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Come nasce la glottodidattica segrarnet

.5' moda!
C A P I T O L O S E C O N D O
emmiaii
igl: anni

2 .1 .1 L
a

L'apprec
lesa comi
La didattica delle lingue di oggi si fonda su quanto è successo nel Novecento non gole di p
solo sul piano delle teorie e dei metodi, ma anche sul piano istituzionale a partire irregolari
dal 1967, quando il Consiglio d’Europa lanciò il Modera Language Project, e dal
1992, quando l’Unione Europea dichiarò il «diritto» dei cittadini a ricevere l’inse­ gii. ogget
gnamento di due lingue straniere, l’inglese e un’altra lingua comunitaria, in con­ letterario
siderazione della complessità linguistica e culturale europea, «valore fondante _a:e. sonc
dell’Unione».
In questo capitolo navigheremo lungo il secolo scorso per cogliere le idee e le
Anco
pratiche che ancor oggi sono, più o meno esplicitamente, vive e per collocare tenàrio, o
nel loro contesto le varie innovazioni glottodidattiche che si sono susseguite, po­ abbiamo
nendole in relazione con quel che avveniva prima e vedendo a quali idee o prati­
apprende;
che hanno aperto la strada.
Non si tratta quindi di un capitolo di «storia della didattica delle lingue straniere» ricoli, i v
ma di una rapida navigazione nel xx secolo e nella prima decade del xxi finalizzata ubili, see
a cogliere quel che di questa storia è vivo e operante ancor oggi (per un appro­ granale: 1
fondimento diacronico cfr. gli excursus storici in Freddi, 1994; Puren, 1998; Ser­
ra Borneto, 1998; Pichiassi, 1999; Borello, 2005; sulla tradizione italiana di edu­ le: i testi
cazione linguistica, si veda la nostra Storia dell’educazione linguistica del 2009). stranieri i
vaìlerescl
Lo sti
2.1 Approcci e metodi dalla tradizione eccezioni
il coment
Nel mondo classico, nel Medioevo e durante il Rinascimento l ’inse- Iic tO lltC h tl
gnamento linguistico è essenzialmente «comunicativo», basato sull’w- m ali di g
so prima che sulla forma-, l ’insegnamento era affidato all’interazione manicati^
con un madrelingua (uno schiavo greco, nella Roma antica o nelle corti sa: il sact
medievali e rinascimentali) e come modelli non c ’erano grammatiche da; suo n
Tra Rinascimento m a i testi classici. Nel secondo Rinascimento e nel Seicento nascono deli, così
e Ottocento centri che studiano la lingua come oggetto, dall’Accademia della Cru­ La sti
sca a Port Royal o alla Royal Society, si creano i primi dizionari e le
prime grammatiche, e negli stessi anni l’italiano e poi il francese si af­ a. la din
fiancano al latino come strumenti di comunicazione intemazionale nel­ «rego
le corti e nei quartieri commerciali; il latino, che non è più lingua ma­ lo stu
terna di nessuno, rimane lingua veicolare del mondo ecclesiastico e effetti
fulcro dell’educazione linguistica in scuole gestite soprattutto da ge­ b. la din
suiti, scolopi e barnabiti: in queste scuole, mano a mano che entra l’in- derazi
Come nasce la glottodidattica

segnamento delle lingue moderne esso avviene sempre di più secondo


le modalità dell’insegnamento del latino: nasce così quello che oggi
chiamiamo approccio formalistico e che domina in Italia dal Seicento
agli anni Sessanta (e che, in molte realtà, continua ad essere utilizzato).

2.1.1 La tradizione formalistica e il metodo grammatico-


traduttivo

L ’approccio formalistico focalizza l ’attenzione sulla grammatica (in­


tesa come morfologia e sintassi), con la fonologia concepita come «re­
gole di pronuncia» ed il lessico appreso con liste - elenchi di verbi
irregolari; elenchi per campi semantici come i colori, gli animali,
gli oggetti dell’aula; l ’elenco delle parole che compaiono in un testo
letterario. Le tracce di questo approccio, per quanto mimetizzate o ve­
late, sono spesso presenti ancor oggi in molta prassi didattica.
Ancora nel Seicento gli studenti ricavano le regole da un testo let­ La lìngua come
terario, o quanto meno da esso si prende spunto, m a già nel Settecento sistema di regole
abbiamo manuali in cui si procede per schemi grammaticali pronti, da
apprendere a memoria, basati su un’intuitiva frequenza d ’uso: gli ar­
ticoli, i verbi ausiliari ecc. Le regole sono considerate stabili, immu­
tabili, secondo un principio di purismo che condanna ogni variante re­
gionale; l’unica varietà di registro che viene presentata è quella forma­
le; i testi classici fungono da modello, per cui l ’italiano insegnato a
stranieri è quello di Dante, Petrarca, Boccaccio, dei grandi poemi ca­
vallereschi e - grande concessione alla modernità - di Galileo.
Lo studente è una tabula rasa su cui incidere paradigmi, regole ed Lo studente come
eccezioni, lo studio è un dovere e quindi lo studente non può discutere vaso da riempire
il contenuto, il metodo, lo scopo dello studio; il docente è un sacerdote
incontestabile che possiede la verità, basata sui testi classici e sui ma­
nuali di grammatica; docente e studenti si raccordano in un genere co­
municativo che è la lezione, la lectio dei monasteri e quelle della mes­
sa: il sacerdote legge un testo, lo commenta - ed è autorizzato a farlo
dal suo ruolo sacerdotale, non dalla sua competenza teologica: ai fe­
deli, così come agli studenti, è chiesto un atto di fede.
La strumentazione metodologica è duplice:

a. la dimensione orale viene sviluppata, dopo la presentazione delle Scritto e orale


«regole di pronuncia», con la lettura di testi, di cui è possibile che nella tradizione
formalistica
lo studente non comprenda quasi nulla; il passaggio alla lettura è
effettuato per mezzo del dettato;
b. la dimensione scritta è quella che interessa di più, anche in consi­
derazione della scarsa mobilità dei borghesi e dei piccoli nobili
20 Le sfide di Babele

che studiano nei collegi o privatamente (i veri ricchi affiancano ai-


fi insegnamento formalistico il pedagogo o la governante madre­
lingua) ed è curata facendo leggere e tradurre testi stranieri classici
e, soprattutto, frasette dalla lingua materna a quella straniera.

L ’effetto paradossale nasce dall’incrociarsi di schemi grammatica-


La tradizione li chiusi, della traduzione intesa come strumento esercitativo per ec­
delle frasi da cellenza e dell’idea di studente che deve studiare senza porsi oziose
tradurre
domande sul senso di quel che fa. Un buon esempio è la traduzione
in francese di:

Dei cammelli pieni di pidocchi e carichi di gioielli e di giocattoli


furono spaventati dai gridi dei gufi, inciamparono su dei ciottoli
del deserto, caddero e si ruppero i ginocchi.

Frase surreale che riesce a contenere quasi tutte le eccezioni nella for­
mazione del plurale delle parole in -ou. Il lavoro sulla lingua dotata di
significato è limitato ai grandi testi del passato (spesso irrilevanti psi­
cologicamente per l ’età e gli interessi psicologici di un ragazzino o un
adolescente) o è del tutto eluso nella traduzione esercitativa o nella
lettura ad alta voce. C ’è un’eccezione a questa pratica, che però si ap­
plica a studenti avanzati, vale a dire i testi con traduzione interlineare,
forma particolare della tecnologia della stampa: a una riga di testo nel­
la lingua obiettivo si accompagnava, sotto, la traduzione in corsivo,
che permetteva una forma di autoapprendimento guidato.
La descrizione dell’approccio formalistico e della sua realizzazio­
ne nel metodo grammatica-traduzione può dare la sensazione al giova­
ne del x x i secolo di qualcosa di totalmente alieno, ma non lo è.
La permanenza Fino ai primi anni Ottanta, la base dell’insegnamento linguistico è
dell’approccio stata grammatico-traduttiva - e soprattutto era formalistica l’idea di
formalistico nella
scuola grammatica, di correttezza: molti degli insegnanti oggi in servizio so­
no cresciuti in scuole medie e licei dove la grammatica, la traduzione,
i dettati erano fondamentali e si sentono spersi all’idea di percorsi in­
duttivi di scoperta grammaticale; ritengono che la correttezza prevalga
come parametro di valutazione sull’efficacia pragmatica e l’appropria-
tezza socio-culturale di un enunciato; pensano in termini di enunciati,
di frasi, piuttosto che di testi. Per molti la modernità è ciò che si trova
on line: molte delle attività che vi si trovano sono frequentemente ri­
proposizioni - con il viatico delle «nuove» tecnologie - di logiche e di
prassi proprie dell’approccio e del metodo formalistico; perfino nella
scuola primaria, dove è l ’età cognitiva a proibire l ’uso di questo ap­
proccio, ima ricerca su quel che avviene nella realtà delle classi, basa­
ta sull’autodescrizione dei docenti (che quindi tendono a presentarsi il
Come nasce la glottodidattica 21

più «moderni» possibile) mostra che la logica formalistica è solida e


presente, ben diffusa nelle 150 scuole del campione (Balboni, Daloiso,
2011). Questo fenomeno può trovare forse una spiegazione nella m e­
tafora del pendolo: fino agli anni Settanta tutto era grammatica, negli

Box 3 Approccio formalistico, metodo grammatico-traduttivo

È l’approccio che ha dominato la scuola italiana almeno fino agli anni Settanta-Ottanta e che ancora
domina molte università. In questo approccio sono cresciuti, nella maggioranza dei casi, i docenti di
lingue e quindi è questo approccio che inconsapevolmente essi tendono ad applicare, pur integrandolo
con approcci più comunicativi (anche se in apparenza adottano l’approccio comunicativo integrandolo
con elementi formalistici).

Teorie di La linguistica descrittiva tradizionale, l’educazione vista come rispetto delle regole.
riferimento

Percorso Deduttivo: si danno ie regole, se ne dedurranno i comportamenti linguistici.

Studente È una tabula rasa su cui incidere, una personalità da «plasmare»; l’autoapprendimen-
to è affidato a libri, spesso testi letterari, con traduzione interlineare.

Docente È la fonte di informazione, il modello da seguire, il giudice insindacabile.

Lingua È un insieme di regole e di lessico che consente di travasare frasi dalla lingua ma­
terna alla lingua straniera e viceversa, indipendentemente dal fatto che si veicoli an­
che un significato rilevante psicologicamente.
Il modello linguistico di riferimento è lo standard costruito secondo una logica puri­
stica, che nega ogni valore alle varietà.

Cultura Letteraria, classica, senza alcun interesse antropologico o, al massimo, lo riduce a


stereotipi.

Strumenti Il curricolo è costituito dalla lista delle regole di pronuncia e morfosintassi, l’insegna­
operativi mento è condotto per lezioni centrate sulle varie regole.

Tecniche Traduzione, dettato, esercizi di manipolazione del tipo «volgi al...» oppure «trasforma
didattiche i verbi all’infinito in...».

Materiali Manuali a stampa.

Strumenti Nessuno.
tecnologici
Le sfide di Babele

anni Ottanta-Novanta per reazione si eliminò la grammatica (o la si


propose in maniera catacombale) riducendo l ’approccio comunicativo
a comunicativismo spicciolo, il che ha deluso tutti per cui ritornano
molti elementi grammaticalistici, giungendo perfino a sconsigliare il
ricorso alla metalingua grammaticale (sul tema, Lorenzi, 2008). Sul­
l ’attuale movimento focus on form cfr. Fotos, Nassaji, 2007.

2.1.2 Gli approcci «naturali»

Le prime L ’approccio formalistico viene messo in discussione nell’Ottocento


innovazioni in negli Stati Uniti, dove la conoscenza delle lingue, non è un elemento
America
dell’educazione delle ragazze di buona famiglia ma deve rispondere
alle esigenze comunicative di una società multiculturale in rapidissima
crescita: nei primi trent’anni del secolo ricopre la cattedra di italiano
alla Columbia University Lorenzo Da Ponte (il librettista di Mozart, i
cui testi, scritti in «italiano per stranieri», sono ancora i più compren­
sibili tra i testi operistici), che insegna agli allievi a comprendere e
parlare italiano, e allo stesso modo dal 1830 insegna il francese un al­
tro grande letterato, Henry W. Longfellow, al Bowdoin College: su
queste esperienze e su quelle di altri grandi docenti americani si fonda
George Ticknor, che insegna a Harvard e che riafferma che le lingue
sono «vive e parlate», che il loro insegnamento va personalizzato sulla
base dell’età e delle caratteristiche individuali e che il percorso fonda-
mentale deve essere quello induttivo.
Il ruolo di Berlitz Nel 1872 giunge nel Rhode Island un tedesco, Maximillian Ber­
litz, e fonda una scuola di tedesco, che verrà poi presa in mano dall’o-
monimo nipote che ne farà una catena mondiale basata sulla realizza­
zione dell’approccio naturale chiamato «metodo diretto», la cui carat­
teristica qualificante è la presenza di un docente di madrelingua, l ’ac­
centuazione delle abilità orali e della capacità di leggere e comprende­
re un testo, anche se non parola per parola (da qui si evolverà il Read-
ing Method, che vedremo nel prossimo paragrafo).
Il mondo tedesco, da cui proviene Berlitz, ha necessità linguistiche
simili a quelle americane, legate all’incremento enorme degli scambi
commerciali e al fatto che il tedesco non rientra nel paniere delle lingue
L’innovazione usualmente insegnate in Europa, dove c ’è il monopolio del francese co­
in Europa me lingua di cultura e si affaccia l’inglese come lingua intemazionale.
Il grande interprete dell’approccio «naturale» è Wilhelm Viètor, che
nel 1894 fonda la prima rivista di glottodidattica, Die neuren Sprachen.
Accanto alla pressione multiculturale della società americana e a
quella commerciale della Pmssia, l ’istanza di un insegnamento «vivo»
o «naturale» (questi erano i due aggettivi correnti) delle lingue viene
Come nasce la glottodidattica 23

anche dagli studi scientifici sulla lingua, soprattutto da quelli fonolo­


gici che riportano il focus sulla lingua parlata: negli stessi anni in cui
Berlitz crea la sua scuola a Ginevra, base della branca europea della
catena Berlitz, in quella stessa città De Saussure discute la dicotomia

Box 4 L’approccio naturale, il metodo Berlitz e altre sperimentazioni d'élite

La lingua è intesa non più come ornamento culturale ma come strumento di comunicazione nel commer­
cio e nelle relazioni internazionali; la ricerca di fonetica e fonologia prima e di linguistica generale poi
riportano all’attenzione la dimensione orale. L’approccio non ha impatto sulle scuole ma in istituzioni
private (Berlitz) e in situazioni d’élite, creando gli strumenti per le evoluzioni del secondo Novecento.

Teorie di Fonetica, fonologia e nuova linguistica sostituiscono la tradizione della grammatica


riferimento descrittiva; la dimensione psicologica entra in glottodidattica.

Percorso Prevalentemente induttivo; la grammatica va «scoperta», è un punto d’arrivo. Lo stu­


dente è molto autonomo ed è responsabile del suo apprendimento.

Studente Deve essere motivato (per questo motivo la maggiore realizzazione è in scuole priva­
te) e va considerato in base all’età e alle caratteristiche personali.

Docente È madrelingua e usa pochissimo la lingua materna degli studenti; è un regista e un


facilitatore più che un insegnante tradizionale. Un insegnante di questo tipo è molto
costoso, e questo limita l’impatto alle istituzioni private.

Lingua È viva, parlata, finalizzata alla comunicazione di significati.

Cultura Viene «raccontata» dal docente o è presente nelle letture ma non è oggetto di didat­
tica specifica, non c ’è una pianificazione.

Strumenti Esiste un sillabo, ma molto flessibile e considerato come mero riferimento piuttosto
operativi che come guida rigida.

Tecniche Conversazioni, lezioni di carattere tematico più che centrate su un focus linguistico.
didattiche L’esercitazione grammaticale, pur presente, è secondaria e serve alla memorizza­
zione.

Materiali Al di là di compendi grammaticali di riferimento ed eserciziari, l’input viene dato dalla


conversazione dell’insegnante e da materiali «autentici».

Strumenti Nessuno?
tecnologici
24 Le sfide di Babele

tra parole , cioè la lingua in atto che interessa a Berlitz, e langue, il


sistema astratto dell’approccio formalistico allora in auge. Henry
L’innovazione a Sweet, uno dei grandi riformatori a cavallo tra x ix e x x secolo, è
cavallo tra un fonetista educato a Heidelberg, Otto Jespersen e Harold Palmer so­
Otto-Novecento
no docenti di linguistica - e tutti convergono sulla primarietà dell’o­
ralità rispetto al scrittura, sulla logica induttiva (inventional grommar,
la chiama Palmer, da invenire, «scoprire» in latino), tutti concordano
sull’estrema difficoltà della traduzione per cui la escludono come tec­
nica didattica, preferendo focalizzare l ’ascolto e la lettura di testi resi
comprensibili dall’insegnante attraverso parafrasi e altre attività di ri­
flessione linguistica.
Tutte queste teorie rimangono confinate, a livello di realizzazione
glottodidattica, in scuole o dipartimenti d’élite e sono legate essenzial­
mente alla presenza di docenti fortemente impegnati nella riflessione
glottodidattica, quindi non incidono sulla scuola; in Italia l ’innovazio­
ne delle scuole è portata dalle Berlitz Schools, che saranno chiuse dal
fascismo anche perché non usano manuali, quindi sfuggono alla cen­
sura, ed hanno docenti stranieri difficilmente controllabili.
Queste riflessioni e le sperimentazioni che ne conseguono, tutta­
via, non rimangono sterili: da esse nascono, dopo il ventennio degli
isolazionismi e dei totalitarismi, sia I’A stp dell’esercito americano
(vedi 2.2.1), che sarà la base della rivoluzione degli anni Sessanta (ve­
di 2.2), sia alcuni aspetti dei metodi situazionali nonché dell’approccio
di Krashen che ne riprende il nome, «naturale» (2.2.7).

2.1.3 II «Reading Method»

Dal 1914 e per trent’anni il mondo, che i commerci e il colonialismo


avevano vieppiù integrato nell’Ottocento, si frammenta: il ventennio
che separa le due guerre mondiali è segnato dall’isolazionismo ameri­
cano lanciato dalla dottrina Wilson, dalla grande depressione econo­
La lingua scritta mica degli anni Trenta, dai vari Stalin, Salazar, Franco, Mussolini e
durante le Hitler che non incoraggiavano certo il libero interscambio: alla fine
dittature
novecentesche degli anni Trenta e fino al 1945 la scuola di Bottai proibisce persino
l’insegnamento delle lingue straniere!
Non è un ventennio di viaggiatori e quindi la lingua smette di essere
viva, orale, comunicativa come per i propugnatori dell’approccio natu­
rale e per le scuole dei Berlitz: diviene solo uno strumento per leggere
opere scientifiche, professionali, letterarie ecc. provenienti dall’estero.
Il Reading Method è in realtà un approccio perché ha una sua fi­
losofia precisa che lo rende un unicum nella storia glottodidattica.
Anzitutto, esclude lo sviluppo delle competenze orali, che invece
Come nasce la glottodidattica 25

erano il perno dell’approccio naturale ed erano presenti, come regole


di pronuncia e come lettura ad alta voce, anche nell’approccio forma­ La lingua scritta
listico: è il primo esempio di reduced competence course, come si durante le
dittature
chiamano oggi; in secondo luogo modifica radicalmente la figura novecentesche
del docente: è una guida che insegna le strategie di decifrazione di te­
sti in lingua straniera, dà qualche schema grammaticale (articoli, pro­
nomi, schema delle desinenze verbali) inteso come riferimento, quasi
come dizionari grammaticali cui ricorrere quando si fatica a intuire il
significato di una frase, così come si ricorre a quello lessicale per cer­
care le parole ignote. L ’insegnante è un facilitatore che ha uno scar­
sissimo ruolo formativo e che si limita a seguire il percorso del m a­
nuale di letture, graduate intuitivamente in termini di difficoltà, fun­
gendo durante le lezioni da dizionario e repertorio grammaticale vi­
vente e venendo incontro alle domande di studenti estremamente auto­
nomi e responsabili del loro apprendimento.
Rimasta silente per mezzo secolo, l’idea di un approccio focaliz-

Box 5 Approccio della sola lettura o «Reading Method»

Fiorito negli anni dei conflitti novecenteschi, dell’isolazionismo e delle dittature, quindi deH’impossibilità
di usare la lingua orale e viva, questo approccio focalizza solo l'abilità di lettura di testi stranieri.

Teorie di Nessuna in particolare, se non in ordine alla psicologia della lettura.


riferimento

Percorso Strettamente induttivo.

Studente Molto autonomo, deve scoprire la lingua straniera, sebbene con l’aiuto del docente.

Docente Non serve che sia di madrelingua in quanto è un mero facilitaiore, funge da dizionario
e grammatica vivente per risolvere problemi di comprensione, eventualmente può co­
gliere spunti culturali dal testo.

Lingua Limitata alla sola dimensione scritta della lettura.

Cultura C’è cultura «impigliata» nei testi, ma emerge solo se il docente decide di fare una
digressione sul tema.

Strumenti,
tecniche, Semplici materiali intuitivamente graduati, all’inizio, e poi letture da materiali auten­
materiali e tici.
tecnologie
26 Le sfide di Babele

zato su una o due abilità, con una riduzione sostanziale del ruolo del
docente a favore di una forte autonomia e responsabilizzazione dello
studente, sta riemergendo sia come conseguenza della necessità di «in­
farinature» linguistiche (soprattutto orali) che non devono richiedere
un investimento sistematico di tempo e risorse.

2.2 La rivoluzione copernicana degli anni Sessanta

Il mondo che esce dall’ultimo conflitto planetario è l ’opposto degli


Il cambiamento a isolazionismi della prima metà del secolo: anziché un mosaico di tes­
metà Novecento sere che non comunicano si creano tre grandi blocchi, «ovest», «est»,
«non allineati», e nel primo di questi l ’inglese sostituisce il francese; il
primato economico e militare degli Stati Uniti, ma soprattutto quello
nei mezzi di comunicazione di massa, porta rapidamente l’inglese a
diventare la lingua della globalizzazione seguita al crollo dei regimi
del mondo «est» nel 1989: l ’insegnamento delle lingue straniere si tra­
sforma di fatto in due ambiti differenti, insegnamento dell’inglese (un
anglais d ’hadicapés come lo definì un glottodidatta belga, Jos Nivet-
te) e quello delle lingue «altre».

2.2.1 I prodromi: I ’A stp, la glottodidattica «scientifica»


di Robert Lado, la diffusione dei dischi e del
registratore audio

Le basi Una rivoluzione esplode in un dato momento - gli anni Sessanta nel
dell’innovazione nostro caso - m a è preparata da eventi e riflessioni che ne pongono le
basi. NeH’insegnamento delle lingue questi eventi avvengono durante
la seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente seguenti.
Nel 1941 gli Stati Uniti entrano in guerra e immediatamente capi­
scono che l’isolazionismo wilsoniano e la sua conseguenza glottodi­
dattica, il Reading Method, hanno privato l ’America di uno strumento
che un documento della Difesa definirà di lì a poco «strategico»: la
padronanza delle lingue vive. Gli Stati Uniti hanno quattro risorse di­
sponibili per recuperare il terreno e le mettono in azione immediata­
mente:

La psicologia a. una psicologia dell’apprendimento elaborata negli anni Trenta, il


neo (neo)behaviorismo o (neo)comportamentismo: secondo questa teo­
comportamentistica
ria l ’apprendimento è il risultato di una serie intensiva e ripetitiva di
stimoli e risposte, seguite dalla conferma o dalla correzione; il mag­
giore psicologo del tempo, Skinner, offre uno strumento psicodidat-
Come nasce la glottodidattica 27

tico aWArmy Specialized Training Program, A stp , che prenderà


avvio nel 1943, dopo un anno di gestazione nella Army’s Civil Af-
fairs Training Schools;
una teoria linguistica, che ha i suoi massimi esponenti in William
D. Whitney e Léonard Bloomfìeld il quale, nel 1942, pubblica il
testo base, Outline Guide for thè Practical Study o f Foreign Lan-
guages, dove l ’aggettivo practical assume il ruolo centrale e crea
un legame con l’approccio naturale di fine Ottocento (2.1.2). Que­
sta teoria linguistica è detta «tassonomica» in quanto tende ad La linguistica
un’analisi delle componenti minime della lingua, che quindi si tassonomica
adatta perfettamente ad essere inserita, in microstrutture, nelle se­
quenze stimolo/risposta di Skinner;
una notevole quantità di immigrati - spesso accademici fuggiti al­
le leggi razziali naziste e fasciste - capaci di fornire campioni di
lingua autentica per le batterie di pattern drill, gli esercizi struttu­
rali di Skinner, ma anche di coprire quel terzo del programma (12 Il primo uso del
ore su 36 ore settimanali) che I’A stp chiama area studies e che cinema in
glottodidattica
segnano l ’ingresso sistematico della dimensione culturale nei corsi
di lingua straniera, oltre all’uso per quanto sporadico della dimen­
sione video costituito da film girati nei paesi di cui si studia la lin­
gua e la cultura;
una risorsa tecnologica che viene impiegata in maniera innovativa,
il giradischi: gli spezzoni di lingua definiti dai linguisti vengono re­
gistrati, con l ’intonazione e la pronuncia desiderata, per fornire lo
stimolo e si lascia il tempo perché lo studente risponda, per poi
ascoltare la versione corretta, che gli conferma la sua risposta o
gli fa scoprire che era errata.
Pochi anni dopo si evolve l ’altra tecnologia di riproduzione, il re­ L’impatto del
gistratore, e inizia l’uso delle bobine di nastro magnetico: questo registratore a
nastro
porterà in pochi anni ai primi laboratori linguistici (dapprima indi­
viduali, poi collettivi negli anni Sessanta) in cui il nastro magne­
tico ha due piste: una, non cancellabile, in cui ci sono lo stimolo
registrato dal madrelingua e la sua realizzazione corretta, e una
cancellabile dopo l ’uso in cui si registra la voce dello studente: ria­
scoltando il tutto, lo studente autonomamente scopre la qualità
della sua performance confrontandola con quella del madrelingua.
Si tratta dell’ingresso della tecnologia nell’insegnamento delle lin­
gue, destinata a modificare tutta la glottodidattica mano a mano
che da semplice supporto sonoro la tecnologia diventa «catalizza­
tore», per usare l ’immagine di uno dei padri della glottodidattica
italiana, Giovanni Freddi: uno strumento senza il quale non è pos­
sibile realizzare la «reazione chimica» tra una mente ed una lingua.
28 Le sfide di Babele

Negli anni Cinquanta tutto il patrimonio di conoscenze ed espe­ l’albor


rienze derivato dall’AsTP della Guerra mondiale e dall’insegnamento ma rea
delle lingue orientali durante la guerra di Corea, insieme a quello dei cativo]
corsi di inglese L2 alle masse di immigrati postbellici, rifluisce nell’o­ Ve
Il ruolo pera di Robert Lado: fonda a Georgetown una Faculty o f languages loro fo
di Robert Lado and linguistics che per decenni organizza il maggior evento mondiale basato
di glottodidattica, la Annual Round Table, dove lo studio della natura Ip
della lingua e quella del suo insegnamento si affiancano istituzional­ conferì
mente: il libro di Lado Language Teaching, a Scientific Approach è riflessi
focalizzato sull’aggettivo scientific, quasi a togliere la glottodidattica nea; es
dalle mani di dilettanti e faccendieri; Lado è anche uno dei massimi
La linguistica esponenti di una nuova branca della linguistica, quella contrastiva, a. sin
contrastiva che sulla base delle simmetrie e dissimmetrie tra la lingua materna pie
e quella studiata cerca di predire le zone di difficoltà per uno studente, to>;
per mettere preventivamente in atto strategie e tecniche adeguate; an­ b. pm
che la dimensione degli area studies dell’AsTP viene ripresa in manie­
coi
ra nutrita dalPantropolgia culturale che si diffondeva negli anni Cin­
«ic
quanta: ancora una volta basta il titolo, Linguistics across Cultures,
c. coì
per cogliere la modernità del pensiero di Robert Lado, che va ricorda­
ma
to anche perché alla dimensione di studioso affianca quella di organiz­
zatore: è il fondatore di T esol , Teaching English to Speakers o f Other
Si
Languages, un’associazione che raccoglie studiosi e insegnanti di tut­
laboral
to il mondo e che è stata ed è veicolo di diffusone delle ricerche e del­
utilizzi
le innovazioni glottodidattiche americane.
l ’apprc
Su queste basi gli approcci formalistici, diretti, di sola lettura, non­
(in rea
ché alcuni metodi di ridotto impatto come il Basic English e il Sent-Sit
degli anni Quaranta e Cinquanta perdono ragion d’essere per ragioni americ
scientifiche oltre che economiche. ro-glot
to nel :
nologi;
2.2.2 L ’approccio strutturaiistico zando
plicità
L ’approccio strutturalistico prende il suo nome dalle microstrutture Ne
linguistiche bloomfieldiane, scelte anche con attenzione all’analisi chio» i
contrastiva di Lado e altri studiosi, calate nei pattern drill («esercizi rimana
strutturali», in italiano). La sua stagione di gloria si chiude bruscamen­ zati all
te alla fine degli anni Cinquanta, da un lato per il violento attacco di vità, ci
Chomsky al modello skinneriano, nel 1957, che distrugge alla base l ’i­ La
dea di apprendimento comportamentista che abbiamo visto in 2.2.1, gli ese
dall’altro per l’evoluzione del pensiero di Lado, anche ad opera di e autoi
una scienza che nasceva negli stessi anni, la sociolinguistica: le micro­ nofort<
strutture linguistiche non hanno significato se non in una situazione scala <
sociale, perché è quello il contesto minimo della comunicazione (è automi
Come nasce la glottodidattica

l’albore del metodo situazione, che vedremo in 2.2.4 e che sarà la pri­
ma realizzazione, ancor quasi inconsapevole, dell’approccio comuni­
cativo).
Vediamo più da vicino cosa sono gli esercizi strutturali e poi la Gli esercizi
loro fortuna nell’insegnamento linguistico, che oggi vede un recupero strutturali
basato sulle neuroscienze.
I pattern drill sono costituiti da serie di sequenze stimolo-risposta-
conferma presentate con un ritmo incalzante, al fine di impedire una
riflessione consapevole e di privilegiare la memorizzazione sponta­
nea; essi sono di tre tipi:

a. sintagmatici, che modificano la struttura del sintagma: ad esem­


pio, «io mangio» —» «io ho mangiato», «io bevo» —»• «io ho bevu­
to» e così via per un’altra decina di item;
b. paradigmatici, che legano nella memoria, ad esempio, un verbo
con un oggetto («io mangio, mela» —» «io mangio una mela»,
«io mangio, dattero» —»■«io mangio un dattero»);
c. combinati, che presentano in sequenze sempre più complesse («io
mangio, pera, ieri» —>■«ieri ho mangiato una pera»).

Si tratta di esercizi che trovano il loro ambiente naturale d’uso nel


laboratorio linguistico, cui abbiamo accennato sopra, ma che vengono
utilizzati fino a tutti gli anni Settanta in ogni tipo di metodo basato sul­ I metodi
l’approccio strutturalistico, dall’audio-linguai e audiovisual approach strutturalistici
(in realtà sono «metodi» che realizzano l ’approccio strutturalistico)
americani che privilegiano le abilità orali, alla méthodologie structu-
ro-globale audiovisuelle del croato Guberina che si afferma soprattut­
to nel mondo francofono e che utilizza intensivamente una nuova tec­
nologia, le diapositive unite in un’unica pellicola, il diapofilm, realiz­
zando una sorta di film, sebbene per immagini statiche, di grande sem­
plicità d’uso e a bassissimo costo.
Negli anni Settanta i pattern drill divengono l ’esempio del «vec­
chio» e vengono abbandonati - almeno in apparenza, perché in realtà
rimangono nei manuali secondo modalità meno meccaniche, mimetiz­
zati aH’intemo di particolari situazioni che ne giustificano la ripetiti­
vità, come ad esempio molte situazioni ludiche.
La ragione della persistenza, per quanto mimetizzata e velata, de­
gli esercizi di matrice strutturale va cercata nell’esperienza di docenti La
e autori di materiali didattici: così come non si impara a suonare il pia­ trasformazione
degli esercizi
noforte senza automatizzare il passaggio tra medio e pollice in una strutturali
scala ascendente, così come non si gioca bene a calcio se non si è
automatizzato lo spostamento indietro del corpo per dare forza al pal-
30 Le sfide di Babele

Ione, allo stesso modo non si impara una lingua se non si automatiz­
zano alcuni processi, e l’automatizzazione richiede la ripetizione.
In realtà la temperie comunicativistica, dannando i pattern drill,
ha anche spazzato via i risultati di ricerche sulla memoria che, parten­
do da basi completamente diverse da quelle di Skinner, per alcuni ver­
si ne riprendono l ’idea che la ripetizione, il rehearsal, abbia un ruolo
fondamentale nella memorizzazione: lo confermano negli anni Ses-

Box 6 Approccio strutturalistico

È il risultato dell’interazione tra la linguistica tassonomica, che riduce la lingua a microstrutture, della
psicodidattica comportamentistica, che vede l’apprendimento come risultato di una serie intensiva di
pattern drill, e della disponibilità di nuove tecnologie di registrazione che risultavano disponibili negli
anni Cinquanta-Sessanta.

Teorie di La psicologia skinneriana e la linguistica bloomfieidiana, integrata dalla analisi con­


riferimento trastiva di Lado.

Percorso Memorizzazione «forzata» di strutture e di lessico che, nell’ipotesi, dovrebbero poi ge­
nerare lingua in maniera spontanea (la psicologia comportamentistica suppone che
l'apprendimento consista nella creazione di mental habìts).

Studente È una tabula rasa che apprende secondo la stessa procedura del cane di Pavlov, per
automatizzazione.

Docente È il mero gestore di batterie di esercizi strutturali che seguono le sue brevi introdu­
zioni grammaticali; deve saper usare le tecnologie necessarie.

Lingua Serie di microstrutture.

Cultura Non rilevante.

Strumenti Programmazione di natura progressiva, dalie strutture più semplici a quelle più com­
operativi plesse, da quelle più frequenti a quelle più rare.

Tecniche Esercizi strutturali.


didattiche

Materiali Volumi con brevi spiegazioni grammaticali e molti esercizi strutturali.

Strumenti Dischi, registratore audio, e poi laboratorio linguistico e, per uno dei metodi, diapo­
tecnologici sitive su pellìcola.
Come nasce la glottodidattica

santa il modello modale di memoria di Atkinson e Scriffin e il modello


alternativo di Craik e Lockart, quello della profondità di codifica, che
non nega il ruolo della ripetizione pur riducendolo a favore di quello
della elaborazione; le ricerche più recenti sulla natura e sulla funzione
dei neuroni specchio (una enorme massa di neuroni di cui fino agli an­
ni Novanta si ignorava in buona parte la funzione) rivaluta significa­
tivamente il ruolo della ripetizione, cioè del «rispecchiare» eventi già
avvenuti (ad esempio frasi appena udite e strutture appena scoperte)
per predisporsi ad agire in eventi futuri simili.
Se la tecnica principe dell’approccio strutturalistico e dei metodi
che lo realizzavano è in fase di riconsiderazione, per il resto la sua
idea di lingua sminuzzata e decontestualizzata e di studente ridotto
a tabula rasa su cui incidere con i pattern drill è definitivamente tra­
montata.

2.2.3 L ’approccio comunicativo e la nozione di competenza


comunicativa

Il decennio chiave inizia nel 1962 con la pubblicazione di How to Do


Things with Words, di Austin, che ribadisce la finalità pragmatica del­ La nascita della
la lingua, culmina nel 1967 con il lancio del Modern Language Pro­ pragma-
linguistica
ject del Consiglio d’Europa, coordinato dall’austiniano J.L.M. Trim,
include Speech Acts di Searle (1969) e si chiude nel 1972 con la pro­
posta della nozione di competenza comunicativa da parte dell’antro­
polinguista e sociolinguista Dell Hymes.
In questi dieci anni cambia radicalmente l ’idea di che cosa sia una
lingua e di che cosa significhi sapere ima lingua.

La natura pragmatica della lingua


Nel capitolo 5 ci addentreremo nella natura formale della lingua, cioè
nel complesso di elementi lessicali e di regole di combinazione che
realizzano la facoltà di linguaggio dell ’homo sapiens. Tale natura for­
male è stata al centro della riflessione linguistica dal Peri Ermehneias
di Aristotele (tradotto di volta in volta come Dell ’espressione o Del-
l ’interpretazione o Ermeneutica) alla linguistica strutturale e a quella
generativa proprie del Novecento. Con Austin e Searle il focus non è
più «come è fatta la lingua» ma «che cosa fa la lingua», «a che cosa
serve la lingua», e la risposta è che la lingua serve per fare, per com­ La lingua come
piere atti sociali e pragmatici - serve per comunicare. azione sociale
Da millenni si classificavano gli elementi della lingua sulla base
della loro forma o della loro funzione linguistica (basti pensare alle
classiche nove parti del discorso, tu tt’ora alla base della prassi quoti-
32 Le sfide di Babele

diana nell’educazione linguistica), in questo decennio si afferma la


possibilità di classificare gli scopi (chiamandoli speech act in filosofia
del linguaggio oppure communicative function nella glottodidattica
britannica che si impone in questi anni): «dire/comprendere l ’età»,
«dire/comprendere l’ora», «condannare/assolvere», «salutare/conge-
darsi», e così via.
In realtà Austin e Searle servono da spunto, ma Trim, Wilkins,
Widdowson, Munby, Van Ek e altri si appropriano della loro riflessio­
ne e costruiscono un progetto che ha una duplice natura:

a. creare un repertorio di communicative function con una pretesa


universale (in tutte le lingue si saluta, ci si congeda, si chiede l ’o-

Box 7 Sociolinguistica, pragmalinguistica, etnolinguistica

Joshua Fishman, uno dei padri fondatori della sociolinguistica alla metà del Novecento, sintetizzò il
campo d’analisi con le celebri «4 Ws»: Who speaks What language to Whom and When: la socio­
linguistica studia l’uso della lingua all’interno della situazione sociale in cui viene utilizzata. Una
definizione più moderna può essere quella che attribuisce alla sociolinguistica lo studio delle diver­
se varietà in cui si attualizza la lingua: da un lato c ’è lo «standard», cioè la lingua spesso ideale e
senza realizzazioni sociali frequenti, dall'altro ci sono le sue varietà geografiche (non i dialetti ita­
liani, che tranne nel caso dell’Italia centrale sono vere e proprie lingue): le varietà di registro, da
quelle auliche e formali a quelle colloquiali e volgari; le varietà legate al mezzo, per cui l’italiano di
un telegiornale, un parlato basato sullo scritto, è diverso da quello di un giornale, di una email e
così via; ci sono le microlingue scientifico-professionali nonché le varietà diacroniche (l’italiano del
Dolce Stil Novo, quello seicentesco ecc.), di genere, di età, e così via. La sociolinguistica è una
delle scienze del linguaggio e non va confusa con la sociologia del linguaggio, che è una branca
della sociologia: non descrive la lingua in uso, ma il ruolo sociale della lingua.
Sul piano glottodidattico, l’introduzione di parametri sociolinguistìci decreta la fine degli approc­
ci grammaticalistici, basati su una lingua stabile e «pura», e apre la strada ai metodi situazionali.

La pragmalinguistica studia gli scopi e i risultati dell’uso della lingua vista come strumento
d’azione all’interno di una situazione sociale. Lo studio delle funzioni del linguaggio, iniziato all’i­
nizio del Novecento e culminato alla metà del secolo, era già in nuce pragmalinguistica, ma questa
scienza del linguaggio si impone come autonoma con i volumi degli anni Sessanta che abbiamo
citato nelle prime righe del paragrafo. L’oggetto della pragmalinguistica sono gli atti linguistici
(che in questo volume ampliamo ad atti «comunicativi», in cui alla dimensione linguistica si aggiun­
gono componenti psico-sociali) e l’analisi del discorso nelle sue varie forme.
La pragmalinguistica offre alla glottodidattica lo strumento concettuale - l’atto comunicativo,
la language function - su cui si fondano i Livelli Soglia (2.2.5) e, in diversa misura, tutta la glotto­
didattica dagli anni Settanta-Ottanta a oggi.

L’etnolinguistica analizza il rapporto tra lingua e cultura, dagli aspetti più semplici, quali le nor­
me di cortesia, ad aspetti più «dirompenti», come l’ipotesi di Sapir e Whorf secondo cui la cultura di
appartenenza guida la visione della realtà, se non altro perché il lessico disponibile per definirla
varia e, a seconda della disponibilità di lessico, si categorizza il mondo in maniera differente.
Hymes, il creatore della nozione di competenza comunicativa di cui si parla in questo paragra­
fo, si definiva un antropolinguista.
Come nasce la glottodidattica 33

ra) e poi vedere, per le varie lingue, quali exponent le realizzano


(ci si saluta in ogni lingua, ma per farlo gli italiani usano «ciao / Le «funzioni
buon giorno», i francesi «salut / bon jour», gli inglesi «hello / good comunicative» e
le «nozioni»
moming» - inserendo quindi anche la variabile sociolinguistica di
registro o, ad esempio con l ’inglese, quella geografica che distin­
gue hello britannico da hi americano); siccome nella lingua non
tutto ha funzione pragmatica pura, m a esistono anche elementi
che qualificano, modificano, connettono ecc., si ricorre ad un’altra
categoria, le notion (quantità, colore, temporalità ecc.); da questi
due termini prende il nome il metodo nozionale-funzionale che ve­
dremo in 2.2.5;
b. stabilire dei livelli di competenza comunicativa omogenei tra e va­
rie lingue, il più famoso dei quali è il Livello Soglia, che nell’evo­ I Livelli Soglia
luzione del progetto del Consiglio d’Europa diverrà, negli anni
Novanta, il livello B1 (vedi 2.2.10).
Il primo di questi repertori, il Threshold Leve!, è del 1975, e in
treni’anni sono stati creati altri 21 Livelli Soglia, cioè elenchi di
funzioni e nozioni che rappresentano la soglia dell’autonomia co­
municativa e che, almeno in teoria, dovrebbero essere omologhi
nelle varie lingue (chi possiede il livello soglia di inglese sa fare
in qùella lingua le stesse cose che sa fare in tedesco o in sloveno
chi ha raggiunto il livello soglia in queste lingue). Per dare mag­
giore spessore scientifico a dei livelli soglia (e agli altri livelli, che
vedremo) che sono spesso abborracciati e in parte arbitrari, negli
ultimi anni si stanno creando dei «profili» che indicano i contenuti
linguistici dei vari livelli nelle varie lingue.

Torneremo in 5.4 sul tema delle funzioni e degli atti comunicativi,


nel tentativo di fornire un modello meglio strutturato - ammesso che
un modello ci fosse, nell’intera operazione del Consiglio d ’Europa -
ma è innegabile che, pur avendo rivoluzionato la glottodidattica, ci sia
ancora molta riflessione teorica da compiere in modo da ridurre il tas­
so di arbitrarietà insito nella logica dei Livelli Soglia.

La competenza comunicativa
L ’approccio comunicativo è caratterizzato dalla nozione di «compe­
tenza comunicativa» e da questa dichiarazione, nel senso del Box 2:
«lo scopo dell’insegnamento della lingua è il raggiungimento di un li­
vello x (A l-2, B l-2, C l-2, nei termini del Portfolio linguistico euro­
peo che vedremo in 2.2.10) nella lingua straniera».
Per essere fondata sulla verità, la dichiarazione deve fare riferi­
mento ad un modello (quindi ima struttura concettuale potenzialmente La competenza
vera sempre e ovunque) di competenza comunicativa. Questa nozione comunicativa
34 Le sfide di Babele

arriva nei primi anni Settanta dalla sociolinguistica americana, m a con


forti componenti pragmalinguistiche e di etnometodologia della co­
municazione: Dell Hymes, che riprende la nozione chomskyana di
«competenza», un sistema di regole in numero finito che permette
di generare un numero infinito di enunciati, rileva che la competenza
linguistica non garantisce la capacità comunicativa, che richiede an­
che componenti extralinguistiche e socioculturali. Ne nasce una serie
di interpretazioni, di analisi, di modelli nel mondo così come in Italia,
dove si conducono analisi di natura assai diversificata che durano per
tutti gli anni Settanta. In pochi anni tuttavia l’attenzione si sposta dal
concetto, la competenza comunicativa, al mezzo, il metodo funziona-
le-nozionale, per raggiungerla.
Nei primi anni Novanta abbiamo iniziato lo studio di un possibile
modello che, dopo una serie di aggiustamenti, può essere visualizzato
in questo diagramma:

Lo schema si legge come segue:

Le componenti a. la competenza comunicativa è una realtà mentale che si realizza


deila competenza come esecuzione nel mondo, in eventi comunicativi realizzati in
comunicativa
contesti sociali dove chi usa la lingua compie un’azione; le due pa­
role in corsivo rimandano a competence e performance, la dicoto­
mia chomskyana che contrappone la dimensione mentale della lìn­
gua e la sua realizzazione reale;
b. nella mente ci sono tre nuclei di competenze che costituiscono il
sapere la lingua:
- la competenza linguistica, cioè la capacità di comprendere e
produrre enunciati ben formati dal punto di vista fonologico,
morfologico, sintattico, lessicale, testuale (espanderemo questi
temi in 5.3);
- le competenze extralinguistiche, cioè la capacità di compren­
dere e produrre espressioni e gesti del corpo (competenza ci­
nesica), di valutare l ’impatto comunicativo della distanza in­
Come nasce la glottodidattica

terpersonale (competenza prossemica), di usare e riconoscere


il valore comunicativo degli oggetti (oggettemica) e del vestia­
rio (vestemica), come vedremo in 5.4;
- il nucleo delle competenze contestuali relative alla lingua in
uso: la competenza sociolinguistica, quella pragmalinguistica
e quella (inter)culturale (5.5 e 6.2);
c. le competenze mentali si traducono in azione comunicativa, nel
saper fare lingua, quando esse vengono utilizzate per comprende­ La padronanza
re, produrre, manipolare testi: si tratta delle abilità, che non sono linguistica
solo le quattro di base (ascolto, lettura, monologo, scrittura) più
quella interattiva, il dialogo, ma anche abilità manipolative come
il riassumere, il tradurre, il parafrasare, il prendere appunti, lo scri­
vere sotto dettatura; abbiamo chiamato questo meccanismo di at-
tualizzazione della competenza «padronanza» e lo approfondire­
mo in 5.6;
d. i testi orali e scritti prodotti attraverso il meccanismo di padronan­ La lingua come
za contribuiscono a eventi comunicativi, governati da regole so­ azione
ciali, pragmatiche, culturali (una tavola rotonda in un convegno
ha regole diverse da quelle di una conversazione sullo stesso tema
e con le stesse persone m a realizzata al bar): è il saper fare con la
lingua.

Lo schema che abbiamo dato sopra presenta un diagramma strut­


turale della competenza comunicativa; è possibile avere anche un dia­
gramma dinamico, evolutivo, che parte dal punto «zero» di competen­
za e rende visibile il progressivo aumento del volume complessivo:

L’ampliamento
della competenza
comunicativa

Il grafico si legge in questo modo: le cinque facce della piramide


corrispondono ai cinque componenti del modello strutturale visto sopra:
due facce sono visibili nel mondo della comunicazione reale, quelle le­
gate alla padronanza e alla pragmatica, le altre tre facce non sono visi­
bili perché costituiscono la dimensione mentale, le competenze.
Sono poi indicati dei «tagli», che creano piramidi di volume via
36 Le sfide di Babele

Box 8 Approccio comunicativo

Non nuovo nella tradizione (per millenni non si è concepito altro approccio) ma innovativo nelle premes­
se scientifiche, è alla base della didattica delle lingue straniere (e non solo) dagli anni Settanta. Spesso
tuttavia l’etichetta «approccio comunicativo» è solo un maquillage a una prassi che di comunicativo ha
poco.

Teorie di Pragmalinguistica, sociolinguistica, etnometodologia della comunicazione, comuni­


riferimento cazione interculturale. Non ci sono riferimenti espliciti all’ambito pedagogico e psico­
logico, ma è evidente che si attribuisce allo studente un ruolo attivo, centrale.

Percorso La dimensione induttiva tende a prevalere nelle varie realizzazioni, nei vari metodi
che realizzano l’approccio.

Studente È posto al centro, con i suoi bisogni e interessi, ma i vari metodi accentuano centra­
lità e autonomia in maniera diversa.

Docente Gestisce l’input e guida lo studente, come facilitatore e regista, ma non come model­
lo e giudice onnisciente.

Lingua È vista primariamente come strumento di azione sociale.

Cultura Le «nozioni» culturali sono indispensabili per garantire l’efficacia e l’appropriatezza


della comunicazione.

Strumenti 1Livelli Soglia, i sillabi nozionali-funzionali, la scelta delle situazioni comunicative co­
operativi stituiscono strumenti inediti, propri di questo approccio.

Tecniche Ogni metodo seleziona le proprie tecniche, ma comuni a tutti i metodi sono le varie
didattiche forme di roleplay, di interazione simulata.

Materiali Manuali cartacei dotati di cassette o CD e, sempre di più, di video, per far ascoltare o
mostrare interazioni autentiche o, quanto meno, verosimili, cioè costruite a fini didat­
tici.

Strumenti Registratori audio e video per l’input ma anche per registrare le performance degli
tecnologici studenti e poterle analizzare in seguito; tutte le strumentazioni di comunicazione au­
tentica, da skype agli smart phone al mondo di internet, possono contribuire profi­
cuamente.
Come nasce la glottodidattica

via maggiore: l ’azione glottodidattica allarga progressivamente il vo­


lume spostando la base verso destra. Va da sé che se viene curata una
sola faccia, ad esempio l ’aspetto grammaticale a scapito di quello
pragmatico, la base non è più perpendicolare all’asse della piramide,
e quindi questa risulta sghemba, squilibrata.

2.2.4 I metodi situazionali a base sociolinguistica

Nessuna rivoluzione avviene all’improvviso: chi avesse saputo legge­ Gli anni Sessanta
re gli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta del Novecento avrebbe e Settanta
visto che l ’approccio strutturalistico puro stava cedendo alle istanze di
un insegnamento comunicativo reso necessario dall’aprirsi del mondo
agli scambi di persone, oltre che di merci e servizi.
In America il motore di questa riforma era Robert Lado, continua­
tore della tradizione antropologica di Malinowsky e di Firth, che negli
anni Trenta avevano ribadito il ruolo del contesto socio-culturale nella
comunicazione (6.1), ma anche amico di Joshua Fishman che negli an­
ni Cinquanta aveva dato status alla sociolinguistica.
In Europa, nel 1965 e 1966 si tengono a Besançon e a Frascati,
sede di due importanti centri di ricerca, seminari cui partecipano Ar­
cami, Freddi, Cambiaghi, Titone, che sono tra i primi glottodidatti ita­
liani che si occupano di insegnamento delle lingue straniere.
Il tratto comune a queste esperienze è la tendenza a conservare al­
cuni elementi dell’approccio strutturalistico per le esercitazioni, m a a
proporre le strutture ed il lessico contestualizzandoli all’interno di «si­ La nascita del
tuazioni», da cui la denominazione di «metodo situazionale». Le situa­ metodo
situazionale
zioni vengono definite sulla base delle coordinate spazio-temporali
(una mattina al mercato, una sera al bar, un anno fa in aeroporto, doma­
ni in stazione), del ruolo dei partecipanti (amici, conoscenti, estranei,
persone legate da un rapporto simmetrico o non) e dei loro scopi (com­
prare verdure, offrire da bere, prendere un aereo, prenotare un treno).
Il tipico manuale situazionale si basa su unità didattiche (abbastan­ Gli elementi tipici
za corpose nei manuali italiani di lingue straniere, molto più snelle in del metodo
situazionale
quelli britannici) in cui lo studente trova:

a. un buon paratesto, cioè la serie di immagini, titoletti, didascalie


che stanno «intorno al testo» e che sono fondamentali per sintoniz­
zarsi con la situazione sociale descritta. Già negli anni Settanta ac­
canto alle foto nel manuale è possibile avere diapofilm, cioè dia­
positive su pellicola da far procedere mano a mano che si svolge il
dialogo, in modo da situazionalizzarlo anche nei dettagli; l ’inse­
gnante esplora il paratesto con gli studenti per fare con loro delle
38 Le sfide di Babele

ipotesi su quel che può comparire nel dialogo e per indicare alcune
parole chiave, essenziali per comprendere il dialogo;
b. un dialogo registrato su bobina (utilizzabile quindi solo in aula) e
poi disponibile nella ben più agile audiocassetta allegata al manua­
le che consente ad ogni studente di riascoltare i brani tutte le volte
che vuole, autonomamente (è un caso in cui l ’evoluzione tecnolo­
gica consente enormi salti di qualità glottodidattica), con una serie
di domande di comprensione in modo che in due o tre ascolti suc­
cessivi si possano comprendere gli elementi principali del dialogo;
c. una versione segmentata del dialogo, che offre agli studenti la
possibilità di ripetere coralmente le battute, al fine di fissare pro­
nuncia ed intonazione sulla base di un modello nativo; nel labora­
torio linguistico è possibile anche riascoltare la propria ripetizione
comparandola con l ’esecuzione del madrelingua; gli studenti sono
chiamati a drammatizzare i dialoghi, eventualmente con la sostitu­
zione di qualche elemento, soprattutto sull’asse formale/informale,
che è la principale forma di variazione sociolinguistica ad entrare
stabilmente in glottodidattica;
Eredità da d. la tradizione strutturalistica rimane in alcuni pattern drill registrati
approcci per l ’uso nel laboratorio linguistico, ma di fatto usati in classe; ol­
precedenti
tre ad esercizi di morfosintassi e lessico, ce ne sono anche di fo­
netica, basati su serie di coppie minime (bin/been, sin/seen ecc.);
e. la tradizione formalistica (vedi 2.1.1) riaffiora in una sezione di
grammatica esplicita, con relativi esercizi, prevalentemente di tra­
sformazione («volgi al plurale», «inserisci la forma corretta del
verbo tra parentesi» ecc.) o di completamento («inserisci la prepo­
sizione al posto dei puntini») - ma gli insegnanti aggiungono spes­
so la traduzione di frasi alla lavagna;
f. la tradizione del Reading Method (vedi 2.1.3) riaffiorava nelle let­
ture di civiltà, di solito basate su stereotipi o su notiziole spesso di
scarsissimo interesse motivazionale (le nazioni che formano il Re­
gno Unito; i formaggi francesi; un po’ di storia e geografia), con
qualche domanda di comprensione, la richiesta di riassumere ed
eventualmente di scrivere una breve composizione confrontando
il paese straniero con l ’Italia.

Si tratta di una logica che gli inglesi sintetizzavano come 3P’s:


Presentation, Practice, Production e che, malgrado tutte le innovazio­
ni, è ancora sostanzialmente alla base dei manuali attuali, a distanza di
mezzo secolo. La teorizzazione piena di questo metodo è in un clas­
sico della glottodidattica italiana, Metodologia e didattica delle lingue
straniere, di Giovanni Freddi (1970).
Come nasce la glottodidattica 39

Box 9 Approccio (proto)comunicativo: Metodo situazionale

L’approccio comunicativo non è ancora stato teorizzato in questi anni, ma di fatto la necessità di un
insegnamento in cui la lingua sia calata in situazioni d’uso è sentita e fin dalla fine degli anni Sessanta
questo metodo stabilisce una modalità operativa di insegnamento orientato alla comunicazione (basato
su «unità didattiche») che rimane, sostanzialmente, alla base dì molti dei corsi di lingua in uso oggi.

Teorie di Forte impatto della sociolinguistica, attenzione alla fonetica, attenuazione dell’impat­
riferimento to della psicologia comportamentistica.

Percorso Nelle intenzioni degli autori dei manuali il percorso è induttivo, nella realtà gli inse­
gnanti procedono in maniera prevalentemente deduttiva.
La sequenza è presentation, practice, production.

Studente Sul piano psicodidattico è ancora una tabula rasa, ma ne viene valorizzata la cono­
scenza del mondo nelle fasi di esplorazione del paratesto e di creazione di ipotesi.

Docente Rimane il fulcro dell’attività didattica, ma per l'input si affida al supporto dei testi re­
gistrati.

Lingua Smette di essere monolitica ed invariabile, si offrono non solo varietà di registro ma
si accenna, in fase di ascolto, anche alle varietà geografiche e di argomento.

Cultura Diventa via via più importante nell’esplorazione della situazione e riceve attenzione
in ogni unità didattica, sebbene con scelte stereotipate in ordine ai temi.

Strumenti Il curricolo non è più solo linguistico ma anche situazionale; in ogni situazione si in­
operativi cludono gli elementi linguistici e culturali ad essa legati.

Tecniche Attività di ascolto precedute da attività propedeutiche, di comprensione e di dramma­


didattiche tizzazione; rimangono gli esercizi strutturali, accompagnati da esercizi di manipola­
zione linguistica.

Materiali Manuali divisi in unità didattiche, accompagnati da audiocassette e talvolta da dia-


pofilm.

Strumenti Registratore audio, laboratorio linguistico, diapofiim. Fondamentale il passaggio dal­


tecnologici la bobina magnetica (utilizzabile solo in classe con registratori ingombranti) all’audio-
cassetta, che può agilmente essere allegata.
40 Le sfide di Babele

2.2.5 I metodi funzionali a base pragmalinguistica

Il Modern Abbiamo visto (2.2.3) che il nucleo propulsore del Modern Language
Language Project Project è britannico e ruota intorno a figure di alto prestigio come
del Consiglio
d’Europa Trim, Wilkins, Widdowson, cui si aggiunge il gruppo francese che
fa capo a Daniel Coste. Si tratta di glottodidatti che agiscono su un
doppio binario, fondamentale per trasformare un’innovazione teorica
(l’approccio comunicativo) in una «rivoluzione» sociale nella pratica
dell’insegnamento: un binario politico (nel senso d i policy, non di po-
litics) che si appoggia al Consiglio d’Europa, il che induce facilmente
negli insegnanti europei la convinzione che si tratti di un progetto del­
la Comunità Europea, e un binario editoriale, in primis Longman che
nel 1975, l ’anno del Threshold Level, pubblica una collana di manuali
dal titolo Strategies. Quindi, nel momento in cui l ’inglese assume il
ruolo che era stato del francese, l’insegnamento linguistico europeo
si trova a disporre di:

La novità degli a. strumenti concettuali teorici: l ’approccio comunicativo, proposto


anni Settanta attraverso le collane glottodidattiche che fioriscono presso ogni
grande editore, anche a supporto dei nuovi materiali didattici;
b. strumenti di progettazione curricolare: il Threshold Level del
1975, cui si aggiungono presto il Niveau Seuil del 1976, il Nivel
Umbral del 1979, il Kontaktschvelle del 1980, il Livello Soglia
del 1982, per restare nell’ambito delle lingue più insegnate nei si­
stemi scolastici;
c. il metodo «nozionale-funzionale», che offre una base metodolo­
gica;
d. manuali didattici prodotti con dovizia di mezzi da editori intema­
zionali;
e. per l ’Italia in particolare, nel 1980 si avvia il Progetto Speciale
Lingue Straniere che in pochi anni produce circa 300 «super-inse­
gnanti» formati negli Stati Uniti, in Francia e Germania, utilizzati
come formatori dei loro colleghi con corsi di 100 ore, seguiti da
follow up di 50 ore annuali: un investimento enorme che coinvolge
oltre il 50% degli insegnanti di inglese e circa il 70% di quelli di
francese e tedesco e che diffonde l ’approccio comunicativo e la
sua realizzazione nozionale-funzionale; questa attività di forma­
zione coinvolge anche le due grandi associazioni di insegnanti
di lingue, VAssociazione Nazionale degli Insegnanti di Lingue
Straniere (A n il s ) e Lingua e Nuova Didattica (L en d ), nonché
le associazioni monolingui di insegnanti di inglese, francese, tede­
sco e delle due lingue che negli anni Ottanta si affacciano nella
scuola, russo e spagnolo.
Come nasce la glottodidattica 41

Una forza d ’urto come questa sconvolge l ’insegnamento linguisti­


co, m a la rivoluzione è troppo forte per poter essere assorbita piena­ La permanenza
mente: da un lato, l’approccio grammaticale con cui sono cresciuti gli di elementi di
approcci
insegnanti viene ufficialmente condannato e bandito, ma gli insegnan­ precedenti
ti vi ricorrono quasi clandestinamente per «integrare» manuali troppo
drastici nell’ignorare la grammatica; dall’altro rimane la pratica degli
esercizi strutturali, ridotti in numero e non più in laboratorio linguisti­
co, soprattutto in manuali di produzione italiana; infine, 1’impianto
dei manuali rimane quello che abbiamo visto in 2.2.4, sostanzialmen­
te legato alla sequenza presentation, practice, production: la prima è
sempre più affidata al registratore audio e, in alcuni materiali, anche
al video, la pratìce riguarda gli atti comunicativi, la production si
concretizza in roleplay, dialoghi aperti, drammatizzazioni (che vedre­
mo meglio in 8.3.1) e, mano a mano che ci si inoltra negli anni No­
vanta, nelle metodologie psicodidattiche «a mediazione sociale», cioè
quelle in cui gli studenti lavorano tra di loro costruendo insieme la
loro conoscenza («costruttivismo»): per stimolare la comunicazione
si impostano attività d i problem solving oppure basate sull’esecuzione
di un progetto (project work, task based teaching) e ci si affida al peer
tutoring, cioè alla collaborazione tra studenti, all’apprendimento coo­
perativo.
La cultura è ridotta a cultura quotidiana, materiale, e tende a
scomparire la riflessione sulla civiltà dei popoli di cui si studia la lin­
gua - i valori, il senso dell’organizzazione sociale, le marche di iden­
tità culturale. Ciò è dovuto in parte anche all’affermarsi dell’editoria
che crea manuali «universali», ad esempio di inglese per tutto il mon­
do: come ebbe occasione di dire in un convegno l ’autore di uno dei
più diffusi manuali degli anni Ottanta, i libri andavano venduti in Cile
e in Cina, in Russia e in Iran, e mettere nel manuale una pagina sul
concetto di democrazia nella cultura inglese era controproducente.
La traduzione viene vista come il prototipo di ciò che è «male» e La scomparsa
viene abbandonata non solo nelle fasi iniziali, come è giusto, m a an­ della traduzione
che a livelli avanzati, dove invece costituisce uno strumento straordi­
nario di riflessione linguistica e interculturale (vedi 8.4.5).

2.2.6 La glottodidattica «umanistica»

Negli anni Settanta-Ottanta la dimensione psicologica diviene sempre


più rilevante in glottodidattica; in Italia questo significa soprattutto un
interesse per il contributo della psico- e neurolinguistica mentre negli
Stati Uniti, che lentamente si sostituiscono alla Gran Bretagna nella
42 Le sfide di Babele

Box IO Approccio comunicativo: Metodo nozionale-funzionale

È il metodo più diffuso per realizzare l’approccio comunicativo: fonde i concetti di «nozione» e di «atto
comunicativo» (o communicative function, da cui il nome) con la struttura metodologica che si era affer­
mata con il metodo situazionale (vedi 2.2,4),
Per quanto rivisto nella forma, nei materiali, nell’uso di tecnologie sempre più significative come
strumenti di comunicazione reale tra studenti di varie lingue, è il metodo di riferimento della manuali­
stica di oggi.

Teorie di Forte impatto della pragmalìnguistica e della sociolinguistica. Per permettere la di­
riferimento mensione comunicativa si accentua l’interesse per la psicodidattica di natura socia­
le - problem solving, lavoro di coppia e di gruppo, apprendimento cooperativo, e così
via.

Percorso Nelle intenzioni degli autori dei manuali il percorso era induttivo, nella realtà gli inse­
gnanti procedevano in maniera prevalentemente deduttiva.
La sequenza rimane presentation, practice, production, come visto in 2.2.4.

Studente Sul piano psicodidattico non è più una tabula rasa, ne viene valorizzata la conoscen­
za del mondo e dei meccanismi pragmatici di comunicazione, si ricorre sempre più,
con il passare degli anni, alle metodologìe a mediazione sociale.

Docente Rimane il fulcro dell’attività didattica, ma si affida al supporto dei testi registrati per
l’input.

Lingua È vista dal punto pragmatico più che formale; non è più una lingua monolitica e inva­
riabile, ma si offrono varietà di registro, geografiche e talvolta anche di argomento.

Cultura Le regole socio-culturali della vita quotidiana diventano importanti per la comunica­
zione, e la produzione di manuali internazionali evita gli stereotipi; si attenua la rifles­
sione sui grandi valori di civiltà, sia perché meno rilevanti sul piano comunicativo, sia
per l’internazionalizzazione dei manuali.

Strumenti Il curricolo è situazionale e pragmatico; le unità didattiche sono basate sulle «3P».
operativi

Tecniche Attività di ascolto precedute da attività propedeutiche, di comprensione e di dramma­


didattiche tizzazione; essenziali le attività tra studenti.

Materiali Manuali divisi in unità didattiche, accompagnati da audiocassette e talvolta da video.

Strumenti Registratore audio e video.


tecnologici
Come nasce la glottodidattica 43

funzione trainante nella ricerca glottodidattica, la riflessione riguarda


soprattutto le implicazioni della psicologia umanistica.
I testi canonici della psicologia (e psicodidattica) umanistica sono La psicologia
Toward a Theory o f Instruction (1966) di Jerome Bruner e Freedom to umanistica
Leam (1969) di Cari Rogers; la cui filosofia di fondo di questa cor­
rente psicologica (e psicodiattica), a costo di banalizzare, è nella cele­
bre battuta di Bruner «finora la scuola ha insegnato dal collo in su e ha
dimenticato il resto dell’uomo», che stigmatizza la tradizione logica,
razionale, intellettuale dell’insegnamento a scapito della dimensione
emozionale della persona che apprende; altri testi fondamentali in que­
sto senso, i cui titoli sono sufficienti a fornire i contorni della rivolu­
zione umanistica in psicologia, sono Frames o f Mind: The Theory o f
Multiple Intelligences (1984) di Gardner, in cui si analizza l’intelligen­
za come il complesso risultato dell’interazione di almeno sette tipi di­
versi di intelligenza, mentre la tradizione glottodidattica si è sempre La psicologia
rifatta alle sole intelligenze linguistica e logico-matematica; Descar­ umanistica
tes’ Error di Damasio (1994), secondo il quale l’errore di Cartesio
sta nel focalizzare tutto su Cogito, ergo sum, riducendo l’uomo alla
sfera razionale (Damasio in realtà dimentica un’opera fondamentale
di Cartesio: Le passions de l ’âme)', Emotional Intelligence di Goleman

Box 11 Neurolinguistica, psicolinguistica, psicologia deli’apprendimento, psicodidattica

La neurolinguistica studia il funzionamento del cervello in ordine al linguaggio. Le sue principali ap­
plicazioni riguardano i disturbi dei linguaggio, dalla dislessia alla disgrafia fino alla sordità e all’a­
fasia, ma in glottodidattica ha avuto un ruolo essenziale nell’indicare la funzione diversa dei due
emisferi cerebrali (quello destro che presiede alla percezione globale, olistica, quindi contestuale;
quello sinistro, dove la lingua viene memorizzata nelle aree di Braca e Wernicke, che presiede al­
l’attività analitica), rilevando che entrambi cooperano alla produzione e alla comprensione linguisti­
ca, ma operando secondo una sequenza che vede anzitutto le operazioni globali e solo dopo quelle
analitiche.
La psicolinguistica inizia nella prima parte del Novecento come psicologia del linguaggio, al­
l’interno degli studi psicologici, ma si rende autonoma e si evolve in direzione delle scienze del
linguaggio negli anni Cinquanta. I suoi oggetti principali di studio sono l’acquisizione del linguaggio
e i meccanismi di codifica e decodifica; un aspetto particolare riguarda l’ipotesi di una Grammatica
Universale come parte del patrimonio genetico dell’bomo sapiens.
La psicologia dell’apprendimento e la psicodidattica studiano (rispettivamente dal punto di vi­
sta dell'apprendente e del docente) i meccanismi mentali che presiedono all’acquisizione, lingui­
stica e non. Si basano in parte sulle neuroscienze (ad esempio assumendo come nucleo minimo
per l’apprendimento la sequenza globalità -> analisi -» sintesi cui abbiamo accennato sopra, op­
pure studiando il ruolo dei neuroni specchio nella memorizzazione, visto in 1.4.2), in parte sulle
ricerche sulla memoria, che dagli anni Sessanta sono uno dei focus della psicologia cognitiva, e
in particolare studiano gli stili cognitivi e quelli d'apprendimento; soprattutto per quanto riguarda la
formazione scolastica, si interessano anche di motivazione e del ruolo delle relazioni tra gli appren­
denti e i docenti nel favorire od ostacolare l’apprendimento.
44 Le sfide di Babele

(1995), dove per la prima volta la sfera emotiva viene vista come una
forma di intelligenza; infine,-Schumann (uno dei formatori dei docen­
ti di inglese coinvolti nel Progetto Speciale Lingue Straniere di cui ab­
biamo notato il fondamentale contributo in 2.2.5) scrive The Neuro-
biology ofAffect in Language (1997) e The Neurobiology ofLearning.
Perspectìves from Second Language Acquisitìon, nel 2004. Negli Anni
Ottanta e Novanta infine si studiano i diversi stili cognitivi e i diver­
si stili d’apprendimento degli esseri umani (tra gli studi italiani, M a­
riani, 1996; Titone, 1999; Mariani, Pozzo 2002; vari saggi in Caon
2006a).
In sintesi, il contributo della psicologia e della psicodidattica uma­
nistica (il cui nome deriva dal suo considerare la complessità della hu­
manitás) all’insegnamento linguistico sta nell’aver ricordato che:

La glottodidattica a. come evidenziato dalle neuroscienze, il cervello umano è funzio­


umanistica nalmente diviso in due emisferi che, pur in piena e continua in­
terazione, riguardano la conoscenza (e quindi l ’apprendimento)
olistico, globale, intuitivo e quello analitico, logico, razionale:
insegnare a uno studente visto come pura razionalità, dimentican­
done la capacità olistica e la dimensione emozionale, significa
insegnare a mezzo uomo; inoltre, l ’elaborazione dell’input (di­
dattico e non) è prima globale e poi analitica, e la riflessione è
l ’atto conclusivo del processo (ritroveremo questo principio co­
me fondante dell’unità d ’acquisizione in 7.1);
La dimensione b. la dimensione emozionale non è solo una componente essenziale,
emozionale m a di fatto diviene spesso prevalente, soprattutto nei bambini e
negli adolescenti, cioè nella maggioranza degli studenti di lingue:
l ’atteggiamento verso una lingua, la relazione con l ’insegnante e
con i compagni, la motivazione, il piacere di apprendere o l ’ansia
da prestazione, perfino il piacere derivato dal layout grafico del
manuale contribuiscono al successo o insuccesso del processo
di acquisizione di una lingua. (Soprattutto in Italia si affermerà
l ’etichetta «umanistico-affettivo», che non solo è un inutile pleo­
nasmo, in quanto l ’affettività è una delle emozioni ed è quindi
compresa nel concetto di «umanistico», ma è anche fuorviante
perché può portare a credere che un buon insegnante sia tale se
è «affettivo»);
c. la mente umana funziona secondo le sue procedure, che vanno ri­
spettate per ottenere il miglior risultato: tra le scienze che si svi­
luppano negli stessi anni della psicologia umanistica di Rogers c
della psicodidattica di Bruner, si impone la linguistica acquisizio-
nale, che vedremo in 2.2.9 e che studia le sequenze di acquisizionc
di una data lingua: l ’idea che esista un ordine naturale di acquisi-
Come nasce la glottodidattica 45

zione sarà incorporata nella glottodidattica umanistica da Krashen,


come vedremo nel prossimo paragrafo;
d. l ’accentuazione del fatto che per essere interiorizzato l’apprendi­ L’apprendimento
mento debba essere «significativo», secondo la definizione di N o­ significativo
vak (1998: 20), portando «chi impara a farsi carico della propria
personale costruzione di significato». Ciò non significa solo che
i contenuti devono essere percepiti come significativi (o «psicolo­
gicamente rilevanti» come dicono altri psicodidatti) per il progetto
che lo studente ha del suo sé presente e futuro e del ruolo che la
lingua può rivestire in tale progetto, m a anche che l ’apprendimen­
to avvenga in quella che Bruner chiama una «relazione significa­
tiva» tra docente e studente, costruita attraverso l ’attenzione espli­
cita dell’insegnante ai bisogni dello studente e una negoziazione
esplicita sulle modalità della didattica, della vita scolastica, del
modo di studiare ecc.;
e. l ’idea che la conoscenza venga costruita dallo studente nella sua
mente, e che tale costruzione sia più rapida, complessa e solida
se avviene attraverso il lavoro congiunto con i compagni, sotto
la guida di un insegnante insieme regista e tutor, che non attraver­
so una didattica trasmissiva.

La psicodidattica ha elaborato tutta una serie di «metodologie a


mediazione sociale» (per le sue implicazioni glottodidattiche si veda­ Le metodologie
no i vari saggi in Caon 2006a) che risponde soprattutto ai punti «d» ed a mediazione
sociale
«e»: queste prediligono le attività che creano relazioni significative,
utilizzando la classe nel suo complesso come soggetto apprendente
- la coppia, il gruppo, le squadre che cercano di risolvere un problema
(anche giocoso: individuare il colpevole in una situazione poliziesca
impostata in lingua straniera), elaborare un progetto (ad esempio im­
parare a scrivere un testo regolativo in lingua straniera concordando e
stendendo un regolamento della vita di classe), approfondire un tema Le metodologie
(vari gruppi che studiano temi come la famiglia, le relazioni gerarchi­ a mediazione
sociale
che, il concetto di politica ecc. partendo da diversi telefilm americani),
organizzare un evento (dalla classica rappresentazione teatrale all’or­
ganizzazione dell’itinerario della gita scolastica), e così via.
Per la tradizione italiana, essenzialmente trasmissiva nella direzio­
ne “ insegnante —» classe” , queste metodologie introducono ima forte
innovazione, che si scontra con due obiezioni degli insegnanti: anzi­
tutto, obbiettano, si commettono errori che non vengono corretti, e
poi gli studenti non sanno abbastanza lingua per condurre il lavoro:
come vedremo in 2.2.9 è vero che queste interazioni avvengono usan­
do Pinterlingua (il sistema linguistico parziale che lo studente ha co­
struito fino a quel momento) disponibile e quindi sono imperfette, se
46 Le sfide di Babele

si applica meccanicamente il parametro giusto/sbagliato, m a sono co­ 2.2.7 La i


munque produttive perché ricadono nella ruls o f forgetting elaborata
da Krashen: si impara meglio una lingua quando si dimentica che si Chomsky hi
sta usando la lingua, quando la significatività del «fare» prevale sul­ studiandone
l ’attenzione allo strumento (la lingua straniera) usata per fare. l'ipotesi che
La glottodidattica Una volta rilevato che le metodologie a mediazione sociale offro­ r.rion Theor
umanistica no un’ottima occasione di uso comunicativo della lingua (anche se che riprende
non lo esauriscono affatto), non è compito della riflessione glottodi­
dattica addentrarsi in un ambito che è di pertinenza della psicodidat­ Acquisizioni
tica, ma piuttosto vedere le linee di quella che dal 1980, quando Ste- L'acquisizic
vick pubblicò Teaching Languages: A Way and Ways, viene chiamata 1: dell’emisf
«glottodidattica umanistica» e che ha avuto la sua prima realizzazione
tttisfero sini
negli anni Settanta-Ottanta nella Second Language Acquisition Theory
.2 competer
di Krashen (vedi 2.2.7); per una visione d ’insieme su questa scuola di
mine.
pensiero si veda Stevick, 1990.
Di convi
In Italia la glottodidattica umanistica trova terreno abbastanza fer­
iaìF emisferi
tile nelle lingue straniere, soprattutto per le componenti neuro-psico­
: empetenza
linguistiche e cognitivistiche, legata a tre idee portanti tra quelle viste
sopra: -.:n è definii
: : ripetenza
a. gli esseri umani sono differenti per caratteristiche cognitive (di­ tmpo di far
verse combinazioni dei tipi di intelligenza e di stili cognitivi e ap- .cale, in sei
prenditivi), per personalità, per storia personale, per motivazioni. Alla basi
Una sintesi di queste differenze e del modo in cui influiscono nel­ tre durre acq
l ’apprendimento si ha nella scheda di (auto)osservazione per sco­ c sensazioni
prire Fattitudine all’apprendimento linguistico che proponiamo in a i: un fatte
3.3 (per un approfondimento sulla differenziazione tra studenti di . : autonome
lingue si veda Caon, 2008); t er valutare
b. gli esseri umani affrontano gli input che arrivano dal mondo ester­
no (quindi anche quelli linguistici proposti dai manuali e dagli in­ Krashen
segnanti) secondo la direzionalità neurologica globalità —> analisi eterne, i qua
sintesi (ed eventuale riflessione esplicita, in ambiente educativo ■sesto.
(vedi 7.1);
c. gli esseri umani sono bidimensionali, emozionali e razionali, e r:-.; compr.
spesso la prima caratteristica è prevalente sulla seconda; quindi L assunto di
dalla psicologia umanistica viene tutta la ricerca che studia il ruolo alitavo cod
delle emozioni, soprattutto il piacere (come vedremo in 3.5) e il mm forma (fi
dis-piacere inteso come filtro affettivo (2.2.7), nell’acquisizione
r ei : degli
di una lingua.
■ella prima ]
Se a una
« p a rte , dal

. ; yt ì alior
Come nasce la glottodidattica

2.2.7 La teoria di Krashen

Chomsky ha ipotizzato l ’esistenza di un Language Acquisition Device, La Second


studiandone poi soprattutto l ’aspetto sintattico. Krashen è partito dal­ Language
Acquisition
l’ipotesi chomskyana per elaborare la S lat (Second Language Acqui­ Theory
sition Theory) e in particolare l ’opposizione tra acquisition e learning,
che riprende in sostanza quella chomskyana tra knowing e cognising.

Acquisizione, apprendimento, monitor


L ’acquisizione è un processo inconscio che sfrutta le strategie globa­
li dell’emisfero destro del cervello insieme a quelle analitiche dell’e­
misfero sinistro; quanto viene acquisito entra a fare parte stabile del­
la competenza della persona, entra nella sua memoria a lungo ter­
mine.
Di converso, l’apprendimento è un processo razionale, governato
dall’emisfero sinistro e di per sé non produce acquisizione stabile: la
competenza «appresa», in altre parole, è una competenza provvisoria,
non è definitiva. Inoltre, essa viene attivata molto più lentamente della
competenza «acquisita», per cui nella comunicazione reale non si ha
tempo di farvi ricorso se non come monitor, come controllo gramma­
ticale, in senso lato.
Alla base della S lat sta l’idea che l ’insegnante debba lavorare per
produrre acquisizione; quando si produce apprendimento si può avere
la sensazione di aver ottenuto un risultato positivo, ma in realtà si trat­
ta di un fatto temporaneo che non genera un comportamento linguisti­
co autonomo. Questa dicotomia risulta quindi una cartina di tornasole
per valutare il materiale didattico o per osservare l ’azione di un inse­
gnante.
Krashen individua altri tre principi, che richiameremo sintetica­
mente, i quali indicano come produrre acquisizione anziché apprendi­
mento.

Input comprensibile
L ’assunto di base di questa ipotesi è: l ’acquisizione avviene quando
l’allievo concentra l’attenzione sul significato dell’input e non sulla
sua forma (fonologica, morfo-sintattica, testuale ecc.). Siamo agli an­
tipodi degli approcci formalistici e strutturalistici che abbiamo visto
nella prima parte di questo capitolo.
Se a una persona si fornisce un input reso comprensibile (dall’in­
segnante, dal compagno, di lavoro, dalla madre nei confronti del bam­
bino ecc.: è quello che Bruner chiama Language Acquisition Support
System) allora il Language Acquisition Device si mette autonomamen-
48 Le sfide di Babele

te in moto e procede all’acquisizione - purché si verifichino le condi­


zioni delle due ipotesi che seguono.

Ordine naturale e i+1, «zona di sviluppo potenziale», interlingua


La prima delle condizioni perché l’input venga acquisito è che esso sia
collocato al gradino dell’ordine naturale immediatamente successivo
all’input acquisito fino a quel momento.
Si tratta dell’applicazione krasheniana (quindi, come molte delle
indicazioni di questo glottodidatta americano, è costruita un po’ a ef­
fetto, con una logica di semplificazione quasi giornalistica) di una no­
zione psicologica che Vygotskij chiama «area di sviluppo potenziale»
e che in Bruner troviamo come zone o f proximal development: è la di­
stanza tra la parte di un compito che una persona è già in grado di ese­
guire e il livello potenziale cui può giungere nel tentativo di compiere
la parte restante del compito, distanza che può percorrere da solo o
sotto la guida di una persona più esperta (un magister, qualcuno che
è magis, «di più»).
Quindi, tornando alla formula krasheniana «i + 1» in cui:
- i = la parte del compito linguistico o comunicativo che si è già
in grado di eseguire sulla base della competenza «acquisita»;
- + 1 = l ’area di sviluppo potenziale.
Krashen inserisce i vari scalini i+1 lungo Vordine naturale d ’ac­
quisizione, cioè la successione degli elementi linguistici nelle sequen­
ze di acquisizione così come emergono dagli studi di linguistica acqui-
sizionale, che vedremo in 2.2.9. Le conseguenze possibili sono due:

a. se noi prendiamo un elemento a caso della sequenza, tutti gli ele­


menti che vengono prima di quel punto sono condizione necessa­
ria per poterlo acquisire; essi costituiscono la «i» della formula;
b. se il punto i+1 compare nell’input reso comprensibile, il fatto di
aver già acquisito gli elementi precedenti è condizione sufficiente
perché l ’acquisizione del nuovo avvenga, purché il filtro affettivo
sia aperto.

Filtro affettivo
Il filtro affettivo L ’ipotesi afferma che affinché i+1 sia acquisito è necessario che non
sia inserito il filtro affettivo, altrimenti ciò che si comprende viene
collocato nella memoria a breve o medio termine ma non passa ai cen­
tri dell’acquisizione stabile e definitiva (sulla natura della memoria,
cff. 3.4).
La metafora del filtro, utile per comprendere il principio, corri­
sponde a stimoli chimici ben precisi: in stato di serenità l ’adrenalina
Come nasce la glottodidattica 49

Box 12 Approccio comunicativo: il metodo naturale di Krashen

Il neurolinguista californiano riprende il nome dell’approccio diffuso in America a fine Ottocento da Ber­
litz (cfr. 2.1.2) e ipotizza che l’apprendimento delle lingue seconde (anche se la sua teoria è stata am­
pliata alla lingua straniera) segua il percorso dell’acquisizione della lingua materna, pur con gli interven­
ti di un Language Acquisition Support System costituito dall’insegnante, dai materiali, ecc.

Teorie di Psicologia umanistica; studi sull’intelligenza emotiva e sull’acquisizione linguistica in


riferimento età precoce; ricerche sull'ordine naturale di acquisizione della lingua e sull’interlingua.

Percorso Fortemente induttivo.

Studente Protagonista del suo apprendere, fulcro «emotivo» e non solo razionale del processo.

Docente Guida, regista, punto di riferimento.

Lingua Strumento pragmatico dì comunicazione, in cui la correttezza formale è secondaria,


sia come importanza, sia come tempo d’acquisizione; il lessico diviene prevalente
rispetto alla morfosintassi.

Cultura Va tenuta in considerazione, ma solo in quanto può creare problemi comunicativi.

Strumenti Il curricolo è basato sull'ordine di acquisizione della lingua; per il resto il processo si
operativi basa su input situazionalizzato che l’insegnante si sforza di rendere comprensibile,
riprendendo la tradizione del metodo diretto di Berlitz.

Tecniche Quelle legate alla comprensione dei testi e, in secondo luogo, all’interazione.
didattiche

Materiali Di varia natura, possibilmente autentici, ma molto accuratamente graduati sulla ba­
se dell’ordine naturale.

Strumenti Non molto presenti, se non come strumenti per la presentazione di alcuni dei testi.
tecnologici

si trasforma in noradrenalina, un neurotrasmettitore che facilita la me­


morizzazione, mentre in stati di paura e stress si produce uno steroide
che blocca la noradrenalina e fa andare in conflitto l ’amigdala (ghian­
dola «emotiva» che vuole, difendere la mente da eventi spiacevoli) e
l ’ippocampo, la ghiandola che invece ha un ruolo attivo nell’attivare
i lobi frontali e iniziare la memorizzazione (Cardona, 2001). Il filtro
50 Le sfide di Babele

affettivo è dunque un preciso meccanismo di autodifesa, che viene in­


serito da:

- stati di ansia: ad esempio, un dettato autocorretto non è ansiogeno,


è solo una sfida con se stessi, mentre un dettato che poi viene cor­
retto dall’insegnante è ansiogeno e quindi quest’ultima attività non
serve a far acquisire lingua;
- attività che pongono a rischio l ’immagine di sé che lo studente
vuole offrire al resto della classe: ad esempio, chiedere a uno stu­
dente di parlare o dialogare in lingua straniera prima che egli si
senta sicuro di riuscirci è inutile ai fini dell’acquisizione;
- attività che minano l’autostima: il dettato, la procedura cloze, le
tecniche di incastro, e così via, sono attività che pongono lo stu­
dente di fronte alla propria capacità di problem solving e, se la sfi­
da è eccessiva e l ’allievo teme di soccombere, egli inserisce
un’autodifesa, un filtro affettivo, e dunque non acquisisce;
- attività che provocano la sensazione di non essere in grado di ap­
prendere: per evitare questo effetto, ad esempio, le attività di com­
prensione che aprono un’unità d ’apprendimento devono facilitare
al massimo il primo contatto con un nuovo testo in lingua stranie­
ra, evitando rinserim ento del filtro affettivo.

Per un approfondimento, oltre ai testi già citati, cfr. anche Schumann,


1997; Arnold, 1999; De Carlo, 2003.

2.2.8 I metodi «clinici» a base psicologica

La psicologia umanistica segna il più rilevante contributo delle scienze


della mente all’insegnamento linguistico; tuttavia, soprattutto negli an­
ni in cui la glottodidattica esplorava la dimensione psicologica, ci sono
state molte applicazioni che hanno spinto verso una trasformazione da
«linguistica applicata», in cui è la dimensione linguistica a dominare, a
«psicolinguistica applicata» - perpetuando imo squilibrio, sebbene di
segno opposto. Si tratta di una serie di proposte degli anni Sessanta-Set-
tanta, che hanno avuto una certa diffusione soprattutto in America e che
sono caratterizzate da una forte componente psicologica.
I quattro metodi cui facciamo riferimento in questa voce, traendo­
ne indicazioni che paiono ancor oggi valide e che spesso sono state
acquisite dalla glottodidattica generale, sono:

La Total Physical a. Total Physìcal Response, proposto da Asher negli anni Sessanta:
Response l ’insegnante dà ordini e indicazioni via via più complessi («prendi
Come nasce la glottodidattica 51

il pennarello giallo»; «prendi il pennarello giallo e portalo a Lui­


gi», «prendi... e fatti dare quello blu» e così via), finché induce gli
studenti, per eseguire un ordine, a usare spontaneamente la lingua;
è un metodo che viene molto usato nella scuola primaria e soprat­
tutto nell’insegnamento dell’italiano a immigrati, dove si registra­
no anche interessanti sperimentazioni di TPR «attenuata», in cui la
dimensione non linguistica si affianca a un lavoro linguistico non
elementare come nella versione originale: si pensi alla sperimen­
tazione di insegnamento dell’italiano a immigrati attraverso lo
sport (Caon, Ongini, 2008) i cui video sono disponibili sul sito
www itals it nella sezione «materiali»; sulla TPR in Italia si veda
anche Coppola, 1996;
:. Community Language Learning, proposto da Curran alla fine degli Il Community
anni Sessanta. Curran è uno psicologo gesuita che ha trasposto di­ Language
Learning
rettamente in didattica (non solo in quella delle lingue) i modelli
della seduta psicoterapeutica: l’insegnante è quindi un counselor
che resta fuori dal lavoro di apprendimento, consiglia, aiuta e cer­
ca di individuare il ritmo e lo stile d ’apprendimento di ogni allie­
vo. L ’affettività diventa la componente più rilevante, anche se poi
le tecniche rimandano all’approccio formalistico della tradizione;
in Italia ha avuto poco impatto, se non per l ’idea di docente come
counselor che avuto forte diffusione nella didattica per i preadole­
scenti;
c. Sileni Way, proposto dal pedagogista svizzero Gattegno, interessa­ La Silent Way
to più alla matematica che alla lingua. Questo metodo ha avuto
forte impatto per un’innovazione radicale: l’insegnante dà un mo­
dello, poi tace, e gli studenti lo ripetono e lo riutilizzano in situa­
zioni che lui presenta con bastoncini colorati; se deve correggere
si affida a gesti o codici con le dita, almeno per gli errori più fre­
quenti. Anche qui l ’elemento che si è diffuso in Italia riguarda l ’u­
so di oggetti (non solo bastoncini) nell’insegnamento a bambini,
che li animano con la fantasia e sono quindi stimolati a parlare,
dando voce agli oggetti;
d. la suggestopedia, che nasce in Bulgaria negli anni Sessanta-Set-
tanta a opera di Lozanov, si afferma nell’Unione Sovietica e da La suggestopedia
lì si diffonde in America e Germania. È il metodo «clinico» per
eccellenza ed è quanto di più simile si possa immaginare a una se­
rie di sedute di psicoterapia di gruppo. Momenti di training auto­
geno iniziano e concludono le sedute, musica barocca di sottofon­
do accompagna l ’apprendimento, i testi vanno ripresi prima di
dormire e appena alzati. La versione diffusa non è quella «pura»
di Lozanov, ma è stata integrata da studiosi americani e tedeschi
che, secondo il creatore della suggestopedia, l ’hanno snaturata. I
52 Le sfide di Babele

risultati ottenuti con questo approccio sono sorprendenti e una del­


le ragioni per cui non si diffonde quanto meriterebbe, è la neces­
sità di aule adatte, di un numero ridotto di allievi, di docenti for­
temente qualificati ad hoc.

Per quanto questi approcci possano parere bizzarri, essi si sono


mostrati abbastanza efficaci e, soprattutto, hanno offerto preziose in­
dicazioni sul ruolo dell’affettività, riprese dagli anni Novanta in poi in
tutta la riflessione glottodidattica, ma hanno anche sperimentato delle
procedure, soprattutto la TPR, che vengono oggi integrate nella prassi
didattica generale.

Box 13 Approccio comunicativo: metodi «clinici»

Si tratta di metodi che spesso ricalcano le dinamiche della psicoterapia e che comunque si interessano
alla dimensione psicodidattica piuttosto che a quella linguistica.

Teorie di Varie teorie di psicodidattica e psicologia relazionale; studi sull’intelligenza emotiva


riferimento e sul ruolo del filtro affettivo; l’ampia letteratura sull’acquisizione linguistica in età
precoce; studi sulla suggestione.

Percorso Fortemente induttivo; nella suggestopedia le regole di grammatica non vengono spie­
gate, ma sono esposte in manifesti appesi alle pareti, cheto studente «studia» quan­
do ne sente la necessità.

Studente Protagonista del suo apprendere, fulcro «emotivo» e non solo razionale del processo.

Docente Guida, consigliere, «psicoterapeuta», molto defilato, tende a non apparire se non co­
me suggeritore.

Lingua Strumento pragmatico di comunicazione, in cui la correttezza formale è secondaria.

Cultura Non riceve attenzione specifica.

Strumenti Manca un curricolo, manca una progettazione, ci si basa su testi graduati sulla base
operativi, di un concetto intuitivo di «facilità». Ogni metodo si basa su una tecnica caratterizzan­
Tecniche te, che assorbe quasi tutta l’attività didattica.
didattiche,
Materiali

Strumenti Registratori per la diffusione di musica di sottofondo (suggestopedia) e l’ascolto di


tecnologici testi orali.
Come nasce la glottodidattica

2.2.9 La teoria dell’interlingua e la linguistica acquisizionale

La linguistica acquisizionale studia una realtà chiamata «interlingua»,


cioè la lingua usata da una persona che sta apprendendo una lingua e
che rappresenta una porzione dell’intero sistema linguistico posseduto
da un nativo: è ima parte della piramide che abbiamo visto in conclu­
sione del paragrafo 2.2.3. Non è possibile acquisire una sezione cen­
trale della piramide, ma si deve necessariamente partire dal punto 0,
costruendo la propria competenza secondo sequenze d ’acquisizione
che vengono studiate dalla linguistica acquisizionale: tali sequenze so­
no «implicazionali»: per essere acquisito, cioè inserito nella propria
memoria stabile, ciascun elemento implica la presenza di altri elemen­
ti già acquisiti, secondo la logica della «zona di sviluppo prossimale»
o dell’«ordine naturale» che abbiamo visto in 2.2.7. Ciò significa, ad
esempio, che alcuni errori non sono «colpa» dello studente ma sono
propri di alcuni stadi dell’interlingua, e quindi vanno trattati come spie
dello stadio di uno studente piuttosto che come effetti dell’interferenza
dalla lingua materna o come mancanza di «applicazione nello studio»,
secondo una parola cara agli insegnanti.
La nozione fondamentale, secondo Selinker (il creatore del termi­
ne «interlingua», che ne narra la storia nel volume del 1992), è che
l’interlingua è un sistema a sé, per quanto parziale: non è strutturato
a caso, prodotto dell’input dell’insegnante nella lingua straniera o del­
l’ambiente nell’acquisizione spontanea - ad esempio da parte di immi­
grati - , è un sistema che ha le sue basi nella grammatica universale
(patrimonio innato che sottostà a tutte le lingue naturali), oltre che nel­
la lingua materna (che comunque interferisce) e soprattutto nella lin­
gua che si sta apprendendo: in italiano, ad esempio, l’interlingua nella
sua varietà basica include un passato generico, con la forma in -to, co­
me «andato», «coprite» (che nulla ha a che fare con il participio pas­
sato) e che poi si articola progressivamente nei passati perfettivi e, poi,
imperfettivi.
L ’interlingua quindi non è una competenza «sbagliata», è una com­
petenza ridotta, parziale, m a con una sua struttura, con dei suoi mecca­
nismi - ad esempio quello di generalizzazione, da cui derivano i passati
«aprite» e «prenduto» - che rendono comunque l ’interlingua efficiente
nel comunicare, per quanto con mezzi ridottissimi che producono «er­
rori». Ma un «errore» prevedibile in quel dato stadio interlinguistico
non è più un «errore», è una produzione propria di quello stadio di ac­
quisizione. E un insegnamento mirato su quell’errore, con spiegazioni
ed esercitazioni, non serve che a demotivare lo studente facendolo sen­
tire incapace: quell’errore si verifica perché la grammatica mentale di
quello studente, a quel dato punto di evoluzione dell’interlingua, non
54 Le sfide di Babele

prevede l ’esecuzione corretta che invece arriverà, in modo naturale (e


questo aggettivo è la chiave) in uno stadio 'successivo.
Come aiutare il progredire di una interlingua in modo che sia sem­
pre più vicina a quella di un madrelingua?
L’evoluzione Per gli studiosi di matrice chomskyana è la grammatica universale
delPinterlingua di innata a guidare il processo, in maniera quasi automatica, ed i risultati
uno studente
insoddisfacenti derivano o dalla casualità (alcune forme non sono mai
comparse significativamente nell’input ricevuto da quella persona) o
dalla limitatezza della sua memoria: l’acquisizione di una lingua stra­
niera segue percorsi e meccanismi simili a quelli dell’apprendimento
della lingua materna.
L ’esperienza didattica non concorda tanto con questa ipotesi quan­
to piuttosto con quella di studiosi cognitivisti, che notano come l ’ap­
prendimento della lingua materna sia spontaneo, mentre quello della
lingua straniera coinvolga persone che non solo sanno già cosa vuol
dire sapere una lingua - ne sanno già almeno una, da nativi - ma san­
no anche che stanno imparando una lingua, sanno cosa vogliono im­
parare perché sanno quel che vogliono dire: hanno strategie, compiono
atti, confrontano la lingua che stanno apprendendo con quella o quelle
che sanno già (e questo può produrre errori di interferenza, ma lo stu­
dente può scoprire, anche con l ’aiuto dell’insegnante, che si tratta di
interferenza e quindi attivarsi per superarla).
Ciò non significa che allo studente sia consentito di sbagliare im­
L’errore punemente, ma che ha il diritto di sbagliare quel che non può ancora
nell’ottica aver acquisito («z + 12», per riprendere la formula krasheniana) senza
dell’interlingua
che il docente applichi subito il parametro «giusto/sbagliato», limitan­
dosi piuttosto a riproporre la formulazione corretta (se è un «z + i» , o
anche un «z + 2» nella speranza che il language acquisition device si
attivi comunque) o lasciando perdere per non interrompere uno sforzo
di comunicare con gli strumenti che lo studente ha a disposizione in
quello stadio del suo sviluppo interlinguistico.
Tuttavia la z della formula, cioè quello che è stato intaken, acqui­
sito, non è una variabile individuale, per cui ciascuno ha dei suoi per­
corsi e quindi possiede un z differente (al di là di differenze nelle ul­
time regole interiorizzate): è legata alla struttura della lingua, cioè alle
sue sequenze di acquisizione che, come abbiamo detto sopra, richiedo­
no la presenza di elementi precedenti: la «zona di sviluppo prossima­
le» implica che ci sia una zona già consolidata, in prossimità della
quale altre cose possono essere acquisite.
La processabilità Accanto alla variabile data dalla lingua che si studia, e quindi al
dell’input suo ordine naturale di acquisizione (che ciascun insegnante può stu­
diare in relazione alla lingua che insegna, se vuole migliorare la sua
qualità), c ’è una variabile cognitiva, studiata dalla teoria della proces-
Come nasce la glottodidattica 55

naturale (e sabilità di Pienemann (1998): la mente è disponibile ad imparare per


prime le cose che richiedono meno sforzo cognitivo, ciò che è più «fa­
he sia sem- cile». «Facile» non significa solo più vicino alla lingua materna, o più
semplice, o più frequente, ma piuttosto che è più facile da osservare
universale nell’input, più evidente a quello stadio dello sviluppo interlinguistico,
d i risultati più utile per poter comunicare efficacemente.
n sono mai Il compito di tener conto delle sequenze acquisizionali e della pro­
persona) o cessabilità dell’input che viene offerto è affidato agli autori dei mate­
ingua stra- riali didattici - ma molti manuali sono ancora basati sull’esperienza di
•endimento generazioni di insegnanti piuttosto che sugli studi acquisizionali, espe­
rienza che in parte si è spontaneamente allineata ad alcune sequenze,
otesi quan- soprattutto nei livelli iniziali, ma che non ha (ancora) fondamento
come l’ap- scientifico. Il singolo insegnante può migliorare la sua qualità:
uello della
cosa vuol a. studiando quel (poco) che si sa sulla dimensione acquisizionale
- ma san- della lingua che insegna;
gliono im- b. evitando di applicare il parametro «giusto / sbagliato» in relazione
compiono alla lingua come sistema m a piuttosto in relazione all’interlingua
la o quelle che suppone il suo allievo possieda o dovrebbe possedere in quel
ma lo stu- momento;
si tratta di c. chiedendosi, di fronte a rallentamenti o incapacità di acquisire
qualcosa, se quel qualcosa sia processabile, cioè spinga la mente
igliare im- ad acquisire, o se invece lo studente non ne abbia ancora indivi­
)uò ancora duato l ’importanza e la «facilità», per cui la sua mente semplice-
ana) senza mente non compie lo sforzo di processare l ’informazione presente
», limitan- nell’input per collocarla stabilmente nella memoria.
«i + i» , o
(Per approfondimenti cff. oltre a quanto citato sopra, Bernini, Giaca-
n device si
lone Ramai, 1990; Bosisio, 2001; Giacalone Ramat, 2003; Chini, 2005;
uno sforzo
Bettoni, 2006; Bosisio, 2012. Una visione iper-acquisizionale della glot­
»sizione in
todidattica è in Rastelli, 2009; sulla natura della lingua degli studenti di
lingue un punto di riferimento è Ellis, Barkhuizen, 2005; una visione in­
:en, acqui-
temazionale del molo della ricerca acquisizionale in glottodidattica è in
i suoi per-
Ellis, 1997).
e nelle ul-
i, cioè alle
, richiedo- 2.2.10 II Quadro Comune Europeo e il Portfolio Europeo
prossima- delle Lingue
tnità della
In 2.2.3 abbiamo fatto riferimento al Modem Language Project del
quindi al Consiglio d’Europa e ai 22 repertori di funzioni e nozioni noti come Li­ La politica delle
5 può stu- vello Soglia. Negli anni Novanta il progetto si evolve e produce un Qua­ lingue in Europa
are la sua dro Comune Europeo di Riferimento per le lingue: Apprendimento, In­
la proces­ segnamento, Valutazione.
56 Le sfide di Babele

Il Quadro innova radicalmente la prospettiva: mentre i Livelli So­


glia erano strumenti per gli autori di materiali didattici e per gli inse­
gnanti, il Quadro è un testo politico: ribadisce che il problema della
conoscenza delle lingue comunitarie non riguarda solo la scuola ma
tutti, dai Ministri ai genitori, e che la società della conoscenza (uno
dei progetti strategici dell’Unione Europea) si costruisce non solo sa­
pendo una lingua franca, l ’inglese, ma conoscendo altre lingue comu­
nitarie, anche se a livelli diversificati, dall’intercomprensione rudi­
mentale alla piena padronanza.
Il Quadro si pone quindi come una riflessione sul ruolo delle lingue
in Europa, sulla natura della conoscenza di una lingua, sulle compo­
nenti neuropsicologiche, sociali, culturali dell’insegnamento/apprendi-
mento linguistico - ma non entra mai nella dimensione metodologica,
in nome del valore della differenza e della libertà di insegnamento.
Nel Box 14 riportiamo l ’indice di due capitoli centrali del Quadro
e sarà facile per il lettore vedere quanto l ’impostazione del presente
manuale rimandi a quel testo, anche se noi ci siamo occupati non solo
di «come è» ma anche di «come si fa».
Per ciascun livello c’è una serie di indicatori da osservare per ve­
rificare il livello di competenza, e in quasi tutti i casi si tratta di saper
fare con la lingua (la descrizione sintetica dei vari livelli è in 11.5).
D Portfolio In realtà il Portfolio, stando al progetto del Consiglio d ’Europa,
Europeo delle include tre tipi di documentazione:
Lingue
a. il Passaporto linguistico che include le certificazioni e le attesta­
zioni di competenza linguistica;
b. la Biografia di Apprendimento, che racconta il percorso di appren­
dimento della lingua straniera: gli obiettivi raggiunti, i metodi im­
piegati, gli strumenti e i materiali usati, le eventuali schede di
autovalutazione, il diario che racconta in prima persona la propria
percezione dell’acquisizione in corso. Si tratta di uno strumento
volto a consapevolizzare lo studente sui suoi percorsi;
c. il Dossier in cui ogni studente raccoglie documenti personali, ad
esempio le copie o l ’elenco dei testi letterari letti in lingua stranie­
ra, delle canzoni ascoltate, dei film visti, ma anche i propri compiti
scritti in lingua straniera ed altre prove del suo uso effettivo della
lingua.

Non è possibile, nell’economia di questo manuale, approfondire i


contenuti dei due progetti, che hanno ricevuto anche forti critiche per
la vaghezza di alcune parti del Quadro, per la sua scelta di non dare
indicazioni metodologiche, e per una certa arbitrarietà della definizio­
ne dei livelli e dei loro contenuti; è possibile accedere ai testi completi
Come nasce la glottodidattica 57

Box 14 La struttura del Quadro

Capitolo 4 - L ’uso della lingua e chi la utilizza e l'apprende

4.1 II contesto d'uso della lingua


4.1.1- 5 Domini, Situazioni, Condizioni e vincoli, Il contesto mentale di chi usa/apprende la
lingua, Il contesto mentale dell'interlocutore (o degli interlocutori)
4.2 Temi della comunicazione
4.3 Compiti comunicativi e scopi della comunicazione
4.4 Attività e strategie di comunicazione linguistica
4.4.1- 4 Attività e strategie di produzione, Attività e strategie di ricezione, Attività e strategie
interattive
4.5 Processi della comunicazione linguistica
4.5.1- 6 Pianificazione, Esecuzione, Controllo, Azioni pratiche, Comportamento paralinguisti­
co, Tratti paratestuali
4.6 I testi
4.6.1- 2 I Canali (media), Generi e tipi di testo

Capitolo 5 - Le competenze di chi apprende e usa la lingua

5.1 Competenze generali


5.1.1- 4 Conoscenze dichiarative (sapere), Abilità e saper fare (savoir fairé), Competenza «esi­
stenziale» (saper essere), Capacità di imparare (saper apprendere)
5.2 Competenze linguistico-comunicative
5.2.1- 3 Competenze linguistiche, Competenza sociolinguistica, Competenze pragmatiche

Legato al Quadro è il Portfoliódéi 1996, che articola la competenza comunicativa in sei livelli,
di cui diamo le denominazioni italiana e inglese:

Al Livello di contatto (Breakthrough)


A2 Livello di sopravvivenza (Waystage)
B1 Livello soglia ( Threshold Level)
B2 Livello progresso ( Vantage)
CI Livello dell’efficacia (Effective Operational Proficiency)
C2 Livello di padronanza (Mastery)

e agli indicatori di competenza e a molti esempi di testi di certificazio­


ne nei siti indicati nella sezione on line di questo manuale.
I livelli del Portfolio sono alla base dell’organizzazione di tutti i I livelli di
corsi e i manuali di lingue straniere ma hanno anche valore legale: Competenza nel
Portfolio
per le iscrizioni alle università straniere di solito è richiesto un livello
B2, per il permesso di soggiorno degli immigrati in Italia dal 2010 è
richiesto un parziale A l, e così via. (Per approfondimenti sul Quadro
vedere Vedovelli, 2002 e 2009; Mezzadri, 2004; Bosisio, 2005; sul
Portfolio sono utili Jaffancesco, 2004; Mariani, Tomai, 2004; Gori,
58 Le sfide di Babele

2.2.11 L’impatto delle nuove tecnologie negli anni Novanta

Abbiamo visto nei paragrafi iniziali di questo capitolo come le inno­


vazioni tecnologiche abbiamo reso possibili alcuni metodi svolgendo
la funzione di «catalizzatori», come quegli elementi che non entrano
L’evolversi nella reazione chimica ma senza la cui presenza la reazione (in questo
dell’uso delle caso tra la lingua e la mente dello studente) non avviene: le 36 ore set­
glottotecnologie
timanali dei corso dell’AsTP non sarebbero state possibili senza le ore
di pattern drill e di attività di correzione fonetica condotte con i dischi
(mano a mano sostituiti dal registratore) e con la visione di film per gli
area studies (2.4); il registratore audio a doppia pista rese possibile il
laboratorio linguistico, strumento principe dell’approccio strutturali-
stico (2.2.2); la possibilità di collocare diapositive (spesso di natura
fumettistica) su una pellicola, il diapofilm, fu fondamentale per la
contestualizzazione nel metodo situazionale (2.2.4); il videoregistrato­
re ha consentito di portare facilmente in aula film, pubblicità ecc., e
quindi di dare corpo multimediale all’input necessario per l’approccio
comunicativo.
La rilevanza delle glottotecnologie come parte integrante e spesso
come condizione necessaria per l ’insegnamento delle lingue straniere
è tale che è nata una branca della glottodidattica dedicata specifica-
mente allo studio delle «glottotecnologie», che in Italia ha portato al­
l’opera di Porcelli, Di Sparti, Dolci ed altri autori alle cui opere si ri­
manda per un approfondimento (nella letteratura intemazionale recen­
te, un’ampia riflessione sul Web 2.0 in glottodidattica è in Lamy,
Hampel, 2007 e in Thomas, 2008).
Vedremo nei capitoli 9 e 10 il molo delle glottotecnologie nello
sviluppo delle abilità linguistiche e nell’acquisizione della grammatica
Il ruolo delle e del lessico, quindi qui ci limitiamo a rilevare il molo di motore del­
glottotecnologie l ’innovazione che la tecnologia ha avuto nella storia della glottodidat­
tica dapprima attraverso strumenti separati (il disco, il nastro magne­
tico audio e video, il C d e poi il D v d ), poi attraverso il computer visto
come fusione delle funzioni dei precedenti mezzi tecnologici, oggi at­
traverso la rete, da internet a skype, dalle chatroom ai blog e ai vlog
(videoblog), al podcasting e ai social network, fino al recentissimo uso
degli smartphone (si veda Shield, Kukulska-Hulme, 2008) e della la­
vagna multimediale interattiva (Schmidt, 2009) che sono insieme stru­
menti di comunicazione e di video e audioregistrazione. Non si tratta
di una sterile elencazione delle apparecchiature e delle meraviglie co­
municative, di networking o di raccolta di materiali che esse consen­
tono: si tratta di cogliere il fatto che nell’insegnamento delle lingue,
soprattutto in una prospettiva comunicativa, le cosiddette Tei, tecno­
logie della comunicazione e dell’informazione, hanno un molo essen-
Come nasce la glottodidattica 59

anni Novanta ziale, costitutivo e non solo accessorio dell’attività di apprendimento


zi una lingua - anche perché ormai coloro che apprendono sono «na­
) come le irtno- tivi» del mondo digitale, e gli insegnanti, che in quel mondo sono
:todi svolgendo •immigrati» in questi anni con difficoltà (e talvolta con diffidenza
he non entrano se non paura) non possono proiettare sugli studenti la loro difficoltà.
:ione (in questo U n’ultima notazione: trattando di glottotecnologie non si deve cer­ Il ruolo delle
e: le 36 ore set- care di capire cosa possono fare questo o quello strumento, ma piutto­ glottotecnologie
dii senza le ore sto di cogliere il ruolo portante che esse possono avere nell’insegna-
itte con i dischi mento linguistico: presentare visioni multimediali di contesti e uso
; di film per gli della lingua, registrate e dal vivo; consentire la comunicazione inter­
ese possibile il linguistica dalla sua dimensione minima (la coppia in un progetto tan­
ciò strutturali- dem, che vedremo in 8.3.2) a quella dei social network, scritta o orale,
iesso di natura sincrona come in skype o asincrona come in uno scambio di email;
nentale per la esplorare banche dati preziose, dai dizionari on line ai siti tematici,
ideoregistrato- ma anche consentire di creare facilmente banche dati personali o di
?blicità ecc., e classe: un ipertesto letterario, una grammatica fai-da-te, e così via, co­
>er l ’approccio me vedremo nei prossimi capitoli.

prante e spesso
ngue straniere 2.3 Le tendenze attuali, tra certezze crescenti e mode
;ata specifica­ passeggere
t a portato al-
■ui opere si ri- Il paragrafo precedente, che ci ha introdotto sebbene per cenni al tra­
zionale recen- volgente innovarsi delle tecnologie come strumenti e come occasione
a è in Lamy, di social networking, ha trattato di una «certezza crescente», non certo
di una «moda passeggera»; a questa seconda categoria appartengono
enologie nello piuttosto realizzazioni estreme di didattica basata quasi esclusivamen­
a grammatica te su metodologie a mediazione sociale (2.2.6) o su metodologie ludi­
li motore del- che (degradate a giochi e giochetti anziché intese come atteggiamento
a glottodidat- ludico, in cui l ’importante è partecipare, in cui il fine è insito e con­
lastro magne- cluso nel giocare, senza che questo faccia perdere la faccia a chi per­
amputer visto de). Sono state mode passeggere gran parte dei metodi clinici (2.2.8),
)gici, oggi at- oggi quasi scomparsi tranne che per il contributo della Total Physical
>log e ai vlog Response o della corrente elitaria ma vitale della suggestopedia.
Mitissimo uso Ci sono tuttavia alcune «certezze crescenti», di segno positivo e
8) e della la- negativo:
insieme stru-
Non si tratta a. la metodologia «Content and Language Integrated Learning», C lil D Clil
teraviglie co­ E una «certezza» cui dedicheremo il capitolo 11: si tratta dell’uso vei­
esse consen- colare di una lingua straniera per insegnare un’altra disciplina; è una
delle lingue, metodologia sostenuta dal Consiglio d’Europa, dall’Unione Europea
; Tei, tecno­ nei suoi Piani d ’Azione (e relativi finanziamenti), nonché dalla Rifor­
ruolo essen­ ma Gelmini della scuola superiore che prevede che in ogni tipo di
60 Le sfide di Babele

scuola una materia del quinto anno vada insegnata in lingua straniera
e, nei Licei linguistici, che ciò avvenga nel terzo anno per la prima
lingua e nel quarto anche per la seconda lingua straniera;

b. Vintercomprensione tra lingue vicine


L’inter- Appare come potenziale «certezza crescente», anche se è ancora rara
comprensione nella scuola e nelle università, a differenza del C l i l dove le sperimen­
tra lìngue affini
tazioni controllate e documentate sono ampie e consolidate. L ’Unione
Europea ha finanziato negli ultimi vent’anni molti progetti pilota di
intercomprensione tra lingue romanze, tra lingue germaniche e balti­
che e tra lingue slave. Queste ricerche e sperimentazioni, per quanto
circoscritte, potrebbero trovare spazio come brevi esperienze in corsi
opzionali nelle scuole, nelle università e nelle aziende.
Il principio è molto semplice e rientra nell’esperienza di molti: un
italiano (che se è fortunato è anche bilingue italiano/dialetto) che ab­
bia studiato francese può facilmente leggere un testo in spagnolo, ca­
talano o portoghese; sul piano orale, un italiano e uno spagnolo che
parlano lentamente hanno la possibilità di interagire usando ciascuno
la propria lingua e comprendendo l’altro, per quanto in maniera im­
perfetta. Sulla base (assai motivante) di questa esperienza diretta co­
mune a moltissimi, si sono realizzati materiali e corsi per migliorare la
qualità dell’intercomprensione:

Insegnare - a livello di strategie cognitive: ad esempio, far capire che «com­


l’inter- prendere» non significa capire ogni parola;
comprensione
- evidenziando alcuni elementi linguistici che possono avere una
funzione chiave, ad esempio il fatto che pas completa la negazione
in francese, nonché parole di alta frequenza ma non trasparenti tra
le lingue: ad esempio, beaucoup non ha nulla in comune con mol­
to, non è trasparente per chi ascolta; chi parla italiano, invece, de­
ve ricordare che capire e imparare sono opache per gli altri par­
lanti di lingue romanze, mentre non lo sono i più formali compren­
dere e apprendere',
- con alcune riflessioni di storia delle lingue: la / iniziale italiana
spesso corrisponde a un ’h in spagnolo, il che rende trasparenti pa­
role come homo o harina; il gruppo - et- latino che in italiano è
divenuto -tt- si è spesso trasformato in -e h - in spagnolo ( leche,
noche) e si è dittongato in portoghese (leite, noité) e francese (lait,
nuit), e così via.

La prospettiva di migliorare la propria capacità di intercomprensio­


ne con ispanofoni e lusofoni può diventare una buona occasione moti­
vazionale per gli studenti di francese, e lo stesso vale per le altre com-

Come nasce la glottodidattica 61

igua straniera binazioni di lingue romanze che non hanno una motivazione utilitari­
per la prima stica come l’inglese. Uno sguardo alla letteratura suH’intercomprensio-
j; ne può validare l ’idea che si tratti di una «certezza crescente»: Benucci,
2005; Caddéo, Jamet, 2013; Capucho, 2007; Jamet, 2007 e 2009;

2 ancora rara la tendenza ad una glottodidattica d ’Arlecchino L’eclettismo


le sperimen- La carriera degli insegnanti dura 40 anni, per cui statisticamente pos- glottodidattico
te. L ’Unione siamo dire che hanno lasciato la scuola in media da 25 anni (20 di me­
etti pilota di tà della carriera e 6 di università, abilitazione, precariato) per cui la
liche e balti-
loro esperienza scolastica personale risale in media a un quarto di se­
per quanto colo prima, ed è avvenuta con insegnanti che, se si era fortunati, erano
;nze in corsi
stati formati dal Progetto Speciale Lingue Straniere dei primi anni Ot­
tanta del secolo scorso. Ciò fa sì che quanto avvenuto nella ricerca e
di molti: un
nella sperimentazione glottodidattica negli ultimi trent’anni non fa
;tto) che ab-
parte dell’esperienza vissuta come studenti, che rimane comunque il
pagnolo, ca-
punto di riferimento inconsapevole: un mondo di procedure, valori,
pagnolo che
metodologie note che è difficile abbandonare affidandosi al nuovo, al­
do ciascuno
l’ignoto - per quanto questo sia stato spiegato nei corsi universitari di
maniera im-
Didattica delle Lingue o nei corsi di formazione.
ì diretta co-
Gli editori sono ben consapevoli di questo atteggiamento psicolo­
nigliorare la
gico e sanno anche, perché svolgono sondaggi commerciali continui,
che gli insegnanti, cioè coloro che adottano un manuale, sono convinti
che «com- che non tutto il «vecchio» sia da buttare, visto che loro la lingua l ’han­
no imparata anche con quei metodi: si producono quindi manuali che
' avere una sembrano vestiti di Arlecchino, che affiancano elementi derivati da
i negazione tutta la tradizione che abbiamo visto in questo capitolo, mirati a non
sparenti tra scontentare nessuno, né l ’insegnante diffidente verso il nuovo né quel­
re con mol- lo che entusiasticamente abbraccia ogni novità, anche se è chiaramen­
invece, de­ te una «moda temporanea».
li altri par­ Il manuale governa molto la didattica, nella tradizione italiana;
li compren- ogni insegnante ci mette del suo, giustamente, ma spesso sulla base
delle sue «passioni» metodologiche (dalle metodologie a mediazione
ile italiana sociale a quelle iperludiche, dall’utilizzo di ogni nuovo aggeggio tec­
parenti pa- nologico alla ripresa della traduzione e del dettato, e così via): il ma­
i italiano è nuale Arlecchino prodotto dall’editoria diviene un Arlecchino che ag­
olo (leche, giunge al suo vestito le pezze multicolori costituite dalle convinzioni
ncese (lati, metodologiche personali dell’insegnante.
Lo scopo di questo manuale, che ha una linea ben precisa in termi­
ni di approccio e di metodo, è anche quello di contribuire a ridurre il
»mprensio- ruolo di Arlecchino attraverso la creazione di un insegnante consape­
ione moti­ vole della natura di una glottodidattica où tout se tieni, per riprendere
altre com- le parole di Ferdinand de Saussure, il padre della linguistica moderna.
62 Le sfide di Babele

2.4 Dai film muti ai social network

Abbiamo visto, metodo dopo metodo, il molo che veniva affidato alle
glottotecnologie. In questo paragrafo conclusivo cerchiamo di alzare
lo sguardo dal m olo della singola macchina in un singolo metodo a
un discorso più ampio, che sintetizzi il cambiamento radicale avvenu­
to nel tempo e ci porti a una riflessione di merito:

a. inizialmente la tecnologia è un contributo agli area studies, con i


film intesi come veicoli sia di cultura quotidiana, di ways o f life (il
cibo, la città, il paesaggio), sia di ways o f thinking, di modi di vi­
vere, di gestire le relazioni interpersonali, di rapportarsi con il pas­
sato, con il trascendente, con la giustizia ecc.;
b. successivamente i sussidi tecnologici sono stati visti come stru­
menti per descrivere la situazione comunicativa in cui veniva usa­
ta la lingua, con cartelloni, diapofilm, fotografie;
c. mano a mano che la tecnologia della riproduzione audio e, poi, vi­
deo si perfeziona e soprattutto diventa più semplice da usare, essa
serve per portare in classe la lingua (e poi le immagini) autentica
del mondo in cui essa è parlata;
d. oggi internet rende possibile l’accesso a smisurate banche dati di
testi letterari, enciclopedici, giornalistici, audiovisivi, televisivi,
musicali ecc.

In queste quattro prospettive la tecnologia serve a fornire contesto


e input, prendendo il molo che nel passato era ricoperto dal racconto e
dalle parole dell’insegnante: tecnologia come strumento di input.
Dalla metà del Novecento le tecnologie glottodidattiche assumono
un ulteriore ruolo diventando strumento di apprendimento:

e. con l’approccio strutturalistico il laboratorio linguistico, che con­


sente i pattern drills, diviene l ’ambiente necessario per realizzare
le ipotesi neo-comportamentistiche;
f. le strumentazioni interattive, dagli eserciziari in rete alla lavagna in­
terattiva multimediale o l im , dalle prove strutturate di ascolto ai test
di autovalutazione on line, chiamano lo studente a confrontarsi di­
rettamente con il computer, che lo corregge, lo guida e lo valuta;
g. il web 2.0, con i social media, skype e tutto quello che sta giorno
dopo giorno giungendo sugli schermi dei nostri computer, tablet e
perfino telefoni cellulari, offre le condizioni ottimali per realizza­
re l’approccio comunicativo, ad esempio comunicando in tempo
reale con stranieri, come nelle metodologie tandem, che vedremo
in 8.3.2.
Come nasce la glottodidattica

Abbiamo chiuso il capitolo 1 con una riflessione etica: che cosa è


‘bene’ nell’insegnamento di una lingua straniera? Ora possiamo chie­
derci: che cosa è ‘bene’ nell’uso delle tecnologie per aiutare l ’appren­
dimento di una lingua straniera?
Giovanni Freddi, uno dei padri della glottodidattica italiana ed il
primo a lavorare sulle glottotecnologie, negli anni Sessanta, usava ri­
spondere a questa domanda con una frase la cui semplicità è solo in
apparenza banale, ma rappresenta invece una guida fenomenale per
decidere che cosa fare delle glottotecnologie: «Se la tecnologia è al
servizio dell’uomo, è buona; se chiede all’uomo di mettersi al suo ser­
vizio, è cattiva».
In questi anni abbiamo assistito a miriadi di proposte in cui le tec­
nologie (meglio: i produttori di tecnologia e di materiali glottotecno-
logici) hanno piegato i principi della glottodidattica ai loro modi di
procedere, ai limiti delle loro macchine e dei loro software. Ciò, nella
logica di Freddi, è male. Come è male l ’atteggiamento del glottodidat-
ta che si avvicina all’ingegnere informatico chiedendo: «che cosa puoi
offrirmi?», in cui affida al tecnico il privilegio di decidere. Preferiamo
un glottodidatta che chiede al tecnico: «Ho bisogno di fare dialogare
ragazzi italiani e stranieri, in audio-video, in tempo reale, a costi zero
o comunque bassissimi: che cosa mi offri?» - e se non ci fosse già
Skype, la sua richiesta si concluderebbe con «Dici che non c ’è niente?
Allora inventalo!».
Questa quarta versione di Le sfide di Babele è stesa nel 2015: nel
2020 sarà ancora in uso, ma la sezione sulle tecnologie sarà obsoleta,
se restiamo nella logica del riutilizzo glottodidattico dell’esistente; le
idee portanti sulla tecnologia, alla luce di quanto diremo nei capitoli
successivi sui vari aspetti dell’insegnamento linguistico, saranno inve­
ce ancora valide e ci consentiranno di dire agli editori: «Vorrei questa
funzione. Non c ’è? Inventala!».
(Approfondimenti sulle tecnologie non possono essere consigliati,
proprio per la rapidissima obsolescenza delle tecnologie che da ‘mo­
derne’ divengono ‘superate’ in pochi anni; tra i volumi di riflessione
ampia, oltre a quelli già citati, si consigliano, nel 2015, i volumi di
Cardona, 2007; Caon, Serragiotto, 2012; D ’Angelo, 2012; Ferrari,
2012; Lombardi, 2013; Favaro, Menegaie, 2014; Mugno, 2014).

Sul sito www.utetuniversita.it potete trovare strumenti di autovalutazione


relativi a questo capitolo.

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