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L'autrice ringrazia della concessione dei diritti di riproduzione gli autori e
le case editrici che hanno risposto positivamente. Resta invece a disposi-
zione degli aventi diritto con cui non è riuscita a comunicare.
Elena Maria Duso
www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it
ISBN 978–88–548–1393–9
p. 9 PRESENTAZIONE
p. 179 Bibliografia
Presentazione
Questo libro nasce dal tentativo di indagare, analizzando saggi teorici
e strumenti didattici, e confrontandosi con l’esperienza in classe, quali
sono le specificità dell’insegnamento della grammatica di una lingua
seconda, con particolare riguardo all’italiano. Mentre per lingue come
l’inglese o lo spagnolo la bibliografia sull’insegnamento della
grammatica è infatti ricchissima, per l’italiano essa appare ancora
abbastanza scarna, e, soprattutto, frammentata. Contributi
estremamente significativi non mancano, ma essi sono spesso parziali,
datati e di difficile reperimento o ancora non specificamente
indirizzati all’italiano L2.1
Il titolo Dalla teoria alla pratica: la grammatica nella classe di
italiano L2 fa riferimento alla struttura del volume, organizzato come
un percorso in cinque capitoli, che introducono gradualmente il lettore
alla pratica dell’insegnamento, dopo averlo fatto riflettere
sull’importanza della riflessione metalinguistica attraverso una sintesi
degli studi di ricerca teorica. Se infatti il primo capitolo vaglia studi
sperimentali condotti in ambito anglosassone ed italiano
sull’opportunità di introdurre all’interno di un approccio comunicativo
momenti di riflessione sulla lingua, i capitoli successivi si soffermano
sul come insegnare la grammatica dell’italiano e sugli strumenti utili
per farlo.
Il secondo capitolo in particolare chiarisce il significato che ha
assunto ai giorni nostri il termine “grammatica”, e si incentra sui
criteri di selezione e messa in sequenza degli argomenti da insegnare.
Il terzo capitolo presenta invece un breve excursus sulla ricerca
nell’ambito dell’insegnamento della grammatica dagli ultimi vent’anni
del secolo scorso ad oggi, a partire da Krashen e dai metodi
comunicativi. Vengono presentate dunque in italiano proposte
metodologiche (Consciousness Raising, Input Ehancement, ecc.)
sviluppatesi per l’insegnamento di lingue seconde come l’inglese e lo
spagnolo, che a differenza dell’italiano, contano su di una notevole
1
Cito in particolare il mio debito con Prat Zagrebelski 1985, Ciliberti 1991, Giunchi 2000
e 2002, Andorno, Bosc e Ribotta 2003.
9
10 Presentazione
Ringraziamenti
Questo libro deve moltissimo all’esperienza di insegnamento a stranieri, in
particolare studenti appartenenti al programma di scambio Erasmus presso il Centro
Linguistico di Ateneo dell’Università di Padova e lavoratori immigrati presso
l’Associazione Unica Terra di Padova, e dai laboratori rivolti agli insegnanti (o
aspiranti tali) del Master di Italiano L2 dell’Università di Padova. Molte delle idee
sono inoltre scaturite dalla riflessione e dalla sperimentazione che hanno
accompagnato la stesura del Sillabo di italiano come L2 recentemente edito da Lo
Duca (2006): dichiaro quindi il mio debito con i colleghi CEL e Tecnici linguistici
dell’Università di Padova (Cristina Capuzzo, Elena Folcato, Ivana Fratter, Luisa
Marigo, Luigi Pescina, Benedetta Zatti) e soprattutto con Maria G. Lo Duca, la
nostra guida, alla quale devo anche l’incoraggiamento a scrivere di questo
2
Il costante confronto con la bibliografia in lingua inglese comporta la necessità di
adattare un linguaggio tecnico che spesso non ha riscontri diretti in italiano. La nostra scelta è
stata quella di lasciare in inglese termini entrati nella glottodidattica, come input, output, drill;
di tradurre invece – nel modo più letterale possibile – la terminologia più specifica, come ad
esempio i nomi dei diversi approcci (Focus on form “focalizzazione sulla forma”) e le
citazioni bibliografiche, pur lasciando anche, magari in nota, il corrispettivo in inglese.
Particolari problemi ha posto il termine practice, che non ha une esatto corrispettivo in
italiano, ma che forse dovrebbe tradursi con una perifrasi del tipo “esercitazione pratica”, o
simili. In questo caso specifico, abbiamo scelto di adottare il calco “pratica”, che assume
quindi precisa connotazione tecnica.
Presentazione 11
argomento ed il continuo sostegno. Ringrazio poi della lettura e dei commenti Maria
P. Lo Duca e Laura Vanelli. La responsabilità del contenuto resta comunque mia.
Capitolo 1
13
14 Capitolo 1
3
«The entire stage of the theatre corresponds to working memory, the immediate memory
system in which we talk to ourselves, visualize place and people, and plan actions. In the
working theatre, focal consciousness acts as a bright spot on the stage. Conscious events hang
around, monopolizing time in the limelight. The bright spot is further surrounded by a fringe
[…] or penumbra […] of associated, vaguely conscious events. Information from the bright
spot is globally distributed to the vast audience of all of the unconscious modules we use to
adapt to the world. A theatre combines very limited events taking place on the stage with a
vast audience, just as consciousness involves limited information that creates access to a vast
number of unconscious sources of knowledge. Consciousness is the publicity organ of the
brain. It is a facility for accessing, disseminating, and exchanging information and for exercis-
ing global coordination and control. Consciousness is the interface».
4
«Paying attention – becoming conscious of some material – seem to be the sovereign
remedy for learning anything, applicable to many very different kinds of information. It is the
universal solvent of the mind».
5
Utilizzeremo spesso l’etichetta già ampiamente in uso a partire dai programmi della
scuola media italiana del 1979, di “riflessione metalinguistica” o di “riflessione sulla lingua”
che − come sottolinea Prat Zagrebelskj (1985: 64 n. 5) − ha il pregio di sottolineare «sia il
16 Capitolo 1
ruolo attivo e cosciente dello studente sia l’allargamento dell’ambito dei fenomeni linguistici
considerati» (si veda par. 2.1).
6
In generale in questo volume intendiamo per lingua seconda (L2) qualsiasi tipo di lingua
appresa in età successiva alla lingua materna (LM) o lingua prima (L1), ossia come etichetta
sovraordinata che comprende sia la lingua straniera (LS), cioè «la lingua non materna appresa
in un Paese dove normalmente non è parlata (ad es. il russo in Italia o in Marocco)» (Chini
2005: 12), sia la lingua seconda in senso stretto, cioè la lingua non materna appresa in un Pae-
se in cui è la lingua parlata normalmente dalla maggioranza della popolazione. Dove necessa-
rio, distingueremo invece i concetti di L2/LS.
Fare grammatica nella classe di italiano L2? Le risposte della ricerca 17
Cercheremo dunque, sulla base degli studi fatti anche su altre L2,
di riflettere su cosa insegnare, e come farlo, senza fornire “un” metodo
preconfezionato, ma presentando diverse alternative possibili, e discu-
tendone i pro e contro.
Capitolo 2
A partire dalla fine degli anni ’50 del secolo scorso il concetto di
“grammatica” ha subito una profonda revisione, sia in prospettiva teo-
rica che glottodidattica. Con “grammatica” oggi non si indica più solo
il tradizionale nucleo di regole morfosintattiche di una lingua, ma
«quell’insieme di regole che permettono ad un parlante di comprende-
re e produrre frasi corrette nella sua lingua, cioè la sua competenza
linguistica» in termini chomskiani (Prat Zagrebelsky 1985: 6). Anzi-
ché identificarsi con una lista delle proprietà formali di una lingua,
sganciata dai contesti di uso, la grammatica viene oggi riconosciuta
nel suo carattere comunicativo, come mezzo per mediare le parole e i
contesti (Giunchi 2000: 7).
Il concetto di grammatica quindi si riferisce ai diversi livelli della
lingua illustrati nella lista seguente.
19
20 Capitolo 2
2.3.1. Generalità
1
Avvertiamo che sulla base della bibliografia consultata (ad esempio Doughty e Williams
1998: 211), utilizzeremo “forme” in senso estensivo, indicando sia le “forme” linguistiche
vere e proprie, sia le “regole” (il termine rules descrive «la realizzazione, la distribuzione e
l’uso delle forme» ivi: 211, traduzione nostra).
Cosa insegnare. I contenuti 23
Tavola 1: La sequenza acquisizionale del verbo italiano (da Giacalone Ramat 2003:
23)
Presente (e Infinito) > (Ausiliare) Participio passato > Imperfetto > Futuro > Con-
dizionale > Congiuntivo
2
Qui e in seguito facciamo riferimento ai sei livelli stabiliti dal Quadro comune europeo
di riferimento (Bertocchi e Quartapelle, 2002).
Cosa insegnare. I contenuti 25
cato, come in inglese il passato regolare in -ed, siano dei buoni candi-
dati per l’istruzione esplicita (ad esempio Pica 1983, 1985), e chi so-
stiene – al contrario – che regole di quel tipo, proprio perché sono più
facili e in genere più salienti nell’input, possono essere acquisite fa-
cilmente anche da sole, mentre l’istruzione formale andrebbe riservata
in particolare alle strutture più complesse (Hulstijn e De Graff 1994).
La scelta dipenderà anche dal tempo che la classe ha a disposizio-
ne: se è poco, e se ci si trova in un contesto di lingua seconda in cui
molto input è comunque disponibile, l’insegnante può decidere di sof-
fermarsi esplicitamente solo sulle forme più complesse, lasciando agli
studenti la possibilità di “scoprire” da soli le più semplici (Doughty e
Williams 1998a: 225).
Ma cosa rende una forma difficile?
Intanto la non “congruenza con forme della L1” (Ellis 1997: 70).
Abbiamo visto infatti che uno dei fattori che più condizionano il pro-
cesso di apprendimento di una L2 è la madrelingua degli apprendenti
(Doughty e Williams 1998a: 226). Oltre al caso appena citato di di-
stinzioni che possono essere presenti o meno in una delle due lingue,
vi sono anche regole che si realizzano in maniera opposta in ciascuna
di esse. Per uno studente anglofono che apprende l’italiano (o il fran-
cese) ad esempio, l’ordine dei pronomi personali diretti all’interno
della frase risulta essere un argomento “difficile”, in quanto
l’interferenza della propria L1 lo spingerebbe ad utilizzare costrutti
opposti a quelli della lingua obiettivo, come ad esempio «Io vedo li»
(I see them) anziché «Io li vedo».
I see the children. Æ I see them.
Io vedo i bambini. Æ Io li vedo
essendo più lineare. Sicuramente tali studi hanno bisogno di essere si-
stematizzati, ma già ora possono dare preziose indicazioni alla glotto-
didattica.
La complessità di una regola è legata anche alla sua “realizzabilità”
(è la reliability introdotta da Hulstijn e De Graaff 1994): sono più faci-
li da apprendere le regole che si realizzano nella maggior parte dei ca-
si piuttosto che quelle che hanno molte eccezioni: un buon esempio
per l’italiano può essere costituito dal comparativo introdotto da più,
che prevede pochissime eccezioni, derivanti dal latino (migliore, peg-
giore, ecc.), ma che in genere tende ad essere stabile.
Vi sono infine regole così complesse da non essere ancora del tutto
chiare neppure ai linguisti e che riguardano ad esempio per l’italiano
la morfologia derivativa. Un esempio può essere rappresentato dalla
selezione dei suffissi deverbali –mento e –zione per i nomi d’azione:
oggi è possibile darne una descrizione abbastanza precisa (Gaeta
2004), che però, oltre ad essere molto “tecnica”, richiede considera-
zioni semantiche a volte eccessivamente dettagliate e sottili per chi
apprende l’italiano come L2, e contempla comunque molte eccezioni.
Di fronte a casi come questo è opportuno chiedersi se vale la pena
spendere molte ore di insegnamento, tentando di darne una descrizio-
ne sistematica (quello che viene definito sistem learning), o se non sia
il caso piuttosto di puntare al loro riconoscimento, con formule gene-
rali del tipo «se trovi un nome che finisce in -mento o in –zione, esso
indica molto probabilmente un’azione e deriva da un verbo», e
all’apprendimento della singola forma come item linguistico (item le-
arning cfr. Doughty e Williams 1998a: 222 con bibliografia).
Un altro fattore che non si può trascurare e che può interferire con i
precedenti è quello dei bisogni specifici degli apprendenti. L’esempio
più chiaro è quello della forma di cortesia, che in italiano risulta parti-
colarmente complessa. Comporta infatti l’uso della terza persona, del
cosiddetto congiuntivo di cortesia rispetto al molto più semplice impe-
rativo, difficoltà notevoli nella selezione dei pronomi e nell’accordo.
Nonostante la sua complessità tale argomento risulta essere di fonda-
mentale importanza per molti apprendenti, non solo per gli studenti
Cosa insegnare. I contenuti 29
Osserva gli usi del futuro in questi testi. Ma attenzione, non sempre quando si
parla di futuro si usa questo tempo. Ti ricordi dell’unità 24 di Uno? Per ora
osserva i casi in cui si usa il futuro per parlare del futuro e cerca di capire le
differenze. Ci torneremo su (Uno, p. 18).3
3
Corsivo nostro.
Capitolo 3
Come insegnare. 1.
I metodi
3.1. Premessa
33
34 Capitolo 3
Come già detto, per molti secoli, la seconda lingua è stata insegnata
seguendo il metodo in voga per l’insegnamento delle lingue classiche
in epoca tardo medievale, sancito poi dalla Grammaire générale et
raisonnéé de Port Royal (1660), che prevedeva lo studio delle regole e
la loro applicazione in esercizi di vario tipo, per arrivare alla traduzio-
ne dei testi letterari (Giunchi 2002: 108-115). Tale metodo, chiamato
grammaticale-traduttivo, considerava fondamentale per l’apprendi-
mento della lingua lo studio delle regole grammaticali ed utilizzava un
approccio deduttivo, in quanto si partiva dall’enunciazione della rego-
la, per poi passare – per deduzione – all’esemplificazione e alla prati-
ca. Dal momento che la riflessione grammaticale era al centro del pro-
cesso dell’insegnamento, veniva fatto ampio uso dell’apparato meta-
linguistico.
Già negli anni ’30-’40 del secolo scorso erano nati però i cosiddetti
metodi naturali, basati su un’immersione totale del discente nella lin-
gua oggetto d’apprendimento, come un bambino nella lingua materna.
A mettere davvero in crisi l’approccio grammaticale-traduttivo fu so-
prattutto il metodo audio-orale, impostosi negli Stati Uniti tra la se-
conda guerra mondiale ed i primi anni ’60: l’esigenza di insegnare ra-
pidamente le lingue straniere ai soldati dell’esercito comportava infatti
la necessità di tecniche di apprendimento diverse e più rapide. Tale
metodo si appoggiava sul comportamentismo di Skinner, una corrente
della psicologia che postulava come motore fondamentale dell’agire
umano un meccanismo di azione-reazione: anche il linguaggio veniva
considerato un comportamento, ed ogni azione linguistica una risposta
ad uno stimolo. Acquisire una L2 significava dunque impadronirsi di
una serie di abitudini senso-motorie, diverse da quelle della propria
LM, che si contraevano mediante condizionamento (Giunchi 2002:
115).
Ciò comportava un insegnamento della L2 basato su procedure di
tipo ripetitivo e manipolativo: si partiva in genere da un dialogo mo-
dello che si chiedeva di replicare e memorizzare, proseguendo poi con
batterie di “esercizi-trapano” (i pattern drills), meccanici, basati sulla
ripetizione, con variazioni minime, di una struttura. L’apprendimento
avveniva quindi per analogia, uniformazione ad un modello, attraver-
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 35
2
«Is seen as ad aid to the learner in the acquisition process by making certain grammatical
forms more salient and thereby aiding the learner to establish correct meaning-form connec-
tions».
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 39
I’m going to describe to you a typical Sunday in my life. Notice that all the verbs I will
use end in -o. Spanish uses this ending on verbs to refer to the speaker: “I”. Sample in-
put: Los domingos me levanto más tarde, a veces à las diez y a veces a las once. Luego, desayuno ce-
real. Casi sempre ablo por teléfono a mi hermano, Pablo. En la tarde salgo con algún amigo a pasear.
[…] This narrative can be continued with fifteen to twenty utterance, all of which con-
tain a verb from ending in -o.
Tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90 del secolo scorso si sviluppa-
rono diverse correnti teoriche ed approcci volti a cercare
un’integrazione tra grammatica e insegnamento comunicativo. Il più
noto, e quello che in qualche modo comprende anche gli altri, è quello
del “focalizzare la forma” (Focus on form).
Long (1991: 45-46) per primo introdusse la distinzione tra il tradi-
zionale Focus on forms (“focus sulle forme linguistiche”), che caratte-
rizza gli approcci sintetici all’insegnamento di una L2, incentrati
sull’accumulazione di strutture linguistiche, e il focus on form che, se-
condo la sua definizione:
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 41
ogni tipo di sforzo pedagogico usato per attirare l’attenzione degli apprenden-
ti sulla forma linguistica sia implicitamente che esplicitamente. Ciò può in-
cludere e l’insegnamento diretto della lingua (per esempio attraverso le rego-
le grammaticali) e/o le reazioni agli errori dell’apprendente, ossia il feedback
correttivo (Spada 1997: 73).5
3
«Focus on form […] overtly draws students’ attention to linguistic elements as they arise
incidentally in lessons whose overriding focus is on meaning or communication».
4
«Focus on form often consists of an occasional shift of attention to linguistic code fea-
tures – by teacher and/or one or more students – triggered by perceived problems with com-
prehension or production».
5
«… any pedagogical effort which is used to draw the learners’ attention to language
form either implicitly or explicitly. This can include the direct teaching of language (e.g.
through grammatical rules) and/or reactions to learner’s errors (e.g. corrective feedback)».
42 Capitolo 3
6
«Focus on formS and focus on form are not polar opposites in the way that form and
meaning have often been considered to be. Rather, a focus on form entails a focus on formal
elements of language, whereas focus on formS is limited to such a focus, and focus on mean-
ing excludes it. Most important, it should be kept in mind that the fundamental assumption of
focus-on-form instruction is that meaning and use must already be evident to the learner at the
time that attention id drawn to the linguistic apparatus needed to get the meaning across».
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 43
Tavola 5: Esempio di compito di interpretazione (da Ellis 1997: 156, traduzione no-
stra)
Comprehending
Listen to the sentences and decide whether they describe the pictures be-
low. If you think they describe the picture put a tick. If you think they do not,
put a cross. If you like you can request the teacher to repeat a sentence. (Ascol-
ta le frasi e decide se descrivono le immagini che stanno sotto. Se pensi di sì, metti un segno.
Se pensi di no, metti una croce. Se vuoi puoi chiedere all’insegnante di ripetere la frase)
ecc.
7
La traduzione è dello stesso Sharwood Smith 1990, 105-107.
8
«The deliberate attempt to draw the learner’s attention specifically to the formal proper-
ties of the target language».
9
«The matter of raising the learner’s grammatical consciousness is a multi–faceted one
[…]. It can involve anything from mere observation to (for some teachers) the articulation of
actual rules» (Rutherford 1987: 160).
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 47
Dear Sir,
I am writing in response your company’s announcement [AND your company’s an-
nouncement appeared in last Sunday’s edition of the Tampa Herald] of an opening for
a system analyst [I assume that the position has not already been filled]. I enclose my
résumé [and one more piece of information should now be added to my résumé].
What is the basic rule about the use of tenses in reported speech?
10
«A CR task is a pedagogic activity where the learners are provided with L2 data in
some form and required to perform some operation on or with it, the purpose of which is to
arrive at an explicit understanding of some linguistic property or properties of the target lan-
guage».
48 Capitolo 3
11
La traduzione è di Benati in Van Patten, Benati e Wong (2005: 9).
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 49
I II III
Input → materiale appreso [intake] → sistema linguistico interno → risposta [output]
12
«La percezione di una forma si riferisce ai vari segnali o stimoli a cui il discente viene
esposto» (ivi: 40).
13
Si ricordi che per Van Patten l’intake non rappresenta esclusivamente la porzione
dell’input filtrata dall’apprendente, ma «include anche materiale che è stato processato non
correttamente (erronee relazioni forma/significato)» Van Patten, Benati e Wong (2005: 41).
50 Capitolo 3
14
«It is a type of explicit instruction whose aim is to get learners to attend to forms in the
input as it might be a prerequisite for acquisition, particularly if instruction is directed at ena-
bling L2 learners to establish form meaning connections during comprehension» Van Patten
(1996: 86).
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 51
Tavola 8: Attività di input strutturato per l’insegnamento del futuro (tratto da Benati,
Van Patten e Wong 2005: 126)
Alessandro is making New Years resolutions. Look at six sentences and indicate
whether are or not each statement applies to you. Compare your response with some-
one else.
Notice the spoken stress on the first person singular on the future tense.
L’anno prossimo Vale per me Non vale per me
1. studierò tutti I giorni. □ □
2. prometto che non arriverò all’Università in ritardo. □ □
3. metterò in ordine la mia camera. □ □
ecc….
You are going to hear some sentences in Italian. Select whether each sentence you
heard occurred in the present or in the future. Keep in mind that future tense forms
(especially for the 1st person) has the spoken stress on the final vowel of the
endings, and not on the stem vowel.
1. a) present b) future
2. a) present b) future
3. a) present b) future
4. a) present b) future
ecc.
Trascrizione
1. Guardo il film in televisione.
2. Tornerò in treno con tuo fratello.
3. Resto a casa tutto il giorno.
4. Passerò le vacanze con amici.
Ecc.
Gli approcci incentrati sull’input sono stati criticati proprio per il fatto
di trascurare il momento della produzione, dell’output, sulla base di
considerazioni di ordine psicolinguistico e pedagogico che ora esami-
neremo. Se dunque nel decennio che concludeva il XX secolo sem-
brava che fosse sancita la superiorità di un insegnamento grammatica-
le basato principalmente sull’input, un filone di ricerche particolar-
mente vivo oggi (si vedano ad esempio Grove 1999, Izumi 2002, Izu-
mi 2003, Morgan-Short e Wood Bodwen 2006, Toth 2006, con ulte-
riore bibliografia) sta dimostrando invece che, benché il ruolo
dell’input rimanga fondamentale, il ruolo dell’output è altrettanto im-
portante, e che riguarda direttamente l’acquisizione e non solamente –
come sosteneva invece Van Patten – l’efficacia e la scioltezza comu-
nicativa.
Tali studi si appoggiano su quella che è stata definita l’“Ipotesi
dell’output comprensibile” (Comprehensible output hypothesis) di
Swain (1985, poi riproposta da Swain 1995), che va ad integrare
l’“Ipotesi dell’input comprensibile” (Comprehensible input hypothe-
sis) di Krashen, senza sostituirsi ad essa. Osservando classi di immer-
sione totale nel francese in Canada, Swain (1985) ha notato infatti che
l’esposizione ad un input comprensibile, pur garantendo buoni risultati
sul piano della scioltezza, della confidenza nell’uso della lingua e del-
la comprensione, non è condizione sufficiente a raggiungere un livello
di produzione accurato. Nonostante gli errori di tipo morfosintattico
infatti, la comunicazione tra l’apprendente e l’insegnante “comunica-
tivo” che utilizza tecniche di riformulazione e chiarificazione del mes-
saggio dei suoi allievi (si veda poi il recasting par. 4.11), è sufficien-
temente comprensibile. L’apprendente pertanto non è spinto a rendere
il suo output più corretto, più chiaro (Swain 1985: 249) di quello che
già è. Per Swain (1985, 1995) non basta che gli apprendenti si limitino
a parlare e a scrivere, ma è necessario che si sforzino, facendo uso di
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 55
15
Ellis (1997: 49) ad esempio definisce pushed output come «sustained output that pushes
at the limits of the learner’s current state of development».
56 Capitolo 3
16
«In sum Swain’s output hypothesis claim that output can, under certain conditions,
promote language acquisition by allowing learners to try out and stretch their IL capabilities.
In so doing, learners may recognize problem in their IL through internal feedback − output
promotes syntactic processing and self monitoring or external feedback − output invites feed-
back from interlocutors, teachers, etc. This recognition may prompt the learner to generate
alternatives by searching existing knowledge or to seek out relevant input with more focused
attention and with more clearly identified communicative needs».
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 57
la polemica tra Ellis (1993) e Hopkins e Nettle (1994): nel 1993 Ellis,
sulla base della ricerca teorica, era intervenuto nell’«ELT Journal»,
una rivista diffusissima tra i docenti di inglese come L2, per sostenere
la maggior efficacia di un insegnamento basato sulla “Presa di co-
scienza” piuttosto che sul metodo tradizionale del PPP (Presentation,
Practice, Production), e per criticare la sua assenza dai manuali per
l’insegnamento dell’inglese.
Gli risposero Hopkins e Nettle (1994), evidenziando che gli ap-
procci basati su CR erano già usati da molti docenti e da autori di ma-
teriali didattici, ma che la pratica resta comunque molto presente nei
manuali. La proposta di sostituirla completamente con un approccio
del tipo CR infatti non incontra la domanda pratica né degli insegnan-
ti, né degli apprendenti, che si sentono frustrati a non poter applicare
le strutture che vengono loro presentate.
Ricollegandosi a tale dibattito più recentemente Ryo e Gardner
(2005) hanno esaminato nove manuali per l’insegnamento dell’inglese
come L2 di livello intermedio editi tra il 1991 e il 2000, in riferimento
ad alcune strutture linguistiche, concludendo che in essi la pratica oc-
cupa ancora uno spazio essenziale. Ogni manuale esaminato prevede
infatti una fase di pratica dopo la presentazione delle strutture. Nono-
stante i ricercatori insistano sull’efficienza della “Presa di coscienza”
rispetto alla pratica, e i loro argomenti siano convincenti, per Ryo e
Gardner (2005) gli insegnanti di lingua non sono pronti ad abbandona-
re i familiari esercizi di pratica. Le aspettative dei discenti infatti im-
pediscono loro – in casi come questo – di seguire i suggerimenti della
ricerca teorica.
Tuttavia gli autori dei manuali spesso alternano CR tasks ai practi-
ce tasks, preferendo così combinare strategicamente i due approcci
piuttosto che sceglierne uno solo (ivi: 10). Questa tensione si avverte
anche nei volumi di metodologia: Thornbury (2001) ad esempio, un
ottimo manuale per la formazione degli insegnanti di inglese, nel capi-
tolo titolato Un compromesso? suggerisce di combinare tecniche di
noticing con esercizi di pratica.
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 59
Abbiamo visto dunque che il ruolo della pratica, che risultava centrale
nell’insegnamento tradizionale e in quello comunicativo, ma che poi
era stato fortemente ridimensionato dagli approcci basati sull’input,
torna ad essere rivalutato sulla base di studi sperimentali che ne dimo-
strato l’effettiva validità sul piano cognitivo e pedagogico.
Il lungo dibattito partito da Krashen tuttavia è servito per sottoline-
are la fondamentale importanza dell’input e del lavoro del “notare”
fatto su di esso. A questo punto la soluzione proposta per l’inglese
come L2 (si veda par. 3.7), ossia quella del compromesso appare esse-
re la migliore.
Da un lato gli studi sulla “Presa di coscienza” e sulla “Processazio-
ne dell’input” hanno dimostrato come il metodo “tradizionale” che –
dopo aver brevemente presentato le regole – spingeva l’apprendente a
produrle senza concedergli il tempo di interiorizzarle davvero, rischia-
va di essere controproducente, in quanto non adeguato ai processi co-
gnitivi.
D’altro canto però, è evidente che concentrare il lavoro della classe
esclusivamente sulla comprensione dell’input non risponde alle esi-
genze degli apprendenti, i quali – imparando una lingua a scopo es-
senzialmente comunicativo – hanno bisogno appunto di comunicare,
cioè necessitano della fase della produzione.
La pratica è momento imprescindibile nell’insegnamento, fin dai
primi momenti, con la dovuta cautela per tipologie di discenti che par-
tendo da lingue molto lontane possono necessitare di una fase iniziale
di silenzio, come ad esempio i cinesi per l’italiano L2. Con appren-
denti europei o che comunque conoscono altre lingue europee, sembra
utile prevedere fin dalle prime lezioni semplici attività di riflessione
sulla lingua seguite da momenti di produzione, eventualmente piutto-
sto guidata all’inizio.
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 63
Come insegnare. 2.
1
Si tratta di un corso di italiano on-line di livello A1 creato dai Collaboratori ed esperti
linguistici e dai Tecnici del Centro linguistico di Ateneo dell’Università di Padova, che sarà
reso pubblico a partire dal 2008. Hanno lavorato alla sezione di grammatica in particolare A-
lessandra Riva e Fulvia Virginio, tesiste del Master in Didattica dell’Italiano come L2 di Pa-
dova, e le Collaboratori ed esperte linguistiche Elena Maria Duso e Cristina Capuzzo.
65
66 Capitolo 4
2
Hammerly (1975: 18) sostiene che per lingue come lo spagnolo e il francese circa l’80%
delle strutture si presta ad un insegnamento di tipo induttivo, ma che il restante 20% delle
strutture, che comprende soprattutto quelle assenti nella lingua materna dell’apprendente, è
più adatto ad un approccio deduttivo: regole così complesse infatti non potrebbero essere e-
strapolate facilmente a partire da un piccolo numero di esempi. Tra queste strutture cita la dif-
ferenza tra ser/estar per lo spagnolo, tra imparfait/passé composé per il francese, o il congiun-
tivo, le funzioni dei casi nelle lingue che li hanno, come il russo o il tedesco.
70 Capitolo 4
Sebbene oggi siano considerati più importanti altri criteri (cap. 2),
la distinzione comunque rimane. La didattica moderna delle lingue
appare privilegiare l’approccio induttivo che meglio si accorda con il
concetto di centralità del discente. Anche il Quadro comune europeo
dà indicazioni abbastanza precise in questo senso (Bertocchi e Quar-
tapelle 2002: 186; Andorno, Bosc e Ribotta 2003: 50). Effettivamente
la grande maggioranza dei manuali per l’italiano L2 dichiara di adotta-
re un approccio “induttivo” alla grammatica. Ma cosa si intende oggi
per induttivo? Cercheremo di esaminare il concetto a partire dalle atti-
vità di riflessione esplicita proposte dai più recenti manuali di italiano
come L2.
3. Rispondere
1. Chi è Marianne? (svizzera) È una ragazza svizzera.
2. Chi è Laura? (italiana) __________________
3. Chi è Olga? (russa) __________________
4. Chi è Carmen? (spagnola) _________________
Articolo determinativo
Maschile Femminile
…il…. medico ……. casalinga
……. studente ……. infermiera
.…… impiegato
Condizionale passato
Leggi gli esempi tratti dal libro ‘Io non ho paura’ e rifletti sul perché viene usato il
condizionale passato. Prova anche a fare un confronto con la tua lingua materna. Che
cosa si usa in questi casi?
1. Era più sveglio del Teschio, gli sarebbe stato facilissimo spodestarlo, ma non gli
interessava diventare capo.
2. “Sono inciampata. Mi sono fatta male al piede e... gli occhiali si sono rotti!” Le
avrei dato uno schiaffone. Era la terza volta che rompeva gli occhiali da quando era fi-
nita la scuola.
3. Per penitenza il Teschio l’aveva obbligata a slacciarsi la camicia e a mostrarci il
seno. Aveva un po’ di tette, uno sputo, niente a che vedere con quelle che le sarebbero
venute entro un paio di anni.
4. Ho pensato a mia sorella. Ho detto che era troppo piccola per gareggiare e che
non era valido, avrebbe perso.
5. Si è messo a sghignazzare aspettandosi che anche noi avremmo fatto lo stesso,
ma non è stato così.
6. Se lo dicevo, il Teschio, come sempre, si prendeva tutto il merito della scoperta.
Avrebbe raccontato a tutti che lo aveva trovato lui perché era stato lui a decidere di sali-
re sopra alla collina.
7. Papà non ripartiva. Era tornato per restare. Aveva detto a mamma che non vole-
va vedere l'autostrada per un po’ e si sarebbe occupato di noi.
8. Ho nascosto la bicicletta come avrebbe fatto Tiger con il suo cavallo, mi sono in-
filato nel grano e sono avanzato a quattro zampe.
9. Ma se lo avevano nascosto lì ci doveva essere una ragione. Papà mi avrebbe spie-
gato tutto.
10. Mi sono arrampicato al mio solito posto, a cavalcioni di un grosso ramo che si
biforcava, e ho deciso che a casa non sarei più tornato.
A. Rileggi il testo di pp. 387-389 e sottolinea i gerundi (4 casi). Per ciascun caso de-
vi:
- dire che significato ha il gerundio.
- sostituirlo, quando possibile, con una frase secondaria esplicita.
- dire se il soggetto della secondaria introdotta dal gerundio è uguale o diverso dal
soggetto della frase principale.
- dire in che posizione compaiono eventuali pronomi.
Esempio: Chi, pur lavorando, non guadagnava abbastanza da sfamarsi, chi aveva
delle vendette private da compiere, diventava brigante.
Chi, anche se lavorava non guadagnava abbastanza da sfamarsi, chi aveva delle ven-
dette private da compiere, diventava brigante.
(significato concessivo) (soggetti uguali: chi lavorava, chi guadagnava).
14) l’uso dello schema vuoto è più funzionale rispetto alla semplice
risposta a delle domande, perché da un lato concede agli studenti me-
no veloci di arrivare con i loro tempi alla formulazione della regola,
dall’altro fornisce loro il supporto metalinguistico. Spesso infatti
l’apprendente, soprattutto ai primi livelli, pur comprendendo la regola
in base agli esempi, non riesce a formularla perché non possiede anco-
ra la lingua tecnica necessaria.
Tavola 9: Uso dello schema vuoto per le reggenze verbali (da Cesarini 1995: 116)
Tavola 10: Esempio di drill sull’uso degli avverbi già, ancora, sempre, mai (tratto
da Bozzone Costa, Ghezzi e Piantoni 2005: 104)
1 In coppia. Pensate ai luoghi dove siete stati in vacanza. Chiedete al vostro compa-
gno se li conosce, se ci è già stato o se non c’è mai stato.
Sì, ci sono già stato
Ci = a Roma
Sei già stato a Roma ?
No, non ci sono mai stato
Tavola 11: Esempio di drill più comunicativo sull’uso della struttura ce l’ho e sugli
indicatori di luogo
Tavola 13: Riordino di frase per esercitare la forma negativa (dal corso on-line A
spasso con Virgilio, livello A1)
Esercizio 1: Metti in ordine le frasi. Ci sono sempre una domanda e una risposta.
Esempio: No fame grazie fame hai ho non.
- Hai fame?
- No, grazie, non ho fame.
Hai visto l’intero filmato. Ora completa il riassunto del filmato: metti in ordine le
frasi.
Venerdì scorso Ivana ha telefonato ad Elena perché si trovava a Padova. Di solito
lei vive a Milano….
A Ivana è andata a casa prima degli altri. Quando l’ha salutata, Elena ha chiesto di
Alberto. Ha presentato Alberto ad Ivana perché vuole trovare un fidanzato per lei …
C Dopo cena, tutti insieme hanno guardato le foto della Sicilia. Elena ha dato in-
formazioni a Carlo e a Ivana, perché loro vogliono andare in vacanza lì l’estate prossi-
ma.
D Elena è stata molto contenta e l’ha invitata a cena a casa di Francesco, con altri
amici.
E La cena è stata sabato. Elena ha cucinato dei piatti siciliani, Ivana ha portato la
cassata, una torta siciliana e Carlo il vino…
F Ma Ivana non ha detto niente di preciso … solo che Alberto è simpatico. Domani
Elena la chiama per sapere di più…
Tavola 17: Trasformazione per esercitare l’uso della forma negativa non … mai
(tratto dal corso on-line A spasso con Virgilio, livello A1)
Sono una persona felice: rido sempre, amo divertirmi con gli amici, lavoro volentieri
perché ho dei colleghi simpatici.
Anna e Marco vanno sempre d’accordo. Stanno insieme da molto tempo e si cono-
scono bene: lui è molto sportivo e lei fa sempre sport.
Tavola 18: Caccia all’errore (dal corso on-line A spasso con Virgilio, livello A1)
Ecco una cartolina che Elena e Francesco hanno scritto agli amici dalla Sicilia. Ci
sono 4 errori. Sai trovare gli errori?
Palermo, 20 luglio
Ciao carissimi, come state? Come è andato il vostro viaggio? Avete passato delle
belle vacanze? È letto i vostri sms e mi sembrate contenti!
Noi in Sicilia abbiamo stato benissimo, adesso stiamo tornando: oggi abbiamo vi-
sto Monreale e il palazzo dei Normanni, a Palermo. Splendidi! Abbiamo trovato un
ristorante molto buono ed economico. Finalmente siamo mangiato la pasta alle me-
lanzane! Francesco ha fatto molte foto a Palermo, ed io ho deciso di fare una festa si-
ciliana al nostro ritorno.
Siamo comprato un bel regalo per voi! Un abbraccio e a presto.
Elena e Francesco
E ora correggi gli errori: scrivi qui le forme corrette del passato prossimo. Mantie-
ni l’ordine del testo: ________________; ________________;
________________; ________________.
3
Lab top = computer portatile.
86 Capitolo 4
Tavola 21: Narrazione di storie con vuoto d’informazione (da Thornbury 2001:
22-23)
Sfida di participi
Proposta di lavoro livello: elementare
La classe è divisa in due squadre che si posizionano una di fronte all’altra. A turno
ogni membro di una squadra sfida un membro dell’altra squadra a flettere al participio
un verbo (proponendo le forme irregolari, più difficili). Per ogni risposta corretta la
squadra ottiene un punto. Ogni giocatore può proporre solo verbi di cui conosce a
propria volta il participio, altrimenti la squadra proponente è penalizzata di un punto.
Vince la squadra che totalizza più punti.
Questo gioco può essere realizzato per il ripasso e la memorizzazione di diversi e-
lementi e strutture.
C’è un contadino che vuole traghettare se stesso, un cane, una gallina e un sacco di
grano al di là del fiume. Possiede una piccola barca, con la quale può trasportare solo un
animale o il sacco di grano alla volta. Però non può lasciare il cane solo con la gallina
perché la mangerebbe, né la gallina sola con il grano, perché lo mangerebbe. Cosa deve
fare il contadino per trasportare con sicurezza tutti dall’altra parte del fiume?
sacco a pelo, tenda, pentola, accendino, libro, cellulare, televisione, forchetta, bottiglia,
carte da gioco, pila.
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 93
ria per poter discutere, attivamente, della lingua. Con loro tuttavia è
importante creare l’habitus mentale a non attendersi delle regole fisse,
rigide e valide comunque, ma a saper cercare nell’input delle regolari-
tà, senza spaventarsi troppo qualora i conti non tornino.
Inoltre non appare praticabile applicare tale metodologia a tutte le
regole o strutture grammaticali, ma sono necessarie delle scelte a
monte. È infatti più utile esplorare in maniera induttiva anche un solo
argomento, purché centrale nel sillabo di quel livello, costruendo un
percorso ben fatto e graduale, piuttosto che tentare di trattare indutti-
vamente molti diversi argomenti. Un esempio può essere costituito dai
tempi verbali del passato per un corso di livello A2 o B1, o dall’uso
del congiuntivo per un corso B2.
Bisognerà scegliere cioè un soggetto che crei problemi a tutti gli
apprendenti della classe, che sia quindi percepito come rilevante da
essi, e infine che sia di ampia portata, in modo che permetta di esplo-
rare input differenti sia in base al canale (scritto vs. parlato) che al tipo
testuale.
Tavola 27: Esempio di esperimento sull’uso del passato remoto (per il livello C1)
- Attraverso un testo scritto si riepiloga la forma del passato remoto, regolare e irre-
golare;
- L’insegnante chiede agli studenti di registrare in una o due settimane gli usi del
passato remoto con cui vengono a contatto, nello scritto e nel parlato, attraverso schede
manuali o messaggi e-mail da destinare ad un forum.
- L’insegnante chiede agli studenti di lavorare in piccoli gruppi, che cercano di unifi-
care le loro schede e di stabilire i diversi usi con esempi.
Ad esempio:
a) Si usa nelle favole (C’era una volta una bambina che si chiamava Capuccetto rosso. Un
giorno la mamma le chiese di andare dalla nonna e di portarle un cestino con dolci e vino. La bambina
partì subito …).
- L’insegnante invita gli studenti a fare una ricerca nelle diverse grammatiche
dell’italiano per verificare le loro ipotesi.
dell’italiano parlato (ad esempio Gambarara 1994). Quindi sulla diffusione diatopica del
passato remoto, cercando di partire il più possibile dagli esempi registrati dagli studenti.
Esempio:
Hans: Ho sentito dire da un mio amico «Ieri andai a Venezia».
Insegnante: E da dove viene il tuo amico?
Hans: Dalla Puglia.
Insegnante: Ma di solito qui in Veneto che tempo si usa?
Hans: Il passato prossimo…
- Si discutono i casi in cui il passato remoto non può essere sostituto dal passato
prossimo (cfr. Cortelazzo 1997)
Laddove non sia possibile evitare termini più tecnici, possono esse-
re molto utili le riformulazioni, le perifrasi o gli esempi che chiarifica-
no subito le affermazioni.
Tavola 31: Esempi, riformulazioni e perifrasi (dal corso on-line A spasso con Virgi-
lio, livello A1)
Osserva
Ho comprato una camicia rosa.
Oggi metto i pantaloni rosa.
In italiano ci sono aggettivi invariabili, che non cambiano mai, cioè restano uguali nel
genere e nel numero con nomi maschili, femminili, singolari e plurali.
Tavola 32: Accorgimenti grafici per evidenziare (dal corso on-line A spasso con
Virgilio, livello A1)
Tavola 34: Importanza dell’uso delle immagini nelle istruzioni grammaticali (tratti,
rispettivamente, da Mezzadri 1996: 36 e Trifone e Palermo 2007: 82)
104 Capitolo 4
- utilizzare frasi brevi, sintatticamente semplici, legate tra loro in maniera esplicita;
- evitare il più possibile strutture troppo complesse per il livello cui sono gli studen-
ti, come ad esempio gerundi o particolari subordinate (relative introdotte da preposi-
zione + cui, finali con affinché);
e perifrasi
i pronomi che indicano una quantità o una qualità non precisa, gli indefiniti, sono…;
Il gerundio inoltre compare più tardi delle altre forme non finite
(participi e infinito), ed è complessivamente meno frequente (ivi:
207).
Il primo gerundio che viene acquisito è quello che fa parte della pe-
rifrasi progressiva («sto facendo»), poi viene il gerundio di predicato
(predicate gerunds) nelle frasi principali («Anna canta andando in bi-
cicletta»), quindi il gerundio di frase (sentence gerunds) nelle subor-
dinate («Avendo fame, Anna mangia un panino»).4
Nonostante sia semplice dal punto di vista formale, per Giacalone
Ramat il gerundio non viene in genere acquisito precocemente, e non
viene usato spesso neppure da apprendenti avanzati. È infatti “opaco”,
cioè presenta una relazione tra forma e significato poco trasparente.
Inoltre, è una struttura “opzionale”, non indispensabile: esistono infatti
subordinate esplicite, più semplici, che coprono pressoché tutti i pos-
sibili valori delle implicite al gerundio. Il gerundio dunque è un mezzo
per esprimere la subordinazione avverbiale più marcato rispetto alla
forma finita, e come tale viene appreso più tardi (Giacalone Ramat
2003b:193; sul concetto di marcatezza si veda 2.3.2).
Una nostra ricerca, tuttora in corso, rivela però che gli studenti uni-
versitari europei in scambio (Erasmus) tendono ad usare il gerundio
fin dai primissimi livelli, anche se spesso in modo inappropriato. Gli
errori non riguardano tanto la forma, quanto piuttosto gli ambiti d’uso,
che vengono estesi rispetto alla norma anche perché nell’italiano con-
4
Sulla distinzione tra i due tipi di gerundio si veda Lonzi (2001: 571 e ss.).
108 Capitolo 4
A.
1. Ho visto … un uomo de mezza eta sopra una scala parlando (=che parla) (spagno-
lo, A2).
2. Arrivava al stagno e vedeva la stessa cosa: il riccio, sorrisando (=che sorrideva) e fa-
cendo (= che faceva) un cenno! (tedesca, A2)
3. In fondo a questa spiaggia, possiamo vedere il cielo blu e sotto, il mare, anche blu
pero possiamo vedere anche gli onda bianca arrivando (=che arrivano) a la spiaggia (spa-
gnolo, A2).
B.
1. C’erano tanti i turisti andando (=che andavano) lì (ceco, A2).
2. In questa foto c'è un Torero facendo (=che fa) una gara contro una tartaruga (spa-
gnolo, A2).
3. Sulla foto c'e un bambino piccolo giocando (=che gioca) con una bambola (ceco A2).
C.
1. E mi manca molto andando (=andare) ai locali per gli studenti (inglese, B2).
2. Ma comunque, trascorrendo (= trascorrere) tempo all' estero è sempre meglior
che studiare una lingua solo con libri a casa (tedesca, A2).
3. A la cima non c'era posto per metere la tenda, e quindi aviamo continato caminan-
do (=a camminare) (spagnolo A2).
4. Ho continuato il apprendimento [del latino] per 9 anni e passo a passo è emerso
lo senso e una picola gioia studiando(=di studiare) la storia e legendo (=di leggere) le ope-
re originale (tedesco A2).
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 109
5
Il sillabo di Lo Duca (2006) ad es. inserisce la perifrasi progressiva al livello A1, il ge-
rundio semplice in frasi subordinate in B2 e il gerundio composto, più raro, in C1.
110 Capitolo 4
6
Secondo la definizione di Long e Robinson (1998: 23) «corrective reformulations of a
child’s or adult learner’s (L1 or L2) utterances that preserve the learners intended meaning».
Per un’analisi delle diverse definizioni di recast si veda ora Ellis e Sheen (2006).
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 111
José: I think that the worm will go under the soil. [Penso che il verme andrà sotto il
terreno]
Teacher: I think that the worm will go under the soil? [Penso che il verme andrà sotto
il terreno?]
José: (no response) (non risponde)
Teacher: I thought that the worm would go under the soil. [Pensavo che il verme sarebbe
andato sotto il terreno]
José: I thought that the worm would go under the soil. [Pensavo che il verme sarebbe an-
dato sotto il terreno]
7
Secondo la definizione di Doughty e Varela (1998: 123-24): «(1) repetition to draw at-
tention followed by (2) recast to provide the contrastive L2 forms».
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 113
Tavola 42: Proposta di testi da far correggere agli studenti (livelli B1-B2)
FORMALE/INFORMALE
Leggi le seguenti lettere, scritte da studenti Erasmus non italiani, e correggi gli erro-
ri. Fai attenzione:
- ai pronomi personali (Lei/tu, lei/voi) e alla coerenza tra le diverse forme
(Lei/la/le; voi/vi, ecc.);
- ai modi verbali (indicativo per congiuntivo).
Egregio Signore,
Per la presenta lettera, mi permetto di scriverli per conoscere l' elenco delle lezioni
che posso seguire durante il primo semestre del anno accademico 2003-2004 nel dipar-
timento di storia dell’arte e anche di archeologia. Infatti sono una studentessa belga e
vengo in Erasmus nella sua università. Devo già compilare un documento per la mia
università con tutte le lezioni alle quali voglio partecipare e indicare i numeri di ECTS.
Così il suo aiuto mi è prezioso.
Nella speranza di ricevere una risposta favorevole alla mia domanda, vuole, egregio
Signore, accogliere i miei distinti saluti. (belga, A2)
Egregio signore,
lunedì mattina sono andata all'ufficio postale di Via Portelo, a pagare la bolletta del
telefono. Mi hanno fatto aspettare moltissimo tempo (due ore) e poi, quando è arrivato
il mio turno, l'impiegato, molto scortese, non mi ha dato tutte le informazioni che vole-
vo e quelle che mi ha dato erano sbagliate.
Penso che gli impiegati devono essere più cortesi perché lavorano con, e per, la gen-
te. Comunque, vorrei che questo fosse parlato con loro o almeno Lei lo pensasse.
Grazie per la sua attenzione. In attesa di una sua risposta colgo l'occasione per por-
gerLa distinti saluti. (spagnola, B1)
Egregio professore,
sono la studentessa B. B. di Graz che fa l’Erasmus a Padova l'anno prossimo.
Volevo comunicarLa la mia data d'arrivo e chiederLa alcune informazioni dei corsi
universitari. Mi interesserebbe il corso di pedagogia interculturale e per questo vorrei
sapere l’orario di questo corso, in quale aula si farà e quanti crediti si ricevono.
La ringrazio in anticipo per le informazioni. Cordiali saluti. (austriaca B2)
Egregio Signore,
li scrivo questa lettera in riferimento all' annuncio sul corso d'italiano che si svolgerà
il prossimo mese di gennaio nel Centro Linguistico di Ateneo, per domandarli informa-
zioni sul corso. Mi piacerebbe sapere la durata del corso, il costo, i diversi livelli che ci
sono, i numeri di crediti che riceverò e se la frequenza al corso è obbligatoria. Pure se
devo comprare qualche libro o testo per seguire le lezioni.
Senz'altro, nella speranza di ricevere la sua risposta presto, li ringrazio della sua at-
tenzione. Cordiali saluti. (spagnola, B2)
116 Capitolo 4
FABRIZIO DE ANDRÉ
Fabrizio de Andrè è un cantante di origine genovese. È nato a Genova il 18 feb-
braio 1940. Durante la guerra, ha vissuto con la sua famiglia in campagna ed è tornato a
Genova solo tre anni dopo la fine. All’Università studiava legge, ma si è fermato quan-
do gli mancavano sei esami alla laurea. Da allora, si è dedicato solo alla musica. I suoi
album più importanti sono usciti tra il 1970 e il 1996. Si è sposato due volte, ed ha avu-
to due figli. Mentre viveva in Sardegna, una banda di banditi sardi lo ha sequestrato, e lo
ha tenuto prigioniero per quattro mesi.
Nel 1998, mentre faceva un tour per l’Italia, si è sentito male. È morto l’11 gennaio
1999 di un male incurabile.
Almeno nel caso degli errori più significativi è utile prevedere delle
attività di rinforzo. Per avere dei buoni suggerimenti si vedano Catta-
na e Nesci (2000).
Capitolo 5
Gli strumenti:
le grammatiche per insegnare l’italiano come L21
5.1. Premessa
1
Il capitolo costituisce la rielaborazione della rassegna di Duso (2006).
117
118 Capitolo 5
• impostazione e contenuti;
• lingua descritta;
120 Capitolo 5
• tipo di pubblico;
• utilità per il docente di italiano L2.
2
Per un esame più approfondito rimandiamo alle numerose recensioni che il volume ha
avuto, in particolare: Berruto (1990); Gerben de Boer (1990); Radtke (1991); Lepschy (1989);
Giovanardi (1989); Stammerjohann (1989); Thorton (1991); Patota e Persiani (2002).
122 Capitolo 5
guono poi la parte morfosintattica (“La frase semplice”, “Il nome”, “Il
verbo”, “La frase complessa”), una parte sul testo, la formazione delle
parole, il lessico, la fonologia, la retorica e perfino la poesia, la metri-
ca e l’errore.
All’interno dei diversi capitoli vi sono spesso “intertesti”, ossia in-
serti con approfondimenti di tipo storico (ad esempio per l’articolo vi
è una dotta appendice che si sofferma sulla nascita dell’articolo, sulla
diversa distribuzione di il/lo nell’italiano antico, e sulle lingue che so-
no prive di articolo), di tipo teorico (dopo il capitolo sulle preposizioni
ad esempio si parla di Fillmore e “Il caso del caso”, p. 366), e talvolta
di tipo contrastivo (dopo il capitolo sul pronome si riflette sulla non
obbligatorietà del pronome soggetto in italiano rispetto ad altre lingue
europee, pp. 264-65).
La descrizione è in genere tradizionale. Rispetto all’edizione scola-
stica, che descriveva l’italiano «delle persone colte, e, in particolare,
l’italiano scritto formale» (Dardano 1991: 13) sembra esservi una
maggior apertura all’italiano neostandard.
La quantità del materiale contenuto, che rende il testo simile ad una
piccola enciclopedia, può servire come prima panoramica sui diversi
aspetti della lingua italiana al docente che non ha alle spalle studi spe-
cifici su di essa, ma è sicuramente esorbitante rispetto alle esigenze
dell’utente straniero.
Una via di mezzo fra tradizione e modernità rappresenta invece la
grammatica di Lo Duca e Solarino (2004), anch’essa parziale riedi-
zione di una precedente grammatica scolastica (Lo Duca e Solarino
1990). Dall’impostazione scolastica originaria è restata l’estrema chia-
rezza della lingua, che la rende adatta anche ad un pubblico non italo-
fono. Come vuole il titolo, Una grammatica ragionevole, si tratta di
un manuale ragionevolmente semplice, ragionevolmente normativo (la
formazione didattica delle due autrici le rende però particolarmente
attente ad analizzare e spiegare gli errori di bambini e ragazzi italiani)
e soprattutto attento a “ragionare” sulle regole proposte.
Ad una prima parte, che segue una scansione ed una terminologia
tradizionali (“Suoni”, “Segni”, “Categorie”, “La frase”, “Il periodo”),
pur arricchendosi delle nuove acquisizioni della linguistica moderna,
quali ad esempio le riflessioni su Acktionsart, sull’intonazione della
frase, o sulla valenza del verbo, si affiancano cinque capitoli dedicati
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 123
cupano un posto a parte i relativi, affiancati alla frase relativa, gli in-
terrogativi, inseriti nel capitolo dedicato a “Domande, risposte, escla-
mazioni”, e gli indefiniti, inseriti nel capitolo su “Altri pronomi ed ag-
gettivi pronominali”.
La terza parte, intitolata “Rapporti” e destinata più specificatamen-
te alla sintassi, segue invece un’impostazione innovativa, più di tipo
funzionale che formale: anziché introdurre un elenco di frasi coordina-
te e di subordinate, come tradizionalmente avviene nelle grammatiche
italiane, Patota sceglie di raggruppare le proposizioni in base alla loro
funzione, con capitoli del tipo “Collegare, aggiungere, escludere” (do-
ve trovano posto sia le congiunzioni coordinanti del tipo e, non, ma,
né, anche, pure, ecc., che le congiunzioni subordinanti fuorché, eccet-
to che, a meno che, ecc.); “Indicare un tempo, un luogo, un modo”.
Dopo un breve capitolo riservato alla formazione delle parole, con-
cludono il volume due capitoli, o piuttosto due schede. La parte quin-
ta, titolata “Argomenti”, si rifà alla grammatica valenziale e presenta
un quadro delle reggenze richieste da oltre 1600 verbi italiani. In ge-
nere vengono proposte «le reggenze obbligatoriamente richieste dal
verbo in base alla sua valenza; in alcuni casi, però, sono registrate co-
struzioni non obbligatorie ma frequenti, la cui indicazione può aiutare
soprattutto gli utenti stranieri a costruire una frase italiana in forma
sintatticamente corretta» (Patota 2006: 330), sulla scia di quanto ave-
vano fatto Trifone e Palermo (20001, 20072; si veda la tav. 2), nella lo-
ro grammatica appositamente pensata per l’apprendente straniero.
La sesta parte infine è costituita da una sorta di “Schedario”, che
contiene 80 brevi schede di sintassi, analisi logica e del periodo. Nelle
singole schede le tematiche possono essere trattate facendo riferimen-
to a categorie grammaticali recenti, ad esempio “Il soggetto” viene de-
scritto facendo uso della grammatica valenziale (ossia «il soggetto è
l’argomento principale di cui parla il verbo, ed è anche l’elemento che
dà al verbo la desinenza di persona e di numero e, in alcuni casi, di
genere» ivi: 431), ma anche utilizzando categorie più tradizionali,
quelle che tutti hanno conosciuto a scuola, ad esempio i complementi,
o la classificazione delle proposizioni. La grammatica di Patota è in-
fatti programmaticamente “eclettica”, nel senso che tenta «di “fare il
punto”, profittando […] delle esperienze» degli studi di grammatica
degli ultimi anni, nei tre diversi indirizzi presi dalla grammaticografia
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 125
dei verbi italiani, per cui si rinvia a Lo Duca 2003). Non mancano poi
cambiamenti anche dal punto di vista dell’esposizione, che si propone
di essere più chiara e didattica, soprattutto per «concetti e analisi che
si distaccano maggiormente dalla tradizione grammaticale» (ivi: 12).
L’attributo di “nuova” grammatica si riferisce però soprattutto
all’impostazione che vuole distinguersi da quella tradizionale: i due
autori si propongono infatti di descrivere le principali strutture morfo-
logiche e sintattiche della lingua italiana a partire da un’impostazione
strutturalista e generativa, che comunque rimane nello sfondo, pur in-
fluenzando la scelta degli argomenti trattati. Il tentativo è quello di of-
frire uno strumento che faccia «da ponte tra la visione scientifica mo-
derna dei fatti linguistici e l’insegnamento nella scuola, ancora pur-
troppo molto spesso legato a schemi tradizionali di cui la ricerca
scientifica ha da tempo mostrato l’inconsistenza» (ivi: 13).
La struttura è pertanto molto diversa da quella delle grammatiche
più tradizionali, come ad esempio Serianni (1997): manca del tutto la
parte sulla fonologia e i temi scelti riguardano prevalentemente la sin-
tassi e la morfosintassi, pur con importanti eccezioni come il primo
paragrafo del Capitolo 8 (“Il verbo”), titolato proprio “Morfologia”,
nel quale viene proposta un’efficace descrizione morfologica dei ver-
bi. Anziché presentare come di consueto liste di paradigmi, gli autori
cercano infatti di trovare delle regolarità nelle irregolarità, raggrup-
pando i verbi per tipologie: particolarmente funzionale risulta ad e-
sempio la descrizione dei verbi irregolari, che vengono suddivisi in
cinque schemi paradigmatici.
La prima parte del volume si sofferma sulla frase semplice, esa-
minando le principali “Funzioni grammaticali” come soggetto, og-
getto diretto e indiretto, ecc.; “La classificazione lessicale dei verbi”;
“Le principali strutture di frase” (ad esempio frase accusativa, inac-
cusativa), “L’accordo” ed “Il verbo”. La seconda parte presenta poi
la nozione di sintagma (nominale, aggettivale, preposizionale, avver-
biale). La terza è dedicata alla frase complessa: è interessante
l’analisi delle proposizioni, fatta sia in base alla forma del verbo (per
cui abbiamo proposizioni all’infinito, al gerundio, al participio e di
modo finito), sia in base alla funzione (per cui abbiamo argomentali,
extranucleari ed attributive). Infine, la quarta parte si sofferma su al-
cuni problemi generali, sia sintattici (“L’ordine delle parole nella
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 129
una rivisitazione dei più banali concetti di morfosintassi appresi a scuola per
mostrare come essi possano essere approfonditi e problematizzati, come, a
partire da essi, si apra la strada per uno studio della lingua sotto molteplici
punti di vista, come questi possano essere utilizzati come strumenti per ana-
lizzare e capire la struttura della lingua che parliamo» (Androno 2003: 3).
utile per gli insegnanti di italiano L2, che spesso si trovano a dover af-
frontare domande dei loro studenti la cui risposta non è affatto sconta-
ta. Attraverso la lettura di agili capitoli e la soluzione dei molteplici
esercizi proposti, il lettore viene infatti addestrato alla riflessione criti-
ca sui problemi grammaticali ed alla metodologia induttiva. Spesso ad
esempio Andorno inizia un paragrafo proponendo degli esempi e chie-
dendo di descrivere la regole (si veda la tav. 1).
Gli esercizi, tra l’altro, spesso possono venire proposti nella classe
di italiano L2 di livello intermedio alto-avanzato (tav. 1), con eventua-
li adattamenti e comunque suggeriscono un metodo di lavoro
all’insegnante.
Tavola 1: Riflessioni metalinguistiche proponibili anche a studenti stranieri di livello
intermedio-avanzato (tratto da Andorno 2003: 25)
Tavola 2: Appendice sulle reggenze verbali (da Trifone e Palermo 20072: 298)
3
Società che dal 1889 ha il compito di tutelare e diffondere la lingua italiana nel mondo e
di ravvivare i legami culturali con gli italiani all’estero.
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 135
• è incentrata sull’uso;
• è orientata alla soluzione di problemi;
• è basata su strategie di apprendimento;
Se, come sostiene Ciliberti (1991: 25) «una GP non costituisce soltan-
to un’opera di informazione, ma anche un’opera di formazione, che
tenta di far scoprire all’allievo i legami tra le risorse linguistiche, da
un lato, e le intenzioni comunicative del locatore, la particolare situa-
142 Capitolo 5
Tavola 3: Immagine utilizzata per presentare la perifrasi stare per + infinito (da
Mezzadri 1996: 116)
l’italiano standard – modellato sulla lingua parlata nel nord ovest – non pre-
vede l’uso del passato remoto nella lingua parlata e nello scritto informale
[…]. L’insegnamento attuale della lingua italiana spinge gli studenti stranieri
all’apprendimento della lingua standard (e non del modello toscano) e quindi
non è necessario imparare un uso attivo del p.r. Tuttavia, poiché questo tem-
po verbale è comunemente presente nella letteratura […] e in testi scritti di
tipo formale (ad es. in testi universitari) è molto importante saper riconoscere
questo verbo e saper ricondurre le sue complesse forme verbali al giusto ver-
bo infinito d’origine (o, nel caso della lingua parlata, al passato prossimo cor-
rispondente nell’italiano standard) (Latino e Muscolino 2005: 72).
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 147
4
Una delle più note ‘grammatiche in contesto’ per l’inglese è ad esempio Exploring
Grammar in Context di Carter, Hughes e Mc Carthy (2000): fin dalla premessa (p. VII) gli au-
tori sottolineano come il loro manuale si differenzi dagli altri perché utilizza esempi prove-
nienti da contesti reali, di grammatica in uso. Pur non mancando talvolta singole frasi che illu-
strano particolari fenomeni, in genere gli esempi contengono sentenze o estratti di conversa-
zioni, tratti da due importanti corpora per l’inglese (il CIC Cambridge International corpus e
il CANCODE corpus) e mostrano la g. nel suo contesto. Viene inoltre prestata particolare at-
tenzione alla grammar of choice (p. VII), evidenziando ad esempio perché in un certo contesto
si può fare un’elissi e in un altro no. L’approccio tende ad essere induttivo: si parte dai testi e
si fanno lavorare gli apprendenti nel ricercare e formulare le regole. Ogni unità prevede quat-
tro sezioni:
a) “Introduzione” (Introduction): contiene uno o due esercizi basati, dove possibile, su esempi
(in genere autentici) che orientano sul tema proposto, ad esempio testi con vari esempi di pas-
sato, seguiti da domande di riflessione.
b) “Scoprire gli schemi d’uso” (Discovering patterns of use): contiene esercizi di grammatica
in contesto, corredati di osservazioni che aiutano a capire regole ed eccezioni.
c) “Grammatica in azione” (Grammar in action): presenta altri esercizi basati sui dati presen-
tati, che esplorano più pienamente gli schemi (Patterns) ed ulteriori “osservazioni”, che si fo-
calizzano su scelte proprie del parlato o dello scritto. Viene riservata particolare attenzione
alle strutture idiomatiche e agli usi della lingua quotidiana.
d) “Rinforzo” (Follow up): attività aperte che possono comprendere miniprogetti, ulteriori
esplorazioni dei dati per approfondimenti fuori dalla classe o da soli.
Seguono ulteriori esercizi, le soluzioni, note ed un glossario.
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 149
forma è accettata (ad esempio il dativo gli per loro; il pronome sogget-
to lui per egli) o meno (Penso che tutti sono d’accordo; sognamo per
sogniamo; perchè, benchè, ecc.); alcune immagini da usare nella di-
dattica e tre tavole manoscritte per la lavagna luminosa, volte ad illu-
strare come sintetizzare le regole senza far uso di spiegazioni metalin-
guistiche esplicite. È allegato un CD con drill incentrati sui fonemi più
problematici per lo studente straniero.
Tavola 5: Proposte di lavoro sulle particelle temporali già, ormai, finalmente (da
Andorno, Bosc e Ribotta 2003: 174-76)
38
Le parcelle ormai e finalmente
PROPOSTA
DI LAVORO LIVELLO: AVANZATO
Ecco un esercizio che permetterà ai vostri allievi avanzati di esercitarsi nell’uso di
ormai e finalmente. L’esercizio consiste nell’inserimento di questa o quella parti-
cella in contesti caratteristici. La distribuzione dovrà risultare complementare:
39
Le parcelle già e ormai
PROPOSTA
DI LAVORO LIVELLO: AVANZATO
INTERROGABILITÀ:
1a) Sei già arrivato? No, non ancora (interrogabilità)
1b) *Sei ormai arrivato? No, non ancora (non interrogabilità)
PORTATA:
2a) Ci siamo visti già ieri (specificatore di sintagma)
2b) *Ci siamo visti ormai ieri (avverbio di frase)
COMPONENTE DELL’ANTICIPO:
3a) Sono solo le due e sei già qui (anticipo)
3b) ??Sono solo le due e sei ormai qui?
PARENTETICITÀ
4a) Sono vecchio, ormai (parenteticità)
4b) *Sono vecchio, già (non parenteticità)
USO ASSOLUTO:
5a) Che vuoi fare? Ormai! (uso assoluto)
5b) Che vuoi fare? *Già!
PORTATA RECIPROCA:
6a) Ormai Luigi ha già dieci anni (già nella portata di ormai)
6b) *Luigi ha già ormai dieci anni (*ormai nella portata di già)
CONCLUSIONE DI UN PROCESSO:
7a) (Dopo molto esercizio) Ormai dovresti sapere come si fa un’equazione!
7b) (Dopo molto esercizio) ??Dovresti già sapere come si fa un’equazione!
PERDUTA POSSIBILITÀ:
8a) A: Mi compri la nutella?
B: Ormai ti ho comprato la marmellata … ma se vuoi ti compro anche la nutella
8b) A: Mi compri la nutella?
B: Ti ho già comprato la marmellata … ma se vuoi ti compro anche la nutella
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 155
Come si vede, alcuni verbi intransitivi vogliono l’ausiliare essere, altri l’ausiliare avere;
non esiste una regola che permetta di stabilire quale ausiliare debba essere usato con
ciascun verbo. Nei casi di dubbio si confronti un dizionario (Dardano e Trifone 1997:
287).
I verbi transitivi formano i tempi composti solo con l’ausiliare avere […]. Quelli in-
transitivi possono formare i tempi composti con essere oppure con avere (tavola di es.).
Non esiste una regola generale per stabilire quale sia l’ausiliare richiesto dal verbo: ad
usare gli ausiliari giusti si impara solo attraverso l’uso. In casi di dubbio o di verbi mai
usati in precedenza è perciò consigliabile consultare qualche parlante esperto (Lo Duca
e Solarino 2004: 43-44)
34.
Non è possibile «dare una regola che permetta di stabilire quale ausiliare debba esse-
re usato con ciascun verbo» intransitivo (Dardano-Trifone 1985: 200) e alcuni gramma-
tici si rassegnano a compilare liste di verbi che richiedono essere o avere […]
In generale la coniugazione con avere implica un soggetto attivo, o meglio «atteggia
l’azione verbale in dipendenza dal soggetto» (Leone 1970: 24), mentre con essere ci si
limita a cogliere lo stato in cui il soggetto viene a trovarsi (quindi «ha camminato», ma
«è cresciuto»). Ma allora perché si dice «è tornato» o «l’autista ha sbandato»?
In Leone 1970 si esamina attentamente la questione, sviluppando un’idea di M. Po-
rena e con l’intento di arrivare a un quadro di riferimento complessivo.
Il verbo intransitivo richiederebbe essere quando il participio può adoperarsi come
attributo; richiederebbe avere quando l’uso attributivo non è possibile, tranne che il par-
ticipio non sia sentito come aggettivo autonomo: in tal caso «l’ausiliare avere è necessario
per restituire ad esso la sua dignità verbale». Quindi:
a) Hanno l’ausiliare essere, tra gli altri, i verbi accadere, arrivare, cadere, costa-
re, morire, nascere, succedere, venire, perché i rispettivi participi passati ammettono
l’uso attributivo «gli avvenimenti accaduti quest’anno», «il treno arrivato poco
fa», «la casa costata tanti sacrifici», e così via.
b) L’ausiliare avere figura invece in verbi come camminare, cenare, contravve-
nire, dormire, giocare, piangere, viaggiare, in quanto i rispettivi participi passati non
possono fungere da attributi (tranne che non ammettano valore passivo «un
uomo pianto universalmente», «un giorno sognato a lungo», ecc.); non si può
dire *un viandante camminato (per ‘che ha camminato’), *il bambino dormito (per
‘che ha dormito’), ecc. […]
c) Ancora avere si adopera con verbi quali esagerare, navigare, riposare,
sbandare, nonostante la possibilità di un participio passato con valore attributi-
vo («severità esagerata», «politico navigato», ecc.), poiché tali participi sono
ormai avvertiti dai parlanti come aggettivi autonomi e l’ausiliare avere è neces-
sario quando si voglia sottolinearne l’uso verbale «sei esagerato con tuo figlio»
(aggettivo)/«hai esagerato con tuo figlio» (verbo).
35. Tuttavia è solo l’uso, in questo caso particolarmente oscillante, a stabilire i con-
fini tra i diversi gruppi. Con bastare (personale), ad esempio, la possibilità di un uso at-
158 Capitolo 5
tributivo del participio esiste ma è remota («i soldi bastati a me basteranno anche a noi
due»): ed ecco che accanto al prevalente ausiliare essere («i loro mezzi personali non sa-
rebbero bastati» Manzoni, I Promessi Sposi, I 50) si trova, – o almeno si trovava fino a ieri
– anche avere; «una lunghissima vita […] avrebbe appena bastato ad appagar il mio cuo-
re» (Nievo, Le confessioni di un italiano). […]
36. Ben pochi, dunque, i punti fermi. Si può comunque rilevare una tendenza che
opera nell’italiano contemporaneo: una lenta espansione di avere ai danni di essere (cfr.
SATTA 1981: 334). Talvolta avere può essere favorito dalla concomitanza di uso transiti-
vo e intransitivo; così per servire […]è abbastanza naturale che accanto ad essere figuri
avere («una toga ormai consunta che gli aveva servito, molti anni addietro, per perorare»
Manzoni, I Promessi Sposi III 17; «non ho servito a nulla, non abbiamo servito a nulla»
Piovene, cit in SATTA); e allo stesso modo vivere − che ammette abbastanza spesso un
oggetto interno, molto raro invece in morire − accetta avere («come aveva sempre vissu-
to» Deledda, L’incendio nell’oliveto, 16) mentre non sarebbe possibile *aveva morto se non
nell’accezione arcaica e letteraria di ‘uccidere’ («loro erano consapevoli di chi lo aveva
morto» Levi, Le parole sono pietre).
Ma altre volte una spiegazione del genere non reggerebbe: si vedano tre esempi di
verbi con l’ausiliare avere in cui ci aspetteremo essere secondo il criterio del Leone (grup-
po a): «il vestito troppo largo e donnesco che aveva appartenuto alla madre» Moravia,
Gli indifferenti, 96), «aveva sgusciato attraverso gole minacciose» (Tomasi di Lampedusa,
cit. in Satta 1981: 334), «salvo qualche insulto e qualche provocazione, ha prevalso la
partita a biliardo» (A. Cavallari, nella «Repubblica», 11.6.1987, 1).
Alcuni verbi possono presentare sia l’ausiliare essere che l’ausiliare avere, possono cioè
comportarsi sia come verbi inaccusativi che come verbi intransitivi o transitivi. In gene-
re questa differenza sintattica è accompagnata da una differenza semantica. Oltre ai casi
discussi in 4.3, ricordiamo quello dei verbi meteorologici, con i quali la variante inaccu-
sativa sottolinea il risultato (3a), quella intransitiva l’evento (3b) (ma esiste una tendenza
ad usare avere anche in esempi come 3.a)
Con altri verbi la differenza è legata al carattere agentivo del Soggetto (cfr. 4.3); così
mancare è intransitivo se il Soggetto è AGENTE (4a), ma è inaccusativo se il soggetto è
OGGETTO (4b).
(4) a. Piero ha mancato di parola.
b. Gli è mancato il coraggio.
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 161
Tavola 9: Selezione degli ausiliari nei tempi composti per Trifone e Palermo (2007:
120-21)
Tavola 10: Selezione degli ausiliari nei tempi composti per Bertocchi e Lugarini
(2004: 183-84)
No, i verbi comprare e vedere non utilizzano, per la formazione dei tempi composti, il
verbo essere.
Vi sono dunque verbi che formano i tempi composti il verbo essere, e vi sono altri
verbi che formano i tempi composti con avere.
Quando allora, per formare i tempi composti dei verbi, si usa il verbo essere e quando
il verbo avere?
Rispondi. I verbi venire (è venuto) e andare (sei andato) sono
□ transitivi □ intransitivi?
Sono intransitivi.
Sono transitivi.
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 163
Possiamo affermare che i verbi transitivi formano i tempi composti con il verbo
□ avere □ essere.
Esatto con il verbo avere.
In questa particolare funzione i verbi essere e avere sono chiamati VERBI AUSILIARI.
VERBI INTRANSITIVI
CON “AVERE”
Alcuni verbi intransitivi for-
mano i tempi composti con il
verbo avere (ad esempio: Io ho
camminato a lungo, Chiara ha
viaggiato spesso). Non esiste
perciò una regola di forma-
zione dei tempi composti
precisa: occorre osservare
l’uso che al lingua fa di questi
verbi. La grande maggioranza
dei verbi intransitivi usa però
il verbo essere.
Tavola 11: Selezione degli ausiliari nei tempi composti per Lepschy e Lepschy
(1981: 132-34)
Ausiliari. Di regola i transitivi si coniugano con l’ausiliare avere e gli intransitivi con
l’ ausiliare essere. Diamo una lista di alcuni verbi comuni che vanno con essere: accadere,
andare, arrivare, bastare, bisognare, cadere, comparire, costare, dipendere, diventare, entrare, essere,
morire, nascere, parere, partire, piacere, restare, rimanere, riuscire, scappare, sembrare, sparire, spiacere,
stare, succedere, venire.
164 Capitolo 5
transitivo, quando è usato intransitivamente vuole essere e di solito viene prima del no-
me: è suonata la sveglia, è suonato il campanello; oppure avere e di solito va dopo il nome: la
sveglia ha suonato, le campane hanno suonato a festa; il pianista ha suonato male. Altri verbi pos-
sono andare con entrambi gli ausiliari: appartenere: questo libro ha o è appartenuto a Ugo; at-
tecchire: queste parole non hanno o non sono attecchite nell’italiano.
I tempi composti dei verbi italiani si formano o con l’ausiliare avere o con l’ausiliare
essere: di solito una forma esclude l’altra. Non esiste una regola sistematica che determini
la scelta dell'uno o dell’altro ausiliare; tuttavia possono aiutarci alcune indicazioni di
carattere pratico.
In generale, il verbo avere si adopera come ausiliare:
[a] di se stesso: “Marco non ha avuto molta fortuna”;
[b] di tutti i verbi transitivi (cioè quelli che reggono un complemento oggetto diretto),
tranne i verbi riflessivi: “Susanna ha incontrato una cara amica”);
[c] di alcuni verbi intransitivi (che non possono reggere un complemento oggetto
diretto, ma solo un complemento indiretto con preposizione): “Ho passeggiato un po’
per Via Veneto”.
I verbi di movimento hanno generalmente come ausiliare essere: andare, venire, partire,
entrare ecc.: “Claudia è partita per Milano”; “È entrato in casa un ladro”, ma non mancano
verbi di movimento che hanno come ausiliare avere (per esempio camminare, passeggiare,
viaggiare: “Ho camminato tutta al mattina”, “Ho camminato molto”, ecc). Si può notare che i
verbi del primo gruppo mettono in primo piano il fatto e il risultato del movimento in
sé, mentre i verbi del secondo gruppo mettono in primo la qualità, il tipo del
movimento.
I verbi correre e passare, che quando indicano movimento hanno come ausiliare essere,
quando significano “sperimentare” e ‘trascorrerere” reggono un complemento oggetto
diretto e hanno come ausiliare avere. Si noti la differenza:
Anche alcuni altri verbi costituiscono un’eccezione alla regola dell’ausiliare unico: i loro
tempi composti possono fermarsi sia con essere sia con avere, senza differenze, o con
differenze di significato. Ecco i più comuni:
Tavola 13: Passato prossimo e scelta degli ausiliari (da Mezzadri 1996: 74)
Tavola 14: Esercizio per distinguere i diversi tipi di verbi sulla base di criteri sintat-
tici o semantici (da Latino e Muscolino 2005: 61)
Tavola 15: L’ausiliare con i verbi di movimento (Chiuchiù e Chiuchiù 2005: 64)
170 Capitolo 5
Tavola 16: Selezione dell’ausiliare essere o avere secondo Rastelli (2006: 18)
Tavola 17: Passato prossimo: scelta dell’ausiliare(dal corso on-line A spasso con
Virgilio, livello A1)
5
Lo Duca (2006: 125) scrive ad esempio «i verbi pronominali sono nella nostra termino-
logia tutti i verbi che si coniugano con l’ausilio di un pronome personale atono».
172 Capitolo 5
• con significati diversi (cominciare, finire, ecc.): sono verbi che possono
essere transitivi o non transitivi. Quando sono transitivi hanno avere,
quando non sono transitivi hanno essere.
Transitivo Non transitivo
Finire Tommaso ha finito i compiti. Il corso di inglese è fini-
to ieri.
cominciare Sofia ha cominciato un nuovo li- Il film è cominciato
bro. da cinque minuti.
Tavola 19: Esempi di focalizzazione sulla selezione dell’ausiliare con i verbi di mo-
vimento
(1) Livello A1
Juan: Ieri sera ho andato in discoteca.
Insegnante: Ho andato? È un verbo di movimento, ricordi?
Juan: Mmm… sì, sono andato in discoteca…
(2) Livello A2
Insegnante: Hai fatto sport questa estate? Per esempio hai nuotato, hai giocato a tennis?
Xavier: Sì, ho nuotato, ho pattinato, ho ballato tutte le sere.
Tavola 20: Proposta di descrizione della selezione degli ausiliari per un livello C1
(sulla base di Salvi e Vanelli 2004)
Sono corrette questa frasi? Perché si dice sono andati ma hanno camminato, hanno passeg-
giato?
Vogliono avere:
- tutti i verbi transitivi (fare, dire, prendere, ecc.);
- i verbi intransitivi (camminare, funzionare, sorridere, ecc…);
Vogliono essere:
- i verbi pronominali (lavarsi, pentirsi, incontrarsi);
- i verbi inaccusativi (arrivare, venire).
Verbi transitivi = quelli che sono seguiti da un comple-
mento oggetto
Si distinguono in:
INTRANSITIVI (ausiliare avere)
INACCUSATIVI (ausiliare essere)
Come li riconosci?
- il soggetto si trova spesso dopo il verbo:
È arrivato Giovanni.
Una volta sottoposta agli studenti questa sorta di test sintattico per
stabilire se un verbo è inaccusativo o meno, ci si può soffermare anche
sulle sue proprietà semantiche, in particolare sulla telicità, magari par-
tendo da esempi che la chiariscano:
Tavola 21: La telicità (esempi tratti da Salvi e Vanelli 2004: 52)
Osserva le frasi:
(1a). Gianni ha corso per tre ore.
(1b). Gianni è corso a casa.
Perché nei casi 1a e 2a si usa l’ausiliare avere e nei casi 1b e 2b essere? Qual è la diffe-
renza?
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Finito di stampare nel mese di settembre del 2011
dalla ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l.
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