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MANUALE DI GLOTTODIDATTICA

La didattica delle lingue moderne è lo studio dell’insegnamento/apprendimento di L2.


L’oggetto di studio è il linguaggio e la lingua; in inglese a differenza dell’italiano non c’è distinzione tra i
due.
Il linguaggio è un insieme di codici e non è proprio del genere umano, mentre la lingua è il codice verbale
utilizzato dall’uomo.
L’apprendimento di una seconda lingua oggi è parte integrante della formazione degli individui ed
è di importanza sociale ed educativa, soprattutto come risposta delle istituzioni al fenomeno
dell’immigrazione.
Da circa dieci anni la scuola ha dovuto riformulare l’offerta formativa per far fronte ad una
società multiculturale e plurilingue, dando la possibilità di apprendere lingue straniere a coloro che
parlano l’italiano e, viceversa, la possibilità di apprendere l’italiano a coloro che nel nostro paese parlano
lingue straniere.
Una politica culturale e educativa adeguata deve rispondere alle esigenze di una società
plurilingue, promuovendo nei parlanti una migliore competenza nella lingua straniera.

CAP.I
L’APPRENDIMENTO DI UNA PRIMA LINGUA E DI UNA SECONDA LINGUA
Apprendimento e insegnamento
Fino a dieci anni fa si pensava che l’insegnamento condizionasse l’apprendimento e quindi fosse prioritario
ad esso. Ma negli ultimi venti anni ci si è resi conto che l’iniziativa spetta a chi apprende e
quindi l’insegnamento si deve adattare alle sue esigenze e ai suoi ritmi di apprendimento. La data simbolica
per l’Italia è il 1975, quando De Mauro ed altri formularono le 10 Tesi sull’educazione linguistica
democratica, manifesto fondativo dei Gruppi di intervento e di studio nel campo dell’educazione
linguistica ( GISCEL ); quindi l’apprendimento e l’insegnamento non sono più visti come fenomeni
distinti, ma come due fenomeni interagenti e calibranti sui discenti (studenti). L’insegnamento di
conseguenza prenderà inconsiderazione i livelli di apprendimento e in base a questi formulerà gli
obiettivi e i metodi di sviluppi ulteriori. Si capisce come il lavoro dell’insegnante diventa più complesso in
questo nuovo quadro.
L’apprendimento di una lingua materna
Il linguaggio è un tratto caratteristico della specie umana per cui il bambino acquisisce la lingua materna in
modo naturale, secondo un percorso di sviluppo che gli consentirà poi di comprendere e produrre la lingua
a cui è esposto. Tuttavia lo sviluppo del linguaggio avviene nel periodo in cui persiste la plasticità
neuronale e ancora non si è concluso lo sviluppo della lateralizzazione, evento che si presenta intorno alla
pubertà.
I bambini sono partecipanti attivi e creativi nel processo di acquisizione della lingua materna e l’abilità di
generare un numero illimitato di frasi dotato di significato non deriva da semplice addestramento. Inoltre
i genitori non sono l’unico modello di apprendimento del linguaggio, difatti anche il gruppo dei pari
produce tale apprendimento. Ci sono diverse teorie che ci spiegano come avviene l’acquisizione del
linguaggio.

L’ipotesi comportamentista
Questa ipotesi parte dall’assunto che l’apprendimento del linguaggio sia una questione di imitazione
e formazione di abitudini. Tale assunto risale a Skinner secondo il quale il bambino impara mettendo in
atto certi comportamenti, le abitudini, attraverso l’imitazione e il rinforzo. Questa spiegazione però non ci
dà un quadro della complessità linguistica dell’adulto perché il focus è incentrato sulla pronuncia e
sull’uso iniziale delle parole e non sull’acquisizione della grammatica.
Skinner per spiegare l’acquisizione della sintassi elabora e sviluppa la nozione di stimolo-risposta-rinforzo e
di associazione; in questo modo la struttura della frase consiste di associazioni tra le parole della frase.
Per i comportamentisti i bambini hanno un ruolo passivo nel processo di apprendimento. Nelle primissime
fasi dell’acquisizione linguistica l’imitazione e la pratica sono principi primari dello sviluppo del linguaggio.
L’imitazione è l’espressione più vicina a quella dell’adulto (ad esempio madre: Simone va a dormire;
Simone: dommie va). Le imitazioni non sono casuali e non durano a lungo. Quando determinate strutture
diventano stabili, il bambino cessa di imitarle e si concentra su altre; sembrerebbe che il bambino selezioni
gli elementi da imitare e ciò che imita si basa su ciò che già conosce piuttosto che su quello
disponibile nell’ambiente.
La pratica invece è una sorta di manipolazione della forma sulla base di primissime generalizzazioni
di regole (ad esempio Simone: vengo io? Venghi tu? Matti venghi? ).
Interessante è anche il ruolo delle routine che contraddistinguono l’interazione con il bambino, difatti
nell’acquisizione di una prima e di una seconda lingua, tale termine è riferito alle interazioni che
avvengono tra il bambino e la madre. Con le routine il bambino partecipa attivamente all’ interazione e
acquisisce la parola richiesta; inoltre esse fanno da sostegno allo sviluppo comunicativo.
L’ipotesi comportamentista però non è sufficiente a spiegare gli aspetti più complessi della struttura del
linguaggio, infatti il limite di Skinner è stato quello di dare un peso quasi esclusivo alle influenze ambientali
sul bambino rispetto alla componente cognitiva.
L’apprendimento comportamentista non considera l’aspetto creativo del linguaggio e spiega solo come i
bambini imparano alcuni aspetti regolari e routinari del linguaggio. Inoltre l’assunto comportamentista
parte dalla considerazione che apprendere una L2 significa superare le abitudini legate alla lingua materna;
ma non si apprende per abitudini altrimenti non si spiegherebbe la creatività linguistica.

L’ipotesi innatista
Questa ipotesi si contrappone a quella comportamentista. Il suo maggiore esponente è Chomsky il quale
ritiene che l’apprendimento del linguaggio non può essere ridotto alla semplice acquisizione di abitudini
linguistiche in quanto da sole non spiegano la creatività del linguaggio umano.
Secondo Chomsky l’apprendimento linguistico è determinato da un patrimonio innato; in pratica gli esseri
umani sono programmati biologicamente al linguaggio in quanto esso è una facoltà innata dell’uomo. Egli
sostiene che esiste un set di principi innati comuni a tutti gli individui e a tutte le lingue, presenti in una
Grammatica Universale; questa è parte della mente umana e permette al bambino di costruire la propria
grammatica. La GU è formata da una serie di principi comuni a tutte le lingue e il bambino non deve fare
altro che apprendere il modo in cui la propria lingua utilizza questi principi.
Nell’area della sintassi un esempio di principio acquisizionale oltre che strutturale del linguaggio è
il principio della dipendenza della struttura, secondo cui è necessario operare un’analisi strutturale della
frase per applicarlo e per Chomsky il bambino possiede tale principio. Però l’idea che tutto sia
innato dall’inizio, non rende conto di ciò che avviene nel percorso di sviluppo e delle ipotesi intermedie
che il bambino formula sulla lingua che sta apprendendo. Ciò conduce all’ipotesi costruttivista.

L’ipotesi costruttivista
Questa ipotesi si focalizza sul ruolo dell’ambiente linguistico e sulla interazione con le predisposizioni
innate del bambino nel determinare lo sviluppo delle capacità linguistiche. Le strutture del linguaggio
infantile non provengono né dal patrimonio genetico, né dalle strutture della lingua adulta, ma dipendono
dalla struttura delle abilità cognitive e socio-cognitive del bambino.
Attraverso alcuni studi si sono acquisiti nuovi dati relativi agli effetti che l’input ha sul processo di
apprendimento; l’input è l’esperienza che il bambino fa della lingua. I meri dati linguistici, a differenza di
come sosteneva Chomsky, non sono poveri e sgrammaticati, infatti i genitori quando ripetono le
frasi pronunciate dai bambini, lo fanno in modo grammaticalmente corretto. Nell’interazione tra
madre e bambino il linguaggio viene adattato al livello di comprensione del bambino e tale adattamento
varia in funzione dell’età, del comportamento e della interazione.
Nel linguaggio rivolto al bambino gli enunciati vengono continuamente ripetuti e l’intonazione, la velocità,
l’ordine delle parole, vengono modificate senza che il linguaggio subisca variazione. L’intonazione è
accentuata ed esagerata, la fonologia è semplice e la combinazione di vocali e consonanti è ben distinta.
Alcuni studi stabiliscono che c’è una relazione tra il primo vocabolario del bambino e l’uso del lessico da
parte della madre, quindi le prime fasi dello sviluppo lessicale si originano poiché il bambino
utilizza particolari parole adoperate negli stessi contesti. Questi studi confermano l’ipotesi secondo cui lo
sviluppo del linguaggio è influenzato dall’esperienza sociale e linguistica del bambino.
L’ipotesi costruttivista indaga sulle differenze che i bambini dimostrano nell’acquisire il linguaggio; i
bambini non apprendono tutti allo stesso modo e seguono percorsi diversi proprio perché hanno
caratteristiche diverse riguardanti la personalità, le strategie educative e la lingua che viene appresa.
Slobin, confrontando lingue diverse, ha formulato dei principi su come il bambino organizza
cognitivamente il linguaggio: un primo principio riguarda il modo in cui i bambini prestano attenzione alla
fine delle parole. Questo principio prevede che i suffissi vengano acquisiti prima dei prefissi, e quindi che le
terminazioni delle parole vengano pronunciate per prime. L’idea portante è che la lingua viene utilizzata
per esprimere le cognizioni del bambino dell’ambiente fisico e sociale, per cui un bambino non
può utilizzare una forma in modo significativo fino a che non è capace di riconoscere cosa significa.
Secondo questo approccio, dunque, l’acquisizione del linguaggio è dovuta ad una interazione continua tra
un’informazione geneticamente specificata e un apprendimento successivo.
Come si vedrà, alcune teorie danno importanza alle caratteristiche innate dell’apprendente, altre al ruolo
dell’ambiente e altre ancora cercano di integrare i due fattori per tentare di rendere conto di come viene
appresa una seconda lingua. Comunque è chiaro che un bambino o un adulto che apprendono una
seconda
lingua sono in una condizione diversa rispetto a un bambino che acquisisce una prima lingua e le differenze
sono legate sia alle caratteristiche personali di chi apprende e sia alle differenti condizioni di
apprendimento.

L’apprendimento di due lingue: L1 e L2


Anche se esistono diverse definizioni del termine bilinguismo in quanto può riguardare sia il bilinguismo
individuale, sia la divisione di una regione in due diversi gruppi linguistici e Harmes e Blanc
chiamano bilingualità il possesso di due lingue nell’individuo e bilinguismo compresenza in una data
comunità di due o più lingue diverse, qui il bilinguismo viene adoperato sia come fenomeno individuale
che collettivo.
Secondo Bloomfield una persona è bilingue se possiede una conoscenza nativa delle due lingue;
per
Macnamara si è bilingue se si possiede una minima competenza in una delle quattro abilità linguistiche -
capire, parlare, leggere, scrivere -.
Ci sono diversi tipi di bilinguismo:
 Bilinguismo precoce, detto anche apprendimento simultaneo di due lingue, anche se
l’apprendimento della seconda lingua avviene con un ritardo di uno o due anni;
 Bilinguismo successivo, quando una seconda lingua viene acquisita dopo i tre anni di età;
 Bilinguismo coordinato, quando le due lingue vengono acquisite in contesti ben distinti,
ciascuna in un determinato luogo con una o più persone;
 Bilinguismo composito, quando c’è una combinazione tra i significati delle parole
corrispondenti alle due lingue. Questo tipo di bilinguismo si può avere, ad esempio, in situazioni in
cui entrambi i genitori parlano con il bambino in ognuna delle due lingue.
Il bilinguismo coordinato e composito non si escludono.
Una distinzione può essere fatta anche per quello che riguarda lo sviluppo cognitivo, pertanto abbiamo:
 Bilinguismo additivo, in cui si valorizzano in modo uguale le due lingue, permettendo
sviluppi sul piano cognitivo;
 Bilinguismo sottrattivo, si riferisce alla perdita di valore della prima lingua in favore
dell’affermarsi dell’altra.
È raro che una persona bilingue padroneggi le due lingue allo stesso modo; essere bilingue in
modo equilibrato significa essere una persona che sa capire, parlare, leggere e scrivere nelle due lingue
con la stessa padronanza, indipendentemente dagli argomenti trattati e dalle situazioni e molte volte
una delle due lingue è dominante almeno in un campo.
Il bilinguismo non è statico, poiché può accadere che chi ha appreso bene una seconda lingua,
può dimenticarla parzialmente o del tutto, ecco perché la condizione di bilinguismo va curata per non
rischiarne la perdita.
Comunque la definizione generale di bilinguismo, inteso in modo individuale e non collettivo, è la
seguente:
 il bilinguismo si ottiene quando una persona è in grado di usare due codici linguistici diversi,
indipendentemente dal grado di conoscenza e della padronanza delle due lingue.
Beardsmore afferma che il bilinguismo è un doppio mezzo di comunicazione efficace tra due o più mondi
che utilizzano due sistemi linguistici e quindi implica la conoscenza di due culture.

Tipi di apprendimento: spontaneo, guidato e misto


I profili dell’apprendente di una seconda lingua sono diversi e gli apprendenti possono trovarsi in
condizioni di apprendimento differenti gli uni rispetto agli altri. Ci sono tre tipi di apprendimento:
1) Apprendimento spontaneo. L’apprendimento di una seconda lingua avviene in un contesto
naturale, grazie a situazioni comunicative autentiche. Ad esempio, un bambino che si trasferisce in
un’altra regione, impara la lingua locale stando in contatto con i bambini del posto. In tale
apprendimento l’input linguistico deriva in gran parte dalla vita quotidiana ed è sempre costante.
Nell’apprendimento di una seconda lingua invece l’input non sempre si presenta in modo netto e
chiaro in quanto può essere disturbato da rumori esterni; esso coinvolge una nuova dimensione
culturale proprio perché l’apprendente si trova di fronte ad un mondo culturale diverso.
Nell’acquisizione spontanea, l’apprendimento di una seconda lingua si basa su processi cognitivi e
creativi, su dati lessicali, fonologici e morfosintattici, e come per la lingua materna, vengono
applicati i principi della sequenzialità e della decomposizione. Inoltre, nelle prime fasi di
acquisizione, l’apprendimento è più rapido rispetto alla lingua materna. La riuscita dell’acquisizione
è fortemente condizionata dalla motivazione esistenziale.
2) Apprendimento guidato. Tale apprendimento di solito avviene in tempi (ore di lezioni ) e in
luoghi ( aula ) e la lingua straniera viene insegnata da poche persone. L’input prevede una scelta
limitata di situazioni comunicative all’interno di un insegnamento che mira alla correttezza degli
enunciati, quindi è un insegnamento esplicito, con lo scopo di trasmettere regole e frasi modello
che consentono all’apprendente di formare i suoi discorsi. L’apprendimento guidato avviene
mediante un processo deduttivo; qui le fasi dell’apprendimento spontaneo si presentano in forma
ridotta in quanto la lingua viene presentata didatticamente. L’apprendimento guidato, inoltre,
permette un’acquisizione relativamente veloce delle strutture superficiali; la motivazione è
strumentale e spesso la valutazione condiziona il processo, soprattutto a scuola. Nelle scuole
private di lingua la motivazione è personale.
3) Apprendimento misto. Tale apprendimento coinvolge sia l’acquisizione spontanea che
guidata. Ad esempio, una ragazza inglese che lavora presso una famiglia italiana, normalmente
parla l’italiano con la famiglia in questione e frequenta due volte a settimana corsi di lingua italiana.
L’input potenzia e facilita lo sviluppo della scrittura, della lettura, cosa che non avviene
nell’apprendimento spontaneo. La combinazione dei processi imitativi e deduttivi migliora
l’efficacia delle strategie dell’apprendimento esplicito. L’apprendimento misto promuove una
competenza comunicativa migliore rispetto all’apprendimento guidato perché non si tratta più di
imparare una lingua astratta fuori contesto come avviene nell’insegnamento scolastico, ma perché
dalla buona conoscenza della lingua straniera dipendono anche condizioni di vita migliori.

I codici utilizzati dai parlanti di una L1 sono detti codici semplici o semplificati e sono:
 Il motherese è il codice semplificato utilizzato da una madre che si rivolge al suo bambino.
 Il foreigner talk è la lingua parlata dallo straniero e per lo straniero.
Ciò che accomuna questi due codici è la semplificazione, che consiste nel modulare il proprio codice per far
si che l’apprendente possa capire.

CAP.II
INTERLINGUA: MODELLI E PROCESSI DI APPRENDIMENTO
La ricerca sull’apprendimento di lingue diverse è iniziato circa trenta anni fa, quando si formulò il concetto
di interlingua, e recentemente si è estesa in seguito alle migrazioni sempre più massicce dal
mondo anglosassone a tutta l’Europa, compresa anche l’Italia.

Il concetto di interlingua: prime ricerche ed ipotesi sull’apprendimento di una L2


Negli anni 50, quando sul piano culturale era preminente la psicologia comportamentistica di Skinner e la
linguistica tassonomica di Bloomfield, si riteneva che la lingua, intesa come un insieme di abitudini, venisse
appresa mediante meccanismi di stimolo-risposta-rinforzo e imitazione.
Chi si occupava di insegnamento-apprendimento di L2 praticava il filone dell’Analisi contrastiva di Lado. I
sistemi linguistici presi in esame, quello materno e della lingua seconda, venivano confrontati nelle
loro strutture fonologiche, morfosintattiche e lessicali, per determinare eventuali errori
nell’apprendente, ritenendo che gli errori fossero determinati dalle differenze tra le due lingue.
Queste tesi però furono smentite sul campo negli anni’60 dal filone dell’Analisi degli errori, in
quanto trovò errori non previsti dall’analisi contrastiva.
L’Analisi degli errori riscontrò che oltre alla diversità tra L1 e L2, ci sono altri fattori che incidono
sul processo e sull’esito dell’apprendimento. Da qui prese le mosse la linguistica dell’acquisizione, grazie
anche alla formulazione del concetto di interlingua.
Decisivo fu il saggio di Pit Corder, The significante of learners’ errors che propose di interpretare gli errori
non in un’ottica comportamentistica come frutto di imitazione e di abitudini legate a L1, ma come indizio di
un sistema linguistico in formazione, in pratica come si faceva per le forme devianti presenti nel linguaggio
infantile. Dopo la confutazione chomskiana della tesi comportamentistica di Skinner, si era da tempo
evidenziata la natura creativa e regolare dell’apprendimento della lingua materna e il bambino
veniva considerato un creatore di regole. Questa caratteristica venne riconosciuta anche
nell’apprendimento di L2 sfociante in una competenza linguistica interiorizzata che Corder definì
grammatica dell’interlingua o competenza transitoria. Egli distinse errori legati alla competenza –
interessanti per lo studioso in quanto utili e sistematici per ricostruire la grammatica ed evidenziare le
strategie di acquisizione – ed errori o sbagli a livello di performance, fra cui i lapsus. Inoltre per
Corder esiste un dispositivo di acquisizione interno responsabile dello sviluppo della competenza in L2,
indipendente da L1 e da quello seguito dall’insegnante.
Oltre a Corder importanti furono:
 William Nemser, che descrisse la competenza in L2 come una successione di sistemi in
evoluzione approssimativi, in movimento verso la lingua di arrivo o target.
 Larry Selinker, a cui dobbiamo il termine di interlingua, che designa la lingua
imperfettamente posseduta dall’apprendente, sistema linguistico a sé stante che risulta dal
tentativo da parte dell’apprendente di produzione di una norma della lingua obiettivo o target.
Dunque non un sistema a metà tra L1 e L2. “Lingua transitoria frutto delle ipotesi che l’apprendente
attua sulla L2/LS. Se l’ipotesi è sbagliata si correggerà e arriverà ad una nuova riformulazione”
(SELINKER 1972).
CARATTERISTICHE DELL’INTERLINGUA
- Sistematicità 
- Transitorietà  l’interlingua è un sistema dotato di regole come le lingue naturali ma è fortemente
instabile perché in continua evoluzione (Han; Tarone, 2014).
*Sistematico perché apprendimento avviene secondo un certo ordine, si creano delle regole però queste
non sono stabili ma variabili e in evoluzione.
‘Le produzioni di un apprendente non costituiscono un’accozzaglia di frasi più o meno devianti, più o meno
costellate di errori, ma un sistema governato da regole ben precise, anche se tali regole corrispondono solo
in parte alla lingua d’arrivo ’. (Pallotti, 1998:21)
Lo sviluppo dell’interlingua si distinguerebbe da quello di L1 per il fenomeno della fossilizzazione,
intesa come il permanere di strutture errate, e per cinque processi:
1) Il transfert linguistico, cioè l’influsso della lingua materna sull’interlingua;
2) Il transfert di insegnamento, cioè errori dovuti all’applicazione indebita di regole e strutture
di L2 su cui l’insegnante insiste;
3) Le strategie di acquisizione di L2, risultato del modo in cui l’apprendente affronta il
materiale da apprendere, per esempio omettendo o semplificando i morfemi grammaticali;
4) Le strategie di comunicazione in L2, risultato di un modo identificabile in cui l’apprendente
affronta la comunicazione con i parlanti nativi;
5) L’ipergeneralizzazione del materiale linguistico in L2, per esempio la doppia marca di verbi
al passato.
Nella prima fase della ricerca va collocato anche il filone dei Morpheme Studies che diede risalto all’aspetto
creativo e formulò l’ipotesi dell’identità fra acquisizione di L1 e L2; in pratica i due processi
sarebbero ascrivibili agli stessi dispositivi mentali innati. Il paradigma teorico di riferimento era
quello innatista di matrice chomskiana.

Modelli teorici sull’apprendimento linguistico


Alcune teorie che si sono delineate sono di tipo deduttivo ( approccio TOP DOWN ), cioè dalla teoria ai dati;
altre invece sono induttive ( approccio BOTTOM-UP ), cioè dai dati alla teoria.
Le teorie talora tengono conto di tutti i fenomeni implicati nell’apprendimento linguistico ( macroteorie,
ad esempio il modello del monitor ), talaltra si concentrano solo su alcuni aspetti ( microteorie,
aspetto socio-ambientale, cognitivo, funzionale ).

Teorie innatiste
Il modello del Monitor
È forse il modello innatista su L2 più ambizioso. Fu elaborato nella seconda metà degli anni 70 da Krashen e
altri. Secondo Krashen l’apprendimento linguistico risente sia dei fattori ambientali esterni, sia dei fattori
interni all’apprendente, in particolare di tre meccanismi fondamentali: i primi due sono subconsci (il filtro
e
l’ organizzatore); il terzo cosciente (il monitor).
-Ambiente linguistico (INPUT) ----> Filtro ----> Organizzatore ----> Monitor ----> Esecuzione
dell’apprendente
(OUTPUT).
Il filtro socio-affettivo, in base a vari fattori ( motivazioni, attitudini, stati emozionali ), filtra l’input
linguistico e solo su quanto passa attraverso il filtro e arriva all’organizzatore, il cosiddetto intake,
si costruirebbe la competenza in L2. Di conseguenza forti motivazioni, stati emotivi rilassati,
favoriscono l’acquisizione.
Dopo il filtro, l’organizzatore elabora i dati e li organizza in un sistema. Il monitor invece è
responsabile dell’elaborazione linguistica consapevole, derivante dallo studio della grammatica e
visibile nelle autocorrezioni.
Da questo modello Krashen ha formulato la Teoria del monitor, di tipo deduttivo; essa si basa su cinque
ipotesi:
1) Ipotesi dell’acquisizione/apprendimento. Sono due sistemi conoscitivi diversi in quanto il
primo è inconscio, attivo anche per L1 e porterebbe alla formazione della competenza in L2. Il
secondo invece è conscio e superficiale, tipico dei contesti scolastici e comporta la conoscenza
formale di una lingua osservando le sue regole.
2) Ipotesi dell’ordine naturale. Le strutture della L2 verrebbero acquisite in un ordine fisso,
naturale e indipendente da quello seguito dall’insegnamento.
3) Ipotesi del monitor o editor. Questo sarebbe attivo nell’apprendimento linguistico
consapevole e non contribuirebbe all’acquisizione, ma solo alla revisione conscia dell’output.
4) Ipotesi dell’input comprensibile. Per Krashen tale ipotesi è centrale in quanto visto che il
vero responsabile dell’acquisizione è un dispositivo innato, basta fornirgli una sufficiente quantità e
qualità di input comprensibili perché questo operi.
5) Ipotesi del filtro affettivo. Il filtro affettivo non deve essere bloccato altrimenti l’input non
può essere rielaborato e interiorizzato, quindi non deve esserci ansia, ma motivazione ed autostima.
Il filtro avrebbe un ruolo di facilitazione/inibizione e non di causa dell’acquisizione.
La teoria del monitor è stata criticata perché è risultata poco chiara, per la scarsa documentabilità
tra acquisition e learning e perché trascura gli stadi intermedi dell’acquisizione.

La Grammatica Universale e l’acquisizione come parameter setting


Il filone innatista si richiama alla Teoria della Grammatica Universale di Noam Chomsky, secondo cui se
non si avesse una conoscenza innata di principi linguistici universali, non si potrebbe imparare una lingua,
in quanto lo stimolo linguistico esterno sarebbe insufficiente qualitativamente e quantitativamente.
L’acquisizione sarebbe dovuta allo sviluppo del LAD, Dispositivo di acquisizione della lingua (organo
mentale del linguaggio) e la Grammatica Universale guiderebbe tale sviluppo. Entrerebbero in azione
gli universali linguistici, distinti in universali sostanziali (tratti fonologici distintivi, categorie sintattiche nelle
lingue umane) e universali formali che comprendono i principi e i parametri.
I principi valgono per tutte le lingue umane (esempio di principi: principio della dipendenza dalla
struttura).
I parametri rendono conto delle variazioni sintattiche tra le lingue ( esempio di parametri: parametro del
sintagma nominale ----> struttura minima, articolo + nome; parametro del pro-drop ----> caduta pronome.
L’italiano è una lingua pro-drop: è possibile esprimere una frase senza soggetto. L’inglese è una lingua non
pro-drop: il soggetto deve essere sempre espresso ).
Secondo questo modello si impara la lingua fissando il valore dei parametri della Grammatica Universale,
parameter setting, in base alle caratteristiche della lingua dell’input ambientale.
Inizialmente ci si rifaceva alla GU per l’acquisizione della lingua materna, ma poi molti generativisti l’hanno
proposta anche per le lingue seconde. Tuttavia sul ruolo della GU in L2 il parere degli studiosi non
è concorde. Per alcuni vi sarebbe accesso diretto alla GU in L2; altri invece assumono la posizione
intermedia di un accesso indiretto tramite L1, o di un accesso parziale.
Anche se alcune nozioni cognitive sono innate, molti studiosi preferiscono ricorrere a spiegazioni in chiave
cognitiva e non a principi innati.
Teorie ambientaliste
Le teorie ambientaliste si pongono in modo opposto a quelle innatiste e pongono l’accento sui
fattori ambientali esterni dell’acquisizione, da quelli socio-culturale, alle caratteristiche dell’input
linguistico.
Noto è il modello dell’acculturazione di Schumann di impronta socio psicologica che interpreta
l’apprendimento in L2 come un processo di acculturazione, di graduale appropriazione di L2 e della cultura
associata. Determinanti sono due ordini di fattori, la distanza sociale e la distanza psicologica
dell’apprendente nei confronti della lingua e dei suoi parlanti; maggiore è la distanza sociale o psicologica,
più limitata sarà l’acquisizione.
Casi di acquisizione di L2 ridotta per forte distanza sociale e psicologica sono i pidgin, lingue semplificate
formatesi in contesto coloniale, ma anche le interlingue elementari di immigrati ghettizzati o poco inseriti.
In seguito, se l’integrazione nell’ambiente ospite aumenta e la distanza psico-sociale si riduce,
queste varietà diventano complesse e si ha il processo di creolizzazione.
Tale modello tuttavia è stato criticato in quanto si rivela poco affidabile all’apprendimento istituzionale di
una lingua straniera.

Teorie cognitive e interazioniste


Le teorie cognitive si focalizzano sui processi e sui meccanismi mentali implicati nell’acquisizione
linguistica.
Le teorie interazioniste invece si focalizzano sull’interazione tra meccanismi cognitivi, fattori ambientali e
fattori innati.
Sono approcci eterogenei tra di loro e si oppongono ai modelli innatisti in quanto l’apprendimento
linguistico verrebbe conseguito mediante operazioni e strategie cognitive non specificatamente linguistiche
e senza ricorrere a conoscenze astratte.
Un primo modello cognitivo deriva dalla stessa teoria dell’interlingua, che vede l’acquisizione di L2 come
un processo mentale di costruzione di regole sistematiche, ma provvisorie, mediante la formulazione
e la verifica delle ipotesi.
Un altro gruppo di teorie fa riferimento alla conoscenza esplicita, verbalizzabile, che affiora nelle
rappresentazioni consapevoli dell’apprendente; e conoscenza implicita, non verbalizzabile, intuitiva e
latente, detta anche fra conoscenza dichiarativa e procedurale.
Gli approcci funzionalisti puntano sui fattori cognitivi e correlano l’acquisizione della lingua con la
sua funzionalità comunicativa.
Nel filone funzionalista rientrano anche:
 Il Competition Model, per il quale l’apprendimento si basa su indizi formali e semantici
univoci e affidabili, spesso in competizione tra loro. Spesso l’apprendente si lascia guidare da criteri
di frequenza e salienza.
 Il frame Tipologico-funzionale di Givòn, secondo il quale l’acquisizione muoverebbe da fasi
comunicative pragmatiche a fasi più grammaticalizzate. Questo passaggio sarebbe guidato da
pressioni esterne.
 Il Modello della processabilità di Pieneman, secondo cui l’apprendimento avviene
mediante una precisa sequenzialità spiegata con l’interazione fra principi cognitivi generali e fattori
psico-sociali.

Processi di apprendimento e sequenze acquisizionali


Il processo acquisizionale prevede le seguenti tappe:
 Una fase iniziale, detta pre-basica, in cui l’apprendente analizza l’input; in questa fase dispone di
scarse risorse linguistiche e comunica con le poche parole di L2 a lui note, aiutandosi spesso con i
gesti. Le sue frasi, prive di verbo, preposizioni e articoli, hanno una struttura nominale.
- Morfologia: assente o del tutto casuale perché non ha ben capito uso del singolare, plurale o verba-
le
- Sintassi: rudimentale ovvero al massimo trovo un verbo (es. lavoro)
- Lessico: le produzioni ruotano intorno a PAROLE CHIAVE, organizzazione della frase di tipo nomina-
le. Parola è il centro della comunicazione
- Pragmatica: l’apprendente fa leva sul contesto situazionale e discorsivo, sulle conoscenze condivise,
si aiuta con gesti e mimica facciale, si affida molto alla collaborazione dei parlanti nativi.
 Una seconda fase, detta varietà di base, aumento delle forme lessicali, uso di una morfologia più
sviluppata, anche se ancora limitata e povera, frase costruita attorno ad un verbo non flesso
(infinito o 3° persona singolare presente indicativo, participio passato senza ausiliare per il passato)
- Morfologia: non ci sono marche di plurale, genere o di caso
- Sintassi: prevale la paratassi con scarsità di preposizioni e di congiunzioni (prevalgono: ‘e’, ‘poi’, ‘e
allora’) e compaiono le prime subordinate con valore temporale e causale (‘quando’ e ‘perché’)
- Semantica: uso sovra esteso delle parole (es: ‘donna’ per ‘moglie’) o sottoesteso (es: ‘moglie’ per
‘donna’).
 Una terza fase, detta varietà post-basiche, in cui si producono frasi con verbo flesso e compare la
morfologia più regolare; sono presenti articoli, copule, ausiliari, forme di accordo sintattico e
compaiono le prime subordinate. Maggiore e migliore acquisizione delle strutture della lingua
d’arrivo. L’interlingua tende ad avvicinarsi sempre più alle varietà native colloquiali.
- Morfologia: più regolare con flessione verbale e nominale, presenza di articoli, copule e ausiliari,
accordo sintattico (soggetto-verbo, aggettivo-nome)
- Sintassi: compaiono le subordinate: causa, fine, tempo, relative, oggettive e soggettive
Durante le fasi acquisizionali, vengono adoperate strategie di acquisizione che contribuiscono allo sviluppo
della L2 e sono:
 Semplificazione : meccanismo per cui vengono omessi elementi e strutture, oppure cancellate
opposizioni funzionali della seconda lingua. La semplificazione può agire ai diversi livelli linguistici:
- A livello fonologico, vengono spesso cancellati e semplificati nessi consonantici complessi come
/ts/; /sp/; /st/, /sk/ iniziali ecc.; possono inoltre essere cancellate opposizioni fra suoni difficili, come
l’opposizione fra sorda e sonora (/t/ vs. /d/; /k/ vs. /g/)
-A livello morfologico, vengono spesso cancellati elementi grammaticali liberi, come articoli, copula,
preposizioni; possono inoltre essere cancellate opposizioni funzionali come le desinenze nominali e
verbali.
 Analogia :meccanismo di riconduzione di strutture nuove a strutture note, per supposta somi-
glianza e inappropriata regolarizzazione
Si possono sovra estendere solo regole che si possiedono. Es:
- Fenomeni di regolarizzazione che riconducono tutti i nomi e gli aggettivi alla prima classe flessiva
(cioè al sistema a quattro uscite –o,-a,-i,-e),
-Forme verbali come erava, finisciuto, c’erebbero (forma di condizionale costruita su c’è - *cere - *
cerebbero, come legge – leggere – leggerebbero),
-La pronuncia andàno, parlàno per la III persona plurale, che regolarizza l’accento sulla penultima sil-
laba per analogia con le altre forme personali andiamo, andate e parliamo, parlate.
 Formazione autonoma  meccanismo di costruzione autonoma di regole che non trovano riscon-
tro nella seconda lingua, ma che hanno una plausibilità derivata da alcune strutture della seconda
lingua o, anche, da regole valide in altre lingue conosciute.
-Verbo ausiliare, più frequentemente il verbo essere, unito a forme del participio, dell’infinito, del
gerundio per costruire forme di valore imperfettivo o passato imperfettivo, di funzione analoga alla
perifrasi progressiva (stare+gerundio) e all’imperfetto.
-Es.: siamo andando e era andare, eràmo andando
Fattori linguistici che incidono sull’apprendimento
La lingua d’arrivo ( L2)
Gli studi sulle sequenze acquisizionali hanno affermato la preminenza della lingua seconda sulla
lingua materna. Dopo le prime fasi tendenzialmente universali, l’apprendente ben presto si indirizza
verso le strutture ricorrenti e salienti della lingua obiettivo; in questo percorso si lascia guidare dai
principi di trasparenza e naturalezza, imparando prima i lessemi più utili e frequenti e poi le strutture più
chiare.
Universali linguistici e marcatezza
Gli studi condotti su più L2 hanno messo in evidenza analoghe sequenze acquisizionali in
riferimento all’azione di tendenze universali di elaborazione dell’input linguistico; si è fatto appello
agli universali linguistici ( GU ) e alla Teoria della marcatezza. Questa teoria, applicata alle interlingue,
prevede che si apprende prima ciò che è meno marcato.

La lingua materna ( L1 )
Il concetto di transfert, presente anche in psicologia, indica l’influsso che la L1 esercita sul sistema di L2 in
formazione.
Negli ultimi quindici anni l’interesse per il transfert si è rinnovato in chiave cognitiva ed è stato proposto
come influsso interlinguistico.
Nel transfert si riconosce un meccanismo cognitivo basilare, in pratica si tratta di un importante strategia di
acquisizione che guiderebbe nella scoperta ed organizzazione di nuove conoscenze.
Normalmente il transfert non sconvolge le sequenze acquisizionali ed è più o meno probabile a seconda
dell’età del soggetto ( di più negli adulti ), della sua personalità, dal livello di competenza, dal contesto e da
questioni di marcatezza o naturalezza.

CAP. III
LE CARATTERISTICHE DELL’APPRENDENTE
Due sono gli elementi che entrano in gioco nel processo di apprendimento di una L2:
 La lingua che si vuole apprendere;
 Il soggetto che intraprende il cammino dell’acquisizione.
Ci sono poi due gruppi di fattori che condizionano il successo o l’insuccesso dell’apprendimento di una L2:
 I fattori interni che si riferiscono alle caratteristiche relative all’età, al carattere e alla
personalità;
 I fattori esterni, cioè l’ambiente entro cui avviene il processo di apprendimento e le
caratteristiche del rapporto tra apprendente ed input linguistico.

Fattori interni
L’età dell’apprendente
Uno dei fattori interni più importanti che interagisce con lo sviluppo della competenza è l’età. E’ condiviso
che i bambini apprendono più facilmente degli adulti una L2 e raggiungono risultati migliori nei
livelli di acquisizione delle regole fonetiche. Invece gli adolescenti/adulti apprendono con più facilità
le regole sintattiche e pragmatiche di una L2.
Una spiegazione che chiarisce il rapporto tra l’età e l’esito del processo di apprendimento si fonda su basi
neurologiche, cioè sull’esistenza di uno o più periodi critici; gli studi hanno mostrato che una parte
del cervello si specializza nell’assolvere determinate funzioni secondo il processo di lateralizzazione
che rispetta i tempi della maturazione psico-fisica dell’individuo, cioè necessita di un certo lasso di tempo
per compiersi nella sua interezza.
La lateralizzazione è un prerequisito indispensabile per il pieno controllo della funzione linguistica, infatti
una volta terminato tale processo è quasi impossibile acquisire la lingua. Tutto ciò richiama il concetto di
età critica, ( o soglia critica, o soglia prossimale ) che indica il periodo in cui si compie il
processo di lateralizzazione.
Secondo alcuni studiosi, come Lenneberg, esiste un solo periodo critico e fino a 10-12 anni
l’apprendimento di L1 e L2 avviene in modo spontaneo e senza sforzo; in seguito l’individuo perderebbe la
sua plasticità cerebrale e la facilità di apprendimento.
Altri ritengono che esistono più età critiche e che quindi ogni abilità linguistica ha la sua soglia critica; la
prima che si afferma è quella fonetica, poi quella sintattica e infine quella semantica e pragmatica.
L’attitudine
Altro fattore che incide sull’apprendimento di una lingua è l’attitudine personale che l’individuo ha per lo
studio delle lingue; in pratica esiste un’inclinazione individuale alle particolari abilità che l’apprendimento
linguistico mette in gioco. Tale inclinazione o predisposizione è legata sia al carattere, sia ad abilità
linguistiche come la facilità a discriminare i suoni, la sensibilità grammaticale.
Gli studi di Skehan hanno messo in evidenza che la velocità di apprendimento di una L2 è frutto
della correlazione tra il profilo attitudinale dell’apprendente e fattori di tipo sociale, quali la classe
di appartenenza e il livello di istruzione dei genitori. Inoltre è stato messo in evidenza che
l’attitudine allo studio delle lingue è qualcosa di innato e di acquisito nello stesso tempo.
La motivazione
Altro fattore che incide sul processo di apprendimento di una L2 è la motivazione. Le tipologie legate alla
motivazione si raggruppano in due categorie, quelle di tipo culturale e quelle di tipo strumentale.
 Le motivazioni culturali spingono l’apprendente verso la L2 sulla base di interessi culturali;
in quest’ambito la motivazione può essere integrativa quando l’apprendente si spinge verso un
rapido e completo inserimento nella società ospite. Questo tipo di motivazione è importante
soprattutto nell’apprendimento spontaneo, quando un apprendente immigrato si vuole integrare
velocemente nella società ospite per trovare un impiego, una casa, nuovi affetti, oppure per
migliorare le proprie conoscenze, viaggiare, ecc. Può essere anche intrinseca quando l’apprendente
vuole apprendere una lingua perché giudica positivamente le sue caratteristiche fonetiche,
sintattiche, ecc. ( ad esempio persone che decidono di apprendere il francese perché la giudicano
una bella lingua, oppure persone che decidono di studiare lo spagnolo e non il tedesco perché più
semplice da un punto di vista sintattico ).
 Le motivazioni strumentali sono legate al desiderio dell’apprendente di raggiungere
specifici obiettivi o di rimuovere particolari ostacoli che incontra nel percorso di apprendimento di
una L2. Si ha una motivazione strumentale generale quando l’apprendente è motivato
all’apprendimento di una L2 per la necessità di trovare lavoro, per conseguire un titolo di studio, per
migliorare la propria condizione sociale, cioè per raggiungere un obiettivo. Si ha invece una
motivazione strumentale particolare quando l’apprendente vuole migliorare la propria competenza
in L2 per superare un ostacolo, come superare un test o per rispondere correttamente a
un’interrogazione. Questo tipo di motivazione spinge l’apprendente a chiarirsi sulla lingua.
Però nessuno dei diversi tipi di motivazione è in grado di garantire il successo nell’apprendimento,
pertanto l’insegnante deve promuovere diversi tipi di motivazione a seconda dell’apprendente che ha di
fronte.
Stili cognitivi
Attraverso interviste, questionari, è possibile individuare le strategie e le operazioni mentali che il discente
utilizza per apprendere una nuova lingua, in pratica il suo stile cognitivo.
Larsen-Freeman, Long, definiscono lo stile cognitivo come il modo preferito da un individuo di elaborare
l’informazione o affrontare un compito.
Possiamo distinguere, nell’ambito dell’apprendimento di una L2:
 stile cognitivo dipendente dal campo, in cui l’apprendente elabora le informazioni tenendo
conto dei fattori contestuali, isolando con difficoltà i fenomeni dal loro contesto;
 stile cognitivo indipendente dal campo, in cui l’apprendente elabora le informazioni in
modo analitico isolandole dal contesto.
Lo stile cognitivo si rileva mediante un test centrato su una figura geometrica presente in un disegno in cui
sono rappresentate, sovrapposte, altre figure.
Vari studi hanno dimostrato una correlazione positiva tra il successo dell’apprendimento di una L2 e lo stile
cognitivo indipendente dal campo; tale correlazione decade quando si considerano le differenze a
livello intellettivo generale.
Alcuni autori, come Chapelle e Green hanno infatti correlato questo tipo di stile non al successo
dell’apprendimento, quanto piuttosto all’indicatore di una intelligenza fluida, cioè la capacità
dell’individuo
di rispondere correttamente e in breve tempo alle sollecitazioni impreviste che provengono dalla realtà.
Conoscere uno stile permette all’insegnante di assegnare compiti specifici rispettando la personalità
dell’alunno.
Fattori affettivi
I fattori affettivi sono un filtro che si attiva o si disattiva lasciando passare quantità maggiori o minori di
informazioni per farle diventare regole. Tra questi fattori è presente il livello di ansietà che un individuo
attiva quando s’immerge nel processo di apprendimento e utilizzo di una L2.
Si parla di ansia linguistica quando l’individuo è nervoso nelle situazioni in cui deve utilizzare una L2. Tale
ansia deriverebbe, secondo MacIntyre e Gardner da esperienze negative precedenti nell’eseguire compiti
in
L2.
L’ansia è un fattore che incide negativamente sull’apprendente inibendolo nelle interazioni comunicative e
provocando scarsa partecipazione all’attività di classe.
Alpert e Harber fanno una distinzione tra:
 ansia facilitante, quando essa rimane sotto una certa soglia, infatti l’apprendente vive in
uno stadio di attenzione vigile che agevola l’apprendimento;
 ansia debilitante, quando essa supera una certa soglia e diventa debilitante, cioè paralizza
l’apprendente, limitandogli di progredire nella competenza.
Tra i fattori affettivi abbiamo anche tratti della personalità come autostima, introversione, estroversione,
anche se non esistono dati empirici in grado di fornire indicazioni sugli effetti che ha la personalità
sull’apprendimento.

Fattori esterni
Fattori sociali: l’ambiente in classe e fuori dalla classe
Per fattori sociali si intendono tutte le caratteristiche dell’ambiente in cui vive l’ apprendente e il suo stile
di
vita.
Nel valutare l’ambiente in cui avviene l’apprendimento bisogna soffermarsi su ciò che avviene in aula e su
ciò che avviene nell’ambiente sociale fuori dall’aula.
Per quanto riguarda l’ambiente in classe, l’apprendimento è migliore se il clima-classe è
accogliente e disteso, se sono chiari gli obiettivi dell’insegnamento e se sono presi in considerazione i
bisogni dei discenti, quindi nessuno deve sentirsi ai margini del processo di apprendimento e tutti
devono avere le stesse opportunità di usufruire dell’input.
Ovviamente l’insegnante può gestire l’ambiente in classe, ma non quello fuori. Nel caso in cui
l’apprendente impari la lingua nel paese nativo occorre considerare anche il tempo che l’apprendente
trascorre fuori dalla classe; questo ambiente è fortemente correlato con i successi e gli insuccessi che si
ottengono in classe.
La condizione socioculturale in cui avviene l’apprendimento rappresenta l’unica fonte da cui l’apprendente
attinge input per migliorare la propria competenza. Ad esempio, un apprendente che vive in una
condizione
sociale soddisfacente economicamente, è in contatto frequente con i parlanti del paese di madre lingua,
non avrà difficoltà ad apprendere la lingua straniera, anche se non è detto che sia sempre così. Si può però
ipotizzare che molte delle difficoltà nell’apprendimento siano dovute a un disagio sociale ( perdita di
lavoro, sfratto, ecc. ).
Uno dei modelli più convincenti per spiegare i rapporti che intercorrono tra le variabili sociali/ambiente e il
livello d’interlingua, è il modello multidimensionale del Progetto ZISA, formulato da ricercatori
tedeschi
alla fine degli anni ‘70 per analizzare l’acquisizione del tedesco da parte di immigrati italiani e
spagnoli.
Questo modello si basa su una dimensione evolutiva, determinata da fattori cognitivi universali, e su una
dimensione variabile, determinata da fattori socio psicologici legati al rapporto che l’apprendente ha con la
comunità ospite.
Sulla base di questo modello, nello studio delle tappe di acquisizione si hanno delle regole
immutabili, legate a fattori cognitivi universali e apprese da tutti, e delle regole che variano da individuo a
individuo in base alla dimensione psicosociale dell’apprendimento.
Dalla loro indagine è emerso che gli apprendenti con risultati migliori erano coloro che volevano rimanere
più a lungo in Germania, che utilizzavano il tedesco anche in famiglia e che mostravano di volersi integrare
con la comunità ospite; invece coloro che non volevano integrarsi, tendevano ad isolarsi nella loro
comunità di appartenenza e utilizzavano al minimo il tedesco, avevano risultati inferiori.

L’input linguistico
L’input linguistico è tutto il materiale che l’apprendente ha a disposizione; test orali e scritti, pronunciati in
sua presenza o che sono rivolti direttamente a lui. Ovviamente per progredire nella competenza in
una lingua straniera bisogna essere esposti a una certa quantità di input. Però non tutto l’input diventa
intake, cioè non tutto l’input si trasforma in regole della nuova L2 apprese ed utilizzate
correttamente. E non ci troviamo neanche di fronte ad un rapporto di semplice causa-effetto, cioè molto
input è uguale a molto apprendimento.

L’input linguistico nelle situazioni di apprendimento spontaneo


Nelle fasi di apprendimento spontaneo, avere a disposizione un input ricco consente
all’apprendente di progredire più velocemente nella sua competenza linguistica. Al contrario un
input povero di forme e contenuti rende più difficile lo sviluppo della competenza.
La centralità del ruolo dell’input nasce dall’interazione di due aspetti diversi: da un lato ci sono le
caratteristiche strutturali dell’input, quali la qualità e la salienza dei tratti fonetici, il tipo e la quantità di
lessico, le regole sintattiche; dall’altre l’attività metalinguistica che l’apprendente compie per segmentare,
analizzare e selezionare i tratti linguistici in entrata, quello che Klein ha definito il compito di analisi.
In questo compito l’apprendente deve trasformare una massa indistinta di suoni in unità aventi un
significato; per fare ciò egli si serve della competenza linguistica, cioè L2 appresa fino a quel momento e
conoscenze acquisite nella sua L1, sia della competenza non linguistica, comprendente le conoscenze
enciclopediche derivate da usi e costumi della società ospite. È proprio sulla base dei dati ricavati dall’input
a disposizione che l’apprendente costruisce le regole della sua interlingua.

Il foreigner Talk
Quando un apprendente mostra difficoltà di fronte ad un input linguistico troppo complesso, molti parlanti
madre lingua, per rivolgersi ad esso, utilizzano un input semplificato nella forma e nei contenuti, il
cosiddetto foreigner Talk.
Si parla di foreigner Talk quando l’input è semplificato, rallentato, con vocaboli brevi, sintassi non
articolata, concetti basilari. Esso è considerato un registro universale e le sue caratteristiche non variano al
variare della lingua, nel senso che le caratteristiche del foreigner Talk dell’italiano sono le stesse di quelle
francese.
Long individua che il parlante nativo utilizza molto questo codice nelle conversazioni spontanee e nel caso
in cui il parlante non nativo ha una competenza molto bassa.
Rivolgersi esclusivamente a un apprendente utilizzando il foreigner Talk può causare, a lungo andare, un
arresto nella competenza linguistica.

L’input linguistico nelle situazioni di apprendimento guidato


Nell’apprendimento guidato, non basta sottoporre gli allievi a un input linguistico molto ampio per
garantire il successo dell’apprendimento, infatti sappiamo che la frequenza nell’input è solo uno
dei fattori che contribuiscono alla sua decodifica. Quindi da un punto di vista quantitativo l’input deve
essere ricco, ma in modo controllato e adatto a livello di lingua degli apprendenti a cui è rivolto ( in pratica
quello che Vygotskij definisce livello di soglia prossimale ).
Oltre alla quantità, l’insegnante deve considerare l’input anche dal punto di vista qualitativo; la qualità è
riferita alle caratteristiche interne dei testi da proporre agli allievi, quindi l’insegnante deve valutare l’input
in termini di qualità e complessità e vedere se è adatto al proprio gruppo di classe; l’input non deve essere
né troppo povero, né troppo ricco rispetto alle capacità linguistiche degli allievi a cui è rivolto.
Krashen ha affrontato il problema dell’adeguatezza dell’input; egli ha definito input comprensibile il
linguaggio che è a un livello di difficoltà i + I, dove i sta per livello di competenza raggiunto in quel
momento
dall’apprendente. L’input comprensibile quindi è formato da quei discorsi che riusciamo a
comprendere nella parte dei contenuti in generale, nelle strutture sintattiche principali, ma che
contengono parte del lessico e delle strutture che sono ad un livello leggermente superiore a quello in cui
ci troviamo.
La teoria di Krashen è molto forte sul piano intuitivo, ma vaga quando si deve stabilire con certezza a cosa
corrisponde quel “+ I “. Rimane quindi all’insegnante l’abilità di riuscire a tarare il livello di
difficoltà dell’input da proporre ai suoi apprendenti. È bene comunque preferire, ai fini del processo
di apprendimento un input più controllato.

CAP. V
PROGRAMMAZIONE E SELEZIONE DEI CONTENUTI
La programmazione
Principi generali
La programmazione didattica può essere definita come la costruzione di un itinerario che, in vista
del conseguimento di determinati obiettivi, individua un metodo, delle tecniche e dei materiali
didattici adeguati per raggiungerli. Essa può prevedere anche la durata delle varie tappe e delle relative
attività. In questo percorso ogni tappa mira alla realizzazione dei sotto-obiettivi nei quali possono essere
suddivisi gli obiettivi finali e generali.
Per poter programmare in modo ragionevole occorre per prima cosa conoscere il livello medio di partenza
degli allievi per i quali si programma, ovvero bisogna tener conto delle loro abilità o conoscenze pregresse
relative all’oggetto di insegnamento. Inoltre bisogna tener conto:
 dell’età degli allievi;
 del tempo a disposizione;
 delle risorse utilizzabili ( tra le risorse va incluso l’insegnante ).
La programmazione non può trascurare nessuna di queste variabili le quali sono interdipendenti. Inoltre
deve prevedere le tecniche da adottare per verificare/valutare il conseguimento degli obiettivi e dei sotto-
obiettivi e i momenti in cui valutare.

Programmare corsi di lingua


La programmazione di un corso di lingua è complessa in quanto ci sono difficoltà nello stabilire
una
scansione lineare dei contenuti, cioè l’apprendimento linguistico e lo sviluppo delle abilità
linguistiche.
Quindi lo sviluppo di abilità e cognizioni su una lingua può attuarsi solo entro un percorso a spirale che, con
approfondimenti successivi, torni più volte su contenuti e attività affini, riprendendoli poi a livelli
di complessità sempre maggiori. Si capisce che gli obiettivi di insegnamento di una lingua devono rivolgersi
al saper fare con la lingua, cioè saper capire e saper produrre testi parlanti e scritti in quella lingua,
senza dimenticare il sapere metalinguistico, soprattutto quando il corso di lingua è rivolto agli adulti.

Scelte metodologiche e approcci


Per l’insegnamento di una lingua straniera l’approccio da considerare è quello di tipo comunicativo,
finalizzato all’acquisizione di competenze comunicative e linguistiche, partendo da strutture elementari
a quelle più complesse.
Gli approcci comunicativi si rifanno a criteri contenutistici e vedono nella lingua lo strumento di
comunicazione.
Gli approcci umanistici invece si rifanno a criteri psicopedagogici e tengono conto delle variabili
che influenzano l’apprendimento, anche quelle affettive ed emotive.
Nella Comunità Europea si sostiene l’opportunità di insegnare e capire molte lingue senza fornire per forza
una competenza comunicativa completa, ma ad ampio spettro fino a consentire a tutti di parlare
nella lingua materna con la sicurezza di essere capiti da interlocutori che usano la propria. I metodi relativi
al come insegnare, in un certo senso si rivelano una funzione degli obiettivi e dei contenuti:
 gli obiettivi sono legati agli scopi per i quali si studia una lingua;
 i contenuti si identificano con il cosa insegnare della lingua in questione.
Non esiste un metodo migliore, ma l’insegnante deve scegliere di volta in volta quello che meglio si addice
alla situazione concreta del proprio insegnamento, tenendo conto delle variabili presenti.

La scelta del sillabo


È difficile scegliere in astratto quali siano le scelte da fare e i contenuti da selezionare, cioè il sillabo, per un
corso di lingua, poiché le variabili da tenere conto sono molte. Si devono considerare:
 le condizioni di partenza degli allievi, la loro età e il livello di corso ( corso iniziale per i
principianti, corso intermedio e avanzato per affinare le competenze );
 gli obiettivi del corso, che possono essere generali o specifici;
 il tempo a disposizione per la realizzazione del corso.

Tipi di sillabo
Molto varia è la definizione dei tipi di sillabo possibili.
 L’insegnamento linguistico tradizionale dava spazio quasi esclusivamente ai sillabi centrati
sulle strutture linguistiche, cioè i sillabi formali, aventi come obiettivo l’acquisizione di regole per
una produzione linguistica corretta (sillabi grammaticali).
 Poi, inseguito, la consapevolezza che nell’insegnamento della lingua occorreva fornire anche
una competenza comunicativa, ha portato alla nascita di sillabi funzionali, i quali sono organizzati
tenendo conto delle principali funzioni pragmatiche svolte dai messaggi in ricorrenti situazioni ( ad
esempio fare un biglietto ferroviario o al ristorante per ordinare il menù ). I sillabi funzionali spesso
vengono definiti sillabi nozionali-funzionali in quanto, in ogni lingua ci sono delle costanti
funzionali, cioè i mezzi adatti per esprimere nozioni di universalità, come i modi di esprimere il
tempo o la durata delle azioni; ci sono anche funzioni universali assolte dall’uso stesso della lingua (ad
esempio si usa la lingua per informare, domandare ).
 Inoltre sono stati proposti i sillabi processuali centrati su attività e compiti, come ad
esempio saper leggere e utilizzare una mappa, costruire itinerari. Le linee di demarcazione tra i vari
sillabi sono meno nette di quanto una loro elencazione teorica possa fare apparire.

Sillabi e gradazione dei contenuti


È un principio di buon senso pedagogico quello di procedere, nell’insegnamento, da ciò che è più semplice
a ciò che è più complesso in modo che le nuove conoscenze vadano ad innestarsi armonicamente
con quelle già possedute dall’allievo. Ma, vista la complessità delle lingue, è difficile stabilire cosa sia più
facile imparare e quindi cosa deve essere insegnato prima e dopo. Quindi i sillabi lineari sono
difficilmente praticabili e poco funzionali a un buon insegnamento linguistico. Appare dunque
appropriato un sillabo dalla struttura ciclica a spirale che costringono lo studente a tornare più volte
a un certo aspetto della struttura della lingua.

Le competenze iniziali degli allievi


Nell’insegnamento di una lingua straniera non bisogna mai partire da zero, anche quando si tratta di corsi
per principianti, in quanto la mente degli allievi non è una tabula rasa in cui immettere contenuti
completamente nuovi. Questo è un principio pedagogico generale e, per l’insegnamento linguistico,
è avvalorato per il fatto che:
 l’apprendimento di qualunque lingua diversa da quella materna si innesta su quel
dispositivo innato ( LAD ) che consente di acquisire la lingua materna e l’acquisizione di altri codici,
dalle lingue straniere a quelle artificiali;
 le lingue sono sempre meno straniere in quanto sono strutturate secondo principi
largamente affini;
 ogni parlante può avere un’idea della lingua che si appresta a studiare.
I primi due punti sono molto importanti poiché l’insegnante facendo leva su di essi può programmare il
proprio itinerario didattico puntando a recuperarle al massimo in modo produttivo ed economico.
Selezione di contenuti: criteri linguistici
Si capisce come un insegnamento latamente nozionale finisca per imporsi, ma comunque deve
essere integrato; in pratica bisogna presentare inizialmente le forme e le strutture corrispondenti alle
nozioni che ogni lingua esprime ed evidenziare le differenze rispetto alla forma usata nella L1.
Contemporaneamente occorre insegnare le strutture di frasi, da quelle più semplici e frequenti,
prestando attenzione all’ordine delle parole nella frase, inoltre una certa cura va prestata al lessico.
Gli studi sull’apprendimento spontaneo di una lingua rivelano che le prime parole a essere apprese sono
proprio singole parole, quelle più frequenti nella comunicazione dove è immersa la persona; solo
successivamente vengono appresi i mezzi morfosintattici per collegare le une alle altre. Nella fase iniziale
dei corsi di lingua per i principianti, per selezionare i contenuti è opportuno basarsi sulle varietà standard e
sulle forme più frequenti e disponibili.
Il vocabolario ad alta disponibilità è quello conosciuto da ogni parlante nativo in quanto serve a designare
oggetti ed esperienze comuni della vita quotidiana. Per l’italiano, organizzato secondo i criteri della
frequenza e disponibilità, è stato costituito il Lessico di frequenza dell’italiano parlato (LIP), mentre
da molto tempo è disponibile il vocabolario di base dell’italiano che include parole più frequenti e più ad
alta disponibilità. Occorre poi ricordare che il lessico di una lingua è organizzato gerarchicamente:
ci sono parole di maggiore estensione, dal significato più generale e inclusivo di quello di parole
subordinate nella gerarchia ( ad esempio animale è iperonimo o sovraordinato rispetto agli iponimi cane,
gatto, cavallo ); così come bisogna ricordare che gli antonimi, cioè parole dal significato opposto
come brutto/bello, caldo/freddo, ecc…, sono facilmente memorizzabili. Nell’insegnamento di una lingua
straniera si può dare la precedenza a iperinomi e a coppie di antonimi, presi tra quelli più frequenti. Inoltre
si potrebbe sfruttare in modo positivo la presenza nella L2 di parole simili a quelle della L1, i
cosiddetti cognates , dando nel contempo consapevolezza ai falsi amici più frequenti, cioè quelle parole
che sono molto simili formalmente, ma che danno significato diverso.

Le varietà linguistiche
Il sistema linguistico è differenziato in sottosistemi, ognuno dei quali caratterizzato da strutture e
regole ricorrenti in una determinata varietà di lingua.
Le varietà di una stessa lingua sono correlate alla variazione. Possiamo avere:
 variazione diamesica: dipende dal mezzo o dal canale usato come supporto del messaggio e
della sua trasmissione; permette di distinguere tra lingua parlata, trasmessa, scritta;
 variazione diastrica: è legata alle caratteristiche sociali dei parlanti, cioè del loro livello
culturale, di scolarizzazione, età, sesso, ecc…; questa variazione permette di distinguere varietà
colte e varietà popolari, gerghi, linguaggi legate alle fasce d’età;
 variazione diafasica: è legata alle situazioni comunicative e al tipo di interazione formale
che realizza; in essa rientrano sia i registri ( gli stili nel parlare che vanno dall’informalità alla
formalità ), sia i sottocodici designati sempre di più come lingue speciali;
 variazione diatopica: è riferita alle zone geografiche; la stessa lingua è parlata con accenti e
intonazioni differenti da una zona all’altra, da una città all’altra. Ad esempio, è una variazione
diatopica quella che permette di distinguere l’inglese parlato in Gran Bretagna da quello usato negli
Stati Uniti.
Le varietà geografiche di una lingua spesso vengono chiamate dialetti, ma comunque il termine è ambiguo.
Inoltre quelli che in Italia vengono chiamati dialetti, ad esempio il romanesco, il siciliano, il napoletano,
sono sistemi linguistici altri, sviluppatisi parallelamente e indipendentemente dallo stesso italiano. I
veri
dialetti italiani, intesi come sue varietà geografiche, sono gli italiani regionali.
Questo quadro di varietà comunque appartiene sempre a uno stato di lingua che, nel suo insieme, è una
varietà diacronica della medesima lingua. Inoltre tutte le lingue cambiano anche nel tempo, sono soggette
alla variazione detta diacronica.
Nel momento in cui si insegna una lingua straniera occorre scegliere quale varietà di lingua
privilegiare nell’insegnamento. In genere è opportuno privilegiare una varietà standard o comune
mediamente colta.
Però c’è una dimensione della variazione linguistica da tenere conto da subito, soprattutto se si vuole che
gli studenti lavorino il prima possibile con e su testi autentici e se si vogliono sviluppare
armonicamente le quattro abilità linguistiche di base, cioè la dimensione diamesica che oppone in
tutte le lingue che conoscono la scrittura, il parlato allo scritto.

Il parlato
Il parlato, rispetto allo scritto, è caratterizzato da molte differenze. In tutte le regioni il parlato:
 è più immediatamente collegato al contesto extralinguistico in cui viene prodotto; la
persona con la propria soggettività entra in modo più manifesto nel discorso prodotto, mentre la
scrittura è più staccata dal contesto;
 è più frammentario e ripetitivo; nella scrittura ciò che è evidente è il prodotto, il testo,
mentre non si percepisce la fatica del suo farsi nel processo enunciativo; tutte le incertezze sono
palesi nel parlato;
 è meno preciso anche per quello che riguarda i vocaboli usati; si usano quelli dal significato
più generico, più immediatamente a disposizione in quanto è più frequente;
 rileva l’origine del parlante.
Conoscere le differenze fondamentali tra il parlato e lo scritto è utile per trasferire competenze e
consapevolezze già acquisite nell’ambito della lingua materna nello studio della lingua straniera.
Nell’apprendimento di una lingua straniera il possesso del parlato si pone come obiettivo più difficile da
conseguire.
L’insegnamento linguistico deve essere centrato sui testi di genere differente, prodotti in situazioni
diversificate con scopi diversi. In questo modo si può far scaturire la grammatica dai testi. Nello
stesso tempo si dovrebbero insegnare le strutture delle frasi, partendo dalle più semplici e frequenti; una
certa cura andrebbe prestata al lessico.
Selezionare e graduare il materiale e le attività per raggiungere gli obiettivi significa tener conto
che il parlato di qualsiasi lingua è differenziato a seconda che sia narrativo, descrittivo e
argomentativo. Nel parlato in L2 sarà più facile per gli allievi comprendere i testi fonologici piuttosto che
quelli conversazionali, come la fruizione di testi descrittivi o narrativi sarà più facile dei testi
argomentativi. Per la riflessione sull’attività di produzione è utile usare un registratore.

CAP.VIII
METODI IN GLOTTODIDATTICA
Che cosa si intende per metodo
Imparare una seconda lingua equivale ad avviare un processo che riguarda l’individuo nella sua totalità, al
termine del quale la persona sarà bilingue. Il bilinguismo è l’obiettivo ottimale, misura al tempo stesso del
successo dell’apprendente e dell’efficacia dell’intervento didattico. E visto che l’insegnamento deve essere
concepito come un processo di facilitatore dell’apprendimento, esso sarà tanto più efficace quanto più chi
insegna è consapevole che la complessità del proprio compito deriva dalla interazione di diverse variabili.
Il concetto di metodo è nato proprio dall’esigenza di rispondere a tale complessità. I metodi si
possono considerare delle teorie dell’insegnamento della lingua, che tendono a presentarsi come unitarie,
coerenti e rigorose. Ciascun metodo è caratterizzato da un approccio teorico, che pone diversamente
l’accento sulle variabili del processo di insegnamento/apprendimento. Per chi insegna una lingua il
metodo è prima empirico e poi teorico e continua ad essere avvertito come una sorta di ricetta valida in
tutti i contesti.

Evoluzione e tipologia dei metodi


Si possono individuare varie fasi nello sviluppo cronologico dei metodi.
La prima fase, che si estende dal secolo scorso ai primi del 900, riguarda l’innovazione didattica
dell’insegnamento delle lingue straniere nei curricula scolastica e il metodo inizialmente coincide con
la struttura dei manuali, di tipo normativo. Il che cosa è la lingua straniera da
insegnare/apprendere.
L’evoluzione di questa prima fase dipende sia da una maggiore efficacia didattica, sia dalla individuazione
della linguistica descrittiva, cioè da un graduale mutamento di prospettiva relativo al che cosa insegnare;
La seconda fase, che va dagli anni ’40 agli anni ’60 del novecento, è caratterizzata da una grande
espansione dell’insegnamento delle lingue straniere, presente in molti percorsi formativi anche non
convenzionali.
Inizialmente il riferimento teorico è costituito dalla linguistica strutturale di Leonard Bloomfield, permeato
di comportamentismo; il successo dell’apprendimento viene fatto dipendere dalla qualità
dell’insegnamento, determinata dall’adozione di un metodo scientificamente adeguato. Verso la fine degli
anni ’60 si verificano importanti cambiamenti di prospettive nella didattica linguistica.
Nel delineare i metodi, vanno presi in considerazione alcuni fattori:
 il contesto storico, in cui si è affermato un certo metodo;
 l’approccio, cioè la relazione più o meno diretta con assunti di ordine teorico ( in particolare
con i paradigmi della ricerca linguistica e glottodidattica );
 la produzione di tecniche, che mantengono una vitalità al di là del metodo cui sono state
associate.

La nascita del concetto di metodo


Il metodo grammaticale-traduttivo
Contesto storico. Inizialmente tale metodo si è sviluppato per l’insegnamento delle lingue classiche, ma poi
diventa un metodo per quelle straniere. Innanzitutto ci sono ragioni di prestigio culturale che portano ad
estendere il metodo dalle lingue classiche a quelle moderne, ma anche ragioni pratiche in quanto esso è
facilmente adottabile dall’insegnante, la cui competenza linguistica nella L2 è scarsamente in gioco perché
l’insegnamento è costantemente affiancato dall’uso del manuale.
Assunti teorici. In questo metodo non vi sono assunti teorici espliciti e quindi esso è pre-teorico;
conoscere
una lingua equivale ad apprendere le regole grammaticali e il lessico. L’attenzione si focalizza sul lessico.
Tecniche. L1 è la lingua attraverso la quale avviene l’insegnamento di L2; si fa infatti uso di un
metalinguaggio grammaticale espresso in L1.
Le regole grammaticali vengono memorizzate secondo una progressione che va dal semplice al complesso.
La traduzione viene utilizzata come esercizio sistematico, condotta sia su batterie di frasi composte ad hoc,
sia su classici della letteratura di L2.
La valutazione è condotta sulla correttezza formale delle traduzioni, cioè devono essere conformi ai modelli
proposti.

Reading method
Contesto storico. Il metodo di sola lettura viene elaborato negli anni ’20 per opera di alcuni educatori
inglesi e statunitensi ed è tra le due guerre che si diffonde maggiormente nelle istituzioni educative
superiori statunitensi.
Assunti teorici. Rispetto al metodo grammaticale-traduttivo, non cambia l’idea che la conoscenza linguistica
consiste nell’implementazione di conoscenze lessicali e conoscenze grammaticali. Inoltre la lingua
scritta rimane il riferimento principale. La novità è che gli obiettivi dell’insegnamento-apprendimento si
possono restringere ad una sola abilità, quella di lettura e comprensione dei testi in lingua
straniera, senza mediazioni traduttive.
Tecniche. Uso della L1 come lingua di insegnamento; esercizi di lettura orale in L2; focalizzazione
sull’apprendimento lessicale e su esercizi di controllo del vocabolario, ripetizione regolare di parole nuove.
Distinzione tra lettura rapida (estensiva ) e lettura intensiva. Inoltre la lettura si esercita su testi costruiti
ad hoc, secondo una visione graduata dell’apprendimento.

Modello diretto
Contesto storico. Col nome di metodo diretto ci riferiamo a una serie di metodi, naturale, fonetico,
psicologico, che rientrano tutti, con le loro caratteristiche, nella riforma dell’insegnamento delle
lingue straniere avviatosi in Europa a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Essi danno
importanza prioritaria al parlato rispetto allo scritto. Il metodo tradizionale viene criticato per la sua
inadeguatezza sia didattica che scientifica.
Assunti teorici. Tutti i metodi diretti si basano sull’assunto che l’apprendimento della lingua
straniera è tanto più efficace se avviene in modo naturale, cioè simile all’apprendimento della lingua
materna; la naturalezza dell’apprendimento si fonda sul contatto diretto con la lingua da apprendere, che
può avvenire o nel contesto in cui la lingua straniera viene realmente usata o attraverso la
simulazione del contesto naturale della classe in cui l’uso della L1 viene abolito. In pratica
l’apprendimento di LS avviene per immersione dell’apprendente nel contesto d’uso della lingua da
apprendere.
I metodi diretti affermano la priorità didattica dell’oralità rispetto alla scrittura in quanto grande cura viene
dedicata agli aspetti fonetico-articolatori-uditivi; inoltre si sottolinea la funzionalità della lingua
rispetto agli scopi pratici della comunicazione. Vengono abbandonate le pratiche traduttive,
l’insegnamento grammaticale poiché si ritiene che la correttezza grammaticale si apprenda inizialmente
per imitazione e poi in modo induttivo.
Tecniche. Tra le tecniche di questo metodo abbiamo la presentazione orale di L2 attraverso la lettura, da
parte del docente, di testi prodotti ad hoc sui quali si effettuano una serie di attività, come lettura ad alta
voce per curare la corretta pronuncia, ricostruzione del significato dei singoli elementi lessicali ricorrendo
al
contesto e all’associazione parole/immagini, oppure attraverso l’uso di parafrasi e sinonimi.
La comprensione del testo viene ricostruita e rafforzata attraverso esercizi di domanda-risposta.
L’approccio alla scrittura avviene successivamente a tutte le fasi dell’oralità.
L’apparato normativo della grammatica tradizionale viene abbandonato per far posto agli
aggiornamenti della linguistica descrittiva.

Il metodo come mito della glottodidattica


Metodo meccanicistico audio-orale
Contesto storico. Questo metodo trae le sue origini dall’Army Specialized Training Program (ASTP), la cui
elaborazione è legata a uno dei più autorevoli esponenti dello strutturalismo americano, Bloomfield.
La base di questo metodo è che bisogna fondare l’insegnamento linguistico su basi scientifiche che
ne garantiscono l’efficacia.
Negli anni ’50-60 il metodo audio-orale diventa il metodo ufficiale per l’insegnamento delle lingue;
la diffusione di esso avviene per vari fattori, come l’aggiornamento tecnologico, la diffusione del
laboratorio e l’autorevolezza scientifica del metodo stesso.
Assunti teorici. Gli assunti teorici, che sono alla base del metodo, determinano sia le tecniche che
il language testing, ossia la verifica dell’apprendimento che diventa parte integrante della didattica.
Essi ruotano intorno alla Teoria dell’apprendimento linguistico formulata nell’ambito dello
strutturalismo
comportamentistico prima da Bloofield e poi da Skinner e da Lado.
In questo quadro teorico, la lingua viene vista come un comportamento e l’apprendimento linguistico
come
l’acquisizione di abitudini comportamentali: il comportamento verbale si integra con i comportamenti non
verbali in un circuito di stimoli e risposte. L’apprendimento linguistico avviene grazie all’interazione
linguistica con l’ambiente ed è determinato da due fattori, cioè l’imitazione e la memorizzazione. In
tal senso il processo di apprendimento in L2 è considerato analogo a quello di L1, per quanto
riguarda i meccanismi fondamentali; però chi apprende una seconda lingua deve sovrapporre alle
abitudini linguistiche già acquisite (i patterns di L1) nuove abitudini ( i patterns di L2); tale
sovrapposizione può produrre interferenza a tutti i livelli della struttura linguistica. La previsione
dell’errore di lingua e la sua eliminazione attraverso esercizi opportuni, calibrati su una conoscenza
preventiva delle possibili interferenze tra L1 e L2, è centrale nel metodo audio-orale e per questo il
suo supporto teoretico più significativo è l’analisi contrastiva.
Un altro assunto teorico importante del metodo audio-orale è la distinzione di 4 abilità (skills) linguistiche:
speaking e listening sull’asse produttivo-ricettivo dell’oralità, considerato prioritario e writing e
reading sull’asse produttivo-ricettivo della scrittura. Lo sviluppo delle quattro abilità corrisponde a
momenti differenziati dell’attività didattica, rimanda a tecniche differenti e richiede procedure di verifica
specifiche.
Tecniche. Per quanto riguarda le tecniche, l’insegnamento avviene a partire dall’enunciato,
considerato l’unità strutturale di base, in cui si integrano le strutture fonetico-fonologiche, morfologiche,
sintattiche e le conoscenze lessicali. Non c’è mediazione della L1 con il materiale linguistico e gli esercizi
vengono introdotti attraverso il laboratorio linguistico, con esercizi strutturali, attraverso i quali
vengono interiorizzati i patterns della lingua da apprendere. Ci sono esercizi tesi alla discriminazione
fonetico-fonologica, alla memorizzazione, all’implementazione del lessico. La memorizzazione degli
enunciati e delle sequenze dialogiche avviene attraverso frequenti esercizi di ripetizione imitativa.
L’insegnante non è dotato di una particolare autonomia didattica, ma è oggetto di una specifica formazione
per utilizzare adeguatamente tale metodo ed è spesso affiancato da una persona madre-lingua. La
sua funzione è quella di guidare l’apprendente lungo un cammino segnato da mappe precise e di
effettuare
verifiche sull’apprendimento; l’uso di L1 è evitato, ma non proprio escluso.

Metodo strutturo-globale audiovisivo


Contesto storico. Questo metodo è stato elaborato presso il CREDIF nel 1961, in Francia, associato
a programmi audiovisivi per l’insegnamento del francese L2.
La principale novità del metodo CREDIF è quello della presentazione dei materiali linguistici attraverso lo
strumento audiovisivo ( televisivo ). Il sonoro, in francese, è comprensibile sul piano semantico,
grazie all’associazione con la sequenza visiva, nella quale personaggi fissi agiscono in situazioni tipo.
Questo metodo è molto rigido sia nella progressione delle unità didattiche, sia nell’organizzazione di ogni
singola unità didattica; ciò è vincolante per l’insegnante, il quale deve seguire specifici corsi di formazione.
Assunti teorici. Il metodo ha forti affinità con il metodo audio-orale, in quanto si propone come
applicazione didattica dei principi teorici derivanti dalla linguistica strutturale. Questo metodo è strutturale
nella progressione del materiale linguistico; si parte dalla frase e poi si cura la pronuncia, la morfologia e
l’implementazione lessicale. Presenta anche elementi di novità sintetizzati dalla denominazione globale
che
qualifica il metodo.
Il primo assunto è che la lingua non può essere presentata al di fuori di un concreto contesto comunicativo
che viene ricreato con l’ausilio di strumenti audiovisivi; il secondo assunto è che la simulazione costituisce
anche l’occasione per la presentazione della cultura e della civiltà.
Inoltre il metodo è innovativo sul piano teorico perché individua 3 stadi di apprendimento linguistico:
1) il primo stadio corrisponde al Francais fondamental in cui avviene una iniziale familiarità
con la lingua;
2) il secondo stadio prevede la capacità di parlare con disinvoltura di argomenti generali;
3) il terzo stadio prevede la capacità orale e scritta di produrre e intendere discorsi più
formali e specialistici.
Tecniche. Sul piano delle tecniche è innovativa l’identificazione della tecnologia audiovisiva come la tecnica
di presentazione, cioè come contenitore di materiali linguistici da cui è possibile articolare unità didattiche
in cui la sequenza audiovisiva fa da filo conduttore situazionale.
Nel CREDIF i programmi si presentano come un pacchetto attentamente articolato in unità
didattiche, organizzate attraverso la decostruzione del filmato in sottosequenze, significative ai fini
dell’apprendimento.

Approccio nozionale-funzionale (ANF) e Communicative Language Teaching (CLT)


Negli anni ’80 l’approccio nozionale-funzionale e il Communicative language Teaching sono
importanti perché si adottano strumenti di programmazione come il sillabo e l’unità didattica e
concepiscono la didattica come una forma di sapere comunicativo. Questo approccio dà un
contributo importante alla glottodidattica, in quanto dà peso al concetto di sillabo e ai problemi di
syllabus design. I sillabi più comunemente usati sono di tipo nozionale-funzionale per la produzione
manualistica specifica per la didattica linguistica.
Il Communicative Language Teaching, invece, con le sue numerose riflessioni teorico-pratiche, ha
contribuito ad aggiornamenti continui sulla definizione di competenza comunicativa.
L’importanza del sillabo dipende dall’esigenza di coniugare una programmazione didattica rigorosa con la
libertà operativa stimolata dal paradigma comunicativo. Ciò comporta scelte sul piano teorico: il che cosa
insegnare (quale lingua a quali fini culturali? ) può essere fatto dipendere da dove lo si insegna
(quale lingua in quale comunità?) e condizionare la riflessione sul come lo si insegna ( qual è il
medium dell’insegnamento? ).

Annotazioni sul concetto di funzione linguistica


Il concetto di funzione linguistica, definito inizialmente da Jakobson, venne ripreso dagli esponenti
più importanti dello strutturalismo linguistico britannico, in particolare gli studi di Halliday, orientati
alla problematica dell’acquisizione/apprendimento linguistico.
Il punto di vista di Halliday è rinforzato anche dalle ricerche sociolinguistiche di Bernstein sui contesti della
trasmissione culturale nella prima infanzia; per Halliday, quindi, le interazioni linguistiche sono il
veicolo essenziale di questa trasmissione. Così le funzioni linguistiche si possono definire come degli
insiemi di adeguatezza semantica tra l’enunciato e la situazione in cui l’enunciato viene prodotto.
Inizialmente si sviluppano sei funzioni, quella regolativa, internazionale, immaginativa, euristica,
personale, strumentale, durante tre fasi di sviluppo che vanno dall’infanzia all’età adulta. Nella
transizione dall’infanzia all’età adulta si sviluppano le due funzioni che Halliday chiama generalized, cioè la
funzione pragmatica relativa al fare e la funzione matetica relativa all’apprendere. Nella terza fase relativa
al sistema linguistico adulto, si sviluppano tre meta funzioni, quella interpersonale, testuale e ideativa.

Approccio nozionale-funzionale
La prospettiva di Holliday è l’assunto teorico di riferimento per l’ANF, elaborato da Wilkins che traduce in
termini glottodidattica il concetto di funzione; in pratica egli definisce quale caratteristiche deve avere un
sillabo e distingue tra sillabo nozionale e sillabo funzionale. Con il termine sillabo ci si riferisce all’insieme
di contenuti grammaticali.
Nel sillabo nozionale la selezione e la sequenza dei materiali linguistici proposti all’apprendente è
determinata da criteri semantici e deve corrispondere all’esigenza di comunicare correttamente
certi contenuti, indipendentemente dalla complessità delle forme linguistiche richieste.
Il sillabo funzionale invece si concentra sulle funzioni comunicative ed è maggiormente adatto ad
apprendenti che avendo già un primo livello di conoscenza di L2 possono aspirare a conseguire
rapidamente un certo livello di proficiency.
La competenza funzionale come lo concepisce Halliday è centrale per la trasmissione di significato, cioè ai
fini comunicativi, ecco perché non c’è divisione tra l’approccio nozionale-funzionale e quello comunicativo.

Annotazioni sul concetto di competenza comunicativa


L’espressione competenza comunicativa è nata in ambito socio-linguistico in seguito alla critica fatta
al concetto chomskiano di competence, considerato molto ristretto in quanto si limita alle conoscenze di
tipo formale-strutturale.
Douglas Brown sintetizza tale critica sostenendo che la competenza comunicativa non è un
costrutto intrapersonale come si legge nei lavori di Chomsky, ma è un costrutto interpersonale che
può essere analizzato solo grazie alle esecuzioni linguistiche (performance) di due o più persone
nel corso di un processo di negoziazione del significato.
Oltre alla sociolinguistica, ci sono state altre correnti di pensiero nell’ambito della linguistica degli anni ’60
che hanno messo in luce come il significato degli atti linguistici sia il prodotto di una negoziazione tra gli
interlocutori.
Gli studi di linguistica testuale e di pragmalinguistica mostrano il carattere sistematico delle conoscenze
che presiedono a tale cooperazione tra gli interlocutori nel corso della comunicazione linguistica e
come dipendono dal codice linguistico adottato. Il processo della competenza comunicativa deve
rispondere all’esigenza primaria dell’effettiva capacità d’uso della lingua in questione a scopi
comunicativi, cioè di socializzazione.
Comunque la letteratura glottodidattica che si richiama al concetto di competenza comunicativa afferma
che nel processo di acquisizione apprendimento di una lingua (L1 o L2) le competenze
sociolinguistiche, testuali, pragmatiche, si integrano precocemente nelle conoscenze più formali. A tal fine
il CLT studia come proporre input diversificati tenendo conto delle esigenze degli apprendenti, definibili a
partire da variabili come l’età e le motivazioni.

CLT Communicative Language Teaching


Sandra Savignon offre un contributo significativo al paradigma comunicativo. Ella definisce il
curriculum comunicativo; in pratica secondo la Savignon il curriculum è composto da 5 componenti che si
integrano e si alternano (5 aree):
1) un’area di attività ( Language arts ), focalizzata sugli aspetti formali della lingua;
2) l’area di lingua per uno scopo prevede l’uso di L2 come lingua franca di comunicazione nella
classe;
3) l’area di uso personale di L2 mira agli aspetti affettivo-emotivi dell’uso linguistico;
4) l’area della drammatizzazione si focalizza sull’importanza dei ruoli nell’interazione
linguistica;
5) un’area oltre la classe che prevede il contatto diretto fra gli apprendenti e L2, che
eventualmente può avvenire attraverso i media.
Una glottodidattica finalizzata a contribuire alla competenza comunicativa dell’apprendente deve
tener conto di alcuni fattori, e cioè:
 sul piano dell’apprendente le motivazioni sono molto importanti;
 sul piano dell’approccio didattico è importante usare il sillabo come tecnica di
programmazione, ma le fasi della selezione e gradazione dipendono da una prospettiva
comunicativa dove sono importanti i fattori quali l’età degli apprendenti, il tempo a loro
disposizione, il contesto linguistico e le finalità del corso;
 sul piano delle tecniche del Taylor made, cioè i materiali vengono selezionati
dall’insegnante grazie all’uso di nuove tecnologie;
 la classe non ha una posizione frontale, ma circolare;
 nella contrapposizione oralità/scrittura, l’oralità è molto curata, difatti viene dato ampio
spazio al listening.

Suggestopedia
La suggestopedia è un metodo elaborato dallo psicologo bulgaro Gregori Lozanov con l’obiettivo di creare
intorno all’apprendimento le condizioni ambientali più favorevoli all’apprendimento. Questa tecnica lavora
sull’associazione uditiva tra la musica barocca e il flusso del parlato in L2. Le lezioni non sono innovative
sul
piano delle tecniche di presentazione della lingua, infatti i materiali sono classici, ma per il fatto che le
pause di silenzio e di concentrazione si alternano con l’ascolto sia della musica che del parlato
prodotto dall’insegnante. Nella prima fase della lezione l’ascolto si accompagna alla lettura silenziosa, da
parte di ogni apprendente, della traduzione delle parole del docente; nella seconda fase il docente ripete il
suo testo e gli apprendenti ascoltano; l’apprendente poi dovrà ripetere una lettura silenziosa del testo la
sera prima di coricarsi e la mattina prima di alzarsi.
In pratica la suggestopedia applica all’’insegnamento linguistico tecniche di memorizzazione, dando
ai
fattori mnemonici un peso considerato eccessivo.

Total Physical Response (TPR) e Natural Approach (NA)


Tra i due approcci c’è un collegamento tecnico, infatti entrambi sviluppano la problematica che riguarda
l’apprendente dell’interazione tra conoscenza acquisite e conoscenze apprese nel definire i processi
cognitivi. Inoltre entrambi concordano sul fatto che la comprensione della lingua è un momento
preliminare, mentre l’attività di produzione degli enunciati avviene successivamente e con un ritardo
iniziale. Il TPR però trova la sua fonte nella psicologia, mentre l’Approccio naturale nasce come
conseguenza didattica delle ricerche condotte da Krashen.

Total Phisical Response (TPR)


Total Phisical Response elaborato da Asher, è stato discusso per circa un decennio prima di essere adottato
in via sperimentale e questo lungo percorso di elaborazione e di discussione ne ha fatto un
metodo affidabile.
Gli assunti teorici su cui si fonda il metodo sono molteplici e vanno dalle scienze psicologiche alle
neuroscienze, alla letteratura sulla Language Acquistion. Inoltre il metodo non trascura il versante affettivo-
motivazionale dell’apprendimento ed elabora tecniche che mirano a ridurre i fattori ansiogeni o di stress
nell’ambiente-classe. È l’insegnante che in questo metodo coordina e dirige il gioco. Però questa
sua posizione è solo apparentemente direttiva, infatti i suoi enunciati (comandi e richieste) hanno un
risvolto operativo nell’esecuzione delle attività richieste: l’attività motoria è costante nella classe e spesso
ludica per rispondere a richieste buffe e paradossali.
L’apprendente non riceve sollecitazioni a produrre enunciati nella lingua target, ma lo farà quando si
sentirà in grado di farlo. La prima tappa si considera raggiunta quando l’apprendente accompagnerà
all’attività motoria anche quella verbale in LT (Lingua Target, l’unica utilizzata in classe). Questo
metodo è efficace almeno ai livelli di un’ iniziale proficiency.

Natural Approach (NA)


Il Natural Approach è legato al nome di Stephen Krashen, maggiore studioso in ambito SLA. Il modello di
Krashen è influenzato dalla posizione di Chomsky, secondo cui esiste nel modello linguistico un
sottomodulo dedicato all’apprendimento linguistico (LAD, Language Acquisition Device). Krashen,
interrogandosi su quali caratteristiche interne potrebbe avere tale modulo, mette a confronto il
processo di acquisizione/ apprendimento di L2 con quello di L1e formula un’importante ipotesi
naturale secondo cui anche l’apprendimento di una L2 procede secondo una progressione naturale.
Krashen ritiene che esiste una dicotomia tra le conoscenze acquisite e quelle apprese;
l’acquisizione sarebbe il risultato della processazione spontanea dell’input da parte dell’apprendente e
questo processo sarebbe condizionato, in modo positivo o negativo, dai valori del filtro affettivo
(motivazioni, stili cognitivi, ecc…). L’apprendimento interverrebbe unicamente sull’output per garantire la
conformità ai modelli dati, attraverso la funzione del monitor. L’automonitoraggio esercitato sugli
enunciati nel corso della produzione linguistica dipende da caratteristiche particolari della situazione
comunicativa, come il tempo a disposizione, la richiesta di un registro formale, l’asimmetria di ruolo
tra gli interlocutori.
Il modello di Krashen è stato criticato da Tarone, la quale sostiene che la L2 prodotta
dall’apprendente risente della variabilità sociolinguistica fin dai primi stadi del suo sviluppo, cioè i
fattori ambientali avrebbero un peso sia in entrata che in uscita. All’immagine del monitor, la Tarone
contrappone la metafora del camaleonte, difatti camaleontica è l’approssimazione dell’apprendente
alla LT (lingua del paese di accoglienza). In tal modo appare come strategia di apprendimento la
tendenza mimetica che permette all’apprendente di simulare gradi via via crescenti di assimilazione
nell’ambiente di L2.
Nella loro proposta metodologica (NA), Krashen e Terell condividono il punto di vista di Asher sulla
necessità che la produzione linguistica dell’apprendente sia dilazionata fino al momento in cui
emerge spontaneamente la necessità di parlare in L2. Affinché questo avvenga è necessario che
l’atmosfera di classe sia rilassata e priva di tensioni e lo scambio linguistico deve essere finalizzato a scopi
comunicativi, e non ad analisi della forma linguistica.
Il NA si pone come proseguimento ideale del TPR, passando da un livello in cui gli scopi comunicativi sono
relativi ad attività motorie, ad un livello caratterizzato dalle esigenze di una comunicazione
quotidiana.
Anche nel NA l’insegnante gioca un ruolo centrale nell’organizzare le attività, egli infatti fornisce
l’input all’apprendente, proponendo attività stimolanti; la sua lingua deve essere commisurata al
livello di conoscenza dell’apprendente, ossia comprensibile a quel livello. Krashen e Terell ipotizzano tre
stadi del percorso di apprendimento:
1) stadio di preproduzione, in cui si sviluppano le capacità di ascolto e comprensione;
2) stadio di produzione iniziale, caratterizzato dalla presenza di numerosi errori negli enunciati
prodotti che dipendono dallo sforzo di usare la LT; in questo stadio l’insegnante focalizza
l’attenzione sulla trasmissione del significato, evitando di intervenire con le correzioni;
3) estensione della produzione a frammenti di discorsi più ampi. In questo stadio
l’insegnante può intervenire occasionalmente a correggere gli errori.
Le critiche rivolte al NA riguardano il periodo di silenzio, il trattamento dell’errore, e in particolare non è
chiaro quale debba essere il comportamento nei confronti dell’apprendente quando questo tarda a uscire
dal periodo di silenzio. Ma forse la critica maggiore riguarda la difficoltà di definire il concetto di
input comprensibile da cui dipende la gradualità nell’introduzione di nuove difficoltà. Nonostante la
formula di Krashen, sembra che il metodo si affidi eccessivamente all’intuizione e all’abilità
dell’’insegnante.

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