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Guida alla
grammatica valenziale
di Paola Baratter
Premessa
Fin dagli anni ’80, a partire dalla scuola media, si è cercato di introdurre nella didattica
dell’italiano il modello valenziale, ottenendo un modesto successo editoriale, sia per la difficoltà
da parte di docenti e studenti di misurarsi con metodologie e terminologie nuove, sia
per i dubbi sull’opportunità di adottare un nuovo modello in un determinato segmento
dell’ordinamento scolastico, laddove negli ordini inferiori e/o superiori prevaleva il
modello tradizionale. Tuttavia nel corso di questi tre decenni sono comparsi altri testi
scolastici, spesso opera di studiosi illustri, destinati a diversi ordini di scuola, che
riproponevano il modello valenziale, a segnalare una richiesta costante, anche se minoritaria,
da parte degli insegnanti.
Il presente contributo vuole integrare un testo già presente da anni nel biennio della
scuola superiore e si rivolge a quei docenti che avvertono una certa insoddisfazione
nei confronti del modello tradizionale e che, di conseguenza, sono interessati a misurarsi
anche nella prassi didattica con il modello valenziale, ma non osano adottare un testo che lo
segua in modo esclusivo, sia per le difficoltà sopra esposte, sia perché, in un periodo
caratterizzato da una certa rigidità nelle adozioni e dalla pratica sempre più diffusa delle
adozioni collettive, non vogliono imporre la loro scelta anche a colleghi che possono non
condividerla. L’obiettivo è quindi fornire ai docenti elementi utili per integrare i contenuti
e le modalità della propria attività didattica, lasciandoli liberi di scegliere in funzione anche
del contesto in cui si trovano a operare.
Il docente potrà prendere per esempio consapevolezza teorica di alcune procedure
didattiche entrate da tempo nella pratica didattica, come la centralità del predicato
nell’analisi di una frase oppure l’adozione di rappresentazioni grafiche per visualizzare la
struttura della frase semplice e di quella complessa. Un altro spunto interessante può
essere costituito dall’attenzione verso l’aspetto semantico nella riflessione sulla sintassi, volta
a individuare, all’interno degli elementi di una frase, una gerarchia di funzioni che trova il
suo fondamento sul piano semantico. Il modello valenziale può fornire anche soluzioni
interessanti nel presentare un modello di classificazione più ampio e astratto, che
consente di cogliere analogie inedite e di sottrarsi a una casistica troppo specifica e a
volte sterile. Questo avviene per esempio nella ricerca di una corrispondenza costante e
puntuale fra funzioni logiche e proposizioni: applicando alla frase complessa il modello
della frase semplice, risulta superata la tradizionale separazione fra analisi logica della frase e
del periodo.
La grammatica di una lingua è il sistema delle regole, l’insieme delle convenzioni che
costituiscono il modo di essere di una lingua; è, per dirla con Raffaele Simone, un
oggetto “che non si vede”, che la linguistica si occupa di ricostruire e descrivere. Perciò,
a partire dai dati linguistici prodotti dai parlanti, il linguista formula delle ipotesi sul
funzionamento di una certa lingua, ipotizzando un modello, che poi verifica per mezzo
di altri dati.
La linguistica [...] deve costruire MODELLI del suo oggetto, ossia elaborazioni concettuali
semplificate che rappresentino in qualche modo l’organizzazione dell’oggetto lingua. Le teorie
che si sviluppano a proposito del linguaggio e delle lingue finiscono infatti per proporre modelli
di essi, costrutti concettuali che in qualche misura somiglino al linguaggio e alle lingue. La lingua
non può essere né fotografata né messa sotto vetro: deve essere esibita attraverso somiglianze
con altre.2
A seconda della prospettiva assunta dal linguista, avremo quindi dei modelli esplicativi
diversi, che si concentrano sui diversi livelli di analisi della lingua (fonologici,
morfosintattici, semantici), partendo dalla frase o dal testo (dimensione testuale) in
riferimento alla lingua scritta o a quella parlata.
Nel corso degli ultimi trent’anni le grammatiche scolastiche si sono adeguate ad alcune
delle recenti acquisizioni della linguistica moderna. Raramente però sono state capaci di
proporre un modello teorico coerente, frutto della ricostruzione di un linguista; più
spesso invece sono il risultato di stratificazioni successive, che hanno inglobato di volta in
volta ciò che dal dibattito linguistico emergeva, scegliendo sulla base di ciò che sembrava
più coerente in sé, ma che comunque non si discostava troppo da quello che c’era già (si
trattava di aggiungere, non di sostituire), prestandosi a un’applicazione didattica più o meno
tradizionale.
Nel curricolo scolastico nazionale la lingua italiana è considerata sia una lingua veicolare, in
quanto costituisce requisito indispensabile per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, sia
un oggetto di studio e di riflessione, in grado dunque di promuovere lo sviluppo cognitivo e la
capacità critica degli studenti. Gli obiettivi principali dell’insegnamento dell’italiano sono quindi
l’alfabetizzazione funzionale e la costruzione di competenze di base sulle quali impiantare
competenze più specifiche e approfondite, in direzione dello sviluppo cognitivo di ogni
studente secondo le sue possibilità. In quest’ottica insegnare italiano significa non solo portare
gli studenti a sviluppare le quattro abilità tradizionali del leggere, scrivere, parlare e ascoltare, ma
indurli a riflettere sul sistema lingua attraverso un percorso di acquisizione progressiva di
consapevolezza. Se ci fermassimo al primo obiettivo, quello della produzione di testi corretti,
molti argomenti trattati normalmente nelle grammatiche scolastiche non troverebbero nessuna
giustificazione. Gli esercizi di categorizzazione, di denominazione e di riconoscimento degli
elementi della frase sono di scarso aiuto per la corretta fruizione e produzione di testi; è noto
quanto uno dei principali canali di apprendimento sia invece quello dell’imitazione. Questo è
evidente soprattutto per l’abilità del parlare, il cui canale primario di acquisizione è costituito
dall’esposizione all’uso: si impara attraverso l’ascolto degli altri. In realtà anche per l’abilità dello
scrivere la conoscenza della grammatica non risulta avere una ricaduta immediata: come
giustamente qualcuno ha notato, conoscere il funzionamento dei muscoli del corpo è molto
diverso da camminare. In questo campo i risultati migliori si ottengono attraverso l’esperienza:
leggere i testi, smontarli, capire come funzionano, provare a ricomporli modificando i vari
elementi da cui sono costituiti per ottenere obiettivi di volta in volta diversi, nella
consapevolezza della differenza sostanziale tra scritto e orale. È comunque anche vero che un
corridore può migliorare le proprie prestazioni conoscendo il funzionamento della muscolatura
e quindi anche una competenza grammaticale può essere utile per la produzione di testi
particolarmente elaborati, di livello superiore. Gli esercizi di riconoscimento e di
categorizzazione ritrovano invece la loro vera ragion d’essere nell’allenamento della mente al
pensiero astratto, nello sviluppo delle capacità di collegare, identificare, riconoscere elementi
che non hanno necessariamente a che fare con la lingua.
Gli studi di Noam Chomsky, padre del generativismo, hanno introdotto una nuova
prospettiva, secondo la quale ogni parlante ha una competenza grammaticale nativa
che si realizza nella capacità di cogliere regolarità dell’uso linguistico e utilizzare le
regole interiorizzate per costruire forme nuove adattandole ai nuovi contesti. Ogni
parlante ha cioè una conoscenza implicita e inconsapevole della lingua materna che
gli permette di creare, fin dai primissimi anni di vita, un sistema funzionale a capire,
produrre e decidere l’accettabilità di una formulazione linguistica. Il fatto che la
lingua sia una competenza in qualche modo innata fa sì che ciascuno possa andare a
indagare nel proprio bagaglio di esperienze e di conoscenze per ricostruire e verificare questo
sistema di implicazioni, confrontandoli con quelle degli altri (che hanno
esperienze e conoscenze diverse).
Da questo punto di vista la lingua può essere vista, d’accordo con Sabatini, come il
primo oggetto culturale (un prodotto culturale della specie umana), cioè il primo
elemento perché già almeno in parte posseduto - su cui si può cominciare a riflettere per
acquisire capacità di pensiero che poi potranno essere trasposte in altri ambiti di studio e
di vita. Uno dei compiti fondamentali della scuola dovrebbe quindi consistere, come
afferma Lo Duca, nell’“innestare una conoscenza di livello superiore (consapevole e
verbalizzabile) su una preesistente conoscenza di livello inferiore”.3
Questa premessa serve a spiegare perché l’approccio valenziale può costituire un modello
di insegnamento che sia veramente formativo per gli studenti. Esso infatti non si pone
come obiettivo primario quello di trasmettere un sistema normativo che dica che cosa si
possa o non si possa scrivere, ma di indurre lo studente a osservare la lingua per
comprenderne le regolarità e le irregolarità, per verbalizzarne le caratteristiche, per
acquisire un sistema di lettura e interpretazione valido anche per altri campi
dell’esperienza. Il modello valenziale, che analizza la frase a partire dal verbo, portatore
non solo di significato ma anche di informazioni relative alla struttura sintattica della
frase, permette allo studente di partire dalle proprie competenze per giungere a un
livello superiore di conoscenza. Tradizionalmente l’analisi della frase prendeva in esame
prima di tutto il soggetto per poi passare al verbo che predica qualcosa di esso, secondo
una progressione lineare che però non tiene conto di come funziona veramente la frase.
Questo invece è possibile se il punto di partenza dell’analisi è il verbo, unico elemento
che fornisce informazioni sulla struttura della frase in rapporto al suo significato.
È noto che all’interno di ciascuna classe di parole è possibile fare sottocategorizzazioni. Per
quanto riguarda i verbi, in base al criterio semantico essi possono essere classificati:
- come verbi di moto (andare, attraversare), di maniera (strofinare, tagliuzzare), di dire
(dire, affermare), di percezione (vedere, ascoltare), di misura (costare, pesare) ecc.;
- in base al loro aspetto, distinguendo i verbi di stato (rimanere, possedere), puntuali
(scoppiare, arrivare), durativi (lavorare, dormire).
Se invece coniughiamo il criterio semantico con quello sintattico, i verbi possono essere
classificati secondo la loro valenza, ossia in base al numero, al tipo e al ruolo tematico
assegnato dal verbo, a seconda del suo significato, agli elementi che a esso si legano.
Il modello valenziale prende le mosse dagli studi condotti da un linguista francese, Lucien
Tesnière (1893-1954), confluiti nell’opera intitolata Èlements de Syntaxe structurale4,
pubblicata postuma nel 1959, che può essere vista come la prima organica sistemazione del
modello grammaticale basato sulle valenze.
Il termine “valenziale” è stato introdotto in linguistica per la prima volta proprio da
Tesnière, che l’ha mutuato dalla chimica dove per valenza si intende la capacità di
combinazione di un elemento che si esprime numericamente sulla base del numero di
atomi di idrogeno in grado di combinarsi con un suo atomo:
Si può allora paragonare il verbo a una specie di atomo munito di uncini, che può esercitare la
sua attrazione su un numero più o meno elevato di attanti, a seconda che esso possieda un
numero più o meno elevato di uncini per mantenerli nella sua dipendenza. Il numero di uncini
che un verbo presenta, e di conseguenza il numero di attanti che esso può reggere, costituisce
ciò che chiameremo la valenza del verbo5.
Come diciamo che l’idrogeno ha valenza 2, posiamo dire che un verbo è bivalente, ossia
si completa, andando così a formare una frase, con due elementi. È per esempio il caso
del verbo aprire, che per costituire una frase necessita di un soggetto (qualcuno o qualcosa
che apre) e di un oggetto (qualcosa che viene aperto). Gli elementi che vengono richiesti
necessariamente dal verbo sono detti anche argo- menti ed è per questo motivo che il
modello valenziale è chiamato anche argomentale. Per spiegare il modello, Tesnière ha
introdotto una metafora, quella della rappresentazione teatrale. Secondo il linguista
francese il verbo rappresenterebbe un piccolo dramma che richiede un certo numero di
attori per essere rappresentato:
Il nodo verbale, che si trova al centro della maggior parte delle nostre lingue europee,
è del tutto equivalente a un piccolo dramma. Come un dramma infatti esso comporta
obbligatoriamente un processo e, il più delle volte, degli attori e delle circostanze. Tra-
sferiti dal piano della realtà drammatica a quello della sintassi strutturale, il processo,
gli attori e le circostanze diventano rispettivamente il verbo, gli attanti e i circostanti.6
Tesnière si sofferma quindi sui diversi ruoli che il verbo attribuisce agli altri elementi
della frase:
Il verbo esprime il processo. Per esempio, nella frase Alfredo picchia Bernardo, il processo è
espresso dal verbo picchia. Gli attanti sono sempre sostantivi o loro equivalenti; si può quindi
4. La prima edizione italiana è del 2001 (Rosemberg & Sellier), a cura di Germano Proverbio e Anna Trocini
Cerrina.
5. L. Tesnière, Elementi di sintassi strutturale, Torino, Rosenberg&Sellier, 2001, p. 157.
6. Ivi, p. 73.
dire che in linea di massima sono i sostantivi ad assumere nella frase la funzione di attanti. I
circostanti esprimono le circostanze di tempo, di luogo, di modo ecc. nelle quali si svolge il
processo. Ad esempio, nella frase Alfredo ficca sempre il naso dappertutto, ci sono due
circostanti, uno di tempo (sempre) e uno di luogo (dappertutto). I circostanti sono sempre degli
avverbi (di tempo, di luogo, di modo ecc.) oppure loro equivalenti; gli avverbi in linea di
massima assumono nella frase la funzione di circostanti. Si è osservato che il verbo è al centro
del nodo verbale e di conseguenza della frase verbale. Esso dunque è il reggente di tutta la frase
verbale.7
Più o meno negli stessi anni, in forma autonoma rispetto alla proposta di Tesnière, alcuni
linguisti americani affrontano tematiche analoghe, dando luogo alla teoria dei ruoli
tematici. In particolare Charles Fillmore, con la sua “Grammatica delle Costruzioni”,
persegue l’obiettivo di integrare la descrizione semantica degli elementi lessicali con la
descrizione delle relative costruzioni sintattiche.
Negli anni successivi la nozione di valenza è stata ripresa dagli studiosi anche di altre aree
linguistiche, che ne hanno approfondito alcuni aspetti e introducendo alcune modifiche
terminologiche. Tra gli studiosi di lingua italiana che si sono occupati del modello
argomentale, ricordiamo Renzi, Salvi e Cardinaletti, con la loro Grande grammatica
italiana di consultazione (Il Mulino, 1988-1995, 20012); Christoph Schwarze, autore della
Grammatick der Italienischen Sprache (1988, 19952), la cui edizione italiana, uscita con
Carocci, ha visto la luce nel 2009 per opera di Adriano Colombo; Francesco Sabatini,
che nel 1990 ha pubblicato una grammatica per il biennio della scuola superiore, La
comunicazione e gli usi della lingua (Loescher), in cui usa il modello valenziale per la
presentazione della struttura della frase, e che qualche anno dopo con Vittorio Coletti ha
pubblicato il primo dizionario valenziale della lingua italiana (DISC, Giunti, 1997), che
ha visto numerose riedizioni (l’ultima nel 2012 con Sansoni); Maria G. Lo Duca che con
Rosaria Solarino ha pubblicato La città delle parole. Grammatica italiana per il biennio
(La Nuova Italia, 1990) e con Patrizia Cordin, ha collaborato al DISC e pubblicato Classi
di verbi, valenze e dizionari. Esplorazioni e proposte, (Unipress, 2003); Michele Prandi
(Le regole e le scelte, De Agostini, 2006, (20112) e L’analisi del periodo (Carocci, 2013);
Giorgio Graffi, La frase: l’analisi logica (Carocci 2012). Nel 2011 è inoltre stata pubblicata
da Loescher la prima grammatica di impostazione valenziale per la scuola secondaria
superiore, Sistema e testo. Dalla grammatica valenziale all’esperienza dei testi di Francesco
Sabatini, Carmela Camodeca e Cristiana De Santis (cfr. § Risorse / Bibliografia di
riferimento).
2 La grammatica valenziale
Un verbo di cui si conosce il significato, ma di cui
si ignora la struttura valenziale è inutilizzabile.
(Lucien Tesnière)
ferendosi all’hic et nunc della comunicazione, rischiamo di interferire con la struttura pura
della frase. Analizziamo i due testi seguenti:
Laura scruta il cielo.
Gnocchi con il ragù!
Nel primo caso il significato è evidente: c’è una persona chiamata Laura che scruta
il cielo. Non si sa perché lo faccia né che cosa veda, ma il messaggio minimo è garantito.
Nel secondo caso, invece, si sa che ci sono degli gnocchi, ma non si sa come interpretarli
(sono pronti? Sono il cibo preferito di qualcuno? Sono stati mangiati?): non viene
trasmesso alcun messaggio. In altri termini, rifacendosi alla struttura informativa della
frase, si potrebbe dire che c’è il tema (o topic, la cosa di cui si parla), ma manca il rema (o
comment, ciò che viene detto sul tema). Per ricostruirne il significato è necessario fare
riferimento a un testo che lo colleghi con altri enunciati a esso collegati, come per
esempio:
Luca chiese: “Che cosa hai mangiato?”. Laura rispose: “Gnocchi con il ragù”.
Si noti che il verbo, presente nella frase, nell’enunciato manca: esso può infatti non
essere presente, perché esplicitato in un altro enunciato o reso evidente da altre
modalità comunicative che possono essere attivate quando si è in presenza (per esempio
un Qui! accompagnato da un certo gesto della mano, significa “Vieni!” senza che sia
necessario esplicitare il verbo venire). In ogni frase propriamente detta il verbo, invece,
deve essere presente, perché, come si è anticipato e si vedrà più in dettaglio, esso è il
centro gerarchico della frase, unico elemento indipendente da cui dipendono,
direttamente o indirettamente, tutti gli altri costituenti della frase.
Oggetto dell’analisi del funzionamento della lingua sarà quindi la frase propriamente
detta.
Si noti che una buona parte dei verbi monovalenti è costituita dai verbi che indicano i
versi degli animali, come muggire, frinire, tubare, barrire. Spesso anche i ‘versi’ umani
sono espressi da verbi monovalenti: tossire, starnutire, russare, sbadigliare.
- bivalenti, se necessitano di due argomenti. I verbi tipici di questa categoria sono quelli
che richiedono, oltre al soggetto, un argomento oggetto diretto, cioè i verbi
tradizionalmente denominati transitivi, come mangiare, cantare, leggere, tagliare,
mescolare, sporcare. Torneremo più avanti (cfr. $ L’alternanza argomentale) su alcuni di
questi verbi che presentano una doppia costruzione, in quanto possono essere usati
anche senza esplicitare l’argomento oggetto, rimandando così a un oggetto indefinito o
generico (Marta legge).
Luca mangia una mela.
Giovanna beve un’aranciata.
Marta legge un libro.
Troviamo però anche verbi intransitivi. Oltre a rimanere, è il caso per esempio di ver-
bi come giovare, piacere, andare (nel significato di “dirigersi verso un luogo”).
Il gelato piace a Gianni.
Carlo è andato al cinema.
- trivalenti, i quali per completare il senso della frase hanno bisogno oltre che di un
soggetto, di altri due elementi. Di norma questi verbi richiedono, oltre al soggetto,
un oggetto diretto (il complemento oggetto) e uno indiretto e sono verbi di dire e
di dare, come dare, dire, raccontare, regalare, scrivere, spedire.
Andrea ha scritto una lettera a Laura.
Giovanni ha raccontato una favola a Sara.
Alcuni possono però richiedere oltre al soggetto due argomenti entrambi indiretti,
come il verbo andare nel significato di “muoversi da un luogo a un altro”:
Sono andato da casa all’ufficio.
N.B. La valenza del verbo è relativa al numero di elementi necessari per costruire una
frase dotata di significato minimo, ma completo. Data la frase:
Lucio ha riso di gusto per la barzelletta di Marco.
8. Questa categoria non è riconosciuta da tutti gli studiosi, poiché alcuni ritengono che uno degli
argomenti sia in qualche modo implicitamente compreso nel significato del verbo e quindi non sia
necessario esplicitarlo.
La riflessione sulla tipologia argomentale dei verbi rende conto dell’impossibilità di alcune
costruzioni, come far seguire un argomento oggetto a un verbo monovalente:
*Luca ride la barzelletta.
Allo stesso modo non è possibile far seguire un oggetto diretto a un verbo bivalente del
tipo S - V - [prep.] O come piacere:
*La cioccolata piace Luca.
Come si vedrà, costruzioni di questo tipo sono possibili in casi particolari. Per i verbi
zerovalenti, per esempio, è possibile prevedere un argomento soggetto quando vengono
usati in senso figurato.
Piovono soldi.
Piovvero soldi dal cielo.
Allo stesso modo per i verbi intransitivi esiste la possibilità di esplicitare l’argomento oggetto
interno in espressioni del tipo:
Dormire sonni tranquilli
Vivere una vita intensa.
Oltre a richiedere un certo numero e tipo di argomenti, i verbi pongono delle restrizioni
sulla selezione del tipo semantico di argomenti con i quali possono combinarsi. Per
esempio verbi come parlare, urlare, pentirsi richiedono un argomento soggetto umano;
vivere e morire, un soggetto umano o animale. Allo stesso modo il verbo regalare richiede
un argomento oggetto diretto inanimato (la cosa che viene regalata) e un argomento
oggetto indiretto umano o comunque a esso correlato: Ha regalato la sua casa al Comune.
Gli argomenti selezionati semanticamente dal verbo non riguardano solo i tratti ± umani,
ma anche il numero. Un verbo come circondare richiede un soggetto plurale o avente
comunque semantica plurale, per cui è possibile dire:
I lupi circondarono la preda o La siepe circonda la casa.
ma non:
*Il lupo circondò la preda o *L’albero circonda la casa.
9. Oppure possiamo pensare a quei verbi reciproci che, come collaborare o incontrarsi, richiedono un
soggetto plurale: Luca e Laura collaborano. / Silvia e Matteo si sono incontrati. In realtà questi verbi
reciproci hanno una particolarità: la quasi totalità di essi ammette una doppia costruzione, senza
all’apparenza cambiare significato. Oltre alla costruzione pronominale vista sopra, contemplano infatti
la possibilità di un soggetto singolare, purché questo abbia un elemento corrispondente come oggetto
indiretto, di norma introdotto dalla preposizione con, che sia simmetrico al soggetto e quindi con
questo intercambiabile: Luca e Laura collaborano. / Luca collabora con Laura. / Laura collabora con
Luca. Senza soggetto plurale o, se singolare, senza argomento simmetrico, questi verbi non possono
costituire frasi grammaticali: *Luca collabora. / *Luca si incontra. /*Luca si confronta.
Evidentemente attivano scene mentali in cui sono necessariamente presenti almeno due attori, per
dirla con Tesnière.
Alcuni di questi verbi ammettono un oggetto indiretto sottinteso. Per esempio possiamo dire: Luca e
Laura si sposano. Ma anche: Luca si sposa o Laura si sposa. Il fatto che l’argomento sia sottinteso
diventa chiaro nel momento in cui si provi a inserire un riferimento all’unicità del soggetto implicato:
*Luca si sposa da solo. Senza cambiare all’apparenza significato, si è detto. In realtà, quando questi
verbi esprimono una partecipazione volontaria o comunque un’azione che possa essere fatta da una
direzione a un’altra (urtarsi), il fatto che il soggetto sia uno dei due implica che tale azione volontaria
parta da questo. Affermare Luca e Laura si abbracciano è diverso che dire Luca abbraccia Laura, che a
sua volta è diverso da Laura abbraccia Luca.
Esiste un’altra categoria di verbi reciproci che si comporta in maniera analoga, selezionando però,
invece che il soggetto, un oggetto plurale. È per esempio il caso del verbo collegare: Il tram collega il
centro e la periferia. Il tram collega tutti i quartieri. Anche in questo caso i verbi ammettono una
costruzione con argomento indiretto simmetrico rispetto a quello diretto: Il tram collega il centro con
la periferia. / Il tram collega la periferia con il centro. E non è possibile omettere uno degli oggetti
plurali: *Il tram collega il centro.
Si noti che i criteri secondo i quali all’interno di ogni frase il verbo assegna un ruolo
tematico ai suoi argomenti sono i seguenti:
A. a ogni argomento viene assegnato un solo ruolo tematico;
B. a ogni ruolo tematico è assegnato un solo argomento.
Per chiarire che cosa si intende per ruolo tematico, possono giovare i seguenti esempi:
Luca ha restituito la bottiglia a suo fratello.
AGENTE TEMA BENEFICIARIO
Maria ama l’estate.
ESPERIENTE TEMA
Piero è a Milano.
TEMA LOCATIVO
La grandine ha danneggiato l’automobile.
STRUMENTO PAZIENTE
Come si può vedere i ruoli tematici rimangono inalterati, perché quelli che vengono
identificati sono i ruoli semantici profondi; nell’analisi tradizionale invece si fa
riferimento alle realizzazioni linguistiche di superficie, ossia come esse vengono realizzate
linguisticamente (per cui nella trasformazione dalla forma attiva a quella passiva avremo
il soggetto che diventa complemento d’agente, mentre il complemento oggetto diventa
soggetto).
Proposte di esercizi
2. Indicare la valenza dei seguenti verbi e poi confrontarla con quanto dice il DISC.
a. ridere
b. rincorrere
c. raccontare
d. spegnere
e. grandinare
4. Si è detto che i verbi che indicano i versi degli animali sono normalmente bivalenti: provare a elencarne
il più possibile.
Davide va in montagna.
Il fiume va al mare.
La lettera va al direttore.
- è trivalente quando significa “coprire un tragitto”:
L’Eurocity 56 va da Verona a Innsbruck.
Notiamo inoltre che andare costituisce sintagma verbale con alcuni avverbi: andare su,
giù, fuori, via e assume la funzione di predicato copulativo in frasi come:
Gianni è andato soldato.
Gianni va pazzo per i dolci.
Lo stesso, seppur in maniera meno articolata, vale per altri verbi. Passare, per esempio, è
- monovalente nel senso di “trascorrere”:
La vita passa.
- bivalente col significato di “superare qualcuno o qualcosa”:
Luca ha passato l’esame.
- trivalente nell’accezione di “dare qualcosa a qualcuno”:
Luca ha passato la staffetta a Marco.
Ci sono verbi bivalenti, come per esempio salire o protestare, che pur non modificando
in maniera consistente il proprio significato, presentano una doppia struttura: si
comportano cioè sia come verbi transitivi che intransitivi, riducendo in questo secondo
caso la loro valenza:
Laura sale le scale.
La marea sale.
La banca ha protestato l’assegno.
Gli insegnanti protestano.
Un ulteriore caso degno di attenzione è quello di verbi diversi con significato simile
che però richiedono strutture sintattiche diverse, soprattutto quando uno dei due è
ad alta diffusione e l’altro no. Riflettere su tali particolarità può essere molto utile per
evitare errori nella scelta della preposizione corretta. Si pensi alle coppie riguardare/
inerire o pertenere/concernere
Queste mansioni riguardano il suo ruolo.
Queste mansioni ineriscono al suo ruolo.
La domanda concerne l’argomento.
La domanda pertiene all’argomento.
Un caso interessante di cambiamento della valenza del verbo è quello relativo all’uso
figurato che alcuni verbi possono assumere. Si pensi ai verbi atmosferici, che abbiamo
già visto, classificandoli come zerovalenti. Quando però il verbo piovere assume il
significato di ‘cadere dall’alto’, la sua valenza cambia e diventa un verbo monovalente
o bivalente:
Piovono coriandoli.
Le critiche piovono sul governo.
I testi letterari, in particolare quelli poetici, presentano spesso casi di questo tipo. Vediamo
alcuni esempi riferiti ancora al verbo piovere:
…e piove in petto una dolcezza inquieta. (Eugenio Montale, I limoni)
…in mezzo al nuvolone scuro che pioveva cenere… (Giovanni Verga, I galantuomini)
Bevon le nubi dal mare con pendule trombe, ed il sole / piove sprazzi di riso torbido sovra
i poggi. (Giosue Carducci, Pe ’l Chiarone da Civitavecchia. Leggendo il marlowe)
Un caso particolare di alternanza argomentale è quella dei verbi transitivi che possono
essere usati senza l’esplicitazione dell’argomento oggetto, cambiando così valenza. Alcuni
verbi a cui si è già accennato - come mangiare, leggere, bere, cantare - sembrano attivare
scene mentali diverse a seconda che venga esplicitato o meno l’oggetto. Quando l’oggetto
manca è come se si facesse riferimento a un oggetto indefinito, generico (tanto che
qualche linguista ha parlato di oggetto nullo indefinito). Si prenda il caso del verbo
mangiare, che abbiamo identificato come bivalente:
Luca mangia una mela.
Se però ci limitassimo a scrivere:
Luca mangia.
la frase sarebbe ugualmente completa. In tale caso, però, l’accento non cade sulla cosa che
viene mangiata, ma sull’atto stesso del mangiare e il verbo assume l’accezione generica di
“nutrirsi”, “alimentarsi”. A riprova di ciò si vedano i seguenti esempi, da cui risulta
evidente che tali verbi non sottintendono un oggetto specifico:
- Hai bevuto il caffè?
-*Sì, ho bevuto.
Ho letto tutto il giorno. Ma *Ho riletto tutto il giorno.
Nel secondo esempio, se è possibile “leggere” genericamente, l’atto del rileggere
presuppone sempre la presenza di un oggetto definito. Tali costruzioni, che permettono di
omettere l’oggetto di specifici verbi transitivi, non portano però a un medesimo esito
semantico, che è legato invece al significato proprio del verbo. Se affermare che Luca
mangia può significare che Luca è una persona che si nutre normalmente, dire che Luca
beve può indicare che fa uso smodato di alcolici; analogamente la frase Luca scrive può
indicare che Luca lo faccia di professione.
Proposta di esercizio
8. A seconda del significato che assume, ciascuno dei seguenti verbi può richiedere un numero diverso
di argomenti. Per ognuno di essi, inventare due frasi corrispondenti.
a. abbagliare
b. crescere
c. rimproverare
d. risparmiare
e. fuggire
10. Questo ovviamente vale per la frase propriamente detta. Nella realtà della comunicazione (enunciato)
non sempre è necessario che tutti gli argomenti siano esplicitati, anche se nel conteggio delle valenze essi
devono essere contemplati. Alcuni linguisti istituiscono una distinzione tra semantica (valenze o attanti
del verbo) e sintassi (argomenti del predicato). Salvi e Vanelli (2004, pp. 20-21) scrivono: “Terremo
distinti terminologicamente gli attanti, che sono i partecipanti dell’evento descritto dal verbo, e gli argo-
menti, che ne sono la realizzazione sintattica; mentre gli attanti si situano al livello della interpretazione
semantica della costruzione, gli argomenti si situano al livello della costruzione sintattica”.
11. Mentre alcuni studiosi si limitano a distinguere gli elementi nucleari e quelli extra-nucleari, adottiamo
qui la tripartizione (nucleo, circostanti del nucleo, espansioni) operata da Sabatini, che ci sembra quella
maggiormente in grado di rendere conto con maggiore chiarezza di alcuni fenomeni linguistici,
affiancando però la terminologia scelta da Michele Prandi.
Ci sono alcuni avverbi, inoltre, che in virtù della loro specificità semantica, possono
cambiare il proprio ruolo a seconda della posizione che occupano all’interno della frase:
Mario non parla sinceramente
Sinceramente, Mario non parla.
Nel primo caso l’avverbio qualifica il modo di parlare di Mario, nel secondo caso si tratta
di un commento dell’evento descritto.
Vedremo più avanti che tanto gli elementi nucleari quanto i margini interni o esterni
possono essere costituiti da frasi (cfr. § Dalla frase semplice alla frase complessa).
I verbi compositi
Finora abbiamo trattato solo il caso di verbi singoli, ma è chiaro che il ruolo del
verbo possa essere occupato anche da verbi compositi, cioè forme verbali costituite
da più verbi. Ne sono un tipico esempio i verbi ausiliari, ma allo stesso modo si com-
portano anche i verbi servili e quelli aspettuali. Potremo quindi trovare all’interno
del nucleo verbi compositi come ho mangiato, devo ritornare, sta per piovere, senza che
la struttura cambi.
Quindi, per esempio, chiudere rimane bivalente anche quando viene fatto precedere da un
verbo servile.
Francesco deve chiudere la porta.
La presenza del verbo causativo porta un aumento della valenza, dovendo aggiungere un
argomento indiretto, preceduto dalla preposizione a o da:
Luca fa spegnere il computer a Marco.
Lo stesso accade con i verbi trivalenti come regalare, che diventano tetravalenti:
Luca regala una rosa alla mamma.
Luca fa regalare a Piero una rosa alla mamma.
Tra i verbi compositi sono da considerare anche le sequenze formate da un verbo dal
significato generico e da un nome. È questo il caso di alcuni verbi come fare, dare,
mettere, avere, prendere, che, oltre ad avere un significato pieno, possono avere la
funzione di accompagnamento. Spesso, ma non sempre, tali costrutti hanno un
corrispettivo verbale:
Fare paura (impaurire).
Dare ascolto (ascoltare).
Mettere a posto (riordinare).
Prendere una decisione (decidere).
Avere ragione.
Si comportano allo stesso modo anche le espressioni che indicano una quantità:
Il 10% degli italiani non vota.
La maggior parte delle persone ama la cioccolata.
Proposte di esercizi
Ogni anno
per la sua
biblioteca
un libro
all’inizio di fumetti
della scuola
REGALA
sua figlia
a
Ogni anno
all’inizio della scuola
Piero un libro Carla per la biblioteca
di
fumetti
Già Tesnière nella sua trattazione aveva rappresentato graficamente la frase, facendo
però uso di un tipo di stemma molto analitico:
Il mio vecchio amico canta questa canzone molto bella.
canta
amico canzone
molto
Tali stemmi sono solo apparentemente simili alle rappresentazioni ad albero della
struttura sintagmatica della frase di matrice chomskiana, che avrebbero raffigurato la frase
in questo modo:
F
SN SV
Art SN V SN
Det SN Det SN
Agg N N SA
Avv Agg
Tra le differenze ne emerge una sostanziale, ossia il fatto che quest’ultima mantenga
l’ordine lineare della frase. Vediamo ora come attraverso la rappresentazione ad albero si
possa raffigurare la struttura argomentativa individuata in base alla tipologia di argomenti
richiesti:
1. nessun argomento:
Nevica. NEVICA
2. un solo argomento, quello soggetto:
Luca dorme.
DORME
Luca
3. un argomento soggetto e un argomento oggetto diretto:
Lorenzo assaggia la torta.
ASSAGGIA
Lorenzo la torta
4. un argomento soggetto e un argomento oggetto indiretto:
Marco torna a casa.
TORNA
a
Marco casa
VA
da a
Tali schemi coprono tutte le diverse strutture argomentative che possono essere
richieste dai verbi. Come già detto, la medesima struttura si usa anche per i verbi
compositi, per esempio quelli costruiti con il servile seguito dal verbo all’infinito:
VUOLE FESTEGGIARE
HO RISOLTO
[io] il problema
Dopo aver familiarizzato con queste strutture, si può passare alla rappresentazione della
frase completa di circostanti del nucleo (collegati all’elemento da cui dipendono da una
freccia a punta singola) e degli elementi extra-nucleari:
Ieri sera, Luca, il fratello di Laura, ha regalato una penna a Elisa per il suo compleanno.
HA REGALATO
Ieri sera
per il suo compleanno
il fratello di Laura
Proposte di esercizi
Le due modalità di rappresentazione si prestano a diversi esercizi, non solo di rappresentazione (data
una frase, se ne rappresenti la struttura), ma anche di riempimento (data una struttura, trovare gli
elementi che la soddisfano). Questi esercizi sono utili perché portano lo studente a riflettere sul
significato del verbo unitamente alla struttura argomentativa che lo caratterizza.
Esempio senza legami (la soluzione potrebbe essere Piove)
Esempio con due legami (la soluzione potrebbe essere Tonino colora il disegno)
Esempio con tre legami (la soluzione potrebbe essere Michela regala un fiore a Sara)
Esempio con legami, circostanti del nucleo ed elementi extra-nucleari (la soluzione potrebbe essere
Ogni settimana, da due anni, Michela pulisce l’automobile di suo padre).
Questo stesso esercizio può essere svolto a un livello più complesso con il grafico ad
albero. In questo caso potrebbe essere utile procedere per gradi, togliendo un elemento
per volta e chiedendo di integrarlo. Per esempio, partendo dalla rappresentazione
grafica della frase Laura scrive una lettera, possiamo togliere alternativamente il verbo
(e la frase può quindi diventare: Laura legge / trova / ha perso una lettera),
l’argomento soggetto (e la frase può essere completata Andrea / Marco / Giovanna
scrive una lettera) o il complemento diretto (dando luogo a possibili alternative come
Laura scrive un libro / una frase / un esercizio).
SCRIVE
LEGGE
TROVA
HA PERSO
il computer
12. In realtà questa scelta fa ancora discutere gli studiosi. Per quanto riguarda il DISC il complemento
predicativo dell’oggetto è stato considerato un argomento sé stante fino all’edizione del 2008, a
partire dalla quale gli autori hanno trattato i verbi copulativi come monovalenti.
SONO
DIVENTATI
genitori
Michele
e Gianna
La maggior parte dei predicati nominali sono monovalenti, richiedono cioè il solo ar-
gomento soggetto, ma esistono predicati nominali zerovalenti e bivalenti. I predicati
nominali zerovalenti sono quelli costituiti da forme impersonali come È tardi, È fred-
do, per le quali non è pensabile un soggetto, allo stesso modo che per i verbi
predicativi atmosferici:
È tardi.
È
tardi
Luca evento
13. Tesnière lo chiama “controsoggetto”, per evidenziare che esso si oppone al soggetto, come il
passivo si oppone all’attivo.
Notiamo che se il verbo ha tre argomenti, il complemento indiretto della frase alla forma
attiva rimane invariato nella costruzione passiva corrispondente:
Luca ha spedito una lettera a Marco. Una lettera è stata spedita da Luca a Marco.
Ricordiamo a questo proposito che, nel passaggio dalla forma attiva alla forma passiva, i
ruoli tematici vengono mantenuti: in entrambe le costruzioni, il tema è la lettera, Luca
rimane agente e Marco destinatario.
La costruzione passiva può essere una tipica strategia volta a ridurre la valenza. Se infatti
il verbo spedire è normalmente trivalente, nella costruzione passiva è possibile omettere
il complemento d’agente (Una lettera è stata spedita a Marco), per cui il verbo diventa
bivalente14.
Questo è ancora più evidente quanto la costruzione passiva è resa dal si passivante, che
raramente permette di esplicitare il complemento d’agente (è infatti sempre un soggetto
umano).
NON SI VENDONO
alcolici
14. Secondo alcuni linguisti l’indicazione relativa al mittente cesserebbe addirittura di essere un
argomento e andrebbe annoverato come elemento accessorio.
dal
retro
Si rimane basiti.
SI RIMANE
basiti
Se il verbo indica un’azione che ha ricadute reciproche su due o più partecipanti sarà plurale.
Luca e Laura si abbracciano.
La forma media, invece, così chiamata perché è una forma intermedia tra quella attiva e
quella passiva, è tipica di alcuni verbi intransitivi che si presentano esclusivamente
accompagnati da un pronome personale atono, pur non avendo valore riflessivo. I più
caratteristici sono quelli che indicano uno stato d’animo o una condizione del soggetto:
fidarsi, pentirsi, vergognarsi.
Luca si è pentito del suo comportamento.
Il valore medio riguarda anche altri verbi, sia transitivi che intransitivi, che presenta-
no la possibilità di essere accompagnati da un pronome atono, con un conseguente
cambiamento più o meno consistente del loro significato e della loro struttura ar-
gomentale.
In tutti questi casi il pronome non viene considerato un argomento a sé stante: la sua
funzione, infatti, è solo quella di intensificare il significato del verbo oppure di farne
ricadere gli effetti sul soggetto.
Esiste poi una forma media, tipica del linguaggio informale, che indica un coinvol-
gimento emotivo del soggetto in ciò che fa. È per esempio il caso di mangiarsi, bersi,
godersi:
Mi mangio un panino.
Laura si è bevuta un caffè.
Ci godiamo la scena.
La valenza dei verbi pronominali, sia usati in forma riflessiva che media, non tiene
ovviamente conto della particella pronominale, che forma un tutt’uno col verbo.
Luca si lava.
Verbo monovalente.
SI LAVA
Luca
SI LAVA
Luca le mani
Luca e Laura
SI FIDA
di
Luca Marco
Proposte di esercizi
12. Usare il metodo grafico per trasformare le seguenti frasi dalla forma attiva a quella passiva e
viceversa.
La mamma ha lavato i piatti.
Il libro è stato comperato da un ragazzo.
Luca e Giovanni hanno comperato una villa.
La società è stata rilevata da un imprenditore tedesco. Hanno esaurito la merce.
La coordinazione
Come è noto, la coordinazione, o paratassi, è il rapporto che lega due o più
proposizioni tra loro autonome, ponendole sullo stesso piano, come risulta evidente
dalla rappresentazione grafica.
In realtà le due frasi sono sullo stesso piano dal punto di vista sintattico ma non da
quello semantico, tanto che non è possibile invertire l’ordine degli elementi. Tale
dicotomia tra sintassi e semantica può riguardare anche la congiunzione
apparentemente più semplice, la e. Le due affermazioni contenute in
Piove e fa molto freddo.
possono essere scambiate senza che ci sia un cambio di significato:
Fa molto freddo e piove.
Ma non posso fare lo stesso in questo caso:
Ceno e vado a dormire.
Altrettanto accade con le coordinate disgiuntive, introdotte da o, oppure:
Fermati o sparo.
non può essere trasformato in
Sparo o fermati.
La subordinazione
Tutte le frasi subordinate ricoprono una funzione sintattica all’interno della frase
da cui dipendono. Ciò che le differenzia è l’obbligatorietà della loro presenza dal
punto di vista sintattico. Come nella frase abbiamo argomenti obbligatori ed
elementi accessori, i margini, (a loro volta suddivisi in circostanti del nucleo ed
elementi extra-nucleari), così nel periodo abbiamo subordinate necessarie (le
completive, il cui nome deriva dal fatto che sostituiscono un argomento
obbligatorio, e le relative predicative) e subordinate accessorie riferite al nucleo
(relative attributive) o all’intera frase da cui dipendono (circostanziali15). Secondo il
modello valenziale ci sono quindi tre tipi di frasi dipendenti:
a. completive (soggettive, oggettive dirette e oggettive indirette);
b. relative (attributive e predicative);
c. circostanziali (causali, concessive, finali, temporali, ipotetiche, avversative,
eccettuative, esclusive, limitative, consecutive e comparative).
Attraverso la rappresentazione grafica è possibile rendere evidente la corrispondenza che
sussiste tra:
- completive e argomenti del verbo;
- relative e circostanti del nucleo;
- circostanziali e espansioni.
LE COMPLETIVE
Nei paragrafi precedenti abbiamo analizzato la frase, caratterizzata dal verbo e dai
suoi argomenti. Per le esemplificazioni degli argomenti abbiamo scelto nomi, pro-
nomi e avverbi ma, come abbiamo anticipato, gli argomenti possono essere espressi
15 Scegliamo di usare questo termine molto diffuso per indicare questo tipo di subordinate
extra-nucleari, sperando di non ingenerare confusione con il termine ‘circostante’ relativo al nucleo.
HA AMMESSO
Luca la sconfitta
HA AMMESSO
La vittoria Marco
HA PREOCCUPATO
che
[noi]
VINCERE Marco
Si noti che anche se il soggetto è posposto, la struttura rimane analoga. Questo avviene
normalmente con espressioni come è giusto, è evidente, è necessario, sembra certo,
verbi come accadere, giovare, importare, parere, promettere, verbi di dire e pensare e
temere costruiti con il si impersonale alla 3° persona singolare (si racconta, si teme).
È necessario che Luca sia puntuale.
È NECESSARIO
che
SIA PUNTUALE
Luca
DICHIARÒ
che
DICHIARÒ
di
DICHIARÒ:
SI VERGOGNA
del
Cristina ritardo
di
ASPIRA
alla
Giulia vittoria
ASPIRA
Giulia VINCERE
HA OBBLIGATO
al
Le subordinate relative
16. In virtù del loro essere un elemento necessario, alcuni linguisti annoverano le relative
predicative tra le completive.
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Maria, che ha vinto il premio, ha comperato una casa.
HA COMPERATO
che
[Maria] il premio
È PIACIUTO
il libro [a me]
che
HO REGALATO
[io] Michele
Le subordinate circostanziali
Le subordinate circostanziali, dette anche avverbiali o margini17 svolgono nel
periodo la stessa funzione che gli elementi extra-nucleari svolgono nella frase.
Esse si suddividono in causali, finali, consecutive, temporali, concessive, ipotetiche
(o condizionali, comparative, modali, avversative, eccettuative, esclusive e
limitative). Al di là della denominazione sono interessanti per come si organizzano
rispetto alla frase da cui “dipendono”. Analizziamo graficamente le più significative.
Nella seguente rappresentazione grafica ciò che viene tradizionalmente definito
complemento di causa si “trasforma” in una subordinata causale.
Mario fuggì per la paura.
FUGGÌ
per la paura
FUGGÌ
perché
Mario
AVEVA
[Mario] paura
Subordinata causale
Allo stesso modo accade per il complemento di fine, che nel caso ci sia un verbo
diventa una subordinata finale.
Sono venuta da voi per un consiglio.
Sono venuta da voi perché mi diate un consiglio.
CHIEDILO
a se
[tu] martello
NON SVEGLIARLO
qualora
Luca
Luigi
SOFFRIVA
benché
[Luigi]
Abbiamo visto che i diversi complementi della frase danno luogo a tipi diversi di
subordinate. A questo punto ci si potrebbe chiedere a che cosa corrisponda uno
dei complementi che più frequentemente si incontra, il complemento di luogo.
In realtà, la specificazione del luogo è direttamente collegata al momento in cui si
sono svolti i fatti espressi nella frase da cui dipende e quindi il complemento di luogo
diventa una subordinata temporale.
In giardino, Luigi mi ha confessato le sue colpe.
Mentre eravamo in giardino, Luigi mi ha confessato le sue colpe.
DOVREBBE AIUTARE
invece di
Marco Luca
RIMPROVERARLO
[Marco] lui
un imprevisto
È USCITO
senza che
Luca
DICE
SIAMO ARRIVATI
secondo
[noi]
DICE
il navigatore quanto
Ci sono infine delle subordinate particolari, che non possono essere definite
propriamente dipendenti. Con la frase che dovrebbe essere considerata la reggente si
crea infatti un rapporto di interdipendenza, per cui le due frasi dipendono l’una
dall’altra. È il caso delle subordinate comparative e consecutive.
Le subordinate comparative istituiscono un paragone con quanto affermato nelle frasi
da cui dipendono e corrispondono al complemento di paragone:
Per te ho fatto più del necessario.
HO FATTO
HO FATTO
di quanto
Mario
Subordinata consecutiva
implicita
HA LAVORATO
che
Mario
Subordinata consecutiva
esplicita
In queste rappresentazioni, per rendere evidente il rapporto che esiste tra la frase
semplice e la frase complessa abbiamo usato la medesima modalità grafica. Come
già per i complementi della frase, anche per le subordinate propriamente dette si è
fatto uso della parentesi graffa, mettendo così in risalto la loro estrema mobilità, la
possibilità cioè di occupare varie posizioni nella frase. Si noti che la mobilità:
- per le completive e le relative è negata;
- per le subordinate propriamente dette è permessa, con l’unica indicazione che
quando abbiamo a che fare con le comparative e consecutive, che abbiamo
appunto definito interdipendenti, è negata.
Aldo, che lavora in banca da anni, ha confidato al suo capo che è molto preoccupato per
l’andamento delle borse poiché è molto sensibile al mercato.
Aldo ha confidato
al suo capo
poiché è molto
che è molto preoccupato per sensibile al mercato
l’andamento delle borse
POTRAI ANDARE
per
[tu] in palestra
ALLENARTI dopo che
[tu]
principale subordinata di 1° grado subordinata di 1° grado
circostanziale finale circostanziale temporale
HA DETTO
che
Luca mi
NON PARTECIPERÀ
a cui
Luca alla gara SI ERA ISCRITTO
Luca
DIMMI
che
[tu] cosa
CONVINCERLO
a
lui noi
Proposte di esercizi
A.
perché
B. e
C.
che
3 Applicazioni didattiche
> 3.1 L’identificazione dell’argomento soggetto
Tradizionalmente si individuava il soggetto cercando “colui che compie l’azione”; i
limiti di tale definizione sono noti.
Superata l’idea di identificare il soggetto di una frase in base a proprietà semantiche,
concentrandosi invece su quelle sintattiche - e quindi la concordanza di numero e
persona con il verbo -, l’abituarsi a ragionare a partire dal verbo e la costruzione
almeno mentale della sua rappresentazione grafica possono essere di notevole aiuto
per l’identificazione del soggetto di una frase.
Il soggetto è facilmente individuabile nel caso dei verbi monovalenti, poiché quando
c’è un solo argomento questo può essere solo il soggetto.
Luca ride.
Più difficile risulta trovare il soggetto quando esso è posposto, come spesso accade con
i verbi piacere e giovare.
Ai miei amici piace il gelato.
Ai bambini giova il sole.
Seguendo l’ordine lineare con il quale viene presentata la frase, l’identificazione
del soggetto potrebbe risultare errata. Partendo invece dal verbo si enfatizza la
necessità di trovare un elemento che concordi per numero con esso. Una volta
isolato il verbo, non sarà difficile riconoscere la struttura di un verbo bivalente con
un argomento diretto (che non può essere che il soggetto) e un argomento indiretto
(che non può essere altro che l’oggetto). La rappresentazione grafica, almeno men-
tale, aiuta a capire che il soggetto, che convenzionalmente viene posto alla sinistra
del verbo, non può essere “Ai miei amici”, perché preceduto da una preposizione.
PIACE
Allo stesso modo si procederà per identificare soggetti complessi, come quelli
costituiti da un’intera frase:
È meglio che Luca faccia i compiti.
È
meglio
FACCIA
che
Luca i compiti
Proposte di esercizi
1. Identificare il soggetto (che può essere nominale o frasale) col metodo grafico.
a. Il diritto di voto è inviolabile.
b. Camminare fa bene alla salute.
c. A Leonardo non piace essere bocciato.
d. Hanno venduto tutte le magliette.
e. Il perché non è stato compreso da nessuno.
> 3.2 Predicato verbale e predicato nominale: il caso del verbo essere
Distinguere tra predicato nominale e predicato verbale è un’operazione non sempre
facile per gli studenti. Secondo la definizione tradizionale il predicato verbale è
costituito da un verbo predicativo, cioè da un verbo che è dotato di significato
compiuto ed è in grado anche da solo di fornire un’informazione. Il predicato
nominale, invece, è costituito da una voce del verbo essere e da una parte nominale.
Quest’ultima è per lo più costituita da un nome o da un aggettivo in funzione
predicativa, ma può essere una qualunque parte del discorso in funzione di nome;
essa può indicare l’identità (Enrico è un giornalista), la qualità (Voi siete gentili) o la
condizione del soggetto (Laura è stanca). Ci sono studenti che imparano la regola a
memoria, sanno individuare senza troppe difficoltà sostantivi e aggettivi nonché
eventuali preposizioni e giungono così al riconoscimento del tipo di predicato; ce ne
sono altri, invece, che sono ostacolati non solo nel distinguere le diverse parti del
discorso, quanto nell’applicare la complessa procedura che solo alla fine porterà
all’identificazione della funzione sintattica: dopo aver individuato il predicato e avere
escluso che il verbo essere sia un ausiliare - e per fare questo bisogna verificare che
non sia seguito da un altro verbo - o che abbia un significato proprio (esistere,
trovarsi, appartenere), si guarda da cosa è seguito; si verifica se è un aggettivo o un
sostantivo o eventualmente un verbo e, quindi, se è preceduto o meno da una
preposizione. Non deve stupire che alcuni alunni, per le ragioni più diverse, possano
inciampare in uno tra i tanti passaggi preliminari.
Se una frase come Laura è stanca di norma non crea difficoltà, sono in molti a
confondersi di fronte alla frase Enrico è un giornalista. Quando poi il verbo essere
assume un significato pieno (Luca è in casa; Il libro è di Ugo), le difficoltà possono
diventare per qualcuno insormontabili.
L’idea è che la modalità grafica, come ogni rappresentazione descrittiva, possa sem-
È SIETE È
un giornalista gentili stanca
È È
in di
Proposte di esercizi
B. SARANNO
C. ERA
sul
Come si è anticipato, si può parlare di struttura argomentale anche per i nomi e gli
aggettivi, anche se su queste classi di parole non abbiamo una letteratura ampia come per i
verbi. Vediamo un esempio. Il verbo leggere è un verbo normalmente bivalente (richiede
una persona che legge e una cosa che viene letta), ma che come molti verbi transitivi
accetta una costruzione assoluta con oggetto nullo indefinito (Luca sta leggendo). Il
sostantivo derivato – lettura – si comporta allo stesso modo. Possiamo usarlo infatti in
forma assoluta, per intendere l’azione del leggere in generale:
La lettura è un ottimo passatempo.
Ma se facciamo riferimento a un oggetto specifico, dobbiamo saturarlo, per cui non è
possibile dire:
L’ultimo romanzo di Ammaniti è bellissimo. *Consiglio la lettura a tutti.
ma è necessario invece dire:
Consiglio la lettura dell’ultimo romanzo di Ammaniti a tutti.
o più semplicemente:
Ne consiglio la lettura a tutti.
Altri nomi che richiedono di essere “saturati” sono cambiamento, chiusura, collegamento,
consultazione, partenza, tolleranza.
Proposte di esercizi
3. Individua gli errori di saturazione presenti e prova a correggerli, inserendo gli argo-
menti mancanti.
a. Federico ha regalato una rosa.
b. Il Presidente ha chiesto ai presenti, ma nessuno si è offerto.
c. Michele ha rotto il vaso in mille pezzi, lasciando il compito di aggiustarlo.
d. Aprì e guardò se c’era qualcuno.
e. Rincorse per ore e alla fine si arrese.
5. Dopo aver letto i diversi significati e le diversi costruzioni possibili del verbo esplodere,
trova una frase esemplificativa diversa da quella proposta nell’esempio.
a. costruzione S - V
……………………………………………………………………………………..………
b. costruzione S - V - [prep.] O
……………………………………………………………………………………..………
c. costruzione S - V - O
……………………………………………………………………………………..………
dipende dalla valenza del verbo. Si può aggiungere che, mentre gli argomenti necessari
non devono essere separati dal verbo da segni interpuntivi, quelli accessori invece
possono esserlo. Di conseguenza, non potremo mai avere un punto o una virgola tra
l’argomento soggetto e il verbo né tra il verbo e i suoi argomenti oggetto diretti o
indiretti.
Il verbo spedire è un verbo trivalente: ognuno dei tre argomenti necessariamente richiesti
dal verbo non può quindi essere separato da virgole, punti ecc. Data la frase Luca spedisce
una lettera a Carlo, dal punto di vista grammaticale non è accettabile nessuna delle
seguenti alternative (usiamo qui come esempio la virgola, ma il discorso vale anche per gli
altri segni):
*Marco, spedisce una lettera a Camilla.
*Marco spedisce una lettera, a Camilla.
*Marco spedisce, una lettera a Camilla.
I primi due casi potrebbero però ritrovarsi in un testo letterario con funzione espressiva
per riprodurre l’oralità o evidenziare il tema, enfatizzando nel primo caso il mittente,
Marco, nel secondo caso il destinatario. È quello che fa, con regolarità, Alessandro
Manzoni nei Promessi sposi quando, scrivendo per esempio Voi, mi fate del bene, vuol
far sì che il lettore intenda Siete voi che mi fate del bene. Costruzione tipica del parlato,
si ritrova anche in numerosi scrittori contemporanei.
L’ultimo caso, invece, in cui la virgola separa il predicato dal suo argomento diretto è
difficilmente accettabile. Lo sarebbe se il verbo avesse anche un’accezione ‘assoluta’, con
oggetto nullo indefinito, come nel caso di mangiare, suonare, cantare ecc.: Luca mangia,
una mela è una forma che potremmo infatti trovare in un testo narrativo, dove ciò che
segue la virgola (ma più spesso il punto o i due punti) ha la funzione di specificare
l’oggetto lasciato volontariamente indeterminato.
La regola che impone l’assenza di punteggiatura tra gli argomenti necessari del verbo
riguarda anche i circostanti del nucleo; si consideri il seguente esempio: Il fratello di Luca
ha portato una scatola di cioccolatini alla fragola alla mamma di Laura. Difficilmente
potremmo pensare di inserire segni interpuntivi nel testo, se non a creare degli incisi.
Per quanto riguarda le frasi relative, che per loro natura hanno valore di circostanti del
nucleo, perché specificano un elemento della frase a cui si collegano, il fatto che siano
racchiuse tra virgole può fungere da discriminante: se non ci sono virgole siamo di fronte
a un elemento necessario, che identifica ciò a cui si riferisce (Ho applicato le regole di
netiquette che ho studiato); se invece la relativa è preceduta da una virgola siamo al
cospetto di una relativa accessoria (Ho applicato le regole di netiquette, che ho studiato).
Quando invece il testo non dà luogo ad ambiguità, la scelta di far precedere il pronome
relativo da una virgola dipende dallo stile dell’autore e dalla struttura sintattica
complessiva in cui esso si inserisce. Quanto agli elementi extra-nucleari, la scelta di
mettere una virgola riveste un significato preciso indirizzato alla volontà di enfatizzare la
circostanza di luogo, tempo e modo. Passando a trattare gli argomenti frasali, per ovvie
ragioni le completive non dovrebbero essere separate con un segno di interpunzione dal
verbo che le regge, anche se esempi letterari ci mostrano che tale regola può essere
qualche volta elusa per far fronte alle esigenze espressive, soprattutto quando abbiamo a
che fare con completive oggettive. Per le subordinate circostanziali, invece, la presenza
di un segno interpuntivo è la norma.
rimento delle prove Invalsi (28 febbraio 2011), che esplicita i contenuti oggetto di
rilevazione delle prove, si specifica:
Nella valutazione delle conoscenze e delle competenze grammaticali, non si può
ignorare il fatto che esiste una pluralità di modelli teorici a cui si fa riferimento per
la descrizione delle lingue (per l’italiano, fra gli altri: Renzi-Salvi-Cardinaletti 2001,
Prandi 2006, Serianni 2006, Schwarze 2009) e di conseguenza per l’insegnamento
della grammatica (si vedano per esempio, per la grammatica valenziale, i numerosi
lavori di Sabatini in stampa). Questa pluralità di proposte comporta anche la man-
canza di una terminologia unitaria. Non essendo tuttavia compito dell’INVALSI
indicare un modello da privilegiare rispetto ad altri, si è scelto nella formulazione
delle domande di fare riferimento, in linea di massima, ai contenuti più condivisi e
alla terminologia nota alla maggior parte degli insegnanti e degli studenti [...].
Tra i contenuti condivisi vi è il concetto di frase minima, definita alla nota 11:
Per frase minima si intende una frase costituita dal verbo e da tutti gli “argomenti”
richiesti dal suo significato, esempio: “Piove”; “Il gatto dorme”; “Il papà compra il
giornale”; “Mio cugino abita a Cagliari”; “La zia ha regalato la bicicletta al nipo-
te”. La frase semplice è costituita da un solo verbo/predicato e da complementi di
vario tipo, esempio “Mio zio guarda da sempre la televisione in poltrona”.
Riportiamo alcuni quesiti delle ultime rilevazioni nazionali somministrate a
conclusione del primo ciclo di istruzione e durante il secondo anno della scuola
secondaria di secondo grado, proponendo una risoluzione basata sul modello
valenziale. Si farà spesso uso della modalità grafica con la convinzione che, se in
occasione del test non ci sarà il tempo per rappresentare graficamente tutte le
situazioni dubbie, la continua pratica può comunque indurre un’abitudine di pensiero
che potrà risultare molto utile in casi come questi.
Esempio 1.
C3. In quale delle seguenti frasi c’è un verbo passivo?
A. Non sono per nulla soddisfatto della gara.
B. Questa estate non sono andato al mare.
C. Quest’anno non sono cresciuto molto.
D. Non sono sempre aiutato dai miei genitori.
(Secondaria I grado 2008-2009)
L’identificazione del primo verbo può risultare difficile per lo studente, e lasciamolo
dunque in sospeso. Il verbo andare è bivalente, ma non ammette un oggetto diretto
(non è possibile *andare la montagna); crescere è un verbo monovalente e quindi il
suo unico argomento è quello soggetto (Piero cresce).
Invece il verbo aiutare regge certamente un oggetto diretto (Io aiuto la mamma).
Resta da chiarire la prima frase in cui sono presenti il verbo essere e un altro termine
che potrebbe esserlo (soddisfatto). Proviamo a rappresentarla graficamente:
Esempio 2.
Per rispondere alla domanda è necessario come sempre cercare il verbo in ogni frase.
Nella prima è fare bene, costruito come il sinonimo giovare (es. Il sole giova a tutti)
che spesso dà luogo a una struttura frasale con il soggetto posposto, come nel quesito
del test. Partendo dal verbo e cercando di volta in volta gli argomenti soggetto e
oggetto, la risposta corretta (“soggetto”) è immediata: l’unica altra espressione presente
(Ai bambini) non potrebbe essere il soggetto innanzitutto perché è plurale, mentre il
verbo è singolare, e poi perché è preceduta da una preposizione, eventualità
impossibile per il soggetto. La seconda frase è invece costituita dal verbo bivalente
vedere e dai suoi due argomenti: il soggetto sottinteso e l’oggetto diretto.
HO VISTO
ieri
alla fermata
dell’autobus
[io] ti
Esempio 3.
C5. In quale dei seguenti periodi c’è una frase subordinata oggettiva?
A. Carlo mi assicurò che non avrebbe riferito a nessuno le mie parole.
B. Per sapere quando partirà l’aereo, guarda il monitor che dà gli orari.
C. Vieni, così ti presento gli amici che ti volevano conoscere.
D. È strano che tu preferisca viaggiare in macchina da solo invece che in treno
con me.
(Secondaria II grado 2010-2011)
Sappiamo che la subordinata oggettiva svolge nel periodo lo stesso ruolo che l’argo-
mento oggetto svolge nella frase. È quindi necessario trovare un complemento
oggetto
costituito, invece che da un nome, da una frase. Le frasi presenti in B e C vengono
subito escluse, perché gli argomenti oggetto espressi sono tutti nominali. Rimane il
dubbio tra A., dove troviamo il verbo assicurare, che è trivalente, con un argomento
diretto (qualcuno assicura qualcosa a qualcun altro) e D., dove abbiamo il predicato
nominale (è strano) con un argomento frasale, che non può che essere il soggetto:
D. È strano che tu preferisca viaggiare in macchina da solo invece che in treno con me.
È STRANO
che
PREFERISCA
ASSICURÒ
che
Il confronto tra le due rappresentazioni mostra chiaramente che, mentre nel primo caso
ci troviamo di fronte a una subordinata soggettiva, che satura cioè l’argomento soggetto
della frase, nel secondo caso invece la subordinata è oggettiva, satura cioè l’argomento
oggetto.
Esempio 4.
Sia nell’anno scolastico 2011/2012 che in quello precedente, è stato chiesto agli stu-
denti della scuola secondaria di secondo grado di rappresentare graficamente una frase:
F6. Nel seguente periodo (frase complessa) sono state separate le proposizioni.
“Era molto tempo \ che non lo vedevo \ e avevo paura \ di non riconoscere il ragazzo
\ che era stato il mio migliore amico”.
Riscrivi le proposizioni nello schema, una per ogni casella, tenendo conto dei rapporti di
coordinazione e di subordinazione (una casella è già stata riempita).
che non lo
vedevo
La linea orizzontale indica che ci troviamo di fronte a due frasi che si trovano sullo
stesso piano e inseriamo quindi la congiunzione coordinante e, ponendo nella parte
sinistra del grafico la prima frase e a destra la seconda. Come si è detto, quando si
lavora con frasi complesse può essere più utile avvalersi di una rappresentazione
meno analitica.
che era
stato il mio mi-
gliore amico
Esempio 3.
E11. Nei seguenti periodi individua le frasi subordinate e stabilisci di che tipo sono, compi-
lando la tabella.
A. Eravamo talmente sazi che non abbiamo mangiato il dolce.
B. Mi chiedo perché Alessia si è comportata così stranamente con noi.
C. Benché fosse già tardi, ho chiacchierato ancora a lungo con Giovanni e Maria
Pia.
Anche in questo caso la rappresentazione grafica può essere d’aiuto per interrogarsi
sul ruolo sintattico ricoperto da ogni frase rispetto alla principale. Nel primo esempio
ci si accorge subito che non c’è una vera e propria frase principale, perché le due frasi
sono interdipendenti.
che
[noi] talmente sazi NON
ABBIAMO
MANGIATO
[noi] il libro
Si tratta quindi di una subordinata consecutiva.
Nella seconda frase individuiamo subito il verbo pronominale chiedersi, con soggetto
sottinteso e argomento oggetto di tipo frasale. Escluso quindi che si possa trattare di
una causale o di una finale (che non sono subordinate completive), dato il significato
del verbo, non può essere che una interrogativa indiretta; a riprova la si può
trasformare in un’interrogativa diretta:
Mi chiedo: “Perché Alessia si è comportata così stranamente con noi?”.
Nella terza frase la presenza della virgola indica che ci troviamo di fronte a una
circostanziale. Per comprendere di che tipo sia è necessario concentrarsi sul
significato della congiunzione, che può essere sostituita senza cambiare il senso della
frase con malgrado o nonostante. Si tratta quindi di una concessiva.
Benché fosse già tardi, ho chiacchierato ancora a lungo con Giovanni e Maria Pia.
4 Conclusioni
Alla luce dell’esplicazione della teoria delle valenze presentata nei capitoli prece-
denti torniamo ora sugli aspetti interessanti di una sua applicazione didattica,
evidenziandone al contempo quelle che potrebbero essere le difficoltà.
Dal punto di vista dei contenuti grammaticali il modello valenziale presenta i
seguenti vantaggi:
- la spiegazione del fatto che la frase minima possa non essere costituita da
solamente un soggetto e da un verbo, ma anche da altri elementi sintatticamente
necessari;
- la distinzione tra elementi necessari e facoltativi;
- la possibilità di lavorare sulla frase integrando l’aspetto sintattico e quello se-
mantico;
- la sua economicità, dovuta all’identità strutturale di frase semplice e periodo;
- la sua predisposizione “naturale” a essere rappresentato graficamente.
Il modello valenziale si rivela interessante anche per un altro aspetto, non
trascurabile, che è quello di coinvolgere l’alunno, che deve procedere indagando la
propria competenza e confrontandola con quella altrui: dei compagni, dell’insegnante
e del dizionario. Non si tratta più di partire da una definizione per applicarla e, nel
migliore dei casi, verificare che funzioni sempre, ma si tratta di osservare la lingua e
di trarne una regola, che poi viene verificata attraverso degli esempi, secondo una
modalità induttiva tipica del pensiero scientifico.
La teoria delle valenze si presta inoltre alla costruzione di un curricolo verticale che
si possa definire veramente tale: non la ripetizione a ogni ciclo scolastico dei me-
desimi argomenti, ma un modello di analisi della lingua che permetta allo studente
di acquisire uno strumento che nel corso del tempo possa essere approfondito in rela-
5 Glossario
argomento: costituente frasale obbligatorio
attante: secondo la terminologia tesneriana, l’attore, l’elemento che partecipa a un
evento
avverbiale: vd. elementi extra-nucleare
circostanti del nucleo: elementi che forniscono informazioni accessorie relative agli
argomenti del nucleo
completiva: frase corrispondente a un argomento del verbo
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Proverbio e A. Trocini Cerrina, Elementi di sintassi strutturale, Torino, Rosenberg&Sellier,
2001.
2. Indicare la valenza dei seguenti verbi e poi confrontarla con quanto dice il DISC.
a. ridere monovalente
b. rincorrere bivalente
c. raccontare trivalente
d. spegnere bivalente
e. grandinare zerovalente
Dal confronto sul DISC emergerà che raccontare può essere anche bivalente, col significato di ‘raccontare
qualcosa’: Il romanzo racconta la vita di Galileo.
3. Trovare almeno tre verbi per ciascuna delle seguenti categorie.
a. zerovalente grandinare, nevicare, tuonare
b. monovalente tossire, grugnire, belare
c. bivalente accendere, masticare, sfogliare
d. trivalente narrare, inviare, infilare
e. tetravalente trasferire, travasare, tradurre
4. Si è detto che i verbi che indicano i versi degli animali sono normalmente bivalenti:
provare a elencarne il più possibile.
Abbaiare, belare, bramire, cinguettare, frinire, garrire, gorgheggiare, gracidare, grugnire, mia-
golare, muggire, nitrire, pigolare, ragliare, ronzare, ruggire, sibilare, squittire, tubare, ululare,
zirlare.
5. Nelle seguenti frasi inserire il verbo semanticamente e sintatticamente corretto.
a. Luca regala un fiore a Maria.
b. Luca raccoglie un fiore.
c. A Luigi piace il caldo.
d. Luigi ama il caldo.
e. Luca e Luigi attendono il loro turno.
6. Nelle seguenti frasi identificare i ruoli sintattici.
a. Le margherite amano il sole. SVO
b. Il pavimento riflette la luce. SVO
c. Luca ha restituito il libro a Carlo. S V O [prep.] O
d. La luce giova alle piante. S V [prep.] O
e. Il cane ha starnutito. SV
7. Nelle seguenti frasi identificare i ruoli tematici.
1. Maria ama la neve.
ESPERIENTE TEMA
2. La lettera è stata consegnata dal postino a Carlo.
TEMA AGENTE DESTINTARIO
8. A seconda del significato che assume, ciascuno dei seguenti verbi può richiedere un numero
diverso di argomenti. Per ognuno di essi, inventare due frasi corrispondenti.
a. Il sole abbaglia. / Sara ha abbagliato un automobilista.
b. Cresce il malumore. / Tiziano e Chiara hanno cresciuto sei figli.
c. Il professore rimproverò gli studenti. / Claudio ha rimproverato a Sandro la sua
pigrizia.
d. Carla ha risparmiato 20 euro. / Il nipote
risparmiò alla nonna la brutta notizia.
e. Il gatto è fuggito. / Mio fratello fugge i pericoli.
12. Usare il metodo grafico per trasformare le seguenti frasi dalla forma attiva a quella
passiva.
Luca e Giovanni hanno comperato una villa. Una villa è stata comperata da Luca e Giovanni.
la merce La merce
SI SCENDE SI VENDONO
dalle
scale tappeti
SI È SEDUTA SI È LAVATO
REGALÒ
per
[a Roberto] scusa
Cristina
COMPREREI
se
FOSSI RICCO
[io] un castello
ricco
[io]
A. LEGGE
perché
Maria la televisione
B. e
COMPONGO SUONO
C. PENSA
che
Luca CONOSCA
Cinzia la verità
> Capitolo 3.
A. SONO
di
Le penne Giulio
B. SARANNO
rossi
Gli addobbi
C.
ERA
sul
L’anello tavolo
3. Individua gli errori di saturazione presenti e prova a correggerli, inserendo gli argo-
menti mancanti.
a. Federico ha regalato una rosa a Marta.
b. Il Presidente ha chiesto la disponibilità ai presenti, ma nessuno si è offerto.
c. Michele ha rotto il vaso in mille pezzi, lasciando a Giovanna il compito di ag-
giustarlo.
d. Aprì la porta e guardò se c’era qualcuno.
e. Rincorse il cagnolino per ore e alla fine si arrese.
5. Dopo aver letto i diversi significati e le possibili diverse costruzioni del verbo esplodere, trova
una frase esemplificativa diversa da quella proposta nell’esempio.
a. costruzione S - V
La bottiglia è esplosa.
b. Costruzione S - V - [prep.] O
Il pubblico esplose in un applauso.
c. Costruzione S - V - O
Ha esploso tre colpi.