiedevano.
Ho anche fatto ricorso alla posta elettronica per comunicare con gli studenti. I più timidi e i più
insicuri ne hanno approfittato per sottopormi le loro produzioni a distanza e ricevere così le mie
eventuali osservazioni con più serenità. Inoltre, gli studenti potevano chiedere consigli e
chiarimenti durante la settimana di lavoro autonomo. Infine, attraverso il sito docente ho
integrato il materiale, condiviso con il gruppo classe la produzione dei singoli gruppi, offerto
esercitazioni a distanza e un elenco aperto di FAQ.
Il testo di Lewis è stato utilizzato come indicazione della progressione dei contenuti e come
punto di partenza per ciascuna attività, come prima fonte di documentazione.
Ecco un elenco dei principali punti trattati:

- The key principles of the Lexical Approach


- Basic dichotomies and polarities in language teaching
- Aspects of learning
- The nature of meaning
- The nature of lexis
- The role of lexis in language teaching
- The role of grammar
- The role of explanation
- The function of practice
- How to treat errors
- How to treat and develop materials

Tra le attività assegnate agli studenti intorno alle quali è stato organizzato il percorso didattico:

6
Per esempio, gli studenti hanno osservato che il dettato è una tecnica presente nei libri di testo per il francese che
non appariva in quelli portati in classe relativi alla lingua inglese e questa constatazione li ha condotti ad interrogarsi
sulla funzione di questa tecnica didattica in relazione alle caratteristiche di una lingua.
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- Choose one among the nineteen key principles advanced by proponents of communicative
approaches and selected by Lewis as a starting point for the development of the L.A.
Explain to the class its meaning providing examples from real contexts.
- Choose one of the dichotomies and polarities enumerated and explained by Lewis in
Chapter 1 and present it after having researched about it on the net. Add personal
experience as a learner (ex. spoken/written language; vocabulary and grammar; usage
and use; the classroom and the real world, etc.).
- Explain the importance of lexical chunking in text comprehension and/or language
learning by providing contextualised examples of institutionalised expressions,
polywords, collocations, idioms.

Alcuni task consistevano nel creare attività di apprendimento su modello di quelle presenti nei
loro libri di testo:

- Revise how a cloze is built up. Go through your language textbook and identify at least
four cloze tests. Decide whether they are properly built up.
- Devise a learning path consisting of at least four activities for elementary students who
have to learn about very frequent collocations in English.
- Choose one of your language textbooks and classify the grammar explanations you find
in it according to the features a grammar explanation should possess as illustrated by
Lewis in chapter 9. You might draw a scheme which will help you in classifying the
selected items. Then compare your findings with those of your classmates.

Al di là della riflessione metalinguistica, che devo dire è stata costante, la presenza della lingua
inglese è stata gestita in relazione agli obiettivi prefissati. La lingua utilizzata da me in aula è
stata prevalentemente l’inglese. La lezione era aperta da qualche slide (mai più di quattro) che
presentava l’argomento “del giorno” e i punti che avremmo trattato, soprattutto collegandoli alle
conoscenze pregresse e contestualizzandoli. Nel caso in cui percepivo l’esigenza di introdurre
queste slide in italiano (a causa della difficoltà del tema trattato, o della necessità di fornire la
terminologia necessaria in lingua inglese introducendola in italiano, o anche se mi accorgevo di
una particolare stanchezza da parte del gruppo classe) abbandonavo l’inglese. Lo stesso accadeva
alla fine della lezione, quando mi occupavo di coordinare un eventuale piccolo dibattito,
rispondere a domande, tirare le conclusioni.
Al fine di incoraggiare lo studente ad esporsi senza timore di essere giudicato per la propria
competenza linguistica, partecipando attivamente e con serenità e coinvolgimento, ho
provveduto a rassicurare la classe che non avrei in alcun modo valutato la produzione in lingua
inglese nel corso delle lezioni e neppure nella prova finale. Come già detto, mi sono tuttavia
mostrata disponibile a rivedere con lo studente che lo desiderasse i punti critici della sua
produzione scritta e/o orale.
3.1. Valutazione
Uno dei nodi critici delle esperienze CLIL è, come ben si sa, la valutazione (Serragiotto 2007:
31-34). La valutazione finale era data da due momenti di verifica differenti: il primo, in itinere,
riguardava la capacità dello studente di portare a compimento il task assegnato e di mettere a
disposizione della classe i risultati conseguiti per iscritto (relazioni, classificazioni, attività
didattiche, ecc.) o oralmente (lezioni con supporto visivo grazie all’utilizzo del ppt). I lavori
assegnati erano di gruppo ma ciascuno studente doveva dichiararsi responsabile di una parte del
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task. Ricordo che la valutazione non ha riguardato la lingua straniera e sono, quindi, intervenuta
solo nei casi in cui la forma interferiva con la veicolazione del significato (su modello di Mohan
Smith 1993). Devo però dire che si è trattato di un paio di episodi.
La seconda fase della valutazione è consistita in una prova di fine modulo da svolgere in classe.
Questa prova è stata concepita in modo volutamente aperto. Mi sono limitata a fornire un elenco
di attività che gli studenti avevano esaminato e commentato; si richiedeva poi di creare e un
piccolo testo consistente nella trascrizione di una telefonata. L’intento era quello di verificare
che gli studenti avessero imparato a prendere in considerazione una serie di fattori
imprescindibili per una corretta programmazione didattica (di un’unità di apprendimento, di un
modulo, di un corso, ecc), quanto meno l’individuazione del livello di competenza degli
apprendenti e degli obiettivi di apprendimento. Veniva richiesto di costruire un percorso di
apprendimento di una particolare funzione comunicativa e soprattutto del lessico ad essa
collegato:

- Compito di fine modulo -

Here is a list of some of the activities/exercises we illustrated during the module and that help in
putting the LA into practice:
. matching
. cloze
. odd-one-out
. sentence arrangement

Try to devise a learning path whose main objective is to acquire the necessary language items
about telephoning. Start from the text here below and create the activities as requested. The
above list is just a reminder: you can also create different exercises and tasks according to your
students’ learning needs and the objectives you want to reach.

A: Hello?
B: Hello. Can I speak to Chris, please?
A: Who is it?
B: It’s Mark.
A: Hello Mark, Hang on a second, I’ll just get her.
I think she’s gone out. She’ll be back soon.
B: Ok, not to worry. I’ll phone back later.
A: Can I give her a message?
B: Just tell her I called
A: Ok. Bye.
B: Bye

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Il tempo a disposizione dello studente era di quattro ore. Gli studenti avevano a disposizione i
loro libri di testo di lingua straniera, il testo di Lewis, dizionari e grammatiche.
Su un totale di quarantotto prove d’esame, trentanove sono state scritte in inglese, le restanti
nove in italiano.
La forma in lingua straniera in alcuni casi lasciava a desiderare – si trattava dei più ricorrenti
errori di ortografia come la dimenticanza del suffisso ‘s’ ai sostantivi plurali, oppure di registro –
per esempio il ricorso a forme contratte o ancora la presenza di alcuni colloquialismi evitabili,
per esempio l’eccessivo ricorso a ‘for example’ per introdurre esemplificazioni - ma gli studenti
si sono esposti con coraggio e le attività create erano piene di spunti originali.
Interessante è il fatto che una buona porzione di studenti ha proposto testi analoghi al modello
indicato didattizzandoli. Hanno creato attività di cloze, scrumbled sentences, reading
comprehensions. Altri testi proposti riguardavano sempre dialoghi tenuti al telefono, ma in
diversi contesti comunicativi: madre e figlio, il figlio chiede il permesso di rincasare più tardi;
cliente e segretaria, la segretaria prende nota della telefonata, e così via. Inoltre, gli studenti non
hanno mancato di indicare il livello di competenza degli studenti ai quali era destinato il percorso
didattico e gli scopi ulteriori oltre quello dichiarato dalla traccia.
Infine, molto forte l’accento sulla competenza lessicale, come era auspicabile alla fine del
modulo: molte le attività didattiche proposte su frasi fisse (Hello?, Good morning + nome
dell’azienda, who’s calling?, who is it?, Can/may I help you? I am afraid…) espressioni
idiomatiche, costruzioni verbo più preposizione (hang on, be in, go out, speak to) atte a
individuare e fissare il lessico tipico di quel contesto comunicativo.
Inoltre, i compiti scritti in italiano non presentavano meno problemi dal punto di vista formale.
Ciò avvalorerebbe l’ipotesi in base alla quale la competenza linguistica in L2 dipenderebbe
almeno in parte dalla preesistente conoscenza della L1 (Lewis 1993: 54). In poche parole scarsa
competenza nella L1 si traduce in scarsa competenza nella L2, pertanto gli studenti che si
sentivano più insicuri riguardo l’accuratezza formale nella L2 hanno scelto la lingua madre per il
loro elaborato, rivelando nondimeno problemi anche nell’uso di quest’ultima.
3.2. Risultati
Gli studenti desiderano una maggiore esposizione alla lingua straniera e in più esiste una vasta
percentuale di apprendenti che pur essendo consapevoli della necessità di utilizzare la lingua,
sono fortemente penalizzati dall’aspetto psicologico e letteralmente si bloccano all’idea di
esporsi al giudizio del loro insegnante prendendo parte ad una interazione in classe. La loro
partecipazione in classe è stata senza dubbio favorita dalla rassicurazione che la loro competenza
in lingua straniera non sarebbe stata valutata, ma anche dalla circostanza che pur essendo
un’insegnante di lingua inglese non ero il loro insegnante in quel momento. Gli studenti hanno
scelto volontariamente di frequentare questo modulo e di partecipare alle attività, formando
gruppi di quattro – sei componenti, prevedendo l’integrazione degli studenti stranieri e la
minoranza degli studenti iscritti alla laurea specialistica. Il livello di competenza degli studenti
stranieri e di questi ultimi era più alto e, dunque, la loro distribuzione nei gruppi ha permesso un
proficuo confronto, riducendo alcune delle difficoltà dovute all’utilizzo di materiale in lingua
straniera durante lo svolgimento dei task.
Gli studenti hanno inoltre acquisito consapevolezza del loro ruolo di apprendenti all’interno del
processo di apprendimento, della funzione dell’insegnante e dei materiali didattici. Hanno anche
imparato ad individuare gli obiettivi di un determinato percorso di apprendimento, e delle sue
varie componenti e scansioni, capacità utile poiché spesso gli insegnanti non sono espliciti a
riguardo. Essi sono anche divenuti consapevoli dei diversi approcci possibili all’apprendimento
insegnamento delle lingue straniere e della possibilità di attuare strategie diverse in relazione alle
diversità tra le lingue oggetto dell’apprendimento. Hanno imparato a creare materiali didattici,
anche in relazione alla funzione di ciascuna tecnica. Infine, su tutto ha prevalso la presa di
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coscienza della centralità del lessico. Quanto sia primaria la competenza lessicale all’interno di
una più ampia competenza comunicativa è stato a maggior ragione chiaro dopo le attività di
riflessione sul proprio uso della lingua straniera e di revisione di attività ed esercizi ai quali si è
sottoposti per stimolare l’acquisizione di chunks lessicali e per concentrarsi su aree semantiche
particolari.
I risultati ottenuti sono pienamente soddisfacenti per quanto riguarda la motivazione degli
studenti, la loro progressione disciplinare e linguistica. Alla fine del percorso gli studenti si sono
dimostrati in grado di utilizzare la LS con disinvoltura e con appropriatezza terminologica.
Hanno cioè raggiunto proprio uno degli obiettivi dell’approccio lessicale, ovvero l’acquisizione
di una competenza comunicativa fondata più sull’ottenimento dei propri bisogni pragmatici che
sulla correttezza formale. Tra gli obiettivi raggiunti:
- acquisizione della terminologia in LS per leggere/parlare/scrivere nell’ambito della
glottodidattica;
- capacità di utilizzare alcuni generi testuali propri del contesto comunicativo (da insegnanti la
lezione/da studenti il paper);
- capacità di realizzare testi del tipo attività/esercizio linguistico utili per insegnare le lingue in
relazione a bisogni/obiettivi di apprendimento/livello di competenza ecc.;
- acquisizione della consapevolezza di quanto sia forte il rapporto tra abilità
linguistica/competenza concettuale/abilità comunicativa: saper fare in lingua;
- superamento della paura di essere valutati per l’accuratezza formale grazie alla realizzazione
che non è necessario e neppure sufficiente essere corretti per raggiungere il proprio scopo
comunicativo;
- migliore integrazione del gruppo classe in presenza di apprendenti diversi per età, nazionalità,
stili di apprendimento, background culturale, ecc.
- aumento delle competenze informatiche (ricerca e selezione dei materiali via Internet,
creazione di testi in Word, scambio di materiali e informazioni tramite la posta elettronica e il
sito docente, preparazione di presentazioni in PPT e di schemi in Excel).
3.3 Ulteriori considerazioni
Ho presentato questa esperienza didattica con toni che temo abbiano già tradito il mio giudizio
positivo. Ho anche già esposto i risultati positivi ottenuti, ma ora devo aggiungere qualche
ulteriore commento che metta in rilievo quanto va ancora perfezionato quando si è alle prese con
esperimenti didattici di questo tipo. Per esempio, la semplificazione dei contenuti veicolati
spesso registrata in ambiente CLIL. In questo caso più che di semplificazione dei contenuti la
programmazione del modulo è stata senza dubbio condizionata dalla consapevolezza della
“difficoltà” costituita dall’utilizzo di una lingua di apprendimento come lingua veicolare. Come
ho dichiarato a proposito della programmazione del modulo, la scelta dell’argomento è caduta
sull’approccio lessicale perché si tratta di un approccio che suscita grande interesse negli
apprendenti e che è per loro di facile comprensione perché ne colgono immediatamente la
fondatezza anche riflettendo sulla loro stessa esperienza di apprendimento. Anche il libro di testo
è stato scelto perché il contenuto è organizzato secondo una strutturazione lineare e anche
abbastanza ripetitiva, il registro è poco formale e la terminologia specifica è sempre utilizzata in
modo da non impedire la comprensione a chi non è un esperto della materia.
Quindi senza dubbio la lingua veicolare ha influenzato la scelta dell’argomento se non la
presentazione dei materiali e dei concetti.
Inoltre, chiunque si cimenti con questo tipo di didattica sa quanto sia ben più faticosa di una
didattica tradizionale. La quantità di tempo dedicata alla documentazione, alla progettazione, al

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tutorato, al monitoraggio, alla valutazione, alla revisione è in molti casi ben maggiore di quello
richiesto normalmente impiegato per tenere un modulo di 32 ore di lezione.
I riscontri più importanti sono venuti però nei mesi successivi alla conclusione dell’esperienza (il
modulo è stato svolto nel primo semestre, quindi nel corso del secondo semestre dello stesso
anno accademico): gli studenti sono infatti tornati da me numerosi, a volte in piccoli gruppi a
volte individualmente, per sottopormi le loro riflessioni su “avvenimenti” occorsi durante le
lezioni di lingua straniera: riconsiderazioni sulle modalità di apprendimento più appropriate,
commenti positivi o negativi su un comportamento adottato dall’insegnante (quasi sempre un
collaboratore linguistico) o sulle sue modalità d’insegnamento, consigli sul proprio percorso di
studi e sulle strategie da adottare per raggiungere i propri obiettivi occupazionali, e così via.
Credo quindi che il modulo CLIL da me tenuto abbia creato tra me e il gruppo classe una
comunicazione ben superiore a qualsiasi altra esperienza didattica. Certo, alla luce degli scenari
futuri prospettati dal passaggio dell’ennesima riforma proprio mentre scrivo, mi domando quanto
spazio ed energie avremo ancora per continuare ad interrogarci, confrontarci, sperimentare una
sempre migliore formazione dei nostri studenti.

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