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sull’insegnamento
Titolo insegnamento Letteratura latina
Anno Accademico 2017/2018
Corso di studio L10 Lettere (Cultura dell'eta' moderna e contemporanea; Cultura
teatrale)
Crediti formativi 12 (6 CFU Ciccarelli + 6 CFU Santelia)
Denominazione inglese Latin Literature
Dipartimento Lettere Lingue Arti. Italianistica e Culture Comparate -
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Obbligo di frequenza L’obbligo di frequenza è disciplinato dall’art. 9 del Regolamento
Didattico,
http://www.uniba.it/corsi/lettere/iscriversi/presentazione-del-
corso/regolamento-del-corso
Lingua di erogazione Italiano
Modalità di erogazione
Periodo di erogazione Primo semestre
Anno di corso Secondo
Modalità di erogazione Didattica frontale
Calendario
Inizio attività didattiche 2 ottobre 2017
Fine attività didattiche 22 dicembre 2017
Aule e Orari Link:
https://manageweb.ict.uniba.it/ricerca/dipartimenti/lelia/calendario-
lezioni
Syllabus
Prerequisiti È auspicabile la conoscenza della lingua latina; gli studenti che non
abbiano conseguito un diploma di maturità liceale possono
usufruire dei corsi propedeutici di avviamento allo studio del
latino messi a disposizione dal CdL.
Risultati di apprendimento previsti
(declinati rispetto ai Descrittori di
Conoscenza e capacità di comprensione
Dublino)
L'insegnamento di Letteratura latina si propone di fornire agli
studenti (i quali spesso provengono da istituti in cui lo studio
della lingua latina non è contemplato) competenze relative alla
storia letteraria del mondo latino e alla comprensione di testi
latini afferenti a più generi letterari, con l’attenzione rivolta sia
alla lettera del testo che agli aspetti linguistici e storico-letterari
ad esso connessi.
L’obiettivo è quello di favorire una solida preparazione di base
sulla civiltà latina, perseguito soprattutto attraverso l’acquisizione
di una buona padronanza della lingua latina. La conoscenza
storico-letteraria, sempre a partire dai testi letti in lingua
originale, è incentrata sullo studio degli autori, delle opere e dei
generi letterari. Lo studente sarà avviato a uno studio critico,
secondo le più recenti tendenze della ricerca e gli saranno perciò
forniti i principali strumenti bibliografici per la problematizzazione
e per l’approfondimento individuale.
Autonomia di giudizio
Abilità comunicative
Contenuti di insegnamento Dinamiche del discorso amoroso nella poesia latina dall'età
repubblicana a quella augustea.
Oggetto di traduzione e di analisi saranno testi significativi che
permettano di ricostruire situazioni, personaggi e motivi della
poesia d'amore in relazione al contesto storico e al pubblico a cui
gli autori si rivolgono.
Programma A. Cavarzere-A. De Vivo-P. Mastandrea,
Letteratura latina. Una sintesi storica,
Carocci ed., Roam 2003
oppure
Criteri di valutazione (per ogni La valutazione in sede d'esame terrà conto della solida
risultato di apprendimento atteso su conoscenza dello sviluppo storico della letteratura latina in
indicato, si descrive cosa ci si aspetta lo relazione alle principali correnti culturali e al sistema dei generi;
studente conosca o sia in grado di fare della capacità di stabilire relazioni diacroniche; della solida
e a quale livello al fine di dimostrare padronanza linguistica, verificata attraverso la traduzione
che un risultato di apprendimento è consapevole e l'analisi delle strutture morfo-sintattiche; della
stato raggiunto e a quale livello) capacità di analizzare i testi dal punto di vista metrico, e retorico-
stilistico.
Il rapporto tra i valori propri dell'antica civiltà italica e le dinamiche del discorso
amoroso in ambito elegiaco attraversa il libro quattordicesimo delle Metamorfosi di
Ovidio in una prospettiva di conciliazione che risulta tanto più innovativa perchè
sviluppata in un poema epico.
Tale relazione si snoda tra i versi iniziali del penultimo libro, in cui Ovidio
descrive l'arrivo di Glauco sulle coste italiche, segnato dal superamento degli arva
Cyclopum, ignari dell'uso del rastrello e dell'aratro,1 e l'episodio di Vertumno e
Pomona (vv. 622−771) , che conclude con un lieto fine la serie delle storie d'amore
inaugurata dalla vicenda di Apollo e Dafne. I due personaggi femminili condividono
il modello di comportamento della ninfa dedita ad attività tradizionalmente
incompatibili con l'amore; la vicenda di Pomona, però, implica un decisivo
superamento di tale caratterizzazione, poiché non solo è collocata da Ovidio in un
tempo e in uno spazio circoscritti, cioè nell’area del Lazio antico sotto la dinastia dei
re latini, ma si inserisce anche in un processo di civilizzazione indotto dal graduale
cedimento della ninfa alla passione amorosa.
Nella costruzione del personaggio di Pomona Ovidio opera per ampliamento nei
confronti di una tradizione che la considerava una divinità minore, tanto da metterla
in relazione con uno dei sei flamines minores;2 ad un ulteriore declassamento del suo
status divino contribuirà Festo, che attribuisce al flamen Pomonalis il minimo grado
di maiestas, quod Pomona levissimo fructui agrorum praesidet pomis.3
Nella versione ovidiana Pomona è un personaggio collocato in un preciso
periodo storico e dotato di qualità esemplari che si manifestano nell’ingegnosa abilità
con cui la ninfa coltiva gli orti e nel notevole zelo da lei riservato alla cura dei frutti:
1
vv. 2−3 arvaque Cyclopum quid rastra, quid usus aratri / nescia.
2
Cfr. Enn. fr. 116 Sk. Volturnalem / Palatualem Furinalem Floralemque / Falacrem<que> et Pomonalem fecit hic
idem.
3
144 L.
1
Iamque Palatinae summam Proca gentis habebat;
rege sub hoc Pomona fuit, qua nulla Latinas
inter Hamadryadas coluit sollertius hortos
nec fuit arborei studiosior altera fetus, 625
unde tenet nomen; non silvas illa nec amnes,
rus amat et ramos felicia poma ferentes.
nec iaculo gravis est, sed adunca dextera falce,
qua modo luxuriem premit et spatiantia passim
bracchia compescit, fisso modo cortice lignum 630
inserit et sucos alieno praestat alumno;
nec sentire sitim patitur bibulaeque recurvas
radicis fibras labentibus inrigat undis;
hic amor, hoc studium; Veneris quoque nulla cupido est.
vim tamen agrestum metuens pomaria claudit 635
intus et accessus prohibet refugitque viriles.
2
di vegetazione spontanea, e i fiumi dal corso impetuoso (v. 626), dall'altro qualunque
forma di cupido Veneris: la collocazione di tali elementi in apertura e in chiusura dei
vv. 626−634 amplifica l'immagine di Pomona che svolge la propria funzione
civilizzatrice nello spazio chiuso dei suoi pomaria, da cui tiene lontani gli uomini
(vv. 635−636).
In continuità con la presentazione ovidiana della ninfa, Plinio il Vecchio
metterà in rilievo i benefici riservati agli uomini dalla tutela esercitata da Pomona
sugli alberi da frutto:5 la raccolta dei poma, infatti, permette loro di trarne facile
nutrimento, senza perdere tempo e fatica nella coltivazione della terra, e di volgere lo
sguardo verso il cielo. Collocata da Plinio in una indefinita aetas aurea, caratterizzata
dalla spontaneità con cui la natura provvede ai bisogni degli uomini attraverso i frutti,
Pomona è artefice di un processo di civilizzazione,6 a cui rinvia il motivo tradizionale
dello sguardo umano che dalla terra si solleva verso il cielo.7
Che Ovidio nella costruzione del personaggio di Vertumno operi per riduzione
rispetto a Properzio nell’elegia 4,2, appare subito chiaro nell'inclusione del dio
nell'elenco delle numerose divinità agresti che aspirano a impossessarsi di Pomona; a
caratterizzarle sono l'età giovanile, l'aspetto ferino e la sfrontatezza (vv. 637−642):
quid non et Satyri, saltatibus apta iuventus.
fecere et pinu praecincti cornua Panes,
Silenusque, suis semper iuvenalior annis,
quique deus fures vel falce vel inguine terret, 640
ut poterentur ea?sed enim superabat amando
hos quoque Vertumnus neque erat felicior illis.
Nell'elegia properziana l'intento eziologico, sotteso al monologo pronunciato con
registro solenne della statua parlante del dio, dà luogo a una prospettiva spaziale e
temporale fluida che è scandita dall'origine etrusca (v. 3), dall'alleanza tra Romani ed
5
Cfr. Plin. Nat.Hist. 23,1−2.
6
A guidare il rapporto tra Pomona e gli uomini è il principio dell'utilitas che prevale sulla voluptas: cfr. in particolare
Plin. Nat.Hist. 23,2.
7
Cfr. e.g. Ov. Met. 1,85−87 con il commento di FRANZ BÖMER, P. Ovidius Naso: Metamorphosen: Buch I-III,
Heidelberg, C. Winter, 1969.
3
Etruschi in funzione antisabina a cui è legato il Vicus Tuscus (vv. 49–54),
dall'evocatio del dio a Roma dopo la distruzione romana di Volsinii (vv. 3−4):
Quid mirare meas tot in uno corpore formas?
Accipe Vertumni signa paterna dei.
Tuscus ego <et> Tuscis orior, nec paenitet inter
proelia Volsinios deseruisse focos.
Haec me turba iuvat, nec templo laetor eburno: 5
Romanum satis est posse videre Forum.
Hac quondam Tiberinus iter faciebat, et aiunt
remorum auditos per vada pulsa sonos:
at postquam ille suis stagnum concessit alumnis,
Vertumnus verso dicor ab amne deus. 10
Seu, quia vertentis fructum praecerpimus anni,
Vertumni rursus credis id esse sacrum.
Prima mihi variat liventibus uva racemis,
et coma lactenti spicea fruge tumet;
hic dulces cerasos, hic autumnalia pruna 15
cernis et aestivo mora rubere die;
insitor hic solvit pomosa vota corona,
cum pirus invito stipite mala tulit.
Mendax fama, vaces: alius mihi nominis index:
de se narranti tu modo crede deo. 20
Opportuna mea est cunctis natura figuris:
in quamcumque voles verte, decorus ero.
...
Et tu, Roma, meis tribuisti praemia Tuscis
(unde hodie Vicus nomina Tuscus habet), 50
tempore quo sociis venit Lycomedius armis
atque Sabina feri contudit arma Tati.
Vidi ego labentes acies et tela caduca,
atque hostes turpi terga dedisse fugae.
Collocata sullo sfondo della vita quotidiana di un noto quartiere dell’Vrbs fin dall'età
arcaica e ancora ben visibile in epoca augustea, la statua di Vertumno offre una
testimonianza tangibile della fusione di storia e leggenda, di presente e passato;8 in
tale dilatazione dello spazio e del tempo si inserisce l'indagine sull'etimologia del
nome del dio: le tre spiegazioni poste in alternativa chiamano in causa il rapporto tra
Vertumnus e la deviazione del corso del fiume Tevere (vv. 7−10), quello con le
primizie e il ciclo delle stagioni e, infine, la sua capacità di assumere qualunque
forma in maniera opportuna (vv. 19−22).
8
Cfr. MATTHEW FOX, Roman Historical Myths. The Regal Period in Augustan Literature, Oxford, Clarendon Press,
1996, p. 155.
4
Preceduto da un'apostrofe alla mendax fama, è quest'ultimo l'index nominis del
dio, che con tono perentorio si presenta nel v. 20 come unico depositario e garante
della vera origine del proprio nome; prima di elencare le molteplici possibilità di
trasformazione che qualificano il suo status divino, Vertumno dichiara con orgoglio
la versatilità della propria natura e la capacità di essere sempre decorus sotto
qualunque forma (vv. 20−21).9
Collocato in un tempo e in uno spazio definiti e circoscritti, il Vertumno
ovidiano è un personaggio dinamico, dotato di uno status divino minore legato
all'ambito agricolo; tale meccanismo di riduzione delle coordinate spazio−temporali
dell'elegia properziana induce Ovidio a escludere il riferimento all'origine etrusca del
dio e all'etimologia fluviale. Desideroso più degli altri dei di conquistare Pomona,
Vertumno, però, non ha maggiore fortuna: il tono solenne con cui la statua parlante
properziana espone ad un anonimo interlocutore i signa paterna lascia il posto alla
narrazione ovidiana della strategia di conquista messa in atto dal dio per avvicinarsi il
più possibile alla ninfa. Ad essere riletto in tal senso, tuttavia, non è solo il suo
atteggiamento, ma anche l'elenco delle trasformazioni, che il Vertumno properziano
passa in rassegna con tono orgoglioso allo scopo di dimostrare l'attendibilità della
terza etimologia del suo nome:
indue me Cois, fiam non dura puella:
meque virum sumpta quis neget esse toga?
Da falcem et torto frontem mihi comprime faeno: 25
iurabis nostra gramina secta manu.
Arma tuli quondam et, memini, laudabar in illis:
corbis in imposito pondere messor eram.
Sobrius ad lites: at cum est imposta corona,
clamabis capiti vina subisse meo. 30
Cinge caput mitra, speciem furabor Iacchi;
furabor Phoebi, si modo plectra dabis.
Cassibus impositis venor: sed harundine sumpta
Faunus plumoso sum deus aucupio.
Est etiam aurigae species Vertumnus et eius 35
traicit alterno qui leve pondus equo.
Suppetat hic, pisces calamo praedabor et ibo
mundus demissis institor in tunicis.
Pastor me ad baculum possum curvare vel idem
9
Sull'interpretazione di decorus cfr. il commento ad loc. di IRMA CICCARELLI, Properzio. Elegie. Libro IV, I,
Nordhausen, Verlag Bautz, 2015.
5
sirpiculis medio pulvere ferre rosam. 40
Ovidio mantiene formalmente la struttura del catalogo properziano che si fonda sul
criterio della metonimia: essa dà luogo a un rapporto immediato tra il conferimento di
specifici attributi al dio e la conseguente compiuta metamorfosi nella figura
corrispondente:10
o quotiens habitu duri messoris aristas
corbe tulit verique fuit messoris imago!
tempora saepe gerens faeno religata recenti 645
desectum poterat gramen versasse videri;
saepe manu stimulos rigida portabat, ut illum
iurasses fessos modo disiunxisse iuvencos.
falce data frondator erat vitisque putator;
induerat scalas, lecturum poma putares; 650
miles erat gladio, piscator harundine sumpta
denique per multas aditum sibi saepe figuras
repperit, ut caperet spectatae gaudia formae.
10
Per tale procedimento cfr. JOHN SCHEID–JESPER SVENBRO, Le mythe de Vertumne, «Europe» 82 (n. 904-5), 2004, pp.
180–1.
6
atto dal dio, che sperimenta il progressivo insuccesso del suo potere messo al servizio
della passione d'amore.11
Decorus nelle multae figurae in cui è in grado di trasformarsi, al pari del dio
properziano, ma incapace di stabilire con Pomona un legame che vada al di là della
piacevole contemplazione della sua bellezza (vv. 652−653), Vertumno riesce
finalmente a varcare i confini degli horti custoditi dalla ninfa grazie alla
trasformazione in anus:
ille etiam picta redimitus tempora mitra,
innitens baculo, positis per tempora canis, 655
adsimulavit anum cultosque intravit in hortos
pomaque mirata est: †«tantoque potentior»†! inquit,
paucaque laudatae dedit oscula, qualia numquam
vera dedisset anus; glebaque incurva resedit,
suspiciens pandos autumni pondere ramos 660
ulmus erat contra speciosa nitentibus uvis;
quam socia postquam pariter cum vite probavit:
«At si staret» ait «caelebs sine palmite truncus,
nil praeter frondes, quare peteretur, haberet
haec quoque, quae iuncta vitis requiescit in ulmo, 665
si non nupta foret, terrae acclinata iaceret.
tu tamen exemplo non tangeris arboris huius
concubitusque fugis, nec te coniungere curas.
atque utinam velles! Helene non pluribus esset
sollicitata procis, nec quae Lapitheia movit 670
proelia, nec coniunx †timidi aut audacis† Vlixi.
nunc quoque, cum fugias averserisque petentes,
mille viri cupiunt et semideique deique
et quaecumque tenent Albanos numina montes.
sed tu si sapies, si te bene iungere anumque 675
hanc audire voles, quae te plus omnibus illis,
plus quam credis, amo, vulgares reice taedas
Vertumnumque tori socium tibi selige, pro quo
me quoque pignus habes; neque enim sibi notior ille est,
quam mihi; nec passim toto vagus errat in orbe: 680
haec loca magna colit; nec, uti pars magna procorum,
quam modo vidit, amat: tu primus et ultimus illi
11
Che la ninfa potesse permettere l'accesso a un soldato o a un pescatore nei suoi pomaria è sembrato improbabile a
Tarrant (RICHARD J. TARRANT, The soldier in the Garden and Other Intruders in Ovid's Metamorphoses, «HStClPh»
100, 2000, pp. 425−427), che espunge il v. 651 come «collaborative interpolation»: d’altra parte Galasso (LUIGI
GALASSO, L’edizione di R. Tarrant delle Metamorfosi di Ovidio: una discussione, «MD» 57, 2006, pp. 119−120)
include il miles e il piscator nel novero delle multae figurae assunte da Vertumno per stabilire un approccio con la
ninfa.
7
ardor eris solique suos tibi devovet annos.
adde quod est iuvenis, quod naturale decoris
munus habet formasque apte fingetur in omnes 685
et quod erit iussus, iubeas licet omnia, fiet.
quid quod amatis idem? quod, quae tibi poma coluntur,
primus habet laetaque tenet tua munera dextra?
sed neque iam fetus desiderat arbore demptos,
nec, quas hortus alit, cum sucis mitibus herbas, 690
nec quidquam, nisi te. miserere ardentis et ipsum
quod petit ore meo praesentem crede precari
ultoresque deos et pectora dura perosam
Idalien memoremque time Rhamnusidis iram.
quoque magis timeas (etenim mihi multa vetustas 695
scire dedit), referam tota notissima Cypro
facta, quibus flecti facile et mitescere possis.
Che il dio del vertere sia in grado di mutare genere emerge con chiarezza nel primo
esempio di metamorfosi del catalogo properziano (vv. 23−24): in Properzio i valori
elegiaci e quelli civili si oppongono nettamente in nome della coincidentia
oppositorum di ascendenza innodica, che del dio amplifica l'onnipotenza, e in
funzione di un programma poetico fondato sulla possibilità di piegare il distico
elegiaco ai contenuti più diversi.12 Nella nuova identità assunta dal Vertumno
ovidiano, ai pauca oscula qualia numquam vera dedisset anus (vv. 658−659), si
associa l'elaborazione di un discorso didascalico fondato sui vantaggi di un amore
esclusivo e pienamente corrisposto.
Lo schema di ascendenza comica dell'anus che dispensa consigli in materia
d'amore ad una fanciulla non sposata era già stato impiegato da Ovidio nella
produzione elegiaca giovanile: in Am. 1,8 la mezzana Dipsa offre alla donna del poeta
precetti utili per conquistare e mantenere vivo l'amore di un giovane ricco con una
sapiente alternanza di adulazione della sua bellezza e di consigli pratici che
riguardano la capacità di simulare, di avere molti amanti da blandire e maltrattare
allo scopo di ricavarne benefici economici. Dedita al vino, esperta di arti magiche e
avida, Dipsa presenta i suoi praecepta immorali come positivo superamento dei rozzi
costumi delle antiche Sabine e come necessario adeguamento del comportamento
12
Cfr. IRMA CICCARELLI, op. cit., ad loc.
8
femminile al predominio di Venere a Roma.13 Il paradigma mitologico di tale
moderna inclinazione a disporre di numerosi amanti è inaspettatamente costituito da
Penelope, che dei giovani pretendenti mette alla prova il vigore sessuale.14
Ovidio nell'episodio di Vertumno e Pomona riprende lo schema della vecchia
che assume il ruolo del praeceptor amoris, ma ora il senso delle sue istruzioni va in
direzione opposta rispetto a quelle di Dipsa. A mettere in rilievo un tale
rovesciamento concorrono la caratterizzazione fisica della nuova forma assunta da
Vertumno, tutta tesa a sottolineare l'età avanzata della donna (vv. 654−656), e il suo
perfetto inserimento nei pomaria coltivati e custoditi da Pomona, grazie alla
simmetria tra la linea curva del suo corpo e quella dei rami appesantiti dai frutti (vv.
659−660).
Alla struttura della suasoria pronunciata da Dipsa in Am. 1,8, rinvia
l'associazione dell'adulazione, che nel caso di Pomona riguarda la sua abilità nella
coltivazione degli alberi da frutto (v. 657), al riferimento a una situazione concreta di
cui la ninfa non coglie il significato: se nell'elegia 1,8 si tratta dell'innamoramento di
un giovane ricco, nel passo delle Metamorfosi è dal giardino di Pomona che l'anus
attinge l'esempio dell'unione necessaria e indissolubile tra l'olmo e la vite.
All'impiego del lessico matrimoniale (socia v. 662, caelebs v. 663, iuncta v. 665 e
nupta v. 666),15 è affidato il compito di sottolineare la compatibilità tra il mondo
georgico e quello elegiaco nella prospettiva di una necessaria reciprocità.
Al rifiuto netto di qualunque tipo di unione con gli uomini da parte di Pomona
l'anziana donna oppone il numero iperbolico di pretendenti che la tormenterebbero se
solo la ninfa lo volesse.16 Gli esempi sono offerti dalla mitologia in un crescendo
scandito da modelli di comportamento femminili antitetici rispetto ad una condizione
comune, cioè l'incalzante presenza di proci: all'adultera Elena si oppongono
13
vv. 39−42 su cui cfr. il commento ad loc. di JAMES C. MCKEOWN, Ovid. Amores. A Commentary on Book One, II,
Leeds, Francis Cairns Publications, 1989.
14
vv. 47-48, che si caratterizzano per l'ambivalenza sessuale, come mette in rilievo JAMES C. MCKEOWN, op. cit., ad
loc.
15
Sul proverbiale matrimonio tra l’olmo e la vite cfr. il commento ad loc.di PHILIP HARDIE, Ovidio. Metamorfosi vol.
VI, Milano, Mondadori, 2015.
16
Cfr. Am. 1,8,25 et cui non placeas?, a conclusione del riferimento specifico al giovane ricco di cui la fanciulla ha
suscitato il desiderio.
9
Ippodamia, assalita dai Centauri in occasione delle sue nozze e Penelope nel ruolo di
coniunx Ulixi.17 La strenua resistenza alle reiterate profferte di matrimonio in nome
della fedeltà a Ulisse fa di Penelope il modello a cui Pomona dovrà adeguarsi. Del
resto alla consorte dell'eroe già Dipsa aveva affidato una funzione esemplare, benché
di segno opposto:18 l’immagine di Penelope, che sottopone i Proci alla prova
dell’arco di corno per saggiarne la virilità, offre alla fanciulla il paradigma della
donna esperta, in grado di formulare proposte ai suoi pretendenti.19
Dal piano del mito il discorso dell’anus si sposta nel tempo presente e nello
spazio del Lazio delimitato dai monti Albani, quello in cui al netto rifiuto dei
pretendenti da parte di Pomona si oppone il desiderio di un numero iperbolico di viri
di origine divina, presentati come una moltitudine anonima e crescente grazie al
polisindeto (vv. 672−674). L’incompatibilità insanabile tra tali situazioni potrà
risolversi se Pomona presterà ascolto ai consigli dell’anus e muterà il suo
atteggiamento a favore di uno solo tra i mille viri: a partire dal v. 675, dunque, il
rovesciamento dello statuto didascalico della lena protagonista di Am. 1,8 si
manifesta chiaramente. Mentre Dipsa esorta la fanciulla ad avere più amanti per
evitare che la sua bellezza invecchi nullo exercente,20 l'anus invita Pomona a rifiutare
17
Che il tradito timidi aut audacis abbia dato luogo a numerose congetture e indotto Tarrant a collocarlo tra cruces, non
stupisce: il nesso disgiuntivo, infatti, sembrerebbe privo di un legame logico con la vicenda di Penelope sollicitata
pluribus procis. A spiegare l'ambigua definizione di Ulisse, tuttavia, potrebbe contribuire lo stesso Ovidio, che nel
tredicesimo libro delle Metamorfosi, mette in scena la disputa tra Aiace e Ulisse sulle armi di Achille: mentre Aiace
sottolinea fin dall'inizio del suo discorso la viltà del rivale, grazie al frequente impiego dell'epiteto timidus, Ulisse, al
contrario, rivendica il proprio valore in guerra, al punto da concludere l'elenco delle proprie imprese con l'invito a
ricordarsi di lui si quid adhuc audax ex praecipitique petendum est (vv. 379−380). Tale rinvio, tuttavia, non aiuta a
comprendere la caratterizzazione dell'eroe vile o audace in relazione a Penelope: non è improbabile che Ovidio alluda al
duro rimprovero rivolto da Atena a Odisseo nei vv. 224−232 del libro ventiduesimo dell'Odissea: per indurre l'eroe ad
affrontare i proci, la dea lo accusa di non possedere più la forza e il coraggio di cui ha dato prova durante la guerra
condotta contro i Troiani a causa di Elena: non è forse casuale che ad aprire la sezione mitologica del discorso dell'anus
sia Elena, motore della guerra e dell'audacia di Ulisse, e a concluderla sia Penelope, nei confronti della quale fin da
Omero l'eroe ha un comportamento non conforme al valore dimostrato durante la guerra di Troia; cfr. Chrysante.
Tsitsiou-Chelidoni, Ov. Met. 14,671: Pomona in der Gesellschaft der heftigst umworbenen Frauen, «BStLat» 36, 2006,
pp. 400−416.
18
Cfr. Am. 1,8,47−48 Penelope iuvenum vires temptabat in arcu; / qui latus argueret, corneus arcus erat con il
commento ad loc. di JAMES C. MCKEOWN, op. cit.
19
Cfr. Am. 1,8,43−44 ludunt formosae: casta est quam nemo rogavit; / aut, si rusticitas non vetat, ipsa rogat.
20
vv. 53−54 forma, nisi admittas, nullo exercente, senescit. / nec satis effectus unus et alter habent.
10
sdegnosamente le proposte di matrimonio di infimo livello (v. 677 vulgares taedas)
degli altri pretendenti21 e a scegliere accuratamente solo Vertumno come socius tori.
L'anus è pronta a offrire tutte le garanzie per sostenere la scelta di Pomona (vv.
678−679): oggetto della protezione della vecchia mezzana, dunque, non è il
personaggio femminile, ma il dio stesso. Nei vv. 678−679 lo scambio di ruoli che
investe i destinatari del favore accordato dall'anus (dalla fanciulla di Am. 1,8 a
Vertumno) è amplificato dalle ironiche allusioni alla sua reale identità (vv. 676−677.
679−680); a subire un processo di riconversione è anche il motivo di ascendenza
callimachea del deus de se narrans impiegato da Properzio in 4,2,20, che costituisce
la necessaria premessa dell'elenco di trasformazioni riconducibili a quello che
Vertumno nel v. 19 rivendica imperiosamente come unico e vero index nominis.
Ad essere garantito dall’anus è il carattere esclusivo e totalizzante della
passione di Vertumno per Pomona: l’elogio delle qualità del dio che occupa i vv.
680−688 non solo decreta la sua superiorità sugli altri pretendenti, ma lo sottrae
definitivamente alla fluidità spazio-temporale22 e alla mutevolezza del dio
properziano. In tu primus et ultimus illi / ardor eris (vv. 682−683) è chiara l’analogia
tra l’atteggiamento del Vertumno ovidiano e l’affermazione di Properzio in 1,12,20
Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit: il dio acquista la fisionomia canonica
dell’innamorato elegiaco che alla stabilità della relazione con l’amata dedica tutta la
vita. D'altra parte con la proclamazione di un amore assoluto, esclusivo e fedele
Ovidio lega saldamente la vicenda di Vertumno e Pomona all'orizzonte degli antiqui
mores italici graditi ad Augusto: in tale prospettiva di conciliazione di valori elegiaci
ed augustei si manifesta chiaramente il superamento della prima storia d'amore del
poema, quella tra il dio Apollo e Dafne, primus amor Phoebi.23
Le differenti manifestazioni del vertere del dio, che Properzio collega prima
all’annus vertens (vv. 11−12) e poi alla sua capacità di assumere qualunque forma
21
Il verbo reicere definisce il comportamento di chi si rifiuta di accettare una proposta con un atteggiamento di
disprezzo (cfr. OLD s.v. [7]); l’impiego dell’epiteto vulgaris concorre ad amplificare l’inevitabile declassamento degli
altri pretendenti, ridotti ad una folla anonima in opposizione alla centralità conferita a Vertumno nel verso successivo.
22
Cfr. vv. 681 haec loca sola colit; 683 solique suos tibi devovet annos: al poliptoto è affidato il compito di sottolineare
il legame di Vertumno con i luoghi in cui Pomona vive e il desiderio di dedicarle tutta la vita.
23
Cfr. Ov. Met. 1,452.
11
(vv. 21−22), sono rese funzionali dall’anus alla strategia di persuasione della ninfa:
esposte secondo un ordine inverso rispetto a quello dell’elegia properziana (vv.
685−688), esse ribadiscono la piena integrazione tra il polimorfismo di Vertumno,
presentato sottoforma di servitium amoris (vv. 685−686), il suo legame con le
primizie di stagione, caratterizzato come mezzo di conquista dell'amore di Pomona, e
una dimensione georgica, fondata sul labor e sulla devozione agli dei da parte della
ninfa (vv. 687−688).
Condizione tipica dell’amante elegiaco è la perdita di interesse per le attività
consuete:24 nel caso di Vertumno la passione esclusiva e assoluta per Pomona limita
drasticamente il suo status di divinità legata al mondo agricolo (vv. 689−691) e pone
le premesse per la conclusione della suasoria pronunciata dall'anus, in cui
l'associazione del tono supplice a quello perentorio delle minacce introduce la
narrazione della storia di Ifi e Anassarete. Nei vv. 691−694, dunque, giunge al
culmine la riduzione del solenne monologo del Vertumno properziano, fonte
autorevole del proprio index nominis e delle vicende storiche legate al Vicus Tuscus,
al discorso di seduzione del dio sotto le sembianze dell'anziana donna. Con uno
hysteron proteron giustificato dalla forma assunta da Vertumno, l'invito a misereri
ardentis precede il riferimento alla preghiera del dio innamorato, di cui l'anus si fa
portavoce.25
A conclusione della suasoria non poteva mancare la minaccia di ritorsioni
divine ai danni di Pomona nel caso in cui la ninfa sia indifferente alla supplica del
dio: l'anus accumula una serie di possibili motivi di timore, che vanno dalla menzione
degli dei vendicatori a quella di Venere, ostile ai pectora dura, per terminare con il
riferimento alla collera di Nemesi (vv. 693−694).26 Tale amplificazione del motivo
24
Cfr. e.g. Prop. 2,16,33−34 con il commento di PAOLO FEDELI, Properzio. Elegie. Libro II, Cambridge, Francis Cairns
Publications, 2005; Hor. Carm. 1,8: a entrambi i contesti rinvia l’anafora di nec che scandisce l’elenco delle attività
prima gradite e poi rifiutate a causa dell’amore.
25
Nel lessico elegiaco misereri indica la compassione suscitata dalle preghiere e dai lamenti dell'innamorato (cfr. RENÉ
PICHON, Index verborum amatoriorum, Paris, Olms, 1902, p. 203).
26
Canonico nella produzione erotica ellenistica, l'appello dell'innamorato a Nemesi perchè punisca l'amata è ripreso
nella poesia d'amore latina, in cui la medesima funzione è attribuita anche a Venere, tradizionalmente invocata perchè
provochi l'amore: cfr. e.g. Catull. 64,190-191; Hor. Carm. 3,10,16−17; 26,11−12 con il commento di ROBIN GEORGE
MURDOCH NISBET-NIAL RUDD, A Commentary on Horace: Odes, Book III, Oxford, Oxford University Press, 2004; Ov.
12
della vendetta degli dei da un lato ribadisce la conversione del Vertumno properziano
nel prototipo dell'amante elegiaco, dall'altro trova una giustificazione nel riferimento
dei vv. 695−696 alla vetustas della donna, che è sinonimo di esperienza e le dà la
possibilità di aggiungere un'ulteriore causa di paura, cioè i facta notissima tota
Cypro. Il rapporto tra la precettistica d’amore e l’esperienza personale del praeceptor
emerge chiaramente nelle parole con cui, a conclusione del suo discorso, Dipsa ne
mette in luce le conseguenze positive per la fanciulla e per se stessa prima e dopo la
morte.27 Nei confronti di Pomona, invece, l’intento dell’anus è decisamente opposto:
messo in rilievo dal poliptoto (time v. 694; timeas v. 695), il tono minaccioso deve
chiarire alla ninfa che la duritia nei confronti dell’amore esclusivo e assoluto di
Vertumno potrebbe suscitare l'ira divina. Al nesso allitterante flecti facile e
all'incoativo mitescere è affidato il compito di chiarire lo scopo del racconto della
vicenda di Ifi e Anassarete: la sovrapposizione tra il lessico erotico28 e la metafora
georgica allude all'intento di indurre Pomona ad accogliere l’aspirazione di Vertumno
ad un’unione stabile e indissolubile nella dimensione campestre che le è propria.
Del resto, che la conciliazione tra i due ambiti sia non solo possibile, ma anche
auspicabile e proficua per la ninfa, è sottolineato dall'anus a conclusione del racconto
con un tono di velata minaccia; nei vv. 761−764, infatti, l'esortazione a mettere da
parte l'orgoglio e a unirsi a Vertumno è seguita dall'augurio di prosperità per i poma
nascentia e florentia:
quorum memor, o mea, lentos
pone, precor, fastus et amanti iungere, nymphe.
sic tibi nec vernum nascentia frigus adurat
poma, nec excutiant rapidi florentia venti».
Am. 3,8,65−66; Met. 3,405 e per il motivo MYRIAM LIBRÁN MORENO, Maldición; Súplicas in Diccionario de motivos
amatorios en la literatura latina (siglos III a.C.-II d.C.), Huelva, Universidad de Huelva, 2011, pp. 263;409.
27
Cfr. Am. 1,8,105−108.
28
Cfr. Pichon. op.cit. s.v. flectere p. 150; s.v. mitis p. 203; nella metafora georgica Pomona, al pari di una pianta
flessibile e di un frutto che giunge a maturazione, muterà facilmente il suo atteggiamento consueto e diventerà
gradualmente più mite: cfr. ThlL VI,1 892,12−17; 80 sgg.; VIII,1 1144,82 sgg.; 1145,32 sgg.
13
A indurre la ninfa a innamorarsi di Vertumno, però, non sono le parole
pronunciate dall'anus, adatte al suo aspetto e riconducibili all’esperienza che
costituisce un tratto caratteristico del personaggio nel ruolo di praeceptor amoris,
bensì l’improvvisa apparizione del dio nel suo splendore giovanile, amplificato dalla
similitudine con la luce del sole che, vinto l'ostacolo delle nubi, rifulge:
haec ubi nequiquam formae deus apta senili 765
edidit, in iuvenem rediit et anilia demit
instrumenta sibi talisque apparuit illi,
qualis ubi oppositas nitidissima solis imago
evicit nubes nullaque obstante reluxit.
vimque parat; sed vi non est opus inque figura 770
capta dei nymphe est et mutua vulnera sensit.
29
Per l’impiego dell’aggettivo mutuus nel senso di «reciproco» in scene tipiche di innesto cfr. e.g. Plin. Nat. 17,134
neque enim animalium tantum est ad coitus aviditas, sed multo maior est terrae ac satorum omnium libido, qua
tempestive uti plurimum interest conceptus, peculiare utique in insitis, cum sit mutua cupiditas utrimque coeundi e
Pallad. Insit. 109−110 nec non et citrei patiuntur mutua rami / pignora quae grauido cortice morus alit); sulla
presentazione dei mutua vulnera di Pomona e Vertumno come «a hybrid process of elegiac coupling and georgic
grafting» cfr. AILSA HUNT, Elegiac Grafting in Pomonan's Orchard: Ovid, Metamorphoses 14.623-771, in «MD » 65,
2010, pp. 57−58.
14
conclude con esito positivo il progressivo accostamento dei due ambiti a cui era
finalizzata la suasoria pronunciata dall'anus.30
Ovidio, dunque, rende possibile in un poema epico la conciliazione tra due ambiti che
Virgilio aveva reso incompatibili nel finale del quarto libro delle Georgiche;31 benchè
la scelta dei protagonisti dell'episodio da parte di Ovidio riprenda i criteri virgiliani
nell'accostamento di un personaggio noto e inserito in un'antica tradizione (Vertumno
/ Orfeo) ad uno meno conosciuto (Pomona / Aristeo), la condivisione dell'interesse
per l'agricoltura concorre non solo a favorire la loro unione, ma anche a collocarla in
un processo di civilizzazione che ha luogo nell'area italica sotto il regno di Proca.
Che il Vertumno ovidiano sia profondamente diverso da quello properziano è
un dato su cui gli studiosi concordano; più difficile, invece, è definire le modalità
con cui Ovidio opera nella riduzione ad amante elegiaco del dio che nell’elegia 4,2
espone con registro solenne i signa paterna e si presenta come fonte autorevole del
significato del proprio nome. Mentre l’infelicità amorosa di Vertumno e talune
allusioni al primo libro delle elegie properziane, come quella dei vv. 682−683,
sembrano confermare il rinvio di Ovidio alla vecchia maniera elegiaca del suo
predecessore,32 d’altra parte l’elenco di trasformazioni del dio poste al servizio della
sua strategia di seduzione della ninfa e il rovesciamento dello statuto della vecchia
mezzana di Am. 1,8 nella suasoria pronunciata da Vertumno sotto le sembianze di
anus rivelano la tendenza del poeta alla riconversione di temi e situazioni
caratteristici della sua produzione erotica precedente.
La presentazione del dio come innamorato elegiaco, sottratto alla fluidità
temporale e spaziale che lo caratterizza in Properzio nell'elegia 4,2, non esclude che
la scelta del personaggio da parte di Ovidio e il suo accostamento a Pomona risentano
delle implicazioni morali e ideologiche del Vertumno properziano, che agiscono sullo
30
Cfr. in particolare l'impiego di tale procedimento nel v. 696.
31
Sulla questione sono ancora valide le osservazioni di G IAN BIAGIO CONTE, Virgilio. Il genere e i suoi confini, Torino,
Garzanti, 1984, pp. 43−53.
32
Cfr. KAREN SARA MYERS, Ultimus ardor: Pomona and Vertumnus in Ovid’s Met. 14.623-771, «CJ» 89,1994, p. 228;
FRANCESCA BOLDRER, Il mito di Vertumno tra Properzio e Ovidio, «ARF» 3,2001, pp. 101−102.
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sfondo della storia d’amore a lieto fine con la ninfa: esse sono legate al processo di
integrazione tra i Romani e gli Etruschi, che culmina con la loro alleanza contro i
Sabini (vv. 49−52), in funzione della celebrazione di Roma come fattore unificante
di varietà etniche e linguistiche e della restaurazione morale e religiosa promossa da
Augusto nel rinnovato clima di pace dopo le alterne vicende delle guerre civili.
Ovidio, dunque, rende omaggio a Properzio che per primo aveva conferito un
ruolo centrale al dio del vertere non solo in relazione alle vicende della sua evocatio
da parte dei Romani e della sua effigie nel Vicus Tuscus, ma anche in rapporto alla
funzione programmatica che l'elegia svolge fin dalla sua collocazione subito dopo il
componimento di apertura; a Vertumno Properzio affida il compito di mettere in
rilievo la capacità del poeta di piegare il distico elegiaco ad una grande varietà di
contenuti senza pregiudicare l’unità del quarto libro.33
Tuttavia, muovendo da un nucleo tematico di ascendenza properziana, Ovidio
persegue scopi diversi e trasforma il dio in un personaggio dinamico, collocato in una
dimensione che solo apparentemente è «privata ed erotica»,34 ma che in realtà è
espressione di istanze ideologiche e sentimentali compatibili con i valori della civiltà
contadina italica rappresentati da Pomona.
Tale conciliazione pone le premesse per l'elogio della gens Iulia nella
conclusione dell'ultimo libro del poema epico ovidiano; non è casuale che esso si apra
nel nome di Numa e si chiuda con la celebrazione di Augusto, due figure
storicamente lontane, ma accomunate da intenti di pacificazione e di moralizzazione
che si pongono in continuità con il modello etico e civile suggerito dalla storia
d'amore tra Vertumno e Pomona.
33
Sulla funzione programmatica dell’elegia cfr. le osservazioni di PAOLO FEDELI, Properzio. Elegie. Libro IV, I,
Nordhausen, Verlag Bautz, 2015, pp. 82−85.
34
Cfr. F. Boldrer, op. cit., p. 110.
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Abstract: The article’s purpose is to investigate the relationship between the Vertumnus
characterization in Prop. 4,2 and the ovidian reworking in Met. 14. In the love story between
Vertumnus and Pomona Ovid reduces the propertian god to an elegiac lover situated in a definite
space and in a legendary time: no trace of spatial and temporal fluidity in Prop. 4,2. The ovidian
Vertumnus is a dynamic god, expression of sentimental and ideological values compatible with
Pomona's agricultural Italic world.
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