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Il modulo di grammatica: riflessioni e proposte

Nicoletta Chiapedi - Paolo Della Putta1

Abstract

Il modulo “La grammatica dell’italiano” del Master in didattica dell’italiano come lingua non
materna dell’Università per Stranieri di Perugia si è rivelato un interessante campo di indagine su
come alcune delle più comuni convinzioni sulla grammatica possano influire negativamente nella
preparazione dei neoinsegnanti di italiano L2/LS.
In questo contributo ci occuperemo di presentare criticamente alcune di queste convinzioni, di
metterle in relazione con i materiali didattici e con gli obiettivi del Master e di avanzare alcune
proposte per migliorare il percorso formativo dei futuri docenti.
Porremo anche l’accento su come l’eredità di un sistema educativo che vede la grammatica come
un fenomeno statico, estetico-stilistico e privo di variabilità sia tutt’oggi deleteria nella didattica
dell’italiano come lingua non materna.

Parole chiave: grammatica italiana, insegnamento grammaticale esplicito e implicito, presentazione


induttiva o deduttiva della grammatica.

1. Introduzione: i corsisti e le loro convinzioni

Il “Master in didattica dell’italiano come lingua non materna” dell’Università per Stranieri di
Perugia propone, come è ovvio aspettarsi, un importante momento di studio e riflessione sulla
grammatica italiana e sul suo insegnamento nel modulo “La grammatica dell’italiano”2, ideato e
scritto da Franca Bosc.
Il momento dedicato alla “grammatica” giunge nella parte finale degli otto mesi di studio a distanza
del Master e dopo che i corsisti3 hanno già affrontato due moduli affini, quali “Problemi di tipologia
linguistica” e “Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo”.
Gli obiettivi principali sono: a) ragionare su quali e quanti significati ha il termine “grammatica”, b)
analizzare alcuni manuali di italiano L2 allo scopo di individuare con quali modalità viene
presentata la grammatica al loro interno, c) presentare alcune tipologie di attività utili per esercitare
la grammatica, d) stimolare la riflessione dei corsisti su alcuni argomenti chiave per la formazione
del docente di lingua. Tra essi ricordiamo: quali aspetti della grammatica insegnare, quale
progressione di argomenti seguire, con quali modalità presentare la grammatica in classe (approccio
induttivo e deduttivo).

1
Gli autori hanno lavorato come tutori del Master in didattica dell’italiano lingua non materna attivato presso
l’Università per Stranieri di Perugia. La redazione dei singoli paragrafi è così suddivisa: Paolo Della Putta (par. 2, 3 e
4), Nicoletta Chiapedi (par. 5); introduzione e conclusioni sono frutto della collaborazione tra i due autori.
2
Per comodità e brevità chiameremo, nel corso di questo contributo, questo modulo semplicemente “Modulo di
grammatica”.
3
In questo contributo useremo con due significati distinti le seguenti parole: a) i corsisti sono coloro che seguono il
Master e a cui gli interventi dei tutori sono rivolti; b) gli studenti (o apprendenti o discenti) sono coloro che studiano
l’italiano come lingua non materna e a cui un efficace insegnamento della grammatica è rivolto.
1
Come in tutti i moduli precedenti, il lavoro si è svolto nella piattaforma secondo diverse modalità:
lo studio individuale e la lettura dei contenuti presenti on-line, il confronto tra corsisti e tutor
all’interno del forum collaborativo e lo svolgimento di attività e verifiche4.
Il modulo di grammatica è sentito dalla maggior parte dei corsisti come un passo fondamentale ed
essenziale da compiere, non senza una certa difficoltà, verso la conclusione del master.
Sia i partecipanti a digiuno di esperienza di insegnamento, sia coloro che hanno già maturato
parecchi anni in classe si aspettano molto da questo modulo, probabilmente più di quanto non
facciano con altre “materie” che sono obbligati a studiare.
Questa tensione e questa aspettativa dipendono dal fatto che tutti noi abbiamo avuto a che fare,
nella nostra esperienza formativa, con il concetto di grammatica; spesso questo coincide,
nell’opinione più superficiale e condivisa, con “le buone regole della lingua” che dovrebbero
permettere agli studenti di parlarla correttamente.
L’esperienza pregressa fa sì che i corsisti portino con sé, nel loro percorso di studi, una serie di
convinzioni sulla grammatica, sul suo insegnamento e sul suo apprendimento che impediscono una
corretta e chiara interpretazione degli obiettivi e dei contenuti del modulo.
Ciò rende il lavoro dei tutori particolarmente stimolante: non solo vogliamo, di comune concerno
con le finalità didattiche del master, che i corsisti acquisiscano nozioni e competenze per il loro
futuro lavoro di insegnanti ma, e forse soprattutto, vogliamo spingerli ad attuare una riflessione
critica di quei mezzi, di quelle convinzioni e di quelle pratiche didattiche date loro sia dal master
stesso sia dalle loro esperienze pregresse. In questo senso ci sembra di seguire molto da vicino
quanto scritto da Ciliberti:

“la riflessione […] riveste un ruolo cruciale nei modelli di formazione degli insegnanti. Con la
riflessione si individuano connessioni e legami tra aspetti e momenti di un’esperienza e si collegano
le cause e le origini delle azioni agli esiti delle stesse. […] Formare professionalmente gli
insegnanti significherà dunque aiutarli a distanziarsi dalle proprie pratiche e a cercare di interpretare
quello che succede in classe” (Ciliberti 2003: 14-15).

In questo contributo presenteremo alcune di queste convinzioni e pratiche pregresse (che per
comodità chiameremo “idee”), le rapporteremo con le finalità formative che il modulo si prefigge e,
in conclusione, proporremo alcuni miglioramenti che potrebbero, in futuro, aiutare maggiormente i
corsisti nel loro studio.
Speriamo, inoltre, di poter aggiungere un piccolo tassello a quegli studi che si occupano di
pedagogia linguistica: crediamo che molti degli argomenti toccati in questo articolo possano essere
estesi anche al di fuori del “Master in didattica dell’italiano come lingua non materna” della
Stranieri di Perugia e, probabilmente, gettare un’ulteriore luce su alcuni dei più comuni stereotipi
sulla grammatica, stereotipi purtroppo ancora comuni a molti insegnanti di lingue.

2. La grammatica: due visioni opposte

Lo sfondo concettuale di tutte le discussioni e attività in questo modulo è il seguente: da una parte si
pongono coloro che vedono la grammatica come un sistema di regole rigido e fisso, fondamentale
nel progresso di apprendimento di una lingua e più importante di altre sue componenti quali il
lessico, la fonetica etc. Per costoro apprendere una lingua straniera significa, essenzialmente,
padroneggiarne la morfosintassi. Dall’altro lato, e in opposizione a questo primo gruppo, si situano
coloro che considerano la grammatica un elemento di scarsa importanza perché ritengono che,
anche senza conoscerla “bene”, si possa parlare facendosi capire lo stesso. Per questo secondo
gruppo apprendere una lingua straniera significa essenzialmente riuscire nell’intento comunicativo,
anche se in modo imperfetto.

4
Le attività e le verifiche del modulo sono state create con la finalità di: 1) osservare e analizzare alcune attività di
classe; 2) analizzare potenziali materiali didattici; 3) creare materiali didattici; 4) verificare competenze teoriche.
Da qui nasce una lunga serie di considerazioni sulla propria attività di classe, sia essa attiva (attuata
nel lavoro di insegnante), sia essa passiva (subita negli anni di studio):

“io in classe esercizi di morfologia ne faccio eccome!”


“non c’è niente da fare, io i verbi francesi li ho imparati soltanto studiando”
“non importa fare grammatica, verrà da sé: più importante è la comunicazione”5

Queste e molte altre testimonianze dimostrano che coesistono due grossolani modi di considerare
l’attività grammaticale di classe: da una parte un approccio formalistico estremo, in cui i corsisti
sostengono l’importanza di un insegnamento grammaticale “alto, diretto e rigido” (cfr. Balboni
2008: 237-238); dall’altra un approccio comunicativo “forte”, in cui la comunicazione sembra
essere l’unica componente fondante di un corso di lingua.
Sono rari i casi in cui i corsisti si decidono per una posizione intermedia a queste, nonostante la
ricerca glottodidattica e il modulo stesso li spinga verso questa direzione: la grammatica e la
riflessione su di essa devono trovare posto nelle lezioni di lingua, ma devono sempre essere
strumentali alla comunicazione e rimanere strettamente legate ad essa (Rizzardi 1997, cap. 4).
La difficoltà maggiore incontrata dai tutori è quella di riportare la discussione, sia nei forum sia
nelle attività, a una più moderna considerazione del “fare grammatica”, spingendo i corsisti a
rispondere e a riflettere alla seguente domanda: grammatica sì ma quando, come e quanta?, ovvero
rendendoli partecipi di un ben più ampio confronto che vede il ritorno, dopo l’ostracismo in auge
soprattutto negli anni ottanta, della grammatica nelle lezioni di lingua senza che queste perdano la
loro componente comunicativa, interattiva e dinamica (per un’ampia discussione su questo tema si
veda Pallotti 1998, cap. 6; Diadori, Palermo, Troncarelli 2009, cap. 6).
Abbiamo raggruppato per affinità tematica le “idee” sulla grammatica dei corsisti in tre macro punti
che andiamo ora a presentare e a rapportare con i contenuti e le finalità del modulo.

3. La grammatica come fenomeno estetico

La prima “idea” che riportiamo riguarda un modo che abbiamo definito “estetico” di considerare e
di lavorare con la grammatica.
Molte delle discussioni dei corsisti vertono sul peso da dare nelle lezioni alla presentazione di
alcune strutture morfosintattiche dell’italiano; si tratta di alcuni dei più comuni tratti linguistici
attorno a cui ruota la discussione teorica sulle due più comuni e contigue varietà: lo standard e il
neo-standard. La prima varietà, tradizionalmente descritta e prescritta dalle grammatiche normative
e di uso diffuso nelle classi colte, in situazioni di alta formalità e nell’italiano letterario, è stata vista
come unico modello per decenni (e forse ancor oggi) nella scuola primaria e secondaria italiana
(cfr. Lo Duca 2004, cap. 4 per ampia discussione). La seconda varietà, l’italiano “dell’uso medio”, è
quanto di più facile si possa incontrare in una conversazione di media o bassa formalità in ogni
parte di Italia, essendo essa usata dalla maggior parte degli italofoni come lingua comune (per
discussioni e più ampie definizioni, evidentemente non pertinenti a questo contributo, cfr. Berruto
1987 e Sabatini 1990).
I corsisti si dimostrano estremamente sensibili alla tradizionale “questione della lingua”, ovvero
discutono con piacere e dedizione su quale modello di lingua portare in classe.
La maggior parte di loro è favorevole a un purismo estremo (Andorno, Bosc, Ribotta 1999: 189),
perseguendo con convinzione un ideale, di certo a tratti astratto, di una lingua “alta” e non
“contaminata”.
Altri, seppur in minoranza, affermano che non esiste un ideale “alto” di lingua da insegnare ma che
è invece importante, da subito, esporre gli studenti a un modello linguistico “reale”, quanto più
veritiero e aderente all’uso medio e quotidiano dell’italiano6.

5
Le testimonianze citate in questo articolo sono state raccolte all’interno del forum di discussione del modulo di
grammatica (edizione 2010/2011) del Master.
3
Alcuni dei tratti tipici e molto discussi nel modulo che distinguono l’italiano standard dal
neostandard sono i seguenti (per un elenco completo rimandiamo a Sabatini 1985 e a Sabatini 1990
per una ulteriore revisione):

- che polivalente (dal giorno che ti ho visto…)


- verbi in forma pronominale per indicare partecipazione affettiva (mi sono mangiato una pizza)
- frase scissa (è lei che mi ha chiamato)
- uso dell’indicativo al posto del congiuntivo in alcune subordinate e nel periodo ipotetico
dell’irrealtà (credo che Marco ha ragione; se lavoravi, era meglio)

Spesso le discussioni nei forum sulla necessità di insegnare, esercitare e correggere questi tratti del
neostandard durante una lezione di lingua si sono dimostrare decisamente sterili: da un lato i
“puristi”, dall’altro i (pochi) “modernisti” a tirare continuamente la fune senza centrare
spontaneamente l’obiettivo: sicuramente è giusto chiedersi se presentare alcuni di questi tratti, ma
non giungeremo mai a una risposta esaustiva se non ci porremo anche altre domande, ovvero il
“come”, il “quando” e il “perché” presenteremo e lavoreremo su alcune di queste strutture.
Un mostro sacro è, come è facile immaginare, il congiuntivo; l’italiano neostandard prevede
l’erosione del congiuntivo da parte dell’indicativo soprattutto in contesti comunicativi piuttosto
informali. Alcuni interventi dei corsisti sono esemplificativi di questo approccio “estetico”
imperante nel modulo:

“…so di essere una maestra bacchettona ma… non mi toccate il congiuntivo! Un mio amico
straniero dopo già poco tempo lo utilizzava squisitamente, e le ragazze italiane lo apprezzavano
anche per questo!”

“io non penso che il congiuntivo sia importante dato che nella varietà neostandard sta decadendo.
Lascerei perdere il congiuntivo e mi focalizzerei su altre cose, in classe: presenterei un italiano più
in linea con i tempi”

Gli esempi sono chiari e mettono in luce il fatto che i corsisti fanno fatica ad entrare in una
prospettiva didattica: non basta prendere una posizione (estrema) nell’annosa questione della lingua
ma pare decisamente necessario entrare in un’ottica che coincide solo parzialmente con il ragionare
su quale sia il modello di italiano che vogliamo dare agli studenti.
A questo approccio estetico e intellettualistico “diviso” in due nette fazioni, dobbiamo opporre un
approccio funzionale e cognitivo che metta a confronto le convinzioni dei corsisti con le necessità, i
limiti e le tempistiche di apprendimento dei loro studenti.
In questo senso ci è sempre sembrato lecito e necessario ribattere con le seguenti osservazioni:
a) la discussione binaria congiuntivo sì/no non ci aiuta molto: la realtà ci dice che il
congiuntivo ha sicuramente perso peso nell’italiano neostandard, ma sappiamo anche che
non è scomparso: gli studenti avranno molte occasioni quantomeno di imbattersi in un
congiuntivo leggendo un testo scritto, parlando in situazioni diafasicamente più alte etc.
Conviene dunque accettarne l’esistenza ma ridurne l’importanza.
b) come “facciamo” il congiuntivo: in modo deduttivo, induttivo, lo mostreremo nell’input ma
lo eserciteremo solo più tardi etc. Insomma, quali strategie glottodidattiche useremo per
affrontare questo fenomeno linguistico?
c) quando affronteremo il congiuntivo in classe? Sappiamo ormai che la graduazione attenta
degli argomenti grammaticali in un sillabo è un elemento fondamentale per favorire il loro
apprendimento e la loro acquisizione. Senza voler affrontare esaustivamente nel modulo
argomenti più tecnici come la Processability Theory (Bettoni 2008: 60) o studi di linguistica

6
Le proposte, qui, sono state delle più varie: dall’insegnare parole gergali sin dai primissimi livelli di competenza
perché “tanto le sentono subito fuori dalla classe, sono studenti erasmus” all’insistere su forme marcate diatopicamente,
anche queste considerate di primaria importanza.
acquisizionale che hanno dimostrato l’esistenza di un ordine più naturale di acquisizione
(Giacalone Ramat 2007: 21-30), abbiamo ritenuto utile spingere i corsisti a riflettere sulla
questione “timing” così da renderli sensibili al fatto che vi è uno sviluppo naturale della
grammatica nella mente degli apprendenti che può essere riconosciuto e che va rispettato.
d) quanto congiuntivo ci aspettiamo dagli studenti? Anche qui, collegandoci al punto c,
abbiamo cercato di spingere i corsisti a riflettere su quanto sia lecito pretendere dagli
apprendenti: una volta che avremo presentato loro una nuova struttura dovremo rispettare un
certo periodo in cui questa struttura farà fatica a emergere nelle produzioni dei discenti, e
questo indipendentemente dalla sua importanza stilistica o estetica.
Abbiamo, in conclusione, cercato di aiutare i corsisti a passare da una concezione intellettualistica,
estetica e stilistica della grammatica, il cosiddetto “parlar bene”, per portarli verso una visione più
funzionale e cognitiva, ovvero più “interna” all’apprendente, in cui la grammatica è anche (e
soprattutto) questione di possibilità, capacità, necessità, da affrontare con un’attenta riflessione non
solo sul sistema linguistico ma anche sulla sua relazione con le necessità comunicative e con i limiti
cognitivi degli apprendenti.

4. La grammatica come monolite non scalfibile

Un’altra convinzione molto diffusa fra i corsisti è che la grammatica sia un sistema di regole chiuso,
in cui il parlante non ha possibilità di scelta. Una scarsa sensibilità alla variabilità - uno dei
fondamenti del funzionamento delle “regole” del linguaggio (Simone 1990: 77-78) - preclude, a chi
si avvicina all’insegnamento, un’adeguata riflessione sulla necessità di aiutare i parlanti non madre
lingua a modulare i propri enunciati in base al contesto in cui si trovano ad agire linguisticamente.
L’idea che sembra dominare le discussioni nei forum quando si tocca questo argomento è quella
formale, ovvero che la lingua è un sistema di strutture rigide che si impongono al parlante:

“…per me la grammatica è una sola. Non posso farci nulla, è più forte di me…”

È raro, se non pressoché impossibile, scorgere un approccio funzionale (la lingua offre delle scelte
al parlante che possono adattarsi ai suoi scopi) nella visione dei corsisti. Eppure sappiamo che,
citando Prandi (2006: 5):

“nella lingua il parlante trova regole alle quali deve sottomettersi e repertori di risorse pronte a
venire incontro ai suoi progetti”

L’interfaccia fra grammatica e pragmatica è un argomento molto discusso anche in sede teorica e
sperimentale (cfr. Vedder 2005; Nuzzo 2009). Uno degli interessi dei ricercatori è di capire se la
competenza grammaticale e quella pragmatica vadano di pari passo o se una ruba spazio e
importanza all’altra. Ciò di cui possiamo essere sicuri, in chiave didattica, è l’importanza di
rendere coscienti gli studenti della necessità di una scelta “grammaticale” (ad esempio l’alternanza
fra condizionale e imperativo per modulare la forza illocutiva di un enunciato) legata a un
determinato contesto comunicativo.
L’idea forte che caratterizza buona parte delle riflessioni dei corsisti su questo tema è che la
grammatica sia fondamentalmente un fenomeno mentale, intangibile, da ricercare e studiare non
(anche) nelle azioni linguistiche dei parlanti ma, piuttosto, in un libro di taglio prescrittivo o, tutt’al
più, da qualche parte nella mente dell’essere umano. Questa prospettiva è debitrice, molto
probabilmente, di anni di insegnamento scolastico in cui l’approccio formale allo studio della
grammatica ha avuto il sopravvento su qualsiasi altra riflessione più funzionale e pragmatica.
Un punto cruciale su cui ci siamo trovati a discutere spesso con i corsisti è quello della
presentazione degli argomenti grammaticali. L’idea di fondo che accomuna le discussioni su questo
punto è che la morfosintassi italiana è costituita da entità discrete ordinate, nella struttura del
sillabo, dalla più semplice alla più complessa (si veda Rastelli 2009: 75 per una discussione a

5
riguardo); in questo modo la grammatica appare come “atomizzata” e i suoi elementi assomigliano
molto a monadi senza contatto.
È stato particolarmente proficuo far ragionare i corsisti sul fatto che, invece, gli elementi
grammaticali si possono combinare per far sì che gli studenti siano consci del fatto che in ogni
momento del loro agire linguistico si troveranno davanti a una schiera di scelte.
L’alternanza di indicativo, condizionale e imperativo è stato uno dei tanti esempi portati: non
possiamo escludere dalle nostre lezioni una riflessione sulla forza illocutiva di tre frasi simili ma
che presentano strutture diverse:

1. Franca, mangia la pasta! / Franca, devi mangiare la pasta! / Franca, dovresti mangiare la
pasta.

Ragionare su questo aspetto e, quindi, far ipotizzare ai corsisti esercizi e attività di grammatica dove
il focus non fosse solo sulla “forma” delle strutture ma anche sulla loro alternanza in diversi contesti
e sul loro valore pragmatico è stato un passo importante: in questo modo crediamo di aver favorito
una maggiore consapevolezza dell’importanza della variabilità interna al sistema di regole e di
come questa debba essere portata nelle classi di lingua.

5. L’insegnamento della grammatica

La terza idea problematica che vogliamo affrontare riguarda l’approccio all’insegnamento della
grammatica. Gli obiettivi del modulo a questo riguardo sono due: il primo è quello di ragionare su
quali tratti della lingua debbano essere oggetto di riflessione esplicita in classe e con quale sequenza
tali argomenti dovrebbero essere presentati (per un approfondimento relativamente a questi temi si
vedano Andorno 2008: 123-142, Bettoni 2008: 55-68); nei contenuti proposti agli studenti si
sottolinea come non tutta la grammatica vada insegnata e come non sia possibile esaurire la
spiegazione di un argomento grammaticale in poche ore di lezione. L’altro scopo del modulo è
quello di rispondere alla domanda “come possiamo insegnare la grammatica in classe?”: è
preferibile partire dalla presentazione della regola e arrivare alla sua applicazione attraverso una
serie di esercizi di mirati (approccio deduttivo) o partire da un input linguistico (un testo scritto, una
registrazione audio) e chiedere agli studenti di riflettere attivamente sulla lingua e formulare ipotesi
allo scopo di rintracciare regolarità che saranno poi sistematizzate dall’insegnante ed esercitate
attraverso attività mirate (Andorno, Bosc, Ribotta 2003: 46)?
Il compito, talvolta arduo, dei tutori è stato quello di evidenziare come non vi sia un unico modo di
fare grammatica e di chiarire il significato di alcuni concetti-chiave (insegnamento
implicito/esplicito, approccio induttivo e deduttivo) che hanno causato non pochi problemi
all’interno delle discussioni dei forum.
Tra i punti problematici più evidenti abbiamo notato:
a) la difficoltà nel definire chiaramente alcuni concetti: molti corsisti, infatti, utilizzavano i termini
in modo improprio, confondendo insegnamento esplicito e approccio deduttivo e il non fare
grammatica con l’approccio induttivo. All’interno dei forum l’intervento dei tutori ha dunque
mirato a chiarire questo equivoco di fondo, sottolineando come l’approccio induttivo e deduttivo
siano entrambi metodi espliciti di insegnamento: in entrambi i casi “si fa” grammatica, è però
diverso il processo attraverso cui si giunge alla sistematizzazione della regola (Balboni 2008: 135-
136).
b) La necessità, da parte dei tutori, di stimolare una riflessione sul fatto che non tutta la grammatica
deve essere necessariamente insegnata in modo esplicito. Per la maggior parte dei corsisti, infatti,
qualsiasi elemento morfosintattico, per essere acquisito, deve essere necessariamente spiegato
dall’insegnante attraverso presentazioni esplicite delle regole il più possibile esaurienti. Si osservi
infatti cosa dice a tale proposito una corsista riflettendo sull’insegnamento dell’ordine dei
costituenti nella frase:
“... credo che questo argomento vada presentato in maniera esplicita, per evitare di creare
confusione negli studenti”

Come si può notare da questa affermazione, spiegare la grammatica in modo esplicito equivale a
renderla chiara e, per questo, tale metodo è da privilegiare soprattutto nel caso in cui si debbano
affrontare argomenti ritenuti particolarmente complessi. A noi pare che manchi, nelle riflessioni dei
corsisti, l’idea che non tutti gli aspetti della lingua devono essere insegnanti nello stesso modo e che
non sia presente, nei loro ragionamenti, il concetto di gradualità: non possiamo insegnare “tutto e
subito” ma, al contrario, lavorare secondo un percorso a spirale (Andorno 2006: 100-102) che via
via riprenda e ampli gli argomenti trattati. Soprattutto, non vi è nella maggior parte dei corsisti la
consapevolezza che ciò che insegniamo non sarà immediatamente acquisito e riutilizzato dai nostri
studenti; ben lo dimostra il fatto che alcuni aspetti della lingua, come ad esempio l’accordo di
genere e numero, siano tra i tratti che tardano di più ad essere dominati dagli apprendenti,
nonostante vengano affrontati quasi subito all’interno del percorso didattico (Della Putta, Visigalli
2010: 23). Viceversa, è possibile che alcuni aspetti della lingua vengano appresi implicitamente,
che “l’interlingua si evolva attraverso l’assorbimento, la replicazione e l’ampliamento di routine
linguistiche ricavate dagli apprendenti per via induttiva solo attraverso l’esposizione all’input, senza
bisogno che l’insegnante smonti, analizzi e spieghi le regole che stanno dietro le formule quando un
apprendente non è ancora pronto” (Rastelli 2009: 107-108). Per questo, è stata più volte sottolineata
la necessità di lavorare sulle formule a più alta frequenza, sul loro uso ed esercizio in contesto, allo
scopo di creare le condizioni per cui alcuni tratti morfosintattici vengano notati e acquisiti
implicitamente (Rastelli 2009: 59-60). Da tutto ciò consegue che non possiamo valutare la “bontà”
dell’insegnamento grammaticale solo in base alla chiarezza con cui un insegnante presenta la regola
alla lavagna; al contrario sono molti altri i fattori che, come docenti, dobbiamo prendere in
considerazione se vogliamo rendere il nostro comportamento in classe il più efficace possibile. Tra
di essi ricordiamo: il tipo di feedback più o meno esplicito, il rendere evidente alcuni tratti della
lingua attraverso l’innalzamento del tono della voce (auditory recast) o il trattamento grafico delle
forme (visual enhanced input), la scelta delle attività che si propongono in classe etc. (Rastelli
2009, cap. 3).
c) Il manifestarsi di un atteggiamento estremamente scettico nei confronti dell’approccio induttivo,
da molti ritenuto “rischioso” e poco adatto a classi di apprendenti adulti:

“ho poco tempo quindi preferisco utilizzare un metodo deduttivo”


“ho paura che gli studenti non ce la facciano a seguire un percorso di tipo induttivo”
“la mia classe è composta da adulti, quindi non posso proporre loro di lavorare induttivamente”.

Sono affermazioni che riflettono il pensiero di molti all’interno del forum di apprendimento
collaborativo. Questo atteggiamento di chiusura, che si può solo in parte giustificare con il fatto che
la pratica induttiva è quasi del tutto assente nelle classi di lingua a scuola ed è dunque lontana
dall’esperienza di molti futuri docenti, ha colpito molto i tutori. Si è dunque molto insistito sulla
necessità di essere consapevoli dei vantaggi e degli svantaggi di entrambi gli approcci,
sottolineando come, pur mancando al momento attuale una vera e propria sperimentazione che
permetta di giungere a conclusioni circa la maggiore o minore efficacia di uno dei due metodi
rispetto ad un altro, la glottodidattica moderna abbia in più occasioni evidenziato i vantaggi
dell’approccio induttivo, che coinvolge attivamente lo studente nella scoperta della lingua,
promuove la motivazione e, soprattutto, rispetta due principi cardine della neurolinguistica: la
bimodalità e la direzionalità (Balboni 2008: 102-105). Non possiamo accettare che un futuro
docente lo rifiuti a priori senza averlo mai messo in pratica, soprattutto se si giustifica la scelta
sostenendo che in tal modo la grammatica non viene fatta.
d) L’idea che le categorie grammaticali utilizzate nella tradizione scolastica italiana siano universali
in tutte le lingue e che si possa dunque fare loro ricorso anche nei primissimi livelli e con qualsiasi

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tipologia di apprendente. Si osservi ciò che afferma un corsista sempre a proposito
dell’insegnamento esplicito dell’ordine delle parole nella frase:

“...mi rendo perfettamente conto che per arrivare a affrontare l’argomento in maniera esplicita gli
studenti devono avere ben chiara la distinzione tra soggetto/oggetto/verbo/preposizione etc. e ciò
presuppone un certo grado di maturità cognitiva. Per questo motivo per studenti adulti (dando per
acquisita la capacità di distinguere e individuare soggetto/verbo/oggetto/preposizioni, etc.) ad un
livello A1 presenterei l’argomento nel seguente modo…”

Da questa affermazione, che ben sintetizza il concetto espresso in numerosi altri interventi, si nota
come, per chi non ha mai insegnato, appaia naturale che nei primissimi giorni di lezione si possano
affrontare riflessioni esplicite sulla lingua attraverso il ricorso alla metalingua e all’utilizzo di
categorie come soggetto, verbo, oggetto, preposizioni che, secondo la maggior parte dei corsisti,
dovrebbero far parte del bagaglio culturale di ogni studente con un certo livello di istruzione. È
stato necessario sottolineare che queste categorie non sono universali e non sempre, per uno
studente, è possibile individuare all’interno di una frase soggetto/verbo/oggetto/preposizione. Tale
difficoltà potrebbe essere dovuta sia alla scarsa dimestichezza dello studente con la riflessione sulla
lingua nella sua L1, sia al fatto che nella sua L1 queste etichette sono talvolta tutt’altro che
trasparenti: si pensi, ad esempio, al cinese, lingua in cui quasi tutti i morfi possono essere utilizzati
potenzialmente come verbi, nomi, come aggettivi e solo la loro posizione sintattica permette di
assegnare la parola a una data classe grammaticale (Banfi, Biasco, Wen 2003: 243):

“Mingtian wo gongzuo: domani lavoro”


(mingtian=domani wo=io gongzuo=lavorare)

“Wode gongzuo hen youyisi : Il mio lavoro è interessante


(wode=mio gongzuo=lavoro hen = molto youyisi=interessante)

Appare perciò chiaro come sia più che mai opportuno rafforzare la competenza tipologica acquisita
nel modulo di tipologia linguistica: quando devono ragionare concretamente sulla realtà della classe
i corsisti sembrano infatti fare fatica, qui come in altre occasioni, a trovare un’applicazione pratica
alle nozioni imparate in precedenza.

6. Conclusioni

L’idea di grammatica che i corsisti dimostrano di avere è decisamente antiquata e non consona né ai
loro scopi né a quelli del modulo.
Da un lato manca una vera e propria conoscenza dichiarativa della morfosintassi italiana: in molti
casi i ricordi sono sbiaditi e lontani nel tempo e i “motivi profondi” delle regole sono spesso
sconosciuti. È sicuramente importante intervenire in questo senso, proponendo un modulo di
ripasso e revisione della grammatica italiana data la necessaria competenza di un insegnante di
lingua in questo campo (Andorno 2008: 137).
Da un altro lato i modelli con cui la grammatica è stata presentata ai corsisti nei loro anni di
formazione si dimostrano decisamente fuorvianti in quanto è proprio grazie a questi modelli e alle
esperienze pregresse che le “idee” sopra presentate si sviluppano e si rafforzano.
Questi modelli vengono difficilmente criticati anche da insegnanti con una certa esperienza
didattica: l’eredità degli approcci formalistici e grammatico-traduttivi è ancora estremamente
presente nella scuola e nell’università italiana (Balboni 2008: 237) e questo fa sì che l’idea del far
grammatica sia essenzialmente statica, necessariamente esplicita, legata più alla norma che all’uso e
così via. Le eccezioni sono poche e, quando ci sono, prendono una posizione che si colloca ad un
estremo opposto, negando l’importanza dell’esercitare la morfosintassi.
Un’altra macroscopica mancanza è la “classe di lingua”: ci è sembrato ancora troppo difficile per i
corsisti immaginare e realizzare veramente che cosa è la grammatica in aula. La poca esperienza o
la fossilizzazione di pratiche non adeguate fanno sì che non si riesca a sviluppare un’idea critica
dell’insegnamento della morfosintassi in classe, un’idea che sia ragionata e che tenga conto di cosa
veramente sono, sanno fare e possono sapere gli studenti.
Lo studio pregresso dei moduli di tipologia linguistica e di sociolinguistica dell’italiano
contemporaneo, benché affini in alcuni aspetti teorici, non sembra aiutare molto i corsisti che
dimostrano grosse difficoltà applicative.
In conclusione riteniamo davvero importante favorire la riflessione sull’insegnamento della
grammatica non solo con mezzi “teorici” ma anche con strumenti più “pratici”. La realtà della
classe è qualcosa che può risultare sfuggente se presentata solamente con la parola scritta; alla
stessa stregua è il “fare” grammatica in classe, soprattutto se le convinzioni concettuali sono quelle
da noi descritte e criticate.
I corsisti avrebbero bisogno, a nostro parere, di osservare un po’ più da vicino l’esperienza del fare
grammatica in classe.
Il modulo presenta una sola sequenza video su un’attività di classe; questo video è, però, presentato
in un’attività con consegna chiusa e non è, quindi, materiale su cui i corsisti possano riflettere.
Si potrebbero proporre più sequenze video, anche brevi, in cui si possa prendere davvero contatto
con ciò che è possibile fare in aula. Sarebbe anche opportuno presentare più esempi tratti da libri di
testo realmente in commercio, in modo da poter far lavorare i corsisti su di essi, chiedendo loro di
analizzare, ad esempio, i diversi sillabi (nella loro componente grammaticale), oppure le diverse
attività di esercitazione grammaticale presentate dai testi.

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