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L'autrice ringrazia della concessione dei diritti di riproduzione gli autori e
le case editrici che hanno risposto positivamente. Resta invece a disposi-
zione degli aventi diritto con cui non è riuscita a comunicare.
Elena Maria Duso

Dalla teoria alla pratica:


la grammatica nella classe
di italiano L2
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ARACNE editrice S.r.l.

www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it

via Raffaele Garofalo, 133 A/B


00173 Roma
(06) 93781065

ISBN 978–88–548–1393–9

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,


di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie


senza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: ottobre 2007


Ai miei adorati Francesco e Giulio
e alla piccola Matilde in arrivo
INDICE

p. 9 PRESENTAZIONE

p. 13 1. FARE GRAMMATICA NELLA CLASSE DI ITALIANO L2?


1.1. Le risposte della ricerca

p. 19 2. COSA INSEGNARE. I CONTENUTI


p. 20 2.1. Il concetto di “grammatica”
p. 21 2.2. Una grammatica funzionale alla comunicazione
p. 22 2.3. Scelta e sequenziazione degli argomenti: i criteri
p. 22 2.3.1. Generalità
p. 24 2.3.2. Frequenza, marcatezza e salienza dell’input
p. 25 2.3.3. Difficoltà formale
p. 28 2.3.4. Bisogni specifici degli apprendenti
p. 29 2.4. Gradualità e ciclicità

p. 33 3. COME INSEGNARE. 1. I METODI. RIFLESSIONI TEORICHE


SULL’INSEGNAMENTO DELLA GRAMMATICA
p. 33 3.1. Premessa
p. 34 3.2. Dal vecchio al nuovo paradigma
p. 35 3.3. Krashen e l’opzione zero
p. 38 3.4. Il ritorno della grammatica nei metodi comunicativi
p. 40 3.5. Focalizzare la forma (Focus on form)
p. 42 3.6. Tecniche incentrate sull’input
p. 46 3.6.1. La Presa di coscienza (Consciousness Raising)
p. 48 3.6.2. La Processazione dell’input (Input Processing) e
l’Istruzione basata sul sistema di processazione dell’input
(Processing Instruction)
p. 54 3.7. Approcci incentrati sull’output
p. 59 3.8. Alcuni modelli teorici dell’apprendimento di una L2
p. 62 3.9. Conclusioni: un compromesso

p. 65 4. COME INSEGNARE. 2. LA GRAMMATICA NELLA CLASSE DI


ITALIANO L2: RIFLESSIONI METODOLOGICHE.
p. 65 4.1. Premessa
7
8 Indice

p. 65 4.2. Il tempo da dedicare alla grammatica


p. 69 4.3. Approccio induttivo e deduttivo: chiarimenti
terminologici
p. 70 4.4. Mettere a fuoco le forme
p. 76 4.5. Esercitare le forme. La pratica
p. 76 4.5.1. La pratica guidata
p. 87 4.5.2. La pratica più libera
p. 93 4.6. Un atteggiamento eclettico
p. 94 4.7. Gli “esperimenti grammaticali”
p. 97 4.8. La scelta dell’input
p. 99 4.9. Quale lingua per riflettere sulla lingua?
p. 104 4.10. L’analisi contrastiva
p. 109 4.11. Riflessione metalinguistica e correzione degli errori

p. 117 5. GLI STRUMENTI: LE GRAMMATICHE PER INSEGNARE


L’ITALIANO L2.
p. 117 5.1. Premessa
p. 118 5.2. Quali grammatiche?
p. 119 5.3. Le grammatiche descrittive
p. 120 5.3.1. Grammatiche descrittive per italofoni con
impostazione tradizionale
p. 126 5.3.2. Grammatiche descrittive per italofoni con
impostazione meno tradizionale
p. 132 5.3.3. Grammatiche descrittive specifiche per stranieri
p. 137 5.4. Le grammatiche pedagogiche: uno statuto complesso
p. 141 5.4.1. I criteri della rassegna
p. 141 5.4.2. Grammatiche pedagogiche per studenti
p. 142 5.4.2.1. Grammatiche pedagogiche con esercizi
p. 149 5.4.2.2. Strumenti parziali
p. 150 5.4.3. Grammatiche pedagogiche senza esercizi
p. 151 5.4.4. Strumenti ludici
p. 151 5.4.5. Grammatiche pedagogiche per insegnanti
p. 155 5.5. Un esempio concreto: la selezione dell’ausiliare nella
formazione di un tempo composto nelle diverse grammatiche
p. 156 5.5.1. Analisi delle grammatiche
p. 170 5.5.2. Considerazioni finali e proposte operative

p. 179 Bibliografia
Presentazione
Questo libro nasce dal tentativo di indagare, analizzando saggi teorici
e strumenti didattici, e confrontandosi con l’esperienza in classe, quali
sono le specificità dell’insegnamento della grammatica di una lingua
seconda, con particolare riguardo all’italiano. Mentre per lingue come
l’inglese o lo spagnolo la bibliografia sull’insegnamento della
grammatica è infatti ricchissima, per l’italiano essa appare ancora
abbastanza scarna, e, soprattutto, frammentata. Contributi
estremamente significativi non mancano, ma essi sono spesso parziali,
datati e di difficile reperimento o ancora non specificamente
indirizzati all’italiano L2.1
Il titolo Dalla teoria alla pratica: la grammatica nella classe di
italiano L2 fa riferimento alla struttura del volume, organizzato come
un percorso in cinque capitoli, che introducono gradualmente il lettore
alla pratica dell’insegnamento, dopo averlo fatto riflettere
sull’importanza della riflessione metalinguistica attraverso una sintesi
degli studi di ricerca teorica. Se infatti il primo capitolo vaglia studi
sperimentali condotti in ambito anglosassone ed italiano
sull’opportunità di introdurre all’interno di un approccio comunicativo
momenti di riflessione sulla lingua, i capitoli successivi si soffermano
sul come insegnare la grammatica dell’italiano e sugli strumenti utili
per farlo.
Il secondo capitolo in particolare chiarisce il significato che ha
assunto ai giorni nostri il termine “grammatica”, e si incentra sui
criteri di selezione e messa in sequenza degli argomenti da insegnare.
Il terzo capitolo presenta invece un breve excursus sulla ricerca
nell’ambito dell’insegnamento della grammatica dagli ultimi vent’anni
del secolo scorso ad oggi, a partire da Krashen e dai metodi
comunicativi. Vengono presentate dunque in italiano proposte
metodologiche (Consciousness Raising, Input Ehancement, ecc.)
sviluppatesi per l’insegnamento di lingue seconde come l’inglese e lo
spagnolo, che a differenza dell’italiano, contano su di una notevole

1
Cito in particolare il mio debito con Prat Zagrebelski 1985, Ciliberti 1991, Giunchi 2000
e 2002, Andorno, Bosc e Ribotta 2003.

9
10 Presentazione

tradizione di insegnamento e sono da molti anni oggetto di studi


didattici.2
Il quarto capitolo passa alla parte più pratica, presentando alcune
riflessioni su problemi contingenti, quali il tempo da dedicare alla
riflessione sulla lingua, il tipo di esercizi da utilizzare per le diverse
fasi (con ricca esemplificazione), la terminologia da impiegare in
classe, le tecniche di correzione degli errori.
Il quinto capitolo infine presenta i “ferri del mestiere”
dell’insegnante, ossia consiste di una dettagliata rassegna delle
grammatiche dell’italiano, sia descrittive che pedagogiche, a partire
dalla fine del secolo scorso. Alla descrizione vengono affiancate delle
schede esplicative tese ad individuare le principali caratteristiche ed i
punti maggiormente interessanti per il docente di italiano L2. Un
lungo paragrafo finale poi esemplifica la differenza tra le diverse
grammatiche nella trattazione di un argomento quale la selezione
dell’ausiliare nella formazione dei tempi composti.

Ringraziamenti
Questo libro deve moltissimo all’esperienza di insegnamento a stranieri, in
particolare studenti appartenenti al programma di scambio Erasmus presso il Centro
Linguistico di Ateneo dell’Università di Padova e lavoratori immigrati presso
l’Associazione Unica Terra di Padova, e dai laboratori rivolti agli insegnanti (o
aspiranti tali) del Master di Italiano L2 dell’Università di Padova. Molte delle idee
sono inoltre scaturite dalla riflessione e dalla sperimentazione che hanno
accompagnato la stesura del Sillabo di italiano come L2 recentemente edito da Lo
Duca (2006): dichiaro quindi il mio debito con i colleghi CEL e Tecnici linguistici
dell’Università di Padova (Cristina Capuzzo, Elena Folcato, Ivana Fratter, Luisa
Marigo, Luigi Pescina, Benedetta Zatti) e soprattutto con Maria G. Lo Duca, la
nostra guida, alla quale devo anche l’incoraggiamento a scrivere di questo

2
Il costante confronto con la bibliografia in lingua inglese comporta la necessità di
adattare un linguaggio tecnico che spesso non ha riscontri diretti in italiano. La nostra scelta è
stata quella di lasciare in inglese termini entrati nella glottodidattica, come input, output, drill;
di tradurre invece – nel modo più letterale possibile – la terminologia più specifica, come ad
esempio i nomi dei diversi approcci (Focus on form “focalizzazione sulla forma”) e le
citazioni bibliografiche, pur lasciando anche, magari in nota, il corrispettivo in inglese.
Particolari problemi ha posto il termine practice, che non ha une esatto corrispettivo in
italiano, ma che forse dovrebbe tradursi con una perifrasi del tipo “esercitazione pratica”, o
simili. In questo caso specifico, abbiamo scelto di adottare il calco “pratica”, che assume
quindi precisa connotazione tecnica.
Presentazione 11

argomento ed il continuo sostegno. Ringrazio poi della lettura e dei commenti Maria
P. Lo Duca e Laura Vanelli. La responsabilità del contenuto resta comunque mia.
Capitolo 1

Fare grammatica nella classe di italiano L2?

1.1. Le risposte della ricerca

Per 2500 anni la lingua straniera è stata insegnata secondo il metodo


utilizzato per le lingue classiche, ossia il metodo grammaticale-
traduttivo, che prevedeva la presentazione esplicita delle regole e e-
sercizi su queste attraverso la pratica della traduzione dalla lingua di
partenza alla lingua di arrivo. A partire dalla metà del XX secolo però,
la nascita di nuove teorie sui meccanismi di apprendimento delle lin-
gue e la conseguente loro applicazione alla glottodidattica hanno mes-
so in crisi la metodologia tradizionale, portando in un primo momento
ad un rifiuto totale dell’insegnamento grammaticale esplicito, poi ad
un lungo processo di riabilitazione (su questo il capitolo 3). Oggi pre-
vale nettamente l’idea che la grammatica nella classe di L2 vada inse-
gnata. Ma perché? Quali sono le ragioni che hanno spinto a ciò?
Partiamo da un dato di fatto: a partire dagli anni ’90, la ricerca
sull’apprendimento della L2 (sintesi in Spada 1997, Ellis 1997: 51-55)
ha dimostrato che un insegnamento puramente comunicativo, che si
incentra cioè sul significato, trascurando la riflessione sulla forma,
sviluppa sì le capacità discorsive degli studenti, la loro spigliatezza, la
fluenza, ma è carente dal punto di vista dell’accuratezza formale: di-
versi studi hanno verificato ad esempio che giovani canadesi che se-
guivano programmi di immersione totale nel francese come L2 o in
classi di inglese come L2, dopo molti anni di insegnamento, commet-
tevano ancora moltissimi errori di tipo morfosintattico (Spada 1997:
76).
Ciò non vale necessariamente per tutti gli apprendenti, né tanto
meno per tutte le strutture: ce ne sono molte infatti che, essendo parti-
colarmente rilevanti dal punto di vista della comunicazione o molto
frequenti nell’input, vengono acquisite facilmente in modo naturale,
inconscio; ma ve ne sono altre che – per motivi diversi (scarsa salien-
za nell’input, distanza tipologica tra L1 ed L2, difficoltà formale, si
veda poi par. 2.3.3) – appaiono resistere all’apprendimento implicito e

13
14 Capitolo 1

non possono essere apprese – o possono esserlo molto lentamente –


senza un’istruzione esplicita (Schimdt 1990, N. Ellis 2005). Sembra
dunque che l’ipotesi di Krashen dell’ “input comprensibile + 1”, se-
condo la quale per apprendere una seconda lingua è sufficiente essere
sottoposti ad un input leggermente al di sopra della propria conoscen-
za (si veda 3.2), su cui si è fondata la cosiddetta “versione forte” dei
metodi comunicativi, non trovi riscontro nella realtà, o almeno trovi
un riscontro parziale.
Molti studi hanno cercato di indagarne le cause; una risposta im-
portante è venuta da Schmidt (1990, 2001), il quale ha sostenuto che
per apprendere una struttura non basta essere esposti passivamente ad
essa, ma bisogna “notarla” nell’input. Schmidt (1990, 2001) infatti os-
serva che è possibile un apprendimento di tipo implicito, incidentale,
quando un compito comunicativo orienta da sé l’attenzione
dell’apprendente su costrutti rilevanti dell’input. Quando invece le
forme linguistiche non sono portatrici di strutture cruciali per il com-
pito da portare a termine, è difficile che vengano notate. L’attenzione
dell’apprendente è infatti selettiva e tende a concentrarsi sul significa-
to prima che sulla forma (Van Patten 1996, si veda par. 3.6.2). La
molla che fa scattare l’apprendimento di una forma linguistica è dun-
que il noticing, ossia il “notare” in modo consapevole, conscio.
Schimdt (1990) sostiene che mentre l’input comprensibile è condizio-
ne necessaria per apprendere, ma da sé non basta, il noticing è condi-
zione necessaria e sufficiente per convertire l’input in intake, ed arriva
a definire l’intake «quella parte dell’input che l’apprendente nota»
(Schmidt 1990: 139).1
Del resto studi di neuropsicologia hanno dimostrato che la necessi-
tà di prendere coscienza delle forme (consciousness)2 non caratterizza
solamente l’acquisizione di una seconda lingua, ma qualsiasi tipo di
apprendimento. La Global Workspace Theory di Baars (1983, 1997)
1
«Intake is that part of the input that the learner notices».
2
Per consciousness si intende “la presa di coscienza metalinguistica”, «la conoscenza
formale e consapevole, frutto di un processo di apprendimento guidato in un contesto educati-
vo formale, che può aver luogo a scuola o mediante lo studio autonomo», del funzionamento
di una lingua, in opposizione a “consapevolezza linguistica” ossia «la conoscenza informale,
intuitiva, generalmente interiorizzata attraverso il processo di acquisizione spontanea della
propria lingua o di qualsiasi lingua “assorbita” in contesto naturale» (Giunchi 2000: 41-42,
che si rifà a Titone 1992: 22).
Fare grammatica nella classe di italiano L2? Le risposte della ricerca 15

ad esempio, paragona il nostro sistema cognitivo ad un teatro, nel qua-


le la presa di coscienza delle forme è una sorta di porta, di interfaccia,
che dà accesso ad una parte essenziale del sistema nervoso:
L’intero palcoscenico del teatro corrisponde alla memoria in funzione, il si-
stema della memoria immediata nel quale noi parliamo a noi stessi, visualiz-
ziamo i luoghi e le persone, e pianifichiamo le azioni. Nel teatro in funzione,
la c. focale agisce come un fascio di luce sul palcoscenico. Gli eventi consci
se ne stanno lì, monopolizzando il tempo alla ribalta. La macchia luminosa è
poi circondata da un margine […] o penombra […] di eventi associati vaga-
mente consci. L’informazione che viene dal fascio di luce è globalmente di-
stribuita al vasto pubblico di tutti i modelli inconsci che noi usiamo per adat-
tarci al mondo. Il teatro collega eventi molto limitati che prendono spazio sul
palcoscenico con un vasto pubblico, così come la c. coinvolge informazioni
limitate che danno accesso al vasto numero di fonti inconsce della conoscen-
za. La c. è l’organo di pubblicità del cervello. È come una facilitazione per
accedere, disseminare e scambiare le informazioni e per esercitare attenzione
e controllo globali. La c. è l’interfaccia (N. Ellis 2005: 312).3

prestare attenzione – divenire conscio di un materiale – sembra essere il ri-


medio sovrano per imparare qualsiasi cosa, applicabile a generi di informa-
zione molto diversi. È il solvente universale della mente (Baars 1997: 304)4.

Si può aiutare l’apprendente a notare una forma utilizzando molte


tecniche, a diverso grado di esplicitezza (che illustreremo in parte nel
capitolo 3), ma sicuramente la riflessione metalinguistica5 diretta risul-

3
«The entire stage of the theatre corresponds to working memory, the immediate memory
system in which we talk to ourselves, visualize place and people, and plan actions. In the
working theatre, focal consciousness acts as a bright spot on the stage. Conscious events hang
around, monopolizing time in the limelight. The bright spot is further surrounded by a fringe
[…] or penumbra […] of associated, vaguely conscious events. Information from the bright
spot is globally distributed to the vast audience of all of the unconscious modules we use to
adapt to the world. A theatre combines very limited events taking place on the stage with a
vast audience, just as consciousness involves limited information that creates access to a vast
number of unconscious sources of knowledge. Consciousness is the publicity organ of the
brain. It is a facility for accessing, disseminating, and exchanging information and for exercis-
ing global coordination and control. Consciousness is the interface».
4
«Paying attention – becoming conscious of some material – seem to be the sovereign
remedy for learning anything, applicable to many very different kinds of information. It is the
universal solvent of the mind».
5
Utilizzeremo spesso l’etichetta già ampiamente in uso a partire dai programmi della
scuola media italiana del 1979, di “riflessione metalinguistica” o di “riflessione sulla lingua”
che − come sottolinea Prat Zagrebelskj (1985: 64 n. 5) − ha il pregio di sottolineare «sia il
16 Capitolo 1

ta particolarmente adeguata allo scopo e tutto sommato naturale, in


quanto rispecchia processi che avvengono all’interno di ciascun ap-
prendente.
La linguistica acquisizionale infatti, una nuova branca della lingui-
stica applicata che studia l’apprendimento di una L2 (Chini 2005)6,
sviluppando idee nate con Chomski (par. 3.2), ha rivelato che
l’acquisizione di una L2, come quella di una L1, avviene attraverso la
progressiva elaborazione di ipotesi sui dati forniti dall’input, ipotesi
che portano l’apprendente a scoprire, a ricostruire, un poco alla volta,
il sistema della lingua d’arrivo (Lo Duca 2004b). Il percorso che
l’apprendente compie, soprattutto ai primi stadi, è sempre lo stesso,
indipendentemente dalla lingua di partenza, che può, al massimo, ac-
celerare o rallentare il processo (si veda poi 2.3.1).
Per acquisire una lingua quindi l’apprendente deve fare delle ipote-
si su di essa, ossia attivare un processo di riflessione metalinguistica
che può avere diversi gradi di consapevolezza ma che comunque esi-
ste e che riguarda tutti. La scuola dunque deve prendere atto di questo
processo, e ha il compito di facilitarlo, esplicitando tale riflessione e
cercando di guidarla, nella consapevolezza che se l’insegnamento e-
splicito non può alterare l’ordine di acquisizione, può sicuramente ac-
celerarlo.
Ci si potrebbe chiedere tuttavia se davvero la riflessione esplicita
sulla lingua può giovare a tutti gli apprendenti o se invece è opportuno
fare delle distinzioni tra le diverse tipologie di apprendenti.
Studi sulle modalità di apprendimento condotti negli ultimi anni
(per una sintesi Chini 2005 cap. 3-6, DeKeyser 2002, Pallotti 1998
cap. 4-6) rivelano che mentre i bambini hanno la possibilità di impara-

ruolo attivo e cosciente dello studente sia l’allargamento dell’ambito dei fenomeni linguistici
considerati» (si veda par. 2.1).
6
In generale in questo volume intendiamo per lingua seconda (L2) qualsiasi tipo di lingua
appresa in età successiva alla lingua materna (LM) o lingua prima (L1), ossia come etichetta
sovraordinata che comprende sia la lingua straniera (LS), cioè «la lingua non materna appresa
in un Paese dove normalmente non è parlata (ad es. il russo in Italia o in Marocco)» (Chini
2005: 12), sia la lingua seconda in senso stretto, cioè la lingua non materna appresa in un Pae-
se in cui è la lingua parlata normalmente dalla maggioranza della popolazione. Dove necessa-
rio, distingueremo invece i concetti di L2/LS.
Fare grammatica nella classe di italiano L2? Le risposte della ricerca 17

re una lingua implicitamente in modo perfetto, da parlante nativo, se


sottoposti ad un input ricco, in un’età compresa tra i 6/7 e i 16/17 anni
ogni individuo perde gradualmente tale potenzialità. È molto difficile
pertanto che un adulto riesca ad apprendere perfettamente una L2, a
meno che egli non sia dotato di notevoli capacità analitiche (quella
che Krashen definiva aptidude): dopo la soglia dei 16/17 anni infatti
buona parte della grammatica di una L2 si apprende esclusivamente
per via esplicita (è la Fundamental Difference Hypothesis di Bley-
Vroman 1988).
Va precisato che l’aptitude è differente dalla scolarizzazione, non
coincide con essa (DeKeyser 2002: 515), pertanto non pare faccia dif-
ferenza il grado di istruzione dell’apprendente, benché sia innegabile
che l’adulto istruito, essendo più abituato a procedimenti di astrazione
quali sono spesso quelli più comuni di riflessione metalinguistica, in-
contra minori difficoltà nel processo di riflessione. Anche l’appren-
dente di profilo culturale più basso tuttavia, ad esempio il lavoratore
immigrato, compie lo stesso lavorio di riflessione interna e ne è con-
sapevole in quanto è in grado di verbalizzare alcuni processi, come ha
dimostrato una ricerca condotta da Vedovelli 1990 su immigrati che
apprendevano l’italiano L2 in contesto spontaneo. Anche con tale tipo
di apprendente dunque la riflessione sulla lingua, se condotta in modo
appropriato, può portare a buoni risultati.
Infine, i bambini: la ricerca sostiene che qualsiasi bambino (che
non abbia particolari deficit cerebrali) può apprendere perfettamente
una lingua anche in modo implicito, ed anzi riesce meglio così che at-
traverso la via dell’esplicitazione, purché sia sottoposto ad un input
molto ricco quale solo un programma di immersione totale in una LS
o la vita in un contesto di L2 possono permettere (DeKeyser 2002:
520). Il che non significa che un corso comunicativo di due o tre ore la
settimana sia sufficiente. In tal caso, potrebbe essere che il supporto di
una qualche forma di riflessione sulla lingua, anche in questo caso op-
portunamente condotta, magari in forma più giocosa, meno analitica,
possa giovare all’apprendimento della L2.
Il problema più grosso dunque per un insegnante di L2 non è se
proporre una riflessione esplicita sulla lingua ma come farlo, in modo
da non tornare indietro a metodi del passato, ma da rispettare la cen-
tralità della comunicazione.
18 Capitolo 1

Cercheremo dunque, sulla base degli studi fatti anche su altre L2,
di riflettere su cosa insegnare, e come farlo, senza fornire “un” metodo
preconfezionato, ma presentando diverse alternative possibili, e discu-
tendone i pro e contro.
Capitolo 2

Cosa insegnare. I contenuti


2.1. Il concetto di “grammatica”

A partire dalla fine degli anni ’50 del secolo scorso il concetto di
“grammatica” ha subito una profonda revisione, sia in prospettiva teo-
rica che glottodidattica. Con “grammatica” oggi non si indica più solo
il tradizionale nucleo di regole morfosintattiche di una lingua, ma
«quell’insieme di regole che permettono ad un parlante di comprende-
re e produrre frasi corrette nella sua lingua, cioè la sua competenza
linguistica» in termini chomskiani (Prat Zagrebelsky 1985: 6). Anzi-
ché identificarsi con una lista delle proprietà formali di una lingua,
sganciata dai contesti di uso, la grammatica viene oggi riconosciuta
nel suo carattere comunicativo, come mezzo per mediare le parole e i
contesti (Giunchi 2000: 7).
Il concetto di grammatica quindi si riferisce ai diversi livelli della
lingua illustrati nella lista seguente.

- Livello fonologico: non solo insegnamento della pronuncia delle


singole lettere o parole, ma attenzione al ritmo, alle curve di intona-
zione.
- Livello morfosintattico: il nucleo tradizionale, con apertura alle
nuove scoperte della grammatica (si pensi a concetti quali sintagma,
valenza del verbo, deissi, dislocazioni, ecc.).
- Livello pragmalinguistico: analisi dei principali atti comunicativi
(del tipo: salutare e rispondere ai saluti, chiedere e dare informazioni,
ecc.) e degli indici linguistici ad essi correlati (formule di saluto, for-
me per indicare data ed ora, ecc.)
- Livello sociolinguistico: attenzione alle diverse varietà della lin-
gua (scritta, parlata) e ai registri (formale, informale).
- Livello lessicale: analisi degli aspetti più sistematici del lessico,
dal punto di vista semantico (usi figurati, relazioni di sinonimia, ipe-
ronimia, ecc.) e morfologico, con particolare attenzione ai procedi-
menti di formazione delle parole, quali derivazione tramite affissi, al-

19
20 Capitolo 2

terazione e composizione. Tali procedimenti costituiscono per


l’apprendente un mezzo potente di analisi e decodificazione del signi-
ficato delle parole sconosciute ed insieme un mezzo economico di ar-
ricchimento lessicale (Bozzone Costa 1986: 193; Lo Duca 2006: 74;
Lo Duca e Duso, in stampa; Duso in stampa).
- Livello testuale: attenzione agli elementi che caratterizzano il te-
sto, scritto o orale (in particolare individuazione di anafore, catafore,
connettivi testuali quali segnali discorsivi per il parlato e segnali inter-
puntivi per lo scritto), analisi delle tipologie testuali nella loro specifi-
cità (per una prima introduzione si veda Andorno 2003, e, in chiave
didattica, Beltramo 2000). Lavorando sul testo narrativo ad esempio si
punterà sulla concatenazione degli eventi, sugli indicatori temporali e
sulle informazioni tempo/aspettuali suggerite dai tempi verbali utiliz-
zati. Il testo descrittivo invece si presta ad un lavoro sulle espressioni
di luogo, sull’aggettivazione, sui tempi della descrizione (presente ed
imperfetto indicativo) (si veda poi 4.5.2).

2.2. Una grammatica funzionale alla comunicazione

L’estensione del concetto di grammatica la rende dunque un sistema


molto complesso ed impossibile da presentare nella sua totalità anche
avendo a disposizione tempi molto lunghi. È ovvio dunque che non
tutto ciò che è insegnabile va insegnato, e che in un corso di durata
limitata l’insegnante dovrà per forza fare scelte precise. Ma cosa è più
importante insegnare?
Il criterio fondamentale dovrebbe essere quello di una lingua fun-
zionale alla comunicazione. Nella fattispecie, l’insegnante dovrà valu-
tare attentamente i bisogni comunicativi dei suoi apprendenti per defi-
nire gli obiettivi del corso. Se ad esempio lo scopo per cui essi stanno
imparando l’italiano è quello di comunicare nella vita quotidiana,
l’insegnante insisterà maggiormente sugli aspetti funzionali e pragma-
tici della lingua e di conseguenza sugli indici linguistici relativi (chie-
dere informazioni: frasi interrogative, formule di cortesia, pronomi al-
locutivi, ecc.; dare istruzioni: imperativo, pronomi personali tonici ed
atoni, ecc.), senza dimenticare di insegnare ad usare i segnali discorsi-
vi che tanto caratterizzano la lingua parlata.
Cosa insegnare. I contenuti 21

Se però il corso si propone scopi differenti, ad esempio quello di


rafforzare la capacità di affrontare testi universitari scritti, le regole da
insegnare andranno estratte da un corpus di testi dell’ambito discipli-
nare studiato, e riguarderanno ad esempio le strutture sintattiche (su-
bordinate più frequenti, nessi argomentativi) ed il lessico (in particola-
re le nominalizzazioni).
In un corso per dottorandi che devono essere aiutati a scrivere tesi-
ne in L2, si dovrà invece puntare molto di più sulla grammatica del te-
sto, insistendo sugli elementi di coesione e coerenza, sullo sviluppo
dell’argomentazione, e così via.
Prat Zagreblesky (1985: 65) ricorda inoltre che «la riflessione sulla
lingua deve contenere informazioni aggiornate ed adeguate alla realtà
dei fatti linguistici». La lingua che viene presentata in classe cioè deve
essere il più possibile vicina a quella che poi gli studenti si trovano ad
affrontare nella vita reale. Dal momento però che la lingua è un orga-
nismo vivente, soggetto a continua evoluzione, nessuna grammatica è
in grado di fotografare una situazione stabile. D’altra parte gli studen-
ti, quelli stranieri in particolare, hanno bisogno di punti fermi, di rego-
le semplificate ed adeguate al loro stadio di interlingua. Trovare un
equilibrio tra queste due esigenze non è certo facile, tuttavia appare
più produttivo rendere consapevoli gli studenti delle aree di oscilla-
zione, affinché di fronte alla comunicazione reale non vengano a per-
dere fiducia nelle informazioni apprese in classe.
La scelta delle grammatiche di riferimento è da questo punto di vi-
sta molto importante: devono essere recenti e registrare le oscillazioni
d’uso. Un esempio può essere costituito dal sistema dei pronomi indi-
retti atoni, e nella fattispecie dall’uso di gli per loro e per le. Come
vedremo in seguito (par. 5.3.3) le più aggiornate grammatiche di rife-
rimento descrivono tutte le oscillazioni d’uso, pur esprimendosi in
modo differente sulla correttezza dell’uso di gli per le. L’insegnante
accorto non potrà dunque né negare l’esistenza della forma loro (che
spesso nello scritto si trova ancora), né l’uso sempre più invasivo della
forma gli per le, registrando tuttavia che gli è tendenzialmente am-
messo per la terza persona plurale, mentre è ancora considerato scor-
retto per il femminile singolare, ma che la situazione è in rapida evo-
luzione.
22 Capitolo 2

2.3. Scelta e sequenziazione degli argomenti: i criteri

La selezione degli elementi linguistici su cui focalizzare l’attenzione


degli studenti deve essere molto accurata, in particolare quando non si
disponga di un sillabo appositamente studiato per la propria tipologia
di apprendente, come ad esempio il sillabo di Lo Duca (2006), calibra-
to sulle esigenze degli studenti universitari in scambio. Anche di fron-
te ad un sillabo così dettagliato però l’insegnante dovrà fare i conti
con gli individui reali che compongono la sua classe, cercando di sta-
bilire cosa sia più importante per loro, a seconda delle lingue materne
e dei bisogni specifici di essi.
Tenteremo quindi di raggruppare in tre punti i criteri su cui basare
la scelta e la messa in sequenza degli indici linguistici.

2.3.1. Generalità

È evidente che andranno insegnate prima le forme1 più generali, più


utili e poi le più specifiche. Ciò significa in primo luogo che bisogna
rispettare l’ordine naturale di acquisizione. Come già rilevato nella
premessa, la ricerca ha dimostrato che chi apprende una L2 tende a
seguire un percorso acquisizionale comune, almeno fino ad un certo
punto, e che l’istruzione esplicita, se non può alterare l’ordine con cui
vengono apprese le strutture, può tuttavia accelerarne il processo.
L’ipotesi dell’insegnabilità (Teachability Hypotesis) di Pienemann
(1985) inoltre sostiene che l’insegnamento può promuovere davvero
l’acquisizione solo nel caso in cui l’apprendente sia “pronto”, ovvero-
sia quando la sua interlingua è vicina allo stadio in cui potrebbe acqui-
sire naturalmente la struttura che si vuole insegnare. Per l’italiano so-
no state disegnate le sequenze acquisizionali di molte forme (per una
sintesi si veda Giacalone Ramat 2003), ad esempio per il verbo è stata
messa a punto la scala seguente:

1
Avvertiamo che sulla base della bibliografia consultata (ad esempio Doughty e Williams
1998: 211), utilizzeremo “forme” in senso estensivo, indicando sia le “forme” linguistiche
vere e proprie, sia le “regole” (il termine rules descrive «la realizzazione, la distribuzione e
l’uso delle forme» ivi: 211, traduzione nostra).
Cosa insegnare. I contenuti 23

Tavola 1: La sequenza acquisizionale del verbo italiano (da Giacalone Ramat 2003:
23)

Presente (e Infinito) > (Ausiliare) Participio passato > Imperfetto > Futuro > Con-
dizionale > Congiuntivo

L’apprendente cioè comincia ad usare il verbo al presente, spesso alla


terza persona, per poi introdurre il passato prossimo. Spesso però il
participio passato viene utilizzato senza ausiliare, ed ha in un primo
momento valore aspettuale (indicando cioè finitezza) più che tempora-
le. Come sottolinea Pallotti (1998: 51) «la prima opposizione morfo-
logica a comparire è quella che oppone azioni passate o concluse e a-
zioni presenti o continuate». In seguito compaiono l’imperfetto (quin-
di la distinzione morfologica tra eventi passati di tipo puntuale e dura-
tivo); infine, e non in tutti gli apprendenti, futuro, condizionale e con-
giuntivo.
Tale sequenza, come sottolinea Giacalone Ramat,

ha tendenzialmente valore implicazionale e permette quindi di riconoscere il


livello raggiunto da un apprendente nel settore del sistema verbale. Per esem-
pio, l’uso autonomo del futuro da parte di un apprendente implica l’uso auto-
nomo di presente, participio passato – con ausiliare o meno – e di imperfetto,
mentre non dice nulla sulla capacità dell’apprendente di utilizzare forme di
condizionale e congiuntivo (Giacalone Ramat 2003: 23).

L’insegnante che non la rispettasse però, e decidesse ad esempio di in-


trodurre il tempo imperfetto in fase iniziale, prima che gli apprendenti
abbiano avuto modo di cogliere la distinzione aspettuale tra finito/non
finito e temporale tra presente/passato, non permetterebbe loro – se-
condo l’ipotesi dell’insegnabilità – di compiere progressi significativi.
Non tutte le strutture di una lingua comunque si collocano in un
momento preciso della scala acquisizionale: Pienemann (1985) distin-
gueva tra i tratti che maturano (developmental features) e i tratti che
variano (variational features), sostenendo che mentre per insegnare i
primi è necessario rispettare un ordine ben preciso, per i secondi inve-
ce c’è maggior libertà, e possono essere proposti a diversi livelli, an-
che se non è detto che l’effetto dell’istruzione esplicita sia duraturo.
Pienemann esitava però nel definire cos’è un tratto “che varia”. Un e-
24 Capitolo 2

sempio per l’italiano potrebbe essere costituito dalle preposizioni di


luogo, con le sottili distinzioni tra l’uso di a/in (vado al bar/in pizze-
ria, al mare/in montagna). È un tratto che di solito viene proposto già
ai primissimi livelli, ma che continua a presentare difficoltà anche ad
un apprendente di livello C1,2 in quanto non obbedisce a criteri preci-
si.

2.3.2. Frequenza, marcatezza e salienza nell’input

Andranno insegnate prima le strutture più frequenti della lingua, poi


quelle più specifiche: il passato prossimo ad esempio – almeno in gran
parte d’Italia – è più frequente e quindi più utile del passato remoto,
viene acquisito prima anche naturalmente e merita pertanto di venir
presentato molto prima del passato remoto.
Il concetto di frequenza è vicino a quello di marcatezza: le forme
non marcate – le più comuni e regolari – precederanno quelle marcate
(Giacalone Ramat 2003: 153): ad esempio l’insegnamento della diate-
si attiva precederà quello della passiva, quello delle subordinate in
forma esplicita precederà quello delle implicite (al gerundio o al parti-
cipio; si veda ad esempio Giacalone Ramat 2003b: 192-95 e 208-209
per il gerundio, e qui par. 4.10), con le opportune eccezioni. Pensiamo
alla sintassi della frase semplice: l’insegnante accorto presenterà fin da
subito l’ordine naturale della frase (SVO), lasciando a momenti suc-
cessivi la scoperta di possibili inversioni (ad esempio con certi tipi di
verbi, i cosiddetti inaccusativi: «È arrivato Giovanni»), e ai livelli più
avanzati strutture marcate come le dislocazioni, le frasi scisse (il silla-
bo di Lo Duca 2006 ad esempio le colloca solo al livello C1). Tuttavia
non potrà prescindere dall’introdurre molto presto la frase interrogati-
va parziale, ossia quella introdotta da pronomi ed avverbi interrogativi
(«Che cosa fa Luca?», «Quando arriva Luisa?»), data la sua alta fre-
quenza nell’input, anche se richiede la posposizione del soggetto.
Una variabile da considerare in rapporto alla frequenza di una for-
ma è infine la sua salienza, ossia la facilità che ha l’apprendente nel
notarla nell’input. La salienza di una forma dipende dalla sua rilevan-

2
Qui e in seguito facciamo riferimento ai sei livelli stabiliti dal Quadro comune europeo
di riferimento (Bertocchi e Quartapelle, 2002).
Cosa insegnare. I contenuti 25

za comunicativa, ma anche da questioni formali, ad esempio il peso


“fonico” che essa ha. Esistono infatti forme frequenti nell’input ma
poco salienti, come potrebbero essere per l’italiano gli articoli, in ge-
nere poco rilevanti o addirittura ridondati dal punto di vista comunica-
tivo, in quanto il nome dà già precise indicazioni su genere e numero.
Per di più gli articoli, essendo in genere monosillabi, sono poco per-
cepibili dal punto di vista fonico.
La ricerca ha sottolineato che l’insegnamento esplicito dovrebbe
insistere particolarmente sulle forme frequenti ma poco salienti, per-
ché l’apprendente potrebbe non notarle neppure nell’input, rischiando
la fossilizzazione: vi sono infatti apprendenti di italiano L2 provenien-
ti dell’est dell’Europa, ad esempio i polacchi, che, pur acquisendo in
contesto spontaneo e con facilità un italiano complessivamente piutto-
sto corretto, omettono regolarmente gli articoli che nella loro L1 infat-
ti mancano. Solo un insegnamento esplicito o un feedback costante da
parte di parlanti nativi potranno permettere loro di “notare” la presen-
za degli articoli e di ristrutturare la propria interlingua.

2.3.3. Difficoltà formale

Anche il criterio della difficoltà formale ha un suo peso, in quanto ne-


cessariamente forme più facili risulteranno più semplici da apprendere
e da insegnare rispetto a forme più difficili. Tuttavia talvolta appare
oggettivamente difficile stabilire quali sono le forme “facili” e quali
quelle “difficili” di una lingua: molto spesso la difficoltà di una strut-
tura è soggettiva in quanto può essere influenzata da diversi fattori,
primo tra tutti dalla maggior o minor congruenza a forme presenti nel-
la L1. Un argomento ritenuto di solito complesso per chi impara
l’italiano come la distinzione tra tempi perfettivi ed imperfettivi, a
partire dall’opposizione tra passato prossimo ed imperfetto, risulterà
certamente molto più digeribile per un apprendente francofono o ispa-
nofono che possiede tale distinzione nella sua lingua madre, che per
un apprendente anglofono o tedescofono, che non la possiede.
La ricerca si è chiesta se la difficoltà formale renda una regola un
buon candidato per la riflessione metalinguistica. Vi sono sostanzial-
mente due posizioni: c’è chi sostiene che strutture che sono semplici
linguisticamente e presentano una chiara relazione tra forma e signifi-
26 Capitolo 2

cato, come in inglese il passato regolare in -ed, siano dei buoni candi-
dati per l’istruzione esplicita (ad esempio Pica 1983, 1985), e chi so-
stiene – al contrario – che regole di quel tipo, proprio perché sono più
facili e in genere più salienti nell’input, possono essere acquisite fa-
cilmente anche da sole, mentre l’istruzione formale andrebbe riservata
in particolare alle strutture più complesse (Hulstijn e De Graff 1994).
La scelta dipenderà anche dal tempo che la classe ha a disposizio-
ne: se è poco, e se ci si trova in un contesto di lingua seconda in cui
molto input è comunque disponibile, l’insegnante può decidere di sof-
fermarsi esplicitamente solo sulle forme più complesse, lasciando agli
studenti la possibilità di “scoprire” da soli le più semplici (Doughty e
Williams 1998a: 225).
Ma cosa rende una forma difficile?
Intanto la non “congruenza con forme della L1” (Ellis 1997: 70).
Abbiamo visto infatti che uno dei fattori che più condizionano il pro-
cesso di apprendimento di una L2 è la madrelingua degli apprendenti
(Doughty e Williams 1998a: 226). Oltre al caso appena citato di di-
stinzioni che possono essere presenti o meno in una delle due lingue,
vi sono anche regole che si realizzano in maniera opposta in ciascuna
di esse. Per uno studente anglofono che apprende l’italiano (o il fran-
cese) ad esempio, l’ordine dei pronomi personali diretti all’interno
della frase risulta essere un argomento “difficile”, in quanto
l’interferenza della propria L1 lo spingerebbe ad utilizzare costrutti
opposti a quelli della lingua obiettivo, come ad esempio «Io vedo li»
(I see them) anziché «Io li vedo».
I see the children. Æ I see them.
Io vedo i bambini. Æ Io li vedo

Benché oggi si tenda a guardare con sospetto ad un insegnamento


fondato principalmente su basi contrastive (ma su questo si veda poi
4.10), sicuramente la conoscenza della lingua madre dei propri studen-
ti aiuterà l’insegnante di italiano LS, o che comunque lavora con classi
linguisticamente omogenee, ad individuare i punti su cui insistere
maggiormente. Nelle classi miste invece la difficoltà relativa che han-
no alcune strutture costituisce un ostacolo cui si deve cercare di ovvia-
re, pensando a percorsi integrativi. Ad esempio si possono proporre
Cosa insegnare. I contenuti 27

esercitazioni differenziate per gli studenti di lingue materne diverse:


mentre ad un tedescofono sarà necessario offrire molti stimoli ed eser-
citazioni per arrivare a comprendere bene la distinzione passato pros-
simo/imperfetto, con un ispanofono sarebbe più opportuno insistere
sulla selezione degli ausiliari (essere/avere) per formare il passato
prossimo. Il fatto che nella sua lingua la selezione degli ausiliari diffe-
risca molto dall’italiano infatti comporta per lui una pesante interfe-
renza. Di fronte a compiti di tipo più comunicativo, come la narrazio-
ne di storie, può essere utile al contrario stimolare studenti di LM mol-
to diverse a lavorare insieme, in gruppo, in modo che si aiutino a vi-
cenda sfruttando proprio le conoscenze che derivano dalle loro L1.
La difficoltà può poi dipendere da fattori inerenti alla regola stessa:
si pensi ad esempio alla morfologia verbale dell’italiano, con il suo
ampio ventaglio di modi, tempi, persone con desinenze sempre diver-
se tra loro e le frequentissime irregolarità. Oltre alla morfologia, va
considerata anche la sintassi: la teoria della Processabilità di Piene-
mann (Pienemann 1998 e, con estensione, Pienemann, Di Biase e Ka-
vaguchi 2005) si sofferma sul ruolo della sintassi nell’acquisizione di
una L2. Scrivono Bettoni e di Biase:

l’acquisizione della grammatica della L2 segue la sequenza implicazionale


con cui sono attivate le procedure durante la produzione del parlato, e la se-
quenza dipende dalla distanza sintattica tra gli elementi i cui tratti richiedono
lo scambio d’informazione: più lontani sono sintatticamente, maggiore è il
costo di elaborazione per l’apprendente (Bettoni e Di Biase 2007a, in stam-
pa).

Gli studi di Pienneman, e le applicazioni di essi all’italiano (si veda


in particolare Bettoni e Di Biase 2005, Bettoni e Di Biase 2007a e
2007b, Di Biase e Kawaguchi 2002) dimostrano come la distanza tra
le parole, l’ordine che esse assumono all’interno della frase, la struttu-
ra argomentale del verbo e le funzioni grammaticali dei diversi ele-
menti incidono notevolmente sul grado di difficoltà che incontra
l’apprendente straniero e cercano di disegnare una sorta di sequenza
acquisizionale. L’accordo entro il sintagma nominale (tutti buoni) ad
esempio risulta molto più semplice da acquisire dell’accordo soggetto
e aggettivo predicativo (le mele sono buone). Analogamente, una frase
del tipo Lucia bacia Renzo è molto più facile di Renzo lo bacia Lucia,
28 Capitolo 2

essendo più lineare. Sicuramente tali studi hanno bisogno di essere si-
stematizzati, ma già ora possono dare preziose indicazioni alla glotto-
didattica.
La complessità di una regola è legata anche alla sua “realizzabilità”
(è la reliability introdotta da Hulstijn e De Graaff 1994): sono più faci-
li da apprendere le regole che si realizzano nella maggior parte dei ca-
si piuttosto che quelle che hanno molte eccezioni: un buon esempio
per l’italiano può essere costituito dal comparativo introdotto da più,
che prevede pochissime eccezioni, derivanti dal latino (migliore, peg-
giore, ecc.), ma che in genere tende ad essere stabile.
Vi sono infine regole così complesse da non essere ancora del tutto
chiare neppure ai linguisti e che riguardano ad esempio per l’italiano
la morfologia derivativa. Un esempio può essere rappresentato dalla
selezione dei suffissi deverbali –mento e –zione per i nomi d’azione:
oggi è possibile darne una descrizione abbastanza precisa (Gaeta
2004), che però, oltre ad essere molto “tecnica”, richiede considera-
zioni semantiche a volte eccessivamente dettagliate e sottili per chi
apprende l’italiano come L2, e contempla comunque molte eccezioni.
Di fronte a casi come questo è opportuno chiedersi se vale la pena
spendere molte ore di insegnamento, tentando di darne una descrizio-
ne sistematica (quello che viene definito sistem learning), o se non sia
il caso piuttosto di puntare al loro riconoscimento, con formule gene-
rali del tipo «se trovi un nome che finisce in -mento o in –zione, esso
indica molto probabilmente un’azione e deriva da un verbo», e
all’apprendimento della singola forma come item linguistico (item le-
arning cfr. Doughty e Williams 1998a: 222 con bibliografia).

2.3.4 Bisogni specifici degli apprendenti

Un altro fattore che non si può trascurare e che può interferire con i
precedenti è quello dei bisogni specifici degli apprendenti. L’esempio
più chiaro è quello della forma di cortesia, che in italiano risulta parti-
colarmente complessa. Comporta infatti l’uso della terza persona, del
cosiddetto congiuntivo di cortesia rispetto al molto più semplice impe-
rativo, difficoltà notevoli nella selezione dei pronomi e nell’accordo.
Nonostante la sua complessità tale argomento risulta essere di fonda-
mentale importanza per molti apprendenti, non solo per gli studenti
Cosa insegnare. I contenuti 29

universitari che devono relazionarsi con i professori, ma anche per la-


voratori immigrati: per non commettere gaffe socioculturali che pos-
sono interferire con i loro bisogni primari (ottenere documenti, trovare
un lavoro), devono potersi rivolgere in modo appropriato a funzionari
di uffici pubblici e a datori di lavoro. Pertanto sembra opportuno trat-
tare la forma di cortesia fin dalle prime lezioni di un corso di italiano
L2: all’inizio, evidentemente, andranno introdotte solo le forme più
significative, presentandole come item lessicali. Ci si focalizzerà ad
esempio sui saluti del tipo “buongiorno”, “buonasera”, sulla forma lei
e sull’uso delle terza persona anziché del tu, e si introdurranno forme
verbali utili del tipo: “scusi”, “entri”, “senta”, ecc.
Mano a mano che gli studenti progrediscono tali item verranno
quindi scomposti ed analizzati come forme grammaticali. Ovviamen-
te, ciò comporta una buona dose di gradualità e di frazionamento delle
regole.

2.4. Gradualità e ciclicità

Le esigenze didattiche impongono spesso di presentare le regole in


modo generico e parziale sia all’insegnante che al manuale. Ciò però
rischia di creare nell’apprendente un senso di insicurezza e
l’impressione di eccessivo frazionamento. Molto spesso capita che di
fronte a manuali anche buoni ma che presentano le regole gradual-
mente, gli studenti lamentino un eccessivo “disordine” nell’affrontare
la grammatica. Cosa fare dunque per mantenere la necessaria graduali-
tà ma rassicurare gli apprendenti ?
Nella presentazione orale l’insegnante può ovviare ricorrendo ad
anticipazioni («Adesso abbiamo visto che l’imperfetto ha principal-
mente questi due usi, poi vedremo che può averne anche altri»), ri-
chiami («Ricordate che abbiamo visto diversi modi per presentare
un’azione futura? Bene, ora vediamo che esiste anche il tempo futu-
ro...») o comunque formule di raccordo per rendere consapevoli gli
studenti del fatto che le regole presentate sono parziali e che però, po-
co alla volta, essi stanno sistematizzando la propria grammatica.
Un buon testo può cercare invece di rimediare al problema attraver-
so la presentazione di tavole o di schemi riassuntivi finali, che raccol-
30 Capitolo 2

gano e sintetizzino le diverse porzioni delle regole presentate. Se ciò


non avvenisse, l’insegnante può comunque fornire propri schemi agli
studenti o consigliare loro una grammatica di riferimento (si veda la
rassegna del cap. 5). Molti apprendenti trovano infatti rassicurante a-
vere delle sintesi dove trovare raggruppate le regole di cui si stanno
impadronendo.
Presentare le regole gradualmente, seguendo tappe compatibili con
quelle dell’acquisizione naturale, ricorrendo ad input arricchiti o au-
tentici e prevedendo attività di pratica e produzione non dà comunque
garanzia di successo: come ricordava efficacemente D’Addio Colosi-
mo (1996) «tra input e output… c’è di mezzo il mare». Spesso una
struttura entra in quella che viene definita “memoria a breve termine”
dell’apprendente, ma viene poi dimenticata nel giro di poche settima-
ne. L’acquisizione di una lingua infatti non è un processo lineare, ma
ciclico: fondamentale appare pertanto tornare periodicamente sulle re-
gole, per arricchirle e rinforzarle.
Il corso di l’italiano L2 che adotta più marcatamente il metodo co-
municativo, costituito dai volumi Uno e Due del Gruppo Meta, ad e-
sempio, si comporta egregiamente in questo senso, dato che affronta il
futuro in quattro diverse tappe. In un primo momento alla fine del
primo volume (Unità 24), partendo da un dialogo in cui due amici
fanno programmi per il giorno successivo, il volume presenta una se-
rie di strutture linguistiche che possono servire per parlare del futuro
senza utilizzare la forma verbale del futuro (presente indicativo +
marcatori temporali, dovere + infinito; presente o imperfetto di pensa-
re + infinito o, per esprimere desideri al futuro: voglio/vorrei + infini-
to; mi piacerebbe + infinito) e propone una serie di attività comunica-
tive ed esercizi sul tema.
Quindi, all’inizio del secondo volume, il tempo futuro viene inseri-
to in un breve testo introduttivo al libro (Unità 2, p. 16), ne viene ana-
lizzata la forma e ne vengono presentati alcuni usi attraverso testi di
diversa tipologia (la poesia di Pavese Ancora cadrà la pioggia; alcune
pubblicità, un trailer, ecc.) offerti allo studente in modo che faccia
delle ipotesi sui contesti in cui si usa. Non vengono fornite spiegazioni
esplicite, ma compare solo una nota di questo tipo:
Cosa insegnare. I contenuti 31

Osserva gli usi del futuro in questi testi. Ma attenzione, non sempre quando si
parla di futuro si usa questo tempo. Ti ricordi dell’unità 24 di Uno? Per ora
osserva i casi in cui si usa il futuro per parlare del futuro e cerca di capire le
differenze. Ci torneremo su (Uno, p. 18).3

Nell’unità 9 (circa a metà del secondo volume) si torna a parlare


del futuro, ma nell’uso modale, per esprimere probabilità, e viene in-
trodotto il futuro anteriore (–«Che ore sono?» –«Saranno le tre»; –
«Che ora era?» –«Saranno state le tre»).
L’unità 10 è dedicata per intero alla ricapitolazione delle diverse
forme per parlare del futuro presentate in precedenza e si sofferma
ampiamente su di esse, con dettagliate spiegazioni sui contesti d’uso.
Viene introdotto inoltre l’uso del futuro in frasi subordinate (del tipo
«se trovi un quadrifoglio, sarai fortunato», «spero che sarà una buona
settimana»). Naturalmente tutto avviene in un contesto ricco di input
autentici (pubblicità, oroscopi, testi letterari) o semiautentici (dialo-
ghi). Forma e significato sono dunque sempre in stretta relazione tra
loro.

3
Corsivo nostro.
Capitolo 3

Come insegnare. 1.

I metodi

Riflessioni teoriche sull’insegnamento


della grammatica nella classe di L2

3.1. Premessa

Il capitolo presenta una breve panoramica degli studi sull’insegnamen-


to della grammatica di una L2 e dei principi teorici che vi stanno sotto,
a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, con la nascita dei metodi
comunicativi. Se il paragrafo 2 condensa in pochi righe studi già di-
sponibili in italiano (si vedano ad esempio Ciliberti 1994, Pallotti
1998, Giunchi 2000, 2002, Chini 2005), i paragrafi successivi si basa-
no principalmente su ricerche fatte per l’insegnamento di lingue come
l’inglese e lo spagnolo L2, le quali, avendo da sempre una diffusione
molto maggiore, hanno avuto anche una più solida tradizione di inse-
gnamento e sono state oggetto di studi anche in ambito didattico.
La ricerca sull’apprendimento e l’insegnamento della lingua italia-
na invece, iniziata negli anni ’80, è ancora agli stadi iniziali, e si è o-
rientata soprattutto sull’analisi delle sequenze acquisizionali (si veda-
no in particolare i lavori del Gruppo Pavia e la sintesi di Giacalone
Ramat 2003). Gli studi sull’insegnamento della grammatica, a parte
poche eccezioni (per cui si veda il cap. 5) sono ancora quasi del tutto
assenti, o consistono in adattamenti di modelli ed approcci didattici
elaborati per altre lingue (ad esempio Liverani Bertinelli e Benati
2001, Benati, Van Patten e Wong 2005) o per l’italiano come L1 (Lo
Duca 2004).

33
34 Capitolo 3

3.2. Dal vecchio al nuovo paradigma

Come già detto, per molti secoli, la seconda lingua è stata insegnata
seguendo il metodo in voga per l’insegnamento delle lingue classiche
in epoca tardo medievale, sancito poi dalla Grammaire générale et
raisonnéé de Port Royal (1660), che prevedeva lo studio delle regole e
la loro applicazione in esercizi di vario tipo, per arrivare alla traduzio-
ne dei testi letterari (Giunchi 2002: 108-115). Tale metodo, chiamato
grammaticale-traduttivo, considerava fondamentale per l’apprendi-
mento della lingua lo studio delle regole grammaticali ed utilizzava un
approccio deduttivo, in quanto si partiva dall’enunciazione della rego-
la, per poi passare – per deduzione – all’esemplificazione e alla prati-
ca. Dal momento che la riflessione grammaticale era al centro del pro-
cesso dell’insegnamento, veniva fatto ampio uso dell’apparato meta-
linguistico.
Già negli anni ’30-’40 del secolo scorso erano nati però i cosiddetti
metodi naturali, basati su un’immersione totale del discente nella lin-
gua oggetto d’apprendimento, come un bambino nella lingua materna.
A mettere davvero in crisi l’approccio grammaticale-traduttivo fu so-
prattutto il metodo audio-orale, impostosi negli Stati Uniti tra la se-
conda guerra mondiale ed i primi anni ’60: l’esigenza di insegnare ra-
pidamente le lingue straniere ai soldati dell’esercito comportava infatti
la necessità di tecniche di apprendimento diverse e più rapide. Tale
metodo si appoggiava sul comportamentismo di Skinner, una corrente
della psicologia che postulava come motore fondamentale dell’agire
umano un meccanismo di azione-reazione: anche il linguaggio veniva
considerato un comportamento, ed ogni azione linguistica una risposta
ad uno stimolo. Acquisire una L2 significava dunque impadronirsi di
una serie di abitudini senso-motorie, diverse da quelle della propria
LM, che si contraevano mediante condizionamento (Giunchi 2002:
115).
Ciò comportava un insegnamento della L2 basato su procedure di
tipo ripetitivo e manipolativo: si partiva in genere da un dialogo mo-
dello che si chiedeva di replicare e memorizzare, proseguendo poi con
batterie di “esercizi-trapano” (i pattern drills), meccanici, basati sulla
ripetizione, con variazioni minime, di una struttura. L’apprendimento
avveniva quindi per analogia, uniformazione ad un modello, attraver-
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 35

so un processo di tipo induttivo per cui si passava dall’esercizio alla


regola. La riflessione esplicita sulle regole della lingua era considerata
invece inutile, anzi persino dannosa, in quanto poteva bloccare
l’apprendente nel processo di automatizzazione delle strutture.
A partire agli anni ’70 però ci furono profonde innovazioni nel
campo della linguistica, che portarono grossi cambiamenti anche nella
glottodidattica. Fondamentale fu il ruolo di Chomsky che, criticando il
comportamentismo, propose una spiegazione completamente diversa
dell’apprendimento della lingua: in ciascun individuo a suo avviso è
presente una sorta di Grammatica Universale, che consiste di principi
(leggi assolute, universali) validi per tutte le lingue, e di parametri, che
invece variano e danno conto della diversità delle lingue, i quali ven-
gono progressivamente “scoperti” nei primi anni di vita. Il bambino
che apprende la lingua materna non lo fa imitando il comportamento
degli adulti ed acquisendo delle abitudini, ma ha in sé una sorta di di-
spositivo di acquisizione linguistica innato (il LAD = Language Ac-
quisition Device), attraverso cui è in grado di formulare regole sulla
lingua e di generare, in base ad esse, qualsiasi costruzione.
Chomski parlava di L1, ma secondo alcuni studiosi la Grammatica
Universale è accessibile, almeno parzialmente, anche a chi apprende
una seconda lingua (si veda la sintesi di Chini 2005: 30-32).
La teoria del LAD venne in qualche modo ripresa ed elaborata da
Krashen con l’ipotesi dell’organizzatore e del Monitor (si veda Chini
2005: 33-35, e qui 3.3). Krashen (1982) propose anche la distinzione
fondamentale tra “acquisizione” ed “apprendimento”, intendendo con
“acquisizione” (acquisition) un processo naturale, induttivo, inconsa-
pevole, e con “apprendimento” (learning) un processo generalmente
consapevole, frutto di esposizione implicita e guidata alle regole della
lingua. Secondo Krashen i due processi avvengono in parti diverse del
cervello, tra di essi non vi è alcuna possibilità di scambio e solo il
primo garantisce l’effettiva interiorizzazione di una certa struttura.

3.3. Krashen e l’opzione zero

Per Krashen (1982, 1990) il termine “grammatica” può essere inteso in


due sensi: in primo luogo, esso può designare il Monitor, «quella parte
36 Capitolo 3

del sistema interno dell’apprendente che pare sia responsabile


dell’elaborazione linguistica consapevole» (Dulay, Burt e Krashen
1985: 99). Per entrare in uso tuttavia, il Monitor necessita di condizioni
ottimali: l’apprendente deve avere tempo (quindi può ricorrere ad esso
nella produzione scritta o nel discorso pianificato piuttosto che nella
comunicazione spontanea) e deve essere «concentrato sulla correttezza
o sulla forma» (focused on form Krashen 1990: 30). In ogni caso, l’uso
del Monitor fa parte dell’apprendimento e non dell’acquisizione spon-
tanea, che è per Krashen l’unica vera via per imparare una L2.
In secondo luogo “grammatica” può significare la materia,
l’oggetto di studio: a tale proposito tuttavia Krashen (1990: 40-41) e-
videnzia che l’insegnamento della grammatica può dar luogo ad ap-
prendimento solo se in classe si utilizza la lingua obiettivo come mez-
zo di istruzione, e se sia gli studenti che l’insegnante sono particolar-
mente interessati alla grammatica. In tale situazione infatti
l’insegnante, parlando di grammatica, offre agli studenti un input
comprensibile e da loro sentito come rilevante. Il filtro affettivo è per-
tanto basso perché gli studenti sono concentrati sul significato e non
sul mezzo. Sotto però vi è un inganno: mentre essi credono di impara-
re attraverso il messaggio che viene loro comunicato, in realtà stanno
imparando attraverso il mezzo utilizzato. Qualsiasi soggetto interes-
sante per loro potrebbe svolgere la stessa funzione, purché in aula si
facesse uso della lingua obiettivo. Per Krashen infatti l’apprendimento
guidato necessita di una sola cosa: un input comprensibile e dotato di
significato (comprensible and meaning bearing Krashen 1985), che
contiene strutture leggermente al di sopra di quelle già possedute
dall’interlingua dello studente. È l’ipotesi dell’«input comprensibile +
1». La produzione (l’output), viceversa, non ha nessuna funzione rile-
vante nel processo di acquisizione, ma è un segnale che essa ha avuto
luogo (Krashen 1985).
Nel 1983 Krashen stesso, assieme all’ispanista Terrel, elaborò un
approccio che metteva in pratica le sue teorie: l’Approccio naturale
(Natural Approach), chiamato “naturale” da un lato perché rinunciava
all’insegnamento della grammatica, dall’altro perché la lingua veniva
insegnata seguendo tappe e principi propri dell’acquisizione “natura-
le” di chi apprende spontaneamente (Giunchi 2002: 123-24; per una
descrizione dell’approccio, Longo 1998).
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 37

Il pensiero di Krashen fu inizialmente interpretato come una critica


all’insegnamento esplicito delle regole grammaticali e diede vita alla
cosiddetta “opzione zero” o dei “non-interventisti” (la “versione forte”
dei metodi comunicativi): era la posizione di chi, basandosi appunto
sulle teorie di Krashen e di altri ricercatori (ad esempio Dulay e Burt
1973), pensava che l’istruzione grammaticale dovesse essere abban-
donata in favore di un insegnamento più naturale, incentrato sui signi-
ficati e basato su compiti (task)1 di tipo comunicativo. Un ottimo e-
sempio è costituito dal Communicational Teaching Project sperimen-
tato in India da Prabhu (1987; per una descrizione si veda Brumfit
1984), attraverso corsi di inglese interamente fondati su sillabi proce-
durali (ossia basati sui compiti), che non erano pianificati in partenza
ma venivano negoziati durante l’insegnamento, laddove l’insegnante
si rendeva conto che uno specifico compito poteva essere utile ai bi-
sogni degli studenti in quella particolare situazione.
Prabhu (1982: 2) infatti riteneva che mentre gli apprendenti si ap-
plicavano alla soluzione di un problema, ed erano quindi concentrati
sul significato, parti subconscie della loro mente percepissero ed a-
straessero alcune delle strutture linguistiche presenti nei testi. I sillabi
dunque, anziché soffermarsi su «quali parti del contenuto dovessero
essere imparate», indicavano «che cosa doveva essere fatto in classe»
(da Prabhu e Carrol 1980: 2), ossia presentavano una serie di attività,
che mettevano gli apprendenti di fronte a dati linguistici (ad esempio
una mappa, una tavola di orari) in inglese e chiedevano loro di risolve-
re un problema (ad esempio come fare per raggiungere una certa loca-
lità).
La struttura della lezione prevedeva quindi tre momenti: un pre-
task, in cui l’insegnante svolgeva un compito simile a quello che do-
vevano affrontare poi gli studenti, con la collaborazione di alcuni di
loro; il task vero e proprio durante il quale gli studenti lavoravano per
1
Con task (in italiano “compito comunicativo” o anche “attività”) si intende «un tipo di
attività che spinge l’apprendente a comprendere, manipolare, produrre e interagire nella lin-
gua target, mentre la sua attenzione è focalizzata principalmente sul significato piuttosto che
sulla forma» (Scalzo 1998: 144 n. 12, che lo trae da Nunan 1989: 10). Un task è inoltre
«un’attività didattica completa che coinvolge più abilità contemporaneamente come ad esem-
pio ascoltare, parlare, prendere appunti e può essere svolto in classe ma anche fuori» (ivi:
144). Per un approfondimento sull’insegnamento basato sui compiti si vedano ad esempio
Bygate, Skehan e Swain (2001) ed Ellis (2003), con ricca bibliografia.
38 Capitolo 3

lo più individualmente ed una fase finale di feedback in cui


l’insegnante doveva limitarsi a giudicare la soluzione del compito, ma
non la lingua utilizzata. Egli dunque non interveniva sistematicamen-
te, ma solo occasionalmente, sugli errori che ostacolavano la comuni-
cazione.

3.4. Il ritorno della grammatica nei metodi comunicativi

Non tutti interpretarono però il pensiero di Krashen in modo così e-


stremista. Significativa è ad esempio la posizione dello stesso Terrel,
il quale nel 1991 prende le distanze dai non intervenzionisti e cerca di
definire il ruolo della grammatica nell’apprendimento di una L2, sot-
tolineando che essa «sembra essere un aiuto all’apprendente nel pro-
cesso di acquisizione, rendendo certe forme grammaticali più salienti
e perciò aiutando l’apprendente a stabilire corrette connessioni tra
forma e significato» (Terrel 1991: 62).2
A suo avviso infatti, la riflessione esplicita, pur non potendo altera-
re le sequenze di acquisizione, può aiutare ad accelerare i tempi e a
trovare delle strategie, innanzitutto agendo come una sorta di “pianifi-
catore in anticipo” (advance organizer Terrel 1991: 58) che aiuta a
processare i dati forniti dall’input, dando alcune informazioni sulla sua
organizzazione o sulla segmentazione, informazioni che possono ri-
durre l’ansietà dello studente di fronte ad un testo complesso.
Nel caso di regole morfologicamente complesse inoltre, l’inse-
gnamento grammaticale esplicito può agire da “focalizzatore” (focuser
Terrel 1991: 59) per evidenziare il rapporto tra contenuto e forma.
L’idea è quella di incrementare la comparsa di strutture morfologica-
mente complesse ma magari poco salienti nell’input (come le marche
di numero e di tempo nei verbi delle lingue romanze), in modo che
l’apprendente le possa notare con maggior facilità. L’informazione
grammaticale viene dunque utilizzata come una sorta di “organizzato-

2
«Is seen as ad aid to the learner in the acquisition process by making certain grammatical
forms more salient and thereby aiding the learner to establish correct meaning-form connec-
tions».
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 39

re dell’input” (input oganizer Terrel 1991: 59), come nel seguente e-


sempio che Terrel fa per lo spagnolo:

Tavola 1: Ruolo dell’Istruzione grammaticale (Grammatical instruction) nel metodo


comunicativo (da Terrel 1991: 59)

I’m going to describe to you a typical Sunday in my life. Notice that all the verbs I will
use end in -o. Spanish uses this ending on verbs to refer to the speaker: “I”. Sample in-
put: Los domingos me levanto más tarde, a veces à las diez y a veces a las once. Luego, desayuno ce-
real. Casi sempre ablo por teléfono a mi hermano, Pablo. En la tarde salgo con algún amigo a pasear.
[…] This narrative can be continued with fifteen to twenty utterance, all of which con-
tain a verb from ending in -o.

Infine, l’insegnamento grammaticale esplicito permette di monito-


rare il proprio output. Mentre però Krashen sembrava pensare che il
Monitor potesse venir utilizzato solo nella produzione controllata,
Terrel (1991: 61) ritiene invece che sia possibile farvi ricorso anche
nel parlato spontaneo, ad esempio per ricostruire forme del paradigma
di un verbo non ancora incontrate nell’input. Se un apprendente cono-
sce l’infinito spagnolo cortar e sa che il participio passato dei verbi in
-ar fa -é, può ricostruire facilmente la forma corté e usarla in un con-
testo significativo. In questo modo lo stesso output diventa – per
l’apprendente – a sua volta una forma di input.
Un esempio di come la grammatica si possa integrare in un inse-
gnamento di tipo comunicativo è offerto da Ur (1988) che, nelle linee
guida premesse ad un volume di attività e giochi per l’inglese L2, so-
stiene che la conoscenza implicita od esplicita delle regole senza dub-
bio è essenziale per padroneggiare la lingua, e che essa può essere
temporaneamente oggetto della lezione, purché però sia intesa come
uno dei mezzi di acquisizione della lingua come un intero, non come
un fine in sé stesso (Ur 1988: 5). L’insegnamento per Ur (1988: 7-8)
comprende quattro tappe:
1. Presentazione (Presentation): attraverso un breve testo orale o
scritto si presenta alla classe un testo dove appaiono le strutture
grammaticali in questione. Lo scopo è che l’apprendente noti le strut-
ture e il legame forma-significato, affinché essi entrino nella memoria
a breve termine.
40 Capitolo 3

2. Isolamento e spiegazione (Isolation and Explanation): è lo stadio


in cui ci si concentra sulle strutture grammaticali. L’obiettivo è che lo
studente possa capire i vari aspetti della struttura (suoni, significati,
funzioni). In questa fase può essere necessario utilizzare la lingua ma-
dre della classe.
3. Pratica (Practice): consiste in una serie di esercizi in classe o a
casa, ed ha lo scopo di far assorbire allo studente le strutture e trasfe-
rirle dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine. Per Ur
(1988) è la fase più importante nel processo di apprendimento. Gli e-
sercizi possono essere di tipo diverso, più strutturali (ad esempio
riempimenti di spazi o trasformazioni di frasi), o più orientati alla co-
municazione. Appartengono a questa tipologia, ritenuta più motivante,
attività caratterizzate da vuoti di informazione (information gap) o ba-
sate sul gioco, come ad esempio la costruzione di storie collettive per
esercitare gli studenti nell’uso dei tempi passati o la soluzione di pro-
blemi utilizzando i verbi modali (may, might, could, ecc.).
4. Test: ha la funzione di mostrare sia all’insegnante che
all’apprendente stesso fino a che punto egli domini le strutture sulle
quali ha fatto pratica. L’obiettivo fondamentale di questa fase è quello
di fornire feedback, senza il quale è impossibile andare avanti
nell’apprendimento.

3.5. Focalizzare la forma (Focus on form)

Tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90 del secolo scorso si sviluppa-
rono diverse correnti teoriche ed approcci volti a cercare
un’integrazione tra grammatica e insegnamento comunicativo. Il più
noto, e quello che in qualche modo comprende anche gli altri, è quello
del “focalizzare la forma” (Focus on form).
Long (1991: 45-46) per primo introdusse la distinzione tra il tradi-
zionale Focus on forms (“focus sulle forme linguistiche”), che caratte-
rizza gli approcci sintetici all’insegnamento di una L2, incentrati
sull’accumulazione di strutture linguistiche, e il focus on form che, se-
condo la sua definizione:
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 41

attrae apertamente l’attenzione degli studenti sugli elementi linguistici


quando essi appaiono incidentalmente in lezioni il cui focus prevalente è sul
significato o sulla comunicazione (Long 1991: 46).3

Successivamente, Long e Robinson specificano che


il Focus on form spesso consiste di un occasionale spostamento
dell’attenzione agli elementi del codice linguistico – da parte
dell’insegnante e/o uno o più studenti – provocato da problemi percepiti con
la comprensione o la produzione (Long e Robinson 1998: 23).4

Spada (1997) poi, all’interno di una preziosa rassegna sugli effetti


del Focus on form sull’insegnamento, amplia il concetto, indicando
con focused instruction:

ogni tipo di sforzo pedagogico usato per attirare l’attenzione degli apprenden-
ti sulla forma linguistica sia implicitamente che esplicitamente. Ciò può in-
cludere e l’insegnamento diretto della lingua (per esempio attraverso le rego-
le grammaticali) e/o le reazioni agli errori dell’apprendente, ossia il feedback
correttivo (Spada 1997: 73).5

La differenza principale tra la definizione di Long e quella di Spada


sta nel fatto che mentre nel caso di Long (1991) l’attenzione è incen-
trata sul significato e le attività sulla forma vengono presentate solo in
caso di bisogno, ma senza essere predeterminate, per Spada (1997),
pur restando al centro il significato, le attività di focalizzazione sulla
lingua possono anche essere predeterminate.
Nel 1998 è uscito un volume di saggi volti a precisare meglio e a
chiarire il significato dell’espressione (Doughty e Williams 1998).
Doughty e Williams (1998: 4) riprendono la distinzione tra Focus on
forms e Focus on form, ma specificano che essi non sono due opposti,
come lo sono forma e significato (form e meaning). Piuttosto, Focus

3
«Focus on form […] overtly draws students’ attention to linguistic elements as they arise
incidentally in lessons whose overriding focus is on meaning or communication».
4
«Focus on form often consists of an occasional shift of attention to linguistic code fea-
tures – by teacher and/or one or more students – triggered by perceived problems with com-
prehension or production».
5
«… any pedagogical effort which is used to draw the learners’ attention to language
form either implicitly or explicitly. This can include the direct teaching of language (e.g.
through grammatical rules) and/or reactions to learner’s errors (e.g. corrective feedback)».
42 Capitolo 3

on form comprende in sé un focus sugli elementi formali della lingua,


mentre il Focus on forms si limita a quello e il focus sul significato
(focus on meaning) lo esclude (ivi: 4).6 Quello che distingue il Focus
on form da altri approcci è che la riflessione sulla forma coinvolge gli
apprendenti per un periodo breve e non separato dal focus sull’uso e
sul significato (Doughty 2001: 211).
Particolarmente interessante per l’applicazione alla didattica risulta
essere l’intervento conclusivo delle curatrici della raccolta, Catherine
Doughty e Jessica Williams (dal titolo Pedagogical choices in Focus
on form), le quali riassumono in una tavola i compiti e le tecniche pos-
sibili per focalizzare una forma. Li ordinano a seconda del grado di
invadenza (obtrusivity) (ivi: 257-60) e di maggior o minor esplicitez-
za. Tali tecniche si distinguono in quanto tendono a privilegiare la fase
dell’input o quella dell’output.

3.6. Tecniche incentrate sull’input

Tra le tecniche meno intrusive e più implicite Doughty e Williams


(1998a) segnalano “l’inondazione dell’input” (input flooding), che
prevede di fornire all’apprendente testi molto ricchi delle strutture che
si vogliono mettere a fuoco, in modo che egli abbia maggiori opportu-
nità di notarle (senza però che ci sia nessun accorgimento per eviden-
ziarle), e l’“arricchimento dell’input” (input enhancement), che può
differire a seconda del grado di elaborazione, andando dalla semplice
segnalazione della forma oggetto di interesse attraverso particolari ca-
ratteri tipografici (sottolineatura, carattere diverso) nei testi scritti o
attraverso il tono della voce nei testi orali, alla spiegazione della strut-
tura attraverso una precisa terminologia metalinguistica.

6
«Focus on formS and focus on form are not polar opposites in the way that form and
meaning have often been considered to be. Rather, a focus on form entails a focus on formal
elements of language, whereas focus on formS is limited to such a focus, and focus on mean-
ing excludes it. Most important, it should be kept in mind that the fundamental assumption of
focus-on-form instruction is that meaning and use must already be evident to the learner at the
time that attention id drawn to the linguistic apparatus needed to get the meaning across».
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 43

Tavola 2: Esempio di arricchimento dell’input sui pronomi personali in inglese (trat-


to da White 1998: 107-109)

Appendix 1. The Frog Prince – Enhanced version


Once upon a time there was a king. He had a beautiful young daughter. For her
birthday, the king gave her a golden ball that she played with every day.
The king and his daughter lived near a dark forest (…)

Princess, King or Frog?


Who does the underlined word refer to? Write P in the blanks if it refers to the
princess, write K in the blank if it refers to the king, and write F in the blank if it refers
to the frog. If necessary, look back at the story. The first is done for you.

1. For her birthday, he give her a golden ball. __K__


2. The princess lived with him near a dark forest. ______
3. She played with her golden ball. ______
4. She dropped her golden ball. _______
(ecc.)

Tali tecniche, che prevedono una manipolazione esterna dell’input,


rischiano però di non essere sempre efficaci: può accadere infatti che
gli apprendenti si accorgano dei segnali esterni, ma che l’input resti
«non saliente ai loro meccanismi di apprendimento» (Sharwood Smith
1991: 121 in Doughty e Williams 1998a: 237).
Un altro approccio che punta essenzialmente sulla comprensione
dell’input (e fa parte quindi dei comprehension-based approaches, per
cui si veda Gary 1978), si basa sui cosiddetti “compiti di interpreta-
zione” (interpretation task), che hanno lo scopo di aiutare
l’apprendente a “visualizzare” (mapping) il rapporto tra forma e fun-
zione (Ellis 1997: 152-53), e sono disegnati in modo da promuovere il
noticing. Tali attività in genere non fanno uso di metalingua, o ne fan-
no un uso molto limitato. Un esempio è costituito dall’attività della ta-
vola 5, costruita per attrarre l’attenzione sulle “costruzioni predicative
legate all'ambito psicologico” (psichological predicate constructions),
in genere complesse per chi impara l’inglese.
Lo studente, posto di fronte alle immagini, deve solo indicare se le
frasi che sente pronunciare le descrivono correttamente o meno. In un
secondo momento ripeterà le frasi.
44 Capitolo 3

Tavola 5: Esempio di compito di interpretazione (da Ellis 1997: 156, traduzione no-
stra)

Comprehending
Listen to the sentences and decide whether they describe the pictures be-
low. If you think they describe the picture put a tick. If you think they do not,
put a cross. If you like you can request the teacher to repeat a sentence. (Ascol-
ta le frasi e decide se descrivono le immagini che stanno sotto. Se pensi di sì, metti un segno.
Se pensi di no, metti una croce. Se vuoi puoi chiedere all’insegnante di ripetere la frase)

1 She loved his hairstyle. (A lei è piaciuto il suo taglio di capelli)

2 She appreciated his singing. (A lei è piaciuto il suo modo di cantare)

3 Her mother annoyed him. (La madre di lei lo ha seccato)


Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 45

4 His present offended her. (Il suo regalo l’ha offesa)

ecc.

Si tratta insomma di offrire degli stimoli cui l’apprendente deve da-


re risposte (orali o scritte), per lo più non verbali. Tali attività dovreb-
bero essere orientate inizialmente sul significato e solo in un secondo
momento sulla forma: alla base di approcci di questo tipo sta infatti
l’idea che chi sta imparando, soprattutto se in fase iniziale, non debba
produrre direttamente la lingua obiettivo, ma solo processarla; nel frat-
tempo egli ha però l’occasione di visualizzare come una certa forma
viene utilizzata per veicolare una particolare funzione comunicativa.
Secondo Ellis (1997: 152) la ricerca ha dimostrato che i compiti di
interpretazione non sono solo atti a promuovere la scorrevolezza e la
capacità comunicativa (proficency) degli apprendenti, ma li aiutano
anche ad interiorizzare specifiche strutture grammaticali È fondamen-
tale però che ad esse segua un feedback esplicito ed immediato sulla
correttezza delle risposte date (ivi: 159).
Hanno conosciuto poi particolare successo due approcci che cerca-
no di rendere salienti determinate forme nell’input manipolandolo at-
traverso operazioni più sottili, e certamente più esplicite: la Consciou-
sness Raising Grammar e la Processing Instruction. Tali approcci non
corrispondono pienamente ai requisiti che il Focus on form dovrebbe
avere secondo la definizione di Long (1991), ma si possono almeno in
parte far rientrare in esso (Doughty e Williams 1998a : 239-40).
46 Capitolo 3

3.6.1. La Presa di coscienza (Consciousness Raising)

Con “Presa di coscienza” o “Coscientizzazione” (Consciousness Rai-


sing, d’ora in poi CR) Rutherford e Sharwood Smith (1988a: 107)7 si
riferiscono al «deliberato tentativo di attrarre l’attenzione
dell’apprendente specificamente sulle proprietà formali della lingua
d’arrivo».8 Per loro infatti la grammatica è un potenziale facilitatore
per l’acquisizione della competenza linguistica, ma non ha niente a
che fare con l’uso di quella competenza per il raggiungimento di uno
speciale oggetto comunicativo o della fluenza comunicativa, cioè il
controllo automatico delle strutture (ivi: 114). L’apprendente non è vi-
sto come una tabula rasa da colmare ma come un collaboratore (con-
tributor), che, messo di fronte a dei dati, può fare delle ipotesi, testarle
e pervenire a delle generalizzazioni (Rutherford 1987: 17-24). L’idea
centrale dell’insegnamento basato sulla “Presa di coscienza” è infatti
quella di proporre agli apprendenti degli input, e di spingerli a lavora-
re in piccoli gruppi, che analizzino gli input attraverso procedimenti
molto diversi, che possono andare dalla pura osservazione
all’espressione articolata delle regole.9
Rutherford si sofferma in particolare sui procedimenti impliciti e
prevede attività di due tipi:

a. quelle che chiedono agli apprendenti di formulare un giudizio o


di effettuare una scelta, proponendo loro testi o frasi (possibilmente
ricavate dalle loro stesse produzioni) ed invitandoli ad esprimersi sulla
correttezza;

b. quelle che propongono un compito da completare o un problema


da risolvere (ivi: 164); tali attività, a differenza delle precedenti, oltre
a coinvolgere il giudizio e la capacità di discernimento
dell’apprendente, gli chiedono di agire in base alle sue intuizioni: ad

7
La traduzione è dello stesso Sharwood Smith 1990, 105-107.
8
«The deliberate attempt to draw the learner’s attention specifically to the formal proper-
ties of the target language».
9
«The matter of raising the learner’s grammatical consciousness is a multi–faceted one
[…]. It can involve anything from mere observation to (for some teachers) the articulation of
actual rules» (Rutherford 1987: 160).
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 47

esempio si possono offrire testi da riaggiustare, sostituendo frasi coor-


dinate con frasi subordinate relative.
Tavola 3: Esempio di CR task (tratto da Rutherford 1987: 165)

Dear Sir,
I am writing in response your company’s announcement [AND your company’s an-
nouncement appeared in last Sunday’s edition of the Tampa Herald] of an opening for
a system analyst [I assume that the position has not already been filled]. I enclose my
résumé [and one more piece of information should now be added to my résumé].

Successivamente Ellis (1997) definisce meglio un CR task come:

un’attività pedagogica in cui si forniscono all’apprendente dati di L2 e si


chiede loro di completare alcune operazioni su/con essi, allo scopo di arrivare
alla comprensione esplicita di alcune proprietà linguistiche della lingua target
(Ellis 1997: 160).10

Un esempio di questo tipo potrebbe essere quello della tav. 4: lo


studente viene messo di fronte a brevi frasi della lingua obiettivo ed
invitato a comprendere e spiegare le regole facendo uso della termino-
logia metalinguistica.

Tavola 4: Altro esempio di CR task (tratto da L. Soars e J. Soars, New Headway


English Course, Student’s Book, Oxford, Oxford University Press, 1996, p. 117 in
Ryo e Gardner 2005: 5)

Read the sentences and answer the questions

‘I’m with my husband’, she said.


She said (that) she was with her husband.

What is the basic rule about the use of tenses in reported speech?

Compiti del genere danno agli apprendenti la possibilità di interagi-


re tra di loro nella lingua obiettivo nel momento in cui la stanno impa-

10
«A CR task is a pedagogic activity where the learners are provided with L2 data in
some form and required to perform some operation on or with it, the purpose of which is to
arrive at an explicit understanding of some linguistic property or properties of the target lan-
guage».
48 Capitolo 3

rando: la grammatica diventa quindi, contemporaneamente, oggetto e


soggetto dell’insegnamento.
Ellis (1997: 161-62) propone inoltre un elenco dei diversi tipi di
operazioni che possono essere richieste all’interno di questi compiti:

• identificazione di strutture (gli apprendenti sono ad e-


sempio invitati a sottolineare la presenza di specifiche strutture
in un testo);
• giudizi (gli apprendenti sono invitati ad esprimersi sulla
correttezza o l’appropriatezza delle strutture date);
• completamenti;
• modifiche (riordini, sostituzioni);
• insiemistica (gli apprendenti sono invitati a classificare
specifici item estraendoli dall’input ed inserendoli in categorie
determinate);
• abbinamenti;
• produzione di regole.

3.6.2 La Processazione dell’input (Input Processing) e l’Istruzione


basata sul sistema di processazione dell’input (Processing Instruc-
tion)11

Vicino al concetto di “Presa di coscienza” è quello di “Processazione


dell’input” (Input processing, d’ora in poi IP), un modello teorico
dell’apprendimento di una L2, proposto per la prima volta negli Stati
Uniti da Van Patten (1990, 1996, poi 2002, Benati, Van Patten e
Wong 2005) e adattato ad altre lingue, tra le quali l’italiano (Benati
2000, Liverani Bertinelli e Benati 2001, Benati, Van Patten e Wong
2005).
Van Patten (1990) parte dall’ipotesi della centralità dell’“input
comprensibile e dotato di significato” di Krashen (1982: 65), ma di-
mostra attraverso prove empiriche come gli apprendenti, soprattutto i
principianti, abbiano difficoltà a prestare attenzione contemporanea-
mente alla forma e al significato. Afferma poi che solo quando ha

11
La traduzione è di Benati in Van Patten, Benati e Wong (2005: 9).
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 49

compreso il significato dell’input, l’apprendente è in grado di prestare


attenzione alla forma della lingua (Van Patten 1990: 296).
Con IP si indica dunque un percorso che combina due fasi: la fase
di percezione12 della forma e la fase del “notare” (noticing, “coscien-
tizzazione” per Benati, Van Patten e Wong 2005: 40). L’IP «consta
del tentativo da parte del discente di stabilire possibili relazioni forma-
li significato/funzione durante la fase di esposizione (comprensio-
ne/interpretazione) all’input» (ivi: 41).
Il processo di apprendimento di una L2 – secondo Van Patten – è in
realtà la somma di tre diversi processi, in stretta relazione tra loro:
Tavola 6: I tre processi dell’acquisizione (adattato da Van Patten, Benati e Wong
2005: 53, figura 5)

I II III
Input → materiale appreso [intake] → sistema linguistico interno → risposta [output]

Processo I: input processing


Processo II: accomodation, restructuring
Processo III: access, production procedures

Con IP si intende il processo 1, ossia la fase che va dall’input


all’intake.13 È attraverso l’input che l’apprendente formula delle rela-
zioni tra la forma ed il significato.
Naturalmente non tutto quello che appartiene all’input riesce ad es-
sere processato e a diventare intake, in quanto l’attenzione
dell’apprendente è limitata. Il modello di Van Patten si articola dun-
que in diversi principi (Van Patten 2002: 758 e, in italiano, Benati,
Van Patten e Wong 2005: 41-46, 60) che descrivono le strategie attra-
verso le quali l’apprendente processa l’input, stabilendo ad esempio
che egli tende a processare l’input prima per il significato che per la
forma, e in particolare prima per gli elementi lessicali, a partire da
quelli inseriti all’inizio della frase.

12
«La percezione di una forma si riferisce ai vari segnali o stimoli a cui il discente viene
esposto» (ivi: 40).
13
Si ricordi che per Van Patten l’intake non rappresenta esclusivamente la porzione
dell’input filtrata dall’apprendente, ma «include anche materiale che è stato processato non
correttamente (erronee relazioni forma/significato)» Van Patten, Benati e Wong (2005: 41).
50 Capitolo 3

Per quanto riguarda la morfologia poi, vengono processati prima gli


elementi grammaticali che sono portatori di significato comunicativo
(more meaningfull, come ad esempio potrebbe essere il caso del ge-
rundio –ing in inglese) rispetto a quelli che lo sono meno (less mea-
ningfull, come la –s della terza persona singolare del presente dei ver-
bi in inglese).
Una volta stabilite le strategie generali di processazione dell’input,
la domanda che si sono posti Van Patten ed i ricercatori a lui legati è
stata la seguente: «è possibile manipolare o alterare la fase di proces-
sazione dell’input così da rendere l’intake più ricco grammaticalmen-
te?» (Liverani Bertinelli e Benati 2001: 82).
Il modello teorico dell’IP ha dato luogo pertanto a un approccio di-
dattico chiamato “Istruzione basata sul sistema di processazione
dell’input” (Processing instruction, d’ora in poi PI, una versione revi-
sionata in Van Patten 2002, Benati, Van Patten e Wong 2005), adatta-
to all’italiano da Benati (2000), Liverani Bertinelli e Benati (2001) e
Benati, Van Patten e Wong (2005).
Con PI si intende:

un approccio esplicito all’insegnamento della grammatica il cui scopo princi-


pale è di assicurarsi che il discente noti la regola nell’input che riceve e che
attraverso un tipo di attività basata sulla comprensione ed interpretazione del-
la regola stabilisca una serie di relazioni forma-significato (Liverani Bertinel-
li e Benati 2001: 119).14

Diversamente dall’approccio grammaticale tradizionale, che si foca-


lizza sulla produzione della regola o della struttura, quindi sull’output,
mettendo così “il carro davanti ai buoi” (Benati 2000: 476, ma già
Van Patten 1993) dato che chiede al discente di produrre una regola
quando non ha ancora avuto il tempo di crearsene una rappresentazio-
ne mentale attraverso l’input, l’approccio PI si concentra invece
sull’input e lavora su di esso, cercando di arricchirlo il più possibile e
di alterare la fase della processazione, in modo che una porzione mag-

14
«It is a type of explicit instruction whose aim is to get learners to attend to forms in the
input as it might be a prerequisite for acquisition, particularly if instruction is directed at ena-
bling L2 learners to establish form meaning connections during comprehension» Van Patten
(1996: 86).
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 51

giore di input diventi intake. Si propone pertanto di far notare la forma


presente nell’input attraverso attività rivolte prima di tutto al significa-
to. In un primo momento non si richiede la produzione della forma,
ma compaiono poi esercitazioni che spingono l’apprendente a manipo-
larla e produrla, per via orale e scritta (Liverani Bertinelli e Benati
2001: 84).
L’approccio PI prevede essenzialmente tre momenti (illustrati in i-
taliano in Benati, Van Patten e Wong 2005: 63-78) che riassumiamo.

• L’elemento grammaticale da focalizzare viene introdot-


to esplicitamente, ma in forma scomposta e semplificata. Ad
esempio per introdurre il futuro indicativo, soggetto dello stu-
dio di Benati (2000), l’insegnante indica agli apprendenti – uti-
lizzando la loro lingua materna – che ci sono due strategie per
riconoscere il tempo futuro in italiano. La prima è che la prima
persona dei verbi regolari si forma aggiungendo una -ò
all’infinito meno la -e finale, e che la parte finale è uguale per i
verbi in -ere e in -ire. La seconda è che l’accento è sempre sul-
la –o finale, elemento utile per distinguere il futuro dal presen-
te.
Tavola 7: Informazione esplicita offerta nella prima fase del PI (da Van
Patten, Benati e Wong 2005: 125)

Arrivare Prendere Partire


Io arriv-er-ò prend-e-rò part-ir-ò

• Vengono indicate quelle che potrebbero essere le stra-


tegie di acquisizione erronee che gli apprendenti della L2 ten-
dono ad utilizzare, in modo da evitare che l’apprendente pro-
cessi l’input in maniera scorretta.

• Vengono poi presentate delle “attività di input struttura-


to” (structured input activities), etichetta che si riferisce a «o-
gni tipo di esercitazione che diriga il discente ad alterare le sue
strategie di processazione» (Benati, Van Patten e Wong 2005:
65). Secondo gli studi di Benati è questo il momento fonda-
mentale dell’approccio PI.
52 Capitolo 3

Tali attività devono essere preparate seguendo dei principi


guida (illustrati da Van Patten e Lee 1995: 106-107 per lo spa-
gnolo, Benati, Van Patten e Wong 2005, 65-74 in generale, e
74-77 per l’italiano) che prevedono ad esempio di presentare
un solo elemento per volta, di incentrare l’attenzione sul signi-
ficato, di passare gradualmente dalla singola frase (più adatta
alle limitate capacità di processazione iniziale
dell’apprendente) al testo.
Il loro scopo è quello di aiutare a processare l’input, ad e-
saminarlo e a comprenderlo meglio; devono essere costruite
con molta attenzione, in modo da spingere l’apprendente a
mettere in atto le strategie corrette.
Prendiamo l’esempio del futuro studiato da Benati: secondo
il modello IP, l’apprendente tende a processare prima le infor-
mazioni fornite da un elemento lessicale (domani), poi quelle
derivanti da un elemento morfologico (lavorerò). Mette cioè in
atto una strategia di acquisizione che potrebbe spingerlo a pro-
cessare scorrettamente l’input: bisogna dunque renderlo consa-
pevole di questa tendenza e spingerlo ad alterare la strategia,
attraverso attività che lo inducano a prestare più attenzione ai
morfemi che al lessico. L’input delle attività viene dunque alte-
rato rimuovendo gli elementi lessicali che indicano il tempo, in
modo che egli sia incoraggiato «a processare l’elemento
grammaticale per completare l’attività (si altera così la strate-
gia di apprendimento che gli impedisce di processare
l’elemento morfologico verbale» (Benati, Van Patten e Wong
2005: 65).
Fanno parte di queste esercitazioni sia attività di tipo “refe-
renziale”, che chiedono ad esempio di stabilire quando si svol-
ge un’azione dell’input a partire da una frase contando solo
sull’elemento grammaticale, sia attività di tipo “affettivo”, che
riguardano cioè l’esperienza diretta degli studenti. Li si può in-
vitare ad esempio ad esprimere opinioni personali sugli argo-
menti presentati nell’input, in modo da coinvolgerli maggior-
mente (Benati, Van Patten e Wong 2005: 71). Si noti che lavo-
rando in un contesto di LS, Benati utilizza la lingua materna
degli apprendenti per la riflessione metalinguistica.
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 53

Tavola 8: Attività di input strutturato per l’insegnamento del futuro (tratto da Benati,
Van Patten e Wong 2005: 126)

[a. Attività di tipo affettivo]

Alessandro is making New Years resolutions. Look at six sentences and indicate
whether are or not each statement applies to you. Compare your response with some-
one else.

Notice the spoken stress on the first person singular on the future tense.
L’anno prossimo Vale per me Non vale per me
1. studierò tutti I giorni. □ □
2. prometto che non arriverò all’Università in ritardo. □ □
3. metterò in ordine la mia camera. □ □
ecc….

[b. attività di tipo referenziale]

You are going to hear some sentences in Italian. Select whether each sentence you
heard occurred in the present or in the future. Keep in mind that future tense forms
(especially for the 1st person) has the spoken stress on the final vowel of the
endings, and not on the stem vowel.
1. a) present b) future
2. a) present b) future
3. a) present b) future
4. a) present b) future
ecc.

Trascrizione
1. Guardo il film in televisione.
2. Tornerò in treno con tuo fratello.
3. Resto a casa tutto il giorno.
4. Passerò le vacanze con amici.
Ecc.

Secondo la sperimentazione di Benati (Benati, Van Patten e Wong


2005, 104-19) il fattore determinante del successo dell’approccio PI
non è tanto la componente esplicita iniziale, quanto la pratica attraver-
so le attività di input strutturato.
Meno spazio invece tale approccio riserva alla fase di produzione o
output, alla quale Van Patten assegna sì un ruolo, in particolare per
quanto riguarda l’incremento della scioltezza comunicativa, ma che
considera non determinante per l’apprendimento in sé (su questo ar-
54 Capitolo 3

gomento si veda in particolare Van Patten 2000, 2002: 795-86; 2003:


169; per alcune proposte di attività di output strutturato per l’italiano
si veda Benati, Van Patten e Wong 2005: 79-85).

3.7. Approcci incentrati sull’output

Gli approcci incentrati sull’input sono stati criticati proprio per il fatto
di trascurare il momento della produzione, dell’output, sulla base di
considerazioni di ordine psicolinguistico e pedagogico che ora esami-
neremo. Se dunque nel decennio che concludeva il XX secolo sem-
brava che fosse sancita la superiorità di un insegnamento grammatica-
le basato principalmente sull’input, un filone di ricerche particolar-
mente vivo oggi (si vedano ad esempio Grove 1999, Izumi 2002, Izu-
mi 2003, Morgan-Short e Wood Bodwen 2006, Toth 2006, con ulte-
riore bibliografia) sta dimostrando invece che, benché il ruolo
dell’input rimanga fondamentale, il ruolo dell’output è altrettanto im-
portante, e che riguarda direttamente l’acquisizione e non solamente –
come sosteneva invece Van Patten – l’efficacia e la scioltezza comu-
nicativa.
Tali studi si appoggiano su quella che è stata definita l’“Ipotesi
dell’output comprensibile” (Comprehensible output hypothesis) di
Swain (1985, poi riproposta da Swain 1995), che va ad integrare
l’“Ipotesi dell’input comprensibile” (Comprehensible input hypothe-
sis) di Krashen, senza sostituirsi ad essa. Osservando classi di immer-
sione totale nel francese in Canada, Swain (1985) ha notato infatti che
l’esposizione ad un input comprensibile, pur garantendo buoni risultati
sul piano della scioltezza, della confidenza nell’uso della lingua e del-
la comprensione, non è condizione sufficiente a raggiungere un livello
di produzione accurato. Nonostante gli errori di tipo morfosintattico
infatti, la comunicazione tra l’apprendente e l’insegnante “comunica-
tivo” che utilizza tecniche di riformulazione e chiarificazione del mes-
saggio dei suoi allievi (si veda poi il recasting par. 4.11), è sufficien-
temente comprensibile. L’apprendente pertanto non è spinto a rendere
il suo output più corretto, più chiaro (Swain 1985: 249) di quello che
già è. Per Swain (1985, 1995) non basta che gli apprendenti si limitino
a parlare e a scrivere, ma è necessario che si sforzino, facendo uso di
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 55

tutte le loro risorse, e che riflettano sulla propria produzione, conside-


rando come renderla più appropriata ed accurata (Swain 1993: 160-
61). Per Swain infatti, l’output, in particolare se è “spinto” (pushed
output) e seguito da una fase di correzione da parte dell’insegnante,15
oltre a promuovere la fluenza, svolge tre funzioni fondamentali.

• Può servire all’apprendente per notare lo scarto esisten-


te tra quello che vorrebbe dire e quello che può dire (noti-
cing/triggering function, Swain 1995: 129-30).
• Grazie al feedback di ritorno da parte dell’insegnante,
può costituire per l’apprendente che lo produce una sorta di ve-
rifica delle proprie ipotesi sulla lingua (hypothesis testing fun-
ction, ivi: 131-32). Infatti durante la fase di feedback, di nego-
ziazione del significato in classe, l’apprendente modifica la
propria produzione, e questo processo contribuisce
all’apprendimento.
• Può avere una funzione metalinguistica, almeno nel ca-
so di particolari compiti comunicativi che sollecitino la rifles-
sione sulla lingua (metalinguistic function, ivi: 132).

Un’efficace tecnica basata sull’output che spinge l’apprendente a


far ricorso al metalinguaggio è secondo Swain 1998, quella del dicto-
gloss, piuttosto diffusa nell’insegnamento di altre lingue seconde e si-
curamente da valorizzare anche per l’italiano L2. L’insegnante legge
due volte un breve testo, denso (si tratta di input arricchito), a velocità
normale, dando poi agli studenti il compito di ricostruirlo sulla base di
alcuni appunti presi durante la lettura (Swain 1998: 70). Gli studenti
lavorano in piccoli gruppi confrontando appunti e conoscenze. Le di-
verse versioni dei gruppi vengono poi analizzate e comparate tra di lo-
ro e con l’originale. In questo modo, gli apprendenti possono praticare
le strutture su cui l’attività si focalizza. Durante la fase di confronto, il
testo finale viene scritto alla lavagna. È in quel momento che
l’insegnante interviene, ricorrendo eventualmente a spiegazioni meta-
linguistiche più o meno esplicite. La ricerca di Swain (1998), incentra-

15
Ellis (1997: 49) ad esempio definisce pushed output come «sustained output that pushes
at the limits of the learner’s current state of development».
56 Capitolo 3

ta sulla distinzione tra imparfait/passé composé in francese L2 indica


però che l’esplicitazione delle regole in questa fase sembra aiutare di
più gli studenti a interiorizzarle.
Swain e Lapkin (1995: 375) inoltre sottolineano che l’output forza
l’apprendente a muovere «dai processi semantici prevalenti nella
comprensione ai processi sintattici necessari nella produzione», nel
senso che quando parla deve codificare un messaggio preverbale,
sforzandosi dunque a cercare le strutture adeguate .
Insomma, come sintetizza bene Izumi:

l’output Hypothesis di Swain sostiene che l’output può, a certe condizioni,


promuovere acquisizione della lingua permettendo agli apprendenti di mette-
re alla prova e di sforzare le loro capacità di interlingua. Così facendo
l’apprendente può riconoscere problemi nella sua interlingua sia attraverso il
feedback interno – l’output promuove processi sintattici e auto-monitoraggio
− sia attraverso feedback esterno – l’output sollecita il feedback dagli interlo-
cutori, insegnanti, ecc. Questo riconoscimento può spingere l’apprendente a
generare alternative cercandole nella conoscenza già esistente o ad andare a
cercare input rilevante con attenzione più focalizzata e con bisogni comunica-
tivi identificati più chiaramente (Izumi 2003: 171).16

Ma perché l’output gioca un ruolo importante?


Uno studio particolarmente interessante che cerca di chiarirne le
motivazioni è quello di Izumi (2002). Volendo confrontare l’efficacia
di una tecnica di insegnamento basata solo sull’arricchimento
dell’input (d’ora in poi IE, Input Enhancement), con una basata solo
su output, ed infine con una terza, che combina le altre due, Izumi
(2002) ha studiato l’apprendimento dei pronomi in spagnolo L2, divi-
dendo i suoi studenti in quattro gruppi che venivano sottoposti a tecni-
che di istruzione grammaticale e di pratica differenti. Il primo gruppo
(istruito secondo IE) doveva semplicemente leggere il testo input,
suddiviso in piccole porzioni, e rispondere ad alcune domande su di

16
«In sum Swain’s output hypothesis claim that output can, under certain conditions,
promote language acquisition by allowing learners to try out and stretch their IL capabilities.
In so doing, learners may recognize problem in their IL through internal feedback − output
promotes syntactic processing and self monitoring or external feedback − output invites feed-
back from interlocutors, teachers, etc. This recognition may prompt the learner to generate
alternatives by searching existing knowledge or to seek out relevant input with more focused
attention and with more clearly identified communicative needs».
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 57

esso. Il secondo (istruito con tecniche basate sull’output) invece dove-


va leggere il testo, e ricostruirlo, cercando di avvicinarsi il più possibi-
le all’originale. Il terzo gruppo doveva svolgere entrambi i compiti.
Un quarto gruppo infine non veniva sottoposto a nessun trattamento
particolare e fungeva da gruppo di controllo. Alla fine tutti e quattro i
gruppi venivano sottoposti a test di verifica, e dovevano redigere un
breve testo in L1 per dimostrare cosa avevano capito (ivi: 545-48).
I risultati hanno evidenziato che gli apprendenti esposti esclusiva-
mente ad IE non ottenevano gli stessi risultati degli altri due gruppi.
Izumi (2002) dunque ne deduce che l’input, pur essendo fondamenta-
le, non è sufficiente da solo all’apprendimento. Per lo meno per acqui-
sire strutture complesse di una L2 infatti, c’è bisogno che
l’apprendente “noti” le forme. È quella che Schmidt (1990) definiva la
fase del “notare” (noticing), indicando con tale termine il processo di
“attenzione” (attention), registrazione conscia della forma (si veda
1.1). Appoggiandosi a studi di psicologia cognitiva però, Izumi va ol-
tre, e chiarisce che tale fase si compone di due diversi momenti (ivi:
571):

1. l’individuazione (sensory detection) degli elementi chiave;


2. ulteriori processi cognitivi che connettono e mettono in relazione
i singoli elementi, li catturano in coerenti set strutturali.

L’IE sembra arrestarsi al primo stadio, in quanto permette sì agli


apprendenti di notare le forme (la detection), ma poi non dà loro
l’opportunità di compiere il passo successivo. Le attività basate
sull’output invece, in particolare sull’“output spinto”, non solo pro-
muovono l’individuazione delle nuove forme, ma consentono di met-
tere in atto quei processi integrativi necessari per costruire una struttu-
ra coerente tra gli elementi individuati (per ulteriori approfondimenti
si veda anche Izumi 2003). In questo caso quindi la critica ad un inse-
gnamento incentrato esclusivamente (o quasi) sulla comprensione
dell’input ed invece la valorizzazione della fase di output si appoggia-
no su motivazioni di ordine psicolinguistico, che hanno a che fare con
i processi cognitivi.
Le critiche agli approcci incentrati sull’input tuttavia sono state det-
tate anche da ragioni d’ordine pedagogico. Significativa è ad esempio
58 Capitolo 3

la polemica tra Ellis (1993) e Hopkins e Nettle (1994): nel 1993 Ellis,
sulla base della ricerca teorica, era intervenuto nell’«ELT Journal»,
una rivista diffusissima tra i docenti di inglese come L2, per sostenere
la maggior efficacia di un insegnamento basato sulla “Presa di co-
scienza” piuttosto che sul metodo tradizionale del PPP (Presentation,
Practice, Production), e per criticare la sua assenza dai manuali per
l’insegnamento dell’inglese.
Gli risposero Hopkins e Nettle (1994), evidenziando che gli ap-
procci basati su CR erano già usati da molti docenti e da autori di ma-
teriali didattici, ma che la pratica resta comunque molto presente nei
manuali. La proposta di sostituirla completamente con un approccio
del tipo CR infatti non incontra la domanda pratica né degli insegnan-
ti, né degli apprendenti, che si sentono frustrati a non poter applicare
le strutture che vengono loro presentate.
Ricollegandosi a tale dibattito più recentemente Ryo e Gardner
(2005) hanno esaminato nove manuali per l’insegnamento dell’inglese
come L2 di livello intermedio editi tra il 1991 e il 2000, in riferimento
ad alcune strutture linguistiche, concludendo che in essi la pratica oc-
cupa ancora uno spazio essenziale. Ogni manuale esaminato prevede
infatti una fase di pratica dopo la presentazione delle strutture. Nono-
stante i ricercatori insistano sull’efficienza della “Presa di coscienza”
rispetto alla pratica, e i loro argomenti siano convincenti, per Ryo e
Gardner (2005) gli insegnanti di lingua non sono pronti ad abbandona-
re i familiari esercizi di pratica. Le aspettative dei discenti infatti im-
pediscono loro – in casi come questo – di seguire i suggerimenti della
ricerca teorica.
Tuttavia gli autori dei manuali spesso alternano CR tasks ai practi-
ce tasks, preferendo così combinare strategicamente i due approcci
piuttosto che sceglierne uno solo (ivi: 10). Questa tensione si avverte
anche nei volumi di metodologia: Thornbury (2001) ad esempio, un
ottimo manuale per la formazione degli insegnanti di inglese, nel capi-
tolo titolato Un compromesso? suggerisce di combinare tecniche di
noticing con esercizi di pratica.
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 59

3.8. Alcuni modelli teorici dell’apprendimento di una L2

Le riflessioni precedenti ci spingono ad interrogarci più da vicino sui


processi cognitivi di apprendimento di una lingua seconda, che riman-
gono però ancora in parte inesplorati.
Un teoria che ha goduto e continua a godere di un certo successo è
l’Adaptive control Theory (ACT) di Anderson (1993) e divulgata da
DeKeyser (1998), secondo la quale ci sono due tipi diversi di cono-
scenza: la conoscenza “dichiarativa” (‘conoscenza che’) ossia la cono-
scenza esplicita di fatti (ad esempio Napoleone fu sconfitto nel 1815),
e la conoscenza “procedurale” (‘conoscenza come’) che si manifesta
nella forma di produzione di regole, di un comportamento. L’esempio
che fa DeKeyser (1998: 49) è quello della combinazione di una serra-
tura: quando un impiegato prende possesso per la prima volta di un uf-
ficio, riceve la combinazione per aprire la porta. All’inizio la impara a
memoria, poi la applica sempre più automaticamente. Alla fine può
anche aver dimenticato la formula (aver perso cioè la conoscenza di-
chiarativa), ma sa aprire la porta (possiede la conoscenza procedurale).
La sua segretaria invece deve possedere entrambe le conoscenze, dal
momento che deve saper aprire la porta, ma anche, eventualmente, sa-
per dare la combinazione ad altri.
Se si impara una lingua per comunicare è necessario raggiungere la
conoscenza procedurale: la teoria di Anderson nella versione di De-
Keyser (1998) prevede dunque che ci debba essere una prima fase di
introduzione esplicita di una forma affinché l’apprendente ne abbia
una conoscenza dichiarativa, e che poi, attraverso la pratica (nella
forma di drill comunicativi, per cui si veda il cap. 4), tale conoscenza
venga lentamente proceduralizzata, fino ad arrivare all’automatiz-
zazione.
L’insegnamento grammaticale esplicito per DeKeyser dovrebbe
addirittura precedere la presentazione del testo input, in quanto rende
le strutture salienti e permette all’apprendente di riconoscerle nel testo
e di stabilire facilmente il nesso tra forma e contenuto. Seguendo que-
sto modello, DeKeyser è diventato uno dei principali sostenitori della
versione forte della posizione dell’interfaccia (strong interface
position), secondo la quale ci sarebbe una stretta interrelazione tra ap-
prendimento esplicito ed apprendimento implicito di una L2. Non solo
60 Capitolo 3

infatti la conoscenza esplicita deriverebbe dalla conoscenza implicita,


ma sarebbe possibile anche passare dalla conoscenza esplicita alla im-
plicita attraverso la pratica (R. Ellis 2005: 144).
La posizione opposta (no interface position) era invece quella di
Krashen (si veda par. 3.2), per il quale tra apprendimento (esplicito)
ed acquisizione (implicita) non vi sarebbe nessuna relazione e pertanto
la conoscenza esplicita delle regole grammaticali non può convertirsi
in conoscenza implicita.
La via di mezzo – che ci appare la più convincente – è quella rap-
presentata dalla versione debole della posizione dell’interfaccia (weak
interface position), sostenuta ad esempio da Ellis (1993, 1994, 2003,
2005), secondo cui invece la conoscenza esplicita può agire da facili-
tatore della conoscenza implicita attraverso la fase del notare, a patto
che l’apprendente sia pronto per acquisire le strutture proposte, secon-
do l’ipotesi di Pienemann (Ellis 1993).

Tavola 9: Il ruolo della conoscenza esplicita nell’acquisizione della L2 (da Ellis


1997: 123)

Analizziamo lo schema proposto da Ellis (1997: 123). Innanzitutto,


l’input può diventare intake solo se le forme sono state “notate”
dall’apprendente (Schmidt 1990). Una volta che una struttura è stata
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 61

notata, essa può diventare parte dell’interlingua dell’apprendente a


patto che egli riesca – attraverso un processo di confronto (comparing)
– a notare la differenza rispetto alla sua interlingua attuale (è la fase
che viene definita noticing the gap). A questo punto l’apprendente po-
trà integrare la nuova struttura nel suo sistema. Se si tratta di introdur-
re quello che viene definito un item learning (ad esempio una parola o
una formula del tipo «Sto bene, grazie»), il processo non pone partico-
lari problemi e può avvenire anche per via implicita. Se invece la ri-
strutturazione coinvolge il system learning, il processo risulta più
complesso. È a questo punto che la conoscenza esplicita attraverso
l’istruzione focalizzata sulla forma (form focused instruction) può ser-
vire a sviluppare la conoscenza implicita.
La posizione dell’interfaccia debole è difesa anche da N. Ellis
(2005) che recentemente, sulla base di ricerche di neurobiologia a
proposito delle aree del cervello coinvolte nei processi di apprendi-
mento, ha sostenuto che i due tipi di conoscenza esplicita ed implicita
sono sì separati, hanno sede in parti differenti del cervello, ma sono in
continua interrelazione tra loro «come lo yin e lo yang» (N. Ellis
2005: 336). N. Ellis (2005) si sofferma ancora sul ruolo della pratica,
rivalutando anche i drill ed il ruolo dell’analogia che definisce “focus
sulle relazioni” (ivi: 329). A suo avviso, la pratica, che ha quattro ef-
fetti principali, definiti: “accesso potenziato”, “schematizzazione”,
“divisione in parti”, e “automatizzazione” (improved access, schema-
tization, chunking e automatization N. Ellis 2005: 333), permette di
automatizzare le strutture, rendendole, un poco alla volta un compor-
tamento meccanico: chi apprende una L2 è paragonabile ad un cuoco
che impara a fare la besciamella. In un primo momento avrà bisogno
di concentrarsi su tutte le piccole operazioni necessarie e di prestare
loro molta attenzione, ma poi diventerà sempre più rapido
nell’esecuzione della ricetta, per arrivare alla fine a preparare
un’ottima besciamella svolgendo contemporaneamente altri compiti
(ivi: 333).
Questi studi darebbero dunque scientificità alla tesi, non nuova, se-
condo cui la riflessione sulla forma e la pratica guidata agevolano il
passaggio da una conoscenza esplicita, dichiarativa, delle regole ad
una conoscenza implicita, automatica, della lingua.
62 Capitolo 3

3.9. Conclusioni: un compromesso

Abbiamo visto dunque che il ruolo della pratica, che risultava centrale
nell’insegnamento tradizionale e in quello comunicativo, ma che poi
era stato fortemente ridimensionato dagli approcci basati sull’input,
torna ad essere rivalutato sulla base di studi sperimentali che ne dimo-
strato l’effettiva validità sul piano cognitivo e pedagogico.
Il lungo dibattito partito da Krashen tuttavia è servito per sottoline-
are la fondamentale importanza dell’input e del lavoro del “notare”
fatto su di esso. A questo punto la soluzione proposta per l’inglese
come L2 (si veda par. 3.7), ossia quella del compromesso appare esse-
re la migliore.
Da un lato gli studi sulla “Presa di coscienza” e sulla “Processazio-
ne dell’input” hanno dimostrato come il metodo “tradizionale” che –
dopo aver brevemente presentato le regole – spingeva l’apprendente a
produrle senza concedergli il tempo di interiorizzarle davvero, rischia-
va di essere controproducente, in quanto non adeguato ai processi co-
gnitivi.
D’altro canto però, è evidente che concentrare il lavoro della classe
esclusivamente sulla comprensione dell’input non risponde alle esi-
genze degli apprendenti, i quali – imparando una lingua a scopo es-
senzialmente comunicativo – hanno bisogno appunto di comunicare,
cioè necessitano della fase della produzione.
La pratica è momento imprescindibile nell’insegnamento, fin dai
primi momenti, con la dovuta cautela per tipologie di discenti che par-
tendo da lingue molto lontane possono necessitare di una fase iniziale
di silenzio, come ad esempio i cinesi per l’italiano L2. Con appren-
denti europei o che comunque conoscono altre lingue europee, sembra
utile prevedere fin dalle prime lezioni semplici attività di riflessione
sulla lingua seguite da momenti di produzione, eventualmente piutto-
sto guidata all’inizio.
Riflessioni teoriche sull’insegnamento della grammatica nella classe di L2 63

Tavola 10: L’apprendimento di una nuova forma e il ruolo dell’insegnamento


esplicito

Processo che deve compiere Compiti dell’insegnamento per aiu-


l’apprendente per assimilare una nuova tare il processo interno
forma all’apprendente
Recepire l’input Fornire input valido da analizzare
Notare Aiutare a notare la forma: renderla sa-
liente nell’input, evidenziare i nessi for-
ma-significato
Confrontare con il già noto e notare somi- Fornire altre forme simili (e/o dissimili)
glianze e differenze
Esercitarsi, produrre Proporre attività di pratica della forma e
correggere gli errori (feedback)
Ristrutturare il proprio sistema (capire e Riflettere esplicitamente
produrre schemi più ampi)

Il “fare grammatica” nella classe di lingua dunque prevede sostan-


zialmente due momenti centrali, con tipologie di attività distinte tra
loro. Una prima fase di analisi dell’input, che ha lo scopo di guidare la
comprensione del rapporto forma-significato, di far notare le strutture,
e di aiutare a processarle correttamente, si avvarrà di attività più vicine
ai CR task (cfr. Ellis 1997: 162- 63, e ivi, par. 3.6.1).
Una seconda fase invece serve a spingere l’apprendente all’utilizzo
delle nuove strutture, allo scopo di integrarle con il già noto, ristruttu-
rando la propria interlingua. È in questo momento che per favorire la
produzione si fa ricorso alla pratica, possibilmente passando da attività
più strutturate ad attività più libere.
Nel capitolo successivo esamineremo come vengono affrontate le
due fasi nella didattica dell’italiano come L2, sulla base dei più recenti
manuali.
Capitolo 4

Come insegnare. 2.

La grammatica nella classe di italiano L2:


riflessioni metodologiche
4.1. Premessa

Il seguente capitolo presenterà alcune riflessioni metodologiche ri-


guardanti l’insegnamento della grammatica nella classe di italiano L2,
esaminando in particolare gli aspetti pratici: quanto tempo dedicare
alla grammatica, quale tipologia di attività preferire per le diverse fasi,
correggere o meno gli errori e come farlo, ecc. Le esemplificazioni
sono tratte dai più recenti manuali per l’insegnamento dell’italiano
(Bibliografia, par. 3), da alcune grammatiche pedagogiche (si veda
5.4.2.1) e dal corso di italiano on-line A spasso con Virgilio,1 o sono
state elaborate dall’autrice del volume.

4.2. Il tempo da dedicare alla grammatica

Nei capitoli precedenti abbiamo evidenziato come la riflessione sulla


lingua sia un momento importante nell’insegnamento di una L2, in
quanto aiuta lo studente a notare le forme e a trasferirle nell’intake,
promuovendo la ristrutturazione della sua interlingua. Tuttavia non bi-
sogna dimenticare che secondo la glottodidattica moderna la gramma-
tica è funzionale alla comunicazione e deve avere un ruolo contenuto,
e non primario, nella lezione rispetto alla presentazione dell’input e
alla pratica comunicativa.

1
Si tratta di un corso di italiano on-line di livello A1 creato dai Collaboratori ed esperti
linguistici e dai Tecnici del Centro linguistico di Ateneo dell’Università di Padova, che sarà
reso pubblico a partire dal 2008. Hanno lavorato alla sezione di grammatica in particolare A-
lessandra Riva e Fulvia Virginio, tesiste del Master in Didattica dell’Italiano come L2 di Pa-
dova, e le Collaboratori ed esperte linguistiche Elena Maria Duso e Cristina Capuzzo.

65
66 Capitolo 4

Anche di fronte ad un sillabo formale, bisogna sicuramente fare


delle scelte. Il sillabo per studenti universitari in scambio di Lo Duca
(2006) ad esempio, che combina aspetti funzionali con altri più stret-
tamente linguistici e testuali, prevede per ogni livello un repertorio
molto ampio di indici grammaticali: secondo l’autrice (Lo Duca 2006:
40) si tratta anzi di «tutti gli indici linguistici meritevoli di essere as-
sunti in un programma di insegnamento […] esposti con il tasso di a-
naliticità ritenuto necessario a discriminarne senza incertezze l’ambito
e i confini». Non è indicato tuttavia, come precisa la stessa Lo Duca
(ivi: 81), il grado di esplicitezza con cui gli indici vanno presentati, né
se essi siano destinati solo ad una ricezione passiva o invece se si ri-
chieda agli studenti anche una produzione attiva. Troppe sono infatti
le “variabili in gioco” da considerare (tempo a disposizione, lingua
materna degli studenti, ecc., ivi).
Non tutti gli aspetti potranno dunque essere trattati in modo esplici-
to in classe o divenire oggetto di riflessioni approfondite, altrimenti il
tempo ad essi dedicato esaurirebbe le ore in aula. Sta al singolo docen-
te scegliere quelli che sono indici indispensabili per quel livello, e che
sono particolarmente rilevanti per quella specifica classe (con i suoi
obiettivi, le diverse lingue materne dei suoi componenti, ecc.). Alcuni
di essi necessitano infatti di riflessione esplicita, dato che la loro com-
plessità formale e funzionale è tale da richiedere un serio sforzo da
parte degli apprendenti, altri invece possono essere lasciati
all’acquisizione intuitiva, perché molto presenti nell’input o congruen-
ti ad elementi delle lingue materne degli apprendenti.
Come suggerisce Lo Duca dunque:

ci si potrà limitare a proporre un certo compito, un particolare genere testua-


le, un frammento della grammatica dell'italiano solo attraverso la presenta-
zione insistita degli stessi nei materiali, affinché gli allievi arrivino a notare
forme e strutture in modo autonomo, senza esplicito richiamo da parte del
docente; si potrà invece puntare alla esplicitazione dei fenomeni, testuali e
grammaticali, inducendo una riflessione guidata sugli stessi, con l’obiettivo
in questo caso dichiarato di indurre una piena consapevolezza sulle regole
della lingua, e di facilitarne l'acquisizione attraverso un'esercitazione mirata e
opportunamente controllata; e si potrà scegliere, anche caso per caso, una
delle molte possibili posizioni intermedie fra i due estremi. Si tratta di scelte
complesse che riguardano la sfera decisionale del docente (Lo Duca 2006:
81).
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 67

Si noti che si allude qui ad una coesistenza tra tecniche di insegna-


mento esplicito, che prevedono la presentazione diretta, consapevole,
delle forme, e tecniche di insegnamento implicito nella forma dell’ “i-
nondazione dell’input” (si veda par. 3.6.).
Parlando di “tempo” da dedicare alla grammatica inoltre vi è un al-
tro aspetto rilevante da considerare, ossia il momento da riservarle
all’interno dell’unità didattica. Esaminiamo i due modelli di unità oggi
in auge per l’italiano L2. Il più noto, proposto da Freddi (1994, ma in-
trodotto già negli anni ’70) e ripreso con aggiustamenti da Balboni
(1994), prevede che la riflessione sulla lingua venga solo dopo le atti-
vità di motivazione e di globalità, nella fase di analisi e sintesi e che si
susseguano un primo momento induttivo, di osservazione ed estrazio-
ne delle regole, e un successivo momento di fissazione e reimpiego,
prima più passivo, poi più attivo delle stesse.
Tavola 1: Modello di unità didattica (da Freddi 1994: 112 )

Un modello più recente è stato proposto da Vedovelli (2002: 133-


41), alla luce del Quadro Comune europeo, ed insiste maggiormente
sul testo, considerato il “nodo centrale di senso” attorno a cui ruotano
tutte le operazioni didattiche (ivi: 137). L’unità didattica di Vedovelli,
definita come «una sequenza organicamente coesa di operazioni e
funzioni» (ivi: 134), pur presentando una struttura interna non lontana
dalla precedente, appare più libera nella sua articolazione. Infatti Ve-
dovelli (ivi: 134) insiste sul fatto che, poiché l’unità è semplicemente
«una proposta di riorganizzazione del flusso di interazioni sociali e
comunicative», in un contesto che è quello del rapporto tra docente ed
allievi, non può essere prevedibile e fissa, ma più indefinita, creativa.
Anche in questo caso comunque si prevedono momenti di verifica del-
68 Capitolo 4

la comprensione, attività di comunicazione, riflessione metalinguistica


e metacomunicativa, attività di rinforzo:
Tavola 2: Schema di unità didattica (da Vedovelli 2002: 137)

La riflessione metalinguistica viene considerata da Vedovelli come


una costante che accompagna i diversi momenti:

Tutte le attività vanno accompagnate da una costante fase di monitoraggio, di


riflessione sugli usi linguistico-comunicativi, sulle strategie di comunicazione
messe in atto, sugli atteggiamenti e i comportamenti degli attori del processo
di comunicazione, ecc. Questa fase, che potremmo chiamare di riflessione
metalinguistica e metacomunicativa, può prendere le forme che gli insegnanti
riterranno più opportune a seconda degli allievi, della tipologia delle loro mo-
tivazioni e le loro competenze. Rappresenta un momento ineludibile in ogni
equilibrato processo di comunicazione didattica, cioè di comunicazione fina-
lizzata allo sviluppo di una competenza linguistico comunicativa (Vedovelli
2002: 140).

Un manuale che organizza particolarmente bene l’unità didattica e


che scandisce con precisione le varie fasi appare essere Viaggio
nell’italiano (Bozzone Costa 2004, per i livelli B2-C1). Esso prevede
diversi momenti di attività sulla grammatica: dopo la presentazione
del testo input, la verifica della comprensione globale ed analitica, e
l’esplorazione del lessico, vi è una prima fase di riflessione induttiva,
in cui ad esempio gli studenti sono invitati a rintracciare le strutture da
focalizzare e ad evidenziarle in vario modo (si veda l’esempio della
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 69

tav. 5). Seguono quindi degli esercizi di reimpiego, prima abbastanza


guidato, poi più libero, che comprendono sempre momenti di pratica
orale e/o scritta. Lo stesso procedimento viene utilizzato più di una
volta qualora le strutture da presentare siano più di una. Alla fine
dell’unità vi sono esercizi di riepilogo di diversa complessità.

4.3. Approccio induttivo e deduttivo: chiarimenti terminologici

Prima di procedere, vale la pena di soffermarsi anche su una distinzio-


ne metodologica importante. Nel capitolo 3 (in particolare 3.2) abbia-
mo fatto riferimento alla distinzione tra approccio induttivo e approc-
cio deduttivo. La controversia tra induttivismo e deduttivismo è stata
da tempo superata: già Krashen (1982) puntualizzava che un approc-
cio non è migliore dell’altro, ma che entrambi appartengono alla sfera
dell’apprendimento piuttosto che a quella all’acquisizione, anche se
l’approccio induttivo assomiglia di più all’acquisizione naturale in
quanto l’apprendente viene messo di fronte a dati da cui deve ricavare
delle regole. L’efficacia dell’uno o dell’altro approccio dipende piut-
tosto dallo stile cognitivo dell’apprendente. Studi specifici (ad es. Har-
tnett 1974, Krashen, Seliger e Hartnett 1974, Seliger 1975) hanno di-
mostrato che si usano meccanismi neurologici differenti: mentre i de-
duttivi usano soprattutto l’emisfero sinistro del cervello e sono più a-
nalitici, gli induttivi seguono molto l’analogia ed usano di più
l’emisfero destro del cervello. L’insistere sull’approccio che non si
confà al singolo individuo può creare ansia e far innalzare le barriere
del “filtro affettivo”. Hammerly (1975) inoltre ha evidenziato come
alcune strutture siano più adatte ad una presentazione deduttiva, altre
si apprendano meglio con un approccio induttivo.2

2
Hammerly (1975: 18) sostiene che per lingue come lo spagnolo e il francese circa l’80%
delle strutture si presta ad un insegnamento di tipo induttivo, ma che il restante 20% delle
strutture, che comprende soprattutto quelle assenti nella lingua materna dell’apprendente, è
più adatto ad un approccio deduttivo: regole così complesse infatti non potrebbero essere e-
strapolate facilmente a partire da un piccolo numero di esempi. Tra queste strutture cita la dif-
ferenza tra ser/estar per lo spagnolo, tra imparfait/passé composé per il francese, o il congiun-
tivo, le funzioni dei casi nelle lingue che li hanno, come il russo o il tedesco.
70 Capitolo 4

Sebbene oggi siano considerati più importanti altri criteri (cap. 2),
la distinzione comunque rimane. La didattica moderna delle lingue
appare privilegiare l’approccio induttivo che meglio si accorda con il
concetto di centralità del discente. Anche il Quadro comune europeo
dà indicazioni abbastanza precise in questo senso (Bertocchi e Quar-
tapelle 2002: 186; Andorno, Bosc e Ribotta 2003: 50). Effettivamente
la grande maggioranza dei manuali per l’italiano L2 dichiara di adotta-
re un approccio “induttivo” alla grammatica. Ma cosa si intende oggi
per induttivo? Cercheremo di esaminare il concetto a partire dalle atti-
vità di riflessione esplicita proposte dai più recenti manuali di italiano
come L2.

4.4. Mettere a fuoco le forme.

Una vecchia interpretazione di “induttivismo” appare quella di In ita-


liano (Chiuchiù, Minciarelli e Silvestrini 19901), che infatti applica il
metodo diretto, ossia audio-orale (Andorno, Bosc e Ribotta 2003: 56).
Ogni unità del manuale si apre con un breve dialogo, seguito da una
lunga serie di drill che inducono lo studente ad apprendere – per imi-
tazione – le strutture focalizzate. Solo alla fine vengono presentate
delle tavole di sintesi grammaticale, che fanno un uso marginale di
metalinguaggio.

Tavola 3: Esempio di drill (tratto da In italiano, Chiuchiù, Minciarelli e Silvestrini


19901: 5).

3. Rispondere
1. Chi è Marianne? (svizzera) È una ragazza svizzera.
2. Chi è Laura? (italiana) __________________
3. Chi è Olga? (russa) __________________
4. Chi è Carmen? (spagnola) _________________

Nei manuali più recenti tuttavia le attività volte alla focalizzazione


della forma, e di conseguenza alla “scoperta” delle regole sono più vi-
cine ai CR task di Ellis (1997: 162-63 e qui, par. 3.6.1). In particolare
si offre un testo input (orale o scritto) e si chiede all’apprendente di
svolgere una (o più) delle seguenti operazioni.
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 71

a. CLASSIFICARE (griglie, insiemistica): è una delle tecniche più dif-


fuse. Ai livelli iniziali ed intermedi in genere, si offre un breve testo e
si chiede di completare delle griglie che contengono una riflessione
esplicita, attraverso i dati forniti dal testo.
Tavola 4: Riempire una griglia (da Rete 1, Mezzadri e Balboni 2000 : 38)

Alla scoperta della lingua.


Leggi nuovamente i testi e prova a completare la tabella.

Articolo determinativo
Maschile Femminile
…il…. medico ……. casalinga
……. studente ……. infermiera
.…… impiegato

A livelli più avanzati invece si possono offrire esempi degli usi di


una certa forma e chiedere poi all’apprendente di classificarli, come
nella tavola seguente.
Tavola 5: Classificare (da Viaggio nell’italiano, Bozzone Costa 2004: 272-73)

Condizionale passato

Leggi gli esempi tratti dal libro ‘Io non ho paura’ e rifletti sul perché viene usato il
condizionale passato. Prova anche a fare un confronto con la tua lingua materna. Che
cosa si usa in questi casi?

FATTI O DESIDERI CHE NON SI FUTURO NEL PASSATO


SONO REALIZZATI
NELPASSATO/IPOTESI IRREALE
(NEL PERIODO IPOTETICO)

Mi sarebbe piaciuto trasformarmi in un Mi sono infilato gli occhiali in ta-


pipistrello e volare sopra la casa. sca. Senza Maria non ci vedeva, aveva
A un certo punto ho cominciato ad as- gli occhi storti e il medico aveva detto
sopirmi, a ragionare più lentamente, mi so- che si sarebbe dovuta operare prima
no fatto forza e mi sono detto che se mi di diventare grande.
addormentavo sarei morto.

Classifica le frasi che seguono in base all'uso del condizionale passato.


Esempio:
C’era ancora un po’ di luce ma entro mezz’ora sarebbe calata la notte. Questa cosa
72 Capitolo 4

non mi piaceva tanto. (futuro nel passato)

1. Era più sveglio del Teschio, gli sarebbe stato facilissimo spodestarlo, ma non gli
interessava diventare capo.
2. “Sono inciampata. Mi sono fatta male al piede e... gli occhiali si sono rotti!” Le
avrei dato uno schiaffone. Era la terza volta che rompeva gli occhiali da quando era fi-
nita la scuola.
3. Per penitenza il Teschio l’aveva obbligata a slacciarsi la camicia e a mostrarci il
seno. Aveva un po’ di tette, uno sputo, niente a che vedere con quelle che le sarebbero
venute entro un paio di anni.
4. Ho pensato a mia sorella. Ho detto che era troppo piccola per gareggiare e che
non era valido, avrebbe perso.
5. Si è messo a sghignazzare aspettandosi che anche noi avremmo fatto lo stesso,
ma non è stato così.
6. Se lo dicevo, il Teschio, come sempre, si prendeva tutto il merito della scoperta.
Avrebbe raccontato a tutti che lo aveva trovato lui perché era stato lui a decidere di sali-
re sopra alla collina.
7. Papà non ripartiva. Era tornato per restare. Aveva detto a mamma che non vole-
va vedere l'autostrada per un po’ e si sarebbe occupato di noi.
8. Ho nascosto la bicicletta come avrebbe fatto Tiger con il suo cavallo, mi sono in-
filato nel grano e sono avanzato a quattro zampe.
9. Ma se lo avevano nascosto lì ci doveva essere una ragione. Papà mi avrebbe spie-
gato tutto.
10. Mi sono arrampicato al mio solito posto, a cavalcioni di un grosso ramo che si
biforcava, e ho deciso che a casa non sarei più tornato.

b. COMPLETARE: tale tecnica appare particolarmente diffusa, quasi


l’unica in alcuni manuali come Espresso 1 (Ziglio e Rizzo 2001). Vie-
ne fornito un testo iniziale, preferibilmente orale, e si chiede poi allo
studente (in genere al secondo ascolto) di completare delle frasi o un
cloze mirato sulle strutture linguistiche in esame. Lo scopo è di far no-
tare certe forme, con l’idea che vengano messe meglio a fuoco se lo
studente fa la sforzo di catturarle e fissarle attraverso la scrittura. Pos-
sono poi seguire o meno attività di riflessione esplicita, o domande de-
stinate ad avviare la riflessione metalinguistica. Per l’esemplificazione
si veda l’attività 4a della tav. 6.

c. RISPONDERE A DOMANDE: anche questa è una tecnica diffusissima


nei manuali di italiano L2 di ogni livello. Le domande hanno lo scopo
di guidare l’attenzione dello studente sulle forme e sulle loro caratteri-
stiche (ad esempio la posizione, la distribuzione), e di condurlo a pic-
coli passi alla scoperta della regola.
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 73

Tavola 6: Esempio che riassume completamento, classificazione con griglia e rispo-


sta alle domande (da Contatto 1, Bozzone Costa, Ghezzi e Piantoni 2005: 123)

Gli aggettivi e i pronomi possessivi

4a Ascolta il dialogo e inserisci i possessivi e i nomi mancanti.


Buongiorno vorrei ritirare (1)_________ (2)_________, (3) _________ invernale.
A che nome? [...]
Guardi, è questo?
Sì, questi pantaloni sono (4) _________ (5) _________, ma quella non è (6)
_________ (7) (8) _________, il colore è simile. [...]
Ah, eccola. Guardi, forse è questa. È (9) _________ (10) _________?
Sì, è quella. [... ].

4b Completa la tabella e rispondi alle domande.

io tu Lei lui/lei noi voi loro


il mio ……….. il Suo ……….. il nostro ……….. il loro vestito
……….. ……….. ……….. la sua ……….. la vostra la loro giacca
……….. i tuoi i Suoi ……….. i nostri ……….. i loro pantalo
ni
le mie ……….. le sue ……….. le vostre le loro scarpe

a. Che cosa c’è prima dell’aggettivo possessivo?


b. A quali persone si riferisce l'aggettivo possessivo “suo”?
c. Perché l'aggettivo possessivo di terza persona plurale si differenzia dagli altri aggettivi
possessivi?

d. EVIDENZIARE: dato un testo scritto, si chiede allo studente di sot-


tolineare o cerchiare una forma. In genere poi si riflette su quella for-
ma. Nei manuali per l’italiano L2 non è una tecnica diffusissima, so-
prattutto ai livelli iniziali, evidentemente perché per evidenziare una
forma bisogna almeno saperla riconoscere. Un manuale destinato ai
livelli B2-C1 come Viaggio nell’italiano (Bozzone Costa 2004) invece
può ricorrere più facilmente a tale modalità: l’attività della tav. 7 met-
te a fuoco l’uso del gerundio. È la prima volta che nel manuale si parla
del gerundio ma sicuramente l’apprendente di quel livello lo conosce
almeno per averlo incontrato nella perifrasi progressiva (stare + ge-
rundio) che in genere viene proposta già ai livelli iniziali (si veda poi
il par. 4.10).
74 Capitolo 4

All’esercizio di riconoscimento è abbinato un esercizio di interpre-


tazione. Lo studente infatti – attraverso alcune domande – viene gui-
dato ad una corretta interpretazione dell’impiego del gerundio e delle
restrizioni cui esso va soggetto.
Tavola 7: Sottolineare e spiegare (da Viaggio nell’italiano, Bozzone Costa 2004:
292)

A. Rileggi il testo di pp. 387-389 e sottolinea i gerundi (4 casi). Per ciascun caso de-
vi:
- dire che significato ha il gerundio.
- sostituirlo, quando possibile, con una frase secondaria esplicita.
- dire se il soggetto della secondaria introdotta dal gerundio è uguale o diverso dal
soggetto della frase principale.
- dire in che posizione compaiono eventuali pronomi.

Esempio: Chi, pur lavorando, non guadagnava abbastanza da sfamarsi, chi aveva
delle vendette private da compiere, diventava brigante.
Chi, anche se lavorava non guadagnava abbastanza da sfamarsi, chi aveva delle ven-
dette private da compiere, diventava brigante.
(significato concessivo) (soggetti uguali: chi lavorava, chi guadagnava).

E. FORMULARE LE REGOLE: si propongono agli studenti delle frasi,


costruite a tavolino o tratte da un testo input, e si chiede loro di formu-
lare la regola.
Tavola 8: Esercizio di produzione di una regola tratto da Rete 2 (Mezzadri e Balboni
2001: 16)

Alla scoperta della lingua


Osserva le frasi, qual è la regola?
Sai nuotare? sapere + …………………………….
Sapete dove abita Michela? sapere + ……………………………..
Conoscete l’indirizzo di Michela? conoscere + …………………………

Particolarmente utili a questo proposito appaiono gli schemi vuoti.


Un interessante lavoro di Cesarini (1995) si sofferma sul loro ruolo
nell’aiutare l’apprendente a sistematizzare e formulare la regola, dopo
la fase di scoperta induttiva. Per “schema vuoto” si intende una sorta
di “scheletro della regola” (Cesarini 1995: 113) all’interno del quale lo
studente inserisce i dati che ha raccolto. Secondo Cesarini (ivi: 113-
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 75

14) l’uso dello schema vuoto è più funzionale rispetto alla semplice
risposta a delle domande, perché da un lato concede agli studenti me-
no veloci di arrivare con i loro tempi alla formulazione della regola,
dall’altro fornisce loro il supporto metalinguistico. Spesso infatti
l’apprendente, soprattutto ai primi livelli, pur comprendendo la regola
in base agli esempi, non riesce a formularla perché non possiede anco-
ra la lingua tecnica necessaria.
Tavola 9: Uso dello schema vuoto per le reggenze verbali (da Cesarini 1995: 116)

Le tecniche effettivamente impiegate per far scoprire la grammatica


in modo induttivo sono dunque sostanzialmente cinque. Rispetto alle
proposte teoriche che abbiamo visto esistere per l’insegnamento
dell’inglese, ne mancano alcune, in particolare:

• tecniche di arricchimento dell’input (input enhancement);


• giudizi di grammaticalità: se non ci si può aspettare che stu-
denti principianti esprimano giudizi sull’utilizzo (o sul manca-
to utilizzo) di una forma, con studenti di livelli più avanzati ta-
le tecnica potrebbe venire utilmente impiegata, o almeno viene
impiegata in ambito anglosassone.
76 Capitolo 4

Nel complesso, quindi, le proposte per una riflessione sulla lingua


di tipo induttivo non sono molte, e in genere i manuali tendono a pre-
ferirne alcune ad altre. Quasi sempre poi non viene adottato un ap-
proccio esclusivamente induttivo, ma un approccio misto, in cui alcuni
elementi vengono presentati in modo deduttivo o attraverso una do-
manda che dovrebbe far riflettere lo studente, ma a cui si dà immedia-
tamente dopo la risposta corretta. Evidentemente, le difficoltà nascono
dalla specificità dell’approccio in sé, che se da un lato ha l’indubbio
vantaggio di rendere lo studente più attivo, dall’altro presenta alcune
problematiche, comportando una certa difficoltà di gestione per
l’insegnante, che deve riuscire a guidare gli studenti laddove essi ten-
derebbero a perdersi, e soprattutto richiedendo tempi piuttosto lunghi.
Per essere davvero efficace un metodo che sia realmente induttivo ne-
cessita di tempi di processazione delle informazioni sufficienti a far
entrare le nuove forme nella memoria a lungo termine e ad interioriz-
zarle anche attraverso la pratica.

4.5. Esercitare le forme. La pratica

Abbiamo passato in rassegna gli esercizi più utili a scoprire e a formu-


lare le regole. Quali sono invece le attività più adatte a fissarle e prati-
carle?
Nel capitolo 3 abbiamo osservato come sia nel metodo tradizionale
PPP (Presentation, Practice, Production) che all’interno degli approc-
ci comunicativi si prevedeva un passaggio graduale da una pratica gui-
data ad una pratica più libera. La ricerca sui processi cognitivi (ad e-
sempio DeKeyser 1998, N. Ellis 2005) sembra avvalorare ancora oggi
tale prassi, pur con alcuni correttivi.

4.5.1. La pratica guidata

Corder (1983: 380-85) distingueva tra gli “esercizi di pratica indutti-


va”, in genere meccanici (mechanical exercices), “esercizi senza si-
gnificato” (meaningless exercices), volti a scoprire e formulare le re-
gole, e gli “esercizi di verifica delle ipotesi” (ivi: 383, hypothesis te-
sting exercices), detti anche “risolutivi di problemi” (problem-solving
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 77

exercices), o “esercizi dotati di significato” (meaningfull exercices),


che hanno invece lo scopo di praticarle e di verificarne la conoscenza.
Tra gli esercizi di questo secondo tipo distingueva ulteriormente tra
gli “esercizi di riconoscimento” (ivi: 383, recognition exercices), che
chiedono all’apprendente di compiere una scelta tra due o più forme
date, delle quali solo una è accettabile (in particolare la scelta multi-
pla) e necessitano di una competenza meno pienamente sviluppata
nella forma focalizzata, e invece gli “esercizi di produzione”
(production exercices). Essi chiedono all’apprendente di produrre lui
stesso la forma che renderà accettabile la frase (Corder 1988: 140) e
sono in genere gli ultimi ad essere proposti, prima della pratica libera.
Cercheremo anche noi di analizzare diverse tipologie di esercizi,
partendo dai più meccanici per andare verso una sempre minor auto-
maticità.

a. I DRILL: per praticare le regole nel modo più guidato possibile


vengono spesso utilizzati “esercizi-trapano” (i pattern drills), origina-
riamente concepiti, come abbiamo visto, per scoprire per via induttiva
le regole. I drill erano molto utilizzati nel metodo audio-orale, e pro-
ponevano un modello da ripetere invariato o con variazioni minime
(per esempio nel lessico), allo scopo di far procedere lo studente per
analogia, fino a fissare determinate strutture (si veda ad esempio la
tav. 3). La critica al metodo audio-orale e il passaggio al nuovo para-
digma determinarono un netto rifiuto di tali esercitazioni, ritenute inu-
tili in quanto – essendo attività puramente meccaniche – non sembra-
vano offrire agli apprendenti lo stimolo comunicativo, considerato la
molla essenziale per l’apprendimento. Tuttavia in tempi più recenti i
drill sono stati rivalutati, ed è stata riconosciuta loro un’utilità nel
momento di passaggio tra la presa di coscienza di una struttura e la
sua fissazione (si veda par. 3.8, ad esempio N. Elllis 2005: 327-29,
Andorno, Bosc e Ribotta 2003, Balboni 1998: 95-101, Ciliberti 1994
10.2.1). I drill infatti si prestano bene ad interiorizzare le regole, per-
ché consentono di fissare nella memoria, attraverso la ripetizione, del-
le strutture evitando il più possibile gli errori.
Si tratterà piuttosto di rendere i drill più comunicativi, evitando di
proporre frasi isolate e prive di significato per gli apprendenti, e cer-
cando invece di contestualizzarle e di legarle alla loro esperienza per-
78 Capitolo 4

sonale. I drill possono ad esempio consistere di semplici domande, che


però riguardano la vita quotidiana, da proporre a coppie di studenti.

Tavola 10: Esempio di drill sull’uso degli avverbi già, ancora, sempre, mai (tratto
da Bozzone Costa, Ghezzi e Piantoni 2005: 104)

1 In coppia. Pensate ai luoghi dove siete stati in vacanza. Chiedete al vostro compa-
gno se li conosce, se ci è già stato o se non c’è mai stato.
Sì, ci sono già stato
Ci = a Roma
Sei già stato a Roma ?
No, non ci sono mai stato

Molto utile può rivelarsi l’impiego di foto o immagini: per esercita-


re gli studenti su articoli, deittici e pronomi possessivi ad esempio,
l’insegnante può chiedere di portare una fotografia di famiglia e di la-
vorare in coppia facendosi domande del tipo: –«Chi è questa?» –
«Questa è mia nonna», –«E questo?» –«È mio fratello».
A volte il desiderio di conoscere il proprio pari può essere una mol-
la comunicativa sufficiente a non far apparire l’esercizio demotivante.
Altrimenti si può tentare di dotarlo di maggior interesse abbinandogli
un’attività comunicativa che sfrutti le informazioni acquisite per col-
mare un vuoto di informazione (information gap). Nell’esempio pre-
cedente della fotografia si potrebbe chiedere alla coppia di studenti di
arrivare a stabilire una serie di analogie e differenze tra le due famiglie
da esprimere poi di fronte alla classe («Mia nonna è morta, la sua no.
Mio padre ha sessant’anni, il suo cinquantasei. I nostri fratelli vanno
ancora a scuola», ecc.).
Anche i disegni si prestano efficacemente a tale scopo: la tavola 11
esemplifica un’attività che, pur puntando sulla ripetizione automatica
di determinate strutture, viene arricchita di senso dalla richiesta di por-
tare a termine un compito preciso (disegnare la mappa della stanza) e
dalla molla della competitività.
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 79

Tavola 11: Esempio di drill più comunicativo sull’uso della struttura ce l’ho e sugli
indicatori di luogo

Attività da eseguire in coppia.


Disegna una pianta della tua stanza, e indica uno o due punti di riferimento (ad es. la
porta e la finestra). Poi dai la pianta al tuo compagno. Lui ti farà delle domande sugli
oggetti che possiedi e sulla loro posizione e li disegnerà sulla pianta. Poi scambiatevi il
ruolo: lui ti darà la pianta della sua stanza e tu gli farai le domande. Alla fine controllate
se le piante corrispondono alla realtà delle vostre stanze. Vince chi è andato più vicino.
Fatevi delle domande di questo tipo:
- Hai un armadio?
- Sì ce l’ho.
- Dov’è?
- In basso a destra.
- Hai un tavolo?
- Sì, ce l’ho.
- Dov’è?
- Di fronte all’armadio.

b. ABBINAMENTI: si può chiedere di abbinare immagini e parole, o


parole e parole, o parole e frasi, che ad esempio spieghino le parole. È
un esercizio molto usato nei manuali di italiano L2 per presentare ad
esempio la perifrasi stare + gerundio (tav. 12 B)
Tavola 12 (A) Abbinamento tra frasi principali e subordinate (da Nocchi 2002: 69)
80 Capitolo 4

Tavola 12 (B) Abbinamento immagini e frasi (da Nocchi 2002: 47)

C. RIORDINI: si tratta di riordinare parole all’interno di una frase o


di riordinare sequenze di testo. Esercizi del primo tipo sono molto utili
per fissare la struttura di particolari frasi, come le interrogative intro-
dotte da pronomi o avverbi interrogativi («Chi è tuo fratello?»,
«Quando arriva Anna?») o le frasi negative:

Tavola 13: Riordino di frase per esercitare la forma negativa (dal corso on-line A
spasso con Virgilio, livello A1)

Esercizio 1: Metti in ordine le frasi. Ci sono sempre una domanda e una risposta.
Esempio: No fame grazie fame hai ho non.
- Hai fame?
- No, grazie, non ho fame.

1. gatto no gatto un avete non un abbiamo.


2. volete grazie birra vino preferiamo no.
3. freddo abbiamo freddo non avete non.
4. siete siamo no studenti studenti non.
5. Marco no Anna a e casa sono.
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 81

Il riordino di sequenze di un testo permette invece di far esercitare


gli studenti sulle strutture anaforiche, o sull’uso dei connettivi. La tav.
14, ad esempio, presenta un riassunto da riordinare, proposto a studen-
ti principianti nella seconda metà del loro corso (il corso on-line A
spasso con Virgilio), alla fine di un’unità didattica che si sofferma sui
seguenti indici linguistici: accordo del passato prossimo, subordinate
causali introdotte da perché, subordinate temporali introdotte da
quando. Il testo riassume un breve filmato che lo studente ha visto
prima in brevi spezzoni, poi per intero: l’argomento ed il lessico sono
quindi già noti.
Tavola 14: Riordino di sequenze di un testo (dal corso on-line A spasso con Virgilio,
livello A1)

Hai visto l’intero filmato. Ora completa il riassunto del filmato: metti in ordine le
frasi.
Venerdì scorso Ivana ha telefonato ad Elena perché si trovava a Padova. Di solito
lei vive a Milano….

A Ivana è andata a casa prima degli altri. Quando l’ha salutata, Elena ha chiesto di
Alberto. Ha presentato Alberto ad Ivana perché vuole trovare un fidanzato per lei …

B quando sono andati a visitare il teatro dei pupi a Palermo.

C Dopo cena, tutti insieme hanno guardato le foto della Sicilia. Elena ha dato in-
formazioni a Carlo e a Ivana, perché loro vogliono andare in vacanza lì l’estate prossi-
ma.

D Elena è stata molto contenta e l’ha invitata a cena a casa di Francesco, con altri
amici.

E La cena è stata sabato. Elena ha cucinato dei piatti siciliani, Ivana ha portato la
cassata, una torta siciliana e Carlo il vino…

F Ma Ivana non ha detto niente di preciso … solo che Alberto è simpatico. Domani
Elena la chiama per sapere di più…

G Ma ha fatto un piccolo errore: ha portato vino pugliese, non siciliano! Prima di


cena, Francesco ha mostrato agli amici un pupo siciliano. Lo ha regalato a Elena

d. SCELTE MULTIPLE: si tratta di completare una frase o un testo


scegliendo la forma adeguata tra le diverse forme date. La scelta mul-
82 Capitolo 4

tipla però, che appare adeguata agli esercizi di comprensione, presenta


una serie di problemi per praticare la grammatica, in particolare qualo-
ra vengono utilizzati distrattori “inventati”, che possono attrarre trop-
po l’attenzione dell’apprendente.
Tavola 15: Esempi di scelte multiple

A. Scegli il verbo corretto. B. Completa le frasi scegliendo tra le tre possibili-


Oggi io _____________ al cine- tà.
ma. 1. Pensavo che tu fossi/ eri/sia andato a vedere
1. ando quel film!
2. vado
3. vao 2. Giulio si chiedeva chi gli faceva /abbia fat-
4. vai to/avesse fatto quel meraviglioso regalo.

Nel caso A ad esempio lo studente, sulla base della congruenza tra


il distrattore n. 1 (ando) e le ipotesi di regolarizzazione che fa nella
propria interlingua (lavorare > lavoro, mangiare > mangio, quindi
andare > ando), può facilmente essere indotto all’errore; se l’esercizio
non viene corretto o la correzione è comunque affrettata, egli rischia
di fissare nella propria memoria la forma scorretta, trovando proprio
nell’esercizio una conferma ad un’ipotesi sbagliata. Appare opportuno
pertanto evitare tale tipologia, o almeno riservarla a studenti dei livelli
più alti e preferire forme comunque esistenti a forme inventate, gio-
cando ad esempio sulle alternanze di genere/numero e, per i verbi, di
persona, di tempo o di modo.

e. TRASFORMAZIONI o MANIPOLAZIONI: è una tipologia piuttosto


tradizionale che consiste nel trasformare frasi (ad esempio passare dal
plurale al singolare) o brevi testi. Se la trasformazione di una frase
può essere un lavoro un po’ meccanico, la trasformazione di un testo
risulta più interessante e complessa per lo studente e genera solitamen-
te discussione in classe.
Una possibilità ancora poco sfruttata nei manuali di italiano L2 è
quella di passare da un genere letterario all’altro, ad esempio trasfor-
mare un dialogo in una lettera per lavorare sui pronomi personali, o
una pagina di diario in un articolo di cronaca (tav. 16). Altrimenti è
sufficiente variare semplicemente il punto di vista, o chiedere di pas-
sare dalla forma positiva a quella negativa (tav. 17).
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 83

Tavola 16: Esempio di trasformazione per esercitare il trapassato prossimo e la for-


ma passiva (livelli B2-C2)

Leggi un breve articolo di cronaca.


Rovereto
Il gallo disturba? 250 euro di multa
Il giudice del tribunale di Rovereto ha condannato due anziani coniugi di Arco a pa-
gare 250 euro di multa perché il canto del loro gallo disturbava i vicini.
Il 17 ottobre 2001 Maria Chiaretti e Giovanni Mastro erano stati portati in tribunale,
dopo che avevano ignorato le ripetute richieste dei vicini di allontanare il gallo dalla loro
abitazione. A seguito delle polemiche sorte intorno al caso il sindaco di Arco il 28 giu-
gno 2001 aveva invitato i suoi cittadini ad evitare ogni disturbo notturno alla quiete
pubblica causato dal canto di un gallo.
Per chi non lo faceva, aveva previsto una multa di 250 euro. Ieri è uscita la sentenza
finale, che condanna i coniugi Mastro al pagamento della multa.
(Adattato da “Padova. In città” giovedì 11 luglio 2002)

Poi prova a trasformare l’articolo in un racconto, assumendo il punto di vista del


gallo.

Tavola 17: Trasformazione per esercitare l’uso della forma negativa non … mai
(tratto dal corso on-line A spasso con Virgilio, livello A1)

Trasforma le frasi in frasi negative.


Esempio: Parlo con la gente. > Non parlo con la gente.
Mi diverto sempre al circo. > Non mi diverto mai al circo.

Sono una persona felice: rido sempre, amo divertirmi con gli amici, lavoro volentieri
perché ho dei colleghi simpatici.

Anna e Marco vanno sempre d’accordo. Stanno insieme da molto tempo e si cono-
scono bene: lui è molto sportivo e lei fa sempre sport.

f. CACCIA ALL’ERRORE: è più motivante della scelta multipla ed in


genere gradita agli studenti perché sollecita il gusto della scoperta. Si
presentano loro frasi o brevi testi e si chiede di identificare gli errori
che riguardano una certa forma o regola. L’esempio seguente, destina-
to a studenti di livello iniziale, si focalizza sulla scelta dell’ausiliare
per formare il passato prossimo.
84 Capitolo 4

Tavola 18: Caccia all’errore (dal corso on-line A spasso con Virgilio, livello A1)

Ecco una cartolina che Elena e Francesco hanno scritto agli amici dalla Sicilia. Ci
sono 4 errori. Sai trovare gli errori?

Palermo, 20 luglio
Ciao carissimi, come state? Come è andato il vostro viaggio? Avete passato delle
belle vacanze? È letto i vostri sms e mi sembrate contenti!
Noi in Sicilia abbiamo stato benissimo, adesso stiamo tornando: oggi abbiamo vi-
sto Monreale e il palazzo dei Normanni, a Palermo. Splendidi! Abbiamo trovato un
ristorante molto buono ed economico. Finalmente siamo mangiato la pasta alle me-
lanzane! Francesco ha fatto molte foto a Palermo, ed io ho deciso di fare una festa si-
ciliana al nostro ritorno.
Siamo comprato un bel regalo per voi! Un abbraccio e a presto.
Elena e Francesco

E ora correggi gli errori: scrivi qui le forme corrette del passato prossimo. Mantie-
ni l’ordine del testo: ________________; ________________;
________________; ________________.

g. CORREZIONE DI TESTI DEGLI STUDENTI: è una tecnica che assomi-


glia alla precedente, ma si basa su testi (orali o scritti) prodotti dagli
stessi apprendenti. Si presta particolarmente bene alla riflessione su
argomenti già noti, perché fa riferimento alla capacità degli appren-
denti di discriminare gli usi scorretti di una data forma. Un esempio
può essere il seguente: lavorando con una classe di livello intermedio
alto (B2), prevalentemente composta da tedescofoni ed anglofoni, sul-
la distinzione tra tempi perfettivi ed imperfettivi, argomento che rima-
ne difficoltoso anche dopo molti anni di insegnamento esplicito per
studenti che non possiedono la stessa distinzione nella loro lingua ma-
dre (par. 2.3.3.), abbiamo scelto un breve compito scritto di una stu-
dentessa tedesca della classe, particolarmente divertente per il conte-
nuto. Lo abbiamo trascritto alla lavagna depurandolo prima degli erro-
ri non connessi al soggetto trattato, in modo che essi non distraessero
l’attenzione. Abbiamo poi suddiviso gli studenti in piccoli gruppi
chiedendo loro di identificare gli errori relativi all’uso dei tempi ver-
bali, e di cercare di proporre una correzione motivata.
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 85

Tavola 19: Correzione di uno scritto di uno studente

Leggete il testo e trovate gli errori dei tempi verbali.

Malinteso con la lingua italiana


A una amica succedeva qualcosa di divertente. Lei viveva da una famiglia italiana,
che aveva due figli. Uno era sempre molto chich e a lui piaceva uscire e incontrare ra-
gazze. Una volta quando la mia amica e lui si incontravano, lei voleva mostrare qualche
foto con il suo lab top.3 La reazione era strana, lui sembrava molto sorpreso. Ha chiesto
solo se loro volevano farlo adesso e nella sua camera oppure nella camera della mia a-
mica. Mentre lei andava nella sua camera, ha capito che cosa lui ha pensato. Lei pro-
nunciava lab top come “letto”. Con la faccia rossa, lei prendeva il lab top e mostrava le
foto in cucina. (tedesca, B2)

Uno studente ha ad esempio corretto il “succedeva” iniziale com-


mentando che «Se M. dice succedeva vuol dire che succedeva sempre,
o molte volte», ed una compagna ha risposto: «Ma lei dopo dice una
volta e vuole dire che è una cosa speciale, non che sempre succedeva
qualcosa di divertente», dando così l’avvio ad una discussione
sull’aspetto abituale dell’imperfetto. È interessante notare che spesso
riflessioni di questo tipo vengono da apprendenti che, non avendo de-
terminate strutture nella loro lingua madre, sono abituati a compiere
uno sforzo maggiore per “catturarle” e farle proprie. Sono utili però
anche agli studenti di lingue che invece hanno le stesse strutture, per-
ché li costringono a soffermarsi in modo conscio su regole che altri-
menti sarebbero rimaste implicite nella loro mente.
Il pregio maggiore di queste attività è tuttavia dovuto al fatto che –
se ben scelte – permettono di mantenere uno stretto legame tra forma e
contenuto (stavamo infatti parlando in classe dei malintesi che posso-
no accadere quando si parla una lingua straniera), e che coinvolgono
gli studenti, i quali, riconoscendo i loro punti deboli, si sentono parti-
colarmente stimolati nel cercare di porvi rimedio.

h. COMPLETAMENTI E CLOZE: l’esercizio forse più utilizzato per


praticare le forme è quello della frase bucata da completare. Partico-
larmente motivante ed utile in quanto comporta l’impiego di abilità in-
tegrate è il cloze “mirato” il quale, a differenza del cloze tradizionale

3
Lab top = computer portatile.
86 Capitolo 4

(che prevede un buco ogni sette parole), si incentra su determinate


strutture o forme. Benché si adatti anche a verificare la conoscenza di
regole in ambito frasale (Marello 1991: 164), esso è ideale per eserci-
tare strutture a livello testuale, ad esempio connettivi, subordinatori,
pronomi anaforici, ecc. Rispetto ad altre tipologie di esercizi, il cloze
appare vantaggioso da due punti di vista: in primo luogo, è un’attività
che integra riflessione sulla lingua e sul contenuto, in quanto obbliga
lo studente a leggere bene un testo e a capirne il significato prima di
riempire i buchi; in secondo luogo nella fase di correzione e confronto
sollecita la discussione metalinguistica. Spesso infatti accade che uno
degli studenti proponga soluzioni diverse da quelle previste, ma co-
munque accettabili. Inoltre, le scelte errate degli apprendenti possono
accendere spie importanti sui processi di apprendimento e sulle inter-
lingue.
Tavola 20: Cloze mirato sul presente indicativo (da Nocchi 2002: 59)

i. DICTOGLOSS: è una tecnica non diffusa nell’insegnamento


dell’italiano come L2 ma utilizzata in modo proficuo per altre lingue,
che consiste nel leggere alla classe due un breve testo e nel farlo rico-
struire il più esattamente possibile a gruppi di studenti (per una descri-
zione della procedura si veda par. 3.7, per un esempio par. 4.11). È
un’attività particolarmente adatta a notare la differenza (il gap) tra la
propria interlingua e la lingua obiettivo nel momento del confronto
con l’insegnante.
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 87

4.5.2.La pratica più libera

Una volta che le nuove strutture siano state focalizzate e praticate in


contesti guidati, si può passare alla pratica più libera. A questo punto
la scelta delle attività è molto più ampia ed è condizionata dalla tipo-
logia della forma o regola che si vuole praticare. Come sottolineano
infatti Celce Murcia e Hilles (1988: 10), autrici di un ottimo manuale
per la formazione degli insegnanti di inglese L2, la lingua presenta tre
diverse dimensioni: una dimensione sociale (che si riferisce al ruolo
degli interlocutori), una dimensione semantica (che si riferisce al si-
gnificato) ed una discorsiva (che riguarda ad es. l’ordine delle parole,
la coesione di un testo, la sequenziazione delle informazioni, ecc.). Gli
argomenti grammaticali andranno quindi trattati in maniera diversa a
seconda della dimensione della lingua cui possono essere associati.
Un argomento come l’uso del congiuntivo di cortesia e l’uso dei
pronomi personali diretti ed indiretti appare ad esempio essere legato
alla dimensione sociale; si presterà particolarmente bene quindi ad es-
sere praticato tramite dei role-play o delle drammatizzazioni. Ad un
gruppo di studenti universitari europei in scambio di livello B1-B2 si
potrebbe proporre allora di simulare il primo approccio tra lo studente
e il professore italiano che coordina lo scambio. In questo modo gli
studenti lavorerebbero sull’uso della forma di cortesia in un contesto
significativo dal punto di vista della comunicazione, dal momento che
lo sentirebbero plausibile ed utile per loro. La rappresentazione delle
scene realizzate dai gruppi di fronte alla classe e all’insegnante po-
trebbe offrire poi il pretesto per offrire feedback sia sulla forma (cor-
rezione degli errori) che sul contenuto, con paragoni tra le diverse
forme di saluto, ed osservazioni sulla gestualità e sui comportamenti
più appropriati.
La tecnica della narrazione di storie (story-telling) si adatta invece
bene alla pratica dei tempi verbali del passato e degli indicatori di
tempo: la scelta è vastissima. Si può chiedere agli studenti di racconta-
re una fiaba tradizionale del loro paese, lavorando per gruppetti della
stessa nazionalità, o di narrare una storia a partire da alcune parole o
immagini offerte loro. A tale proposito, in un manuale destinato
all’insegnamento della grammatica inglese, Thorbury (2001: 22-23)
osserva che, a volte, limitarsi a raccontare al compagno quello che ve-
88 Capitolo 4

de illustrato in un’immagine o in una serie di vignette può essere noio-


so e demotivante per lo studente; pertanto suggerisce di rendere
l’operazione più stimolante creando un vuoto di informazione come
nell’attività della tav. 21. Si fornisce a ciascun membro di una coppia
una delle due sequenze di immagini. Raccontandosi l’un l’altro il con-
tenuto della propria sequenza, i due studenti devono decidere se può
trattarsi della stessa storia e cercare di ricomporla.

Tavola 21: Narrazione di storie con vuoto d’informazione (da Thornbury 2001:
22-23)

Motivanti, soprattutto nelle classi caratterizzate da un’atmosfera ri-


lassata e confidenziale, sono i racconti personali, a patto che
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 89

l’insegnante riesca a trovare soggetti significativi per tutti, ad esempio


il viaggio di arrivo in Italia per un gruppo di immigrati, il primo esame
o l’ingresso nella facoltà per studenti universitario o simili.
L’uso delle immagini si presta poi a praticare molte strutture diver-
se: lo abbiamo già proposto come stimolo per i drill, e per la narrazio-
ne, ma è adatto anche ad esercitare la tipologia testuale della descri-
zione con le specificità linguistiche ad essa connesse, come l’uso
dell’imperfetto o delle preposizioni di luogo.
L’immagine seguente ad esempio (tav. 22, A) è adatta a far utiliz-
zare gli indicatori spaziali («a destra», «vicino all’albero», «davanti
alla fontana»…), le frasi interrogative («Chi è questo?», «Che cosa sta
facendo l’uomo sotto l’albero»), le frasi relative («È un uomo che leg-
ge un libro») o le relative scisse («C’è un uomo che corre»).
L’immagine (B) invece fa parte di un attività che chiede agli studenti
di scrivere le istruzioni per mettere in ordine le stanza di una casa. È
utilissima per esercitare le preposizioni di luogo e l’imperativo («metti
i libri sul tavolo», «metti i vestiti nell’armadio», ecc.).
Tavola 22 A: Uso delle immagini per la descrizione (illustrazione di Maurizio Ribi-
chini, tratta da Un giorno in Italia, 1. Chiappini e De Filippo 2002: 50)
90 Capitolo 4

Tavola 22 B: Uso delle immagini per la descrizione (illustrazione di Maurizio Ribi-


chini, tratta da Un giorno in Italia, 1. Chiappini e De Filippo 2002: 99)

Un’attività piuttosto diffusa nelle classe di L2 è quella di far de-


scrivere ad una coppia di studenti la propria abitazione. Mentre uno
descrive, l’altro deve disegnare la struttura ed ammobiliarla. Volendo
poi concedere maggior spazio alla fantasia, si può proporre agli stu-
denti di assumere il ruolo di una coppia che deve arredare la propria
casa.
Con queste ultime attività siamo entrati nel campo della cosiddetta
“glottodidattica ludica” (per una breve sintesi Caon e Rutka 2004),
che si situa all’interno dell’approccio umanistico-affettivo, e sottolinea
l’importanza del gioco quale fonte di motivazione valida per tutte le
età. Il gioco infatti, se coinvolgente, tiene alta l’attenzione, abbassa il
filtro affettivo, e permette quindi di imparare più facilmente. Le attivi-
tà ludiche possono coinvolgere coppie di studenti, come nei casi ap-
pena visti, o di battaglie navali, di ricerche di particolari attraverso
un’immagine (ad esempio il classico “Trova le differenze” della «Set-
timana enigmistica»).
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 91

Vi sono poi i giochi di squadra, che coinvolgono un maggior nume-


ro di persone e stimolano la competitività. Andorno, Bosc e Ribotta
(2003: 92) propongono ad esempio la sfida dei participi:
Tavola 23: Gioco di squadra, la sfida dei participi (da Andorno, Bosc e Ribotta
2003: 92)

Sfida di participi
Proposta di lavoro livello: elementare

La classe è divisa in due squadre che si posizionano una di fronte all’altra. A turno
ogni membro di una squadra sfida un membro dell’altra squadra a flettere al participio
un verbo (proponendo le forme irregolari, più difficili). Per ogni risposta corretta la
squadra ottiene un punto. Ogni giocatore può proporre solo verbi di cui conosce a
propria volta il participio, altrimenti la squadra proponente è penalizzata di un punto.
Vince la squadra che totalizza più punti.
Questo gioco può essere realizzato per il ripasso e la memorizzazione di diversi e-
lementi e strutture.

Ed infine ci sono anche i giochi “solitari”: Grammagiochi di Bal-


boni (1999) ad esempio offre molteplici proposte di problemi da risol-
vere (problem solving), parole crociate, battaglie navali, tutte incentra-
te su argomenti grammaticali, dalla prosodia (scansione in sillabe; di-
visione delle parole) alla morfosintassi (articoli, espressioni di tempo,
preposizioni di luogo, tempi verbali del passato, uso del congiuntivo,
ecc).
I manuali per l’insegnamento dell’italiano come L2 oggi più diffusi
propongono sempre più spesso attività di pratica giocosa: Espresso 1
(Ziglio e Rizzo 2001) ad esempio ogni due o tre unità presenta una se-
zione “Facciamo il punto”, che attraverso una sorta di gioco dell’oca
consente di praticare in modo divertente le strutture e le regole foca-
lizzate in precedenza. Proposte per l’esercizio della grammatica
dell’italiano in forma giocosa vengono anche articoli e volumi specifi-
ci, come Gandi e Zacchi (1998) e Caon e Rutka (2004).
Rientrano nella didattica ludica anche le soluzioni di problemi
(problem solving activities), che abbiamo visto essere alla base del sil-
labo procedurale di Prabhu (1987). Si propone agli studenti un pro-
blema da risolvere, in lingua, fornendogli una serie di dati e invitando-
lo a trovare una soluzione.
92 Capitolo 4

Un esempio classico è il seguente:


Tavola 24: Esempio di soluzione di problemi (adattato da Celce Murcia e Hilles
1988: 140)

C’è un contadino che vuole traghettare se stesso, un cane, una gallina e un sacco di
grano al di là del fiume. Possiede una piccola barca, con la quale può trasportare solo un
animale o il sacco di grano alla volta. Però non può lasciare il cane solo con la gallina
perché la mangerebbe, né la gallina sola con il grano, perché lo mangerebbe. Cosa deve
fare il contadino per trasportare con sicurezza tutti dall’altra parte del fiume?

Naturalmente con attività di questo tipo, come in genere con tutti i


compiti comunicativi, il rischio è che gli studenti portino a termine il
compito egregiamente, utilizzando però strutture diverse da quelle
previste. Ellis (1997: 79) ricorda infatti che i compiti in cui l’uso di
particolari strutture è davvero essenziale sono pochi rispetto ai compiti
in cui l’uso di determinate strutture è facoltativo o non necessario, e
che è più facile crearli nel caso della ricezione che della produzione
(ivi: 83). Occorre pertanto uno sforzo da parte dell’insegnante nel re-
perire compiti in cui l’apprendente sia obbligato a ricorrere a certe
strutture, sforzo cui si può ovviare suggerendo agli studenti quali
strutture utilizzare. Nell’attività della tav. 24, ad esempio, dovrebbe
invitarli ad usare la forma deve + infinito, o i connettivi causali, pro-
ponendo lui stesso delle frasi, o facendo notare quelle presenti nello
stesso testo offerto («perché lo mangerebbe»). Fondamentali diventa-
no allora le istruzioni.
Tavola 25: Esempio di problema da risolvere per esercitare l’uso del condizionale
presente e delle frasi causali

Devi andare in vacanza in un’isola deserta. Cosa ti porteresti per sopravvivere un


mese? Puoi scegliere solo 5 oggetti tra quelli della lista seguente.
Leggila, scegli i tuoi 5 oggetti e spiega perché li porteresti con te. Forma delle frasi
simili a quelle dell’esempio:

Mi porterei una tenda, perché voglio dormire al riparo.

sacco a pelo, tenda, pentola, accendino, libro, cellulare, televisione, forchetta, bottiglia,
carte da gioco, pila.
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 93

Tavola 26: Esempi di attività per la pratica libera

Tecniche da utilizzare Genere testuale Forme da esercitare

Uso di immagini Narrare - Uso dei tempi verbali


- Indicatori di tempo
- Anafore, uso degli articoli
- Paragoni, comparazioni (Mia
sorella una volta era studentessa di biolo-
gia, adesso fa…)

Descrivere - Indicatori spaziali


- Preposizioni di luogo
- Interrogative a risposta sì/no
(C’è un albero?); interrogative intro-
dotte da pronomi ed avverbi inter-
rogativi (Chi è quell’uomo? Dov’è la
banca? Quanti alberi ci sono?)
- Pronomi relativi (Chi è quello?
È un uomo che corre).

Narrazione di storie Narrare - Tempi verbali del passato


- Indicatori di tempo
- Connettivi di tipo temporale
- Pronomi anaforici

Role-play e drammatiz- Presentazioni, - Imperativo, congiuntivo di


zazioni colloqui di lavoro, cortesia
telefonate… - Pronomi personali (tu/lei;
le/la, ecc..)

Argomentare - Congiuntivo introdotto da


verbi di opinione (penso che…).
- Connettivi di tipo argomenta-
tivo (dal momento che …., quindi,…)

4.6. Un atteggiamento eclettico

Nei precedenti paragrafi abbiamo descritto un approccio possibile


all’insegnamento della grammatica che si basa sugli studi della psico-
logia cognitiva e si avvale dei risultati migliori di diversi metodi pre-
94 Capitolo 4

cedenti. È un approccio graduale, completo, con solide basi teoriche.


Non riteniamo tuttavia che sia l’unico possibile e che l’insegnante
debba per forza adottarlo sempre. Dal momento che la ricerca acquisi-
zionale dimostra che non tutte le strutture si apprendono allo stesso
modo (Doughty e Williams 1998a: 211), è opportuno che anche
l’insegnamento esplicito sappia variare le tecniche a seconda del sog-
getto trattato.
Un buon insegnante dovrebbe conoscere le diverse metodologie di
insegnamento della L2 (Serra Borneto 1998: 19) e saper ricavare ciò
che c’è di buono in ciascuna di esse. Ad esempio l’approccio del Total
Phisical Response di Asher (1977; per una breve descrizione si veda
Visciola 1998) può suggerire come presentare forme come l’impera-
tivo o le preposizioni di luogo a classi di livello iniziale, che non pos-
siedono ancora una lingua abbastanza ricca. Il docente potrebbe lavo-
rare con l’intera classe o con un singolo studente impartendo alcuni
semplici ordini, come «Markus alzati in piedi! Chiudi la porta! Apri la
finestra, vai a destra, adesso gira a sinistra!», ecc. Lo studente comin-
cerà così a comprendere la forma e a rispondere agli ordini, pur senza
utilizzare l’imperativo. Successivamente, l’insegnante potrebbe chie-
dere agli apprendenti di fare lo stesso, prevedendo magari dei piccoli
premi o pegni per chi sbaglia.
Anche la linguistica dei corpora può fornire utili suggerimenti per
la riflessione sulla lingua, specialmente nelle fasi di formazione e veri-
fica delle ipotesi. Argomenti che si prestano bene all’analisi attraverso
un corpus sono ad esempio l’uso delle preposizioni, dei subordinatori,
di congiunzioni (anche) o di avverbi come già, ormai, ancora, final-
mente. L’insegnante potrebbe chiedere a piccoli gruppi di studenti di
esaminare l’uso di un determinato avverbio e di proporre, attraverso la
consultazione di un corpus, delle ipotesi sul significato e sulla posi-
zione di esso, per poi confrontarsi con l’intera classe.

4.7. Gli “esperimenti grammaticali”

Lo Duca (2004) presenta un metodo di riflessione sulla lingua piutto-


sto interessante per studenti italofoni, sostenendo però che con oppor-
tuni aggiustamenti si adatta anche agli stranieri. Tale metodo infatti si
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 95

propone di rendere gli studenti protagonisti attivi nella costruzione di


una loro grammatica, guidandoli alla scoperta delle regole:
anziché fornire pacchetti di conoscenze già strutturati [si tratta] di coinvolge-
re gli stessi allievi nella strutturazione delle conoscenze, mettendo in moto
quelle capacità di base che sono l’osservazione, la classificazione, il confron-
to, l’ordinamento, l’inclusione, la categorizzazione (Lo Duca 2004: 23).

L’ora di grammatica diventa una sorta di “ora di laboratorio” (ivi:


26) nella quale docente e studenti conducono una serie di esperimenti
con la lingua, confrontandosi contemporaneamente con i dati reali (in-
terviste ad altri parlanti, corpora, esempi da loro stessi creati), con la
propria competenza di nativi ma anche con le grammatiche
dell’italiano. Gli esperimenti riguardano ad esempio i tempi del passa-
to (in particolare l’uso dell’imperfetto, la distinzione tra tempi perfet-
tivi/imperfettivi e tra passato prossimo/remoto), il suffisso -ino, ecc.
Lo Duca (ivi: 175) ritiene che tali esperimenti siano trasferibili, con
accorgimenti, anche alla classe di italiano L2 e che anzi il processo di
riflessione ed analisi sulla lingua stessa sia particolarmente adatto ad
un insegnamento di tipo comunicativo (ivi: 176). Ovviamente, bisogna
fare i conti con il fatto che gli stranieri hanno una conoscenza della
lingua molto inferiore rispetto a quella dei bambini e dei ragazzi nati-
vi, e quindi avranno a disposizione molti meno dati per «procedere ai
necessari raffronti, pervenire a generalizzazioni appropriate, verificare
tali generalizzazioni col ricorso a nuovi dati» (ivi: 175). Sarà dunque
l’insegnante a dover fornire i dati e a costruire percorsi più rigidi per
evitare che gli apprendenti si perdano, per spingerli ad individuare re-
gole ed eccezioni, e per verificare le ipotesi. L’insegnante dovrà poi
costruire con cura assieme alla classe il vocabolario metalinguistico
necessario alla discussione.
Siamo d’accordo che un procedimento del genere sia adatto alla
classe di italiano L2, in particolare in un contesto di lingua seconda,
dove l’apprendente ha possibilità di accesso molto maggiori ai dati di
lingua reale; la necessità di raccogliere dati può anzi favorire il suo in-
contro con i nativi che dovrà intervistare o sollecitare ad esprimere
giudizi di grammaticalità. Tuttavia, è evidente che tale metodologia
può essere adattata a studenti di livello intermedio-avanzato, piuttosto
che ai principianti, che non possiedono ancora la metalingua necessa-
96 Capitolo 4

ria per poter discutere, attivamente, della lingua. Con loro tuttavia è
importante creare l’habitus mentale a non attendersi delle regole fisse,
rigide e valide comunque, ma a saper cercare nell’input delle regolari-
tà, senza spaventarsi troppo qualora i conti non tornino.
Inoltre non appare praticabile applicare tale metodologia a tutte le
regole o strutture grammaticali, ma sono necessarie delle scelte a
monte. È infatti più utile esplorare in maniera induttiva anche un solo
argomento, purché centrale nel sillabo di quel livello, costruendo un
percorso ben fatto e graduale, piuttosto che tentare di trattare indutti-
vamente molti diversi argomenti. Un esempio può essere costituito dai
tempi verbali del passato per un corso di livello A2 o B1, o dall’uso
del congiuntivo per un corso B2.
Bisognerà scegliere cioè un soggetto che crei problemi a tutti gli
apprendenti della classe, che sia quindi percepito come rilevante da
essi, e infine che sia di ampia portata, in modo che permetta di esplo-
rare input differenti sia in base al canale (scritto vs. parlato) che al tipo
testuale.
Tavola 27: Esempio di esperimento sull’uso del passato remoto (per il livello C1)

- Attraverso un testo scritto si riepiloga la forma del passato remoto, regolare e irre-
golare;

- L’insegnante chiede agli studenti di registrare in una o due settimane gli usi del
passato remoto con cui vengono a contatto, nello scritto e nel parlato, attraverso schede
manuali o messaggi e-mail da destinare ad un forum.

- L’insegnante chiede agli studenti di lavorare in piccoli gruppi, che cercano di unifi-
care le loro schede e di stabilire i diversi usi con esempi.
Ad esempio:
a) Si usa nelle favole (C’era una volta una bambina che si chiamava Capuccetto rosso. Un
giorno la mamma le chiese di andare dalla nonna e di portarle un cestino con dolci e vino. La bambina
partì subito …).

- Attraverso un brain storming in classe, vengono presentate le diverse categorie.

- L’insegnante invita gli studenti a fare una ricerca nelle diverse grammatiche
dell’italiano per verificare le loro ipotesi.

- Si ridiscute l’argomento in classe. L’insegnante cercherà di orientare la discussione


in particolare sulla differenza tra la norma dell’italiano standard e le tendenze
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 97

dell’italiano parlato (ad esempio Gambarara 1994). Quindi sulla diffusione diatopica del
passato remoto, cercando di partire il più possibile dagli esempi registrati dagli studenti.

Esempio:
Hans: Ho sentito dire da un mio amico «Ieri andai a Venezia».
Insegnante: E da dove viene il tuo amico?
Hans: Dalla Puglia.
Insegnante: Ma di solito qui in Veneto che tempo si usa?
Hans: Il passato prossimo…

- Si discutono i casi in cui il passato remoto non può essere sostituto dal passato
prossimo (cfr. Cortelazzo 1997)

- Si decide insieme se per quegli studenti è importante o meno apprendere in forma


attiva il passato remoto.

4.8. La scelta dell’input

Un argomento che ha appassionato la letteratura glottodidattica degli


anni ’70-’80 del secolo scorso, ma che ora appare superato, riguarda la
scelta di input autentico o costruito appositamente per scopi didattici.
Il Quadro comune europeo infatti, mettendo al centro del processo di
apprendimento il testo, ha evidenziato che testi autentici di nativi (ad
esempio giornalisti), testi prodotti da apprendenti o da autori di ma-
nuali sono soltanto testi tra altri, e che l’importante è che essi obbedi-
scano alle regole proprie del genere cui appartengono. Come sottoli-
nea Vedovelli (2002: 73) dunque, «non è più il criterio del testo auten-
tico a rappresentare la discriminante tra una buona e una cattiva glot-
todidattica, ma è la gestione delle caratteristiche di testualità che ogni
testo porta con sé a rappresentare tale salto di qualità».
Dal punto di vista della riflessione sulla lingua variabili importanti
da considerare nella scelta dell’input sono costituite dal livello della
classe e dalla struttura che si vuole focalizzare. Per essere notata, in-
fatti, una struttura deve essere saliente (si veda 2.3.2.); se però non lo
è di per sé, si può tentare di renderla tale facendola comparire più vol-
te, seconda la tecnica dell’“inondazione dell’input” (si veda 3.6).
L’input arricchito viene dunque ad avere un ruolo importante nella fa-
se del notare le forme.
98 Capitolo 4

Input autentici possono viceversa essere più efficaci nel presentare


fenomeni del parlato, quali ad esempio le focalizzazioni contrastive, le
dislocazioni, l’uso dei segnali discorsivi nel parlato.
L’input comunque non deve essere necessariamente un testo che
proviene da canali esterni alla classe, scritti o orali. A volte infatti può
risultare molto più efficace un racconto personale dell’insegnante,
soggetto in genere interessante per i suoi studenti. Durante il racconto
essi possono cercare di prendere appunti, e poi fare domande che di-
mostrino la comprensione. L’insegnante potrà in seguito chiedere loro
di riassumere la sua esperienza, in modo da far reimpiegare le forme
proposte.
Un docente con buona capacità di improvvisazione può anche
sfruttare un episodio accaduto ad uno degli studenti, elicitando le
strutture che interessano attraverso domande dirette o invitando i
compagni a formulare delle ipotesi. Ad esempio un insegnante che sta
lavorando sull’uso del passato, potrebbe notare un giorno che uno dei
suoi allievi ha un braccio ingessato e dire «Guardate, Marc si è rotto
un braccio. Probabilmente ha avuto un incidente. Potete provare a
immaginare cos’è successo?». Gli studenti in piccoli gruppi formulano
delle ipotesi e le propongono a Marc («Sei caduto dalla bicicletta
mentre andavi all’Università?»), che risponderà sì o no. L’insegnante
intanto trascrive alla lavagna le frasi prodotte. Alla fine lo stesso Marc
potrebbe raccontare l’accaduto.
Anche l’uso di oggetti reali (realia), come confezioni di cibo, car-
telli di divieto, può aiutare: un collega particolarmente creativo ha
proposto un’intera lezione sui pronomi personali atoni e tonici dopo
aver notato sul banco di un suo studente un pacchetto di sigarette che
recava la scritta «Il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intor-
no». Lo spunto suggerito da quella frase gli ha permesso di presentare
il sistema dei pronomi, evidenziando l’enfasi che assume la forma to-
nica (te), e assieme di affrontare un’interessante discussione sui danni
provocati dal fumo.
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 99

4.9. Quale lingua per riflettere sulla lingua?

Un aspetto problematico riguarda la lingua da utilizzare nei momenti


di riflessione metalinguistica, soprattutto nelle fasi iniziali, quando
l’impiego della L2 comporta il rischio di insegnare «il non noto attra-
verso il non noto» (Prat Zagrebelsky 1985: 67). Qualora la classe sia
linguisticamente omogenea o esista comunque una lingua franca co-
mune a tutti gli studenti, nulla vieta di impiegarla per la presentazione
della grammatica. È opportuno però passare il prima possibile all’uso
della L2, in quanto discutere sulla lingua in una classe di lingua appa-
re la situazione comunicativa più autentica che si possa immaginare
(Courtillon 1989: 118; Ciliberti 1995: 24-25).
Si pone poi il problema dell’uso o meno di una terminologia meta-
linguistica precisa. In questo caso però la scelta appare essere stretta-
mente condizionata dal tipo di pubblico che si ha di fronte: se con ap-
prendenti acculturati, ma soprattutto abituati a riflettere sulla lingua,
può essere opportuno utilizzare una terminologia tecnica, che permette
tra l’altro di risparmiare tempo e di favorire la consultazione autono-
ma di grammatiche di riferimento, con apprendenti di livello culturale
più basso o comunque poco addestrati alla categorizzazione gramma-
ticale, può invece essere più utile limitare il metalinguaggio, utiliz-
zando forme più neutre. Anziché dire che «il passato prossimo è una
forma verbale che serve ad esprimere un’azione compiuta nel passato,
formato da un ausiliare + un participio passato», in una fase iniziale si
potrebbe ad esempio generalizzare dicendo che «per formare il passato
di un verbo si aggiunge al tema del verbo un pezzettino, -to: mangiato,
lavorato, fatto + essere o avere», o addirittura, come suggerisce Pal-
lotti (1999: 185): «se vuoi dire ieri, tanto tempo fa, devi dire -to», e
presentando esempi di questo tipo:

Tavola 28: Presentare il passato prossimo

Oggi mangio la pizza Æ Ieri ho mangiato la pizza


Lucia oggi non lavora Æ Ieri ha lavorato molto
Oggi vai al mare. Æ Ieri sei andato al lavoro.
Said parte domani. Æ Said è partito ieri
100 Capitolo 4

In ogni caso è buona prassi che l’insegnante e la classe costruisca-


no progressivamente un proprio “vocabolario” metalinguistico, utiliz-
zando termini su cui ci sia un accordo di base: anche tra gli stessi stu-
denti del programma Erasmus, fortemente scolarizzati, vi sono ap-
prendenti che provengono da tradizioni di insegnamento della lingua
piuttosto lontane tra di loro, per cui se per un tedesco concetti come
pronome diretto/indiretto, accusativo/dativo sono molto familiari, per
un inglese o un olandese, abituati ad un insegnamento di tipo funzio-
nale più che formale della lingua, possono non esserlo affatto.
La lingua usata per la riflessione, sia orale che scritta, dovrebbe es-
sere ridondante, semplice e schematica. Soprattutto ai livelli iniziali ad
esempio è opportuno adottare criteri di semplificazione linguistica.
Dal punto di vista sintattico per la lingua delle istruzioni ad esem-
pio è bene evitare di utilizzare forme impersonali o passive, del tipo:
«il passato prossimo si usa per…», «la perifrasi stare + gerundio viene
usata per…», ricorrendo piuttosto alla seconda persona singolare
dell’imperativo («usa il passato prossimo per…» ) che, pur non essen-
do una delle prime forme verbali che viene utilizzata attivamente
dall’apprendente, è così frequente nell’input da venir sicuramente
compresa fin dalle fasi iniziali. Le frasi devono essere brevi, semplici,
lineari e legate tra loro in maniera esplicita, anche a costo di una certa
ridondanza.
Vanno evitate strutture troppo difficili per il livello degli studenti,
come gerundi, participi passati, subordinate complesse (come le finali
introdotte da affinché o anche le relative introdotte però dalla forma
indiretta cui). Laddove sia inevitabile, è preferibile utilizzare le con-
giunzioni che appaiono prima nell’acquisizione spontanea (quando,
perché, per + infinito, che). Si veda ad esempio la tav. 29.
Tavola 29: Esempi di semplificazione sintattica

L’accento non va scritto qualora si Non scrivere l’accento quando è den-


trovi all’interno di una parola, tranne nei tro una parola (ad es. amòre). Ma scrivi
casi in cui serva per distinguere parole l’accento quando è necessario per ricono-
scritte nello stesso modo ( i prìncipi sono i scere due parole che sono scritte allo stes-
figli dei re; i princìpi sono i valori delle per- so modo.
sone). prìncipi = figli dei re
princìpi = valori delle persone.
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 101

L’articolo determinativo, che indica L’articolo determinativo indica in


entità nota, si accorda in genere e numero modo preciso, determinato una persona o
col nome a cui si riferisce. una cosa che conosci.
L’articolo determinativo sta sempre
vicino al nome e ha il genere (maschile o
femminile) e il numero (singolare o plura-
le) del nome.

Dal punto di vista del lessico, bisognerà cercare di usare un lin-


guaggio che sia il più chiaro possibile, privilegiando ad esempio tra
due sinonimi quello più semplice e magari vicino all’inglese (o alla
lingua materna dell’apprendente).

Tavola 30: Esempio di semplificazione lessicale

I verbi della prima coniugazione terminano in –are => finiscono

Laddove non sia possibile evitare termini più tecnici, possono esse-
re molto utili le riformulazioni, le perifrasi o gli esempi che chiarifica-
no subito le affermazioni.

Tavola 31: Esempi, riformulazioni e perifrasi (dal corso on-line A spasso con Virgi-
lio, livello A1)

Aggettivi qualificativi invariabili per genere e numero

Ho comprato una camicia rosa

Osserva
Ho comprato una camicia rosa.
Oggi metto i pantaloni rosa.

In italiano ci sono aggettivi invariabili, che non cambiano mai, cioè restano uguali nel
genere e nel numero con nomi maschili, femminili, singolari e plurali.

È utile poi adottare accorgimenti grafici o di intonazione della voce


per evidenziare la parte che interessa di più, come ad esempio il gras-
setto ed il neretto nella scheda seguente (tav. 32).
102 Capitolo 4

Tavola 32: Accorgimenti grafici per evidenziare (dal corso on-line A spasso con
Virgilio, livello A1)

Le frasi interrogative introdotte da pronomi o avverbi interrogativi

Chi è Lei? Dove abita la signora Alice?

Le frasi interrogative possono iniziare con pronomi o avverbi interrogativi (chi,


che cosa, dove…?).
Di solito i pronomi e gli avverbi interrogativi sono all’inizio della frase (chi è Lei?
Dove abita la signora Alice?).
Il soggetto della frase è alla fine (chi è Lei? Dove abita la signora Alice?)

Fondamentale è poi l’uso di schemi, tabelle, grafici che sintetizzino


le regole: l’impatto che essi hanno nello studente a livello di compren-
sione è molto più immediato rispetto a quello che avrebbe una lunga
spiegazione orale o un ampio periodo scritto.
In 4.4 (punto E) ci siamo soffermati sull’uso dello schema vuoto
(per cui si veda Cesarini 1995), particolarmente utile in quanto guida
l’apprendente a formulare una regola che egli riesce ad estrapolare da-
gli esempi ma che fatica ad esprimere, non possedendo ancora la me-
talingua necessaria. Lo schema vuoto può consistere di una tabella
riassuntiva, a volte parzialmente compilata che sintetizza i dati e pre-
para alla verbalizzazione della regola (si veda la tav. 9), ma, per Cesa-
rini (1995: 120) anche di semplici immagini che traducono “visiva-
mente” il significato di parole.
Tavola 33: Immagini utilizzate per spiegare il valore degli avverbi di tempo: mai,
raramente, qualche volta, spesso, sempre (da Cesarini 1995: 120)
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 103

Spesso infatti l’immagine “parla” e riesce molto più efficace di tan-


te spiegazioni: ci sono argomenti grammaticali come ad esempio la
perifrasi stare + gerundio o i pronomi e gli aggettivi dimostrativi que-
sto, quello nel loro valore deittico ed anaforico per i quali una sempli-
ce figura sostituisce egregiamente una spiegazione dettagliata che ine-
vitabilmente fa uso della metalingua.
La tavola 34 illustra la differenza tra la presentazione dei dimostra-
tivi fornita da una grammatica pedagogica per studenti (che si avvale
frequentemente di immagini, si veda poi 5.4.2.1) e quella fornita da
una grammatica descrittiva, sempre per studenti stranieri, che non uti-
lizza le immagini. Non vi è bisogno di commenti su quale delle due, a
livello pedagogico, sia più efficace: mentre la prima fa capire imme-
diatamente il significato dei due aggettivi, la seconda si limita a de-
scriverlo.

Tavola 34: Importanza dell’uso delle immagini nelle istruzioni grammaticali (tratti,
rispettivamente, da Mezzadri 1996: 36 e Trifone e Palermo 2007: 82)
104 Capitolo 4

La tavola seguente sintetizza dunque gli accorgimento utili a sem-


plificare la lingua delle istruzioni grammaticali.
Tavola 35: Alcuni accorgimenti da impiegare per la lingua delle istruzioni ai livelli
iniziali

- Servirsi della seconda persona dell’imperativo («usa il passato prossimo per…»),


anziché di forme impersonali, passive o passivanti («il passato prossimo si usa/viene
usato per…»);

- utilizzare frasi brevi, sintatticamente semplici, legate tra loro in maniera esplicita;

- evitare il più possibile strutture troppo complesse per il livello cui sono gli studen-
ti, come ad esempio gerundi o particolari subordinate (relative introdotte da preposi-
zione + cui, finali con affinché);

- evitare l’uso eccessivo di pronomi anaforici, a costo di una certa ridondanza;


Le frasi interrogative possono iniziare con pronomi o avverbi interrogativi (chi, che cosa, dove…?).
I pronomi e gli avverbi interrogativi sono sempre all’inizio della frase (Chi è lei? Dove abita la si
gnora Alice?).
Il soggetto della frase è alla fine (Chi è lei? Dove abita la signora Alice?).

- utilizzare ampiamente riformulazioni


In italiano questi aggettivi sono invariabili, cioè non cambiano mai

e perifrasi
i pronomi che indicano una quantità o una qualità non precisa, gli indefiniti, sono…;

- adottare particolari accorgimenti grafici (nello scritto) o di intonazione (nel parla-


to) per sottolineare la porzione di testo che interessa di più (Chi è Lei? Dove abita la si-
gnora Alice?);

- utilizzare tabelle, schemi vuoti e immagini utili alla comprensione.

4.10. L’analisi contrastiva

Se nella sua forma estrema l’approccio contrastivo (Fries 1945, 1957)


è stato criticato (si vedano ad esempio Dulay, Burt e Krashen 1985,
cap. 5), nulla toglie che nel momento della riflessione esplicita con-
fronti tra strutture della lingua obiettivo la madrelingua o le altre L2
degli apprendenti possano risultare utili e motivanti. Come ricorda
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 105

Pozzo (1995: xii) infatti, il confronto interlinguistico «incentiva la


tendenza scientifica a esaminare le differenze, la formulazione di ipo-
tesi» ed è pertanto una molla cognitiva molto potente.
Naturalmente, la contrastività non dovrebbe essere fine a se stessa,
ma venire proposta come un confronto tra le strutture dell’italiano e
delle principali lingue europee (o non europee) solo laddove «una so-
miglianza possa corroborare l’apprendimento o un’interferenza possa
essere evitata» (Skytte 1994: 223). Tale procedimento avrà un duplice
esito: da un lato, faciliterà l’acquisizione dell’italiano, dall’altro, con-
tribuirà a rafforzare capacità già ottenute in altre lingue (ivi).
Un buon esempio di come un riferimento contrastivo possa aiutare
la comprensione di strutture dell’italiano può essere quello della dop-
pia negazione con mica molto diffusa nel parlato. Immaginiamo che in
un testo autentico degli studenti di livello intermedio trovino questa
forma e che l’insegnante decida di riflettere su di essa, facendo notare
che si tratta appunto di un tratto tipico dell’italiano parlato, in partico-
lare settentrionale. Una prima proposta potrebbe essere quella di pro-
porre un accostamento tra una frase italiana ed una francese molto
semplice, supponendo che il francese possa essere già noto (come lin-
gua materna o lingua seconda) ad almeno alcuni degli studenti.
L’insegnante potrebbe scrivere una frase italiana alla lavagna e solle-
citare una traduzione da parte degli studenti, o semplicemente presen-
tare entrambe le frasi e far notare il parallelismo tra le strutture (non …
mica/ne … pas), evidenziando che la doppia negazione proviene dai
dialetti settentrionali (più vicini alla Francia), ma si è poi diffusa in
tutta Italia.

Tavola 36: Esempio di un approccio contrastivo. La struttura non … mica

Io non mangio mica carne.


Je ne mange pas de la viande.

Di fronte a studenti particolarmente ricettivi e curiosi, si potrebbe


poi andare a cercare varianti dialettali della stessa costruzione, utiliz-
zando la competenza dei parlanti nativi o anche gli atlanti linguistici
(ad esempio il veneto «no magno mia»), o proporre una piccola ricer-
ca sull’origine della particella mica (dal lat. MICA ‘briciola di pane’),
106 Capitolo 4

oppure un confronto interlinguistico, indagando la presenza o assenza


della doppia negazione nelle lingue degli studenti.
Il riferimento contrastivo in questo caso, oltre a facilitare la spiega-
zione della forma, offre un interessante spaccato sociolinguistico, in-
ducendo a riflessioni di tipo diatopico sulla diffusione di una determi-
nata forma.
Il ricorso alla grammatica contrastiva è, per ovvi motivi, più adatto
all’insegnamento di lingue affini e nelle classi monolingui, mentre
presenta maggiori difficoltà nel caso di classi multilingui, nelle quali
però potrebbe costituire un interessante strumento di confronto inter-
culturale.
Talvolta inoltre è proprio il confronto tra parlanti lingue diverse a
permettere di evidenziare meglio gli errori di interferenza. Prendiamo
ad esempio il caso del gerundio, argomento che si presta molto bene al
confronto contrastivo tra l’italiano e le altre lingue europee, e che in
genere viene trattato in modo poco approfondito sia dalle grammati-
che di riferimento sia dalle grammatiche pedagogiche. A tale proposi-
to, sarebbe opportuno che l’insegnante interessato ad affrontare bene
l’argomento si servisse di saggi specifici sul gerundio, quali Lonzi
(1991), Solarino (1996), Giacalone Ramat (2003b: 181-90). Molte
grammatiche ad esempio si limitano a dire che gerundio presente ha
valore di contemporaneità, mentre è stato notato che esso, oltre ad in-
dicare la contemporaneità, può avere anche valore di anteriorità e po-
steriorità, e che a volte la posizione rispetto alla frase principale è rile-
vante per stabilirne il valore (Giacalone Ramat 2003b: 184; Solarino
1996: 23). Solarino (1996: 72) a esempio sottolinea che il gerundio
con valore di posteriorità in genere segue, e non precede, la frase prin-
cipale.
Tavola 37: Esempi di gerundio con valore temporale diverso (da Giacalone Ramat
2003b: 184, che trae gli esempi da Solarino 1996)

(1) Passeggiavamo, conversando amabilmente (contemporaneità).


(2) Partendo alle otto, arriverai in tempo (anteriorità).
(3) L’auto ha travolto un pedone, finendo contro un camion (posteriorità).

Uno studio sull’acquisizione del gerundio da parte dei non italofoni


condotto da Giacalone Ramat (2003b) su un corpus di apprendenti mi-
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 107

sti ma prevalentemente non europei ha evidenziato che il gerundio ap-


pare nelle interlingue piuttosto tardi, solo dopo che le marche morfo-
logiche di finitezza sono state acquisite, quando cioè l’apprendente ha
sviluppato almeno parzialmente l’imperfetto (sulla sequenza acquisi-
zionale dei tempi verbali si veda anche 2.3.1).
Tavola 38: Acquisizione spontanea del gerundio (adattato da Giacalone Ramat
2003b: 207)

presente > ausiliari > participio passato >imperfetto > gerundio

Il gerundio inoltre compare più tardi delle altre forme non finite
(participi e infinito), ed è complessivamente meno frequente (ivi:
207).
Il primo gerundio che viene acquisito è quello che fa parte della pe-
rifrasi progressiva («sto facendo»), poi viene il gerundio di predicato
(predicate gerunds) nelle frasi principali («Anna canta andando in bi-
cicletta»), quindi il gerundio di frase (sentence gerunds) nelle subor-
dinate («Avendo fame, Anna mangia un panino»).4
Nonostante sia semplice dal punto di vista formale, per Giacalone
Ramat il gerundio non viene in genere acquisito precocemente, e non
viene usato spesso neppure da apprendenti avanzati. È infatti “opaco”,
cioè presenta una relazione tra forma e significato poco trasparente.
Inoltre, è una struttura “opzionale”, non indispensabile: esistono infatti
subordinate esplicite, più semplici, che coprono pressoché tutti i pos-
sibili valori delle implicite al gerundio. Il gerundio dunque è un mezzo
per esprimere la subordinazione avverbiale più marcato rispetto alla
forma finita, e come tale viene appreso più tardi (Giacalone Ramat
2003b:193; sul concetto di marcatezza si veda 2.3.2).
Una nostra ricerca, tuttora in corso, rivela però che gli studenti uni-
versitari europei in scambio (Erasmus) tendono ad usare il gerundio
fin dai primissimi livelli, anche se spesso in modo inappropriato. Gli
errori non riguardano tanto la forma, quanto piuttosto gli ambiti d’uso,
che vengono estesi rispetto alla norma anche perché nell’italiano con-

4
Sulla distinzione tra i due tipi di gerundio si veda Lonzi (2001: 571 e ss.).
108 Capitolo 4

temporaneo vi sono restrizioni maggiori che in altre lingue. In partico-


lare, gli studenti utilizzano:

• il gerundio coreferenziale all’oggetto o ad altri complementi,


laddove la lingua standard ricorrerebbe ad una frase relativa, in parti-
colare in dipendenza da verbi di percezione (tav. 39, caso A);
• il gerundio nel costrutto presentativo (“c’è x facendo”) al posto
della pseudorelativa (“c’è X che fa…”) (tav. 39, caso B);
• il gerundio al posto dell’infinito, sostantivato come soggetto
della frase (tav 39, caso C, numeri 1-2) o retto da preposizione (tav.
39, caso C, numeri 3-4).

È in genere l’interferenza della propria L1 o anche di un’altra L2, a


spingere gli apprendenti a commettere un errore piuttosto che un altro.
Tavola 39: Errori nell’uso del gerundio commessi da studenti europei in scambio

A.
1. Ho visto … un uomo de mezza eta sopra una scala parlando (=che parla) (spagno-
lo, A2).
2. Arrivava al stagno e vedeva la stessa cosa: il riccio, sorrisando (=che sorrideva) e fa-
cendo (= che faceva) un cenno! (tedesca, A2)
3. In fondo a questa spiaggia, possiamo vedere il cielo blu e sotto, il mare, anche blu
pero possiamo vedere anche gli onda bianca arrivando (=che arrivano) a la spiaggia (spa-
gnolo, A2).

B.
1. C’erano tanti i turisti andando (=che andavano) lì (ceco, A2).
2. In questa foto c'è un Torero facendo (=che fa) una gara contro una tartaruga (spa-
gnolo, A2).
3. Sulla foto c'e un bambino piccolo giocando (=che gioca) con una bambola (ceco A2).

C.
1. E mi manca molto andando (=andare) ai locali per gli studenti (inglese, B2).
2. Ma comunque, trascorrendo (= trascorrere) tempo all' estero è sempre meglior
che studiare una lingua solo con libri a casa (tedesca, A2).
3. A la cima non c'era posto per metere la tenda, e quindi aviamo continato caminan-
do (=a camminare) (spagnolo A2).
4. Ho continuato il apprendimento [del latino] per 9 anni e passo a passo è emerso
lo senso e una picola gioia studiando(=di studiare) la storia e legendo (=di leggere) le ope-
re originale (tedesco A2).
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 109

Nella pratica didattica è opportuno presentare il gerundio con gra-


dualità, in modo da rispettare l’ordine di acquisizione naturale. La se-
quenziazione sarà quella suggerita dalla linguistica acquisizionale: si
partirà dunque dal gerundio nella perifrasi progressiva, che può essere
introdotta già alla fine di un livello iniziale (A1 o inizio A2), per arri-
vare ai gerundi nelle subordinate implicite (livelli B1-B2).5
Solo in un secondo momento, o con studenti più avanzati (B2, C1),
che già ne conoscono la forma e le funzioni principali in italiano, po-
trebbe essere utile un approfondimento contrastivo, per aiutare gli ap-
prendenti a focalizzare i propri errori e a riflettere sull’interferenza
della loro lingua materna o delle lingue di appoggio. Si potrebbe forni-
re dunque alla classe una lista di frasi scorrette, prodotte dagli appren-
denti stessi o da altri, magari di livello più basso, e chiedere loro di la-
vorare in piccoli gruppi, per cercare gli errori e correggerli, motivan-
doli. Per una migliore riuscita dell’attività, si consiglia di formare
gruppi non omogenei per lingua, onde evitare che il trasfer dalla loro
L1 impedisca di vedere gli errori.
In ogni caso, la fase di focalizzazione contrastiva deve seguire la
presentazione della forma o della struttura. Come opportunamente ri-
corda Calvi (1995) infatti:
nel campo della morfosintassi la presentazione intralinguistica degli argo-
menti deve precedere quella interlinguistica, cui non sempre è necessario ar-
rivare; in buona parte, l’appropriazione delle proprietà morfologiche può av-
venire senza riferimenti alla LM (Calvi 1995: 139).

4.11. Riflessione metalinguistica e correzione degli errori

Sull’opportunità di correggere gli errori e su come e quando farlo vi è


una ricca letteratura, che contempla opinioni molto diverse. In genere
però oggi sembra esserci un sostanziale accordo che almeno nel mo-
mento della riflessione metalinguistica la correzione degli errori sia
importante.

5
Il sillabo di Lo Duca (2006) ad es. inserisce la perifrasi progressiva al livello A1, il ge-
rundio semplice in frasi subordinate in B2 e il gerundio composto, più raro, in C1.
110 Capitolo 4

Le motivazioni sono sostanzialmente due: intanto, vi è un fattore di


tipo affettivo e psicologico per cui l’apprendente, in particolare
l’adulto, richiede una correzione esplicita: come sottolineano Cattana
e Nesci (2000: 92), infatti «la grammatica rappresenta in genere per
l’adulto un’ancora di salvezza a cui aggrapparsi per far fronte alla fru-
strazione e al senso di insicurezza generati dalla necessità di apprende-
re una lingua straniera».
Inoltre, se in accordo con Corder (1967) e con la teoria
dell’interlingua consideriamo l’errore come una tappa
dell’apprendimento, una spia delle ipotesi che l’apprendente sta fa-
cendo sulla lingua che impara, è evidente che è necessario anche che
egli riceva una verifica di tale ipotesi nella forma di feedback da parte
dell’insegnante. Tale feedback può diventare anzi una sorta di input
rafforzato.
Se non riceve correzioni neppure da chi è istituzionalmente deputa-
to a farlo, l’apprendente rischia di non percepire la distanza esistente
tra una forma da lui prodotta e la lingua standard, e di non colmarla
mai, arrivando alla fossilizzazione, soprattutto per le strutture che in-
cidono meno sulla comunicazione e che quindi vengono notate più
difficilmente (ad esempio l’accordo soggetto e predicato: «Anna è bel-
lo»).
Il problema non è allora se correggere o no, ma quello di scegliere
che tipo di correzione preferire. Nella letteratura in lingua inglese vi è
ancora ai nostri giorni un dibattito acceso tra chi è a favore di un feed-
back implicito, in particolare nella forma della riformulazione implici-
ta (il recasting, si veda ad esempio Doughty 2001, Doughty e Varela
1998) e chi invece sostiene la necessità di un tipo di feedback più e-
splicito, dove la riformulazione dell’enunciato erroneo è seguita da
una spiegazione metalinguistica, anche minima (ad esempio Ellis, Lo-
ewen e Erlam 2006).
La riformulazione in forma corretta da parte dell’insegnante della
frase prodotta dallo studente (recasting)6 ha incontrato particolare
successo presso insegnanti che adottano il metodo comunicativo, che

6
Secondo la definizione di Long e Robinson (1998: 23) «corrective reformulations of a
child’s or adult learner’s (L1 or L2) utterances that preserve the learners intended meaning».
Per un’analisi delle diverse definizioni di recast si veda ora Ellis e Sheen (2006).
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 111

– almeno nella versione più estrema – stigmatizza la correzione


dell’errore in quanto innalza il filtro affettivo dell’apprendente, ini-
bendo la sua produzione. Anziché dunque intervenire con correzioni
esplicite, l’insegnante “comunicativo” puro preferisce utilizzare la
tecnica della riformulazione, che ha una duplice funzione: da un lato
rappresenta una forma di interazione tra insegnante e classe, dall’altro
funge da feedback, offrendo come alternativa alle strutture scorrette
prodotte dall’apprendente strutture conformi alla lingua obiettivo. In
sostanza, la riformulazione tenta di riprodurre in classe una delle for-
me più tipiche dell’insegnamento della lingua madre ai bambini.
Quando il bambino che comincia a parlare produce infatti un enuncia-
to che contiene una o più forme scorrette, il genitore tende a riformu-
larlo, proponendo la forma corretta. È stato dimostrato che il bambino
in genere ripete la forma corretta e un po’ alla volta la fissa (per una
sintesi sugli studi sul recasting in L1 si vedano ad esempio Doughty e
Varela 1998: 116-18; Nicholas, Lightbown e Spada 2001: 722-32).
I lati positivi di questa tecnica appaiono pertanto i seguenti:

• riproduce in classe una forma di interazione naturale, molto vi-


cina a quella che avviene tra genitore e figlio e tra chi impara una L2 e
un nativo;
• non interrompe il flusso della comunicazione;
• svolge un ruolo di input particolarmente rilevante: poiché in-
fatti la riformulazione si configura come immediata reazione alla pro-
duzione dell’apprendente, permette a quest’ultimo di comparare le
forme corrette con quelle da lui prodotte (Nicholas, Lightbown e Spa-
da 2001 721-22), e per di più in un momento in cui il suo interesse
comunicativo è molto alto.

Insomma, per autori come Doughty e Varela (1998: 114-15), la ri-


formulazione costituisce il miglior esempio di focus on form comuni-
cativo, e corrisponde perfettamente alle caratteristiche individuate da
Long (1991) (si veda 3.5.).
Tuttavia è stato sottolineato che certe forme troppo indirette di ri-
formulazione non permettono all’apprendente neppure di individuare
dove sta l’errore (Carrol 2001: 355), e che la riformulazione
dell’insegnante rischia di venir interpretata dallo studente come con-
112 Capitolo 4

ferma al contenuto del messaggio piuttosto che come correzione della


forma. Nicholas, Lightbown e Spada (2001: 720), ad esempio, pur so-
stenendone l’efficacia, evidenziano come tale tecnica sia utile solo
qualora sia chiaro all’apprendente che essa riguarda l’accuratezza del-
la forma e non il contenuto del suo messaggio.
Inoltre, la riformulazione sembra poter giovare all’acquisizione nel-
la misura in cui l’apprendente nota i cambiamenti apportati
dall’interlocutore rispetto alla struttura da lui prodotta.
Una forma particolare è quella della “riformulazione correttiva”
(corrective recasting) di Doughty e Varela (1998: 123-24),7 che, anzi-
ché consistere – come nella versione più semplice – nella pura produ-
zione della forma corretta della lingua obiettivo, si suddivide in due
momenti distinti: l’insegnante cioè prima ripete la forma scorretta
dell’apprendente ponendo l’accento sull’errore, quindi la riformula,
con enfasi sulla struttura della lingua obiettivo.
Tavola 40: Esempio di riformulazione correttiva (tratto da Doughty e Varela 1998:
124, traduzione nostra)

José: I think that the worm will go under the soil. [Penso che il verme andrà sotto il
terreno]
Teacher: I think that the worm will go under the soil? [Penso che il verme andrà sotto
il terreno?]
José: (no response) (non risponde)
Teacher: I thought that the worm would go under the soil. [Pensavo che il verme sarebbe
andato sotto il terreno]
José: I thought that the worm would go under the soil. [Pensavo che il verme sarebbe an-
dato sotto il terreno]

La seconda possibilità è quella della correzione esplicita, di tipo


metalinguistico. Di fronte ad un caso come quello della tav. 40,
l’insegnante che scegliesse la seconda via, potrebbe invece sottolinea-
re che il contesto richiede l’uso del passato, e sollecitare l’apprendente
a produrlo da solo, magari aiutandolo in caso di difficoltà. Non è detto
infatti che la correzione esplicita consista esclusivamente nella produ-

7
Secondo la definizione di Doughty e Varela (1998: 123-24): «(1) repetition to draw at-
tention followed by (2) recast to provide the contrastive L2 forms».
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 113

zione della struttura corretta e della regola sottointesa da parte


dell’insegnante. Un intervento di questo tipo rischierebbe al contrario
di essere poco produttivo per l’apprendente, in quanto lo rende troppo
passivo. Più utile sembra, in generale, sollecitare lo studente e la clas-
se ad una riflessione che conduca gradualmente all’auto-correzione.
Tavola 41: Esempio di correzione esplicita

Juan: Pensavo che Pietro è già arrivato.


Insegnante: Mmm. C’è qualcosa che non va…
Ana: Sì, ci vuole il congiuntivo.
Insegnante: Perché?
Ana: Perché il verbo è pensavo… non è una cosa sicura.
Juan: Ah, è vero: pensavo che Pietro arrivasse già.
Insegnante: Sì, ci vuole il congiuntivo. E il tempo va bene? Quando è arrivato Pie-
tro?
Juan: Prima. Pensavo che Pietro fosse arrivato già … no, fosse già arrivato!
Insegnante: Benissimo!

La correzione appare infatti efficace se stimola lo studente a lavora-


re per risolvere il problema. Le fasi ideali di una buona correzione po-
trebbero essere dunque essere sintetizzate nell’elenco seguente.

• L’insegnante seleziona gli errori su cui soffermarsi. Non tutti


gli errori infatti hanno lo stesso peso e meritano uguale attenzione. La
selezione dipenderà dal livello degli apprendenti, dagli obiettivi del
corso, dal tipo di errori. Cattana e Nesci (2000: 51) distinguono tra
“errori pre-sistematici o occasionali”, che vengono commessi prima
che l’apprendente «sia consapevole dell’esistenza di regole che gover-
nano quel determinato sistema linguistico» (ibidem); “errori sistemati-
ci o cristallizzati”, che caratterizzano il momento in cui l’apprendente
sta imparando una regola o sta formulando le sue ipotesi sul funzio-
namento di una particolare struttura, ed infine “errori post-
sistematici”, ossia gli errori che lo studente commette quando conosce
la regola ma non riesce sempre ad applicarla correttamente. È eviden-
temente sugli ultimi due tipi che vale la pena di soffermarsi.

• L’insegnante segnala la tipologia dell’errore (ad esempio indi-


ca che il problema risiede nella scelta dei tempi passati) e, dove possi-
114 Capitolo 4

bile, cerca di far emergere la differenza (il gap) rispetto ad enunciati


corretti.

• Una volta fatto notare il problema, cercherà però di rendere lo


studente più attivo possibile, adottando tecniche diverse a seconda del
tempo a disposizione e del tipo di errore e guidandolo verso la forma
corretta. Se la correzione prende spunto da un esercizio grammaticale,
ad esempio, è utile proporre l’esercizio prima per casa, in modo che
tutti abbiano il tempo necessario per riflettere, e poi discuterne insie-
me in classe.

Una tecnica utile laddove si vogliano affrontare errori post-


sistematici che caratterizzano l’intera classe è invece quella della gara
di correzione su un testo scritto: l’attività seguente si incentra su alcu-
ni elementi chiave del discorso formale, l’uso dei pronomi personali
(lei, voi) e del congiuntivo (in frasi dipendenti o nella forma del con-
giuntivo di cortesia).
L’insegnante presenta brevi testi scritti di studenti di livelli diversi,
dopo averli epurati dagli errori che al momento non interessano. Gli
studenti, suddivisi in gruppetti, devono rintracciare tutti gli errori pre-
senti nei testi, eventualmente in un tempo prefissato. Il gruppo che ar-
riva per primo alla soluzione o scova più errori, vince, mentre gli altri
otterranno un punto per ogni errore scovato.

Tavola 42: Proposta di testi da far correggere agli studenti (livelli B1-B2)

FORMALE/INFORMALE
Leggi le seguenti lettere, scritte da studenti Erasmus non italiani, e correggi gli erro-
ri. Fai attenzione:
- ai pronomi personali (Lei/tu, lei/voi) e alla coerenza tra le diverse forme
(Lei/la/le; voi/vi, ecc.);
- ai modi verbali (indicativo per congiuntivo).

Chiarissima professoressa M.,


Sono studentessa di Psicologia all'università di Landau in Germania e vorrei chie-
derLa se è possibile frequentare alcuni corsi del terzo anno per il semestre prossimo e
ricevere alcune informazioni riguardo a quei corsi. La ringrazio anticipatamente e Vi
prego di gradire i miei migliori saluti. (tedesca A2)
La grammatica nella classe di italiano L2: riflessioni metodologiche 115

Gentile Dottoressa C.,


Sono studente francese venuto qui per fare il mio Master di Storia con il programma
Erasmus. Ho bisogno di aiuto e soprattutto di parlare con lei ed eventualmente vi
chiedere informazioni e consigli per fare la mia tesi perché non parlo bene la lingua ita-
liana e non conosco bene i posti come le biblioteche o gli altri centri di documentazio-
ne. In attesa di una risposta, vi ringrazio anticipatamente. Cordialmente. (francese A2)

Egregio Signore,
Per la presenta lettera, mi permetto di scriverli per conoscere l' elenco delle lezioni
che posso seguire durante il primo semestre del anno accademico 2003-2004 nel dipar-
timento di storia dell’arte e anche di archeologia. Infatti sono una studentessa belga e
vengo in Erasmus nella sua università. Devo già compilare un documento per la mia
università con tutte le lezioni alle quali voglio partecipare e indicare i numeri di ECTS.
Così il suo aiuto mi è prezioso.
Nella speranza di ricevere una risposta favorevole alla mia domanda, vuole, egregio
Signore, accogliere i miei distinti saluti. (belga, A2)

Egregio signore,
lunedì mattina sono andata all'ufficio postale di Via Portelo, a pagare la bolletta del
telefono. Mi hanno fatto aspettare moltissimo tempo (due ore) e poi, quando è arrivato
il mio turno, l'impiegato, molto scortese, non mi ha dato tutte le informazioni che vole-
vo e quelle che mi ha dato erano sbagliate.
Penso che gli impiegati devono essere più cortesi perché lavorano con, e per, la gen-
te. Comunque, vorrei che questo fosse parlato con loro o almeno Lei lo pensasse.
Grazie per la sua attenzione. In attesa di una sua risposta colgo l'occasione per por-
gerLa distinti saluti. (spagnola, B1)

Egregio professore,
sono la studentessa B. B. di Graz che fa l’Erasmus a Padova l'anno prossimo.
Volevo comunicarLa la mia data d'arrivo e chiederLa alcune informazioni dei corsi
universitari. Mi interesserebbe il corso di pedagogia interculturale e per questo vorrei
sapere l’orario di questo corso, in quale aula si farà e quanti crediti si ricevono.
La ringrazio in anticipo per le informazioni. Cordiali saluti. (austriaca B2)

Egregio Signore,
li scrivo questa lettera in riferimento all' annuncio sul corso d'italiano che si svolgerà
il prossimo mese di gennaio nel Centro Linguistico di Ateneo, per domandarli informa-
zioni sul corso. Mi piacerebbe sapere la durata del corso, il costo, i diversi livelli che ci
sono, i numeri di crediti che riceverò e se la frequenza al corso è obbligatoria. Pure se
devo comprare qualche libro o testo per seguire le lezioni.
Senz'altro, nella speranza di ricevere la sua risposta presto, li ringrazio della sua at-
tenzione. Cordiali saluti. (spagnola, B2)
116 Capitolo 4

Anche il dictogloss (si veda 3.7) si presta particolarmente a questo


tipo di lavoro. Il testo che l’insegnante proporrà ai suoi studenti deve
essere breve, con frasi semplici, ricco delle strutture che interessano.
L’esempio seguente (tav. 43) può servire ad esercitare l’uso dei tempi
verbali o degli indicatori di tempo. Il ruolo dell’insegnante è piuttosto
limitato: una volta che ha letto due volte un breve testo, lascia lavorare
gli studenti in piccoli gruppi, e interviene nella fase finale, dopo la tra-
scrizione del testo alla lavagna, per aiutare gli apprendenti ad arrivare
alla versione originaria, eventualmente sollecitando la riflessione sulla
lingua con alcune constatazioni e domande (ad esempio: «Mentre ha
vissuto non va… che tempo ci vuole di solito dopo mentre?»).
Può inoltre decidere di scrivere alla lavagna alcuni dei vocaboli
meno noti agli studenti classe, in modo che la loro attenzione si con-
centri esclusivamente sugli elementi da focalizzare.

Tavola 43: Esempio di testo per un dictogloss (livelli A2-B1)

FABRIZIO DE ANDRÉ
Fabrizio de Andrè è un cantante di origine genovese. È nato a Genova il 18 feb-
braio 1940. Durante la guerra, ha vissuto con la sua famiglia in campagna ed è tornato a
Genova solo tre anni dopo la fine. All’Università studiava legge, ma si è fermato quan-
do gli mancavano sei esami alla laurea. Da allora, si è dedicato solo alla musica. I suoi
album più importanti sono usciti tra il 1970 e il 1996. Si è sposato due volte, ed ha avu-
to due figli. Mentre viveva in Sardegna, una banda di banditi sardi lo ha sequestrato, e lo
ha tenuto prigioniero per quattro mesi.
Nel 1998, mentre faceva un tour per l’Italia, si è sentito male. È morto l’11 gennaio
1999 di un male incurabile.

Almeno nel caso degli errori più significativi è utile prevedere delle
attività di rinforzo. Per avere dei buoni suggerimenti si vedano Catta-
na e Nesci (2000).
Capitolo 5

Gli strumenti:
le grammatiche per insegnare l’italiano come L21
5.1. Premessa

Una volta presentati alcuni principi teorici e questioni metodologiche


per l’insegnamento della grammatica, resta da approfondire quali pos-
sono essere gli strumenti a disposizione dei docenti e degli apprenden-
ti l’italiano come L2.
L’offerta di grammatiche dell’italiano appare molto ricca: già gra-
zie ad alcuni volumi usciti tra la fine degli anni ’80 ed i primi anni
’90, la lingua italiana era considerata una delle meglio descritte del
mondo. Oggi poi, a quelle che Radtke (1991) definiva le “nuove
grammatiche italiane” (Dardano e Trifone 19902, Renzi 1988, Serianni
1988, Schwarze 1988), se ne sono aggiunte altre, che verranno illu-
strate nei paragrafi successivi (5.3.1-5.3.3).
Ma all’insegnante di italiano L2 che volesse scegliere una gramma-
tica su cui basare la propria preparazione, cosa consigliare? Esiste, tra
le grammatiche di riferimento, una grammatica “ideale” per lui? Ci
sono strumenti pensati appositamente per la sua formazione?
Nel 1997 due esperte dell’insegnamento della lingua, Maria G. Lo
Duca e Anna Ciliberti (in Ciliberti, Maggini e Lo Duca 1998) notava-
no che, nonostante la comparsa di ottime grammatiche descrittive
dell’italiano, mancava ancora una grammatica pedagogica (d’ora in
poi g.p.), ovverosia una grammatica appositamente destinata
all’insegnamento dell’italiano a stranieri. Come unico esempio esi-
stente ricordavano Lepschy e Lepschy (19811), in origine pensato per
studenti anglofoni (si veda poi 5.4). Del resto “una” g.p. – sosteneva
Ciliberti – non può esistere; si può parlare al massimo di “grammati-
che pedagogiche”, in quanto esse, per definizione, non possono che
essere contrastive (Ciliberti, Maggini e Lo Duca 1998: 9). Lo Duca
auspicava almeno la pubblicazione di una grammatica di riferimento

1
Il capitolo costituisce la rielaborazione della rassegna di Duso (2006).

117
118 Capitolo 5

appositamente pensata per lo studente di italiano L2 che elencasse in


modo semplice e con esempi, «“tutte” le regole fondamentali, le strut-
ture centrali, e anche quelle molto frequenti, nell’italiano contempora-
neo» (ivi: 16), assieme a strumenti o corsi destinati a presentare i fe-
nomeni in schede, con una corretta progressione, e a volumi con gio-
chi, attività e tecniche finalizzate all’insegnamento grammaticale.
Nei paragrafi successivi esamineremo se e come è cambiata la si-
tuazione, cercando di definire bene la tipologia delle grammatiche ed
esaminando quelle oggi disponibili sul mercato.

5.2. Quali grammatiche?

Ciliberti (1991: 9-10) sulla scorta della precedente bibliografia suddi-


vide le grammatiche in tre diversi tipi:

1. GRAMMATICHE TEORICHE: hanno «lo scopo di validare


una particolare teoria o un qualche aspetto di essa» (ivi, 9),
danno in genere una descrizione parziale della lingua e sono
destinate a specialisti (come esempio viene citato Chomsky
1965);

2. GRAMMATICHE LINGUISTICHE [O DESCRITTIVE]: hanno


«lo scopo di esplicitare le conoscenze che il destinatario già
possiede implicitamente in quanto parlante della lingua de-
scritta» (ivi, 9);

3. GRAMMATICHE PEDAGOGICHE O DIDATTICHE: sono


grammatiche «per l’insegnamento delle lingue con l’obiettivo
pratico di presentare i “fatti” della lingua oggetto di studio
– anzi alcuni fatti della lingua – in modo tale da facilitare
l’apprendimento» (ivi, 10).

Nella nostra indagine tralasceremo le grammatiche teoriche, dal


momento che sono poco adatte all’insegnamento di una lingua stranie-
ra, e ci concentreremo piuttosto sulle grammatiche linguistiche, che
preferiamo chiamare “descrittive” e soprattutto sulle grammatiche pe-
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 119

dagogiche, edite nell’ultimo decennio in Italia. Trascureremo infatti le


grammatiche dell’italiano pubblicate all’estero, considerata l’impos-
sibilità di controllare un mercato editoriale ormai vastissimo: i paesi in
cui l’italiano viene insegnato come lingua straniera sono sempre più
numerosi (De Mauro, Vedovelli, Barni e Miraglia 2002; Balboni e
Santipolo 2003) e spesso tendono a produrre da sé gli strumenti per la
descrizione e l’insegnamento della lingua, scegliendo in genere
un’organizzazione della materia diversa da quella in auge in Italia, che
è, tradizionalmente, per forme. Come nota Lo Duca (2006: 52), infatti,
grammatiche come Proudfoot e Cardo (1997) per anglofoni o Schwar-
ze (1988-19951) per tedescofoni combinano insieme grammatica for-
male e funzionale.
Trascureremo anche le grammatiche scolastiche destinate a studenti
italofoni.

5.3. Le grammatiche descrittive

Le grammatiche descrittive, che hanno «lo scopo di rendere esplicita


la conoscenza che il parlante nativo già possiede nella propria lingua»
e pertanto si propongono «di descrivere tutta la lingua o parti di essa,
utilizzando in genere un approccio eclettico» (Prat Zagrebelsky 1985:
7), hanno importanza fondamentale sia, con le dovute cautele, per il
discente straniero sia, e soprattutto, per l’insegnante di italiano L2, il
quale a seconda della sua formazione e delle sue esigenze di appro-
fondimento, potrà scegliere tra i molti strumenti disponibili.
Le grammatiche descrittive dell’italiano oggi sul mercato sono
piuttosto diverse tra loro a seconda del tipo di pubblico cui si rivolgo-
no (di madrelingua o, specificamente, di stranieri), e dell’impo-
stazione, più tradizionale (Serianni 1997, Dardano e Trifone 1997, Pa-
tota 2006) o più “innovativa” (Renzi, Salvi e Cardinaletti 2001, An-
dorno 2003, Salvi e Vanelli 2004).
Cercheremo di analizzarle sulla base dei seguenti punti:

• impostazione e contenuti;
• lingua descritta;
120 Capitolo 5

• tipo di pubblico;
• utilità per il docente di italiano L2.

5.3.1. Grammatiche descrittive per italofoni con impostazione tradi-


zionale

Prenderemo come punto di partenza di questa rassegna il 1997, anno


in cui sono state riedite due grammatiche molto note: Serianni (1997)
e Dardano e Trifone (1997).
Serianni (1997) esce come seconda edizione di un manuale del
1988 nella serie delle Garzatine e si presenta come un volume compat-
to e maneggevole, arricchito da un ottimo glossario curato da Patota,
utile non solo per risalire al testo, ma anche «come prontuario gram-
maticale ordinato alfabeticamente a cui ricorrere ogni volta che si vuo-
le ottenere un’informazione o risolvere un dubbio sull’italiano in tem-
pi rapidi e in forma facilitata» (Serianni 1997: V): si veda ad esempio
la voce “soggetto” che sintetizza le principali informazioni, o la voce
spegnere/spengere dove vengono date nozioni relative alla diffusione
diatopica delle due forme.
L’impianto è quello tradizionale: “Fonologia e grafematica”, “Ana-
lisi logica e analisi grammaticale”, “Il nome”, “L’articolo”,
“L’aggettivo”, “Numerali”, “Pronomi ed aggettivi pronominali”, “La
preposizione”, “Congiunzioni e segnali discorsivi”, “L’interiezione”,
“Il verbo”, “L’avverbio”; “Sintassi della proposizione”, “Sintassi del
periodo”, “La formazione delle parole”.
La lingua descritta è «l’italiano comune: quello che chiunque scrive
(o dovrebbe o vorrebbe scrivere) e che è non solo scritto, ma anche
parlato dalle persone colte in circostanze non troppo informali» (Se-
rianni 1997: VII), con molteplici esempi tratti dalla tradizione lettera-
ria, da quotidiani, o inventati. Oltre a descrivere la lingua attuale,
spesso Serianni offre approfondimenti storici e dà indicazioni relative
alla norma, al punto da essere considerato “moderatamente prescritti-
vo” (Cortelazzo 1991: 114).
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 121

Benché Serianni appaia essere ancora lo strumento più completo e


ricco per una descrizione “tradizionale” dell’italiano,2 e dunque uno
dei fondamentali “ferri del mestiere” per l’insegnante di italiano L2, è
probabilmente eccessivo per l’apprendente che non sia votato a sua
volta all’insegnamento o ad una conoscenza quale quella richiesta nel-
le Facoltà ad indirizzo linguistico-letterario. Se infatti
nell’introduzione all’edizione del 1988 Serianni assimilava lo stranie-
ro progredito all’italofono nativo, Rovere (1991: 126-27), docente di
lingua all’Università di Hedeilberg, sosteneva che così non è nella re-
altà. «Più del parlante nativo lo straniero ha bisogno di spiegazioni
funzionali, di descrizioni sintattiche in cui fattori semantici e pragma-
tici siano integrati» ed analizzava la trattazione del si, non ritenendola
abbastanza completa e chiara per lo straniero. Si augurava quindi che
«i bisogni di informazione del discente straniero avanzato (e dei do-
centi di italiano L2) alla ricerca di regole più esplicite e articolate pos-
sibili» potessero trovare risposta in manuali destinati specificatamente
a loro (ibidem). Serianni (1997: VII) dunque parla genericamente di un
“lettore colto non specialista” e non pare una casualità che ad un suo
allievo, Giuseppe Patota, si debba invece l’edizione di una grammati-
ca descrittiva appositamente pensata per lo straniero (Patota 2003).
Dardano e Trifone (1997) è invece la versione non scolastica di
un precedente manuale molto diffuso nelle scuole superiori (Dardano
e Trifone 19902), e va piuttosto oltre i tradizionali canoni di una
“grammatica”. La descrizione tradizionale della lingua (fonetica, mor-
fologia e sintassi) è infatti accompagnata da quello che gli autori defi-
niscono «un insieme di percorsi informativi riguardanti in particolare
la linguistica storica, la sociolinguistica, la linguistica testuale e prag-
matica», volti a dare al lettore una panoramica della «complessa rete
di riferimenti i cui si pongono i vari fenomeni presenti nell’italiano di
oggi» (Dardano e Trifone 1997: XIX). Il volume si apre con un capito-
lo su metodi e percorsi della linguistica (con accenni a significan-
te/significato, langue/parole, caratteristiche del latino volgare, ecc.),
per proseguire con cenni sulla situazione linguistica in Italia oggi. Se-

2
Per un esame più approfondito rimandiamo alle numerose recensioni che il volume ha
avuto, in particolare: Berruto (1990); Gerben de Boer (1990); Radtke (1991); Lepschy (1989);
Giovanardi (1989); Stammerjohann (1989); Thorton (1991); Patota e Persiani (2002).
122 Capitolo 5

guono poi la parte morfosintattica (“La frase semplice”, “Il nome”, “Il
verbo”, “La frase complessa”), una parte sul testo, la formazione delle
parole, il lessico, la fonologia, la retorica e perfino la poesia, la metri-
ca e l’errore.
All’interno dei diversi capitoli vi sono spesso “intertesti”, ossia in-
serti con approfondimenti di tipo storico (ad esempio per l’articolo vi
è una dotta appendice che si sofferma sulla nascita dell’articolo, sulla
diversa distribuzione di il/lo nell’italiano antico, e sulle lingue che so-
no prive di articolo), di tipo teorico (dopo il capitolo sulle preposizioni
ad esempio si parla di Fillmore e “Il caso del caso”, p. 366), e talvolta
di tipo contrastivo (dopo il capitolo sul pronome si riflette sulla non
obbligatorietà del pronome soggetto in italiano rispetto ad altre lingue
europee, pp. 264-65).
La descrizione è in genere tradizionale. Rispetto all’edizione scola-
stica, che descriveva l’italiano «delle persone colte, e, in particolare,
l’italiano scritto formale» (Dardano 1991: 13) sembra esservi una
maggior apertura all’italiano neostandard.
La quantità del materiale contenuto, che rende il testo simile ad una
piccola enciclopedia, può servire come prima panoramica sui diversi
aspetti della lingua italiana al docente che non ha alle spalle studi spe-
cifici su di essa, ma è sicuramente esorbitante rispetto alle esigenze
dell’utente straniero.
Una via di mezzo fra tradizione e modernità rappresenta invece la
grammatica di Lo Duca e Solarino (2004), anch’essa parziale riedi-
zione di una precedente grammatica scolastica (Lo Duca e Solarino
1990). Dall’impostazione scolastica originaria è restata l’estrema chia-
rezza della lingua, che la rende adatta anche ad un pubblico non italo-
fono. Come vuole il titolo, Una grammatica ragionevole, si tratta di
un manuale ragionevolmente semplice, ragionevolmente normativo (la
formazione didattica delle due autrici le rende però particolarmente
attente ad analizzare e spiegare gli errori di bambini e ragazzi italiani)
e soprattutto attento a “ragionare” sulle regole proposte.
Ad una prima parte, che segue una scansione ed una terminologia
tradizionali (“Suoni”, “Segni”, “Categorie”, “La frase”, “Il periodo”),
pur arricchendosi delle nuove acquisizioni della linguistica moderna,
quali ad esempio le riflessioni su Acktionsart, sull’intonazione della
frase, o sulla valenza del verbo, si affiancano cinque capitoli dedicati
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 123

al lessico e alla grammatica del testo, che sembrano meritevoli di par-


ticolare attenzione da parte dei docenti (e dei discenti) di italiano L2.
Per il lessico, il capitolo 5, “Parole e significato”, che si concentra
sulla parola e sull’uso del dizionario (con le categorie di significati
complementari, opposti, inversi, sinonimi, espressioni idiomatiche e
metafore), è completato dal capitolo sulle regole di formazione delle
parole, molto chiaro, ricco di schemi e contenente concetti per lo più
esclusi dalle grammatiche, come ad esempio le riflessioni sulle forme
possibili anche se non esistenti e sulla cosiddetta “deriva semantica”
(metafora presa dalla geologia ed utilizzata per designare quel proces-
so attraverso il quale, «una volta formate ed entrate nel lessico di una
lingua, anche le parole derivate, con il passare del tempo subiscono
mutamenti di significato» Lo Duca e Solarino 2004: 231).
Segue la parte incentrata sul testo, che vede, rispettivamente, un
capitolo su “Testi e situazioni” con attenzione al canale (rilevanti i pa-
ragrafi dedicati a fenomeni del parlato, come deissi e le false parten-
ze), al registro, all’argomento (i linguaggi settoriali) ed alla tipologia
testuale; un capitolo su “Referenti testuale ed anafore” ed infine un
capitolo su “I connettivi”.
La lingua descritta è l’italiano standard e neostandard, con esempi
inventati, tratti dall’uso comune. Caratteristica di questa grammatica è
la presenza di una rubrica dal titolo “Valentina impara a parlare”, con
piccoli aneddoti e riflessioni sull’acquisizione del linguaggio da parte
dei bambini italofoni, che si presta a sottolineare parallelismi e diver-
genze rispetto all’acquisizione dei non nativi.
Piuttosto nuova per impostazione è anche Patota (2006), che il ti-
tolo descrive come Grammatica di riferimento dell’italiano contem-
poraneo, ma che appare come una seconda edizione, in parte arricchi-
ta, di Patota (2003), specificamente dedicata agli stranieri (si veda
5.3.3). Probabilmente infatti è stato proprio il confronto con gramma-
tiche dell’italiano prodotte all’estero, che seguono spesso un’impo-
stazione funzionale, a suggerire all’autore una diversa organizzazione
della materia. L’approccio seguito è – in un primo momento – quello
tradizionale: ad una prima parte dedicata a “Suoni e lettere” e “Pun-
teggiatura”, segue la seconda (“Forme e frasi”) con capitoli su “Il no-
me”; L’aggettivo”, “Il verbo” e “Pronomi e aggettivi pronominali” che
raggruppa pronomi personali, possessivi, dimostrativi, allocutivi. Oc-
124 Capitolo 5

cupano un posto a parte i relativi, affiancati alla frase relativa, gli in-
terrogativi, inseriti nel capitolo dedicato a “Domande, risposte, escla-
mazioni”, e gli indefiniti, inseriti nel capitolo su “Altri pronomi ed ag-
gettivi pronominali”.
La terza parte, intitolata “Rapporti” e destinata più specificatamen-
te alla sintassi, segue invece un’impostazione innovativa, più di tipo
funzionale che formale: anziché introdurre un elenco di frasi coordina-
te e di subordinate, come tradizionalmente avviene nelle grammatiche
italiane, Patota sceglie di raggruppare le proposizioni in base alla loro
funzione, con capitoli del tipo “Collegare, aggiungere, escludere” (do-
ve trovano posto sia le congiunzioni coordinanti del tipo e, non, ma,
né, anche, pure, ecc., che le congiunzioni subordinanti fuorché, eccet-
to che, a meno che, ecc.); “Indicare un tempo, un luogo, un modo”.
Dopo un breve capitolo riservato alla formazione delle parole, con-
cludono il volume due capitoli, o piuttosto due schede. La parte quin-
ta, titolata “Argomenti”, si rifà alla grammatica valenziale e presenta
un quadro delle reggenze richieste da oltre 1600 verbi italiani. In ge-
nere vengono proposte «le reggenze obbligatoriamente richieste dal
verbo in base alla sua valenza; in alcuni casi, però, sono registrate co-
struzioni non obbligatorie ma frequenti, la cui indicazione può aiutare
soprattutto gli utenti stranieri a costruire una frase italiana in forma
sintatticamente corretta» (Patota 2006: 330), sulla scia di quanto ave-
vano fatto Trifone e Palermo (20001, 20072; si veda la tav. 2), nella lo-
ro grammatica appositamente pensata per l’apprendente straniero.
La sesta parte infine è costituita da una sorta di “Schedario”, che
contiene 80 brevi schede di sintassi, analisi logica e del periodo. Nelle
singole schede le tematiche possono essere trattate facendo riferimen-
to a categorie grammaticali recenti, ad esempio “Il soggetto” viene de-
scritto facendo uso della grammatica valenziale (ossia «il soggetto è
l’argomento principale di cui parla il verbo, ed è anche l’elemento che
dà al verbo la desinenza di persona e di numero e, in alcuni casi, di
genere» ivi: 431), ma anche utilizzando categorie più tradizionali,
quelle che tutti hanno conosciuto a scuola, ad esempio i complementi,
o la classificazione delle proposizioni. La grammatica di Patota è in-
fatti programmaticamente “eclettica”, nel senso che tenta «di “fare il
punto”, profittando […] delle esperienze» degli studi di grammatica
degli ultimi anni, nei tre diversi indirizzi presi dalla grammaticografia
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 125

(ossia «grammaticografia scientifica di destinazione universitaria,


grammaticografia scolastica e grammaticografia italiana per stranieri»,
ivi: 462).
La lingua descritta è l’italiano contemporaneo, nella sua varietà
standard e neostandard, con attenzione alle varietà regionali, sia
all’interno del testo (ad esempio introducendo la forma buonasera, si
dice «il momento della giornata in cui si passa dal buongiorno alla
buonasera varia da regione a regione: in Toscana ci si saluta con il
buonasera già dal primo pomeriggio, in Sardegna dopo aver consuma-
to il primo pasto, indipendentemente dall’ora», ivi: 235), che in sche-
de specifiche, come ad esempio quella su “Passato prossimo e remo-
to” (ivi:104), “Il voi al posto del lei” (ivi: 203). Non mancano brevi
inserti che confrontano l’italiano e le altre lingue (come “Il voi al po-
sto del lei” ibidem).
L’esemplificazione è in genere tratta dall’italiano contemporaneo,
dell’uso, ma non mancano del tutto esempi provenienti dalla letteratu-
ra del Novecento, sempre opportunamente evidenziati. L’autore dedi-
ca infatti particolare attenzione agli ambiti d’uso delle forme presenta-
te, non solo segnalando forme letterarie, burocratiche o regionali, ma
anche distinguendo l’appartenenza ad un registro medio o alto, con
formule del tipo «la scelta tra qualche ed alcuno, quando è possibile,
dipende soprattutto dai contesti d’uso: qualche è usata nell’italiano
medio e informale, mentre alcuno è tipica dell’italiano formale (so-
prattutto scritto)» (Patota 2006: 239).
Corredano i singoli capitoli inoltre molte schede destinate a risolve-
re dubbi frequenti, ad esempio “Espressioni e parole da scrivere sepa-
rate” ed “Espressioni e parole da scrivere unite” (p. 24), o “Due picco-
li problemi con l’articolo” (che si sofferma su “L’articolo e il titolo di
un’opera” e “L’articolo nell’indicazione della data”) o di approfondi-
mento (“Il plurale dei composti con capo” p. 53; “L’ausiliare dei verbi
intransitivi” p. 97).
Il pubblico “ideale” è dunque piuttosto vasto, in quanto si estende
dagli studenti e dai professionisti «a tutti coloro che quotidianamente
si confrontano, per motivi di lavoro, o per semplice curiosità», con la
lingua italiana (dal retro di copertina). Proprio con l’intento di rendere
la sua grammatica accessibile a tutti (ivi: 462), Patota dichiara di vole-
re rinunciare al metalinguaggio grammaticale, aggiornato o più tradi-
126 Capitolo 5

zionale, sostituendo ad esempio termini tecnici come “morfemi, o


“lessemi” o “parti del discorso” con il più neutro “parole”, o adottando
perifrasi (per i pronomi e gli aggettivi indefiniti ad esempio usa “pro-
nomi e aggettivi che non precisano” ivi: 237). Rinuncia inoltre a forni-
re informazioni teoriche che non abbiano immediata ricaduta nella
pratica, ad esempio non fa distinzione tra nomi concreti ed astratti (ivi:
462).

5.3.2. Grammatiche descrittive per italofoni con impostazione meno


tradizionale

Un’impostazione molto diversa dalle precedenti ha invece la Grande


grammatica italiana di consultazione, ossia Renzi, Salvi e Cardina-
letti (2001), riedizione parzialmente aggiornata della versione del
1988-1995. Questo testo si presenta come un voluminosa raccolta di
articoli monografici – distribuiti in tre volumi ed affidati ad autori di-
versi – che costituiscono la somma degli acquisti più recenti della lin-
guistica generativa e non, trattati spesso dai protagonisti stessi della
ricerca. La trattazione è di tipo discendente, parte dalla frase (vol. I ) e
scende alle parti del discorso (nome, aggettivo, verbo). Segue un vo-
lume sui tipi di frase, sulla deissi e la formazione delle parole. Per
ammissione dello stesso Renzi (1988: 18) la sua grammatica «presenta
essenzialmente una sintassi dell’italiano», mentre manca completa-
mente una sezione per la fonologia.
La Grande grammatica si propone di descrivere il complesso degli
usi linguistici non dialettali nella loro articolazione di stili bassi (in-
formali) e alti (burocratici, letterari). Al centro della descrizione sta
comunque l’italiano dell’uso medio, o neostandard (Albrecht 1991:
89): pur non mancando esempi tratti dalla letteratura, prevalgono deci-
samente le frasi prodotte dagli autori stessi sulla base dell’ipotesi
chomskiana secondo la quale «i dati pertinenti per illustrare i fenome-
ni della grammatica italiana sono principalmente costituiti dalle mani-
festazioni dei giudizi che ogni parlante è in grado di dare su aspetti e
livelli diversi della propria lingua» (Cordin 1991: 78). Le frasi presen-
tate possono essere anche dubbiose (e vengono segnalate con il punto
interrogativo) o non accettabili, agrammaticali (e vengono segnalate
con l’asterisco). La scelta è stata criticata da più parti, in quanto il ri-
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 127

schio è di presentare degli idioletti, in particolare settentrionali, pro-


venendo gli autori per lo più dal nord Italia.
La Grande grammatica non solo non è normativa, ma è puramente
descrittiva ed addirittura “antipuristica” (Albrecht 1991: 89): come ri-
leva Cordin (1991: 82) presenta infatti tra le frasi non giudicate inac-
cettabili costrutti che molti insegnanti segnerebbero in rosso, ad esem-
pio il relativo che per in cui («il giorno che ti ho conosciuto»), o ri-
dondanze pronominali del tipo «a me mi piace», ecc.
Già Andorno, Bosc e Ribotta (2003: 150) hanno sottolineato che ta-
le grammatica «non si presta all’uso pratico, ma costituisce per gli in-
segnanti più interessati all’approfondimento delle loro conoscenze
linguistiche dell’italiano uno strumento aggiornato e prezioso».
Quale uso può farne il docente di italiano L2? Intanto, potrà consul-
tarla per aggiornarsi sulle acquisizioni della linguistica ancora par-
zialmente escluse dalle grammatiche più tradizionali: si veda l’ottimo
capitolo sulla deissi curato da Laura Vanelli, argomento al quale ad
esempio Serianni (1997) dedica solo qualche annotazione nel capitolo
sui pronomi, mentre risulta particolarmente ostico per lo straniero che
spesso non trova corrispondenze esatte nella propria lingua. Nel suo
Sillabo di italiano L2 infatti Lo Duca (2006) sceglie di dedicare alla
deissi un spazio apposito all’interno del paragrafo delle “Forme e
strutture testuali”, riconoscendone l’importanza. Renzi, Salvi e Cardi-
naletti (2001) potrà poi essere di giovamento per i docenti per riaggiu-
stare e completare le proprie conoscenze su argomenti particolarmente
complessi, come il verbo, o come solido punto di partenza per intra-
prendere ricerche specifiche. La ricchissima bibliografia è inoltre un
aiuto prezioso per affrontare i diversi temi.
Si ispira alla Grande grammatica senza volerne essere semplice-
mente una riduzione Salvi e Vanelli (2004). Come dice il titolo (Nuo-
va grammatica italiana), il volume non è una semplice riedizione del-
la versione del 1992, ma è stato completamente riscritto ed adattato.
Dal punto di vista contenutistico si registrano diverse modifiche, rese
possibili dall’uscita del secondo e terzo volume della Grande gram-
matica di consultazione, oltre che dalle nuove scoperte della ricerca (a
volte non registrate nemmeno nella Grande grammatica, come ad e-
sempio la classificazione dei verbi sia dal punto di vista sintattico che
semantico, per la quale si rinvia a Jezek 2003 e l’analisi delle valenze
128 Capitolo 5

dei verbi italiani, per cui si rinvia a Lo Duca 2003). Non mancano poi
cambiamenti anche dal punto di vista dell’esposizione, che si propone
di essere più chiara e didattica, soprattutto per «concetti e analisi che
si distaccano maggiormente dalla tradizione grammaticale» (ivi: 12).
L’attributo di “nuova” grammatica si riferisce però soprattutto
all’impostazione che vuole distinguersi da quella tradizionale: i due
autori si propongono infatti di descrivere le principali strutture morfo-
logiche e sintattiche della lingua italiana a partire da un’impostazione
strutturalista e generativa, che comunque rimane nello sfondo, pur in-
fluenzando la scelta degli argomenti trattati. Il tentativo è quello di of-
frire uno strumento che faccia «da ponte tra la visione scientifica mo-
derna dei fatti linguistici e l’insegnamento nella scuola, ancora pur-
troppo molto spesso legato a schemi tradizionali di cui la ricerca
scientifica ha da tempo mostrato l’inconsistenza» (ivi: 13).
La struttura è pertanto molto diversa da quella delle grammatiche
più tradizionali, come ad esempio Serianni (1997): manca del tutto la
parte sulla fonologia e i temi scelti riguardano prevalentemente la sin-
tassi e la morfosintassi, pur con importanti eccezioni come il primo
paragrafo del Capitolo 8 (“Il verbo”), titolato proprio “Morfologia”,
nel quale viene proposta un’efficace descrizione morfologica dei ver-
bi. Anziché presentare come di consueto liste di paradigmi, gli autori
cercano infatti di trovare delle regolarità nelle irregolarità, raggrup-
pando i verbi per tipologie: particolarmente funzionale risulta ad e-
sempio la descrizione dei verbi irregolari, che vengono suddivisi in
cinque schemi paradigmatici.
La prima parte del volume si sofferma sulla frase semplice, esa-
minando le principali “Funzioni grammaticali” come soggetto, og-
getto diretto e indiretto, ecc.; “La classificazione lessicale dei verbi”;
“Le principali strutture di frase” (ad esempio frase accusativa, inac-
cusativa), “L’accordo” ed “Il verbo”. La seconda parte presenta poi
la nozione di sintagma (nominale, aggettivale, preposizionale, avver-
biale). La terza è dedicata alla frase complessa: è interessante
l’analisi delle proposizioni, fatta sia in base alla forma del verbo (per
cui abbiamo proposizioni all’infinito, al gerundio, al participio e di
modo finito), sia in base alla funzione (per cui abbiamo argomentali,
extranucleari ed attributive). Infine, la quarta parte si sofferma su al-
cuni problemi generali, sia sintattici (“L’ordine delle parole nella
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 129

frase”, “La negazione”, “La deissi”) che morfologici (“La formazio-


ne delle parole”).
Quale italiano si descrive in questa grammatica? Non vi sono indica-
zioni precise in proposito, ma, come notato da Chiari (2005: 228) «scor-
rendo il volume si arriva ad un’immagine della lingua piuttosto ricca,
variegata e pluriforme; un italiano piuttosto articolato che comprende
vari stili comunicativi, diversi registri, differenti livelli di formalità».
Rispetto alla versione precedente anche il destinatario è stato – op-
portunamente – ridefinito: il volume del 1992 infatti faceva parte di
una collanina dal titolo “Strumenti per l’italiano”, nata all’interno di
un progetto del Ministero degli Affari esteri, e affidato all’Accademia
Della Crusca e a Nencioni, Baldelli e Sabatini. Tale progetto prevede-
va la preparazione di testi e manuali per l’insegnamento dell’italiano
all’estero: i primi destinatari erano dunque gli insegnanti di italiano
come lingua straniera e gli apprendenti stranieri. Il pubblico reale però
è stato soprattutto quello di italofoni iscritti ai corsi universitari di lin-
gue. Effettivamente, l’impostazione di matrice generativista, e di con-
seguenza la scelta degli argomenti e l’impiego di una terminologia
specifica e diversa da quella tradizionale (si pensi a nozioni quali “sin-
tagma”, “verbi inaccusativi”, “costruzione fattitiva”), rimasti anche
nell’edizione del 2004, rendono il manuale piuttosto difficile da utiliz-
zare per un apprendente straniero (che non sia iscritto ad un corso uni-
versitario di Linguistica) e spesso ostico anche per l’insegnante ma-
drelingua non abituato alle categorie grammaticali moderne. Uno
strumento difficile dunque, ma non certo inutile per il docente di ita-
liano L2: proprio la specializzazione nel dominio sintattico, e la pre-
senza di concetti rivisti alla luce delle nuove scoperte scientifiche,
rendono Salvi e Vanelli (2004) un manuale prezioso, da usare come
integrazione alle grammatiche più tradizionali, o per mettere a fuoco
fenomeni che in quelle sono quasi totalmente assenti (come la già ri-
cordata deissi o la categoria dei verbi inaccusativi, ma anche l’ordine
delle parole nella frase o la concordanza dei tempi), o per analizzare
gli stessi argomenti ma a partire da un punto di vista differente, con
risultati a volte migliori.
Non lontano da Salvi e Vanelli (2004), anche se adotta
un’impostazione più tradizionale, è Andorno (2003), che si presenta
come
130 Capitolo 5

una rivisitazione dei più banali concetti di morfosintassi appresi a scuola per
mostrare come essi possano essere approfonditi e problematizzati, come, a
partire da essi, si apra la strada per uno studio della lingua sotto molteplici
punti di vista, come questi possano essere utilizzati come strumenti per ana-
lizzare e capire la struttura della lingua che parliamo» (Androno 2003: 3).

Andorno sceglie volutamente di mantenere la terminologia e la


struttura tradizionale, dalla parola alla frase, ritenendo che sia punto di
partenza comune a tutti, ma la arricchisce di riflessioni normalmente
trascurate, ad esempio sul modo, sul tempo (scansione anaforica, scan-
sione deittica), sull’aspetto, oltre che di concetti che di solito non en-
trano in una grammatica italiana ma che sono recuperati da studi di
linguistica e pragmatica.
Il volume è diviso in cinque parti: dopo l’introduzione, vi sono il
capitolo “Classi di parole” (che descrive le classi tradizionali come
nomi, aggettivi, ecc., ma ad esempio raggruppa articoli, aggettivi di-
mostrativi, indefiniti ed esclamativi sotto la recente categoria degli
“specificatori” p. 19); “Le forme” (dedicato alla morfologia nominale:
genere, numero, caso, ecc.); “La frase” (che analizza le parti della fra-
se, come soggetto e predicato, introducendo però categorie come “at-
tanti” e “valenze”; ed esamina le espansioni della frase nucleare e la
frase complessa), ed infine un capitolo su “Enunciato e contenuto in-
formativo della frase”, dove si analizza la frase non più dal punto di
vista sintattico ma del contenuto (frasi dichiarative, interrogative, otta-
tive, ecc.). Anche qui Andorno introduce concetti come dato/nuovo;
topic/comment, focus, e si sofferma sui «costrutti specifici per segna-
lare la struttura informativa», quali il “c’è” presentativo, la focalizza-
zione contrastiva, la frase scissa, le dislocazioni, il tema libero.
Com’è evidente dunque, mancano sezioni caratteristiche delle
grammatiche tradizionali (come fonologia e formazione delle parole),
ed invece vengono introdotte categorie di recente acquisizione alle
quali è bene che i docenti di italiano L2 comincino ad abituarsi, anche
perché spesso appaiono più funzionali.
La lingua descritta è l’italiano standard, ma anche neostandard, con
molta attenzione alle costruzioni che lo caratterizzano, come appunto
dislocazioni, focalizzazioni, uso del pronome ci, ecc.
Il libro è dedicato «a coloro che vogliano scoprire cosa significa far
ricerca in grammatica» (Andorno 2003: 3), ma appare particolarmente
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 131

utile per gli insegnanti di italiano L2, che spesso si trovano a dover af-
frontare domande dei loro studenti la cui risposta non è affatto sconta-
ta. Attraverso la lettura di agili capitoli e la soluzione dei molteplici
esercizi proposti, il lettore viene infatti addestrato alla riflessione criti-
ca sui problemi grammaticali ed alla metodologia induttiva. Spesso ad
esempio Andorno inizia un paragrafo proponendo degli esempi e chie-
dendo di descrivere la regole (si veda la tav. 1).
Gli esercizi, tra l’altro, spesso possono venire proposti nella classe
di italiano L2 di livello intermedio alto-avanzato (tav. 1), con eventua-
li adattamenti e comunque suggeriscono un metodo di lavoro
all’insegnante.
Tavola 1: Riflessioni metalinguistiche proponibili anche a studenti stranieri di livello
intermedio-avanzato (tratto da Andorno 2003: 25)

2.5.11 Indefiniti con valore di qualificatori esistenziali


___________________________________________________________________
18. Descrivete con una parafrasi il diverso significato degli aggettivi diversi e certi nelle seguenti
frasi:
Si sono registrati diversi casi di infezione
Si sono registrati casi diversi di infezione
Certe fonti danno la nave per dispersa
Fonti certe danno la nave per dispersa
___________________________________________________________________
[...]

2.5.12. Indefiniti con valore negativo


Gli indefiniti di tipo negativo nessuno e alcuno quantificano il nome cui si riferiscono nel
senso di “nessun individuo della classe”. Mentre nessuno ha di per sé valore di indefinito
negativo, per cui può occorrere anche autonomamente, alcuno ricorre sempre in pre-
senza di una negazione.
(40) Non ho alcuna intenzione di ascoltarti
___________________________________________________________________
19. Basandovi sul confronto tra le coppie di esempi, provate ad individuare al regola di occor-
renza della negazione non in presenza dell’indefinito nessuno.
Non ho visto nessun uomo mascherato
Nessun uomo mascherato, ho visto
In nessun caso ti accompagnerò
Non ti accompagnerò in nessun caso
___________________________________________________________________

Particolare attenzione merita poi il capitolo sugli avverbi, tema che


in genere viene affrontato in modo troppo rapido nelle grammatiche
132 Capitolo 5

dell’italiano, mentre è alquanto ostico per gli stranieri, che trovano


difficoltà soprattutto nella posizione da attribuire agli avverbi nella
frase. Andorno (2003) li suddivide secondo classi strutturali e ne ana-
lizza le proprietà, soffermandosi in particolare sulla posizione: gli av-
verbi modificatori di sintagma e di predicato, gli avverbi modificatori
di focus, gli avverbi circostanziali, che modificano la frase nucleare, e
gli avverbi frasali, che modificano frasi ed enunciati frasali. Sicura-
mente la classificazione è più complessa di quella consueta (che li
suddivide in base al significato in avverbi qualificativi, di tempo, di
luogo, ecc.), ma all’interno di essa l’insegnante potrà trovare spiega-
zioni più efficaci sulla loro collocazione.
Apprezzabili infine i riferimenti bibliografici presenti alla fine di
ogni capitolo, nei quali Andorno, oltre a rimandare a saggi più specifi-
ci, analizza anche la presenza o assenza degli argomenti affrontati nel-
le principali grammatiche descrittive (Serianni 1997, Renzi, Salvi e
Cardinaletti 2001) e le eventuali discordanze.

5.3.3. Grammatiche descrittive specifiche per stranieri

Un posto particolare nella rassegna meritano poi due grammatiche de-


scrittive che si rivolgono, esplicitamente o meno, ad un pubblico di
stranieri: Trifone e Palermo (20011, 20072) e Patota (2003).
Trifone e Palermo (20072) si dichiara come pensata genericamente
per un pubblico non specialista, tra cui anche lo straniero. In realtà fin
dal principio gli autori avevano in mente gli studenti che frequentano i
corsi di italiano dell’Università per Stranieri di Siena, tutti non italo-
foni. Ad essi infatti il volume si adatta in particolare «per l’attenzione
riservata a settori di regolarità debole del sistema» (dal retro di coper-
tina), come ad esempio la formazione del plurale di nomi ed aggettivi,
l’uso delle preposizioni, le espressioni idiomatiche.
L’impostazione è tradizionale: “Suoni e lettere”, “L’articolo”, “Il
nome”, “Gli aggettivi” (qualificativi e pronominali sono distinti in due
diversi capitoli), “Il pronome”, “Il verbo”, “L’avverbio”, ecc., per ar-
rivare al capitolo sulla formazione della parole.
Ogni capitolo è concluso da due schede, segnalate anche grafica-
mente da colori distinti: la prima di approfondimento (quella che con-
clude il capitolo sulla frase semplice riguarda ad esempio la scissione
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 133

e la dislocazione), la seconda destinata ad esporre e, se possibile risol-


vere, dubbi frequenti, presentati proprio come domande: “La gente
pensa o la gente pensano?” (per presentare casi di accordo a senso), o
“Vivere in Roma o vivere a Roma?” (per l’uso delle preposizioni di
luogo).
Anche all’interno dei capitoli vi sono riquadri colorati che isolano
questioni particolarmente problematiche per i non nativi (ad esempio
“C’è passato e passato” p. 134, sull’uso del passato prossimo e remo-
to): l’intero volume si segnala infatti per l’estrema cura tipografica,
che va a tutto vantaggio della consultabilità. Oltre all’uso delle schede
citate, di inchiostri di colori diversi, e di molteplici caratteri (grassetto,
corsivo, sottolineato), gli autori si avvalgono di particolari simboli
grafici, che contrassegnano fenomeni o annotazioni che si ripetono
(debitamente segnalati in copertina). Frequentissimi sono poi le tabel-
le e gli schemi, particolarmente efficaci per visualizzare le regole.
Seguono, oltre ad un indice analitico, due appendici molto utili allo
straniero: la prima, più tradizionale, presenta la coniugazione dei verbi
irregolari; la seconda, presenta – con esempi – le reggenze di oltre
cinquecento verbi ad alta frequenza. Accanto ad ogni verbo, sono se-
gnalate infatti in colonne le preposizioni che reggono un nome o un
verbo, con esempi. Per continuare ad esempio (si veda la tav. 2) si se-
gnala che esso ammette sia la costruzione transitiva (quando il com-
plemento oggetto è obbligatorio), sia intransitiva, con complemento
indiretto e che, in questo caso, regge le preposizioni a e per. Si segna-
la inoltre che viene usato un ausiliare diverso a seconda che il verbo si
riferisca a persone o cose.
La prima colonna dà poi indicazioni sulla categoria del verbo, spe-
cificando se esso è pronominale, copulativo, impersonale, causativo o
modale.
134 Capitolo 5

Tavola 2: Appendice sulle reggenze verbali (da Trifone e Palermo 20072: 298)

La lingua descritta è l’italiano dell’uso, standard e neostandard. Va


notata la tolleranza dimostrata dai due autori nei confronti delle devia-
zioni dallo standard, per cui, ad esempio, a proposito dell’espansione
dell’uso del pronome atono indiretto gli osservano che «gli al posto di
loro è accettabile anche in alcuni tipi di scritto, gli al posto di le è an-
cora relegato al parlato colloquiale» (Trifone e Palermo 2007: 110).
Non mancano poi indicazioni sul registro.
Da una grammatica ideale anche per gli stranieri ad una grammati-
ca intenzionalmente dedicata agli stranieri il passo è breve. Patota
(2003) nasce proprio come Grammatica di riferimento della lingua i-
taliana per stranieri, e inaugura una collana della Le Monnier dedica-
ta alla lingua e alla cultura italiana in collaborazione con la Dante Ali-
ghieri.3 Nella prefazione Patota spiega come l’opera, familiarmente
battezzata la “Grammatica della Dante”, si sia venuta formando grazie
al costante confronto con gli insegnanti della società. La sua specifici-

3
Società che dal 1889 ha il compito di tutelare e diffondere la lingua italiana nel mondo e
di ravvivare i legami culturali con gli italiani all’estero.
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 135

tà si rivela nello spazio che l’autore dedica ad argomenti particolar-


mente ostici per chi acquisisce o insegna l’italiano come L2. Resta tut-
tavia una grammatica di riferimento e non una grammatica pedagogi-
ca, in quanto affronta tutti gli argomenti tradizionali, in modo esausti-
vo e non graduato, benché in taluni casi l’autore cerchi di tener conto
dell’esigenza della gradualità tipica di chi apprende una lingua stranie-
ra, decidendo ad esempio di non inserire una distinzione complessa
quale quella tra diatesi attiva e passiva all’inizio del capitolo sul ver-
bo, ma di posticiparla. Come tuttavia egli sa bene (Patota 2005: 87-
89), il conflitto tra le esigenze di sistematicità di una grammatica di
riferimento e le esigenze di gradualità dell’utente non nativo è presso-
ché irresolubile.
Non ci soffermeremo sulla struttura, in quanto la grammatica è
quasi identica a Patota (2006), già descritta, ad eccezione delle due
schede finali aggiunte in quell’edizione, che sicuramente andrebbero
recuperate (in particolare la quinta, sulle valenze dei verbi). Il lin-
guaggio forse è ancora più semplificato, in quanto vi sono maggiori
perifrasi chiarificatrici. Ad esempio nel capitolo 8 i pronomi indefiniti
sono etichettati come «Pronomi ed aggettivi che alludono a una quan-
tità, a una qualità o a un’identità non precisata». La terminologia tra-
dizionale è tuttavia recuperata nella guida di consultazione curata da
Giuseppe Ricci e disponibile anche in rete (nel sito della Le Monnier),
allo scopo di aiutare chi è abituato ad essa a ritrovare i fenomeni.
Va notato poi che all’interno della presentazione dei diversi argo-
menti, Patota dà ampio spazio a quelli che potrebbero essere punti cri-
tici per l’apprendente non italofono, ad esempio la collocazione delle
parole (si vedano le numerose pagine riservate alla posizione degli ag-
gettivi). Allo stesso scopo valgono le frequenti schede destinate a ri-
spondere a domande tipiche dei non nativi (ad esempio: “Il verbo si
accorda sempre?”, “Qualcosa è maschile o femminile?” p. 308) e co-
munque ad indurli ad evitare gli errori più comuni. Si segnalano inol-
tre le efficaci schede di riepilogo, incentrate ad esempio sugli usi di
che/chi o dei verbi pronominali in –la.
Talvolta Patota introduce confronti tra elementi della sintassi italia-
na e quella di altre lingue europee, intraprendendo una strada in gene-
re battuta dalle grammatiche pedagogiche. L’utilità di tali confronti,
sia per l’apprendente che per l’insegnante attento all’analisi contrasti-
136 Capitolo 5

va, spingerebbe a rammaricarsi della loro rarità, ma è facile compren-


dere che insistervi sarebbe stato piuttosto difficoltoso per chi, come
Patota, non si rivolge ad un pubblico straniero monolingue, come fa-
cevano ad esempio Lepschy e Lepschy (1977), i quali, partendo dalle
difficoltà incontrate dagli anglofoni si avvalevano frequentemente del
raffronto tra L1 e L2.
Oltre all’organizzazione diversa della materia, caratterizza il volu-
me la grande attenzione riservata ad aspetti lessicali: come precisa lo
stesso Patota (2005: 87) infatti, egli ha «rinunciato alla distinzione tra
grammatica e vocabolario, accogliendo nel testo spesso inserti che ap-
partengono […] alla lessicografia». La cura riservata agli aspetti
pragmatici della lingua lo ha «spinto a dare spazio a materiali che non
appartengono alle grammatiche destinate agli italiani, ma che è impor-
tante siano presenti in una grammatica destinata agli stranieri: saluti,
espressioni di cortesia, forme e formule (le cosiddette “frasi fatte”)
[…] che ad uno straniero risultano oscure» (ibidem). Il fenomeno è e-
videntissimo nella trattazione del verbo, dove accanto alla trattazione
dei tempi, delle irregolarità, è riservato ampio spazio ai diversi signifi-
cati che i singoli verbi possono assumere. All’interno del paragrafo sui
verbi irregolari, ad esempio, oltre che sulla flessione e sulle particola-
rità grammaticali, ci si sofferma sui diversi significati che possono a-
vere verbi come andare (che può valere ‘gradire, desiderare’ e ‘piace-
re, avere in simpatia’) e fare (‘raccogliere, esercitare un mestiere o una
professione’, ecc.) e sulle espressioni fisse del tipo (andare a genio,
andare a male, andare a ruba, ecc. o far fuori, fare a pezzi, fare a pu-
gni, ecc.).
Come nel caso di Patota (2006), la lingua descritta è la lingua
d’uso, con frequenti incursioni nel campo dell’italiano dell’uso medio,
o neostandard, ad esempio laddove presenta l’uso dell’imperfetto in-
dicativo nell’ipotesi irreale (Patota 2003: 383). Tuttavia, la grammati-
ca di Patota non si limita ad una semplice descrizione dei fenomeni,
ma li commenta con giudizi sull’accettabilità. Riferendosi ad esempio
all’espandersi dell’uso del pronome gli a danno di le e loro, sentenzia
che «in sostituzione di a lei l’uso di gli non è ammissibile; in sostitu-
zione di a loro […] l’uso di gli è invece ammissibile, soprattutto
nell’italiano colloquiale» (ivi: 251). Altrove, critica l’uso di anglicismi
quali “ok, esatto” (ivi: 293), sostenendo che «impoverisce la lingua».
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 137

Evidentemente la scelta di Patota è dettata dall’idea – sia pure condi-


visibile – che rispetto al madrelingua l’utente straniero necessiti – e
chieda – una maggior prescrittività, avendo bisogno di quelle che Ci-
liberti (in Ciliberti, Lo Duca e Maggini 1998: 15) definiva “isole di af-
fidabilità” per orientarsi. Tuttavia, il rischio è quello di un’eccessiva
chiusura rispetto alla lingua parlata che gli apprendenti sentono intor-
no a loro. In ogni caso, il volume appare un insostituibile punto di ri-
ferimento tanto per l’apprendente straniero, a partire almeno da un li-
vello intermedio, che per il docente di italiano L2.
Nel complesso dunque il settore delle grammatiche descrittive ap-
pare essere ricchissimo, sia di strumenti per italofoni che, finalmente,
di strumenti specifici per stranieri. Va registrata semmai la presenza di
uno iato tra le grammatiche con approccio più tradizionale (Serianni
1997, Patota 2006, Trifone e Palermo 2007) e quelle più influenzate
dalla grammatica moderna (Renzi, Salvi e Cardinaletti 2001, Andorno
2003, Salvi e Vanelli 2004), iato che richiederebbe da parte del docen-
te di italiano L2 l’utilizzo di almeno due manuali con impostazione
diversa da integrare tra loro.

5.4. Le grammatiche pedagogiche: uno statuto complesso

Prima di passare in rassegna le grammatiche disponibili per chi ap-


prende l’italiano come L2, ci soffermeremo sullo statuto di grammati-
ca pedagogica, concetto che nonostante gli studi specifici ad esso de-
dicati (si veda ad esempio Rutherford e Sharwood Smith 1988, Giun-
chi 1990, Ciliberti 1991, Titone 1992, Giunchi 2000) rimane ancora
piuttosto vago e passibile di differenti interpretazioni.
Il concetto è stato introdotto da Noblitt (1968), che definiva
“grammatica pedagogica” «la grammatica di una lingua straniera che
abbia come obiettivo l’acquisizione di quella lingua». Corder (1973)
precisava poi che «una GP è caratterizzata da un suo approccio ai fatti
della lingua e poiché esso può manifestarsi in ogni tipo di materiale
una GP può coincidere con un libro di testo, un brano, un insieme di
esercizi» (Ciliberti 1991: 13). Analogamente Saporta (1966: 36) rite-
neva che una GP fosse costituita da materiali didattici usati per svi-
luppare capacità di produrre frasi in lingua straniera in modo appro-
138 Capitolo 5

priato. Per entrambi quindi, una g.p. non si identificava necessaria-


mente con un libro di grammatica, ma poteva comprendere un insieme
di materiali vari (regole, esercizi, ecc.). Ciliberti (1991: 23) invece, in
una pubblicazione volta a mettere a punto il concetto di g.p., adotta
una definizione più restrittiva, escludendo ad esempio i riferimenti
grammaticali dei libri di testo, o i materiali didattici e le versioni sem-
plificate di grammatiche linguistiche. A suo avviso «una GP è [...] un
tipo di grammatica che cerca di adattarsi alle necessità di un gruppo di
discenti, funzionando da meccanismo di facilitazione, nel senso che
induce il discente a concentrare l’attenzione su quelle caratteristiche e
su quelli attributi criteriali dei concetti linguistici che, altrimenti, do-
vrebbe indurre da solo» (ivi: 5).
Ciliberti ne definisce quindi le caratteristiche, stabilendo che una
g.p.:

• è incentrata sull’uso;
• è orientata alla soluzione di problemi;
• è basata su strategie di apprendimento;

ed i criteri di valutazione. I principi che sottostanno alla creazione


di una g.p., e di conseguenza anche alla sua valutazione, sono i se-
guenti.

a. Utilità per il suo destinatario: il destinatario determina il grado


di esplicitezza che la grammatica dovrà possedere: «una descrizione
troppo esplicita ed analitica può risultare poco utilizzabile; d’altro
canto una descrizione teoricamente coerente può risultare non suffi-
cientemente esaustiva» (Ciliberti 1991: 29).

b. Funzionalità: la g. deve cioè descrivere la lingua in relazione al


suo uso nella comunicazione reale (ivi: 30). Se la L2 viene insegnata a
scopo prevalentemente comunicativo, la riflessione metalinguistica
non solo dovrà essere incentrata sulla lingua che si usa nella comuni-
cazione, ma contemplare, oltre agli aspetti più propriamente linguisti-
ci, anche «quelli situazionali e sociali della comunicazione» (ivi: 30).
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 139

c. Operatività: La descrizione deve essere «condotta in modo essen-


ziale e finalizzata all’apprendimento» (ivi: 31), non deve essere né ri-
dondante né gratuita (ibidem), ma al contrario “economica ed efficace”
(Ciliberti 1987: 53). A tale proposito una g.p. trascurerà tutte le genera-
lizzazioni che non sono necessarie al tipo di apprendenti cui si rivolge,
in quanto ad esempio appartengono anche alla loro lingua. Ciò eviden-
temente presuppone un’analisi contrastiva che fornisca informazioni di
tipo inter- ed intra-linguistico rilevanti per la formulazione delle genera-
lizzazioni necessarie a quel particolare gruppo di discenti.

Tali caratteristiche rendono la g.p. piuttosto diversa da una gram-


matica descrittiva. Nel paragrafo 5 esamineremo più in dettaglio le
specificità di una g.p. rispetto alle g. descrittive. Per ora, vorremmo
limitarci ad adottare una definizione abbastanza generale:
[una g.p.] non costituisce un’applicazione di una teoria bensì offre una pre-
sentazione dell’informazione della lingua a scopi pedagogici; […] non deve
rispettare alcun criterio di coerenza interna, ed è, per sua natura, eclettica. Es-
sa inoltre si pone come traguardo ottimale di attivare ed arricchire progressi-
vamente la capacità d’uso della lingua da parte di chi apprende. La prerogati-
va essenziale della grammatica pedagogica è quella di assumere il punto di
vista del parlante non nativo […] si tratta dunque di un modello concepito per
rispondere alle esigenze di apprendimento di una seconda lingua, che si ma-
nifesta in forme diverse a seconda che si rivolga all’insegnante o allo studen-
te, e non dell’applicazione alla didattica di un modello teorico o descrittivo.
Se rivolta all’insegnante […] fornisce principi e suggerimenti metodologici
per la presentazione della grammatica, se diretta agli apprendenti offre invece
definizioni informali, tabelle, schemi, verbalizzazioni utili all’interioriz-
zazione delle regole (Giunchi 2000: 10-11).

Nell’intervento di cui si è già parlato del 1997 (ivi, 5.1), Lo Duca e


Ciliberti consideravano come g.p. per l’italiano esclusivamente il ma-
nuale di Lepschy e Lepschy (1981), sul quale dunque vale la pena di
soffermarsi brevemente. Si tratta di un adattamento, piuttosto che di
una vera e propria traduzione, di una grammatica per anglofoni edita
nel 1977 e volta a descrivere l’italiano contemporaneo. Nell’introdu-
zione, gli autori specificano di offrire una grammatica “progressiva”,
in cui ogni sezione presuppone solo quelle che la precedono, e insieme
“descrittiva, di riferimento” (1981: 1) destinata sia agli studiosi della
lingua italiana, che agli studenti che la stanno apprendendo (ivi: 3).
140 Capitolo 5

L’edizione italiana dunque ha omesso la maggior parte dei riferi-


menti contrastivi rispetto alla lingua inglese e presenta un efficace
quadro di storia della lingua, seguito da un sintetico profilo grammati-
cale (“Fonologia”, “Scrittura”,“Articolo”, “Preposizioni e preposizioni
articolate”, “Congiunzioni”, “Nome ed aggettivi”, Comparativi e su-
perlativi”, “Avverbi”, Pronomi personali”, “Possessivi”, Interrogativi
e relativi”, “Negativi”, “Dimostrativi”, “Indefiniti”, “Numerali”,
“Verbi”), e da una descrizione più dettagliata di sedici punti della sin-
tassi scelti dai due autori, all’epoca docenti di lingua italiana a Rea-
ding, in quanto particolarmente ostici per il loro pubblico di studenti.
Tra di essi segnaliamo ad esempio l’ordine delle parole, l’uso
dell’articolo, la posizione degli aggettivi, la concordanza di aggettivi e
di participi passati, la posizione degli aggettivi e degli avverbi, l’uso
del si (riflessivo, passivante, impersonale).
La descrizione si avvale anche di categorie linguistiche moderne,
ad esempio un capitolo si sofferma sulle “costruzioni con causativi e
percettivi” e tenta di usare gli schemi ad albero di matrice generativi-
sta per illustrare anche al profano le operazioni di cui si servono le te-
orie sintattiche. Vengono proposti esempi anche inventati, ma con
l’avvertenza che alcuni di essi possono risultare “duri” ad alcuni par-
lanti e che è meglio siano evitati dagli stranieri.
Conclude il volume un paragrafo titolato “Costruzioni con o senza
proposizione”, composto da un elenco di verbi con la loro costruzione,
simile a quello di Trifone e Palermo (2007) (si veda la tav. 2).
La lingua descritta è l’«italiano colto come viene effettivamente
usato, scrivendo e parlando, piuttosto che come certe grammatiche e
dizionari prescrivono che dovrebbe essere»(ivi: 2). Laddove non
sembrasse esservi una norma nazionale unitaria, gli autori hanno se-
guito l’uso settentrionale, che pareva loro dotato di maggior prestigio
(ibidem).
La scelta degli argomenti ed il linguaggio utilizzato basterebbero
da soli a definire gli utenti ideali del manuale: studenti universitari an-
glofoni che frequentano facoltà linguistiche e che sono pertanto parti-
colarmente interessati alla riflessione metalinguistica. Si tratta dunque
di uno strumento ottimo nel suo genere, ma piuttosto specifico e non
adatto a qualsiasi utente.
Ma da allora cosa è stato fatto?
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 141

5.4.1. I criteri della rassegna

Limitiamo il campo d’azione ai materiali esclusivamente destinati


all’approfondimento della grammatica, a costo di trascurare corsi di
italiano che dal punto di vista della presentazione delle regole e delle
attività finalizzate alla fissazione e al reimpiego appaiono eccellenti,
in particolare Bozzone Costa (20042). Come per le grammatiche de-
scrittive inoltre, focalizziamo la rassegna sugli strumenti usciti a parti-
re dalla metà degli anni ’90 in Italia.
Distingueremo inoltre, come Giunchi (2000: 11), ma già Corder
(1983: 366-73), tra grammatiche pedagogiche per lo studente e quelle
per l’insegnante: se per il primo tipo di utente sono uscite nell’ultimo
decennio molte pubblicazioni, mancano quasi completamente per
l’italiano volumi volti a guidare il docente nella trasposizione didattica
dell’apparato grammaticale dell’italiano, con pochissime eccezioni
che vedremo nel paragrafo 5.4.5.

5.4.2. Grammatiche pedagogiche per studenti

Con g.p. per lo studente ci riferiamo dunque a strumenti non necessa-


riamente legati al lavoro in classe ma che possono fungere da corredo
al corso e al manuale adottato. In particolare ci soffermiamo sui testi
che intendono descrivere tutte o almeno le principali strutture
dell’italiano, riservando solo un breve paragrafo (5.4.2.2) a strumenti
parziali.
L’impostazione seguita da tali manuali è però piuttosto diversa, a
riprova del fatto che non esiste una sola interpretazione di “grammati-
ca pedagogica”: tenteremo quindi di raggrupparli secondo le caratteri-
stiche esterne, distinguendo innanzitutto tra grammatiche contenenti
anche attività didattiche ed esercizi, e grammatiche che ne sono prive.

5.4.2.1. Grammatiche pedagogiche con esercizi

Se, come sostiene Ciliberti (1991: 25) «una GP non costituisce soltan-
to un’opera di informazione, ma anche un’opera di formazione, che
tenta di far scoprire all’allievo i legami tra le risorse linguistiche, da
un lato, e le intenzioni comunicative del locatore, la particolare situa-
142 Capitolo 5

zione comunicativa, e le strutture e le formazioni sociali dall’altro», si


può definire pedagogica la grammatica di Bertocchi e Lugarini
(2004). Essa si propone di essere un corso che segue «le più moderne
tendenze della riflessione grammaticale per far acquisire all’allievo
specifiche competenze metalinguistiche» (retro di copertina); a tale
scopo «le regole non vengono “date” ma si apprendono, si costruisco-
no assieme allo studente attraverso un percorso di osservazione, anali-
si e riflessione a partire da frasi e brevi testi» (ibidem). Fin dall’inizio
quindi lo studente viene apostrofato con il tu, e condotto alla scoperta
delle regole attraverso una serie di esempi e domande che dovrebbero
farlo riflettere. Quello che però è possibile fare oralmente in classe
(come ha dimostrato Lo Duca 20042), non sempre è facilmente adatta-
bile al formato cartaceo. E infatti, nel volume spesso le risposte corret-
te seguono immediatamente le domande, cosicché allo studente non è
concesso di formulare ipotesi anche sbagliate per arrivare gradualmen-
te alla norma (si veda ad esempio la tav. 10).
L’impostazione è tradizionale (“La struttura della frase”, “Il nome e
il gruppo nominale”, “Il pronome”, “Il verbo e la sua morfologia”;
“Analisi della frase semplice” e “La frase complessa”) e seguono
strumenti sussidiari (“Strumenti per la scrittura”, “La formazione di
parole”, “Tavole grammaticali”, “Esercizi di riepilogo”, “Glossario fi-
nale”).
Il linguaggio è semplice e chiaro, ma l’apprendente viene guidato
ad apprendere la terminologia grammaticale tramite definizioni detta-
gliate e attraverso gli esercizi, che molto spesso sono costituiti da af-
fermazioni da completare sulla base della riflessione sulla lingua ap-
pena conclusa, del tipo: «Le trasformazioni che il nome subisce nella
sua desinenza si definiscono come…», «La flessione del nome è il…
che la lingua usa per fare in modo che la forma del nome indichi i
cambiamenti nel… e qualche volta nel…» (p. 125).
Queste caratteristiche nel loro complesso rendono tale grammatica
adatta ad un pubblico di stranieri abbastanza preciso: gli studenti di
scuola superiore o di un corso di grammatica universitario, che devo-
no imparare ad utilizzare sia una lingua corretta che una terminologia
metalinguistica specifica. A tale proposito però, il seppur apprezzabile
glossario finale, in italiano/inglese/francese è di parziale utilità in
quanto non permette il confronto con la lingua madre della grande
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 143

maggioranza degli studenti immigrati nelle scuole italiane (albanesi,


cinesi, marocchini, rumeni, ecc.).
Abbastanza varia la tipologia degli esercizi, che prevede abbina-
menti, completamenti, scelte multiple, trasformazioni. Manca pur-
troppo (o è rarissimo) il cloze (testo con i buchi), più efficace in ge-
nere delle frasi isolate. Si segnalano tuttavia gli esercizi dedicati alla
testualità ed alla coesione, che concludono un capitolo normalmente
assente nelle grammatiche ma particolarmente utile per gli studenti
stranieri.
Un’impostazione molto diversa da quella di Bertocchi e Lugarini
(2004), e più vicina alle g.p. di altre lingue come l’inglese (ad esempio
Schrampfer Azar 1999, Murphy 2002) hanno invece i volumi di Mez-
zadri (1996), Nocchi (2002) e Latino e Muscolino (2005), tutti rivolti
a studenti di livello iniziale ed intermedio.
Mezzadri (19961) è corredato da un volume di ulteriori esercizi
e da una versione in cdrom. È disponibile anche in inglese. Si se-
gnala l’esistenza di una versione ridotta, privata quasi del tutto da-
gli esercizi, con l’eccezione di una piccola appendice finale conte-
nente test di autovalutazione (Mezzadri 2003), anch’essa in italia-
no o in inglese.
Il manuale è composto da 96 microunità che presentano nella pa-
gina di sinistra le regole grammaticali e a destra i relativi esercizi di
consolidamento. Fin dall’inizio l’autore avverte che «non si tratta di
una grammatica normativa onnicomprensiva, ma di uno strumento di
supporto per l’uso pratico ed immediato della lingua» (Introd., p. 5).
Le spiegazioni sono “essenziali” senza essere però banali, adottano
un linguaggio semplice, che pur evitando tecnicismi inutili, non e-
sclude i termini essenziali (pronomi, complemento diretto/indiretto,
ecc.), chiariti del resto da un’utile Guida terminologica (Appendice
3). Aiutano lo studente anche le numerosissime tabelle che sintetiz-
zano le spiegazioni e visualizzano immediatamente i fatti principali,
oltre che le simpatiche immagini, funzionali alla comprensione degli
esempi.
144 Capitolo 5

Tavola 3: Immagine utilizzata per presentare la perifrasi stare per + infinito (da
Mezzadri 1996: 116)

Il testo risponde abbastanza bene anche ai criteri di gradualità e di


ciclicità: le 96 unità cercano di presentare gli argomenti in base alla
loro complessità, partendo da essere e avere, e dai verbi regolari, per
arrivare alle subordinate che reggono il congiuntivo. Talvolta purtrop-
po l’esigenza di sistematicità prevale su quella di gradualità, spingen-
do l’autore ad accorpare ad esempio le schede sui plurali dei nomi re-
golari (unità 8) e irregolari (unità 9).
Gli argomenti complessi vengono però in genere suddivisi in por-
zioni e presentati in diverse unità, che non necessariamente si susse-
guono: il passato prossimo ad esempio è trattato nelle unità 31(dove si
dà la forma, una tavola dei participi passati e le prime indicazioni
sull’accordo), 32 (dove ci si concentra sull’uso e sulla scelta
dell’ausiliare), e 36 (incentrata sull’opposizione con l’imperfetto).
Gli esercizi sono vari, spaziando dall’abbinamento, al riempimento
di spazi, alle domande aperte, alle manipolazioni, alla scelta multipla.
Come nel caso di Bertocchi e Lugarini (2004) si tratta però quasi sem-
pre di frasi o di porzioni di esse, da completare o manipolare, mentre
appaiono molto raramente testi: l’esigenza di comprimere spiegazioni
ed esercizi in due facciate penalizza in questo caso la complessità del-
le attività, che appaiono a volte un po’ troppo strutturali. La soluzioni
degli esercizi sono in un volume a parte.
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 145

La lingua descritta è quella standard, con alcune incursioni


nell’’italiano neostandard (ad esempio nella scheda 69 sul congiuntivo
si segnala che con i verbi di opinione «nell’italiano parlato spesso si
sostituisce l’indicativo con il congiuntivo, anche se non è corretto»).
Nocchi (2002) (di cui esiste anche una versione in inglese), suddi-
vide gli argomenti grammaticali in 32 schede, le quali però raggrup-
pano diverse sotto-schede (sotto “Articolo” ad esempio compaiono ar-
ticolo indeterminativo, articolo determinativo e distinzione d’uso tra i
due tipi). Ogni quattro o cinque schede vi è un test di controllo sugli
argomenti che precedono.
La batteria di attività ed esercizi proposti appare essere più varia e
stimolante rispetto a quella di Mezzadri (1996), anche per una precisa
scelta editoriale della Alma edizioni, che cerca di produrre manuali di
impostazione giocosa e piacevole. L’esercizio a frase unica è qui raro:
sono presenti invece molti piccoli testi da completare su argomenti
che si sforzano di suscitare l’interesse dello studente grazie al conte-
nuto, che sia un indovinello su una città o su un personaggio italiano,
una barzelletta o un brano che presenta un argomento di cultura italia-
na (il caffè, film come I vitelloni, fatti politico-economici come Tan-
gentopoli, ecc.). Le soluzioni degli esercizi sono interne al volume.
È il seguito di Nocchi (2002) la grammatica di Nocchi e Tarta-
glione (2006), dedicata agli studenti di livello intermedio-avanzato
(B1-C1 del Quadro Comune) che vogliano «perfezionare la loro cono-
scenza della lingua» italiana (dal retro di copertina). Il volume presen-
ta infatti schede di sintesi ed esercizi di ricapitolazione sugli argomen-
ti già trattati in Nocchi (2002) (il presente, il passato, il futuro, ausilia-
re avere o essere, l’articolo, ecc.) ed aggiunge schede su particolari
costruzioni (far fare), su quelle che vengono definite, un po’ generi-
camente, “parole difficili da utilizzare” (addirittura, anzi, mica), e sul-
la formazione delle parole (stranamente però vengono analizzati gli
alterati e i composti, ma non i derivati).
Sono invece suddivise in due volumi le grammatiche di Simula
1999, di Latino e Muscolino (2005), Guida, Martina e Pepe 2006.
Simula (1999) comprende Le Basi grammaticali della lingua ita-
liana ed un secondo volume Intermedio-avanzato; entrambi sono
strutturati in modo simile alle g.p. descritte, ma sono più poveri di
immagini e tabelle. Alla presentazione delle regole seguono esercizi di
146 Capitolo 5

vario tipo, con predominanza di trasformazioni e soprattutto di com-


pletamenti, in genere di frasi. Seguono poi appendici con cenni di fo-
netica, metrica e tavole di sintesi dei modi e tempi verbali, oltre ad e-
sercizi di riepilogo. Le soluzioni degli esercizi sono disponibili a par-
te.
I due volumi di Latino e Muscolino (2005) sono dedicati, rispetti-
vamente, al livello elementare (A1-A2 del Quadro comune) e al livel-
lo intermedio (B1-B2). La struttura è simile a quella delle grammati-
che precedenti: schede con la presentazione delle regole ed esercizi.
Seguono un’appendice di tavole sinottiche e le chiavi degli esercizi.
La suddivisione in due volumi permette di trattare in dettaglio i singoli
argomenti. Al congiuntivo ad esempio sono riservate ben 43 pagine
(contro le 10 di Mezzadri e le 13 di Nocchi).
Appare interessante ed adeguata alla pratica didattica corrente la
scelta di suddividere in schede differenti, ma poste in sequenza, i di-
versi ambiti d’uso di una forma. Ad esempio, il condizionale è presen-
tato attraverso sette tappe successive, ciascuna accompagnata da una
serie di attività: condizionale presente (forma); condizionale passato
(forma); condizionale presente per esprimere la cortesia; per i desideri;
per la possibilità; per i consigli; condizionale passato per esprimere il
futuro nel passato.
Le informazioni offerte sono aggiornate sull’italiano contempora-
neo, anche se a volte ciò implica decise prese di posizione da parte
delle due autrici, non sempre necessariamente condivisibili ma almeno
dichiarate con onestà e motivate. Ad esempio, nella scheda del passato
remoto, dopo aver illustrato la forma e gli usi (con le differenze diato-
piche), le autrici concludono che:

l’italiano standard – modellato sulla lingua parlata nel nord ovest – non pre-
vede l’uso del passato remoto nella lingua parlata e nello scritto informale
[…]. L’insegnamento attuale della lingua italiana spinge gli studenti stranieri
all’apprendimento della lingua standard (e non del modello toscano) e quindi
non è necessario imparare un uso attivo del p.r. Tuttavia, poiché questo tem-
po verbale è comunemente presente nella letteratura […] e in testi scritti di
tipo formale (ad es. in testi universitari) è molto importante saper riconoscere
questo verbo e saper ricondurre le sue complesse forme verbali al giusto ver-
bo infinito d’origine (o, nel caso della lingua parlata, al passato prossimo cor-
rispondente nell’italiano standard) (Latino e Muscolino 2005: 72).
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 147

È piuttosto varia la tipologia delle attività, che prevede sia eser-


cizi più tradizionali (coniugare i verbi, abbinamenti, completamen-
ti, trasformazioni, ecc.), sia attività più libere e spesso a risposta
aperta (ad esempio «Leggi la lettera e rispondi dando dei consigli»;
«Scrivi una storia sulla base delle informazioni date»; ecc.). Sono
rare ma presenti attività di riconoscimento dei diversi usi di una
forma (ad esempio «In quali frasi si usa il condizionale come futuro
nel passato?» p. 176).
Esercitarsi con la grammatica di Guida e Martina (2006) (A1-
A2) e Guida e Pepe (2006) (B1-B2) si presenta invece come un qua-
derno di lavoro dedicato allo studente e suddiviso in Unità, ognuna
delle quali è introdotta da un dialogo, che presenta in contesto le strut-
ture oggetto di studio, seguito da una dettagliata scheda grammaticale
su di esse e da molteplici esercizi, a risposta chiusa o aperta, per prati-
carle. Viene infine una sezione dedicata all’approfondimento del lessi-
co, che presta particolare attenzione alle locuzioni idiomatiche, a pro-
verbi e modi di dire. Mancano però le soluzioni degli esercizi, il che
rende difficile l’utilizzo autonomo da parte dello studente.
Buona parte degli argomenti presentati nel primo volume si ripe-
tono nel secondo, ma con approccio a spirale: se ad esempio l’Unità
“Il nome” del primo volume si sofferma sui nomi in –o/-a, i nomi in
–e, i nomi con una sola forma per maschile e femminile, oltre che
sulle particolarità grafiche e fonetiche (plurali irregolari dei nomi in -
co, -go, in -logo, in -cia e -gia), nel secondo la scheda si ripete, ma si
estende poi ai nomi difettivi, o con doppio plurale, ai nomi composti,
e agli alterati.
È apprezzabile l’intenzione di evitare il più possibile le frasi isolate
e di proporre invece le strutture in testi più ampi, anche se per lo più si
tratta di dialoghi appositamente costruiti e non di testi autentici, ed es-
si non sono seguiti da nessuna attività volta alla scoperta autonoma,
induttiva, delle regole. Se così fosse stato, il manuale avrebbe potuto
forse essere assimilato ad una “grammatica in contesto”. Il concetto di
grammatica in contesto è oggi molto diffuso in ambito anglofono e
strettamente collegato a quello di grammatica del discorso e di prag-
matica (si veda Celce-Murcia e Olsthain 2000 con bibliografia): la
grammatica non viene intesa come un insieme regole esemplificate at-
traverso sentenze isolate, ma parte da un’analisi dettagliata, per lo più
148 Capitolo 5

induttiva, di un discorso in un contesto reale, magari tratto da un cor-


pus, da cui si estrapolano poi regole o tendenze.4
Proprio Grammatica in contesto si definisce quella di Gatti e Pe-
yronel (2006), destinata a giovani e adulti stranieri di livello princi-
piante (dai 15 anni in su), che tuttavia non sembra distinguersi molto
dalle altre g.p. esaminate. La differenza consiste nell’abbinare alle
schede grammaticali (costituite dalla presentazione della regola e da
esercizi) delle schede successive che si soffermano sulle aree lessicali,
basate sugli argomenti che secondo il Livello soglia del Consiglio
d’Europa caratterizzano la fascia del pubblico prescelto (cibi e bevan-
de, abbigliamento, abitazioni, ambiente…). Le schede sul lessico ri-
prendono i punti grammaticali appena introdotti. Se tuttavia alcune
volte l’abbinamento è plausibile, ad esempio alla scheda sul “Passato
prossimo” è abbinata la scheda lessicale sul “Tempo cronologico”
(stagioni, mesi, ore, momenti della giornata, principali festività) o a
quella sui “Possessivi” la scheda sui nomi di parentela, in altri casi
appare poco motivato: alla scheda sugli “Interrogativi” ad esempio è
associata quella sui trasporti. Il solo punto in comune è però un eserci-

4
Una delle più note ‘grammatiche in contesto’ per l’inglese è ad esempio Exploring
Grammar in Context di Carter, Hughes e Mc Carthy (2000): fin dalla premessa (p. VII) gli au-
tori sottolineano come il loro manuale si differenzi dagli altri perché utilizza esempi prove-
nienti da contesti reali, di grammatica in uso. Pur non mancando talvolta singole frasi che illu-
strano particolari fenomeni, in genere gli esempi contengono sentenze o estratti di conversa-
zioni, tratti da due importanti corpora per l’inglese (il CIC Cambridge International corpus e
il CANCODE corpus) e mostrano la g. nel suo contesto. Viene inoltre prestata particolare at-
tenzione alla grammar of choice (p. VII), evidenziando ad esempio perché in un certo contesto
si può fare un’elissi e in un altro no. L’approccio tende ad essere induttivo: si parte dai testi e
si fanno lavorare gli apprendenti nel ricercare e formulare le regole. Ogni unità prevede quat-
tro sezioni:
a) “Introduzione” (Introduction): contiene uno o due esercizi basati, dove possibile, su esempi
(in genere autentici) che orientano sul tema proposto, ad esempio testi con vari esempi di pas-
sato, seguiti da domande di riflessione.
b) “Scoprire gli schemi d’uso” (Discovering patterns of use): contiene esercizi di grammatica
in contesto, corredati di osservazioni che aiutano a capire regole ed eccezioni.
c) “Grammatica in azione” (Grammar in action): presenta altri esercizi basati sui dati presen-
tati, che esplorano più pienamente gli schemi (Patterns) ed ulteriori “osservazioni”, che si fo-
calizzano su scelte proprie del parlato o dello scritto. Viene riservata particolare attenzione
alle strutture idiomatiche e agli usi della lingua quotidiana.
d) “Rinforzo” (Follow up): attività aperte che possono comprendere miniprogetti, ulteriori
esplorazioni dei dati per approfondimenti fuori dalla classe o da soli.
Seguono ulteriori esercizi, le soluzioni, note ed un glossario.
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 149

zio di abbinamento domande/risposte, dove si usano aggettivi e avver-


bi interrogativi («Quanto cosa il biglietto del tram?», «Dove è la fer-
mata del bus?»).

5.4.2.3. Strumenti parziali

Prima di concludere, un cenno a due manualetti, che senza essere g.p.


complete, offrono comunque materiale molto utile. Naddeo (1999) e
De Giuli (2001) si soffermano su argomenti particolarmente ostici per
l’apprendente straniero: Naddeo sull’uso dei pronomi (in particolare i
pronomi personali diretti, indiretti combinati, le particelle ci e ne, e i
verbi pronominali del tipo farcela, pentirsene) e De Giuli sull’uso del-
le preposizioni. Si rivolgono ad apprendenti di tutti livelli, e sono
composti da esempi d’uso, spiegazioni grammaticali (in genere effica-
ci, arricchite da immagini, tabelle e sintesi finali), e da una ricca serie
di esercizi, di tipologia molto varia: trasformazioni, riempimento di
spazi, cloze, scelte multiple, attività e giochi vari (quiz, indovinelli,
giochi a squadre, ecc.). Come nel caso di Nocchi (2002), gli esercizi
presentati risultano piuttosto accattivanti per l’apprendente.
Tavola 4: Cloze sui pronomi personali e la forma di cortesia (da Naddeo 1999: 22)
150 Capitolo 5

5.4.3. Grammatiche pedagogiche senza esercizi

Privi di esercizi ed accomunati da una presentazione delle regole mol-


to sintetica sono Peccianti (1997) e Tartaglione (2003).
Peccianti (1997) racchiude in un volumetto denso, ma agile, una
Grammatica d’uso della lingua italiana rivolta a stranieri. La scelta e
la descrizione dei fenomeni linguistici sono state fatte sulla base di
criteri di frequenza e utilità: l’autrice privilegia ciò che è fondamenta-
le per comunicare in modo efficace. Dà molto spazio agli argomenti di
maggior difficoltà per gli stranieri, quali ad esempio le preposizioni o i
pronomi personali. Le descrizioni dei fenomeni sono precedute da e-
sempi dell’uso quotidiano, della lingua viva. Oltre ai capitoli che trat-
tano argomenti più tradizionali, si segnala il capitolo 32 su «Gli usi e
le regole pragmatiche», che si sofferma sulle forme di cortesia, i turni
di parola, salutare e presentarsi, chiedere ed esprimere l’ora, e su «Usi
e strutture particolari della lingua parlata» (frasi nominali, scisse, di-
slocazioni, ecc.).
Ulteriormente semplificata appare invece Tartaglione (2003), di
dimensioni ancora più ridotte, che volutamente sceglie di descrivere
una grammatica vicina a quella del parlato e affronta quindi argomenti
spesso trascurati dalle grammatiche tradizionali (come l’uso del verbo
averci in frasi del tipo «C’hai una sigaretta?», «Non è venuta perché
non c’ha avuto tempo»). Il manualetto è costituito da schede che pre-
sentano di volta in volta la forma sotto osservazione ed una serie di
esempi, commentati a margine attraverso note in colore diverso e dav-
vero essenziali, nelle quali si cerca di evitare il più possibile l’impiego
di termini tecnici: nel capitolo sul passato prossimo, ad esempio, anzi-
ché parlare di accordo, Tartaglione annota che «il passato prossimo
dei verbi che usano avere finisce sempre con -o» mentre «il passato
prossimo dei verbi che usano essere finisce con -o, -a, -i, -e» (p. 12).
Molto più complesso è invece Chiuchiù e Chiuchiù (2005), che si
rivolge sia ad apprendenti stranieri che a docenti di italiano, ed è costi-
tuito da una serie di tavole sinottiche che presentano contemporanea-
mente elementi grammaticali, funzionali e lessicali per un pubblico di
livello principiante, con approfondimenti per i livelli intermedio-
avanzati. Alle schede si aggiungono un’utile tavola su «Tendenze e
mutamenti dell’italiano contemporaneo», che segnala anche se una
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 151

forma è accettata (ad esempio il dativo gli per loro; il pronome sogget-
to lui per egli) o meno (Penso che tutti sono d’accordo; sognamo per
sogniamo; perchè, benchè, ecc.); alcune immagini da usare nella di-
dattica e tre tavole manoscritte per la lavagna luminosa, volte ad illu-
strare come sintetizzare le regole senza far uso di spiegazioni metalin-
guistiche esplicite. È allegato un CD con drill incentrati sui fonemi più
problematici per lo studente straniero.

5.4.4. Strumenti ludici

In 4.5.2. ci siamo soffermati sull’uso del gioco nel praticare la gram-


matica. Se per l’insegnamento dell’inglese come L2 le pubblicazioni
di volumi e schede di giochi grammaticali sono diffusissime, a partire
da quelli che sono ormai dei “classici” dell’insegnamento comunicati-
vo, come Rinvolucri (1984), e Ur (1988), per l’italiano L2 non esiste
molto materiale specifico. Segnaliamo in particolare Balboni (1999)
ed alcune delle attività proposte da Caon e Rudtka (2004), volume che
però non è incentrato sulla grammatica.
All’interno di questa categoria possiamo inserire anche Mezzadri
(2006), Cantagramma, due volumetti dedicati rispettivamente al livel-
lo elementare (A1-A2)ed intermedio (B1-B2), e destinati ad esercitare
la grammatica attraverso le canzoni: presentano infatti testi di cantau-
tori italiani dagli anni ’60 in poi, con attività di comprensione e di ri-
flessione sulla lingua. Li accompagnano due CD con le canzoni.

5.4.5. Grammatiche pedagogiche per insegnanti

Anche in questo ambito la definizione di g.p. sembra applicabile a


strumenti molto diversi tra loro. Idealmente, una g.p. per l’insegnante
dovrebbe infatti coincidere con una g. di riferimento che però, oltre a
fornire «una descrizione fonologica, sintattica e semantica della lingua
oggetto di studio, dia anche informazioni di ordine psicolinguistico,
didattico e metodologico» (Ciliberti 1991: 20 da Zimmermann 1979).
In senso più ampio però vengono considerate g.p. anche volumi che si
rivolgono ai docenti presentando tecniche e metodologie per
l’insegnamento della grammatica. Giunchi (2005), ad esempio, propo-
ne per l’insegnamento dell’inglese come L2 una grammatica del pri-
152 Capitolo 5

mo tipo, ossia The grammar Book di Celce-Murcia e Larsen-Freeman


(1999), corposo volume destinato ad insegnanti di inglese come L2,
che affronta i temi più importanti adottando uno schema “forma-uso-
significato”. «La scelta della teoria di riferimento è compiuta in base
alle specifiche peculiarità di ogni elemento della lingua inglese nella
prospettiva di chi apprende» (ivi, 42).
Come esempio di grammatiche pedagogiche del secondo tipo
Giunchi (2005: 42) cita invece trattazioni quali quelle di Rutherford
(1987), Fotos (1993), ecc., che «hanno messo in evidenza i rapporti
possibili tra le strutture formali della lingua oggetto di studio che è
possibile portare a livello di consapevolezza. Questi ricercatori hanno
suggerito le procedure pedagogiche per realizzare il risveglio di tale
coscienza e per sviluppare l’apprendimento delle caratteristiche lin-
guistiche».
Se tali trattazioni sono abbastanza tecniche, il docente di inglese ha
a disposizione anche ottimi manuali pratici, che presentano indicazio-
ni metodologiche e proposte di attività pratiche per la classe, tra i qua-
li segnaliamo ad esempio Celce-Murcia e Hilles (1988), o il più recen-
te Thornbury (2001).
Per l’italiano come L2 invece le proposte sono ancora molto scarse:
non solo mancano assolutamente strumenti del primo tipo, e sembrano
difficile da realizzare, considerando che in Italia vi è in genere una
certa separazione di competenze tra i grammatici, gli esperti di glotto-
didattica e psicolinguistica e gli insegnanti di italiano come L2, ma
sono scarsi anche quelli del secondo tipo. Tra i più recenti, si segnala-
no i già citati Liverani Bertinelli e Benati (2001), Benati, Van Patten e
Wong (2005), entrambi volti a presentare, applicandolo all’italiano,
l’approccio della “Processazione dell’input” (si veda 3.6.2). Gli argo-
menti grammaticali studiati sono futuro e concordanza tra nome ed
aggettivo.
Un manuale particolarmente utile alla formazione del docente di i-
taliano L2 è Andorno, Bosc e Ribotta (2003). Nei primi capitoli le
autrici si soffermano sul concetto di grammatica, sulla presentazione
della grammatica in manuali che seguono metodologie diverse, sulle
differenti tipologie di esercizio, sull’intervento dell’insegnante, e sulle
caratteristiche di alcune grammatiche descrittive. Presentano dunque i
“ferri del mestiere” e si soffermano su alcune problematiche (quale
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 153

lingua insegnare? quali esercizi utilizzare?). In mezzo a tali riflessioni


inseriscono però numerose “Proposte di lavoro”, ovverosia schede che
suggeriscono all’insegnante come introdurre in classe un certo argo-
mento, fornendogli sia spunti teorici ed esempi da cui partire, sia eser-
cizi. I fenomeni esaminati sono particolarmente significativi per gli
studenti stranieri, ad esempio l’uso delle preposizioni di luogo in, su,
a, l’alternanza tra passato prossimo e imperfetto; spesso poi le propo-
ste si estendono a fenomeni solitamente esclusi dalla grammatiche di
impostazione più tradizionale, frutto invece delle moderne ricerche
linguistiche. Si segnalano ad esempio le proposte sugli “specificatori”,
categoria introdotta da Renzi 1988 e passata poi in Salvi e Vanelli
(2004) e in Andorno (2003), o quelle sulla valenza del verbo.
Viene analizzato inoltre il rapporto tra “Grammatica e pragmatica”
(cap. 6): la tav. 5 illustra ad esempio efficaci esercizi sull’uso delle par-
ticelle temporali già, ormai e finalmente, il cui significato appare in ge-
nere difficile da comprendere per gli stranieri ma anche difficile da e-
splicitare per l’insegnante. Dopo essersi soffermata sul significato delle
singole particelle, proponendo anche spiegazioni contrastive, l’autrice
del capitolo, Paola Ribotta, presenta le due attività che seguono.

Tavola 5: Proposte di lavoro sulle particelle temporali già, ormai, finalmente (da
Andorno, Bosc e Ribotta 2003: 174-76)

38
Le parcelle ormai e finalmente
PROPOSTA
DI LAVORO LIVELLO: AVANZATO
Ecco un esercizio che permetterà ai vostri allievi avanzati di esercitarsi nell’uso di
ormai e finalmente. L’esercizio consiste nell’inserimento di questa o quella parti-
cella in contesti caratteristici. La distribuzione dovrà risultare complementare:

1a) …… ho trovato un lavoro. Era un anno che lo cercavo!


1b) ……ho trovato un lavoro. Non potrò più svegliarmi tardi la mattina.
2a) …… Lucia ha diciott’anni: non è più una bambina.
2b) …… Lucia ha diciott’anni: quanto ha atteso questo giorno!
3a) Purtroppo, Teresa vive …… in un’altra città.
3b) …… Teresa vive in un’altra città.
4a) Volevo provare ancora, ma, che vuoi, ……!
4b) …… sei arrivato! Ti abbiamo atteso a lungo
Cf. Soluzioni
154 Capitolo 5

39
Le parcelle già e ormai
PROPOSTA
DI LAVORO LIVELLO: AVANZATO

Vi proponiamo alcune contestualizzazioni pertinenti per la distinzione delle


due particelle, delle quali potete servirvi se qualche studente vi chiederà (e non
è improbabile) quando bisogna usare già e quando ormai.

GIÀ vs. ORMAI

INTERROGABILITÀ:
1a) Sei già arrivato? No, non ancora (interrogabilità)
1b) *Sei ormai arrivato? No, non ancora (non interrogabilità)
PORTATA:
2a) Ci siamo visti già ieri (specificatore di sintagma)
2b) *Ci siamo visti ormai ieri (avverbio di frase)
COMPONENTE DELL’ANTICIPO:
3a) Sono solo le due e sei già qui (anticipo)
3b) ??Sono solo le due e sei ormai qui?

ORMAI vs. GIÀ

PARENTETICITÀ
4a) Sono vecchio, ormai (parenteticità)
4b) *Sono vecchio, già (non parenteticità)
USO ASSOLUTO:
5a) Che vuoi fare? Ormai! (uso assoluto)
5b) Che vuoi fare? *Già!
PORTATA RECIPROCA:
6a) Ormai Luigi ha già dieci anni (già nella portata di ormai)
6b) *Luigi ha già ormai dieci anni (*ormai nella portata di già)
CONCLUSIONE DI UN PROCESSO:
7a) (Dopo molto esercizio) Ormai dovresti sapere come si fa un’equazione!
7b) (Dopo molto esercizio) ??Dovresti già sapere come si fa un’equazione!
PERDUTA POSSIBILITÀ:
8a) A: Mi compri la nutella?
B: Ormai ti ho comprato la marmellata … ma se vuoi ti compro anche la nutella
8b) A: Mi compri la nutella?
B: Ti ho già comprato la marmellata … ma se vuoi ti compro anche la nutella
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 155

ESERCIZIO: Completa con ormai o già:


…… è tardi. Non faremo più in tempo.
Sono solo le tre e ho …… finito!
Hai …… comprato il regalo? Sì, l’ho comprato …… da un mese.
È …… la fine del mese …… non vale più la pena di partire.
Dopo due anni di studio intenso, …… parlo l’italiano con facilità.
Dopo due soli mesi, Gianna parla …… l’inglese con scioltezza.
Abbiamo …… visto questo film? No, non ancora. Ma oggi è l’ultimo giorno di proie-
zioni, …… non lo vedremo più.
Cf. Soluzioni

Andorno, Bosc e Ribotta (2003) si configura quindi come una vera


e propria g.p., almeno per alcuni argomenti.
Molto utile sarà poi la consultazione di monografie e saggi sul con-
cetto di grammatica pedagogica come Prat Zagrebelsky (1985), Desi-
deri (1995), Giunchi (1990), Ciliberti (1991) che, pur essendo un po’
datati e non sempre incentrati sull’italiano, danno utilissimi suggeri-
menti su come insegnare la grammatica di una L2.
Per concludere, possiamo osservare che, mentre il settore delle
grammatiche di riferimento è ormai molto ricco, quello delle gramma-
tiche pedagogiche, nonostante i molti progressi dell’ultimo decennio,
resta ancora carente: non mancano tanto i materiali per gli studenti,
quanto piuttosto quelli finalizzati ad aiutare i docenti nella trasposi-
zione didattica delle regole e regolarità di una lingua complessa com’è
l’italiano.

5.5. Un esempio concreto: la selezione dell’ausiliare nella forma-


zione di un tempo composto nelle diverse grammatiche

Per evidenziare meglio le differenze tra le diverse grammatiche appe-


na presentate abbiamo scelto un argomento della lingua italiana da uti-
lizzare come termine di confronto, ovverosia la selezione dell’ausiliare
nella formazione dei tempi composti. Si tratta infatti di uno dei princi-
pali nodi nell’apprendimento della nostra lingua da parte degli stranie-
ri, in quanto presenta difficoltà sia per chi proviene da lingue distanti,
sia per chi invece proviene da lingue affini, come ad esempio lo spa-
gnolo, che seleziona sempre avere. Nello stesso tempo, sembra essere
anche uno degli argomenti più complessi da descrivere per i gramma-
156 Capitolo 5

tici e gli studiosi di linguistica, che propongono – come vedremo –


spiegazioni diverse tra loro, o non ne propongono affatto.
Esamineremo dunque come il tema della selezione dell’ausiliare
viene trattato dalle diverse grammatiche seguendo l’ordine della ras-
segna: passeremo cioè dalla grammatiche per italofoni a quelle speci-
fiche per stranieri, per arrivare alle grammatiche pedagogiche, met-
tendo in evidenza le loro peculiarità.

5.5.1. Analisi delle grammatiche

Le grammatiche per italofoni di impostazione tradizionale descritte in


5.3.1 tendono a non soffermarsi molto sulla selezione dell’ausiliare.
Vi è infatti chi (Dardano e Trifone 1997, Lo Duca e Solarino 2004) si
limita ad accennare all’argomento, ritenendo che, mentre tutti i verbi
transitivi vogliono l’ausiliare avere, per gli intransitivi non sembrano
esservi regole precise. Per risolvere i dubbi dunque tali autori consi-
gliano di consultare un dizionario o un parlante esperto.
Tavola 6: La selezione dell’ausiliare nella formazione dei tempi composti in alcune
grammatiche per italofoni

Come si vede, alcuni verbi intransitivi vogliono l’ausiliare essere, altri l’ausiliare avere;
non esiste una regola che permetta di stabilire quale ausiliare debba essere usato con
ciascun verbo. Nei casi di dubbio si confronti un dizionario (Dardano e Trifone 1997:
287).

I verbi transitivi formano i tempi composti solo con l’ausiliare avere […]. Quelli in-
transitivi possono formare i tempi composti con essere oppure con avere (tavola di es.).
Non esiste una regola generale per stabilire quale sia l’ausiliare richiesto dal verbo: ad
usare gli ausiliari giusti si impara solo attraverso l’uso. In casi di dubbio o di verbi mai
usati in precedenza è perciò consigliabile consultare qualche parlante esperto (Lo Duca
e Solarino 2004: 43-44)

Altri studiosi tentano invece di fornire delle spiegazioni, che però


appaiono piuttosto complesse: molto difficilmente un insegnante di i-
taliano L2 potrebbe adattarle al proprio pubblico. Un esempio è costi-
tuito da Serianni (1997), il quale riporta un’ipotesi che risale a Leone
(1970), e prima ancora, almeno in parte, a Porena (1938), illustrata
nella tavola seguente (par. 34). Esposta l’ipotesi, Serianni stesso fa no-
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 157

tare però l’esistenza di casi che la contraddicono (par. 35), avvalendo-


si di esempi letterari, presi da romanzi dell’Otto-Novecento, ma anche
da giornali contemporanei, e conclude che i punti fermi sono ben po-
chi (par. 36), anche se nell’italiano contemporaneo si assiste ad «una
lenta espansione di avere ai danni di essere» (ivi; sull’argomento si
può vedere Serianni 2006: 144-45).
Tavola 7: Scelta dell’ausiliare con i verbi intransitivi secondo Serianni (1997: 276-
77)

34.
Non è possibile «dare una regola che permetta di stabilire quale ausiliare debba esse-
re usato con ciascun verbo» intransitivo (Dardano-Trifone 1985: 200) e alcuni gramma-
tici si rassegnano a compilare liste di verbi che richiedono essere o avere […]
In generale la coniugazione con avere implica un soggetto attivo, o meglio «atteggia
l’azione verbale in dipendenza dal soggetto» (Leone 1970: 24), mentre con essere ci si
limita a cogliere lo stato in cui il soggetto viene a trovarsi (quindi «ha camminato», ma
«è cresciuto»). Ma allora perché si dice «è tornato» o «l’autista ha sbandato»?
In Leone 1970 si esamina attentamente la questione, sviluppando un’idea di M. Po-
rena e con l’intento di arrivare a un quadro di riferimento complessivo.
Il verbo intransitivo richiederebbe essere quando il participio può adoperarsi come
attributo; richiederebbe avere quando l’uso attributivo non è possibile, tranne che il par-
ticipio non sia sentito come aggettivo autonomo: in tal caso «l’ausiliare avere è necessario
per restituire ad esso la sua dignità verbale». Quindi:
a) Hanno l’ausiliare essere, tra gli altri, i verbi accadere, arrivare, cadere, costa-
re, morire, nascere, succedere, venire, perché i rispettivi participi passati ammettono
l’uso attributivo «gli avvenimenti accaduti quest’anno», «il treno arrivato poco
fa», «la casa costata tanti sacrifici», e così via.
b) L’ausiliare avere figura invece in verbi come camminare, cenare, contravve-
nire, dormire, giocare, piangere, viaggiare, in quanto i rispettivi participi passati non
possono fungere da attributi (tranne che non ammettano valore passivo «un
uomo pianto universalmente», «un giorno sognato a lungo», ecc.); non si può
dire *un viandante camminato (per ‘che ha camminato’), *il bambino dormito (per
‘che ha dormito’), ecc. […]
c) Ancora avere si adopera con verbi quali esagerare, navigare, riposare,
sbandare, nonostante la possibilità di un participio passato con valore attributi-
vo («severità esagerata», «politico navigato», ecc.), poiché tali participi sono
ormai avvertiti dai parlanti come aggettivi autonomi e l’ausiliare avere è neces-
sario quando si voglia sottolinearne l’uso verbale «sei esagerato con tuo figlio»
(aggettivo)/«hai esagerato con tuo figlio» (verbo).

35. Tuttavia è solo l’uso, in questo caso particolarmente oscillante, a stabilire i con-
fini tra i diversi gruppi. Con bastare (personale), ad esempio, la possibilità di un uso at-
158 Capitolo 5

tributivo del participio esiste ma è remota («i soldi bastati a me basteranno anche a noi
due»): ed ecco che accanto al prevalente ausiliare essere («i loro mezzi personali non sa-
rebbero bastati» Manzoni, I Promessi Sposi, I 50) si trova, – o almeno si trovava fino a ieri
– anche avere; «una lunghissima vita […] avrebbe appena bastato ad appagar il mio cuo-
re» (Nievo, Le confessioni di un italiano). […]

36. Ben pochi, dunque, i punti fermi. Si può comunque rilevare una tendenza che
opera nell’italiano contemporaneo: una lenta espansione di avere ai danni di essere (cfr.
SATTA 1981: 334). Talvolta avere può essere favorito dalla concomitanza di uso transiti-
vo e intransitivo; così per servire […]è abbastanza naturale che accanto ad essere figuri
avere («una toga ormai consunta che gli aveva servito, molti anni addietro, per perorare»
Manzoni, I Promessi Sposi III 17; «non ho servito a nulla, non abbiamo servito a nulla»
Piovene, cit in SATTA); e allo stesso modo vivere − che ammette abbastanza spesso un
oggetto interno, molto raro invece in morire − accetta avere («come aveva sempre vissu-
to» Deledda, L’incendio nell’oliveto, 16) mentre non sarebbe possibile *aveva morto se non
nell’accezione arcaica e letteraria di ‘uccidere’ («loro erano consapevoli di chi lo aveva
morto» Levi, Le parole sono pietre).
Ma altre volte una spiegazione del genere non reggerebbe: si vedano tre esempi di
verbi con l’ausiliare avere in cui ci aspetteremo essere secondo il criterio del Leone (grup-
po a): «il vestito troppo largo e donnesco che aveva appartenuto alla madre» Moravia,
Gli indifferenti, 96), «aveva sgusciato attraverso gole minacciose» (Tomasi di Lampedusa,
cit. in Satta 1981: 334), «salvo qualche insulto e qualche provocazione, ha prevalso la
partita a biliardo» (A. Cavallari, nella «Repubblica», 11.6.1987, 1).

La descrizione che viene data della selezione dell’ausiliare sembra


ancora incerta e risulta comunque improponibile a studenti stranieri
che difficilmente (e solo a livelli altissimi) possono avere la padronan-
za linguistica necessaria ad individuare quando un participio passato si
possa usare con valore attributivo e quando no.
Le grammatiche di impostazione meno tradizionale presentate al
punto 5.3.2, essendo di matrice generativista, sono maggiormente o-
rientate sulla sintassi; tendono dunque a non affrontare neppure il pro-
blema della selezione dell’ausiliare nei tempi composti. Renzi, Salvi e
Cardinaletti (2001) ad esempio, all’interno dei loro tre grossi volumi,
non riservano neppure un paragrafo alla questione. Analogamente fa
Andorno (2003), mentre Salvi e Vanelli (2004), che nella loro prima
versione si rivolgevano a stranieri e ad insegnanti di italiano all’estero,
inseriscono una breve osservazione nel paragrafo “Tempi composti
dei verbi”. La soluzione proposta ci sembra la più adeguata a descrive-
re il funzionamento della lingua italiana su questo specifico punto, e si
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 159

avvale della moderna categoria dei “verbi inaccusativi”, sulla quale


varrà la pena di soffermarsi un momento.
Oltre alla consueta distinzione tra verbi transitivi e non transitivi,
Salvi e Vanelli (2004: 49-54) propongono un’ulteriore specificazione:
i verbi non transitivi vengono suddivisi in intransitivi (camminare,
russare, tossire, ecc.) ed inaccusativi (semplici, come arrivare, parti-
re, o pronominali, come pentirsi, disperarsi, ecc.) (ivi: 49-51).
Inaccusativi e intransitivi sono caratterizzati da proprietà diverse,
tra cui proprio la selezione dell’ausiliare (essere per gli inaccusativi,
avere per gli intransitivi). Gli inaccusativi hanno particolari proprietà,
sia semantiche (non agentività e telicità, ivi: 51-52) sia, soprattutto,
sintattiche: il loro soggetto condivide infatti alcune caratteristiche
dell’oggetto dei verbi transitivi. Sono proprio queste particolarità a
permettere di distinguerli dagli intransitivi:
• il soggetto delle frasi inaccusative occupa la po-
sizione che normalmente spetterebbe all’oggetto diretto
(ivi: 56; ad esempio Sono arrivati i bambini);
• il soggetto delle frasi inaccusative «non può es-
sere pronominalizzato con un clitico accusativo» (ivi),
ma può essere pronominalizzato con il ne partitivo (So-
no arrivati molti attori/Ne sono arrivati molti);
• i verbi inaccusativi ammettono l’uso del cosid-
detto “ne genitivo” (ivi: 58-59; esempio: È diminuito il
prestigio dell’imperatore/Ne è diminuito il prestigio; Si
è allargata la cerchia degli utenti/ Se ne è allargata la
cerchia, ibidem);
• i verbi inaccusativi ammettono la costruzione
del participio assoluto, con soggetto posposto (Appena
arrivato Piero, Maria abbandonò la sala).
Quest’ultima caratteristica ricorda da vicino la proposta di Leone
(1970): i verbi il cui participio ammette valore attributivo sono quelli
che ammettono anche la costruzione del participio assoluto, cioè sono
gli inaccusativi. Leone (1970) dunque, e prima di lui Porena (1938) si
erano avvicinati alla soluzione del problema, ma ne avevano descritto
solo un aspetto, mancando ancora dei mezzi sintattici necessari a de-
scrivere il fenomeno con esattezza.
160 Capitolo 5

Questa dunque la proposta di Salvi e Vanelli per la selezione degli


ausiliari:
Tavola 8: Selezione degli ausiliari nei tempi composti per Salvi e Vanelli (2004:
107-108)

8.2 I TEMPI COMPOSTI DEL VERBO


__________________________________________________
Come si può vedere dai paradigmi in 8.1, una parte dei tempi del sistema verbale italia-
no non viene espressa morfologicamente, ma attraverso una costruzione grammaticale
composta da un verbo ausiliare e dal participio perfetto del verbo. Parliamo in questo
caso di perifrasi verbali […]; in particolare, le perifrasi con il participio costituiscono i
tempi composti del verbo […]
Gli ausiliari dei tempi composti sono essere e avere. Abbiamo essere con i verbi inaccusati-
vi, semplici (1a) e pronominali (1b) […], con i verbi transitivi quando uno degli argo-
menti sia un clitico riflessivo (1c-d) […] e con i verbi usati nella costruzione del si im-
personale (1e) [...]:

(1) a. È arrivato Piero (inaccusativo semplice)


b. Piero si è arrabbiato (inaccusativo pronominale)
c. Piero si è invitato alla festa (clitico riflessivo Oggetto Diretto)
d. Piero se lo è immaginato (clitico riflessivo Oggetto Indiretto)
e. Si è dormito (si impersonale)

Con altri verbi abbiamo avere:

(2) a. Piero ha visto Maria (transitivo)


b. Maria ha dormito (intransitivo)

Alcuni verbi possono presentare sia l’ausiliare essere che l’ausiliare avere, possono cioè
comportarsi sia come verbi inaccusativi che come verbi intransitivi o transitivi. In gene-
re questa differenza sintattica è accompagnata da una differenza semantica. Oltre ai casi
discussi in 4.3, ricordiamo quello dei verbi meteorologici, con i quali la variante inaccu-
sativa sottolinea il risultato (3a), quella intransitiva l’evento (3b) (ma esiste una tendenza
ad usare avere anche in esempi come 3.a)

(3) a. È piovuto molto.


b. Ha piovuto per tre giorni.

Con altri verbi la differenza è legata al carattere agentivo del Soggetto (cfr. 4.3); così
mancare è intransitivo se il Soggetto è AGENTE (4a), ma è inaccusativo se il soggetto è
OGGETTO (4b).
(4) a. Piero ha mancato di parola.
b. Gli è mancato il coraggio.
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 161

Anche in questo caso però si pone un grosso problema agli inse-


gnanti di italiano come L2: tale descrizione del fenomeno “selezione
degli ausiliari” è proponibile agli apprendenti stranieri? La spiegazio-
ne richiederebbe che essi possedessero un prerequisito non da poco,
ossia la nozione di inaccusatività. Per stabilire se un verbo è inaccusa-
tivo infatti bisogna ricorrere a prove sintattiche piuttosto complesse:
ammette la costruzione del participio assoluto? Il soggetto può essere
pronominalizzato con il ne?
La pronominalizzazione con il ne è ad esempio un argomento mol-
to complesso: il sillabo Lo Duca (2006) suggerisce di cominciare a
presentare il pronome ne esplicitamente solo al livello B1 (rimandan-
do tra l’altro proprio alla presentazione di Salvi e Vanelli 2004: 201-
202), ma l’esperienza in classe dimostra che persino apprendenti alta-
mente scolarizzati come gli studenti appartenenti al programma Era-
smus fanno fatica a padroneggiarlo ancora al livello C1. È dunque ol-
tremodo difficile pensare che la spiegazione di Salvi e Vanelli (2004)
possa essere proposta a degli studenti del livello A1, che per la prima
volta incontrano il problema della selezione dell’ausiliare nella costru-
zione del passato prossimo.
Abbiamo osservato che le grammatiche di riferimento per italofoni
non si soffermano in genere molto sul problema o, se lo fanno, non
danno descrizioni facilmente trasferibili poi nell’insegnamento
dell’italiano come L2. Del resto, il fenomeno è strettamente legato alla
loro destinazione: di fronte a scelte di questo tipo il nativo non abbiso-
gna di regole cui appoggiarsi, in quanto la sua “grammatica interiore” lo
guida implicitamente nella scelta. Diverso il caso di Patota (2006), che
rappresenta in buona sostanza una riedizione di Patota (2003), manuale
pensato per non italofoni, e che quindi esamineremo in seguito.
Ci aspetteremo invece che riservassero maggior attenzione al pro-
blema le grammatiche di riferimento per stranieri: anche nei manuali
di questo tipo, tuttavia, coesistono soluzioni molto diverse tra loro.
C’è infatti chi si limita ad osservare che non vi sono regole precise,
come Trifone e Palermo (2007: 120-21), che dedicano all’argomento
poche righe (tav. 9), o come Bertocchi e Lugarini (2004), che cercano
di spingere induttivamente lo studente a scoprire la stessa regola, ossia
che i verbi transitivi selezionano avere, mentre gli intransitivi gene-
ralmente selezionano essere, ma con molte eccezioni (tav. 10).
162 Capitolo 5

Tavola 9: Selezione degli ausiliari nei tempi composti per Trifone e Palermo (2007:
120-21)

(1) 7.4.2 La scelta dell’ausiliare


Avere si usa con tutti i verbi transitivi attivi e con un buon numero di verbi intran-
sitivi: ho mangiato (transitivo), ho parlato (intransitivo).
Essere si usa con parecchi intransitivi, con i verbi riflessivi e pronominali, con i ver-
bi impersonali e con tutti i tempi della coniugazione passiva: sono arrivati (intransitivo),
mi sono specchiato (riflessivo), si è arrabbiato (pronominale), è successo un incidente (impersona-
le), sei stato salvato (passivo).
Possiamo essere sicuri dell’ausiliare solo se si tratta di un verbo transitivo (che ri-
chiede avere) o di verbi passivi, pronominali, impersonali (che richiedono essere). Negli
altri casi non esistono regole precise. Inoltre alcuni verbi vogliono entrambi gli ausiliari
senza differenza di significato (ho vissuto/sono vissuto in Inghilterra), altri richiedono ausilia-
ri diversi a seconda del significato (L’aereo ha volato per otto ore, ma L’aereo è volato a Stoc-
colma); altri ancora a seconda del soggetto (animato: l’ammalato ha [o è] migliorato; inani-
mato: il tempo è migliorato). […]

Tavola 10: Selezione degli ausiliari nei tempi composti per Bertocchi e Lugarini
(2004: 183-84)

(2) Osserva ora i tempi composti nelle seguenti frasi:


1. Aldo è venuto da me mercoledì scorso.
2. Aldo ha comprato un abito nuovo.
3. Sei andato a vedere la partita?
4. Hai visto un bel film ieri sera?

È sempre utilizzato il verbo essere?


□ Sì □ No

No, i verbi comprare e vedere non utilizzano, per la formazione dei tempi composti, il
verbo essere.
Vi sono dunque verbi che formano i tempi composti il verbo essere, e vi sono altri
verbi che formano i tempi composti con avere.
Quando allora, per formare i tempi composti dei verbi, si usa il verbo essere e quando
il verbo avere?
Rispondi. I verbi venire (è venuto) e andare (sei andato) sono
□ transitivi □ intransitivi?

Sono intransitivi.

I verbi comprare (ha comprato) e vedere (hai visto) sono invece


□ transitivi □ intransitivi?

Sono transitivi.
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 163

Possiamo affermare che i verbi transitivi formano i tempi composti con il verbo
□ avere □ essere.
Esatto con il verbo avere.

Possiamo affermare invece che, generalmente, i verbi intransitivi formano i tempi


composti con il verbo
□ essere □ avere.
Esatto, con il verbo essere.

In questa particolare funzione i verbi essere e avere sono chiamati VERBI AUSILIARI.

VERBI INTRANSITIVI
CON “AVERE”
Alcuni verbi intransitivi for-
mano i tempi composti con il
verbo avere (ad esempio: Io ho
camminato a lungo, Chiara ha
viaggiato spesso). Non esiste
perciò una regola di forma-
zione dei tempi composti
precisa: occorre osservare
l’uso che al lingua fa di questi
verbi. La grande maggioranza
dei verbi intransitivi usa però
il verbo essere.

Lepschy e Lepsckhy (1984: 132) invece, pur ricorrendo alle gene-


ralizzazioni («Di regola i transitivi si coniugano con avere e gli intran-
sitivi con l’ausiliare essere […]. I verbi impersonali si coniugano con
essere […]. I verbi cosiddetti pronominali o riflessivi […] vanno con
l’ausiliare essere») presentano poi una fitta casistica di esempi in cui
analizzano le diverse possibilità.

Tavola 11: Selezione degli ausiliari nei tempi composti per Lepschy e Lepschy
(1981: 132-34)

Ausiliari. Di regola i transitivi si coniugano con l’ausiliare avere e gli intransitivi con
l’ ausiliare essere. Diamo una lista di alcuni verbi comuni che vanno con essere: accadere,
andare, arrivare, bastare, bisognare, cadere, comparire, costare, dipendere, diventare, entrare, essere,
morire, nascere, parere, partire, piacere, restare, rimanere, riuscire, scappare, sembrare, sparire, spiacere,
stare, succedere, venire.
164 Capitolo 5

I verbi impersonali normalmente si coniugano con essere: è capitato, è successo; ma gli


impersonali che si riferiscono al tempo che fa possono andare con essere o con avere: è
piovuto o ha piovuto, era nevicato o aveva nevicato.
I verbi cosiddetti pronominali o riflessivi (cioè quelli che hanno un pronome rifles-
sivo) vanno con ausiliare essere: mi sono sbagliato, si è stancato, si è lavato le mani, si sono scritti.
Abbiamo quindi: si è messo la matita in tasca ma ha messo la matita in tasca; si è scritto un ap-
punto ma ha scritto un appunto; si sono mangiati la torta ma hanno mangiato la torta.
Se con un verbo che richiede l’ausiliare essere si usa dovere, potere o volere, questi tre
verbi nei tempi composti vanno con essere o con avere: è dovuto partire o ha dovuto partire;
non è potuto arrivare o non ha potuto arrivare; è voluto venire o ha voluto venire.
Nelle costruzioni verbo più infinito, se infinito è riflessivo e il pronome riflessivo
sale ad attaccarsi al verbo reggente […] questo va con l’ausiliare essere: si è cominciato a
spostare ma ha cominciato a spostarsi (con un pronome non riflessivo l’ausiliare non cambia,
con i verbi transitivi: lo ha cominciato a spostare e ha cominciato a spostarlo; altrimenti ho comin-
ciato ad andarci e ci sono cominciato ad andare) si è dovuto portare la valigia alla stazione ma ha do-
vuto portarsi al valigia alla stazione; se l’è potuto mangiare ma ha potuto mangiarselo; se ne è voluto
andare ma ha voluto andarsene. Nelle costruzioni con modale + infinito riflessivo il modale
preferisce l’ausiliare essere solo quando il pronome riflessivo si attacca al modale: si evi-
tano forme come è voluto andarsene.
Si noti l’infinito passato in deve essersi portata la valigia alla stazione, che indica probabi-
lità, mentre si è dovuto portare la valigia alla stazione non indica probabilità, ma necessità
(dovere non ha il senso epistemico ma quello deontico). Anche con i riflessivi troviamo la
stessa differenza fra può essere partito e è o ha potuto partire; deve essere sceso e è o ha dovuto
scendere.
Certi verbi vogliono (i) l’ausiliare avere quando sono usati transitivamente, e (ii)
l’ausiliare essere quando sono usati intransitivamente: aumentare (i) quel negoziante ha aumen-
tato il prezzo; (ii) gli spinaci sono aumentati di prezzo; avanzare (i) ha avanzato un’ipotesi interessan-
te; (ii) la marea è avanzata fino alle capanne; cambiare (i) hai cambiato casa, (ii) sei cambiato molto;
cessare (i) hai cessato i versamenti, (ii) il vento è cessato; cominciare (i) ha cominciato il mio libro; (ii) lo
spettacolo è cominciato; continuare (i) ha continuato il lavoro; (ii) il lavoro è continuato; derivare (i) lui
ne ha derivato una conclusione interessante; (ii) ne è derivata una conseguenza interessante; diminuire
(i) mi hanno diminuito lo stipendio; (ii) la febbre gli è diminuita; esplodere (i) ha esploso una raffica di
mitra; (ii) è esplosa una bomba; finire (i) hanno finito le pulizie; (ii) la commedia è finita alle 10 […]
Convenire con il significato di “accordarsi, accettare” vuole avere: hanno convenuto che era
meglio, altrimenti vuole essere: erano convenuti in piazza; non gli è convenuto accettare. Correre (e
così saltare, volare) può essere usato intransitivamente con entrambi gli ausiliari, ma vuole
essere quando indica direzione o destinazione, come in è corso via; è corso a casa, ma ha corso
tanto; ha corso due chilometri; quando ha corso, deve riposarsi; con oggetti come rischio, pericolo,
l’ausiliare è avere: non abbiamo corso nessun rischio. Durare con avere indica resistenza: queste
scarpe hanno durato molto, e con essere durata temporale: la commedia è durata due ore. Mancare
col senso di “essere assente” vuole essere: gli è mancato il coraggio; è mancato all’appello; col
senso di “essere privo, non avere, trascurare” vuole avere: ha mancato di coraggio, ha mancato
di parola, ha mancato ai suoi doveri; ha mancato all’appuntamento. Procedere con il senso di “pro-
gredire” vuole essere: è proceduto notevolmente”; con il senso di “comportarsi” vuole avere: ha
proceduto da persona onesta. Suonare, che abbiamo visto sopra con l’ausiliare avere come
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 165

transitivo, quando è usato intransitivamente vuole essere e di solito viene prima del no-
me: è suonata la sveglia, è suonato il campanello; oppure avere e di solito va dopo il nome: la
sveglia ha suonato, le campane hanno suonato a festa; il pianista ha suonato male. Altri verbi pos-
sono andare con entrambi gli ausiliari: appartenere: questo libro ha o è appartenuto a Ugo; at-
tecchire: queste parole non hanno o non sono attecchite nell’italiano.

Evidentemente, i due studiosi ritengono che sia necessario aiutare


lo studente straniero in un punto così ostico della lingua italiana, ma
preferiscono affrontare casi singoli piuttosto che fornire generalizza-
zioni non convincenti.
Ancora diversa è invece la soluzione di Patota (2003: 122-23; poi
ripresa in Patota 2006: 97). Egli infatti, pur ammettendo che non esi-
stono regole sistematiche, ritiene utile dare indicazioni pratiche: dopo
aver introdotto gli ausiliari infatti, presenta una scheda di sintesi:
“Quali verbi hanno come ausiliare avere e quali verbi hanno come au-
siliare essere” (tav. 12), in cui cerca di fornire anche per i verbi intran-
sitivi alcune generalizzazioni che possano quantomeno orientare
l’apprendente nella selezione.
Tavola 12: Gli ausiliari essere e avere (da Patota 2003: 122-24)

Quali verbi hanno come ausiliare avere


e quali verbi hanno come ausiliare essere

I tempi composti dei verbi italiani si formano o con l’ausiliare avere o con l’ausiliare
essere: di solito una forma esclude l’altra. Non esiste una regola sistematica che determini
la scelta dell'uno o dell’altro ausiliare; tuttavia possono aiutarci alcune indicazioni di
carattere pratico.
In generale, il verbo avere si adopera come ausiliare:
[a] di se stesso: “Marco non ha avuto molta fortuna”;
[b] di tutti i verbi transitivi (cioè quelli che reggono un complemento oggetto diretto),
tranne i verbi riflessivi: “Susanna ha incontrato una cara amica”);
[c] di alcuni verbi intransitivi (che non possono reggere un complemento oggetto
diretto, ma solo un complemento indiretto con preposizione): “Ho passeggiato un po’
per Via Veneto”.

In generale, il verbo essere si adopera come ausiliare:


[a] di se stesso: “Ieri sono stato a Macerata”;
[b] delle forme verbali passive: “Lucia è apprezzata da tutti”;
[c] dei verbi riflessivi e pronominali: “Giuseppe si è pentito di quello che ha detto”
[d] della maggior parte dei verbi intransitivi: “Il treno è arrivato in ritardo”.
166 Capitolo 5

L'ausiliare dei verbi intransitivi


Come si è detto, dei verbi intransitivi alcuni hanno come ausiliare avere, altri (la
maggioranza) hanno come ausiliare essere.
In linea generale, hanno come ausiliare avere i verbi intransitivi che indicano
un’azione effettivamente compiuta, agita dal soggetto (con esclusione dei
verbi che indicano movimento): dormire, pranzare, cenare, parlare, gridare ecc.: ho
dormito, ho pranzato ecc.; invece, hanno come ausiliare essere i verbi che indica-
no un processo subito o sperimentato dal soggetto, come nascere, crescere,
ringiovanire, invecchiare, morire, ecc.: “Federico è nato nel l990”; “Hai visto come
è cresciuta Valeria?”, ecc.:

I verbi di movimento hanno generalmente come ausiliare essere: andare, venire, partire,
entrare ecc.: “Claudia è partita per Milano”; “È entrato in casa un ladro”, ma non mancano
verbi di movimento che hanno come ausiliare avere (per esempio camminare, passeggiare,
viaggiare: “Ho camminato tutta al mattina”, “Ho camminato molto”, ecc). Si può notare che i
verbi del primo gruppo mettono in primo piano il fatto e il risultato del movimento in
sé, mentre i verbi del secondo gruppo mettono in primo la qualità, il tipo del
movimento.

I verbi correre e passare, che quando indicano movimento hanno come ausiliare essere,
quando significano “sperimentare” e ‘trascorrerere” reggono un complemento oggetto
diretto e hanno come ausiliare avere. Si noti la differenza:

COMPLEMENTO OGGETTO DIRETTO


Era tardi e sono corso a casa./Ho corso un brutto rischio.
Sono passato per il centro./Ho passato una settimana a Cortina.

Anche alcuni altri verbi costituiscono un’eccezione alla regola dell’ausiliare unico: i loro
tempi composti possono fermarsi sia con essere sia con avere, senza differenze, o con
differenze di significato. Ecco i più comuni:

appartenere è appartenuto ha appartenuto


atterrare è atterrato (“L'aereo è ha atterrato (“Ha atterrato
atterrato”) l’avversario”)
cominciare è cominciato (“L’estate è ha cominciato (“Ha
cominciata male: piove cominciato quel quadro un
sempre!”): anno fa”)
durare è durato (“La pioggia è ha durato (“Carlo ha durato
durata tutta la notte”) poco in quell’incarico”)
emigrare è emigrato (se segue un ha emigrato (se non segue
complemento: “Mio zio è un complemento: “Mio
emigrato in Australia”) zio ha emigrato”)
finire è finito (“La festa è finita”) ha finito (“Ha finito i
compiti”)
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 167

fiorire è fiorito ha fiorito


franare è franato ha franato
grandinare è grandinato ha grandinato
inciampare è inciampato ha inciampato
naufragare è naufragato (detto di una ha naufragato (detto di una
cosa: “La nave è persona: “Quei poveretti
naufragata”, “L’impresa è hanno naufragato al largo
naufragata”) delle coste siciliane”)
nevicare è nevicato ha nevicato
piovere è piovuto ha piovuto
prevalere è prevalso ha prevalso
sbandare è sbandato ha sbandato
scivolare è scivolato ha scivolato
vivere è vissuto (per indicare che ha vissuto (per indicare
l’azione o l’avvenimento che l’azione o
sono conclusi: “La nonna l’avvenimento durano
di Marco è vissuta più di ancora: “Mario ha sempre
novant’anni”) vissuto da ricco”)
volare è volato ha volato

Nelle grammatiche pedagogiche poi, il tentativo di dare regole pra-


tiche va ancora oltre: si veda ad esempio la soluzione adottata da
Mezzadri (1996: 74), al quale spetta in qualche modo il ruolo di “ca-
postipite” della nuova generazione di grammatiche pedagogiche
dell’italiano. Intanto, egli inserisce la selezione dell’ausiliare non in
un capitolo specificatamente dedicato agli ausiliari, ma nella scheda
sul passato prossimo, laddove effettivamente gli apprendenti incontra-
no per la prima volta un tempo composto che richiede di compiere una
scelta tra essere ed avere. Inoltre, schematizza ulteriormente rispetto a
Patota (2003), proponendo delle regolarizzazioni basate su criteri in-
sieme sintattici (transitivi/intransitivi) e semantici in senso lato (verbi
che indicano moto, stato, cambiamento di stato), che in genere funzio-
nano, pur presentando diverse eccezioni.
168 Capitolo 5

Tavola 13: Passato prossimo e scelta degli ausiliari (da Mezzadri 1996: 74)

Analogamente si comportano gli autori delle grammatiche pedago-


giche successive, Nocchi (2002: 70) e Latino e Muscolino (2005: 60-
61), le quali propongono anche esercizi per abituare lo studente a inse-
rire i verbi in una delle categorie presentate.
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 169

Tavola 14: Esercizio per distinguere i diversi tipi di verbi sulla base di criteri sintat-
tici o semantici (da Latino e Muscolino 2005: 61)

Chiuchiù e Chiuchiù (2005: 64-65) poi propongono la stessa classi-


ficazione di Mezzadri, ma cercano di specificare quali sono i verbi di
movimento che vogliono essere e quali avere, ricorrendo, implicita-
mente, al concetto di telicità.

Tavola 15: L’ausiliare con i verbi di movimento (Chiuchiù e Chiuchiù 2005: 64)
170 Capitolo 5

5.5.2. Considerazioni finali e proposte operative.

Tutte le grammatiche esaminate ricorrono dunque alla nozione di tran-


sitivo/intransitivo e tralasciano o cercano di risolvere in modi diversi il
problema della selezione dell’ausiliare con i verbi intransitivi. Le
grammatiche pedagogiche si distinguono dalla altre in quanto tentano
di schematizzare e di fornire generalizzazioni che orientino
l’apprendente nella scelta anche laddove ci sono maggiori incertezze
(ossia con i verbi intransitivi). Ma che valore hanno queste generaliz-
zazioni?
Recentemente Rastelli (2006: 19), linguista e docente di italiano L2,
facendo riferimento ad una discussione avvenuta in una mailing-list di
insegnanti di italiano L2 sull’argomento, e alle generalizzazioni da essi
fornite, osserva: «Molte grammatiche oggi dispensano liste di verbi che
si coniugano in un modo o nell’altro, qualche volta abbozzando una
spiegazione che gli insegnanti intelligenti non si sentono mai di sposare
perché decine di controesempi sono già pronti non appena la regola
sembra funzionare» (ivi: 15). Obietta inoltre che le categorie di transiti-
vo ed intransitivo adottate da tutti sono «antiche, tradizionali e certo co-
nosciute dalla maggior parte degli studenti, ma sono anche ambigue ed
inappropriate. La linguistica le ha messe in discussione da decenni» e
propone di fissare invece una regola per selezionare l’ausiliare che «as-
sorba e vada oltre l’opposizione transitivo/intransitivo» (ivi: 18), par-
tendo dall’ASH (Ausiliary Selection Hierarchy) formulata da Sorace
(2004) per diverse lingue. La distinzione che propone si basa su criteri
semantici, ed è riassunta nel seguente schema.

Tavola 16: Selezione dell’ausiliare essere o avere secondo Rastelli (2006: 18)

VERBI CHE SELEZIONANO AVERE:


Il soggetto grammaticale compie un’attività che ha una certa durata e della quale ha
il pieno controllo. Di questa attività non è visualizzata la fine. Spesso questa attività im-
plica un oggetto su cui è esercitata o che la subisce.

VERBI CHE SELEZIONANO ESSERE:


Il soggetto non “fa” propriamente qualcosa. Al soggetto piuttosto “succede” qual-
cosa, che di solito è un cambiamento di luogo o di stato. Nell’idea suggerita dal verbo di
solito sono visualizzati una fine o un punto di arrivo.
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 171

Come già sottolineato da Maggini (2006: 3) tuttavia, sembra piutto-


sto difficile proporre dei ragionamenti metalinguistici così fini agli
studenti dei livelli iniziali (A1-A2), ai quali viene presentato il pro-
blema della selezione dell’ausiliare per il passato prossimo. Tanto più
difficile se si tiene conto del fatto che spesso essi mancano «di
un’esperienza di educazione linguistica, intesa come capacità di auto-
riflessione sui meccanismi che regolano la propria madre lingua così
come le altre lingue apprese» (ivi, 4). Inoltre, l’ipotesi di Sorace
(2004), per quanto affascinante ed innovativa, non pare ancora abba-
stanza consolidata da spingere a rinunciare del tutto a categorie che,
seppure invecchiate, sono ancora conosciute da tutti, ed accettate dalla
grande maggioranza delle persone.
La descrizione fornita delle grammatiche pedagogiche come Mez-
zadri (1996) invece è sicuramente semplificata, non funziona sempre
(si vedano ad esempio i verbi che indicano un movimento ma selezio-
nano avere) e non descrive perfettamente il sistema, tuttavia essa sem-
bra tenere, per studenti dei primi livelli, in quanto è operativa, funzio-
nale e fa riferimento a categorie in genere note almeno agli studenti
europei (quella appunto di transitivo/intransitivo). Andrà semmai cor-
retta ed integrata dall’insegnante, che ad esempio parlerà fin da subito
di verbi “pronominali” piuttosto che di verbi riflessivi (infatti incon-
trarsi, ricordarsi, trasferirsi funzionano esattamente come alzarsi).5
Si veda come esempio questa proposta per studenti di livello iniziale.

Tavola 17: Passato prossimo: scelta dell’ausiliare(dal corso on-line A spasso con
Virgilio, livello A1)

Il passato prossimo si forma con l’ausiliare essere o avere + il participio passato.

In generale vogliono l’ausiliare avere:


• il verbo avere
Anna ha avuto paura.
• tutti i verbi transitivi (cioè i verbi che possono avere un com-
plemento diretto, senza preposizione)

5
Lo Duca (2006: 125) scrive ad esempio «i verbi pronominali sono nella nostra termino-
logia tutti i verbi che si coniugano con l’ausilio di un pronome personale atono».
172 Capitolo 5

Ho mangiato una mela.


Abbiamo visitato la chiesa.
• alcuni verbi non transitivi (cioè i verbi che non possono avere
un complemento diretto: telefonare, parlare, camminare, viaggiare, ecc.)
Ivana ha telefonato a Elena.
Elena e Francesco hanno parlato per ore.
Lisa ha viaggiato con il treno.

Vogliono l’ausiliare essere:


• il verbo essere
Elena è stata brava.
• tutti i verbi pronominali (alzarsi, chiamarsi, svegliarsi, lavarsi, trasfe-
rirsi ecc.)
Carlo si è alzato, si è lavato, si è fatto la barba e si è vestito.
Lisa si è trasferita a Padova.
• molti verbi di movimento (andare, venire, salire, scendere, ecc.)
Alice è andata in montagna.

• verbi che indicano uno stato (essere, stare, rimanere, ecc.)


L’estate scorsa Alessandro e Sara sono stati a casa.

• i verbi che indicano un cambiamento di stato (nascere, morire, cresce-


re, diventare, ecc.)
Lisa è nata nel 1978.
Tuo figlio è cresciuto molto.
Mio nonno è morto nel 1998.
• altri verbi molto frequenti come: piacere, sembrare, succedere, toccare,
ecc.
I tuoi amici mi sono piaciuti molto.
Il film di ieri mi è sembrato bello.
È successa una cosa strana.
Attenzione!
Ci sono verbi che possono avere l’ausiliare avere o essere:
• con lo stesso significato (piovere, nevicare, ecc.):
Ieri ha piovuto molto/Ieri è piovuto molto
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 173

• con significati diversi (cominciare, finire, ecc.): sono verbi che possono
essere transitivi o non transitivi. Quando sono transitivi hanno avere,
quando non sono transitivi hanno essere.
Transitivo Non transitivo
Finire Tommaso ha finito i compiti. Il corso di inglese è fini-
to ieri.
cominciare Sofia ha cominciato un nuovo li- Il film è cominciato
bro. da cinque minuti.

Sia chiaro: le informazioni fornite in schede di questo tipo non pre-


tendono di descrivere in modo esauriente il tema, ma solo di fornire
delle prime generalizzazioni al fine di aiutare l’apprendente che deve
imparare a comunicare scorrevolmente nella L2. Una volta che esse
siano state assimilate, e che le capacità di riflessione metalinguistica
degli studenti si siano affinate, si può andare oltre, cercando di presen-
tare con maggior accuratezza il fenomeno, ma all’inizio possono esse-
re un utile sussidio pedagogico. Riteniamo infatti che una grammatica
pedagogica debba tentare il più possibile di fornire delle regole o al-
meno delle generalizzazioni. Se esse sono scientificamente fondate
ovviamente è meglio; se però non lo sono ancora del tutto, magari
perché la ricerca non è ancora arrivata a descrivere in modo soddisfa-
cente il fenomeno, può essere comunque utile cercare di offrire dei
criteri, pur ammettendo in modo chiaro che non sono sempre validi.
Per l’apprendente è infatti meglio avere un criterio che funziona otto
volte su dieci che non averlo affatto.
Prendiamo l’esempio dei verbi di movimento: osserviamo che men-
tre seleziona l’ausiliare essere un numerosissimo gruppo di verbi di
questo tipo, costituito per di più in gran parte da verbi ad alta frequen-
za e dunque precocemente appresi anche dai non nativi (andare, veni-
re, salire/scendere, entrare/uscire, arrivare/partire, giungere, fuggire,
sparire, scappare), seleziona invece avere un numero molto più ri-
stretto di verbi, i quali hanno per giunta una semantica più specifica
(come camminare, correre, danzare/ballare, giocare, girare, nuotare,
passeggiare, remare, ecc.). Si potrebbe dunque generalizzare dicendo
in prima battuta a dei principianti che «in genere i verbi di movimento
prendono essere, anche se ci sono delle eccezioni», per poi specificare
ulteriormente nei livelli successivi (A2-B1), andando ad esempio nella
direzione di Patota (2003) che, come abbiamo visto, si rifà al tipo di
174 Capitolo 5

azione («verbi che mettono in primo piano il fatto, il risultato in sé»


vs. «verbi che mettono in primo piano la qualità, il tipo del movimen-
to»). Si tratta comunque di un ragionamento metalinguistico piuttosto
fine, che si adatta ad apprendenti adulti, scolarizzati, abituati
all’astrazione, ma che potrebbe funzionare meno bene con studenti più
giovani o meno abituati a riflettere sulla lingua.
Con questi ultimi si potrebbe lavorare piuttosto sull’analogia, e, ba-
sandosi su una semantica forse più “di superficie”, costruire, o meglio
far costruire agli studenti, degli ulteriori raggruppamenti. Si potrebbe
partire ad esempio da un testo che contestualizzi la riflessione meta-
linguistica, sul tema del tempo libero, dei viaggi e dello sport. Il testo
(scritto o orale) dovrebbe contenere, oltre ad alcuni verbi di movimen-
to con essere, molti verbi con avere, appartenenti ad aree semantiche
abbastanza omogenee. A partire da esso quindi, si potrebbe proporre
alla classe un esercizio come il seguente.
Tavola 18: Proposta di attività sui verbi di movimento che selezionano avere

Certo, si tratta di una descrizione superficiale, ma a volte essa aiuta


l’apprendente più di un criterio astratto, come può essere quello di
pensare a chi ha il controllo dell’azione. L’obiettivo di regolarizzazio-
ni ed attività di questo tipo è quello di far entrare nei primi tempi in
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 175

funzione il Monitor dell’apprendente, dandogli dei punti fermi che lo


possano orientare concretamente. Osserviamo gli esempi che seguono:

Tavola 19: Esempi di focalizzazione sulla selezione dell’ausiliare con i verbi di mo-
vimento

(1) Livello A1
Juan: Ieri sera ho andato in discoteca.
Insegnante: Ho andato? È un verbo di movimento, ricordi?
Juan: Mmm… sì, sono andato in discoteca…

(2) Livello A2
Insegnante: Hai fatto sport questa estate? Per esempio hai nuotato, hai giocato a tennis?
Xavier: Sì, ho nuotato, ho pattinato, ho ballato tutte le sere.

Nel caso (1) l’apprendente spagnolo Juan utilizza per andare


l’ausiliare avere, come nella sua lingua madre. L’insegnante, anziché
correggerlo direttamente, gli dà come feedback un appiglio, ricordan-
dogli la generalizzazione proposta («I verbi di movimento hanno in
genere essere»). Subito lo studente fa entrare in funzione il Monitor, e
si autocorregge. Se si dà credito all’ipotesi dell’interfaccia nella ver-
sione debole (si veda par. 3.8), si ritiene che un poco alla volta
nell’apprendente entreranno in funzione meccanismi di automatismo
per cui gli verrà quasi spontaneo utilizzare essere per i verbi di movi-
mento consueti come andare, venire.
Allo stesso modo nel caso (2), lo studente di livello un poco più a-
vanzato (A2-B1, ad esempio), che si è abituato ad usare correttamente
verbi che rientrano nell’area semantica dello sport e che hanno
l’ausiliare avere, dovrebbe estendere, per analogia, avere anche ad al-
tri della stessa area.
Fin qui, abbiamo fatto riferimento ad apprendenti dei primi livelli.
La nozione di ciclicità (descritta in 2.4) prevede però che uno stesso
argomento possa essere presentato più volte, con diverso grado di
complessità. Anche la riflessione metalinguistica può essere appro-
fondita a seconda della maturità linguistica degli studenti ed ovvia-
mente dei loro bisogni. Qualora si ritenga che l’argomento “selezione
dell’ausiliare” meriti un approfondimento ulteriore, o perché gli stu-
denti fanno ancora molti errori, o perché essi mostrino di desiderare
176 Capitolo 5

una descrizione più approfondita del fenomeno varrà la pena di insi-


stere ancora, adottando criteri di descrizione meno elementari.
A partire almeno da un livello C1, nel momento in cui gli studenti
possono padroneggiare costruzioni come il ne pronominale e il parti-
cipio assoluto, dunque, potrebbe essere proposta la nozione di inaccu-
satività e quindi la descrizione della selezione dell’ausiliare di Salvi e
Vanelli (2004), con un test sintattico (tav. 20) arricchito, eventualmen-
te, da considerazioni semantiche (tav. 21). Esclusivamente con classi
particolarmente interessate alla riflessione metalinguistica, ci si po-
trebbe spingere ancora oltre, provando ad analizzare le categorie pro-
poste da Rastelli (2006), magari in confronto con la L1 e le altre L2
parlate dagli studenti.

Tavola 20: Proposta di descrizione della selezione degli ausiliari per un livello C1
(sulla base di Salvi e Vanelli 2004)

Leggi le frasi ed indica se sono corrette oppure no.


-I tuoi genitori sono andati al mare? -Sì, sono arrivati ieri sera.
-Dove avete passeggiato ieri pomeriggio? -Abbiamo girato per la città e poi siamo
saliti sulla torre del Duomo.
Ieri Marco e Giovanna sono andati sui colli, ed hanno camminato molto.

Sono corrette questa frasi? Perché si dice sono andati ma hanno camminato, hanno passeg-
giato?

La scelta dell’ ausiliare nei tempi composti.


Ricordi? Nei tempi composti alcuni verbi vogliono l’ausiliare essere, altri avere. Forse
tu conosci già dei criteri per distinguerli, ma ora li puoi approfondire.

Vogliono avere:
- tutti i verbi transitivi (fare, dire, prendere, ecc.);
- i verbi intransitivi (camminare, funzionare, sorridere, ecc…);

Vogliono essere:
- i verbi pronominali (lavarsi, pentirsi, incontrarsi);
- i verbi inaccusativi (arrivare, venire).
Verbi transitivi = quelli che sono seguiti da un comple-
mento oggetto

Verbi NON transitivi = quelli che NON sono seguiti da


un complemento oggetto.
Le grammatiche per insegnare l’italiano come L2 177

Si distinguono in:
INTRANSITIVI (ausiliare avere)
INACCUSATIVI (ausiliare essere)

I verbi inaccusativi sono verbi NON transitivi il cui


soggetto ha proprietà simili a quelle che ha l’oggetto dei verbi
transitivi.

Come li riconosci?
- il soggetto si trova spesso dopo il verbo:
È arrivato Giovanni.

- il soggetto può essere sostituito dal pronome ne:


Sono venuti molti ragazzi> Ne sono venuti molti.
Sono scese due signore > Ne sono scese due.

- si possono trasformare in participi assoluti:


I ragazzi arrivarono e la lezione cominciò.
Arrivati i ragazzi, la lezione cominciò.

Una volta sottoposta agli studenti questa sorta di test sintattico per
stabilire se un verbo è inaccusativo o meno, ci si può soffermare anche
sulle sue proprietà semantiche, in particolare sulla telicità, magari par-
tendo da esempi che la chiariscano:
Tavola 21: La telicità (esempi tratti da Salvi e Vanelli 2004: 52)

Osserva le frasi:
(1a). Gianni ha corso per tre ore.
(1b). Gianni è corso a casa.

(2a). L’aereo ha volato a lungo sopra le case.


(2b). L’uccello è volato via per lo spavento.

Perché nei casi 1a e 2a si usa l’ausiliare avere e nei casi 1b e 2b essere? Qual è la diffe-
renza?

A differenza delle generalizzazioni fornite in precedenza però, de-


scrizioni come le precedenti non hanno la funzione immediata di aiu-
tare l’apprendente a scegliere l’ausiliare giusto, e quindi a comunicare
più correttamente, ma piuttosto lo inducono a riflettere in profondità
sui meccanismi che regolano la lingua italiana, e al limite possono
178 Capitolo 5

fungere da sostegno cui ricorrere per casi isolati. Ad esempio un inse-


gnante di italiano come lingua straniera non madrelingua potrebbe a-
ver bisogno di tali criteri per stabilire qual è l’ausiliare corretto richie-
sto da verbi che conosce meno, dato che probabilmente non possiede
quell’istinto che guida il nativo nella scelta.
Come risulta chiaro dunque, è necessario badare sempre allo scopo
del corso e al tipo di pubblico che si ha di fronte: ogni g.p. deve parti-
re da un’analisi dettagliata del suo utente, e presentare di conseguenza
la lingua di cui egli necessita, illustrando ad esempio quelle strutture o
regole che per lui presentano delle difficoltà (perché non sono presenti
nella sua L1), ed utilizzando la metalingua ed il tipo di descrizione più
indicato allo scopo. Non esiste dunque una grammatica pedagogica
“migliore” o valida per tutti, ma tante grammatiche che si prestano ad
utenti ed usi diversi.
La selezione degli argomenti proposti, la metalingua impiegata, il
tecnicismo delle formulazioni dipenderà strettamente dal pubblico
classe, ed, ovviamente, dalla formazione e dalle capacità
dell’insegnante. Se infatti un insegnante linguisticamente preparato
come Rastelli, magari perché padroneggia perfettamente un argomen-
to, ha anche la capacità di presentare regole così complesse ai suoi
studenti, e questi d’altra parte riescono a comprendere la riflessione
metalinguistica e a rielaborarla, facendola entrare in qualche modo
nella memoria a lungo termine, quindi nella pratica, ben venga. Qua-
lora però le condizioni non siano queste, è forse meglio ricorrere a so-
luzioni che, pur essendo meno “scientifiche”, siano più utili agli stu-
denti.
Spezzata una lancia a favore delle generalizzazioni, va tuttavia pre-
cisato che non è opportuno voler cercare a tutti i costi di fornire regole
o regolarizzazione per quei fenomeni che, palesemente, non ne abbia-
no, e siano piuttosto idiosincratici, come ad esempio l’uso di certe
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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

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www.aracneeditrice.it
Finito di stampare nel mese di settembre del 2011
dalla ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l.
00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15
per la Aracne editrice S.r.l. di Roma

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