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Approcci e metodi

Approcci e metodi della tradizione


• Nel mondo classico, nel Medioevo e durante il Rinascimento,
l’insegnamento linguistico è essenzialmente comunicativo, basato
sull’uso prima che sulla forma. L’insegnamento era affidato a un
madrelingua e non c’erano grammatiche, ma solo testi classici.
• Nel secondo Rinascimento e nel Seicento nascono centri che studiano
la lingua come oggetto, dall’Accademia della Crusca a Port Royal ecc.
Nascono i primi dizionari e le prime grammatiche, poiché il latino
smette di essere una lingua veicolare e si comincia a insegnare le lingue
moderne però con i metodi con cui era stato insegnato il latino

Approcci deduttivi

Approccio formalistico (Seicento-anni Sessanta) Metodo grammatico-traduttivo

a) Focalizza l’attenzione sulla grammatica intesa come analisi formale


b) La fonologia è intesa come “regole di pronuncia”
c) Il lessico viene appreso attraverso liste
d) L’istruzione è impartita nella lingua madre degli studenti
e) Scarso utilizzo della lingua oggetto di apprendimento
f) Lettura precoce di testi classici difficili
g) L’esercizio tipico è la traduzione (da L2 a L1 e viceversa)
h) Il risultato è l’incapacità di usare la lingua per la comunicazione. La dimensione
orale viene infatti sviluppata dopo la presentazione di “regole di pronuncia”
attraverso la lettura dei testi
i) L’insegnante non deve essere necessariamente in grado di parlare la L2
j) Lo studente è tabula rasa che deve studiare senza discutere metodi, scopi e
contenuti
k) Il docente è un sacerdote incontestabile che possiede la verità
l) La situazione è la lezione. Essa comincia con la presentazione di regole ed
eccezioni non sempre accompagnate da un numero sufficiente di esempi. Dopo aver
fornito le liste dei vocaboli occorrenti si passa agli esercizi, costituiti tipicamente da
frasi da tradurre (spesso si tratta di frasi isolate)
- Fu teorizzato tra i primi dal filosofo Locke, vissuto tra il XVII e il XVIII sec.
m) I libri di testo si articolano in capitoli o “lezioni” incentrati su aspetti morfologici o
sintattici (accentuazione della morfosintassi)

Reading method (ventennio che separa le due Guerre mondiali)


E’ una variante del metodo grammatico-traduttivo, ancora più focalizzata sulla
lettura. E’ il primo esempio di reduced competence course
a) Viene insegnata solo la grammatica necessaria per la comprensione della lettura
b) Il vocabolario utilizzato all’inizio è limitato e si allarga poi gradualmente
c) La traduzione torna ad essere, ancora una volta, una tecnica accettabile
d) La comprensione della lingua scritta è l’unica abilità linguistica curata
e) Non è necessario che l’insegnante abbia una buona competenza orale della L2.
Egli funge da mero facilitatore, da dizionario e grammatica vivente per risolvere
problemi di comprensione
f) I testi letterari e i classici vengono utilizzati solo per gli allievi che tendono ad una
“cultura generale”, altrimenti i testi sono di solito microlinguistici, a seconda della
specializzazione scolastica
g) L’istruzione è impartita essenzialmente nella madrelingua degli allievi
h) Lo studente è molto autonomo, deve scoprire la lingua straniera, sebbene con
l’aiuto del docente (Per Balboni è induttivo, per Diadori è deduttivo)

Il metodo cognitivo (anni ’60)


Si fonda sulla linguistica generativo-trasformazionale di Chomsky e seguaci:
a) L’apprendimento di una lingua non è il risultato della formazione di abitudini, ma
consiste piuttosto in un processo di formazione di regole che avviene tramite la
formulazione di ipotesi
- Tale capacità degli esseri umani è dovuta alla loro predisposizione ad imparare una
lingua, cioè all’esistenza di un meccanismo di acquisizione, il Language Acquisition
Device (LAD)
b) L’acquisizione della grammatica della lingua permette all’apprendente di
comprendere e di creare un numero potenzialmente infinito di nuove frasi, che non
ha mai sentito né prodotto prima
c) Secondo gli psicologi della scuola cognitivista, l’apprendente non è una tabula
rasa su cui imprimere strutture tramite appositi esercizi, ma possiede sin dall’inizio
un proprio bagaglio di strategie cognitive
d) Tipico di questo modello di apprendimento è il concetto della centralità
dell’allievo, che diviene il vero soggetto dell’educazione e che procede in base ad
una serie di atti intenzionali, suggeriti e concordati con l’insegnante
• Nella sua prima formulazione negli anni 60, il metodo cognitivo non si
differenzia molto da quello grammatico-traduttivo: il concetto fondamentale
è che la competenza, cioè la conoscenza delle regole, debba procedere
l’esecuzione e quindi la fase dell’esercizio. Anche nelle successive revisioni,
comunque, l’applicazione della grammatica trasformazionale in metodo
didattico ha presentato limiti e difficoltà, poiché si tratta di una teoria del
“prodotto” e non del “processo” di apprendimento.

Approcci induttivi

Metodo diretto (approccio naturale) e metodo intensivo (1872)


Il metodo Berlitz fu la realizzazione più nota del metodo diretto
a) Docente madrelingua
b) Accentuazione delle abilità orali
c) Capacità di leggere e comprendere un testo, anche se non parola per parola (da
qui si evolverà il Reading Method)
d) Non è ammesso l’uso della L1
e) Le lezioni cominciano con dialoghi e aneddoti in stile conversativo in L2
f) Azioni, mimica e figure sono usate per chiarire i significati
g) La grammatica viene appresa induttivamente
h) I testi letterari vengono letti per il piacere di farlo e non vengono analizzati
grammaticalmente
i) Anche la cultura straniera è insegnata induttivamente
j) Scarsa strutturazione della materia: l’insegnante parla esclusivamente in L2,
all’inizio indicando e nominando gli oggetti che si trovano nell’aula, poi presentando
brevi dialoghi, con la conseguente mancanza d’ordine nella presentazione degli
elementi linguistici e lo scarso rispetto della graduazione delle difficoltà
> Questo metodo ebbe fortuna soprattutto in quei Paesi di forte immigrazione, nei
quali si avvertiva l’urgenza di far apprendere la propria lingua ad altri popoli (Francia
e Stati Uniti)

• Una variante del metodo diretto è costituita dal metodo dell’immersione


totale o intensivo, caratterizzato da una protratta permanenza dell’allievo a
contatto esclusivo con la lingua in apprendimento; in corsi intensivi speciali
l’uso della LS non è limitato all’aula ma si estende ad ogni momento della
giornata
Metodo audio-orale meccanicistico (Approccio strutturalistico; Seconda
Guerra Mondiale) (Bloomfield)
a) La teoria psicologica a cui si fa riferimento è il neocomportamentismo o
neobehaviorismo (Skinner), basato su una serie intensiva di stimoli/risposte sotto
forma di esercizi di ripetizione, esercizi strutturali ecc.
b) Una linguistica strutturale, tassonomica, che consiste in una classificazione di
elementi costitutivi di strutture linguistiche
c) La scelta e la graduazione del lessico e delle strutture sono basate sull’analisi
contrastiva tra L1 e L2 (Lado): inizialmente si presentano strutture simmetriche tra
le due lingue, in cui si ha un transfer positivo, per poi passare a strutture
dissimmetriche, in cui l’interferenza è negativa e ci possono essere errori che vanno
corretti con dosi massicce di esercitazioni
d) L’analisi dell’errore diventa fondamentale; per quanto concerne il testing, esso
viene effettuato con tecniche come la scelta multipla o i test strutturali che
verificano un elemento per volta
e) La frase, e non la parola, è considerata l’unità minima di significato, e quindi la
lingua deve essere appresa non più in vocaboli isolati, ma per strutture complesse
(sociolinguistica: le microstrutture linguistiche non hanno significato se non in una
situazione sociale, perché è quello il contesto minimo della comunicazione) (albore
quasi inconsapevole dell’approccio comunicativo)
f) Si riconoscono 4 abilità di base con una preminenza dell’oralità rispetto allo
scritto, e delle abilità ricettive rispetto a quelle produttive
g) Il ruolo dell’insegnante è quello dell’informant, cioè un parlante nativo della LS
che ha il compito di emettere stimoli e verificare risposte; con l’avanzare delle
glottotecnologie (registratore, laboratorio linguistico ecc.), l’insegnante diventa
sempre più tecnico; non è necessario così che sia un didatta e neanche una persona
colta
h) L’allievo è una tabula rasa, su cui si imprimono meccanicamente le strutture a
forza di pattern drills: questi deve affidarsi completamente al programmatore del
corso che conosce i suoi bisogni e sa cosa deve fare per imparare la lingua
i) L’apprendimento delle lingue è un iperapprendimento: perciò si ricorre ad un
impiego massiccio del laboratorio linguistico per lunghe esercitazioni strutturali, le
cui tecniche più usuali sono la trasformazione di frasi, le riformulazioni e le
sostituzioni semplici o multiple

• Il modello neocomportamentista è criticabile in quanto trascura ogni strategia


cognitiva dell’apprendente ed è focalizzato solo sul codice della LS mentre
restano in secondo piano gli aspetti comunicativi e socioculturali
Pattern drills:
- Sintagmatici: modificano la struttura del sintagma (“io mangio” = “io ho
mangiato”)
- Paradigmatici: che legano nella memoria, ad esempio, un verbo con un
oggetto (“io mangio, mela” = “io mangio una mela”)
- Combinati: che presentano in sequenze sempre più complesse (“io mangiato,
pera, ieri” = “io ieri ho mangiato una pera”)

Il metodo situazionale (anni ’60-’70) (Lado) (Approccio comunicativo v.


2015)
a) Assunzione di testi di lingua viva (appunto le situazioni) come punto di partenza di
un’unità didattica. Le situazioni vengono definite sulla base delle coordinate spazio-
temporali, al ruolo dei partecipanti e ai loro scopi
b) Recupero della dimensione culturale nello studio di una lingua straniera
c) Il docente rimane il fulcro dell’attività didattica, ma per l’input si affida al
supporto dei testi registrati
d) Lo studente, sul piano psicodidattico è ancora tabula rasa, ma ne viene valorizzata
la conoscenza del mondo nelle fasi di esplorazione del paratesto e di creazione di
ipotesi
e) I manuali sono divisi in unità didattiche. In essi si trova:
- Un paratesto, cioè la serie di immagini, titoletti, didascalie che stanno “intorno al
testo” e che sono fondamentali per sintonizzarsi con la situazione sociale descritta
- Un dialogo registrato, con una serie di domande di comprensione, quasi sempre a
scelta multipla
- Una versione segmentata del dialogo che offre agli studenti la possibilità di
ripetere coralmente le battute
- La tradizione strutturalistica rimane in alcuni pattern drill che vengono usati in
classe
- La tradizione formalistica riaffiora in una sezione di grammatica esplicita, con
relativi esercizi, prevalentemente di trasformazione o di completamento
- La tradizione del Reading Method riaffiora nelle letture di civiltà, di solito basate su
stereotipi o su notiziole spesso di scarsissimo interesse motivazionale, con qualche
domanda di comprensione, la richiesta di riassumere ed eventualmente di scrivere
una breve composizione confrontando il paese straniero all’Italia
L’approccio comunicativo (anni ’70)

a) Natura pragmatica della lingua (vedi sotto sezione storia)


b) La competenza comunicativa
- “lo scopo dell’insegnamento della lingua è il raggiungimento di un livello x nella
lingua straniera”. Per essere vera, la dichiarazione deve fare riferimento a un
modello di competenza comunicativa
- Schema degli anni ’90:
v. Competenza comunicativa: è una realtà mentale che si realizza come esecuzione
nel mondo, in eventi comunicativi realizzati in contesti sociali dove chi usa la lingua
compie un’azione; competenza e esecuzione rimandano a competence e
performance, la dicotomia chomskyana che contrappone la dimensione mentale
della lingua e la sua realizzazione reale
v. Nella mente ci sono 3 nuclei di competenze che costituiscono il sapere la lingua:
1) La competenza linguistica: cioè la capacità di comprendere e produrre enunciati
ben formati dal punto di vista fonologico, morfologico, sintattico, lessicale, testuale
2) Le competenze extralinguistiche: la capacità di comprendere e produrre
espressioni e gesti del corpo (competenza cinesica), di valutare l’impatto
comunicativo della distanza interpersonale (competenza prossemica), di usare e
riconoscere il valore comunicativo degli oggetti (oggettemica) e del vestiario
(vestemica)
3) Il nucleo delle competenze contestuali relative alla lingua in uso: la competenza
sociolinguistica, quella pragmalinguistica e quella (inter)culturale
v. Le competenze mentali: si traducono in azione comunicativa, nel saper fare la
lingua, quando esse vengono utilizzate per comprendere, produrre, manipolare
testi: si tratta delle abilità, che non sono solo le 4 di base (ascolto, lettura,
monologo, scrittura) più quella interattiva, il dialogo, ma anche abilità manipolative
come il riassumere, il tradurre, il parafrasare, il prendere appunti, lo scrivere sotto
dettatura
v. I testi orali e scritti prodotti attraverso il meccanismo di padronanza
contribuiscono a eventi comunicativi, governai da regole sociali, pragmatiche,
culturali: è il saper fare con la lingua

Metodo nozionale-funzionale
a) L’approccio grammaticale con cui sono cresciuti gli insegnanti viene ufficialmente
condannato e bandito
b) Gli esercizi strutturali sono ridotti in numero e non più eseguiti in laboratorio
linguistico
c) L’impianto dei manuali rimane quello del metodo situazionale, sostanzialmente
legato alla sequenza presentation (audio o video), practice (atti linguistici),
production (roleplay, drammatizzazioni ecc.) e nelle metodologie psicodidattiche “a
mediazione sociale”, quelle cioè in cui gli studenti lavorano tra di loro costruendo
insieme la loro conoscenza (“costruttivismo”): per stimolare la comunicazione si
impostano attività di problem solving oppure basate sull’esecuzione di un progetto e
ci si affida all’apprendimento cooperativo, alla collaborazione tra studenti
d) La cultura è ridotta a cultura quotidiana, materiale, e tendono a scomparire la
riflessione sulla civiltà dei popoli di cui si studia la lingua
e) Il sillabo è sviluppato secondo le categorie di “funzioni” (salutare, ringraziare) e
“nozioni” (concetti di tempo, di quantità), che si realizzano con “esponenti
linguistici” diversi
f) Forte impatto della pragmalinguistica e della sociolinguistica

Metodo Project Work (anni ’80)

a) L’apprendimento della lingua avviene attraverso l’interazione con il mondo reale


che hanno luogo al di fuori dell’aula.
b) Questo approccio cerca di indirizzare lo studio della lingua alla realizzazione di un
progetto, inteso come una serie di task collegati tra loro in un periodo di tempo più
o meno lungo. Un progetto si caratterizza perché diamo agli studenti:
- Un obbiettivo da raggiungere
- Una certa quantità di tempo a disposizione
- L’esposizione di questo obbiettivo ad un pubblico
- Studenti e insegnanti dovranno accordarsi tra loro su come raggiungeranno questo
obbiettivo
c) L’insegnante dovrà prevedere diversi gradi di autonomia

Lexical Approach (anni ’70 viene creato ma utilizzato solo dagli anni ‘90)

a) Metodo incentrato sul lessico e non più sulla grammatica. La grammatica


rappresenta la struttura portante di una casa e il lessico ne costituirebbe i singoli
mattoni di significato fisso che si inseriscono nella struttura man mano che la casa
cresce, in modo da costruire e farsi adeguare.
b) Più che di singoli vocaboli è giusto parlare di blocchi o chuncks che costituiscono
una parte fondamentale del lessico. Uno dei fattori cardine del modello di
insegnamento di una lingua straniera è proprio l’esposizione del discente a un input
linguistico ampio. L’uso di input linguistico ampio offre inoltre vantaggi: venendo a
contatto contemporaneamente con il lessico e con le strutture della lingua,
l’acquisizione delle regole sarà subordinata alla comunicazione dei contenuti.
c) Tratti costitutivi della didattica comunicativa:
- Aspetti funzionali della lingua: approccio comunicativo che non si interessa
esclusivamente degli aspetti strutturali
- Autenticità del materiale linguistico: la lingua oggetto è il più possibile autentica,
corrispondente a quella che è usata nella comunicazione reale
- Progressione dei contenuti: non c’è una progressione lineare degli elementi
linguistici basata sull’asse della semplicità o complessità grammaticale
- Si afferma il concetto di unità didattica intesa come un complesso di procedure
atte a presentare la lingua nella sua pienezza comunicativa
- Ruolo dell’apprendente: l’allievo è inoltre stimolato ad interagire con gli altri nel
lavoro in classe per simulare situazioni comunicative realistiche
- Ruolo del docente: è di fondamentale importanza nel decidere se registro, varietà,
stile, sono giusti in quella data situazione per quello scopo

Approcci umanistici-affettivi e psico-motori (anni ’60 USA)


Si rifacevano alla psicologia umanistica di Maslow e Rogers. Approccio
comunicativo, metodo fortemente induttivo.

Community Consueling (CC) o Community Language Learning (1961;


Europa 1976; Curran)

Curran è uno psicologo gesuita che ha trasposto direttamente in didattica i modelli


della seduta psicoterapeuta.
a) Il rapporto ottimale tra insegnante e allievo è analogo a quello che si instaura tra
consuelor e client
b) La consulenza dell’insegnante può esprimersi sotto forma di consigli ad un gruppo
di studenti, di suggerimenti bisbigliati all’orecchio di un allievo, di spiegazioni date
solo su richiesta: egli è sempre a totale disposizione degli allievi, come referente
esterno al gruppo. La responsabilità dell’apprendimento dunque è lasciata agli
studenti stessi che sono una piccola comunità mossa dagli stessi obbiettivi
c) Gli studenti parlano tra di loro nella lingua materna e quando hanno una richiesta
si rivolgono all’insegnante, il quale traduce in lingua straniera e fa ripetere e
registrare l’intera sequenza
d) L’affettività diventa la componente più rilevante, anche se poi le tecniche
rimandano all’approccio formalistico della tradizione
e) Il CC si focalizza sulla produzione orale in un clima totalmente libero e innovativo

Total Physical Response (1965; Europa 1977; Asher)

a) L’acquisizione è un processo lento e non è possibile per Asher uno sviluppo


equilibrato delle 4 abilità, perciò conviene privilegiare una sola abilità che è il saper
ascoltare: la TPR nasce quindi come strategia per acquisire una fluenza d’ascolto
b) Nel tentativo di ripetere il modello di acquisizione della lingua materna, Asher
propone di insegnare le lingue tramite l’esposizione ad una sequenza di comandi
che comportano l’esecuzione di gesti, spostamenti e comunque azioni non verbali
(“alzati”, “prendi il libro” ecc.)
c) La produzione orale viene rinviata fino a quando l’allievo si sentirà in grado di
parlare nella lingua straniera
d) Nella TPR gli studenti, non hanno un posto fisso nell’aula, ma si muovono durante
la lezione, per offrire quella risposta di tutto il corpo che dà il nome al metodo

Silent Way (1972; Europa 1976; Gattegno)

a) Ruolo centrale e autonomo attribuito al discente: dato che l’insegnante non


spiega, ma fornisce semplicemente il modello e corregge raramente con la tecnica
della correzione silenziosa, l’attività cognitiva degli allievi è stimolata al massimo
grado; questi devono formulare ipotesi, sperimentarle in collaborazione con i
compagni, apportare correzioni e verificare di nuovo, tutto ciò senza l’aiuto di un
facilitatore
b) Strumenti: regoli di Cuisenaire e tabella delle grafie
c) Il metodo silenzioso sottende un progetto educativo che mira allo sviluppo della
consapevolezza del proprio io e dunque ascrivibile a buon diritto tra i metodi
umanistici

La suggestopedia (anni ’60 1972; Europa 1979; Lozanov)

a) E’ il metodo clinico per eccellenza in quanto è praticamente una serie di sedute di


psicoterapia di gruppo
b) L’ansia, la paura e la competitività sono viste come i principali ostacoli di chi
apprende una lingua
c) Uno dei fattori suggestivi indicato da Lozanov è l’”infantilizzazione”: per imparare
senza stress, l’adulto deve tornare bambino, rientrare in quello stato felice dove
sono assenti critica e autocritica
d) Aula resa accogliente da fiori, quadri ecc., uso della musica
e) All’inizio l’allievo è invitato a cambiare nome e a costruirsi una nuova identità nel
mondo della lingua che sta apprendendo
f) La lezione inizia con gli allievi seduti comodamente che ascoltano la lettura di un
dialogo in lingua straniera, fatta dall’insegnante seguendo il ritmo della musica di
sottofondo. Gli allievi seguono il testo scritto, provvisto di traduzione a fronte nella
loro lingua madre. La lettura viene ripetuta dall’insegnante con una diversa musica
di sottofondo, mentre gli allievi seguono questa volta ad occhi chiusi; si passa poi ad
una fase di attività comunicative riferite al brano letto. A casa, il discente sarà
invitato a rileggere il dialogo prima di addormentarsi, e ripetere la lettura il mattino
seguente al risveglio (questo favorirebbe una ipermnesia, cioè una capacità
straordinaria di memorizzazione di strutture a lungo termine)

Strategic Interaction (1976; Europa 1985; Di Pietro) (Approccio


comunicativo v. 2015)

a) Il presupposto teorico del metodo è la concezione dello scambio comunicativo:


l’interazione verbale tra 2 persone non è mai un semplice scambio di informazione
ma consiste nella realizzazione di obbiettivi personali che si ottengono per mezzo di
negoziazioni. Quindi un discorso non ha solo un valore letterale, ma anche un
significato strategico
b) Attraverso una sequenza di copioni, lo studente impara a gestire situazioni
sempre più complesse, che prevedono la presenza di 2 o più persone che
interagiscono tra di loro. Secondo Di Pietro, infatti, insegnare una lingua straniera
significa riproporre in classe, in modo verosimile, la complessità dello scambio
comunicativo nella vita reale
c) Nella fase preparatoria, gli studenti sono divisi in 2 gruppi, ognuno dei quali aiuta
uno dei 2 interlocutori a preparare la drammatizzazione. Generalmente i copioni
prevedono situazioni complicate, occorre pertanto che ciascun gruppo predisponga
possibili alternative. Nella seconda fase, invece, i 2 studenti portavoce
drammatizzano la scena e gli altri vi assistono, insieme all’insegnante. Nella terza
fase, l’insegnante guida una discussione sulla performance eseguita.
> In realtà Di Pietro teorizza soltanto un buon impiego del role-play inserito
all’interno di un contesto metodologico globale

Il Natural Approach (1977; Europa 1982; Terrel) (Approccio


comunicativo)

Il “metodo naturale” di Terrel si è sempre più avvicinato nelle sue versioni più
recenti alle ipotesi formulate da Krashen sull’acquisizione del linguaggio:
a) Differenza tra acquisizione e apprendimento
- Acquisizione: è un processo inconscio che sfrutta strategie globali dell’emisfero
destro insieme a quelle analitiche dell’emisfero sinistro; quanto viene acquisito
entra a fare parte stabile della competenza della persona, entra nella sua memoria a
lungo termine
- Apprendimento: è un processo razionale, governato dall’emisfero sinistro e di per
sé non produce acquisizione stabile; la competenza “appresa”, in altre parole, è una
competenza provvisoria, non è definitiva. Inoltre, essa viene attivata molto più
lentamente della competenza “acquisita”, per cui nella conversazione reale non si
ha tempo di farvi ricorso se non come monitor, come controllo grammaticale in
senso lato
> l’insegnamento delle lingue deve passare attraverso l’apprendimento, ma tendere
all’acquisizione
b) L’ordine naturale di acquisizione, che è noto solo empiricamente; secondo
Krashen, l’acquisizione avviene seguendo questo ordine, indipendentemente da
quello seguito per l’insegnamento
c) Monitor: l’apprendimento può servire solo da monitor, da meccanismo di
controllo, ma la produzione linguistica è direttamente collegata a quanto è stato
acquisito
Alla base della SLAT (Second Language Acquisition Theory; Krashen) sta l’idea che
l’insegnante debba lavorare per produrre acquisizione. 3 principi che Krashen
individua per produrre acquisizione:

• Input comprensibile
L’acquisizione avviene quando l’allievo concentra l’attenzione sul significato
dell’input e non sulla forma. Se a una persona si fornisce un input reso
comprensibile, allora il Language Acquisition Device (LAD) si mette
autonomamente in moto e procede all’acquisizione, purché si verifichino le
condizioni delle due ipotesi che seguono
• Ordine naturale e i + 1, “zona di sviluppo potenziale”, interlingua
La prima delle condizioni perché l’input venga acquisito è che esso sia
collocato al gradino dell’ordine naturale immediatamente successivo all’input
acquisito fino a quel momento.
L’”area di sviluppo potenziale” è la distanza tra la parte di un compito che una
persona è già in grado di eseguire (intake) e il livello potenziale cui può
giungere (1) nel tentativo di compiere la parte restante del compito, distanza
che può percorrere da solo o sotto la guida di una persona più esperta.
Krashen inserisce i vari scalini i+1 lungo l’ordine naturale d’acquisizione, cioè
la successione degli elementi linguistici nelle sequenze di acquisizione così
come emergono dagli studi della linguistica acquisizionale. Le conseguenze
possibili sono 2:
a) Se noi prendiamo un elemento a caso della sequenza, tutti gli elementi che
vengono prima di quel punto sono condizione necessaria per poterlo
acquisire; essi costituiscono la “i” della formula
b) Se il punto i+1 compare nell’input reso comprensibile, il fatto di aver già
acquisito gli elementi precedenti è condizione sufficiente perché
l’acquisizione del nuovo avvenga, purché il filtro affettivo sia aperto

• Filtro affettivo
L’ipotesi afferma che affinché i+1 sia acquisito è necessario che non sia
inserito il filtro affettivo, altrimenti ciò che si comprende viene collocato nella
memoria a breve o medio termine, ma non passa ai centri dell’acquisizione
stabile e definitiva.
Infatti, in stato di serenità l’adrenalina si trasforma in noradrenalina, un
neurotrasmettitore che facilita la memorizzazione, mentre in stati di paura e
stress si produce uno steroide che blocca la noradrenalina e fa andare in
conflitto l’amigdala (ghiandola “emotiva” che vuole difendere la mente da
eventi spiacevoli) e l’ippocampo (la ghiandola che invece ha un ruolo attivo
nell’attivare i lobi frontali e iniziare la memorizzazione).
Il filtro affettivo è dunque un preciso meccanismo di autodifesa, che viene
inserito da:
a) Stati d’ansia
b) Attività che pongono a rischio l’immagine di sé che lo studente vuole offrire
al resto della classe
c) Attività che minano l’autostima
d) Attività che provocano la sensazione di non essere in grado di apprendere
(per questo, le attività di comprensione che aprono un’unità di
apprendimento devono facilitare al massimo il primo contatto con un nuovo
testo in lingua straniera)

Pedagogia steineriana

- Metodo diretto: l’idea di fondo è che si debba insegnare la L2 ricreando le


condizioni che determinano l’acquisizione di L1. Da un punto di vista
psicolinguistico, i due metodi si differenziano anche per il diverso ruolo che
viene attribuito alla dimensione metalinguistica e alla grammatica che viene
presentata in maniera induttiva.
- In questo momento si inserisce anche una nuova teoria dell’apprendimento:
la teoria antroposofica teorizzata dal filosofo e padagogo Steiner
- L’obbiettivo della antroposofia era per Steiner lo studio dell’anima su basi
scientifiche e l’ampliamento della coscienza interiore, grazie alla quale l’uomo
può sperimentare se stesso come cittadino di due mondi: quello fisico e
quello spirituale
- La pedagogia steineriana considera le fasi di apprendimento influenzate
dalle fasi di evoluzione dell’essere umano secondo cicli di 7 anni:
a) 0-7 anni il bambino si sviluppa con il “fare”
b) 7-14 anni il ragazzo dovrebbe sviluppare “l’amore per il fare”
c) 14-21 anni l’adolescente deve poter capire cosa ama fare
- Le linee guida di Steiner sono: volontà, sentimento e azione:
v. L’insegnamento è centrato sull’apprendente, tanto da non prevedere un
curricolo prestabilito o manuali di studio
v. Il contatto precoce con 2 lingue straniere apprese con il gioco e il
movimento, è premessa indispensabile per creare una personalità
cosmopolita
v. Per favorire il processo di assimilazione è importante creare in classe
un’atmosfera adeguata, favorita da un docente madrelingua che faccia amare
la lingua che parla, che usi il gioco e la musica
v. L’insegnamento deve avvenire solo oralmente nei primi anni

Metodo Neurolinguistic Programming (NPL)

- La NPL viene utilizzata soprattutto per incidere sul comportamento sociale


degli individui che possono prendere coscienza dei propri formati di
comportamento e modificarli in maniera da raggiungere i propri scopi
- Anche il comportamento nella L2 è determinato a livello neuro-linguistico può
essere ri-programmato agendo sul modo di comunicare a livello verbale e non
verbale dell’apprendente
- La NPL accentua l’importanza della dimensione neuro-linguistica e sensoriale
nell’apprendimento/insegnamento della L2, dando spazio agli stili di
apprendimento e favorendo quindi tecniche differenziate di memorizzazione
- Questi stili di apprendimento caratterizzano sia gli apprendenti, sia i docenti.
Prendendo atto delle proprie preferenze, sarà possibile organizzare
l’insegnamento in modo da favorire gli stili di ciascuno:
a) La lezione visiva: ricca di materiali scritti, iconici, a colori, bene organizzati
in schemi al computer
b) La lezione uditiva: basata sulla voce del docente o altri fonti sonore
c) La lezione cinestetica: basata su attività collaborative, su esercizi che
coinvolgono i movimenti del corpo e una organizzazione fisica del gruppo
classe, molto flessibile e varia

Metodi moderni

Language Teaching Through the Arts (LTTA; anni ’90; per Italia
Caterina Cangià) L’apprendimento attraverso le arti performative

- In anni recenti, l’uso del teatro per la didattica delle lingue è confluito di
iniziative di respiro internazionale, come il progetto europeo Glottodrama
- La creatività e le passioni personali degli apprendenti balzano dunque in
primo piano, come chiavi di volta per un insegnamento di L2 che:
a) mira sia all’acquisizione della seconda lingua, sia allo sviluppo di abilità
cognitive e competenze performative e artistiche, secondo gli interessi dei
destinatari
b) focalizza il messaggio più che la forma
c) favorisce le emozioni positive trasferendole dall’espressione artistica all’uso
della lingua
- I punti di forza della LTTA stanno emergendo anche a causa dell’impatto delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), che offrono ambienti di
apprendimento flessibili e favorevoli alla creatività individuale, mentre nuove forme
di edutainment trovano sempre più spazio nelle offerte formative legate al tempo
libero, alle vacanze, andando incontro alle caratteristiche e alle esigenze delle nuove
generazioni di apprendenti e promuovendo nuove professionalità anche fra i
docenti
- Il metodo LTTA mette in stretta correlazione l’apprendimento della L2 con
l’esperienza artistica che sviluppa il talento individuale, crea una condizione
psicologica positiva nell’apprendente che lo spinge a focalizzare il messaggio (in L2)
più che la forma

Dalla lezione all’unità didattica

• Il dialogo socratico: alla base di tutto è la conversazione fra maestro e allievo,


secondo una prospettiva maieutica. Il maestro si affianca al discepolo come
una levatrice, cercando di non fornire sapienza, ma di “estrarre” ciò che è già
presente nella mente dell’altro, per far maturare la sua autonomia cognitiva
e il suo spirito critico. Alla base di tutto ci sono le domande dell’allievo: il
maestro è lì solo per guidare le riflessioni che partono dall’allievo stesso, in
una scoperta guidata ma fondamentalmente personale
• Il dialogo socratico, sopravvissuto in parte nella lectio medievale, ha lasciato
poche tracce nei modelli di interazione didattica di epoca contemporanea
- Molto più praticati sono altri modelli, alcuni dei quali di lunga tradizione
(come la lezione), altri elaborati in tempi recenti come applicazione di
discipline quali la linguistica, la neurolinguistica, la sociolinguistica ecc. (come
l’unità didattica e l’unità di apprendimento), altri ancora messi in opera per
rispondere ai cambiamenti della stessa realtà di apprendimento, sempre più
complessa ed eterogenea (ad esempio il modulo)

L’incontro/lezione

• Il termine “lezione” deriva dal latino “legere” e rimanda alla lettura ex


cathedra: lettura di testi canonici per una certa tradizione o lectio magistralis
in ambito accademico. Il docente onnisciente legge, interpreta e trasmette il
suo sapere a un pubblico indifferenziato.
- I ruoli degli interlocutori (docente/allievi) sono fortemente asimmetrici e la
metafora implicita è quella del “vaso pieno” (la mente del docente) e dei “vasi
vuoti” (le menti degli allievi da riempire).
- Un bravo insegnante sarà dunque una persona dotta e capace di esprimere
con chiarezza i contenuti della propria disciplina
- Compito degli allievi sarà quello di ascoltare con attenzione, comprendere e
memorizzare le informazioni
• I manuali di lingua straniera più direttamente derivati dal concetto di lezione
presentano di solito un percorso a tappe di tipo deduttivo, che parte dalla
regola grammaticale, ne mostra degli esempi e procede con esercizi e letture,
per poi concentrarsi sul lessico
• Il formato della lezione, che nel campo della didattica delle lingue trova
perfetta corrispondenza nel metodo grammaticale-traduttivo, è entrato in
crisi nel momento in cui si sono affermate nuove teorie sulla lingua e
sull’apprendimento: dalle teorie neobehavioriste (anni ’60, modelli audio-
orali di tipo meccanicistico) agli approcci comunicativi (anni ’70; correnti di
stampo sociolinguistico e pragmatico)
• In realtà la lezione è ancora fortemente radicata in innumerevoli contesti di
apprendimento guidato, anche perché è particolarmente congeniale,
nell’insegnamento in presenza, quando:
a) La classe è composta da un gruppo numeroso di persone con competenze
omogenee e obbiettivi comuni
b) L’insegnamento delle altre discipline adotta questo modello, che viene
quindi a corrispondere alle aspettative degli apprendenti
c) Il docente non di madrelingua non dispone della fluenza orale necessaria a
coinvolgere la classe in attività realizzate esclusivamente nella lingua di
apprendimento
d) Il docente (di madrelingua e non) si pone l’obbiettivo di fornire spiegazioni
in maniera strutturata, sintetica e ragionata
• La dimensione frontale dell’insegnamento, che accentua l’intrinseca
asimmetria dei ruoli e delle competenze, viene però a caratterizzare anche
contesti di apprendimento guidato a distanza, essendo l’unica possibile, o
quella più semplice da realizzare quando:
a) L’insegnamento viene impartito in differita e si basa su videoregistrazioni
da trasmettere in tempi e con modalità diverse, come avviene nella didattica
per televisione
b) L’insegnamento avviene in videoconferenza, quindi a distanza ma in
contemporanea e con una limitata possibilità di intervenire da parte dei
destinatari, di solito numerosi e composti da gruppi diversi, a cui si rivolge lo
stesso messaggio dallo schermo
c) L’interazione online viene gestita da un tutor che fornisce soprattutto
feedback collettivi sotto forma di interventi scritti rivolti a tutto il gruppo degli
studenti che appartengono alla classe virtuale
• Sebbene ancora in uso in vari contesti e per ragioni diverse, il formato della
lezione presenta vari limiti: specialmente nella didattica delle lingue moderne
secondo un approccio comunicativo non può fornire, se generalizzato e
adottato come formato unico, quell’input interattivo e “modificato”
fondamentale per lo sviluppo armonico delle competenze ricettive,
produttive, interattive e di mediazione, così come vengono descritte dal QCER

L’unità didattica

• Negli anni ’70 si impone una revisione anche dei modelli di insegnamento,
specialmente nel campo delle lingue moderne. In particolare, la teoria della
Gestalt, che descrive la percezione come globalità-analisi-sintesi, offre lo
spunto per ripensare in questi termini anche l’atto didattico
• Alla fine dell’Ottocento, il filosofo e psicologo tedesco Carl Stumpf fonda a
Berlino la prima scuola di psicologia sperimentale (nota come la scuola di
Berlino) ed elabora questa teoria a partire dal fenomeno della percezione.
Secondo Stumpf, la mente umana interpreta la realtà sulla base di “principi
olistici” (“l’intero”, “il tutto”), determinati da leggi innate che permettono di
percepire l’ambiente come un insieme. A differenza delle concezioni
atomistiche o behavioriste, le teorie gestaltiche affermano l’esistenza di
processi mentali innati che organizzano la percezione in unità coerenti che il
soggetto individua in base alle loro caratteristiche comuni. Una forma (in
tedesco Gestalt) viene dunque considerata un’organizzazione che non può
essere ricondotta alla somma degli elementi che la costituiscono
• Se la percezione umana segue dunque questo percorso, anche il contatto con
i contenuti di una disciplina di studio potrà essere proposto in maniera più
efficace utilizzando appunto un percorso che dalla globalità passi all’analisi e
si concluda poi con la sintesi, ovvero con le fasi fondamentali del modello di
Unità Didattica (UD) elaborato da Freddi dagli anni ’60 in avanti, ripreso e
approfondito da Danesi (1988;1998) da un punto di vista neurologico e da
Balboni (1994; 2002; 2008)
- Questa sequenza di fasi si articola in un periodo di 4-6 ore (6-8 per la scuola
secondaria) e comprende più incontri-lezione in classe, oltre allo studio
individuale (i compiti)
- Nell’arco di queste 4-6 ore, il docente mette a fuoco uno o più obbiettivi
glottodidattici e insieme agli studenti punta al loro raggiungimento: al termine
del percorso, se l’obbiettivo è stato raggiunto, dovrebbe essere
concretamente visibile una “trasformazione”. Sia il docente che gli allievi
dovrebbero quindi prendere consapevolezza del cambiamento avvenuto nel
sistema di conoscenze e nelle performance degli studenti grazie all’intervento
didattico
- L’UD si articolerà perciò nelle 3 fasi fondamentali di un approccio olistico e
induttivo al testo e ai materiali didattici proposti dal docente alla classe:
1) La motivazione: si propongono attività di brainstorming per elicitare le
conoscenze già possedute dagli allievi sul tema dell’UD, si forniscono le parole
chiave, si prepara l’incontro con il testo fornendone le coordinate (emittente,
destinatari, contesto)
2) La globalità: incontro iniziale con il testo con un compito di comprensione
generale dell’argomento, delle sue coordinate, anche grazie all’esplorazione
del cotesto e del paratesto
3) L’analisi: con attività che portano all’esplorazione del testo nelle sue
caratteristiche linguistiche, testuali, pragmatiche, culturali, eventualmente
con attività di tipo euristico (per scoprire regolarità ed eccezioni, per verificare
o confutare ipotesi sul funzionamento della lingua ecc.) e induttivo (dal caso
particolare alla regola generale)
4) La sintesi: con attività di reimpiego delle strutture e dei contenuti
incontrati nel testo, allo scopo di fissare (per esempio con esercizi di
manipolazione o ripetizione) o di riutilizzare creativamente i contenuti
linguistici e culturali analizzati
5) La riflessione: si sistematizzano i fenomeni (linguistici e culturali) incontrati
nei testi e nelle attività in classe, in modo da passare in maniera induttiva dal
caso particolare alla regola generale con le sue eccezioni
6) Il controllo: il docente verifica se gli obbiettivi glottodidattici prefissati sono
stati raggiunti.
> In caso affermativo si passa alla UD successiva, altrimenti si propongono
attività di rinforzo o di recupero generale: se tutta la classe non ha raggiunto
gli obbiettivi previsti, sarà utile riproporli con una nuova UD che li persegua
con testi e modalità alternative
• L’italianista canadese Danesi giustifica questo percorso anche in base ai
processi mentali legati alla comprensione e alla produzione del linguaggio e
riprende i presupposti neurolinguistici di quella che viene da lui definita “UD
bimodale”
- Secondo gli studi citati da Danesi, gli esseri umani elaborano i messaggi
utilizzando le diverse modalità che caratterizzano i due emisferi cerebrali:
a) L’emisfero destro percepisce meglio il contesto del messaggio piuttosto
che i singoli elementi al suo interno (con strategie cognitive “dipendenti dal
campo”, ovvero di tipo globale, olistico, spaziale, sintetico, simultaneo)
b) L’emisfero sinistro percepisce meglio i singoli elementi (con strategie
cognitive “indipendenti dal campo”, ovvero di tipo analitico, verbale, logico,
sequenziale)
- Quando il soggetto entra in contatto con uno stimolo nuovo (visivo, melodico,
verbale) attiva inizialmente le modalità dell’emisfero destro, poi intervengono
le modalità dell’emisfero sinistro, nel momento dell’analisi degli elementi
costitutivi dello stimolo; infine si attiva la fase intermodale, in cui entrambi gli
emisferi entrano in gioco per utilizzare in maniera autonoma le informazioni
derivate dallo stimolo
- Questa sequenza corrisponde al principio di “bidirezionalità emisferica” che,
secondo Danesi, dovrebbe guidare anche le attività orientate
all’apprendimento linguistico, essendo già innata nelle procedure mentali di
elaborazione dei messaggi
• Anche Balboni ribadisce questi concetti
• Tuttavia l’UD presenta anche dei limiti:
- Sebbene si ispiri a principi legati ai processi mentali degli apprendenti, in
realtà riflette soprattutto la prospettiva del docente, di cui mette in evidenza
il potere progettuale e il ruolo cruciale nel gestire i flussi delle attività
- La realizzazione delle sue varie fasi si rivela spesso di rigida applicazione
- Non è applicabile facilmente nel caso di realtà di insegnamento caratterizzate
dall’oscillazione delle presenze
• Nonostante questi limiti, il modello dell’UD resta valido nella misura in cui:
- Si mette a fuoco la necessità di tenere conto dei processi mentali implicati
nell’acquisizione/apprendimento della L2 e di orientare le attività proprio
secondo la bidirezionalità del cervello umano
- Rende conto del fatto che l’acquisizione della L2 non avviene solo
nell’incontro con il docente, ma ha bisogno anche di attività di lavoro
autonomo o di attività da svolgere in contesto extrascolastico; tali attività
vanno a influire sul lavoro in classe ed entrano a pieno diritto nell’arco di
tempo necessario per raggiungere dei risultati, in termini di conoscenze e
abilità linguistico-comunicative
- Contiene in sé l’idea del “carico di lavoro documentabile”

L’unità didattica centrata sul testo (UDT; Vedovelli 2002)


• Vedovelli riprende L’UD dando rilievo alla centralità del testo:
- L’UD è l’unità di organizzazione del lavoro formativo. È articolata in momenti
funzionali che ruotano intorno al testo, inteso come unità fondamentale della
comunicazione, anche didattica. Lo schema dell’unità didattica serve come
struttura categoriale per interpretare e orientare i flussi di interazione sociale
e comunicativa entro il gruppo classe
- Considerare il processo formativo in termini di flussi di interazione sociale, e
considerare il contesto in cui si svolge come un universo di socialità, significa
in qualche modo immettere all’interno di tale contesto un’istanza di apertura,
di indefinitezza, di creatività, di non-prevedibilità delle forme che
prenderanno le concrete interazioni sociali e comunicative fra i soggetti in
esso coinvolti
- L’istanza di strutturazione deve porre in sintonia lo svolgersi indefinitamente
aperto delle interazioni socio-comunicative con gli obbiettivi cui mirano da un
lato le motivazioni e i bisogni degli apprendenti, dall’altro gli intenti, gli
obbiettivi formativi, le funzioni istituzionalmente deputate e assegnate
socialmente dal contesto all’azione di formazione
- Il senso, che l’insegnante deve creare alla sequenza lineare e nello stesso
tempo gerarchizzata degli eventi socio-comunicativi che costituiscono il
tessuto dei rapporti all’interno dell’universo di socialità che è il contesto di
formazione, deve assumere la funzione di una struttura concettuale, di una
griglia di categorie strutturanti l’interazione, capaci di guidare i
comportamenti del docente e la sua analisi nelle situazioni formative
- Tali categorie sono soggiacenti all’interazione, traspaiono negli scambi si
interazione, dove il docente ha il compito di raccogliere e accentrare la
pluralità indefinita degli atti semiotici in un nucleo fondante, in un modo
capace di strutturare la sequenza degli eventi comunicativi e degli scambi
sociali
- Entro queste dinamiche l’unità didattica assume il ruolo di struttura
sottostante alla rete di rapporti sociali e comunicativi: in quanto istanza
logica, è innanzitutto una struttura categoriale che il docente proietta sullo
svolgersi dei rapporti interattivi e comunicativi. Proprio grazie a questa
proiezione, il docente riesce a individuare i modi capaci di raccogliere, dare
senso e di orientare su di sé lo svolgersi delle interazioni, e perciò per
quello della comunicazione e del processo di apprendimento
- L’unità didattica come struttura categoriale, come istanza logica ha diversi
obbiettivi:
v. deve consentire di attivare lo scambio sociale e di strutturarlo in modo
articolato
v. deve essere capace di rendere manifeste le tappe a tutti i soggetti che vi
partecipano, e di orientare il complessivo flusso interattivo-comunicativo
verso gli obbiettivi ai quali l’insegnante deve mirare, avendoli definiti come
obbiettivi generali e particolari della sua azione formativa in un determinato
contesto
- In questa prospettiva l’unità didattica non coincide con la lezione, né tanto
meno coincide con le sequenze di concrete attività che il docente può mettere
in atto (come può anche coincidere): l’unità didattica, proprio in quanto
istanza concettuale capace di creare un senso globale, supera la linearità dei
momenti di insegnamento e di apprendimento
- Infine, l’unità didattica con la sua struttura interna di elementi funzionali
non deve necessariamente coincidere con la sequenza di operazioni
interna ad una lezione o a una sequenza di lezioni: i modi costitutivi
dell’unità didattica, le sue unità funzionali sono tali in quanto categorie
capaci di raccogliere e produrre senso funzionalmente definito all’interno
del fluire infinito dell’interazione comunicativa
- L’obbiettivo formativo da raggiungere è di solito di livello gerarchicamente
inferiore a quelle globali: l’unità didattica colloca pertanto, la propria istanza di
senso nella dimensione delle microabilità, microcapacità, e degli obbiettivi
specifici, comunque di breve e medio termine che il docente intende raggiungere
- Il raggruppamento di unità didattiche consente la messa in atto di strutture a
modulo grazie al fatto che ogni unità didattica ha una propria autonomia
funzionale: è mirata al raggiungimento di un determinato, particolare, concreto
obbiettivo in tema di competenza linguistico-comunicativa
- Data questa struttura di nodi di senso, le concrete lezioni assumeranno
quei tempi, quelle forme, quelle procedure e concrete operazioni che
saranno necessarie per raggiungere l’obbiettivo fissato all’interno delle
concrete condizioni in cui si svolge l’interazione didattica
• Fasi:
1) La contestualizzazione: è l’insieme delle operazioni che suscitano attese e
motivazione negli apprendenti, creano lo scenario per la fruizione dei testi,
indirizzando l’attenzione nel momento della fruizione del testo. La
contestualizzazione, dunque, ha come obbiettivo di formare un quadro
situazionale al testo e assume funzioni decisive per il suo successo: agendo su
motivazioni e attese, spinge gli apprendenti a fare riferimento alla conoscenza e
al sapere preesistente, e a delineare strategie di comunicazione e di
apprendimento, tutto in funzione dell’evento centrale dell’interazione didattica
(il testo)
2) Il testo come nodo centrale dell’unità didattica: Se la didattica linguistica e la
comunicazione didattica, cioè la rete di interazioni comunicative e sociali mediate
semioticamente dal codice di comunicazione, sono nel nostro caso finalizzate allo
sviluppo di competenze linguistiche in L2, a maggior ragione il testo diventa il
loro elemento centrale. Il testo le sostiene e fornisce il senso a tutte le loro
componenti
- Questa centralità del testo nella didattica può favorire un’incongruenza: l’idea
che il testo sia una dimensione puntuale all’interno di una rete di testualità che
invece è globale in quanto coincidente con l’intero processo di formazione. In
realtà, l’incongruenza può facilmente risolversi pensando che, negli obbiettivi del
percorso formativo ideato dal docente in cooperazione e risposta ai bisogni dei
suoi allievi, ogni unità didattica è solo una struttura soggiacente alla concreta
comunicazione, alla concreta testualità, liberamente manifestata
- All’interno di tale flusso di testualità coincidente con la comunicazione didattica
il docente, però, identifica un piano testuale, un determinato evento
comunicativo come centrale, cioè come capace di dare senso, di sorreggere
l’intero svolgersi della comunicazione didattica
- Il testo deve avere le seguenti funzioni:
1) Deve rispondere ai bisogni di comunicazione che emergono nell’interazione
sociale entro il gruppo classe
2) Essere un modello di uso comunicativo
v. L’input controllato che può attuarsi entro la comunicazione didattica è
facilitante proprio per il fatto che è sottoposto a un controllo di salienza sugli
elementi che lo costituiscono e che sono proposti all’apprendente negli atti di
comunicazione, nel legame fra le diverse componenti (fono-morfo-sintattica,
lessicale, pragmatica) e nel riferimento al contesto
v. L’apprendente è inserito in tale tessuto di testualità, entro il quale si rafforzano
modelli di uso già noti e se ne evidenziano di nuovi, da elaborare e gestire per
l’apprendimento e per la comunicazione
3) Deve porre un problema ai suoi utenti con le proprie caratteristiche
linguistico-comunicative oltre che tematico-contenutistiche
v. Il fatto di proporre problemi sul piano linguistico-comunicativo è l’elemento
che, stimolando il processo di acquisizione, provoca la messa in atto di strategie
di soluzione che fanno appello, da un lato, a ciò che l’apprendente già sa, alla sua
competenza pregressa, e dall’altro lo mettono in grado di sviluppare ipotesi di
soluzione
v. Da un lato, il testo deve entrare in sintonia con le capacità di elaborazione, con
il livello di competenza linguistico-comunicativa. Dall’altro lato, però, le
caratteristiche linguistico-comunicative del testo devono essere superiori a
quelle proprie del livello di apprendimento, e ciò al fine di stimolare la capacità di
elaborazione, cioè di sviluppo del proprio stato di apprendimento tramite la
messa in atto più o meno consapevoli di ipotesi di funzionamento e tramite l’uso
linguistico-comunicativo in risposta alle sollecitazioni dell’input

- In questo modo la dialettica fra noto e nuovo diventa il motore


dell’apprendimento, il processo che stimola l’analisi delle situazioni di
comunicazione, le risposte degli apprendenti, la capacità di trasformare
l’input testuale in elemento regolare della varietà interlinguistica di
apprendimento

3) La verifica della comprensione: Prima di ogni ulteriore successiva operazione, i


contenuti del testo proposto dal docente devono essere verificati a livello di
comprensione, almeno negli elementi fondanti, nella macrostruttura tematica
v. Del testo narrativo andranno individuati gli elementi costitutivi dello svolgimento
della storia: protagonisti coinvolti nell’azione, suoi momenti, luoghi
v. Del testo descrittivo andranno identificati gli elementi di contesto, i contenuti, i
nodi informativi principali e quelli secondari, le relazioni fra di loro
v. Se si tratta di un testo argomentativo, andranno verificati i concetti che sono
intervenuti nello sviluppo logico dell’argomentazione

4) Le attività di comunicazione: ovvero, quel flusso di attività interattive e


comunicative nelle quali gli apprendenti, singolarmente o in gruppo, sono lanciati
per rimettere in gioco i modelli di uso comunicativo e per verificare le ipotesi di
soluzione ai problemi linguistico-comunicativi contenuti nel testo
- Le attività di comunicazione possono essere libere o guidate, individuali o
collettive, riguardanti il singolo, l’intero gruppo classe o suoi sottogruppi.
Rappresentano quel tessuto di scambio sociale e comunicativo che è la parte più
estesa dell’input linguistico al quale l’apprendente è esposto e che dunque
costituisce il vero alimento del suo processo d’apprendimento
- Le attività di comunicazione creano dunque un input che, svolgendosi, all’interno
del contesto di formazione, è sotto il controllo del docente, che partecipa
all’interazione con funzione di orientamento, di evidenziazione o semplicemente di
attore di un rapporto di comunicazione a seconda del ruolo che lo scambio
comunicativo consentirà di assegnargli
- Nel gioco delle attività di comunicazione, facilitate dal controllo del docente e degli
altri apprendenti, dal ritorno immediato che ha ai propri comportamenti
comunicativi, si sviluppano i processi che consentono la strutturazione
dell’interlingua di apprendimento
- Nelle dinamiche comunicative si svolge anche l’interazione fra linguaggio verbale e
linguaggi non verbali, entro la quale la gestualità ha un ruolo centrale, sia essa
costituita da gesti fortemente convenzionali e cultural-specifici, sia da gesti a
carattere più iconico e più “naturali”, più condivisi al di là delle diversità culturali

5) La riflessione sulle attività di comunicazione: Tutte le attività vanno


accompagnate da una costante fase di monitoraggio, di riflessione sulle strutture
degli usi linguistico-comunicativi, sulle strategie di comunicazione messe in atto,
sugli atteggiamenti e comportamenti degli attori del processo di comunicazione ecc.
Questa fase, che potremmo chiamare di riflessione metalinguistica e
metacomunicativa, può prendere le forme che gli insegnanti riterranno più
opportune a seconda degli allievi, della tipologia delle loro motivazioni, delle loro
competenze. Rappresenta un momento ineludibile in ogni equilibrato processo di
comunicazione didattica, cioè di comunicazione finalizzata allo sviluppo di una
competenza linguistico-comunicativa. Entro tale tipo di competenza, di ambito
generale, si collocano anche le capacità cognitive e culturali che consentono
all’essere umano di assumere un oggetto di riflessione e di discorso, secondo le
modalità che l’età, il livello di competenza, le motivazioni e i bisogni possono
definire

6) Le attività di rinforzo: non possono far altro che consolidare gli usi che
l’apprendente ha esperito, le strategie messe in atto, le strutture che ha tentato di
elaborare nello scambio comunicativo
- Definito il limite del loro campo d’azione, le attività di rinforzo hanno un ruolo
notevole in un equilibrato processo d’apprendimento: contribuiscono a evidenziare
gli elementi sui quali si è orientata l’attività didattica e sui quali ha concentrato
l’attenzione
- Inoltre, le attività di rinforzo mettono in atto le strategie e i processi di fissazione
che comunque fanno parte dell’apparato cognitivo coinvolto da qualsiasi processo di
elaborazione di informazioni, tanto più se questo è finalizzato allo sviluppo di una
competenza
- In tal senso contribuiscono a far passare gli elementi nella memoria a lungo tempo
che coopera alla funzionalità della competenza
7) L’output: Così come l’unità didattica ha avuto un input, ugualmente deve avere
un output
- Da un lato, esso rappresenta l’uscita al di fuori del contesto comunicativo di tipo
didattico, cioè la spinta a rimettere in azione fuori del contesto didattico gli usi
esperiti dall’apprendente nella comunicazione didattica. In questo caso si tratta di
un giocare che però stavolta è “senza rete”, senza la protezione del docente, senza il
suo orientamento, senza il suo costante aiuto, implicito o esplicito
- L’output può anche essere costituito dalla necessaria verifica del raggiungimento
degli obbiettivi particolari ai quali l’unità didattica era stata orientata

- Con tale verifica si conclude unitariamente il processo di comunicazione


didattica che ha avuto un senso assegnatoli dalla struttura logica
soggiacente: una struttura funzionale le cui parti si sono proiettate sul
libero o guidato svolgersi dell’interazione didattica, consentendo al
docente di tenerla per il possibile sotto controllo, come se tale flusso di
interazione fosse controllabile e strutturabile rigidamente, almeno in vista
di rendere trasparenti la sua direzione e il suo fine

L’unità di apprendimento (UDA; 2002; Balboni)

• Balboni rivede la sua idea di UD in una nuova prospettiva, che comprende


al suo interno una rete di più “unità di apprendimento” o “unità
matetiche”: L’apprendimento avviene attraverso delle “molecole”, delle
unità minime che chiameremo UDA (pari spesso ad una seduta di studio, a
un lavoro su un testo ecc.; da non confondere con le unità didattiche in cui
sono articolati molti manuali e che sono composte spesso da varie unità di
apprendimento); sono dei blocchi unitari di lavoro su un testo che viene
percepito dapprima globalmente, affidando il lavoro all’emisfero destro,
poi analiticamente nell’emisfero sinistro, per approdare alla sintesi e alla
riflessione conclusiva che coinvolge l’intero cervello
- In tal modo il punto di vista del docente cede spazio ai processi mentali degli
allievi, che non si verificano in maniera sequenziale, ma secondo “percorsi a rete”
- L’unità minima qui individuata non è tanto quella “didattica” quantificata nelle 4-
6 ore dell’UD, quanto piuttosto quella “di apprendimento” che può durare da
pochi minuti a un’ora
- Guardando i fenomeni dell’apprendimento della seconda lingua con la
prospettiva dell’apprendente, dunque, sono rilevanti la dimensione
neurolinguistica (i processi mentali legati all’età, la bimodalità e direzionalità
emisferica ecc.) e quella psicolinguistica (l’ansia, gli stili di apprendimento, gli
effetti dell’attenzione ecc.)
1) Gli studenti affrontano i nuovi testi e i nuovi compiti proposti dal docente
nell’UD (fase di globalità) con la propria personalità, il proprio stile di
apprendimento e le conoscenze in L2
2) Attraverso le attività in classe, nelle fasi di analisi-sintesi-riflessione, si attivano
quelle UDA che costituiscono i fenomeni mentali del processo che ogni studente
realizza a modo proprio, riorganizzando i saperi precedenti in base alle nuove
conoscenze e competenze acquisite
v. I fenomeni dell’interlingua mostrano appunto questi processi attraverso gli
errori da interferenza, ipercorrettismo, ipergeneralizzazione ecc.
3) Le attività di analisi-sintesi-riflessione guideranno queste UDA verso la
trasformazione dell’input in intake e quindi in nuova competenza
- Dal punto di vista del docente, invece, considerare le UDA vuole dire accettare il
fatto che queste non sempre si attivano secondo la sequenza prevista dal
docente o dal libro di testo: il docente può solo sollecitarle, collegandole tra loro
o integrandole con altri elementi presenti nel contesto o creati ad hoc
• E’ evidente il cambiamento di prospettiva: la relativa rigidità e sequenzialità del
modello dell’UD può essere superata se il docente tiene conto dei processi che
possono realizzarsi nella mente dei propri studenti sotto forma di UDA
- Il modello fondamentalmente deterministico dell’UD (secondo il quale una
corretta sequenza di attività progettate rispettando le varie fasi e la loro
scansione dovrebbe produrre risultati positivi di apprendimento/acquisizione)
viene sostituito dal modello non deterministico dell’UDA, in cui una serie di
variabili è legata al docente (il suo input orale, la sua personalità ecc.), ma in cui
sono fondamentali anche i fattori individuali degli apprendenti
- Si tratta di un modello che, pur nella sua indeterminatezza, può rivelarsi più
flessibile, più adatto a spiegare la complessità dei processi che entrano in gioco
nella classe in presenza come pure nella classe virtuale in rete, nelle attività
guidate dal docente come in quelle fra pari (i lavori di gruppo o a coppie), nello
studio individuale e nello studio autonomo monitorato, come anche nei contatti
informali con la lingua e la cultura di apprendimento
- L’insegnante non può riportare tutti i fenomeni dell’acquisizione della L2 dei
propri studenti al proprio intervento in classe, alle proprie scelte e alle proprie
competenze: molto altro accade nella loro mente, specialmente se non è solo la
classe il luogo fisico o virtuale in cui si realizzano le opportunità di
acquisizione/apprendimento. Di questa parziale specularità cerca di rendere
conto il binomio UD-UDA
Learning Object (LO)

• La diffusione dell’apprendimento autonomo su supporto tecnologico (dovuta alle


possibilità offerte dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione TIC –
Information and Communication Technology, ICT) ha messo recentemente in
discussione i modelli più diffusi per l’apprendimento spontaneo e per
l’apprendimento guidato, permettendo di esplorare le possibilità offerte dall’era
digitale anche in termini di progettazione didattica, con risultati e tendenze che
possono essere al tempo stesso entusiasmanti o inquietanti
- Uno dei filoni di ricerca che collega i principi del costruttivismo pedagogico con le
potenzialità della tecnologia riguarda il concetto di Reusable Learning Object
• L’idea e la definizione di Learning Object (LO) nasce nel campo della
programmazione per il settore informatico, basata su componenti (object)
indipendenti l’uno dall’altro, che possono essere riassemblati in modo diverso e
riutilizzati in contesti nuovi, secondo nuove esigenze di apprendimento: in
informatica un LO è un vero e proprio “oggetto riutilizzabile per
l’apprendimento”
- La definizione di Learning Object indica una risorsa online per l’apprendimento,
purché autonoma, riutilizzabile, facilmente rintracciabile e condivisibile,
composta da un certo numero di pagine web che combinano testi, immagini e
altri media audiovisivi, utilizzabile in pochi minuti dall’utente/apprendente
secondo gli scopi di apprendimento previsti
- Dall’informatica, questo concetto si estende presto anche ad altri settori del
sapere e dell’apprendimento con supporto tecnologico. Secondo il comitato
internazionale che si occupa di standardizzazione delle tecnologie per
l’apprendimento (Learning Technology Standard Committee), si definisce LO
ogni “entità digitale o non digitale che può essere utilizzata, riutilizzata o indicata
come riferimento durante l’apprendimento supportato dalle nuove tecnologie”
• Wiley restringe il campo, definendo LO ogni “risorsa digitale per
l’apprendimento”, composta da un certo numero di pagine web che combinano
testi, immagini e altri media audiovisivi al fine di erogare contenuti formativi. Si
tratta di una risorsa didattica:
- Modulare, cioè autonoma e indipendente
- Digitale, cioè erogabile anche a distanza
- Condivisibile, cioè utilizzabile su più piattaforme e in diversi formati (principio di
“interoperabilità)
- Facilmente reperibile o rintracciabile in rete
- Riutilizzabile, cioè con la possibilità, una volta archiviato l’oggetto di
apprendimento, di riusarlo all’infinito, con grande risparmio di tempo e di denaro
• In altre parole, totalmente indipendenti l’uno dall’altro, i LO possono essere
utilizzati in contesti diversi per scopi differenti, possono essere raggruppati in
insiemi di contenuti più ampi fino ad arrivare a costituire le varie tappe di un
percorso. Un LO deve:
- Poter essere realizzato indipendentemente da altri LO
- Essere modellato sulle esigenze di chi lo utilizza
- Fornire solo ciò che serve
- Garantire un feedback in base alle risposte dell’utente
- Poter essere selezionato e impiegato da chiunque in contesti e momenti diversi
- Essere accessibile anche simultaneamente da più utenti via Internet
- Contenere informazioni descrittive tali da renderlo facilmente rintracciabile
tramite motori di ricerca
- Dovrebbe essere progettato per impegnare il soggetto per un’attività anche
piuttosto breve
- Il grande vantaggio è che più LO, collegati fra loro secondo sequenze
diverse, permettono di costruire percorsi di apprendimento personalizzati
e di rispondere ai bisogni di ogni utente senza costi aggiuntivi
• Nel caso dell’apprendimento della L2, l’idea di poter scomporre le abilità
linguistico-comunicative in elementi discreti, ciascuno perseguibile come
obbiettivo matetico mediante un LO, si presta a facili critiche: una rete infinita di
LO non permetterà mai di ricostruire le competenze linguistico-comunicative in
una L2, così come può avvenire invece nella costruzione di saperi disciplinari o di
particolari competenze operative
- Un LO può quindi essere inteso anche come uno strumento adatto a trasformarsi
in una UDA basata sulle risorse offerte dalla rete informatica

Il modulo

• Dalla fine del XX sec. in ambito scolastico emerge un nuovo principio teorico-
operativo: quello del modulo, che in Italia assume un’accezione particolare anche
a causa della riforma dei programmi delle scuole primarie, principale ambito di
sperimentazione della “didattica modulare”
• Il modulo è una parte significativa, altamente omogenea ed unitaria, di un più
esteso percorso formativo, disciplinare o pluri, multi, interdisciplinare
programmato, una parte del tutto, ma in grado di assolvere ben specifiche
funzioni e di far perseguire ben precisi obiettivi cognitivi verificabili,
documentabili e capitalizzabili, che garantiscano la promozione di conoscenze e
competenze talmente significative da modificare la mappa cognitiva e la rete dei
saperi precedentemente posseduti
- Per modulo si intende un percorso tematicamente organico che (per esempio in
ambito filosofico, storico, artistico ecc.) può riguardare un periodo o una
corrente di pensiero accomunati da determinati eventi o caratteristiche
- Può anche riferirsi a un argomento visto in maniera interdisciplinare
- La didattica per moduli (intesi come sezioni o sottoinsiemi di un corpus più ampio
di contenuti tematici o lessicali) permette inoltre di richiamare nuovi e vecchi
pubblici di apprendenti ed è ormai una componente essenziale dell’educazione
permanente
• Rispetto alla lezione e all’unità didattica, il modulo si distingue per alcune sue
specificità:
- Autonomia: si tratta infatti di una sezione autosufficiente di un insieme di
contenuti
- Flessibilità: un modulo può essere composto da più UD
- Raccordabilità: la successione fra moduli può essere obbligata o opzionale per
consentire di organizzare percorsi reticolari alternativi
- Complessità: un modulo deve basarsi su ambiti comunicativi complessi
- Valutabilità: un modulo deve essere valutabile nel suo complesso o nelle sue
parti, in modo da poter essere anche accreditato

L’unità di lavoro (UDL; Diadori; 2006)

• Jorg Roche, esperto di didattica del tedesco come L2, parla di una suddivisione
della lezione di lingua o unità didattica in 5 momenti sequenziali:
1) Attivazione-organizzazione, preventiva-introduzione: si attivano le
preconoscenze, si organizzano preventivamente i compiti e le attività successive,
con interventi in sessione plenaria, a coppie o di gruppo; il docente fa da
presentatore o da moderatore dell’interazione
2) Differenziazione dei temi: si affronta un tema, mediante testi orali o scritti o
attraverso la conversazione mirata. Il docente guida gli studenti verso la scoperta
individuale, lancia delle idee di ricerca, formula quesiti e invita a recuperare le
informazioni nel testo. In questa fase euristica la lezione viene portata avanti in
maniera attiva
3) Differenziazione delle strutture: i risultati ottenuti dall’analisi del testo
vengono recuperati e approfonditi in maniera sistematica. Il docente porta altri
esempi, guida all’approfondimento degli aspetti grammaticali, lessicali o culturali
emersi, propone attività che mettono in azione diverse strategie di
apprendimento e di lavoro
4) Ampliamento/espansione: gli argomenti trattati vengono ripresi a partire da
un testo più difficile o con compiti più complessi, per esempio nel lavoro per
progetti. Gli elementi precedentemente elaborati devono essere sperimentati,
rafforzati e ampliati, le attività linguistico-comunicative devono essere messe alla
prova nell’interazione fra pari, mentre il docente fa un passo indietro e assume il
ruolo di moderatore e consulente
5) Integrazione/riflessione: l’apprendente integra gli elementi nuovi della
propria individuale rete di saperi, imparando a trasferirli in contesti nuovi. Il
docente offre stimoli e occasioni di appropriazione individuale delle conoscenze,
in qualità di tutor e interlocutore: se la lezione ha suscitato interesse, dovrebbero
essere gli studenti stessi a sollecitarlo con le loro richieste

- Questo modello operativo ispirato alla filosofia del QCER dà lo spunto per
una riflessione più ampia: come fare il punto sulle nuove realtà di
apprendimento guidato; trovare un modello operativo più potente e
capace di spiegare i fenomeni e le modalità dell’apprendimento
autonomo, informale, fra pari, in combinazione con quello guidato dal
docente; individuare un termine che permetta di indicare in maniera
chiara il fatto che non è possibile scindere i fenomeni dell’insegnamento-
apprendimento linguistico
• L’idea di unità di lavoro (UDL; Diadori, 2006) permette di indicare una pluralità di
casi concreti (dalla lezione, all’unità didattica, al modulo) e corrisponde meglio al
concetto di una progettazione logica e finalizzata, compito imprescindibile dei
professionisti della formazione
- L’unità di lavoro è un micropercorso di apprendimento guidato, unitario, in sé
concluso, valutabile e accreditabile. Può realizzarsi in un I/L, in una UD
(organizzata in più I/L) o in un M (organizzato in più UD) e si sviluppa in 3 fasi
sequenziali:
1) Introduzione: motivazione, attivazione, organizzazione preventiva (da
realizzare all’inizio dell’I/L, dell’UD, del M)
2) Svolgimento: prevede l’attivazione di una rete di unità di apprendimento (o
Learning Object nell’apprendimento online) che scardina il concetto di
sequenzialità e favorisce il collegamento fra attività in classe e fuori. Prevede
l’incontro con i testi, la differenziazione dei temi e delle strutture, attività di
ampliamento, espansione, integrazione, riflessione (da realizzare durante l’I/L,
l’UD, il M, in classe e/o fuori classe, in presenza e/o a distanza)
3) Conclusione: con attività basate sull’output comunicativo degli studenti in
relazione ai contenuti e alle attività svolte, sotto forma di controllo informale o
formale
• Questa sequenzialità temporale è legata alla scansione stessa di un percorso di
apprendimento determinato da un inizio e una fine, da un prima, un durante e
un dopo: l’inizio e la fine della lezione in presenza, l’inizio e la fine dell’UD
organizzata in 2 o 3 I/L, l’inizio e la fine di un modulo tematico fatte di varie UD
- L’inizio di ognuno di questi percorsi (introduzione) si realizzerà con tecniche per
accentuare o creare motivazione, per elicitare le conoscenze pregresse, per
preparare lo svolgimento delle attività successive basate sul testo
- La fine di ognuno di questi percorsi (conclusione) sarà invece associata alle
attività focalizzate sull’output comunicativo degli studenti. Si tratterà si un
controllo informale, anche sotto forma di attività per l’autovalutazione (da
realizzare alla fine dell’I/L o dell’UD in presenza), o di un controllo formale (da
realizzare alla fine del M), finalizzato alla verifica e alla valutazione dell’output in
relazione all’accreditamento dei risultati raggiunti, alla prosecuzione del percorso
o all’individuazione di attività di rinforzo (su singole abilità carenti) o di recupero
generalizzato
- Questo fil rouge organizzativo, che caratterizza l’apprendimento guidato e le
competenze progettuali del docente, del tutor, del manager didattico, non
esclude però la dimensione non sequenziale dell’apprendimento, che si realizza
in quelle “molecole” o “unità minime di apprendimento” attivate nei processi
mentali degli studenti durante una seduta di studio, un’attività di gruppo, un
lavoro su un testo o su un LO. Prendere atto di questa intrinseca “reticolarità” e
variabilità dell’acquisizione della L2 porta a riconsiderare la fase intermedia
dell’UDL (svolgimento) con un’attenzione maggiore alla dimensione matetica
rispetto a quella didattica
v. In altre parole, se l’inizio e la fine del percorso vedono in primo piano il
docente, il resto dell’UDL è in mano agli apprendenti che seguono percorsi
mentali ed esperienziali diversi, nonostante facciano tutti riferimento allo stesso
docente, alla sua guida, ai testi e alle attività che propone
- Il docente sviluppa la sua “agenda nascosta”, cioè il percorso che ha scelto di
svolgere, tenendo conto di quello che accade nella mente del suo “apprendente
modello”, ma la realtà è molto diversa e non tutto può essere direttamente
ricondotto al rapporto biunivoco “stimolo dato-risposta prevista”
• Una revisione radicale del modello sequenziale di svolgimento del percorso di
insegnamento-apprendimento, qualunque sia la sua durata, purché incorniciato
dalle fasi introduttiva e conclusiva, è sollecitata anche dall’applicazione di nuove
modalità di apprendimento guidato in presenza e online che scardinano la
dimensione lineare a favore di una modalità didattica reticolare/ipertestuale, più
conforme a quanto avviene naturalmente nei processi mentali che determinano
l’apprendimento
- Nonostante i limiti intrinseci, un LO può essere considerato l’UDL minima per
l’apprendimento con supporto tecnologico (anche della L2), costruita in formato
digitale per uno specifico obbiettivo matetico
- I tempi consigliati per l’utilizzo (dai 2 ai 15 minuti) e il fatto di poter costituire una
tappa di un percorso individuale di apprendimento (realizzato in autonomia, ma
anche nella classe o in altri contesti extrascolastici) ci portano a considerare il LO
speculare rispetto alla UDA individuata da Balboni, rendendolo a pieno titolo
parte di quella rete di attività individuali che rappresentano l’impalcatura a cui si
aggancia (e da cui viene sostenuto) l’insegnamento-apprendimento interattivo e
guidato

- L’espressione “unità di lavoro” non è nuova: Vedovelli la cita come


sinonimo di UD
• Il termine “unità di lavoro” ha vari significati:
• UDL come iperonimo: iperonimo di “unità didattica”, “unità didattica bimodale”,
“unità di apprendimento”, “unità didattica centrata sul testo”; ciascuna di queste
definizioni mette a fuoco un aspetto del modello operativo ispirato alla teoria
della Gestalt, che non viene messo in dubbio o sovvertito nei suoi principi
fondanti. Il motivo per passare da una definizione di UD come rete di unità di
apprendimento, centrata sul testo e sull’interazione a una di UDL come
“micropercorso di apprendimento guidato” va ricercato direttamente nelle
nuove realtà di apprendimento-insegnamento della L2. La complessità dei
percorsi impone dunque una maggiore generalizzazione terminologica
• UDL come lavoro condiviso: implicita nel concetto di UDL è l’idea di negoziazione
degli obbiettivi e dei modi per raggiungerli: docente e studenti insieme li
definiscono preliminarmente e insieme lavorano per raggiungerli
• UDL come percorso unitario e in sé concluso: si tratta di un dispositivo funzionale
alla realizzazione di un’esperienza formativa autoconsistente, significativa e
documentabile, capace di consentire il riconoscimento, la certificazione e la
capitalizzazione delle competenze acquisite
• UDL come realizzazione progettuale: un’idea di UDL più generale dovrebbe
servire a rendere conto del modo in cui i principi teorici sull’insegnamento-
apprendimento della L2 si traducono in termini di progettazione e realizzazione
delle attività. Il docente, in quanto professionista dell’educazione, dovrà
selezionare fra le varie opzioni e scegliere quelle più adeguate al contesto,
decidendo il modo in cui suddividere l’UDL o aggregarla ad altre. La dimensione
progettuale è dunque fondamentale nell’UDL, visto che sono spesso le scelte
operative che, al di là delle intenzioni teoriche, decretano il successo delle
“buone pratiche”. Di questa dimensione progettuale fanno parte, fra l’altro, le
scelte relative a:
v. formati didattici e gestione della classe
v. sfruttamento dei testi, con tecniche diverse secondo il metodo e l’approccio,
finalizzate allo sviluppo di diverse abilità
v. organizzazione delle attività e dell’interazione
v. costruzione dei materiali didattici
v. progettazione e/o sfruttamento dei Learning Object per l’auto-apprendimento
v. controllo delle attività per il raggiungimento degli obbiettivi
v. input, feedback e gestione dei processi psicocognitivi
- UDL come valorizzazione dell’apprendimento guidato: l’UDL ha lo scopo di
tradurre in pratica la differenza fra apprendimento spontaneo e guidato
nell’accelerare i processi di apprendimento della L2. Il docente, il tutor e gli
studenti stessi sanno che un percorso di studio guidato, per giustificare il
dispendio di energie che comporta per tutti i soggetti coinvolti, deve fare la
differenza attraverso:
v. l’incontro con il testo ottimizzato grazie a specifici strumenti linguistici e
cognitivi per analizzarlo
v. un percorso induttivo guidato dal docente che sfrutti sia il contesto classe sia
altri contesti di apprendimento informale
v. una progettazione gestita responsabilmente dal docente e orientata ai bisogni
dei destinatari in termini di approccio glottodidattico, uso ragionato dei testi,
tecniche, compiti, modalità di verifica, formati didattici e gestione della classe
v. l’attenzione rivolta all’apprendente e alle sue caratteristiche individuali
v. una progettazione dell’UDL come tappa del macropercorso di apprendimento
(curricolo), finalizzata al raggiungimento di competenze valutabili, accreditabili e
spendibili sul lavoro o in altri contesti formativi
• Per quanto riguarda la varietà dei tempi, contesti e modalità di fruizione in cui
può realizzarsi il macropercorso di apprendimento-insegnamento che
corrisponde al concetto di UDL, è possibile prevedere la sua realizzazione almeno
in 3 formati basati sull’interazione fra docente e allievi:
• Il formato dell’incontro/lezione (I/L), cioè il singolo incontro fra docente e
studenti
• Il formato dell’unità didattica (UD): 2-3 I/L raccordati da un progetto unico e da
una serie logicamente organizzata di attività
• Il formato del modulo (M), autonomamente organizzato in più UD accomunate
da un tema o da un obbiettivo di apprendimento, secondo un progetto coerente
e in sé concluso
• Il formato in cui si realizza l’UDL minima è quello dell’I/L, come parte di un
percorso di apprendimento strutturato in I/L (ciascuno a sé stante) o in UD
(ciascuna composta da più I/L raccordati fra loro)
• Per dare senso a questa UDL minima, i docente/progettista dovrà porsi degli
obbiettivi limitati ma raggiungibili, capaci di attivare almeno alcune UDA, con
attività basate sul testo e sull’interazione.
v. Dovrà inoltre, tenere presenti anche le diverse variabili che influiscono
sui processi di apprendimento: il luogo, i partecipanti, gli scopi ecc.
v. Dovrà poi realizzare preliminarmente un dettagliato “piano di lezione”,
così come raccomandato espressamente nei più recenti documenti di
politica linguistica europea, quale il PEFIL
• Più I/L possono aggregarsi in una UD: si tratta in questo caso di una
corrispondenza fra UD e UDL in termini di tempi e modalità di svolgimento, come
parte di un percorso di apprendimento strutturato in UD o in M
v. Più UD possono aggregarsi in un M: in questo caso l’unità progettuale si
riferisce al modulo, che verrà a rappresentare l’UDL massima. Anche in
questo caso l’unità è garantita dalla coerenza tematica e di realizzazione,
nonché da una fase di controllo formale alla fine del modulo, con una
conseguente attribuzione di crediti formativi, in caso di successo

Storia

• Nel mondo classico, nel Medioevo e durante il Rinascimento l’insegnamento


linguistico è essenzialmente comunicativo basato sull’uso prima che sulla forma;
l’insegnamento era affidato all’interazione con un madrelingua e come modelli
non c’erano grammatiche ma i testi classici
• Nel secondo Rinascimento e nel ‘600 nascono centri che studiano la lingua come
oggetto, dall’Accademia della Crusca a Port Royal o alla Royal Society, si creano i
primi dizionari e le prime grammatiche, e negli stessi anni l’italiano e poi il
francese si affiancano al latino come strumenti di comunicazione internazionale
nelle corti e nei quartieri commerciali; il latino non è più lingua materna di
nessuno, rimane lingua veicolare del mondo ecclesiastico e fulcro dell’educazione
linguistica in scuole gestite soprattutto da gesuiti, scolopi e barnabiti: in queste
scuole, mano a mano che entra l’insegnamento delle lingue moderne esso
avviene sempre di più secondo le modalità dell’insegnamento del latino: nasce
così quello che oggi chiamiamo approccio formalistico e che domina l’Italia dal
‘600 agli anni ’60 (anche ’80)
• L’approccio formalistico viene messo in discussione nell’Ottocento negli Stati
Uniti, dove la conoscenza delle lingue deve rispondere alle esigenze
comunicative di una società multiculturale in rapidissima crescita
- George Ticknor, che insegna a Harvard e che riafferma che le lingue sono “vive e
parlate”, che il loro insegnamento va personalizzato sulla base dell’età e delle
caratteristiche individuali e che il percorso fondamentale deve essere quello
induttivo
- Nel 1872 giunge nel Rhode Island un tedesco, Maximillian Berlitz, e fonda una
scuola di tedesco, che verrà poi presa in mano dall’omonimo nipote che ne farà
una catena mondiale basata sulla realizzazione dell’approccio naturale chiamata
“metodo diretto” (anche il mondo tedesco aveva necessità linguistiche simili a
quelle americane, legate all’incremento enorme degli scambi commerciali e al
fatto che il tedesco non rientra nel paniere delle lingue usualmente insegnate in
Europa, dove c’è il monopolio del francese come lingua di cultura e si affaccia
l’inglese come lingua internazionale)
- Il grande interprete dell’approccio naturale è Wilhelm Vietor, che nel 1894 fonda
la prima rivista di glottodidattica, Die neuren Sprachen
- L’istanza di un insegnamento “vivo” o “naturale” delle lingue viene anche dagli
studi scientifici sulla lingua, soprattutto da quelli fonologici che riportano il focus
sulla lingua parlata: negli stessi anni in cui Berlitz crea la sua scuola a Ginevra,
base della branca europea della catena Berlitz, in quella stessa città De Saussure
discute la dicotomia tra parole (cioè la lingua in atto che interessa a Berlitz) e la
langue (il sistema astratto dell’approccio formalistico allora in auge)
- Tutte queste teorie rimangono confinate, a livello di realizzazione glottodidattica,
in scuole o dipartimenti d’élite e sono legate essenzialmente alla presenza di
docenti fortemente impegnati nella riflessione glottodidattica, quindi non
incidono sulla scuola; in Italia l’innovazione delle scuole è portata dalle Berlitz
Schools, che saranno chiuse dal fascismo anche perché non usano manuali,
quindi sfuggono alla censura, ed hanno docenti stranieri difficilmente
controllabili
• Dal 1914 e per 30 anni il mondo, che i commerci e il colonialismo avevano
vieppiù integrato nell’Ottocento, si frammenta: il ventennio che separa le due
guerre mondiali è segnato dall’isolazionismo americano lanciato dalla dottrina
Wilson, dalla grande depressione economica degli anni 30, dai vari Stalin,
Mussolini, Hitler ecc. che non incoraggiavano certo il libero interscambio: alla
fine degli anni ’30 e fino al 1945 la scuola di Bottai proibisce persino
l’insegnamento delle lingue straniere
- Non è un ventennio di viaggiatori e quindi la lingua smette di essere viva, orale,
comunicativa come per i propugnatori dell’approccio naturale e per le scuole dei
Berlitz: diviene solo uno strumento per leggere opere scientifiche, professionali,
letterarie ecc. provenienti dall’estero. Da qui nasce il Reading Method
• Il mondo che esce dall’ultimo conflitto planetario è l’opposto degli isolazionismi
della prima metà del secolo: anziché un mosaico di tessere che non comunicano
si creano 3 grandi blocchi: ovest, est e non allineati, e nel primo di questi l’inglese
sostituisce il francese; il primato economico e militare degli Stati Uniti, ma
soprattutto quello nei mezzi di comunicazione di massa, porta rapidamente
l’inglese a diventare la lingua della globalizzazione seguita al crollo dei regimi del
mondo “est” nel 1989: l’insegnamento delle lingue straniere si trasforma di fatto
in 2 ambiti differenti, insegnamento dell’inglese e quello delle lingue “altre”
• Una rivoluzione esplode in un dato momento (gli anni ’60 nel nostro caso) ma è
preparata da eventi e riflessioni che ne pongono le basi. Nell’insegnamento delle
lingue questi eventi avvengono durante la Seconda guerra e negli anni
immediatamente seguenti
- Nel 1941 gli Stati Uniti entrarono in guerra e immediatamente capiscono che
l’isolazionismo wilsoniano e la sua conseguenza glottodidattica, il Reading
Method, hanno privato l’America di uno strumento che un documento della
Difesa definirà di lì a poco “strategico”, la padronanza delle lingue vive. Gli Stati
Uniti hanno 4 risorse disponibili per recuperare il terreno in azione
immediatamente:
1) Una psicologia dell’apprendimento elaborata negli anni ’30, il
neobehaviorismo o neocomportamentismo: secondo questa teoria
l’apprendimento è il risultato di una serie intensiva e ripetitiva di stimoli e
risposte, seguita dalla conferma o dalla correzione; il maggiore psicologo del
tempo, Skinner, offre uno strumento psicodidattico all’Army Specialized Training
Program, ASTP, che prenderà avvio nel 1943
2) Una teoria linguistica, che ha i suoi massimi esponenti in William D. Whitney e
Leonard Bloomfield il quale, nel 1942, pubblica il testo base, Outline Guide for
the Practical Study of Foreign Languages, dove l’aggettivo practical assume il
ruolo centrale e crea un legame con l’approccio naturale di fine ‘800
- Questa teoria linguistica è detta “tassonomica” in quanto tende ad un’analisi
delle componenti minime della lingua, che quindi si adatta perfettamente ad
essere inserita, in microstrutture, nelle sequenze stimolo/risposta di Skinner
3) Una notevole quantità di immigrati capaci di fornire campioni di lingua
autentica per le batterie di pattern drill, gli esercizi strutturali di Skinner, ma
anche di coprire quel terzo del programma che l’ASTP chiama area studies e che
segnano l’ingresso sistematico della dimensione culturale nei corsi di lingua
straniera, oltre all’uso per quanto sporadico della dimensione video costituito da
film girati nei paesi di cui si studia la lingua e cultura
4) Una risorsa tecnologica che viene impiegata in maniera innovativa, il
giradischi: gli spezzoni di lingua definiti dai linguisti vengono registrati, con
l’intonazione e la pronuncia desiderata, per fornire lo stimolo e si lascia il tempo
perché lo studente risponda, per poi ascoltare la versione corretta, che gli
conferma la sua risposta o gli fa scoprire che era errata
- Pochi anni dopo si evolve l’altra tecnologia di riproduzione, il registratore, e
inizia l’uso delle bobine di nastro magnetico: questo porterà in pochi anni ai primi
laboratori linguistici (dapprima individuali, poi collettivi negli anni ’60) in cui il
nastro magnetico ha 2 piste: una, non cancellabile, in cui ci sono lo stimolo
registrato dal madrelingua e la sua realizzazione corretta, e una cancellabile dopo
l’uso in cui si registra la voce dello studente: riascoltando il tutto, lo studente
autonomamente scopre la qualità della sua performance confrontandola con
quella del madrelingua
> Si tratta dell’ingresso sella tecnologia nell’insegnamento delle lingue, destinata
a modificare tutta la glottodidattica mano a mano che da semplice supporto
sonoro la tecnologia diventa “catalizzatore”, per usare l’immagine di Giovanni
Freddi: uno strumento senza il quale non è possibile realizzare la “reazione
chimica” tra una mente ed una lingua
• Negli anni ’50 tutto il patrimonio di conoscenze ed esperienze derivato dall’ASTP
della Guerra mondiale e dall’insegnamento delle lingue orientali durante la
guerra di Corea, insieme a quello dei corsi di inglese L2 alle masse di immigrati
postbellici, rifluisce nell’opera di Robert Lado: fonda a Georgetown una Faculty
of languages and linguistics che per decenni organizza il maggior evento
mondiale di glottodidattica, la Annual Round Table, dove lo studio della natura
della lingua e quella del suo insegnamento si affiancano istituzionalmente: il libro
di Lado Language Teaching, a Scientific Approach è focalizzato sull’aggettivo
“scientific”, quasi a togliere la glottodidattica dalle mani di dilettanti e
faccendieri; Lado è anche uno dei massimi esponenti di una nuova branca della
linguistica, quella contrastiva, che sulla base delle simmetrie e dissimmetrie tra la
lingua materna e quella studiata cerca di predire le zone di difficoltà per uno
studente, per mettere preventivamente in atto strategie e tecniche adeguate
- Lado è anche il fondatore di TESOL, Teaching English to Speakers of Other
Languages, un’associazione che raccoglie studiosi e insegnanti di tutto il mondo
e che è stata ed è veicolo di diffusione delle ricerche e delle innovazioni
glottodidattiche americane
• L’approccio strutturalistico prende il suo nome dalle microstrutture linguistiche
bloomfieldiane, scelte anche con attenzione all’analisi contrastiva di Lado e altri
studiosi, calate nei pattern drill (“esercizi strutturali”)
- La sua stagione di gloria si chiude bruscamente alla fine degli anni ’50, da un lato
per il violento attacco di Chomsky al modello skinneriano, nel 1957, che
distrugge alla base l’idea di apprendimento comportamentista, dall’altro per
l’evoluzione del pensiero di Lado, anche ad opera di una scienza che nasceva
negli stessi anni, la sociolinguistica: le microstrutture linguistiche non hanno
significato se non in una situazione sociale, perché è quello il contesto minimo
della comunicazione
- Negli anni ’70 i pattern drill divengono l’esempio del “vecchio” e vengono
abbandonati (almeno in apparenza, perché in realtà rimangono nei manuali
secondo modalità meno meccaniche, mimetizzati all’interno di particolari
situazioni che ne giustificano la ripetitività, come ad esempio molte situazioni
ludiche)
• Il decennio chiave inizia nel 1962 con la pubblicazione di How to do Things with
Words di Austin, che ribadisce la finalità pragmatica della lingua, culmina nel
1967 con il lancio del Modern Language Project del Consiglio d’Europa,
coordinato dall’austiniano Trim, include Speech Acts di Searle (1972) con la
proposta della nozione di competenza comunicativa da parte
dell’antropolinguista e sociolinguista Dell Hymes
- La natura formale della lingua è stata al centro della riflessione linguistica dal Peri
Ermehneias (“Dell’espressione” o “Dell’interpretazione” o “Ermeneutica”) alla
linguistica strutturale e a quella generativa proprie del Novecento. Con Austin e
Searle il focus non è più “come è fatta la lingua” ma “che cosa fa la lingua”, “a
che cosa serve la lingua”, e la risposta è che la lingua serve per fare, per compiere
atti sociali e pragmatici, serve per comunicare
- Da millenni si classificavano gli elementi della lingua sulla base della loro forma o
della loro funzione linguistica, in questo decennio si afferma la possibilità di
classificare gli scopi (chiamandoli speech act in filosofia del linguaggio o
communicative function nella glottodidattica britannica che si impone in questi
anni)
- In realtà Austine e Searle servono da spunto, ma Trim, Wilkins, Widdowson,
Munby, Van Ek e altri si appropriano della loro riflessione e costruiscono un
progetto che ha una duplice natura:
a) creare un repertorio di communicative function con una pretesa universale (in
tutte le lingue ci si saluta, ci si congeda ecc.) e poi vedere, per le varie lingue,
quali exponent le realizzano; siccome nella lingua non tutto ha funzione
pragmatica pura ma esistono anche elementi che qualificano, modificano,
connettono ecc., si ricorre ad un’altra categoria, le notion (quantità, colore,
temporalità ecc.); da questi due termini prende il nome il metodo nozionale-
funzionale
b) stabilire dei livelli di competenza comunicativa omogenei tra e varie lingue, il
più famoso dei quali è il Livello Soglia, che nell’evoluzione del progetto del
Consiglio d’Europa diverrà, negli anni Novanta, il livello B1
> Il primo di questi repertori, il Threshold Level, è del 1975, e in trent’anni sono
stati creati altri 21 Livelli Soglia, cioè elenchi di funzioni e nozioni che
rappresentano la soglia dell’autonomia comunicativa e che, almeno in teoria,
dovrebbero essere omologhi nelle varie lingue
- Per quanto riguarda la competenza comunicativa vi è questa dichiarazione: “lo
scopo dell’insegnamento della lingua è il raggiungimento di un livello x nella
lingua straniera”. Per essere vera, questa affermazione deve vare riferimento a
un modello di competenza comunicativa
v. Questa nozione arriva nei primi anni ’70 dalla sociolinguistica americana, ma
con forti componenti pragmalinguistiche e di etnometodologia della
comunicazione: Dell Hymes, che riprende la nozione chomskyana di
“competenza”, un sistema di regole in numero finito che permette di generare
un numero infinito di enunciati, ma rileva che la competenza linguistica non
garantisce la capacità comunicativa, che richiede anche componenti
extralinguistiche e socioculturali
v. Ne nasce una serie di interpretazioni, di analisi, di modelli nel mondo così
come in Italia, dove si conducono analisi di natura assai diversificata che durano
per tutti gli anni ‘70
v. In pochi anni, tuttavia, l’attenzione si sposta dal concetto, la competenza
comunicativa, al mezzo, il metodo funzionale-nozionale, per raggiungerla (vedi
sopra)
• A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 l’approccio strutturalistico puro stava dunque
cedendo alle istanze di un insegnamento comunicativo reso necessario
dall’aprirsi del mondo agli scambi di persone, oltre che di merci e servizi
- In America, il motore di questa riforma era Robert Lado, continuatore della
tradizione antropologica di Malinowsky e di Firth, che negli anni ’30 avevano
ribadito il ruolo del contesto socio-culturale nella comunicazione, ma anche
amico di Joshua Fishman che negli anni ’50 aveva dato status alla sociolinguistica
- In Europa, nel 1965 e 1966 si tengono a Besançon e a Frascati, seminari a cui
parteciparono Arcaini, Freddi, Cambiaghi, Titone che sono tra i primi glottodidatti
italiani che si occupano dell’insegnamento delle lingue straniere
- Il tratto comune a queste esperienze è la tendenza a conservare alcuni elementi
dell’approccio strutturalistico per le esercitazioni, ma a proporre le strutture ed il
lessico contestualizzandoli all’interno di “situazioni”, da cui la denominazione di
“metodo situazionale” (vedi sopra)
• Le figure di alto prestigio che sono il nucleo propulsore del Modern Language
Project sono glottodidatti che agiscono su un doppio binario, fondamentale per
trasformare un’innovazione teorica (l’approccio comunicativo) in una
“rivoluzione” sociale, nella pratica dell’insegnamento: un binario politico
appoggiandosi al Consiglio d’Europa, il che induce facilmente negli insegnanti
europei la convinzione che si tratti di un progetto della Comunità Europea, e un
binario editoriale, in primis Longman che nel 1975 (l’anno del Treshold Level),
pubblica una collana di manuali dal titolo Strategies
- Quindi, nel momento in cui l’inglese assume il ruolo che era stato del francese,
l’insegnamento linguistico europeo si trova a disporre di:
a) Strumenti concettuali teorici: l’approccio comunicativo, proposto attraverso le
collane glottodidattiche che fioriscono presso ogni grande editore, anche a
supporto dei nuovi materiali didattici
b) Strumenti di progettazione curricolare: il Treshold Level, cui se ne aggiungono
altri tra i quali il Livello Soglia (1982), per restare nell’ambito delle lingue più
insegnate nei sistemi scolastici
c) Il metodo nozionale-funzionale, che offre una base metodologica
d) Manuali didattici prodotti con dovizia di mezzi da editori internazionali
e) Per l’Italia in particolare, nel 1980 si avvia il Progetto Speciale Lingue Straniere
che in pochi anni produce circa 300 “super-insegnanti” formati negli Stati Uniti, in
Francia e Germania, utilizzati come formatori dei loro colleghi con corsi di 100
ore seguiti da follow up ( assistenza) di 50 ore annuali; questa attività di
formazione coinvolge anche le 2 grandi associazioni di insegnanti di lingue,
l’Associazione Nazionale degli Insegnanti di Lingue Straniere (ANILS) e Lingua e
Nuova Didattica (LEND), nonché le associazioni monolingui di insegnanti di
inglese, francese tedesco e delle due lingue che negli anni Ottanta si affacciano
nella scuola, russo e spagnolo
• Negli anni ’70-’80 la dimensione psicologica diviene sempre più rilevante in
glottodidattica; in Italia questo significa soprattutto un interesse per il contributo
della psico- e neurolinguistica mentre negli Stati Uniti, che lentamente si
sostituiscono alla Gran Bretagna nella funzione trainante nella ricerca
glottodidattica, la riflessione riguarda soprattutto le implicazioni della psicologia
umanistica
- I testi canonici della psicologia (e psicodidattica umanistica) sono Toward a
Theory of Instruction (1966) di Jerome Bruner e Freedom to Learn (1969) di Carl
Rogers; la cui filosofia di fondo di questa corrente psicologica (e psicodidattica), è
nella celebre battuta di Bruner “finora la scuola ha insegnato dal collo in su e ha
dimenticato il resto dell’uomo”, che stigmatizza la tradizione logica, razionale
della persona che apprende; altri testi fondamentali in questo senso sono Frames
of Mind: The Theory of Multiple Intelligences (1983) di Gardner, in cui si analizza
l’intelligenza come il complesso risultato dell’interazione di almeno 7 tipi diversi
di intelligenza, mentre la tradizione glottodidattica si è sempre rifatta alle sole
intelligenze linguistica e logico-matematica; Descartes’Error di Damasio (1994),
secondo il quale l’errore di Cartesio sta nel focalizzare tutto si Cogito, ergo sum,
riducendo l’uomo alla sfera razionale; l’anno dopo appare Emotional Intelligence
di Goleman (1995), dove per la prima volta la sfera emotiva viene vista come una
forma di intelligenza; infine Schumann scrive The Neurobiology of Affect in
Language (1997) e The neurobiology of Learning. Perspectives from Second
Language Acquisition (2004)
- Negli anni ’80-’90 infine si studiano i diversi stili cognitivi e i diversi stili
d’apprendimento degli esseri umani
- In sintesi, il contributo della psicologia e della psicodidattica umanistica
all’insegnamento linguistico sta nell’aver ricordato che:
a) come evidenziato dalle neuroscienze, il cervello umano è funzionalmente
diviso in 2 emisferi che, pur in piena e continua interazione riguardano la
conoscenza (e quindi l’apprendimento) olistico, globale, intuitivo e quello
analitico, logico, razionale
b) La dimensione emozionale non è solo una componente essenziale, ma di fatto
diviene spesso prevalente, soprattutto nei bambini e negli adolescenti, cioè nella
maggioranza degli studenti di lingue
c) La mente umana funziona secondo sue procedure, che vanno rispettate per
ottenere il miglior risultato: tra le scienze che si sviluppano negli stessi anni della
psicologia umanistica di Rogers e della psicodidattica di Bruner, si impone la
linguistica acquisizionale che studia le sequenze di acquisizione di una data
lingua: l’idea che esista un ordine naturale di acquisizione sarà incorporata nella
glottodidattica umanistica da Krashen
d) L’accentuazione del fatto che per essere interiorizzato l’apprendimento debba
essere “significativo”, secondo la definizione di Novak. Ciò non significa solo che i
contenuti devono essere percepiti come significativi per il progetto che lo
studente ha del suo sé presente e futuro e del ruolo che la lingua può rivestire in
tale progetto, ma anche che l’apprendimento avvenga in quella che Bruner
chiama “relazione significativa” tra docente e studente, costruita attraverso
l’attenzione esplicita dell’insegnante ai bisogni dello studente e una negoziazione
esplicita sulle modalità della didattica, della vita scolastica, del modo di studiare
ecc.
e) L’idea che la conoscenza venga costruita dallo studente nella sua mente, e che
tale costruzione sia più rapida, complessa e solida se avviene attraverso il lavoro
congiunto con i compagni, sotto la guida di un insegnante insieme regista e tutor,
che non attraverso una didattica trasmissiva
> La psicodidattica ha elaborato tutt’una seria di “metodologie a mediazione
sociale”: prediligono le attività che creano relazioni significative, utilizzano la
classe nel suo complesso come soggetto apprendente (la coppia, il gruppo)
v. Molta glottodidattica, soprattutto di matrice britannica e americana dove la
tradizione del lavoro di gruppo è fortissima, ha fatto proprie queste metodologie
considerandole l’ambiente naturale per lo sviluppo delle competenze
interazionali in lingua straniera, creando situazioni in cui il focus non è la forma
della lingua ma il suo uso “significativo” per fare qualcosa con la lingua, usata
come strumento di lavoro
v. Per la tradizione italiana, essenzialmente trasmissiva nella direzione
insegnante classe, queste metodologie introducono una forte innovazione,
che si scontra con 2 obiezioni degli insegnanti: anzitutto, obbiettano, si
commettono errori che non vengono corretti, e poi gli studenti non sanno
abbastanza lingua per condurre il lavoro: è vero che queste interazioni
avvengono usando l’interlingua disponibile e quindi sono imperfette, se si applica
meccanicamente il parametro giusto/sbagliato, ma sono comunque produttive
perché ricadono nella rule of forgetting elaborata da Krashen: si impara meglio
una lingua quando si dimentica che si sta usando la lingua, quando la
significatività del “fare” prevale sull’attenzione allo strumento (la lingua
straniera) usata per fare
- Una volta rilevato che le metodologie a mediazione sociale offrono un’ottima
occasione di uso comunicativo della lingua, non è compito della riflessione
glottodidattica addentrarsi in un ambito che è di pertinenza della psicodidattica,
ma piuttosto vedere le linee di quella che dal 1980 quando Stevick pubblicò
Teaching Languages: A Way and Ways, viene chiamata “glottodidattica
umanistica” e che ha avuto la sua prima realizzazione negli anni ’70-’80 nella
Second Language Acquisition Theory di Krashen
- In Italia la glottodidattica umanistica trova terreno abbastanza fertile nelle
lingue straniere, soprattutto per le componenti neuro-psicolinguistiche e
cognitivistiche, legata a 3 idee portanti tra quelle viste sopra:
a) gli esseri umani sono differenti per caratteristiche cognitive, per personalità,
per storia personale, per motivazioni
b) gli esseri umani affrontano gli input che arrivano dal mondo esterno secondo
la direzionalità neurologica globalità analisi sintesi
c) gli esseri umani sono bidimensionali, emozionali e razionali, e la prima
caratteristica spesso, è prevalente sulla seconda
• La psicologia umanistica segna il più rilevante contributo delle scienze della
mente all’insegnamento linguistico; tuttavia, soprattutto negli anni in cui la
glottodidattica ha esplorato la dimensione psicologica, ci sono state molte
applicazioni che hanno spinto verso una trasformazione da “linguistica
applicata”, in cui è la dimensione linguistica a dominare, a “psicolinguistica
applicata”, perpetuando uno squilibrio, sebbene di segno opposto
- Si tratta di una serie di proposte degli anni ’60-’70, che hanno avuto una certa
diffusione soprattutto in America e che sono caratterizzate da una forte
componente psicologica, tant’è che Titone nel suo Glottodidattica, un profilo
storico (1982) li definisce “metodi clinici”, in quanto molte volte riprendono il
modello del rapporto tra psicologo e paziente nella psicoterapia (vedi sopra i
metodi clinici)
• Negli anni ’90 il Modern Language Project si evolve e produce il Quadro Comune
Europeo di Riferimento per le lingue: Apprendimento, Insegnamento,
Valutazione, al quale segue il Portfolio Europeo delle lingue, che dà degli
indicatori adottati dai 51 paesi del Consiglio d’Europa (e non solo) per indicare la
competenza comunicativa di una persona secondo i 6 livelli che vanno da A1 a
C2, in cui il livello B1 corrisponde al Livello Soglia
- Il Quadro innova radicalmente la prospettiva: mentre i Livelli Soglia erano
strumenti per gli autori di materiali didattici e per gli insegnanti, il Quadro è un
testo politico: ribadisce che il problema della conoscenza delle lingue
comunitarie non riguarda solo la scuola ma tutti, dai Ministri ai genitori, e che la
società della conoscenza si costruisce non solo sapendo una lingua franca,
l’inglese, ma conoscendo altre lingue comunitarie, anche se a livelli diversificati,
dall’intercomprensione rudimentale alla piena padronanza
- Già il Trattato di Maastricht del 1992, che istituisce l’Unione Europea, all’art. 126
aveva chiaramente indicato, accanto al diritto dei cittadini europei ad avere
l’istruzione nella lingua materna, anche la necessità che a tutti venissero offerte 2
lingue straniere (tranne nel Regno Unito e in Irlanda), il che significa che tutti
devono parlare inglese e tutti, inclusi gli anglofoni, devono conoscere una
seconda lingua
- Il Quadro si pone quindi come una riflessione sul ruolo delle lingue in Europa,
sulla natura della conoscenza di una lingua, sulle componenti neuropsicologiche,
sociali, culturali dell’insegnamento/apprendimento linguistico, ma non entra mai
nella dimensione metodologica, in nome del valore della differenza e della libertà
di insegnamento
- Per ciascun livello c’è una serie di indicatori da osservare per verificare il
livello di competenza, e in quasi tutti i casi si tratta di saper fare con la
lingua
- In realtà il Portfolio, stando al progetto del Consiglio d’Europa, include 3 tipi di
documentazione:
1) Il Passaporto linguistico che include le certificazioni e le attestazioni di
competenza linguistica
2) La Biografia di Apprendimento, che racconta il percorso di apprendimento
della lingua straniera. Si tratta di uno strumento volto a consapevolizzare lo
studente sui suoi percorsi
3) Il Dossier in cui lo studente raccoglie documenti personali
• La rilevanza della glottotecnologie come parte integrante e spesso come
condizione necessaria per l’insegnamento delle lingue straniere è tale che è nata
una branca della glottodidattica dedicata specificamente allo studio delle
“glottotecnologie”, che in Italia ha portato all’opera di Porcelli, Di Sparti, Dolci
ecc.
- Importanza che l’innovazione tecnologica ha avuto nella storia della
glottodidattica: dapprima attraverso strumenti separati (il disco, il nastro
magnetico audio o video, il CD e poi il DVD), poi attraverso il computer visto
come fusione delle funzioni dei precedenti mezzi tecnologici, oggi attraverso la
rete, da Internet a Skype, dalle chatroom ai blog e ai vlog, al podcasting e ai social
network, fino al recentissimo uso degli smartphone e della lavagna multimediale
interattiva che sono insieme strumenti di comunicazione e di video e
audioregistrazione
Nell’insegnamento delle lingue, soprattutto in una prospettiva
comunicativa, le cosiddette TCI, Tecnologie della Comunicazione e
dell’Informazione, hanno un ruolo essenziale, costitutivo e non solo
accessorio dell’attività di apprendimento di una lingua (anche perché
ormai coloro che apprendono sono “nativi” del mondo digitale, e gli
insegnanti, che in quel mondo sono “immigrati” in questi anni con
difficoltà non possono proiettare sugli studenti la loro difficoltà
- Storia:
a) Inizialmente la tecnologia è un contributo agli area studies con i film intesi
come veicoli sia di cultura quotidiana, di modi di vivere, di pensare ecc.
b) Successivamente i sussidi tecnologici sono stati visti come strumenti per
descrivere la situazione comunicativa in cui veniva usata la lingua, con cartelloni,
diapofilm, fotografie
c) mano a mano che la tecnologia della riproduzione audio e, poi, video si
perfeziona e soprattutto diventa più semplice da usare, essa serve per portare in
classe la lingua (e poi le immagini) autentica del mondo in cui essa è parlata
d) Oggi Internet rende possibile l’accesso a smisurate banche dati di testi
letterari, enciclopedici, giornalistici, audiovisivi, televisivi, musicali ecc.
> In queste 4 prospettive la tecnologia serve a fornire contesto e input,
prendendo il ruolo che nel passato era ricoperto dal racconto e dalle parole
dell’insegnante: tecnologia come strumento di input
- Dalla metà del ‘900 le tecnologie glottodidattiche assumono un ulteriore ruolo
diventando strumento di apprendimento:
e) Con l’approccio strutturalistico il laboratorio linguistico, che consente i pattern
drills, diviene l’ambiente necessario per realizzare le ipotesi neo-
comportamentistiche
f) Le strumentazioni interattive, dagli eserciziari in rete alla lavagna interattiva
multimediale o LIM, dalle prove strutturate di ascolto ai test di autovalutazione
online, chiamano lo studente a confrontarsi direttamente con il computer, che lo
corregge, lo guida e lo valuta
g) Il web 2.0, con i social media, skype e tutto quello che sta giorno dopo giorno
giungendo sugli schermi dei nostri computer, tablet e perfino telefoni cellulari,
offre le condizioni ottimali per realizzare l’approccio comunicativo, ad esempio
comunicando in tempo reale con stranieri, come nelle metodologie tandem
• Realizzazioni estreme di didattica basata quasi esclusivamente su metodologie a
mediazione sociale o su metodologie ludiche, così come gran parte dei metodi
clinici, sono da considerarsi categorie appartenenti a “mode passeggere”; ci sono
tuttavia alcune “certezze crescenti”, di segno positivo e negativo:
a) La metodologia “Content and Language Integrated Learning” CLIL: si tratta
dell’uso veicolare di una lingua straniera per insegnare un’altra disciplina
b) L’intercomprensione tra lingue vicine: ad esempio un italiano e uno spagnolo
che parlino lentamente hanno possibilità di interagire tra loro mantenendo la
propria lingua. Sulla base di questa esperienza diretta comune a moltissimi, si
sono realizzati materiali e corsi e per migliorare la qualità
dell’intercomprensione:
v. A livello di strategie cognitive
v. Evidenziando alcuni elementi linguistici che possono avere una funzione chiave
v. Con alcune riflessioni di storia delle lingue
c) La tendenza ad una glottodidattica d’Arlecchino: i risultati della ricerca
glottodidattica degli ultimi 30 anni non fanno parte dell’esperienza degli
insegnanti vissuta come studenti. Spesso rimangono attaccati alle tradizioni e i
manuali didattici, che sembrano vestiti di Arlechino, cercano di non scontentare
nessuno, affiancando la tradizione alle novità

Sociolinguistica
• Joshua Fishman, uno dei padri fondatori della sociolinguistica, alla metà del ‘900,
sintetizzò il campo d’analisi con le celebri “4ws”: “Who speaks What language to
Whom and When”: la sociolinguistica studia l’uso della lingua all’interno della
situazione sociale in cui viene utilizzata
- Una definizione più moderna può essere quella che attribuisce alla
sociolinguistica lo studio delle diverse varietà in cui si attualizza la lingua: da un
lato c’è lo standard, cioè la lingua spesso ideale e senza realizzazioni sociali
frequenti, dall’altro ci sono le sue varietà geografiche; le varietà di registro, da
quelle auliche e formali a quelle colloquiali e volgari: le varietà legate al mezzo,
per cui l’italiano di un telegiornale, un parlato basato sullo scritto, è diverso da
quello di un giornale, di una mail ecc.; ci sono le microlingue scientifico-
professionali nonché le varietà diacroniche, di genere, di età, e così via
- La sociolinguistica è una delle scienze del linguaggio e non va confusa con la
sociologia del linguaggio che è una branca della sociologia: non descrive la lingua
in uso, ma il ruolo sociale della lingua
- Sul piano glottodidattico, l’introduzione di parametri sociolinguistici decreta la
fine degli approcci grammaticalistici, basati su una lingua stabile e “pura”, e apre
la strada ai metodi situazionali

Pragmalinguistica
• Studia gli scopi e i risultati dell’uso della lingua vista come strumento d’azione
all’interno di una situazione sociale
- Lo studio delle funzioni del linguaggio, iniziato dall’inizio del ‘900 e culminato alla
metà del secolo, era già in nuce pragmalinguistica, ma questa scienza del
linguaggio si impone come autonoma con i volumi degli anni ’60 (vedi sopra)
- L’oggetto della pragmalinguistica sono gli atti linguistici (atti comunicativi) e
l’analisi del discorso nelle sue varie forme
- La pragmalinguistica offre alla glottodidattica lo strumento concettuale (l’atto
comunicatico, la language function) su cui si fondano i Livelli Soglia e, in diversa
misura, tutta la glottodidattica degli anni ’70-’80 a oggi

Etnolinguistica
• Analizza il rapporto tra lingua e cultura, dagli aspetti più semplici, quali le norme
di cortesia, ad aspetti più dirompenti, come l’ipotesi di Sapir e Whorf secondo cui
la cultura di appartenenza guida la visione della realtà, se non altro perché il
lessico disponibile per definirla varia e, a seconda della disponibilità di lessico, si
categorizza il mondo in maniera differente
- Hymes, il creatore della nozione di competenza comunicativa si definiva un
antropolinguista

Neurolinguistica
- Studia il funzionamento del cervello in ordine al linguaggio
- Le sue principali applicazioni riguardano i disturbi del linguaggio, dalla dislessia
alla disgrafia fino alla sordità e all’afasia, ma in glottodidattica ha avuto un ruolo
essenziale nell’indicare il ruolo diverso dei 2 emisferi cerebrali (quello destro che
presiede alla percezione globale, olistica, quindi contestuale; quello sinistro, dove
la lingua viene memorizzata nelle aree di Broca e Wernicke, che presiede
all’attività analitica), rilevando che entrambi cooperano alla produzione e
comprensione linguistica, ma operando secondo una sequenza che vede
anzitutto le operazioni globali e solo dopo quelle analitiche

Psicolinguistica
- Inizia della prima parte del ‘900 come psicologia del linguaggio, all’interno
degli studi psicologici, ma si rende autonoma e si evolve in direzione delle
scienze del linguaggio negli anni ‘50
- I suoi oggetti principali di studio sono l’acquisizione del linguaggio e i
meccanismi di codifica e decodifica; un aspetto particolare riguarda
l’ipotesi di una Grammatica Universale come parte del patrimonio
genetico del homo sapiens

Psicologia dell’apprendimento e psicodidattica


- Studiano (rispettivamente dal punto di vista dell’apprendente e del
docente) i meccanismi mentali che presiedono all’acquisizione, linguistica
e non
- Si basano in parte sulle neuroscienze, in parte sulle ricerche sulla memoria,
che dagli anni ’60 sono un po’ il focus della psicologia cognitiva, e in
particolare studiano gli stili cognitivi e quelli d’apprendimento; in
particolare per quanto riguarda la formazione scolastica, si interessano
anche di motivazione e del ruolo delle relazioni tra gli apprendenti e i
docenti nel favorire o ostacolare l’apprendimento

L’interlingua

• La linguistica acquisizionale studia una realtà chiamata interlingua, cioè la lingua


usata da una persona che sta apprendendo una lingua e che rappresenta una
porzione dell’intero sistema linguistico posseduto da un nativo: si deve
necessariamente partire da 0, costruendo la propria competenza secondo
sequenze di acquisizione. Tali sequenze sono implicazionali: per essere acquisito,
cioè inserito nella propria memoria stabile, ciascun elemento implica la presenza
di altri elementi già acquisiti, secondo la logica della “zona di sviluppo
prossimale” o dell’”ordine naturale”
v. Gli errori sono quindi alcuni stadi dell’interlingua dello studente
- La nozione fondamentale, secondo Selinker (il creatore del termine
“interlingua”), è che l’interlingua è un sistema a sé per quanto parziale: non è
strutturato a caso, prodotto dell’input dell’insegnante nella lingua straniera o
dell’ambiente nell’acquisizione spontanea, ma è un sistema che ha le sue basi
nella grammatica universale, oltre che nella lingua materna e soprattutto nella
lingua che si sta apprendendo
- L’interlingua quindi non è una competenza “sbagliata”, è una competenza
ridotta, parziale, ma con una sua struttura, ha dei suoi meccanismi che rendono
comunque l’interlingua efficiente nel comunicare, per quanto con mezzi
ridottissimi che producono “errori”. Lavorare troppo su questi errori
demotiverebbe soltanto lo studente
- Come aiutare il progredire di una interlingua?
v. Pe gli studiosi di matrice chomskyana è la grammatica universale innata a
guidare il processo, in maniera quasi automatica, ed i risultati insoddisfacenti
derivano o dalla casualità (alcune forme non sono mai comparse
significativamente nell’input ricevuto da quella persona) o dalla limitatezza della
sua memoria: l’acquisizione di una lingua straniera segue percorsi e meccanismi
simili a quelli dell’apprendimento della lingua materna
v. L’esperienza didattica non concorda tanto con questa ipotesi quanto piuttosto
con quella di studiosi cognitivisti, che notano come l’apprendimento della lingua
materna sia spontaneo, mentre quello della lingua straniera coinvolga persone
che non solo sanno già cosa vuol dire sapere una lingua (ne sanno già almeno
una, da nativi) ma sanno anche che stanno imparando una lingua, sanno cosa
vogliono imparare perché sanno quel che vogliono dire
- L’intaken è legata alla struttura della lingua cioè alle sue sequenze di
acquisizione che richiedono la presenza di elementi precedenti: la “zona di
sviluppo prossimale” implica che ci sia una zona già consolidata, in prossimità
della quale altre cose possono essere acquisite
- Accanto alla variabile data dalla lingua che si studia, e quindi al suo ordine
naturale di acquisizione, c’è una variabile cognitiva, studiata dalla teoria della
processabilità di Pinemann (1998): la mente è disponibile a imparare per prime
le cose che richiedono meno sforzo cognitivo, ciò che è più “facile”. “Facile” non
significa solo più vicino alla lingua materna, o più semplice, o più frequente, ma
piuttosto che è più facile da osservare nell’input, più evidente a quello stadio
dello sviluppo interlinguistico, più utile per poter comunicare efficacemente

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