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BILINGUISMO E TRADUZIONE

1. La sede del linguaggio


La neurolinguistica è una disciplina che studia il rapporto tra linguaggio umano e
funzionamento cerebrale. Il fisiologo Joseph Gall ipotizzava una localizzazione anatomica delle
facoltà mentali in 26 organi situati sulla superficie del cervello, a questi organi si dovevano le
caratteristiche somatiche degli individui. Con gli studi di Broca e Wernicke nella seconda metà
del 1800 si accorsero che i deficit rilevati in due loro pazienti potevano essere messi in
relazione con danni in aree cerebrali ben precise; queste lesioni erano situate nei lobi sinistri
ed evidenziavano disconnessioni funzionali tra comprensione ed espressione che supponevano
l'ipotesi che queste funzioni fossero rappresentate nelle aree di Broca e Wernicke. Si diffuse,
pertanto, il modello di un circuito laterale del linguaggio concentrato nell'emisfero sinistro. Alla
fine del 1800 il neurologo tedesco Lichtheim presentò un modello unitario sul linguaggio e una
rappresentazione cerebrale: vi erano tre centri che formavano uno schema a triangolo e lungo
tutto il percorso del processo di computazione linguistica il neurologo indicò con dei numeri le
specifiche sindromi afasiche (incapacità di esprimersi mediante la parola o la scrittura o di
comprendere il significato delle parole dette da altri) corrispondenti ad ogni singolo
collegamento. Ne derivò il paradigma di Wernicke-Lichtheim. Nel 1909 il neurofisiologo
Brodmann tracciò la mappa delle funzioni corticali superiori, le aree del linguaggio e su questo
modello Penfield disegnò il cosiddetto homunculus motorio e sensoriale. Lui evidenziò che
lungo la corteccia motoria primaria le aree del nostro corpo sono rappresentate in modo non
proporzionale rispetto alla loro effettiva dimensione fisica. A quanto risultava, più specializzati
sono movimento e sensibilità di una parte del corpo, più ampia è la sua rappresentazione nella
corteccia cerebrale (labbra e genitali sono molto più grandi di braccia e gambe). Questo
modello oggi può considerarsi superato perché si è verificato che le funzioni delle diverse aree
motorie non sono semplici e sequenziali; il sistema motorio possiede una molteplicità di
strutture e funzioni tale da non poterlo più confinare al ruolo di mero esecutore passivo di
comandi originati altrove.
Dalla nozione di sede a quella di via
Entrambi gli emisferi collegati tra loro dal corpo calloso, sono composti da quattro lobi. I gangli
della base (modulano il comportamento) sono situati nella parte inferiore di ciascun emisfero
cerebrale e hanno proiezioni non solo nella corteccia premotoria, ma anche in altre aree
corticali; si è dimostrato che hanno un importante ruolo cognitivo. La teoria di Chomsky, che
prevede l'esistenza di una struttura universale delle lingue, dimostrerebbe che sarebbe il
nostro cervello a creare strutture universali: partendo da limitati dati fondamentali di una
lingua qualsiasi, si può infatti ricostruire la sua grammatica. Si può parlare di un istinto del
linguaggio che distingue l'essere umano da tutti gli altri esseri viventi. Il linguaggio umano
consente di creare messaggi che riguardano non solo denotazione di oggetti esistenti, ma
astrazioni con cui si possono indicare gli eventi non solo del mondo reale, ma del mondo
possibile o immaginabile (congiuntivo, condizionale). Le astrazioni vengono acquisite dagli
umani nell'età infantile, in modo spontaneo, senza bisogno di impararle in modo esplicito;
attraverso limitati esempi forniti dagli adulti, i bambini ricostruiscono per inferenza logica
l'intero sistema di complesse regole fonologiche e morfosintattiche che governano la loro
lingua materna. Grazie a questa eredità genetica gli umani potrebbero acquisire qualsiasi
lingua a cui siano esposti entro una determinata soglia critica. È stato trovato un gene
chiamato FOXP2 che sarebbe responsabile in una sua forma mutata di disordine linguistici
nell'uomo. Questo gene effettivamente non è presente in nessun altro mammifero; tuttavia,
un suo analogo è stato trovato negli uccelli e sarebbe responsabile della loro abilità canora.
Nella versione umana, è un tipo di gene che regola altri geni ed è quindi possibile che abbia
potuto determinare una serie di mutamenti a cascata durante il processo evolutivo, il più
importante dei quali sarebbe stato l'apprendimento dell'abilità fonatoria. Dunque, non si tratta
di un gene del linguaggio, il linguaggio emergerebbe da tanti elementi e non da una precisa
fonte genetica; la facoltà linguistica ha quindi bisogno di tanti elementi necessari, di cui
nessuno è di per sé sufficiente.
Controllo motorio e apprendimento linguistico
La ripetizione è oggi al centro di nuove importanti teorie sull'origine del linguaggio umano e
sul suo apprendimento. L'importanza di quest'ultima è stata rilevata da Liebermann
relativamente alla comprensione sintattica che consisterebbe, secondo lui, in una ripetizione
fonetica e mentale. Studi condotti negli anni 90 grazie alla stimolazione magnetica transcranica
hanno messo in luce l'esistenza nei macachi e nell'uomo di un gruppo di neuroni che si
attivano sia durante l'esecuzione di un compito motorio, sia durante l'osservazione delle
esecuzioni del compito da parte di altri individui; per questa ragione queste cellule neuronali
sono state chiamate neuroni specchio. Il sistema dei neuroni specchio costituirebbe l'anello
neurofisiologico tra l'osservare e l’eseguire, e dunque la base neuronale del comportamento
imitativo. Questo sistema di osservazione/esecuzione non presiederebbe solo
all'apprendimento motorio, ma anche ad ogni altro tipo di apprendimento umano. Uno stesso
sistema, dunque, sarebbe alla base di tutte le funzioni, sensorimotorie ma anche cognitive e
persino linguistiche; infatti, durante l'esecuzione/osservazione di compiti che coinvolgono la
mano si attivano anche i neuroni presenti nell'area di Broca, tradizionalmente considerata
unicamente dedica alla produzione del linguaggio.
L’ipotesi dell’attivazione incrociata
Ramachandran sviluppa una teoria sull'origine del linguaggio. La teoria di Saussure sosteneva
la sostanziale arbitrarietà con cui i suoni danno vita alle parole e la maggior parte dei linguisti
ha dato per scontata questa ipotesi. Solo lui ha deciso di affrontare questo spinoso problema.
L'esperimento da cui è partito da lui chiamato test buba-kiki prevedeva di mostrare a più
gruppi di soggetti normodotati, nativi di svariate lingue, due figure astratte, una dai contorni
più smussati e arrotondata, l'altra dai contorni più acuminati, e chiedeva ad ogni soggetto di
scegliere quale delle due secondo loro fosse buba e quale kiki. Il risultato non è stato affatto
casuale, il 98% dei soggetti testati ha assegnato il nome buba alla figura arrotondata e kiki a
quella dai contorni più aguzzi. Si tratterebbe di un'astrazione a modalità incrociata, ovvero il
cervello riconoscerebbe una caratteristica comune a due elementi diversi (il suono e la figura)
e gli assocerebbe cognitivamente (sinestesia). Su questa base ha sviluppato la sua teoria
dell'innesco sinestesico del linguaggio. Questo test mette in luce l'esistenza di una prima
attivazione incrociata tra suono e visione (corrispondenza non arbitraria tra forma visiva
dell’oggetto e contorni del suono), a cui si sarebbe associata una seconda attivazione
incrociata: quella tra i contorni del suono e le mappe motorie presenti nell'area di Broca.
Le lingue dei segni
Le lingue dei segni costituiscono il complesso delle varietà riscontrabili nelle modalità di
comunicazione dei non udenti e possono essere acquisite e trasmesse come madrelingua sia
dai sordi congeniti sia dai figli normodotati di genitori sordi. Le lingue dei segni offrono tutte le
possibilità espressive tipiche delle lingue storiche, possono cioè esprimere un discorso letterale
o figurato, veritiero o menzognero. Recentissimi studi hanno dimostrato che nei segnanti si
attivano le stesse aree corticali che nei parlanti. Questi dati sembrano avvalorare l'ipotesi che
un unico identico circuito pertenga a ogni forma di comunicazione codificata; questa scoperta
potrebbe rappresentare un'ulteriore conferma all'origine motoria del linguaggio (una lesione
nell’area di Broca provoca un’afasia di tipo motorio).
Lingua da studiare e lingua da usare
La fonologia è l'insieme dei suoni articolati dall'apparato fonatorio umano da un punto di vista
fisico e fisiologico, nonché in rapporto alla loro funzione distintiva all'interno di un determinato
sistema linguistico. La morfologia è l'insieme dei morfemi e delle relative regole del loro uso
flessionale. La sintassi è l'insieme delle regole combinatorie dei costituenti della frase, cioè
presiede all'ordine degli elementi che compongono le parti del discorso. La semantica è la
parte della lingua che presiede al significato delle parole di una lingua.
2.
Il parametro tradizionale di classificazione del bilinguismo è l'età in cui viene acquisita o
imparata una L2. Un bilinguismo precoce è infatti statisticamente un bilinguismo coordinato e
bilanciato, in quanto il soggetto tende a conoscere le due lingue allo stesso modo; un
bilinguismo tardivo, invece, è generalmente definito subordinato, una lingua cioè è dominante
sull'altra. Il processo di acquisizione di una pronuncia perfetta in una L2 è tanto più economico
quanto più l'acquisizione dell'inventario fonologico nelle due lingue è prossima sul piano
temporale. Si può quindi ipotizzare che l'età non sia un discrimine per i risultati che si possono
raggiungere, ma implichi una differenza nell'investimento necessario in termini di tempo e
impegno e nei circuiti cerebrali utilizzati dai bilingui precoci e da quelli tardivi. Le diverse lingue
di un bilingue vengono infatti acquisite in contesti diversi, di conseguenza, il livello della
competenza linguistica per ognuna delle lingue può essere valutato solo in rapporto all'uso e
alla valenza sociale di una lingua rispetto all'altra.
L'afasia nei bilingui
Oggi, più della metà della popolazione mondiale è bilingue o addirittura plurilingue. Anche per
questa ragione l'incremento di afasie bilingui è stato negli ultimi anni esponenziale. Questo
significa che questi casi di disordine linguistico, legati all'apprendimento o all'acquisizione di
più lingue, rappresentano ormai non più casi isolati. Il canadese Paradis ha messo a punto negli
anni 80, un test per la valutazione dell’afasia bilingue. Questo test prende il nome di bilingual
Aphasia test (BAT) e si compone di tre parti: ricostruisce la storia linguistica pre-traumatica del
paziente; valuta in modo sistematico e comparativo i disordini linguistici in ciascuna lingua;
testa le abilità traduttive residue da una lingua all'altra e viceversa annotando le interferenze.
L'esaminatore non emette alcun giudizio, ma si limita a riportare le risposte del paziente, che
vengono elaborate da un programma elettronico in grado di fornire la percentuale di risposte
corrette in relazione a ciascuna operazione linguistica. Si ipotizza che la struttura del sistema
linguistico possa influenzare, in qualche modo predeterminare, la tipologia di errori che
andranno a manifestarsi in seguito a un’afasia. I deficit grammaticali, cioè interverrebbero,
dove il sistema linguistico mostra maggiore debolezza.
Alcuni soggetti bilingui affetti dalla sindrome di Parkinson hanno dimostrato che i tratti
collegati alla memoria dichiarativa erano considerevolmente più danneggiati di quelli relativi
alle competenze automatiche. Le sindromi afasiche sembrano colpire i soggetti bilingui con
disturbi apparentemente tipici. Selettivamente si recupera meglio o la L1 o la L2. Il recupero
migliore nella L2 può essere spiegato perché, pur essendo compromessa la competenza
linguistica in entrambe le lingue, i pazienti fanno ricorso alla più estesa a memoria esplicita
della L2 C che spesso è più ampia e consolidata di quella della L1, soprattutto se ha studiato in
età adulta. Nei bilingui precoci le lingue sono rappresentate nelle stesse aree cerebrali, e anche
nei bilingui tardivi con altro livello di competenza della L1 i sistemi neuronali responsabili per la
computazione linguistica della L1 e della L2 tendono a sovrapporsi. La lateralizzazione
interemisferica è dunque soprattutto relativa al livello di competenza raggiunto nella L2, oltre
che all'età in cui questa è stata acquisita. Questo postulato fondamentale è alla base
dell’Ipotesi della convergenza di Green, uno dei modelli teorici più interessanti. Secondo
questo modello, man mano che la competenza operativa in una L2 aumenta e un parlante è
capace di fare in L2 quello che fa in L1, i sistemi responsabili della computazione linguistica
della L2 tendono sempre più a corrispondere a quelli della L1. Sulla base di questo nasce la
proposta di Paradis di un modello dinamico della rappresentazione cerebrale del bilinguismo,
in cui le lingue sono viste come sottosistemi del sistema del linguaggio. L'esistenza di
meccanismi neuronali specifici dei bilingui è pertanto un'ipotesi non più sostenibile.
Selezione e inibizione
Lo switching non è solo il passaggio da una lingua all'altra, è soprattutto la capacità di passare
ad una lingua disattivando l'altra. In tal senso la capacità di switching è una componente
imprescindibile nella gestione della competenza bilingue che si contrappone al Language
mixing, che, come abbiamo visto indica l'interferenza interlinguistica. Negli ultimi due decenni
ci si è orientati verso l'idea che il sistema responsabile dello switching sia indipendente dal
linguaggio, lo si ritiene infatti parte di un sistema generale che consente al cervello umano la
selezione di comportamenti antagonisti. Qualsiasi selezione a livello cerebrale implica
operazioni di controllo e inibizione; la selezione di un particolare elemento richiede infatti che
la sua attivazione superi quella di ogni altra possibile alternativa. L'attivazione avviene così
attraverso una concomitante inibizione di tutti gli altri potenziali antagonisti, cioè facendo
aumentare le loro soglie di attivazione. Questo modello teorico è stato denominato modello di
inibizione e controllo. Un difetto dei meccanismi di controllo e inibizioni potrebbe dar luogo a
deficit rappresentato, per esempio, dalla difficoltà nello switching, con conseguente fissazione
patologica su una lingua; fenomeno che potrebbe spiegare quello dell'antagonismo alternato,
cioè la perdita temporanea dell'abilità di switching, con fissazione su una sola lingua. L'efficacia
e la velocità dello switching interlinguistico migliorano con l'addestramento. La pratica del
bilinguismo è infatti in grado di affinare il funzionamento di questi meccanismi di controllo e di
inibizione.
Comunemente l'operazione di switching viene sovrapposta a quella della traduzione. A livello
neuropsicologico lo switching e la traduzione sono operazioni diverse e sono due processi
antagonisti (se c’è l’una, non riesce l’altro). Ci sono alcuni disturbi legati a un
malfunzionamento dell'abilità traduttiva:
• Impossibilità a tradurre nelle due direzioni
• Traduzione spontanea, impulso incontrollato a tradurre tutto quanto viene detto dal
paziente o dai suoi interlocutori
• Traduzione senza comprensione, il paziente non comprende ciò che gli viene detto di
tradurre, ciò nonostante, traduce correttamente
• Traduzione paradossale, il paziente può tradurre solo nella lingua che non riesce a
parlare spontaneamente, non viceversa
Su quest'ultimo caso, in particolare, uno studio di Paradis è ormai divenuto una pietra miliare.
Una paziente arabo francese con lesione nell'emisfero sinistro, poteva parlare
spontaneamente un giorno in francese, ma non in arabo. Il giorno successivo, viceversa.
Quando però poteva parlare solo francese, poteva tradurre in arabo. La computazione
linguistica per funzionare correttamente necessita di una serie di abilità complementari: abilità
di parlare le lingue, abilità di distinguere le lingue tra loro, abilità di switching, la ripetizione.
3.
Opzioni e parametri
Tradurre è per prima cosa affrontare un problema decisionale che necessita di competenze
bilingui per essere risolto. Levy, partendo da questo presupposto, poneva le basi della nuova
traduttologia scientifica. Lui presenta il processo traduttivo come un insieme di operazioni
decisionali mirate alla soluzione di problemi a struttura gerarchica: durante il processo il
cervello organizza le decisioni secondo un ordine procedurale tale per cui le opzioni che
vengono selezionate per prime condizionano quelle che vengono prese successivamente.
Compito della traduttologia è quello di stabilire quali parametri e quali strategie consentono al
cervello del traduttore di: suddividere un testo in unità traduttive minime, di ordinare le
procedure per la selezione delle opzioni ai vari livelli, di selezionare una e una sola delle varie
opzioni e di inibire tutte le altre opzioni. Le unità traduttive minime costituiscono un concetto
fondamentale della traduttologia, si tratta dei frammenti di testo non ulteriormente
suddivisibili (what’s yout name). Possiamo dire che l'opzione selezionata dal traduttore
funziona in modo ottimale se tra le due unità traduttive vi sarà un rapporto di equivalenza
pragmatica (stessa dose di stranezza). Quindi, lo scopo della traduttologia intesa come teoria
scientifica della traduzione è quello di spiegare i meccanismi e le procedure che consentono al
cervello di un bilingue addestrato di trovare corrispondenze più o meno intercambiabili tra due
o più lingue, ovvero di trovare gli equivalenti traduttivi.
Significato
Il significato non è un elemento contenuto in un messaggio, ma emerge come risultato di
operazioni computazionali che il cervello umano esegue in modo sostanzialmente implicito
quando è stimolato da un messaggio. Il processo di interpretazione non è mai un'operazione
del tutto soggettiva, poiché gli individui sono diversi ma hanno anche moltissimo in comune:
per prima cosa, infatti, è universale la modalità con cui gli individui interpretano gli enunciati;
in secondo luogo, i dati stessi tendono ad essere in buona parte condivisi dalla maggior parte
di individui appartenenti ad uno stesso gruppo culturale. Attraverso l'udito o la vista, le parole
stimolano nel destinatario immediate e inevitabili associazioni con la memoria emozionale
(ricordo inconscio delle sensazioni percepite), con quella semantica (conserva le conoscenze
consce) e con quella episodica (conserva le conoscenze rimosse o trascurate dalla coscienza).
Ogni parola e ogni enunciato innescano una risposta psicoemotiva, questa reazione può
tendere a zero o sembrare inesistente, perché spesso viene registrata a livello implicito. La
valutazione del rapporto tra parole, enunciati, associazioni ed uso pragmatico è il fondamento
del processo di traduzione durante il quale va pronosticata ogni reazione del destinatario alla
traduzione, cercando di prevederla il più possibile identica a quella del destinatario di
partenza. La collaborazione tra traduttologia e neurolinguistica può contribuire a unificare i
dati delle scienze umane e quelli delle neuroscienze, offrendo la possibilità di postulare una
didattica della lingua e della traduzione in grado di sfruttare al meglio le umane capacità di
imitare e apprendere.
Traduzione intralinguistica e interlinguistica
Anche se il meccanismo di queste due traduzioni è lo stesso, da un'analisi comparativa dei
messaggi riformulati in una stessa lingua o tradotti in lingue diverse emerge una differenza
sostanziale tra la riformulazione e la traduzione. Questa differenza riguarda il concetto di
sinonimia e costituisce il fulcro della PTT. All'interno della stessa lingua, modificando la
variabile B di un enunciato, l'informazione complessiva (A+B) cambia necessariamente; di
conseguenza, con altre parole della stessa lingua si può dire quasi la stessa cosa, ma mai la
stessa identica cosa. È evidente, infatti, che all'interno del piano cartesiano degli enunciati di
una stessa lingua non possono mai essere rappresentate dallo stesso identico punto pB del
piano; perciò, all'interno di una stessa lingua non può esistere una perfetta sinonimia, ma solo
una quasi-sinonimia. Ma non solo, se ne deduce anche che la perfetta sinonimia possa sempre,
potenzialmente, esistere tra due lingue diverse in cui teoricamente è possibile trovare
enunciati perfettamente sovrapponibili sul piano cartesiano e del tutto equivalenti sul piano
pragmatico. Von Humboldt aveva negato la possibilità di sinonimia tra due lingue diverse solo
perché, come fanno ancora alcuni linguisti, considerava la sinonimia in modo astratto a livello
delle singole parole e non delle unità linguistiche. Dunque, se il piano cartesiano degli
enunciati di una L1 viene sovrapposto al piano cartesiano degli enunciati di una L2 si può
trovare sempre sul piano cartesiano L1 un punto pB1 che corrisponde esattamente allo stesso
punto pB2 piano cartesiano L2: le due unità linguistiche corrispondenti sono equivalenti
(sinonimiche), in quanto condividono esattamente lo stesso rapporto A/B. Questi due
enunciati possono dirsi traducenti equivalenti; l’equivalenza non è definita solo dall’etimologia,
ma soprattutto in base ai parametri contestuali (fattori WH-). Paradis utilizzava il concetto di
Translation equivalent senza mai definirlo, ma sembrava intendere una corrispondenza
meramente dizionaristica tra vocaboli; tuttavia, in traduzione in mancanza di contesto nessuno
può sapere se casa è home, house, flat o building. Nella lingua naturale si usano idiomatismi e
modi di dire in cui le parole, unite con altre parole, cambiano significato. Questi significati si
cristallizzano perdendo il legame primario con il referente (il mio capo non ha fegato). La prima
operazione che il cervello del traduttore deve affrontare quando ha il compito di tradurre un
testo è quello di selezionare le unità traduttive, cioè di suddividere il testo in stringhe di parole
indivisibili. La seconda operazione da compiere è stabilire, unità per unità, il livello della
marcatezza funzionale di ognuna.
Talento traduttivo
Durante il processo di traduzione il traduttore riveste un triplice ruolo: deve svolgere il ruolo di
lettore del TP (destinatario), poi quello di autore della traduzione (emittente) e infine quello di
critico della traduzione (deve controllare l’effettiva equivalenza funzionale dei 2 testi). In linea
teorica il traduttore perfetto dovrebbe leggere il TP esattamente come un lettore ideale della
lingua di partenza, ma di fatto il bilinguismo ideale che lo consentirebbe non esiste. Infatti, un
bilingue non ha mai le stesse esperienze e le stesse conoscenze in tutte le lingue che conosce.
Il traduttore decide quale fosse l’intenzione dell’autore (cosa voleva dire) e scommette da solo
sulla ricezione del destinatario (come verrà recepita la traduzione). Questo ci spinge ad
affermare che una traduzione è sempre oriented al traduttore (self-oriented) in quanto l’autore
del TP e il destinatario del TA sono solo un’astrazione nella mente del traduttore. Per saper
tradurre ci si deve essere esercitati con frequenza, in modo continuativo, memorizzando i dati
in un ipertesto bilingue mentale gestito da un elevato automatismo, memorizzando le
procedure implicite.
4. Pseudo-traduzioni
nella didattica italiana col termine traduzione si intende l’interlineare, ovvero un esercizio
artificiale e meccanicistico di calco strutturale e lessicale. Questa pratica serve solo a
trasformare un testo vero, scritto in una lingua vera, in un testo artificiale scritto in traduttese.
Nell’ambito dei corsi universitari del triennio di Scienze della Mediazione Linguistica, i docenti
possono scegliere se decidere solo lingua straniera o se insegnare lingua e traduzione. Un
docente dovrebbe in primo luogo chiedersi se la propria azione sia coerente:
• al principio learning by being told, imparare perché ti spiegano, agisce solo sui circuiti
della memoria esplicita
• learning by doing, imparare facendo, mira all’automazione di produzione in contesti
linguistici reali
Nel primo caso i docenti possono limitarsi a insegnare le regole in modo descrittivo e fare
lezione in lingua italiana. Nel secondo caso, al contrario, saper spiegare le regole non è
sufficiente, è indispensabile che egli usi la lingua straniera con disinvoltura. Le fondamentali
abilità di un docente di lingua dovrebbero essere: un addestramento all’inferenza che abitui
sin dal principio gli studenti a esercitare circuiti impliciti per cercare di indovinare nella nuova
lingua anche quello che ancora non conoscono; un addestramento esplicito che coinvolga la
memoria semantica, ma che sia sviluppato anche attraverso le abilità inferenziali. Spiegando
esplicitamente in lingua qualcosa che già si sta esercitando, pur trattandosi di riflessione
cosciente, si richiedono nuove inferenze per capire gli enunciati della spiegazione. L’anello di
congiunzione tra lingua, emozioni ed intenzioni è la prosodia, di cui l’intonazione è la
componente principale e che è gestita da circuiti dell’emisfero destro. Come mostrano gli studi
di Damasio, le emozioni sono un fondamentale collante della memoria e quindi
dell’apprendimento in ogni sua forma. È importante comprendere che le esperienze
emotivamente neutre vengono dimenticate con più facilità, ma anche tenere conto che
ripetuti stress emotivi negativi (dovuti a paura e vergogna) possono portare ad un blocco
funzionale dell’ippocampo, la porzione fondamentale del lobo temporale del cervello che
consente il passaggio dei dati alla memoria di lavoro e a quella a lungo termine.
L’intonazione è ciò che marca la differenza tra enunciati che, sul piano semantico, sembrano
dire la stessa cosa. Il modo in cui i parlanti gestiscono le intonazioni segue procedure analoghe
a quelle che gestiscono la sintassi. Ogni individuo dispone di una capacità giudizio
grammaticale (può giudicare se la struttura di un enunciato è coerente), ma anche di una
capacità di giudizio intonazionale (se l’intonazione è coerente rispetto al contesto). È sempre
più arbitraria l’idea che siano linguistici solo i danni all’emisfero sinistro, e che quelli a quello
destro, che privano il paziente della capacità di valutare gli enunciati linguistici, siano invece
danni extra-linguistici. Siccome l’emisfero sinistro è stato definito linguistico, allora le abilitò
usate nel linguaggio verbale che sono gestite dall’emisfero destro non devono essere
propriamente linguistiche. In realtà questo pensiero non sta in piedi, il linguaggio verbale
umano è tale se e solo se tutta una serie di abilità, gestite da entrambi gli emisferi, cooperano
alla produzione e interpretazione dei messaggi. Molti anni di esperienza didattica supportano
l'ipotesi che l'utilizzo sistematico della traduzione orale attiva e passiva nella pratica
glottodidattica abbia parallelamente due importanti funzioni: sviluppa e automatizza le abilità
traduttive degli studenti, e consentono una crescita esponenziale del loro bilinguismo, cioè,
aiuta a imparare ad usare la lingua straniera nel mondo reale dei monolingui nativi.
L'addestramento parallelo alla lingua e alla traduzione segue due tappe:
1. Mediante la traduzione orale del docente, si attiva nel cervello degli studenti una rete
bilingue che consente di memorizzare ogni unità della L2 in diretta relazione all'unità
equivalente della L1. Attivando una delle due unità con lo stimolo uditivo l'unità
equivalente dell'altra lingua sarà gradualmente pre-attivata, seppur in modo latente
2. Si coinvolgono anche gli studenti, sempre gradualmente, nell'esercizio di traduzione
orale simultanea mediante dettati incrociati o mediante interventi liberi. In tal modo si
sviluppa la motivazione degli studenti, suscitando reazioni particolarmente positive
durante l’addestramento (si sente bravo e intuisce che la sua prestazione è finalizzata a
competenze utili nella sua vita).
L'utilizzo della traduzione come metodo finalizzato allo sviluppo parallelo di bilinguismo e di
abilità traduttive prevede che il docente traduca in continuazione, quasi fosse una sua seconda
natura, tutto quello che gli viene detto in L1 o in L2. Questo approccio, tuttavia, prevede che
nessuno studente pensi di poter eseguire per lungo tempo traduzioni scritte di tipo
professionale, soprattutto di testi lunghi (questo compito, infatti, tenderebbe a ripristinare la
propensione all’ interlineare); gli eventuali testi scritti che gli studenti traducono a casa sono
trascrizioni di dialoghi, di aneddoti o di frasi che hanno già tradotto in aula oralmente col
docente. In aula un altro strumento fondamentale è il dettato incrociato: il docente detta in
lingua straniera e gli studenti scrivono il testo dettato direttamente in italiano. A partire dal
secondo anno si cominciano a stimolare le prestazioni attive, curando sempre più fonetica e
intonazione. Nel terzo e ultimo anno di corso si cura in modo particolare: l'addestramento
all'uso della sintassi complessa, in particolare dei connettori (preposizioni, avverbi e
congiunzioni); l'espansione del lessico; l'ortografia, ma un livello minimo senza inutili pretese.
Si tratta, in sostanza, di adeguare la didattica al funzionamento del cervello degli studenti,
invece di adeguare il cervello degli studenti ai pregiudizi imposti da una indifendibile
tradizione. Questo metodo didattico sembrerebbe minimizzare l'utilizzo della strumentazione
tecnologica, in realtà l'impiego delle tecnologie sia in glottodidattica sia in didattica della
traduzione è molto importante. Stoll sostiene che l'interazione col computer è bilaterale, in
quanto la macchina, oltre che strumento, è a sua volta utente della mente umana, che viene
quindi trasformata in strumento (noi programmiamo i computer, ma è anche vero che i
computer programmano noi). Inevitabilmente, sfruttando caratteristiche universali del nostro
cervello, la macchina risveglia in noi aspetti di automatismo imitativo, cioè risveglia l’automa
che è nascosto in ognuno di noi. Imparando a interagire con il computer, almeno in parte, gli
umani si adattano al suo linguaggio. La glottodidattica non può prescindere dal fine ultimo che
è la programmazione linguistica di cervelli biologici umani e, se ricorre a strumenti elettronici
deve verificare che assecondino il processo acquisizionale più di quanto lo ostacolino. L’e-
learning linguistico sarà tanto più efficace quanto più tenga conto delle caratteristiche che
distinguono il cervello umano dagli altri sistemi intelligenti. Tra queste, la caratteristica più
nota è la flessibilità: l'evoluzione ha infatti premiato il nostro tipo di intelligenza perché si è
rivelata in grado di risolvere molti problemi diversi in tempi utili mantenendo un rendimento
medio, chiaramente imperfetto, ma ottimale per sopravvivere in un mondo che richiede
grande capacità di adattamento a stimoli e ambienti variabili. La flessibilità cognitiva, con i suoi
limiti si è infatti dimostrata più vantaggiosa rispetto a pochi e rigidi perfezionismi di certe
macchine che possono aiutare l'essere umano in compiti molto circoscritti. La flessibilità dei
nuovi cervelli artificiali, tuttavia, è ancora agli albori, e i suoi limiti derivano dalla tipologia
fondamentalmente binaria della loro intelligenza, per un computer una cosa o è giusta o è
sbagliata, o è 0 o è 1. L'utilizzo della tecnologia in classe crea una notevole distanza psicologica
tra docente e studenti e non aiuta la memoria cognitiva dello studente. Vi sono invece
tecnologie che possono essere assai utili per lo sviluppo delle abilità linguistiche degli studenti,
i lettori di DVD, ad esempio, stimolano lo studente a vivere l'esperienza quotidiana del cinema
e della televisione direttamente in lingua straniera. Il film e il telegiornale sono prodotti di
comunicazione reale che gli studenti condividono con milioni di cittadini reali, diventando
spettatori effettivi e sentendo di partecipare a qualcosa che non è un artefatto didattico, ma un
prodotto culturale del mondo reale.

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