L’apprendimento della lingua materna (L1) avviene in modo spontaneo, senza alcuno sforzo
consapevole, e in un contesto cosiddetto “naturale”; l’insegnamento di una lingua straniera (L2)
costituisce, invece, un tentativo di intervenire in tale processo, anche se l’intervento didattico non può
stimolare l’attivazione di meccanismi che entrano in funzione soltanto in situazioni di apprendimento
non guidato e in età infantile. La comprensione di tali meccanismi può però aiutare ad individuare i
fattori che permettono o facilitano l’apprendimento di una L2 e possono contribuire a scegliere
opportune strategie didattiche di insegnamento. Con l’espressione L2 si fa riferimento a due modalità di
apprendimento: l’apprendimento di una lingua seconda (lingua non materna appresa nel paese
d’origine dei parlanti madrelingua; es. imparare l’inglese in Inghilterra) e l’apprendimento di una lingua
straniera (lingua non materna appresa nel proprio paese; es. imparare l’inglese in Italia).
L’apprendimento della lingua materna è un processo primario per due fondamentali ragioni:
innanzitutto è temporalmente il primo ad avere luogo ed è anche il più importante.
Il bagaglio genetico del bambino – il meccanismo di acquisizione linguistica – viene attivato tramite
l’interazione con più parlanti capaci. Adulti che però, modulano i propri comportamenti verbali in modo
da renderli accessibili. Ciò non significa che si esprimono in maniera deviante dalla norma come accade
con la foreigner talk, cioè la lingua semplice per parlare con stranieri. Gli adulti cercano di creare
collegamenti tra lingua e azione, spesso aumentano il tono di voce, articolano più chiaramente, parlano
più lentamente, utilizzano frasi brevi e un vocabolario più ristretto, ecc.
Esiste una notevole varietà di situazioni di apprendimento di una L2 che possono essere influenzate da
diversi motivi: (W. Klein)
1. Scopo o motivazione per cui l’apprendente impara la lingua → motivazione intrinseca (si
apprende per il puro fine di acquisire elementi nuovi) – estrinseca (si apprende per fini accessori
rispetto all’apprendimento stesso: premi, riconoscimenti, candidature per posizioni lavorative,
ecc.) ovvero strumentale (apprendimento finalizzato al raggiungimento di un solo specifico
obiettivo) – integrativa (apprendimento finalizzato a scopi sociali di integrazione, interazione e
cooperazione);
2. Le capacità linguistiche, cioè la sua predisposizione all’apprendimento (personalità) e le
conoscenze linguistiche possedute dall’apprendente;
3. Il tipo di accesso alla lingua → distinto da un lato il tipo di input con cui il discente viene a
contatto e dall’altro le occasioni di comunicazione.
4. Età dell’apprendente.
Tutti questi fattori determinano i modi in cui avverrà il processo di apprendimento, ovvero:
Per quanto concerne l’intervento pedagogico, questi fattori sono difficili, alcuni impossibili da
influenzare e modificare: il tempo di apprendimento, il risultato finale, la motivazione o le capacità
individuali non possono essere cambiati in alcun modo. Sono però modificabili la quantità e la qualità
dell’input e le occasioni di accesso alla comunicazione.
*input = insieme di materiale linguistico che circonda l’apprendente e tutto ciò che quest’ultimo
incontra per iscritto nella lingua straniera*
Precedentemente abbiamo detto che il linguaggio “bambinesco” svolge un ruolo importante nello
sviluppo del linguaggio infantile. Le ricerche hanno indicato che un input modificato assume un ruolo
ancor più fondamentale nell’apprendimento di una lingua non materna. Nel linguaggio modificato che
un nativo (N) usa quando comunica con un non nativo (NN) si distinguono due tipologie:
1) LINGUAGGIO SEMPLIFATO;
1.2.2 L’input modificato del N quando comunica con il NN al fine di rendere più facile la comprensione
Esiste un tipo di linguaggio usato dai N che è ben formato e grammaticalmente corretto, con delle
caratteristiche molto simili a quelle del linguaggio usato dagli adulti per parlare con i bambini (es.
domanda e risposta oppure domande di tipo polare → domande che devono essere confermate o
rifiutate dall’interlocutore).
Quando un N comunica con un NN è in grado di modificare sia i dati di entrata (cioè come usa la lingua)
che i dati di uscita (cioè le sue reazioni alla produzione linguistica del NN). Secondo Auer:
Usare un ritmo lento, non usare espressioni Chiedere la correzione, appellarsi all’autorità
dialettali, ripetere le frasi, semplificare il (come si dice?), richiedere informazioni
linguaggio ma non sgrammaticarlo linguistiche
L’apprendimento della L2 è simile a quello della L1. C’è da dire che l’apprendente di L2 deve imparare
nuove parole, ma relativamente pochi concetti (non deve imparare il concetto di “domanda” o di tempo
verbale”). Il possesso della L1 fa da battistrada all’apprendimento di una qualsiasi L2.
1.3.2 Aspetti di differenziazione tra l’apprendimento della L1 e di una L2
Secondo Skinner (uno dei principali esponenti della teoria comportamentista) il processo di
apprendimento della L1 deriva dalla formazione di abitudini e dalla ripetuta associazione di catene di
stimoli e risposte. Allo stesso modo, il processo di apprendimento della L2 consiste nella formazione di
nuove abitudini, che riescano a vincere l’influsso di quelle legate alla L1 (ed è raggiungibile tramite
l’imitazione, la memorizzazione ed una pratica della L2 di tipo meccanico). Partendo dall’idea che gli
individui tendono ad applicare alla lingua straniera forme e significati della L1, si procede confrontando
in modo sistematico la L1 dell’apprendente con la lingua oggetto di studio, ricercando similarità e
differenze (analisi contrastiva). Conoscendo a priori le difficoltà che l’apprendente incontrerà, si potrà
evitare la formazione di abitudini non corrette (cioè gli errori). Tale teoria è stata quella prevalente fino
alla metà degli anni 50 del secolo scorso.
In questo modo, l’errore non viene più attribuito alle differenze tra L1 e L2, bensì al processo di
apprendimento linguistico: se è vero ciò che sostiene l’analisi contrastiva, la L2 deve essere
necessariamente confrontata con tutti i nuovi elementi cui è esposto l’apprendente e non soltanto con
gli errori che commette. Quindi, oggetto di studio diventa tutta la sua interlingua o il suo sistema
approssimativo, un sistema instabile che l’apprendente di una lingua non materna costruisce dai dati di
L2 che gli vengono forniti. L’interlingua si pone in un continuum tra la L1 e la L2 e cambia continuamente
nel tempo in base ai nuovi dati con cui il discente viene a contatto. Alla fine di questo continuum, vi è la
fossilizzazione da parte dell’apprendente, ovvero non c’è più cambiamento o miglioramento nelle
conoscenze linguistiche dell’apprendente.
L’ipotesi dell’identità è un’ipotesi di tipo innatista. Essa considera l’apprendimento spontaneo di una L2
fondamentalmente uguale a quello della L1, ovvero come una sorte di replica di quest’ultimo, che
avviene tramite processi autonomi ed universali. Essa postula inoltre due caratteristiche fondamentali
per il processo di apprendimento della L2:
Tra le teorie innatiste relative all’apprendimento di una L2, la più completa è stata la teoria del monitor
elaborata negli anni 70-80 da Krashen. Il suo modello si articola in 5 ipotesi (o tesi):
La teoria del monitor ha dato luogo al cosiddetto approccio naturale, elaborato da Krashen e Terrel:
1. La focalizzazione dell’insegnamento deve essere sul significato e non sulla forma;
2. Non ci deve essere alcun tipo di gradazione strutturale dei materiali didattici;
3. Nella classe deve instaurarsi un clima rilassato e piacevole.
Dagli anni 70 si assiste alle varie ipotesi riguardo gli stadi dell’interlingua. Queste postulano l’esistenza di
sequenze universali per tutti gli apprendenti di una stessa L2, che non sono influenzate da età, L1, sesso,
competenze linguistiche pregresse, ecc. Quando l’apprendente è alle prime armi con una L2, adotta
strategie di tipo sociale e cognitivo: cerca di raggiungere il miglior risultato possibile mentre mette in
atto la L2, ma con il minor sforzo cognitivo possibile.
Il Modello multidimensionale costituisce l’elaborazione di un’indagine compiuta tra la fine degli anni 70-
80 del secolo scorso sull’apprendimento del tedesco da parte di lavorati italiani e spagnoli emigrati in
Germania: Il modello postula le seguenti ipotesi:
Il ruolo dell’interazione nello sviluppo dell’interlingua non sempre è positivo per il discente, perché lo
aiuta nella produzione comunicativa ma non necessariamente ad acquisire componenti linguistiche della
L2.
La comunicazione in una L2 permette la capacità di stabilire relazioni tra la propria cultura e quella della
lingua oggetto di studio. Qualsiasi sia lo scopo dell’apprendimento linguistico, le dimensioni culturali e
sociali costituiscono una parte essenziale.
La teoria socioculturale distingue l’aula tradizionale dall’ambiente di apprendimento. I docenti devono
abbandonare la concezione di scuola vista esclusivamente come luogo di trasmissione delle
conoscenze, sostituendola o abbinandola con quella di scuola come ambiente di apprendimento. Il
discente dovrebbe lavorare in gruppi collaborativi, che favoriscono gli scambi e le interazioni. In questo
modo l’apprendimento viene stimolato.
1) “non si può non comunicare” → ogni azione linguistica e non linguistica, è una forma di
comunicazione in quanto trasmette messaggi;
2) Ogni comunicazione è caratterizzata da un aspetto contenutistico e uno relazionale → ad ogni
trasmissione di informazione si sovrappone una valutazione personale di questa;
3) La natura di un rapporto interattivo è definita dal defluire comunicativo tra i partner → la lingua
sia comunicativa e dimostrativa del rapporto tra essi;
4) La comunicazione umana si serve di una modalità digitale (sintassi logica complessa, semantica
inadeguata) e di una modalità analogica (sintassi logica inadeguata, semantica adeguata);
5) Distinzione tra scambi comunicativi simmetrici (rapporto paritetico → amici, compagni di
classe, colleghi di lavoro) e complementari (rapporto non paritetico → medico e paziente,
insegnante e studente).
La forza pragmatica degli enunciati è una funzione del contesto di produzione e di ricezione
dell’enunciato stesso. La situazione sociale comprende il setting, ovvero l’ambientazione transazionale e
l’attività che vi si svolge, e le relazioni interpersonali esistenti tra gli interlocutori. Quindi abbiamo:
Parlare e scrivere sono due attività che differiscono per via di molte caratteristiche distinte, e non
soltanto per quanto concerne il materiale espressivo. Il parlato, e si parla di quello informale, fa uso di
enunciati più semplici e brevi, si concentra sull’aspetto prosodico della lingua (intonazione, ritmo,
accento del linguaggio, ecc.) e non tanto sulla grammatica. Sotto questo punto di vista, lo scritto
sarebbe più “complesso” in quanto non può far uso di tutti questi elementi, più importante di tutti il
feedback dell’interlocutore. Nel parlato formale, invece, prevale la funzione trasversale (parlato
monologico) piuttosto che la funzione interazionale (parlato dialogico). Per quanto riguarda le difficoltà
che un NN può riscontrare durante una conversazione con un N, prevalgono le difficoltà di tipo
fonologico, lessicale e sintattico, ma anche nella conduzione dell’interazione (come aprire o chiudere
una conversazione, quando e come prendere il turno, come cambiare argomento) e nella negoziazione
del significato (che cosa dire, a chi, quando, come dirlo).
Capire consiste in un processo che fa affidamento su una serie di conoscenze ed informazioni già in
possesso dell’ascoltatore o del lettore, distinte in due macrocategorie:
Ciò che rende diverso, e spesso difficile, il processo di comprensione di una L2 è l’insufficienza, o la
diversità, di conoscenze necessarie a compiere appropriate previsioni, inferenze, deduzioni.
Una forma particolare di “integrazione” di abilità primarie riguarda il linguaggio dei nuovi media. Le
caratteristiche della scrittura vanno riviste per parlare di scrittura digitale, infatti vediamo la presenza di
molti fenomeni dell’oralità.
Gli approcci metodologici cambiano nel tempo per due ordini di motivi:
- Progressivo cambiamento della popolazione scolastica nella scuola, soprattutto a causa degli
stranieri;
- Rinnovamento del nostro sistema scolastico e universitario, per adeguarli agli standard europei.
Dal secondo dopoguerra si sono susseguite tre tappe nella didattica delle lingue straniere.
Nella prima tappa ci si concentra sui contenuti di insegnamento, intesi come quegli elementi strutturali
e lessicali che possiamo definire “di base”. La scelta di questi è basata su criteri di frequenza di
occorrenza. Tali elementi compongono la competenza linguistica.
La seconda tappa si focalizza sugli aspetti grammaticali di una L2, ma li considera come micro funzioni
che insieme servono allo sviluppo della competenza comunicativa, che ci permette di comunicare con un
N della lingua oggetto di studio. La competenza comunicativa è composta da:
L’insegnamento comunicativo nasce dalla convinzione che sia necessario rendere i discenti capaci non
solo di usare la L2 correttamente dal punto di vista formale e grammaticale, ma anche in modo
appropriato alle diverse situazioni comunicative. Si divide in due versioni: FORTE, che sostiene
l’esclusione della pratica formale controllata, a favore di attività identiche a quelle che l’apprendente
incontrerà fuori dall’ambiente scolastico; e DEBOLE, il quale sostiene che sia necessario sviluppare sia
l’uso linguistico con scopi comunicativi e sia la riflessione metalinguistica.
Con il nuovo orientamento centrato sul discente, si riconosce la necessità di individualizzare gli scopi di
apprendimento e, conseguente, l’insegnamento. L’affermarsi di un orientamento che pone il discente al
centro del processo di insegnamento/apprendimento non può più prevedere una sequenza rigida come
nei modelli tradizionali.
5.5.1 Sviluppo della competenza di azione tramite l’adozione di una didattica ecologica
A partire dagli anni Novanta si sono delineate alcune nuove tendenze, una di queste è il cosiddetto
“insegnamento orientato all’azione”, una pedagogia che si prefigge lo sviluppo di capacità necessarie
alla conduzione di uno stile di vita socialmente responsabile, partecipativo, volto alla società piuttosto
che al proprio individualismo. La competenza di azione è un concetto più ampio e più concreto di
competenza di comunicazione. Allievi e insegnanti sono dei partner che comunicano in un contesto
personale e sociale che si prefiggono scopi comuni e di tipo concreto. Parliamo di una didattica
ecologica, che prende in considerazione l’allievo come individuo completo proponendogli dei contenuti
per lui rilevanti; ed è una didattica flessibile.
Riconducibile a ciò è il modello di interazione centrata sui temi, che ha come scopo quello di eliminare la
dicotomia tra individualismo e collettivismo in ogni gruppo sociale (anche nel gruppo classe). Il
“gruppo” è composto da: a. l’“io”; b. l’interazione tra i componenti, il “noi”; c. il contenuto, il “tema”;
d. l’ambiente che circonda il singolo e il gruppo.
Sono elementi che vanno mantenute in un equilibrio dinamico. Le sue finalità educative sono:
1) totalità dell’esperienza educativa; 2) allargamento dell’esperienza; 3) sviluppo della dimensione
affettivo-emotiva.
Per i glottodidatti è molto importante la psicologia; che si traduce in attenzione alla figura
dell’apprendente. L’approccio psicologico a cui si è guardato è la psicologia umanista sviluppatasi negli
USA negli anni ’60 del secolo scorso. Il punto centrale del nuovo movimento è la concezione ottimistica
della natura, vista come costruttivista e fiduciosa (personal growth).
La pedagogia non direttiva si basa sulla psicologia umanistica, anche se poi segue uno sviluppo
autonomo. La pedagogia non direttiva si oppone alla pedagogia trasmissiva, in quanto pone al centro
del processo educativo l’apprendente con i suoi bisogni ed interessi, e non l’insegnante. Questi non
deve più “insegnare”, bensì facilitare l’apprendimento autonomo del discente.
La centralità del discente nel processo di insegnamento/apprendimento linguistico deriva dal poco
tempo a disposizione di cui dispongono in classe gli insegnanti. Per questo motivo si deve promuovere
lo sviluppo di quelle capacità che sono produttive in termini di rendimento. Per rendere autonomo il
discente: 1) identificare il suo modo preferito di apprendere; 2) sviluppare strategie di apprendimento
efficaci; 3) adottare obiettivi perseguibili; 4) sviluppare attività di autovalutazione.
Secondo la Comunità Europea, ogni cittadino europeo dovrebbe conoscere almeno tre lingue europee;
è dunque necessario passare ad una didattica plurilingue. Per realizzare l’obiettivo di un’educazione
plurilingue si propongono programmi di studio che comprendono:
6.1 Nella didattica di lingue straniere ha un ruolo importante l’insegnamento della cultura non materna,
necessaria per comprendere il contesto socio-culturale in cui la L2 viene usata dai parlanti nativi. La
civiltà di una società è il bene collettivo che si costituisce nel tempo e che si ripercuote sugli aspetti
culturali presenti nella lingua. la cultura, invece, è il legame tra la lingua e gli aspetti socioculturali che
essa esprime.
6.2 Nella classe di lingua straniera, l’insegnamento della cultura può realizzarsi o integrando
informazioni culturali o promuovendo periodi di permanenza nel paese di cui si studia la lingua.
Considerando la lingua come ‘prodotto’, essa può essere suddivisa in:
In tale prospettiva, quindi, agli apprendenti vengono proposti aspetti del “particolare patrimonio
collettivo di un gruppo umano”.
6.3 La cultura viene intesa anche come “processo” attraverso cui si manifestano sistemi di conoscenza
ed atteggiamenti. Il discorso culturale viene posto ora al centro dell’insegnamento, poiché esprime
concretamente il rapporto tra lingua e cultura in quanto crea, ricrea, modifica e trasmette la cultura, il
linguaggio e la relazione tra i due. Il ‘sapere culturale’ è infatti proprio un insieme di regole per
comprendere, prevedere e produrre comportamenti, anche comunicativi, socialmente e culturalmente
adeguati. La competenza culturale, dunque, non può essere costituita solo da un sapere fattuale
(informazioni), ma deve consistere anche in un sapere procedurale, ossia nella conoscenza di come
comportarsi nella nuova cultura.
6.3.1 La prospettiva interazionista del concetto di cultura si basa sulla nozione di competenza
comunicativa introdotta da Hymes. Tale nozioni costituisce innanzitutto una critica alla nozione
chomskiana di competenza linguistica, che focalizza l’attenzione sugli aspetti grammaticali di una
lingua. Hymes sosteneva che per comprendere i fenomeni di apprendimento della L1, il concetto
chomskiano di competenza grammaticale non è sufficiente: a questo è necessario aggiungere la nozione
di competenza sociolinguistica, in quanto la scelta di come realizzare linguisticamente gli atti
comunicativi dipende direttamente dagli aspetti socioculturali in cui la comunicazione ha luogo. Il
concetto di competenza comunicativa, benché elaborato da Hymes per descrivere l’acquisizione della
lingua materna e la comunicazione tra parlanti nativi, è stata fondamentale per lo sviluppo
dell’insegnamento di L2.
6.4.1 La competenza sociolinguistica della comunicazione fa parte della pedagogia e della didattica delle
L2, mentre la competenza socioculturale viene per lo più trascurata. Questi due tipi di contesto sono
considerati due facce della stessa medaglia, perché il rapporto tra realizzazione linguistica e formazioni
socioculturali e sociolinguistiche è sempre mediato dalla lingua.
6.5 L’educazione interculturale nasce in Europa negli anni Ottanta come reazione all’incremento dei
flussi migratori. Ciononostante, i sistemi educativi europei continuano ad adottare una logica
monolinguistica e monoculturale, limitando l’educazione interculturale, ad esempio, a progetti di
scambio tra allievi. Oggigiorno, il concetto di educazione interculturale tende a definirsi come
“educazione alla diversità”.
6.6 L’insegnamento di una L2 oltre a porsi l’obiettivo pratico di sviluppare una competenza
comunicativa e culturale, si pone l’obiettivo pratico di sviluppare una competenza comunicativa e
culturale, promuovendo l’incontro tra le differenze, sviluppando un senso di empatia verso l’altro. È
necessaria quindi la competenza comunicativa interculturale, che si articola in:
6.6.1 Nella società multietniche come quelle in cui viviamo, la competenza interculturale va intesa come
la capacità di tollerare ambiguità e differenze. Per raggiungere consapevolezza culturale critica è
necessario il semplice contatto con appartenenti a culture diverse dalla propria. Tornando alla pratica
della discussione e del dibattito in classe, essi si fonderanno sulla comparazione tra aspetti di culture
diverse. Il che fa da presupposto alla capacità di mettersi nei panni dell’altro, di prendere in
considerazione prospettive diverse dalla propria, di assumere altri punti di vista.
L’utilizzo dei nuovi media sta cambiando il nostro modo di pensare, di comunicare, di apprendere e di
lavorare. Stiamo vivendo un cambiamento culturale molto ampio che riguarda anche e soprattutto il
campo dell’educazione, attraverso l’uso delle cosiddette tecnologie didattiche.
7.1 La CMC (Comunicazione Mediata dal Computer) è un ambiente diverso da quello in presenza.
Innanzitutto, mentre la comunicazione che ha luogo faccia a faccia, ad esempio nelle aule scolastiche, è
sempre in modalità sincrona (implica cioè la compresenza spaziale e temporale degli interlocutori), la
comunicazione online può avvenire anche in modalità asincrona. In secondo luogo nell’ambiente in rete
si comunica attraverso la “lingua scritta”, che può dar luogo a difficoltà di comprensione dato che non
può avvalersi di elementi contestuali ed extra-linguistici come sguardi, gesti, ecc.
7.2 Oggigiorno la risorsa didattica maggiormente usata in classe è costituita dai libri di testo, quasi
sempre integrati da materiale multimediale come CD-ROM o DVD. Tuttavia, molti insegnanti tentano di
utilizzare i nuovi supporti, che sarebbero più ricchi e variegati, in aggiunta a quelli autentici come
giornali o cartine geografiche. Solo adattandosi culturalmente alle nuove condizioni del loro lavoro, gli
insegnanti potranno ridurre la distanza digitale che li separa dai loro studenti.
7.2.1 Il Consiglio Europeo incita ad adottare le nuove tecnologie, ma mette in guardia sui rischi di
passività, meccanizzazione, frammentazione, e anche manipolazione, cui l’uso non intelligente di questi
strumenti può portare. Trattandosi di materiali non mirati, richiedono che lo studente sia “formato” ad
usarle in modo intelligente. Un secondo rischio nell’utilizzo delle nuove tecnologie è quello di porre in
esse un’eccessiva fiducia.
7.3 Quanto alle modalità di apprendimento, bisogna sapere che la costruzione dei saperi può avvenire
anche al di fuori delle aule scolastiche e in modo spontaneo, e se ne distinguono due tipi:
7.3.1 Le potenzialità delle nuove tecnologie sono enormi, ma affinché esse possano essere utilizzate
nell’insegnamento, studenti e insegnanti necessita di una formazione adeguata. Secondo esperti di
tecnologie dell’educazione, le abilità profonde per costruire in modo dinamico il proprio sapere sono:
7.4.1 Le attività che si possono condurre per via telematica possono essere divise in due categorie:
7.4.2 Gli usi educativi della telematica nell’educazione si possono distinguere in usi nella didattica, quindi
come strumento di supporto allo studio, e in usi per la didattica, utilizzata per realizzare moduli online
su specifici argomento o interi programmi.
7.5 L’apprendimento cooperativo prevede l’attività di piccoli gruppi di studenti per svolgere specifici
compiti pedagogici, mentre gli insegnanti assumono il ruolo di facilitatori. Le sue caratteristiche sono:
7.6 Saper usare efficacemente gli strumenti telematici nella didattica o nella formazione a distanza
prevede: a) conoscenze e competenze di carattere strumentale e b) conoscenze e competenze di
carattere pedagogico-didattico e psicologico-relazionale.
- Consapevolezza di vantaggi\svantaggi;
- Dinamiche relazionali che la CMC mette in essere all’interno dei gruppi di lavoro;
- Creare un ambiente di apprendimento vivace e affettivo;
- Saper organizzare le attività collaborative.
7.7 Sia il Consiglio Europeo che il Parlamento Europeo considerano la competenza digitale una delle
competenze chiave del lifelong learning in ogni settore professionale. Essa è costituita da tre dimensioni:
8.1 Con il termine curricolo si intendono tutti gli aspetti relativi alla programmazione, messa a punto,
verifica e valutazione del programma linguistico. Più nello specifico un curricolo comprende:
a) Una pianificazione iniziale che include l’analisi dei bisogni del discente;
b) La definizione degli obiettivi del corso;
c) La selezione e la sequenziazione dei contenuti di insegnamento (sillabo);
d) La scelta dei materiali didattici e delle attività da svolgere in classe;
e) La gestione della classe;
f) Le modalità di controllo, verifica e valutazione delle conosce e capacità acquisite.
Tradizionalmente, l’attività curricolare è intesa come percorso lineare, ma oggigiorno viene spesso
sostituita da un modello ciclico, in cui la verifica e la valutazione non costituiscono uno stadio finale
bensì un indispensabile momento di presa di coscienza dei risultati ottenuti.
Una distinzione collegate alle tappe dell’attività curricolare è quella tra: curricolo pianificato, curricolo
attuato e curricolo valutato.
8.2 Il termine sillabo si riferisce alla parte dell’attività curricolare riguardante specificatamente i
contenuti d’insegnamento. I sillabi si dividono in:
La scelta di un tipo di sillabo piuttosto che un altro, o l’uso integrato di più tipologie, dipende
essenzialmente dalle caratteristiche degli apprendenti a cui è destinato, cioè principalmente dai loro
bisogni, dai loro stili cognitivi e dalle risorse.
8.3.1 Fin dagli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, il Libro Bianco della Commissione Europea
sottolineava l’importanza di individuare competenze chiave di cui tutti hanno bisogno nella vita
quotidiana, e la necessità di creare “strumenti utili per acquisirle, valutarle, certificarle”. Le
caratteristiche fondamentali di competenza sono:
- L’organizzazione;
- L’articolazione;
- La contestualizzazione;
- La flessibilità.
8.4 Il punto di partenza per la costruzione di un curricolo centrato sul discente è un’analisi dei suoi
bisogni comunicativi e delle sue caratteristiche di apprendente. Tale analisi conterrà dunque dati
biografici, esplicitazione di esperienze pregresse di apprendimento linguistico, specificazioni relative al
suo stile, o modalità, di apprendimento, alle sue preferenze quanto ad attività di studio, alle sue
aspettative sui risultati del corso: una sorta di portfolio linguistico.
Un secondo aspetto del processo curricolare centrato sul discente è quello relativo alla formazione dei
gruppi classe. I parametri di omogeneità usati per la formazione dei gruppi possono essere i più svariati:
possono riguardare il livello educativo di base degli allievi, il livello di conoscenza della lingua oggetto di
studio, l’età, il sesso, gli interessi di studio, e così via.
8.4.1 Vediamo adesso gli aspetti che riguardo come piuttosto che cosa insegnare in un curricolo centrato
sul discente; infatti, anche i procedimenti didattici, e non solamente i contenuti del corso, devono essere
negoziati con gli apprendenti. È necessario, dunque, insegnare agli allievi a diventare migliori
apprendenti in modo che possano compiere scelte più motivate e ragionate.
8.4.2 Il problema della valutazione curricolare non deve costituire esclusivamente l’ultima fase del
percorso di insegnamento, bensì un momento ricorrente che permette, da un lato, di controllare se gli
allievi hanno raggiunto gli obiettivi prefissati, dall’altro, dà modo di decidere se un programma di studio,
o alcuni suoi aspetti, devono essere in qualche modo modificati in corso d’opera.
12.1 Una prima distinzione da operare parlando di prove di verifica riguarda la misura di valutazione: le
prove possono focalizzarsi su un elemento o un livello linguistico alla volta, servendo così ad accertare il
processo di conoscenze o competenze isolate (prove fattoriali o discreti), oppure possono essere di tipo
più globale e verificare al tempo stesso più di un elemento o livello linguistico (prove integrate).
12.1.1 Il test fattoriale ha come criteri definitori la validità e l’affidabilità. Un test è valido se verifica
effettivamente ciò per cui è stato approntato, è affidabile se fornisce risultati eguali ogni qualvolta viene
somministrato e a prescindere da chi lo somministra. Si richiede inoltre che i test siano oggettivi e che
permettano di ottenere risultati quantificabili. Un test è oggettivo se prevede un’unica risposta
accettabile per ciascun quesito, è quantificabile se permette la comparabilità dei risultati. Le tecniche
usate sono solitamente la scelta multipla, il vero\falso, il riempire gli spazi vuoti. I test discreti sono di
facile preparazione, somministrazione e correzione.
12.1.2 I test integrati fanno uso di contesti discorsivi piuttosto che di singoli enunciati o frasi isolate. Un
tipico esempio è il cloze, in cui in un testo si lascia uno spazio vuoto da riempire ogni certo numero di
parole, oppure il dettato, il riassunto, gli elaborati su argomenti specifici, la lettura di testi con verifica
scritta della comprensione.
12.1.3 I test pragmatici verificano la capacità di interagire nella L2 e devono possedere le seguenti
caratteristiche:
1. Sono sempre integrati, nel senso che riconducono le sottocompetenze al loro contesto
pragmatico globale;
2. Richiedono agli studenti un agire linguistico, vale a dire l’impiego di mezzi linguistici per
compiere azioni;
3. Richiedono un impiego di mezzi linguistici determinato dalle circostanze, vale a dire dal
destinatario, dallo scopo dell’interazione, dal contenuto da trasmettere;
4. Richiedono di portare a termine compiti che siano pragmaticamente “naturali” all’esterno della
classe;
5. Richiedono di portare a termine compiti concepiti in modo tale da permettere al discente di
identificarsi nel ruolo che essi prefigurano.
Un esempio che rispetta tutti questi criteri è un test che va somministrato a coppie di studenti fornendo
loro due carte geografiche parziali di una regione. Le informazioni contenute nella carta geografica a
disposizione di uno dei due mancano in quella a disposizione dell’altro studente, e viceversa. I due
studenti devono riuscire a ottenere le informazioni mancanti sulla loro carta geografica ponendo
domande in L2 al compagno. Più i test sono naturali da un punto di vista pragmatico, più lo studente
viene lasciato libero di prendere l’iniziativa. Test di questo genere, tuttavia, sono difficili da preparare,
somministrare e valutare.
12.2 Come abbiamo visto, il concetto di competenza comunicativa elaborato da Hymes è stato
sottocategorizzato dai glottodidatti in tre componenti: competenza linguistica, sociolinguistica e
strategica.
12.2.1 La sottocompetenza linguistica può essere valutata in modo parziale o integrato a seconda della
misura valutativa adottata; a seconda, cioè, che vengano isolati punti specifici della grammatica o,
invece, che si verifichi la capacità più globale del discente di esprimersi correttamente nella L2.
12.3.1 Esempio di verifica delle abilità di comprensione orale e scritta può essere l’ascolto o la lettura di
brevi testi orali o scritti allo scopo di capire l’informazione principale. Quanto alle tecniche di verifica, si
possono proporre dei questionari con risposte vero\falso, risposte a scelta multipla, completamento di
tabelle durante o dopo la lettura.
12.4.1 Un compito dell’insegnate è quello di aiutare i suoi allievi a diventare autonomi, cioè a sviluppare
consapevolezza del loro ruolo di apprendenti. Per diventare autonomi ed essere capaci di
autovalutazione, gli studenti hanno bisogno di un adeguato sostegno e preparazione.
12.5 Il criterio essenziale per abituare lo studente ad autovalutarsi è quello della trasparenza delle prove.
Il che comporta: la comprensibilità delle consegne, la familiarità con le tecniche adatte, l’esplicazione die
criteri di giudizio, la discussione dei risultati ottenuti. Inoltre, lo studente va aiutato a divenire
consapevole dei suoi bisogni comunicativi, delle sue abitudini e preferenze quanto alle attività di studio,
del suo stile di apprendimento, delle sue modalità di studio preferite: va aiutato ad imparare ad
imparare e dunque, anche ad autovalutarsi.