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CAP.I
L’APPRENDIMENTO DI UNA PRIMA LINGUA E DI UNA SECONDA LINGUA
Apprendimento e insegnamento
Fino a dieci anni fa si pensava che l’insegnamento condizionasse l’apprendimento e quindi fosse prioritario
ad esso. Ma negli ultimi venti anni ci si è resi conto che l’iniziativa spetta a chi apprende e
quindi l’insegnamento si deve adattare alle sue esigenze e ai suoi ritmi di apprendimento. La data simbolica
per l’Italia è il 1975, quando De Mauro ed altri formularono le 10 Tesi sull’educazione linguistica
democratica, manifesto fondativo dei Gruppi di intervento e di studio nel campo dell’educazione
linguistica ( GISCEL ); quindi l’apprendimento e l’insegnamento non sono più visti come fenomeni
distinti, ma come due fenomeni interagenti e calibranti sui discenti (studenti). L’insegnamento di
conseguenza prenderà inconsiderazione i livelli di apprendimento e in base a questi formulerà gli
obiettivi e i metodi di sviluppi ulteriori. Si capisce come il lavoro dell’insegnante diventa più complesso in
questo nuovo quadro.
L’apprendimento di una lingua materna
Il linguaggio è un tratto caratteristico della specie umana per cui il bambino acquisisce la lingua materna in
modo naturale, secondo un percorso di sviluppo che gli consentirà poi di comprendere e produrre la lingua
a cui è esposto. Tuttavia lo sviluppo del linguaggio avviene nel periodo in cui persiste la plasticità
neuronale e ancora non si è concluso lo sviluppo della lateralizzazione, evento che si presenta intorno alla
pubertà.
I bambini sono partecipanti attivi e creativi nel processo di acquisizione della lingua materna e l’abilità di
generare un numero illimitato di frasi dotato di significato non deriva da semplice addestramento. Inoltre
i genitori non sono l’unico modello di apprendimento del linguaggio, difatti anche il gruppo dei pari
produce tale apprendimento. Ci sono diverse teorie che ci spiegano come avviene l’acquisizione del
linguaggio.
L’ipotesi comportamentista
Questa ipotesi parte dall’assunto che l’apprendimento del linguaggio sia una questione di imitazione
e formazione di abitudini. Tale assunto risale a Skinner secondo il quale il bambino impara mettendo in
atto certi comportamenti, le abitudini, attraverso l’imitazione e il rinforzo. Questa spiegazione però non ci
dà un quadro della complessità linguistica dell’adulto perché il focus è incentrato sulla pronuncia e
sull’uso iniziale delle parole e non sull’acquisizione della grammatica.
Skinner per spiegare l’acquisizione della sintassi elabora e sviluppa la nozione di stimolo-risposta-rinforzo e
di associazione; in questo modo la struttura della frase consiste di associazioni tra le parole della frase.
Per i comportamentisti i bambini hanno un ruolo passivo nel processo di apprendimento. Nelle primissime
fasi dell’acquisizione linguistica l’imitazione e la pratica sono principi primari dello sviluppo del linguaggio.
L’imitazione è l’espressione più vicina a quella dell’adulto (ad esempio madre: Simone va a dormire;
Simone: dommie va). Le imitazioni non sono casuali e non durano a lungo. Quando determinate strutture
diventano stabili, il bambino cessa di imitarle e si concentra su altre; sembrerebbe che il bambino selezioni
gli elementi da imitare e ciò che imita si basa su ciò che già conosce piuttosto che su quello
disponibile nell’ambiente.
La pratica invece è una sorta di manipolazione della forma sulla base di primissime generalizzazioni
di regole (ad esempio Simone: vengo io? Venghi tu? Matti venghi? ).
Interessante è anche il ruolo delle routine che contraddistinguono l’interazione con il bambino, difatti
nell’acquisizione di una prima e di una seconda lingua, tale termine è riferito alle interazioni che
avvengono tra il bambino e la madre. Con le routine il bambino partecipa attivamente all’ interazione e
acquisisce la parola richiesta; inoltre esse fanno da sostegno allo sviluppo comunicativo.
L’ipotesi comportamentista però non è sufficiente a spiegare gli aspetti più complessi della struttura del
linguaggio, infatti il limite di Skinner è stato quello di dare un peso quasi esclusivo alle influenze ambientali
sul bambino rispetto alla componente cognitiva.
L’apprendimento comportamentista non considera l’aspetto creativo del linguaggio e spiega solo come i
bambini imparano alcuni aspetti regolari e routinari del linguaggio. Inoltre l’assunto comportamentista
parte dalla considerazione che apprendere una L2 significa superare le abitudini legate alla lingua materna;
ma non si apprende per abitudini altrimenti non si spiegherebbe la creatività linguistica.
L’ipotesi innatista
Questa ipotesi si contrappone a quella comportamentista. Il suo maggiore esponente è Chomsky il quale
ritiene che l’apprendimento del linguaggio non può essere ridotto alla semplice acquisizione di abitudini
linguistiche in quanto da sole non spiegano la creatività del linguaggio umano.
Secondo Chomsky l’apprendimento linguistico è determinato da un patrimonio innato; in pratica gli esseri
umani sono programmati biologicamente al linguaggio in quanto esso è una facoltà innata dell’uomo. Egli
sostiene che esiste un set di principi innati comuni a tutti gli individui e a tutte le lingue, presenti in una
Grammatica Universale; questa è parte della mente umana e permette al bambino di costruire la propria
grammatica. La GU è formata da una serie di principi comuni a tutte le lingue e il bambino non deve fare
altro che apprendere il modo in cui la propria lingua utilizza questi principi.
Nell’area della sintassi un esempio di principio acquisizionale oltre che strutturale del linguaggio è
il principio della dipendenza della struttura, secondo cui è necessario operare un’analisi strutturale della
frase per applicarlo e per Chomsky il bambino possiede tale principio. Però l’idea che tutto sia
innato dall’inizio, non rende conto di ciò che avviene nel percorso di sviluppo e delle ipotesi intermedie
che il bambino formula sulla lingua che sta apprendendo. Ciò conduce all’ipotesi costruttivista.
L’ipotesi costruttivista
Questa ipotesi si focalizza sul ruolo dell’ambiente linguistico e sulla interazione con le predisposizioni
innate del bambino nel determinare lo sviluppo delle capacità linguistiche. Le strutture del linguaggio
infantile non provengono né dal patrimonio genetico, né dalle strutture della lingua adulta, ma dipendono
dalla struttura delle abilità cognitive e socio-cognitive del bambino.
Attraverso alcuni studi si sono acquisiti nuovi dati relativi agli effetti che l’input ha sul processo di
apprendimento; l’input è l’esperienza che il bambino fa della lingua. I meri dati linguistici, a differenza di
come sosteneva Chomsky, non sono poveri e sgrammaticati, infatti i genitori quando ripetono le
frasi pronunciate dai bambini, lo fanno in modo grammaticalmente corretto. Nell’interazione tra
madre e bambino il linguaggio viene adattato al livello di comprensione del bambino e tale adattamento
varia in funzione dell’età, del comportamento e della interazione.
Nel linguaggio rivolto al bambino gli enunciati vengono continuamente ripetuti e l’intonazione, la velocità,
l’ordine delle parole, vengono modificate senza che il linguaggio subisca variazione. L’intonazione è
accentuata ed esagerata, la fonologia è semplice e la combinazione di vocali e consonanti è ben distinta.
Alcuni studi stabiliscono che c’è una relazione tra il primo vocabolario del bambino e l’uso del lessico da
parte della madre, quindi le prime fasi dello sviluppo lessicale si originano poiché il bambino
utilizza particolari parole adoperate negli stessi contesti. Questi studi confermano l’ipotesi secondo cui lo
sviluppo del linguaggio è influenzato dall’esperienza sociale e linguistica del bambino.
L’ipotesi costruttivista indaga sulle differenze che i bambini dimostrano nell’acquisire il linguaggio; i
bambini non apprendono tutti allo stesso modo e seguono percorsi diversi proprio perché hanno
caratteristiche diverse riguardanti la personalità, le strategie educative e la lingua che viene appresa.
Slobin, confrontando lingue diverse, ha formulato dei principi su come il bambino organizza
cognitivamente il linguaggio: un primo principio riguarda il modo in cui i bambini prestano attenzione alla
fine delle parole. Questo principio prevede che i suffissi vengano acquisiti prima dei prefissi, e quindi che le
terminazioni delle parole vengano pronunciate per prime. L’idea portante è che la lingua viene utilizzata
per esprimere le cognizioni del bambino dell’ambiente fisico e sociale, per cui un bambino non
può utilizzare una forma in modo significativo fino a che non è capace di riconoscere cosa significa.
Secondo questo approccio, dunque, l’acquisizione del linguaggio è dovuta ad una interazione continua tra
un’informazione geneticamente specificata e un apprendimento successivo.
Come si vedrà, alcune teorie danno importanza alle caratteristiche innate dell’apprendente, altre al ruolo
dell’ambiente e altre ancora cercano di integrare i due fattori per tentare di rendere conto di come viene
appresa una seconda lingua. Comunque è chiaro che un bambino o un adulto che apprendono una
seconda
lingua sono in una condizione diversa rispetto a un bambino che acquisisce una prima lingua e le differenze
sono legate sia alle caratteristiche personali di chi apprende e sia alle differenti condizioni di
apprendimento.
I codici utilizzati dai parlanti di una L1 sono detti codici semplici o semplificati e sono:
Il motherese è il codice semplificato utilizzato da una madre che si rivolge al suo bambino.
Il foreigner talk è la lingua parlata dallo straniero e per lo straniero.
Ciò che accomuna questi due codici è la semplificazione, che consiste nel modulare il proprio codice per far
si che l’apprendente possa capire.
CAP.II
INTERLINGUA: MODELLI E PROCESSI DI APPRENDIMENTO
La ricerca sull’apprendimento di lingue diverse è iniziato circa trenta anni fa, quando si formulò il concetto
di interlingua, e recentemente si è estesa in seguito alle migrazioni sempre più massicce dal
mondo anglosassone a tutta l’Europa, compresa anche l’Italia.
Teorie innatiste
Il modello del Monitor
È forse il modello innatista su L2 più ambizioso. Fu elaborato nella seconda metà degli anni 70 da Krashen e
altri. Secondo Krashen l’apprendimento linguistico risente sia dei fattori ambientali esterni, sia dei fattori
interni all’apprendente, in particolare di tre meccanismi fondamentali: i primi due sono subconsci (il filtro
e
l’ organizzatore); il terzo cosciente (il monitor).
-Ambiente linguistico (INPUT) ----> Filtro ----> Organizzatore ----> Monitor ----> Esecuzione
dell’apprendente
(OUTPUT).
Il filtro socio-affettivo, in base a vari fattori ( motivazioni, attitudini, stati emozionali ), filtra l’input
linguistico e solo su quanto passa attraverso il filtro e arriva all’organizzatore, il cosiddetto intake,
si costruirebbe la competenza in L2. Di conseguenza forti motivazioni, stati emotivi rilassati,
favoriscono l’acquisizione.
Dopo il filtro, l’organizzatore elabora i dati e li organizza in un sistema. Il monitor invece è
responsabile dell’elaborazione linguistica consapevole, derivante dallo studio della grammatica e
visibile nelle autocorrezioni.
Da questo modello Krashen ha formulato la Teoria del monitor, di tipo deduttivo; essa si basa su cinque
ipotesi:
1) Ipotesi dell’acquisizione/apprendimento. Sono due sistemi conoscitivi diversi in quanto il
primo è inconscio, attivo anche per L1 e porterebbe alla formazione della competenza in L2. Il
secondo invece è conscio e superficiale, tipico dei contesti scolastici e comporta la conoscenza
formale di una lingua osservando le sue regole.
2) Ipotesi dell’ordine naturale. Le strutture della L2 verrebbero acquisite in un ordine fisso,
naturale e indipendente da quello seguito dall’insegnamento.
3) Ipotesi del monitor o editor. Questo sarebbe attivo nell’apprendimento linguistico
consapevole e non contribuirebbe all’acquisizione, ma solo alla revisione conscia dell’output.
4) Ipotesi dell’input comprensibile. Per Krashen tale ipotesi è centrale in quanto visto che il
vero responsabile dell’acquisizione è un dispositivo innato, basta fornirgli una sufficiente quantità e
qualità di input comprensibili perché questo operi.
5) Ipotesi del filtro affettivo. Il filtro affettivo non deve essere bloccato altrimenti l’input non
può essere rielaborato e interiorizzato, quindi non deve esserci ansia, ma motivazione ed autostima.
Il filtro avrebbe un ruolo di facilitazione/inibizione e non di causa dell’acquisizione.
La teoria del monitor è stata criticata perché è risultata poco chiara, per la scarsa documentabilità
tra acquisition e learning e perché trascura gli stadi intermedi dell’acquisizione.
La lingua materna ( L1 )
Il concetto di transfert, presente anche in psicologia, indica l’influsso che la L1 esercita sul sistema di L2 in
formazione.
Negli ultimi quindici anni l’interesse per il transfert si è rinnovato in chiave cognitiva ed è stato proposto
come influsso interlinguistico.
Nel transfert si riconosce un meccanismo cognitivo basilare, in pratica si tratta di un importante strategia di
acquisizione che guiderebbe nella scoperta ed organizzazione di nuove conoscenze.
Normalmente il transfert non sconvolge le sequenze acquisizionali ed è più o meno probabile a seconda
dell’età del soggetto ( di più negli adulti ), della sua personalità, dal livello di competenza, dal contesto e da
questioni di marcatezza o naturalezza.
CAP. III
LE CARATTERISTICHE DELL’APPRENDENTE
Due sono gli elementi che entrano in gioco nel processo di apprendimento di una L2:
La lingua che si vuole apprendere;
Il soggetto che intraprende il cammino dell’acquisizione.
Ci sono poi due gruppi di fattori che condizionano il successo o l’insuccesso dell’apprendimento di una L2:
I fattori interni che si riferiscono alle caratteristiche relative all’età, al carattere e alla
personalità;
I fattori esterni, cioè l’ambiente entro cui avviene il processo di apprendimento e le
caratteristiche del rapporto tra apprendente ed input linguistico.
Fattori interni
L’età dell’apprendente
Uno dei fattori interni più importanti che interagisce con lo sviluppo della competenza è l’età. E’ condiviso
che i bambini apprendono più facilmente degli adulti una L2 e raggiungono risultati migliori nei
livelli di acquisizione delle regole fonetiche. Invece gli adolescenti/adulti apprendono con più facilità
le regole sintattiche e pragmatiche di una L2.
Una spiegazione che chiarisce il rapporto tra l’età e l’esito del processo di apprendimento si fonda su basi
neurologiche, cioè sull’esistenza di uno o più periodi critici; gli studi hanno mostrato che una parte
del cervello si specializza nell’assolvere determinate funzioni secondo il processo di lateralizzazione
che rispetta i tempi della maturazione psico-fisica dell’individuo, cioè necessita di un certo lasso di tempo
per compiersi nella sua interezza.
La lateralizzazione è un prerequisito indispensabile per il pieno controllo della funzione linguistica, infatti
una volta terminato tale processo è quasi impossibile acquisire la lingua. Tutto ciò richiama il concetto di
età critica, ( o soglia critica, o soglia prossimale ) che indica il periodo in cui si compie il
processo di lateralizzazione.
Secondo alcuni studiosi, come Lenneberg, esiste un solo periodo critico e fino a 10-12 anni
l’apprendimento di L1 e L2 avviene in modo spontaneo e senza sforzo; in seguito l’individuo perderebbe la
sua plasticità cerebrale e la facilità di apprendimento.
Altri ritengono che esistono più età critiche e che quindi ogni abilità linguistica ha la sua soglia critica; la
prima che si afferma è quella fonetica, poi quella sintattica e infine quella semantica e pragmatica.
L’attitudine
Altro fattore che incide sull’apprendimento di una lingua è l’attitudine personale che l’individuo ha per lo
studio delle lingue; in pratica esiste un’inclinazione individuale alle particolari abilità che l’apprendimento
linguistico mette in gioco. Tale inclinazione o predisposizione è legata sia al carattere, sia ad abilità
linguistiche come la facilità a discriminare i suoni, la sensibilità grammaticale.
Gli studi di Skehan hanno messo in evidenza che la velocità di apprendimento di una L2 è frutto
della correlazione tra il profilo attitudinale dell’apprendente e fattori di tipo sociale, quali la classe
di appartenenza e il livello di istruzione dei genitori. Inoltre è stato messo in evidenza che
l’attitudine allo studio delle lingue è qualcosa di innato e di acquisito nello stesso tempo.
La motivazione
Altro fattore che incide sul processo di apprendimento di una L2 è la motivazione. Le tipologie legate alla
motivazione si raggruppano in due categorie, quelle di tipo culturale e quelle di tipo strumentale.
Le motivazioni culturali spingono l’apprendente verso la L2 sulla base di interessi culturali;
in quest’ambito la motivazione può essere integrativa quando l’apprendente si spinge verso un
rapido e completo inserimento nella società ospite. Questo tipo di motivazione è importante
soprattutto nell’apprendimento spontaneo, quando un apprendente immigrato si vuole integrare
velocemente nella società ospite per trovare un impiego, una casa, nuovi affetti, oppure per
migliorare le proprie conoscenze, viaggiare, ecc. Può essere anche intrinseca quando l’apprendente
vuole apprendere una lingua perché giudica positivamente le sue caratteristiche fonetiche,
sintattiche, ecc. ( ad esempio persone che decidono di apprendere il francese perché la giudicano
una bella lingua, oppure persone che decidono di studiare lo spagnolo e non il tedesco perché più
semplice da un punto di vista sintattico ).
Le motivazioni strumentali sono legate al desiderio dell’apprendente di raggiungere
specifici obiettivi o di rimuovere particolari ostacoli che incontra nel percorso di apprendimento di
una L2. Si ha una motivazione strumentale generale quando l’apprendente è motivato
all’apprendimento di una L2 per la necessità di trovare lavoro, per conseguire un titolo di studio, per
migliorare la propria condizione sociale, cioè per raggiungere un obiettivo. Si ha invece una
motivazione strumentale particolare quando l’apprendente vuole migliorare la propria competenza
in L2 per superare un ostacolo, come superare un test o per rispondere correttamente a
un’interrogazione. Questo tipo di motivazione spinge l’apprendente a chiarirsi sulla lingua.
Però nessuno dei diversi tipi di motivazione è in grado di garantire il successo nell’apprendimento,
pertanto l’insegnante deve promuovere diversi tipi di motivazione a seconda dell’apprendente che ha di
fronte.
Stili cognitivi
Attraverso interviste, questionari, è possibile individuare le strategie e le operazioni mentali che il discente
utilizza per apprendere una nuova lingua, in pratica il suo stile cognitivo.
Larsen-Freeman, Long, definiscono lo stile cognitivo come il modo preferito da un individuo di elaborare
l’informazione o affrontare un compito.
Possiamo distinguere, nell’ambito dell’apprendimento di una L2:
stile cognitivo dipendente dal campo, in cui l’apprendente elabora le informazioni tenendo
conto dei fattori contestuali, isolando con difficoltà i fenomeni dal loro contesto;
stile cognitivo indipendente dal campo, in cui l’apprendente elabora le informazioni in
modo analitico isolandole dal contesto.
Lo stile cognitivo si rileva mediante un test centrato su una figura geometrica presente in un disegno in cui
sono rappresentate, sovrapposte, altre figure.
Vari studi hanno dimostrato una correlazione positiva tra il successo dell’apprendimento di una L2 e lo stile
cognitivo indipendente dal campo; tale correlazione decade quando si considerano le differenze a
livello intellettivo generale.
Alcuni autori, come Chapelle e Green hanno infatti correlato questo tipo di stile non al successo
dell’apprendimento, quanto piuttosto all’indicatore di una intelligenza fluida, cioè la capacità
dell’individuo
di rispondere correttamente e in breve tempo alle sollecitazioni impreviste che provengono dalla realtà.
Conoscere uno stile permette all’insegnante di assegnare compiti specifici rispettando la personalità
dell’alunno.
Fattori affettivi
I fattori affettivi sono un filtro che si attiva o si disattiva lasciando passare quantità maggiori o minori di
informazioni per farle diventare regole. Tra questi fattori è presente il livello di ansietà che un individuo
attiva quando s’immerge nel processo di apprendimento e utilizzo di una L2.
Si parla di ansia linguistica quando l’individuo è nervoso nelle situazioni in cui deve utilizzare una L2. Tale
ansia deriverebbe, secondo MacIntyre e Gardner da esperienze negative precedenti nell’eseguire compiti
in
L2.
L’ansia è un fattore che incide negativamente sull’apprendente inibendolo nelle interazioni comunicative e
provocando scarsa partecipazione all’attività di classe.
Alpert e Harber fanno una distinzione tra:
ansia facilitante, quando essa rimane sotto una certa soglia, infatti l’apprendente vive in
uno stadio di attenzione vigile che agevola l’apprendimento;
ansia debilitante, quando essa supera una certa soglia e diventa debilitante, cioè paralizza
l’apprendente, limitandogli di progredire nella competenza.
Tra i fattori affettivi abbiamo anche tratti della personalità come autostima, introversione, estroversione,
anche se non esistono dati empirici in grado di fornire indicazioni sugli effetti che ha la personalità
sull’apprendimento.
Fattori esterni
Fattori sociali: l’ambiente in classe e fuori dalla classe
Per fattori sociali si intendono tutte le caratteristiche dell’ambiente in cui vive l’ apprendente e il suo stile
di
vita.
Nel valutare l’ambiente in cui avviene l’apprendimento bisogna soffermarsi su ciò che avviene in aula e su
ciò che avviene nell’ambiente sociale fuori dall’aula.
Per quanto riguarda l’ambiente in classe, l’apprendimento è migliore se il clima-classe è
accogliente e disteso, se sono chiari gli obiettivi dell’insegnamento e se sono presi in considerazione i
bisogni dei discenti, quindi nessuno deve sentirsi ai margini del processo di apprendimento e tutti
devono avere le stesse opportunità di usufruire dell’input.
Ovviamente l’insegnante può gestire l’ambiente in classe, ma non quello fuori. Nel caso in cui
l’apprendente impari la lingua nel paese nativo occorre considerare anche il tempo che l’apprendente
trascorre fuori dalla classe; questo ambiente è fortemente correlato con i successi e gli insuccessi che si
ottengono in classe.
La condizione socioculturale in cui avviene l’apprendimento rappresenta l’unica fonte da cui l’apprendente
attinge input per migliorare la propria competenza. Ad esempio, un apprendente che vive in una
condizione
sociale soddisfacente economicamente, è in contatto frequente con i parlanti del paese di madre lingua,
non avrà difficoltà ad apprendere la lingua straniera, anche se non è detto che sia sempre così. Si può però
ipotizzare che molte delle difficoltà nell’apprendimento siano dovute a un disagio sociale ( perdita di
lavoro, sfratto, ecc. ).
Uno dei modelli più convincenti per spiegare i rapporti che intercorrono tra le variabili sociali/ambiente e il
livello d’interlingua, è il modello multidimensionale del Progetto ZISA, formulato da ricercatori
tedeschi
alla fine degli anni ‘70 per analizzare l’acquisizione del tedesco da parte di immigrati italiani e
spagnoli.
Questo modello si basa su una dimensione evolutiva, determinata da fattori cognitivi universali, e su una
dimensione variabile, determinata da fattori socio psicologici legati al rapporto che l’apprendente ha con la
comunità ospite.
Sulla base di questo modello, nello studio delle tappe di acquisizione si hanno delle regole
immutabili, legate a fattori cognitivi universali e apprese da tutti, e delle regole che variano da individuo a
individuo in base alla dimensione psicosociale dell’apprendimento.
Dalla loro indagine è emerso che gli apprendenti con risultati migliori erano coloro che volevano rimanere
più a lungo in Germania, che utilizzavano il tedesco anche in famiglia e che mostravano di volersi integrare
con la comunità ospite; invece coloro che non volevano integrarsi, tendevano ad isolarsi nella loro
comunità di appartenenza e utilizzavano al minimo il tedesco, avevano risultati inferiori.
L’input linguistico
L’input linguistico è tutto il materiale che l’apprendente ha a disposizione; test orali e scritti, pronunciati in
sua presenza o che sono rivolti direttamente a lui. Ovviamente per progredire nella competenza in
una lingua straniera bisogna essere esposti a una certa quantità di input. Però non tutto l’input diventa
intake, cioè non tutto l’input si trasforma in regole della nuova L2 apprese ed utilizzate
correttamente. E non ci troviamo neanche di fronte ad un rapporto di semplice causa-effetto, cioè molto
input è uguale a molto apprendimento.
Il foreigner Talk
Quando un apprendente mostra difficoltà di fronte ad un input linguistico troppo complesso, molti parlanti
madre lingua, per rivolgersi ad esso, utilizzano un input semplificato nella forma e nei contenuti, il
cosiddetto foreigner Talk.
Si parla di foreigner Talk quando l’input è semplificato, rallentato, con vocaboli brevi, sintassi non
articolata, concetti basilari. Esso è considerato un registro universale e le sue caratteristiche non variano al
variare della lingua, nel senso che le caratteristiche del foreigner Talk dell’italiano sono le stesse di quelle
francese.
Long individua che il parlante nativo utilizza molto questo codice nelle conversazioni spontanee e nel caso
in cui il parlante non nativo ha una competenza molto bassa.
Rivolgersi esclusivamente a un apprendente utilizzando il foreigner Talk può causare, a lungo andare, un
arresto nella competenza linguistica.
CAP. V
PROGRAMMAZIONE E SELEZIONE DEI CONTENUTI
La programmazione
Principi generali
La programmazione didattica può essere definita come la costruzione di un itinerario che, in vista
del conseguimento di determinati obiettivi, individua un metodo, delle tecniche e dei materiali
didattici adeguati per raggiungerli. Essa può prevedere anche la durata delle varie tappe e delle relative
attività. In questo percorso ogni tappa mira alla realizzazione dei sotto-obiettivi nei quali possono essere
suddivisi gli obiettivi finali e generali.
Per poter programmare in modo ragionevole occorre per prima cosa conoscere il livello medio di partenza
degli allievi per i quali si programma, ovvero bisogna tener conto delle loro abilità o conoscenze pregresse
relative all’oggetto di insegnamento. Inoltre bisogna tener conto:
dell’età degli allievi;
del tempo a disposizione;
delle risorse utilizzabili ( tra le risorse va incluso l’insegnante ).
La programmazione non può trascurare nessuna di queste variabili le quali sono interdipendenti. Inoltre
deve prevedere le tecniche da adottare per verificare/valutare il conseguimento degli obiettivi e dei sotto-
obiettivi e i momenti in cui valutare.
Tipi di sillabo
Molto varia è la definizione dei tipi di sillabo possibili.
L’insegnamento linguistico tradizionale dava spazio quasi esclusivamente ai sillabi centrati
sulle strutture linguistiche, cioè i sillabi formali, aventi come obiettivo l’acquisizione di regole per
una produzione linguistica corretta (sillabi grammaticali).
Poi, inseguito, la consapevolezza che nell’insegnamento della lingua occorreva fornire anche
una competenza comunicativa, ha portato alla nascita di sillabi funzionali, i quali sono organizzati
tenendo conto delle principali funzioni pragmatiche svolte dai messaggi in ricorrenti situazioni ( ad
esempio fare un biglietto ferroviario o al ristorante per ordinare il menù ). I sillabi funzionali spesso
vengono definiti sillabi nozionali-funzionali in quanto, in ogni lingua ci sono delle costanti
funzionali, cioè i mezzi adatti per esprimere nozioni di universalità, come i modi di esprimere il
tempo o la durata delle azioni; ci sono anche funzioni universali assolte dall’uso stesso della lingua (ad
esempio si usa la lingua per informare, domandare ).
Inoltre sono stati proposti i sillabi processuali centrati su attività e compiti, come ad
esempio saper leggere e utilizzare una mappa, costruire itinerari. Le linee di demarcazione tra i vari
sillabi sono meno nette di quanto una loro elencazione teorica possa fare apparire.
Le varietà linguistiche
Il sistema linguistico è differenziato in sottosistemi, ognuno dei quali caratterizzato da strutture e
regole ricorrenti in una determinata varietà di lingua.
Le varietà di una stessa lingua sono correlate alla variazione. Possiamo avere:
variazione diamesica: dipende dal mezzo o dal canale usato come supporto del messaggio e
della sua trasmissione; permette di distinguere tra lingua parlata, trasmessa, scritta;
variazione diastrica: è legata alle caratteristiche sociali dei parlanti, cioè del loro livello
culturale, di scolarizzazione, età, sesso, ecc…; questa variazione permette di distinguere varietà
colte e varietà popolari, gerghi, linguaggi legate alle fasce d’età;
variazione diafasica: è legata alle situazioni comunicative e al tipo di interazione formale
che realizza; in essa rientrano sia i registri ( gli stili nel parlare che vanno dall’informalità alla
formalità ), sia i sottocodici designati sempre di più come lingue speciali;
variazione diatopica: è riferita alle zone geografiche; la stessa lingua è parlata con accenti e
intonazioni differenti da una zona all’altra, da una città all’altra. Ad esempio, è una variazione
diatopica quella che permette di distinguere l’inglese parlato in Gran Bretagna da quello usato negli
Stati Uniti.
Le varietà geografiche di una lingua spesso vengono chiamate dialetti, ma comunque il termine è ambiguo.
Inoltre quelli che in Italia vengono chiamati dialetti, ad esempio il romanesco, il siciliano, il napoletano,
sono sistemi linguistici altri, sviluppatisi parallelamente e indipendentemente dallo stesso italiano. I
veri
dialetti italiani, intesi come sue varietà geografiche, sono gli italiani regionali.
Questo quadro di varietà comunque appartiene sempre a uno stato di lingua che, nel suo insieme, è una
varietà diacronica della medesima lingua. Inoltre tutte le lingue cambiano anche nel tempo, sono soggette
alla variazione detta diacronica.
Nel momento in cui si insegna una lingua straniera occorre scegliere quale varietà di lingua
privilegiare nell’insegnamento. In genere è opportuno privilegiare una varietà standard o comune
mediamente colta.
Però c’è una dimensione della variazione linguistica da tenere conto da subito, soprattutto se si vuole che
gli studenti lavorino il prima possibile con e su testi autentici e se si vogliono sviluppare
armonicamente le quattro abilità linguistiche di base, cioè la dimensione diamesica che oppone in
tutte le lingue che conoscono la scrittura, il parlato allo scritto.
Il parlato
Il parlato, rispetto allo scritto, è caratterizzato da molte differenze. In tutte le regioni il parlato:
è più immediatamente collegato al contesto extralinguistico in cui viene prodotto; la
persona con la propria soggettività entra in modo più manifesto nel discorso prodotto, mentre la
scrittura è più staccata dal contesto;
è più frammentario e ripetitivo; nella scrittura ciò che è evidente è il prodotto, il testo,
mentre non si percepisce la fatica del suo farsi nel processo enunciativo; tutte le incertezze sono
palesi nel parlato;
è meno preciso anche per quello che riguarda i vocaboli usati; si usano quelli dal significato
più generico, più immediatamente a disposizione in quanto è più frequente;
rileva l’origine del parlante.
Conoscere le differenze fondamentali tra il parlato e lo scritto è utile per trasferire competenze e
consapevolezze già acquisite nell’ambito della lingua materna nello studio della lingua straniera.
Nell’apprendimento di una lingua straniera il possesso del parlato si pone come obiettivo più difficile da
conseguire.
L’insegnamento linguistico deve essere centrato sui testi di genere differente, prodotti in situazioni
diversificate con scopi diversi. In questo modo si può far scaturire la grammatica dai testi. Nello
stesso tempo si dovrebbero insegnare le strutture delle frasi, partendo dalle più semplici e frequenti; una
certa cura andrebbe prestata al lessico.
Selezionare e graduare il materiale e le attività per raggiungere gli obiettivi significa tener conto
che il parlato di qualsiasi lingua è differenziato a seconda che sia narrativo, descrittivo e
argomentativo. Nel parlato in L2 sarà più facile per gli allievi comprendere i testi fonologici piuttosto che
quelli conversazionali, come la fruizione di testi descrittivi o narrativi sarà più facile dei testi
argomentativi. Per la riflessione sull’attività di produzione è utile usare un registratore.
CAP.VIII
METODI IN GLOTTODIDATTICA
Che cosa si intende per metodo
Imparare una seconda lingua equivale ad avviare un processo che riguarda l’individuo nella sua totalità, al
termine del quale la persona sarà bilingue. Il bilinguismo è l’obiettivo ottimale, misura al tempo stesso del
successo dell’apprendente e dell’efficacia dell’intervento didattico. E visto che l’insegnamento deve essere
concepito come un processo di facilitatore dell’apprendimento, esso sarà tanto più efficace quanto più chi
insegna è consapevole che la complessità del proprio compito deriva dalla interazione di diverse variabili.
Il concetto di metodo è nato proprio dall’esigenza di rispondere a tale complessità. I metodi si
possono considerare delle teorie dell’insegnamento della lingua, che tendono a presentarsi come unitarie,
coerenti e rigorose. Ciascun metodo è caratterizzato da un approccio teorico, che pone diversamente
l’accento sulle variabili del processo di insegnamento/apprendimento. Per chi insegna una lingua il
metodo è prima empirico e poi teorico e continua ad essere avvertito come una sorta di ricetta valida in
tutti i contesti.
Reading method
Contesto storico. Il metodo di sola lettura viene elaborato negli anni ’20 per opera di alcuni educatori
inglesi e statunitensi ed è tra le due guerre che si diffonde maggiormente nelle istituzioni educative
superiori statunitensi.
Assunti teorici. Rispetto al metodo grammaticale-traduttivo, non cambia l’idea che la conoscenza linguistica
consiste nell’implementazione di conoscenze lessicali e conoscenze grammaticali. Inoltre la lingua
scritta rimane il riferimento principale. La novità è che gli obiettivi dell’insegnamento-apprendimento si
possono restringere ad una sola abilità, quella di lettura e comprensione dei testi in lingua
straniera, senza mediazioni traduttive.
Tecniche. Uso della L1 come lingua di insegnamento; esercizi di lettura orale in L2; focalizzazione
sull’apprendimento lessicale e su esercizi di controllo del vocabolario, ripetizione regolare di parole nuove.
Distinzione tra lettura rapida (estensiva ) e lettura intensiva. Inoltre la lettura si esercita su testi costruiti
ad hoc, secondo una visione graduata dell’apprendimento.
Modello diretto
Contesto storico. Col nome di metodo diretto ci riferiamo a una serie di metodi, naturale, fonetico,
psicologico, che rientrano tutti, con le loro caratteristiche, nella riforma dell’insegnamento delle
lingue straniere avviatosi in Europa a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Essi danno
importanza prioritaria al parlato rispetto allo scritto. Il metodo tradizionale viene criticato per la sua
inadeguatezza sia didattica che scientifica.
Assunti teorici. Tutti i metodi diretti si basano sull’assunto che l’apprendimento della lingua
straniera è tanto più efficace se avviene in modo naturale, cioè simile all’apprendimento della lingua
materna; la naturalezza dell’apprendimento si fonda sul contatto diretto con la lingua da apprendere, che
può avvenire o nel contesto in cui la lingua straniera viene realmente usata o attraverso la
simulazione del contesto naturale della classe in cui l’uso della L1 viene abolito. In pratica
l’apprendimento di LS avviene per immersione dell’apprendente nel contesto d’uso della lingua da
apprendere.
I metodi diretti affermano la priorità didattica dell’oralità rispetto alla scrittura in quanto grande cura viene
dedicata agli aspetti fonetico-articolatori-uditivi; inoltre si sottolinea la funzionalità della lingua
rispetto agli scopi pratici della comunicazione. Vengono abbandonate le pratiche traduttive,
l’insegnamento grammaticale poiché si ritiene che la correttezza grammaticale si apprenda inizialmente
per imitazione e poi in modo induttivo.
Tecniche. Tra le tecniche di questo metodo abbiamo la presentazione orale di L2 attraverso la lettura, da
parte del docente, di testi prodotti ad hoc sui quali si effettuano una serie di attività, come lettura ad alta
voce per curare la corretta pronuncia, ricostruzione del significato dei singoli elementi lessicali ricorrendo
al
contesto e all’associazione parole/immagini, oppure attraverso l’uso di parafrasi e sinonimi.
La comprensione del testo viene ricostruita e rafforzata attraverso esercizi di domanda-risposta.
L’approccio alla scrittura avviene successivamente a tutte le fasi dell’oralità.
L’apparato normativo della grammatica tradizionale viene abbandonato per far posto agli
aggiornamenti della linguistica descrittiva.
Approccio nozionale-funzionale
La prospettiva di Holliday è l’assunto teorico di riferimento per l’ANF, elaborato da Wilkins che traduce in
termini glottodidattica il concetto di funzione; in pratica egli definisce quale caratteristiche deve avere un
sillabo e distingue tra sillabo nozionale e sillabo funzionale. Con il termine sillabo ci si riferisce all’insieme
di contenuti grammaticali.
Nel sillabo nozionale la selezione e la sequenza dei materiali linguistici proposti all’apprendente è
determinata da criteri semantici e deve corrispondere all’esigenza di comunicare correttamente
certi contenuti, indipendentemente dalla complessità delle forme linguistiche richieste.
Il sillabo funzionale invece si concentra sulle funzioni comunicative ed è maggiormente adatto ad
apprendenti che avendo già un primo livello di conoscenza di L2 possono aspirare a conseguire
rapidamente un certo livello di proficiency.
La competenza funzionale come lo concepisce Halliday è centrale per la trasmissione di significato, cioè ai
fini comunicativi, ecco perché non c’è divisione tra l’approccio nozionale-funzionale e quello comunicativo.
Suggestopedia
La suggestopedia è un metodo elaborato dallo psicologo bulgaro Gregori Lozanov con l’obiettivo di creare
intorno all’apprendimento le condizioni ambientali più favorevoli all’apprendimento. Questa tecnica lavora
sull’associazione uditiva tra la musica barocca e il flusso del parlato in L2. Le lezioni non sono innovative
sul
piano delle tecniche di presentazione della lingua, infatti i materiali sono classici, ma per il fatto che le
pause di silenzio e di concentrazione si alternano con l’ascolto sia della musica che del parlato
prodotto dall’insegnante. Nella prima fase della lezione l’ascolto si accompagna alla lettura silenziosa, da
parte di ogni apprendente, della traduzione delle parole del docente; nella seconda fase il docente ripete il
suo testo e gli apprendenti ascoltano; l’apprendente poi dovrà ripetere una lettura silenziosa del testo la
sera prima di coricarsi e la mattina prima di alzarsi.
In pratica la suggestopedia applica all’’insegnamento linguistico tecniche di memorizzazione, dando
ai
fattori mnemonici un peso considerato eccessivo.