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INFANZIA – COME PARLANO LE EDUCATRICI

INTRODUZIONE NUMERO MONOGRAFICO


Ricerche hanno dimostrato che permettere ai bambini di passare alcune ore della giornata in presenza di
educatrici competenti in un ambiente accogliente è una buona opportunità per lo sviluppo. Bisogna far
capire ai bambini che parlare a qualcuno vuol dire assumersi dei doveri nei suoi confronti. A. Bentolila
afferma che la frase chiave che introduce il linguaggio alla dimensione comunicativa è “ Non ho capito cosa
hai detto”, che, rivolta al bambino, significa “Non ti capisco, ma voglio capirti”. E’ quindi importante che un
adulto dica a un bambino che parla cosa ha capito e cosa no.

PREMESSA: L’ATTENZIONE ALLA PAROLA NEI SERVIZI PER L’INFANZIA


Marie-Francoise de Tassigny
Per definire un’accoglienza di qualità è necessario ricercare coerenza tra la teoria e la pratica, tra i valori
dichiarati nel progetto pedagogico e ciò che viene svolto nel quotidiano. La missione degli educatori e delle
educatrici della prima infanzia è spesso ancora poco riconosciuta.
La domanda che ci si pone è: quale dialogo instaurare con i bambini che non possiedono ancora parole
sufficienti per farsi comprendere?

INTRODUZIONE: PARLARE AI BAMBINI TENENDO CONTO DEL LORO PUNTO DI VISTA


Bernard Golse
Ricerca condotta da “La petite Maisonnèe”, asilo nido diretto da Paulette Jaquet-Travaglini. Lo scopo della
ricerca è quello di prendere conoscenza della forma di linguaggio che le professioniste inviano ai bambini
accolti in collettività nelle istituzioni di prima infanzia, e di attivare l’attenzione sulle conseguenze possibili
che ne conseguono.
6 domande messe a tema dalla ricerca che esplorano diverse funzioni del linguaggio:
1. Funzione informativa o descrittiva
2. Funzione contestualizzante
3. Funzione interattiva
4. Funzione cognitiva
5. Funzione narrativa
6. Funzione identificatrice
I quesiti prendono spunto dai lavori di Roman Jacobson. In cosa consiste la ricerca?
Analizzati 4 gruppi di età differenti, dagli 0 ai 4 anni.
1) 0-13 mesi
2) 13-18 mesi 2/3 dei discorsi degli adulti sono rivolti
3) 18-36 mesi al bambino. Positivo
4) 36-48 mesi -> 50% dei discorsi degli adulti rivolti al bambino.
Altra considerazione: la musica del linguaggio (prosodia, timbro, intensità, tono ecc.), sfugge in parte,
perché la sua analisi pone dei problemi tecnici e metodologici considerevoli. Con i più piccoli, la musica del
linguaggio è preparatoria a tutta la socializzazione primaria.

DAL BAGNO DI LINGUAGGIO AL SORGERE DELLA PAROLA


Caffari-Viallom, Jaquet-Travaglini, Bayriswyl
Il linguaggio comune degli adulti rivolto ai bambini è frequentemente limitato da un “parlare per necessità”
composto da parole che riguardano i fatti, da inviti legati alla situazione del “qui ed ora”, dove ordini, divieti
addirittura rimproveri e sgridate prendono più importanza dell’amore/accoglienza.
Spesso le parole rivolte ai piccolissimi sono meno numerose di quelle inviate ai bambini più grandi. Parlare
ai bambini significa dar loro i mezzi per parlare di loro stessi e di poter avere accesso al linguaggio scritto,
tuttavia significa anche offrir loro anche una buona relazione.

Francoise Dolto: afferma che per costruirsi sul piano psichico, per trovare interesse per l’espressione orale
e poi per quella scritta, il bambino ha bisogno di un “bagno di linguaggio”. Afferma anche che alcune parole
sono pericolose per il bambino, come quelle di rifiuto, minaccia, ingiunzione, le parole che mascherano la
verità e la bellezza. Marianne Zogmal definisce queste parole come strategie difensive.
Il bambino riceve prima di parlare, quindi è fondamentale parlargli molto e con affetto, ciò è indispensabile
per la costruzione dell’oralità. Un dialogo può stabilirsi ed essere modulato in funzione delle reazioni del
bambino: l’adulto parla quando il bambino ascolta, tace quando il bambino reagisce. Sembra che la
strutturazione stessa del discorso si apprenda attraverso l’allattamento che è fatto di parole e di pause: la
madre resta in silenzio durante la suzione del bambino, lei gli parla durante le piccole pause.
Dolto afferma che “i bambini vivono le parole”.
Ruolo contesto: determinante in quanto il bambino fin dall’inizio gode di una straordinaria capacità di
attenzione e possiede gli strumenti necessari per il linguaggio e la narrazione. Ipotesi sul contesto familiare:
il linguaggio non è un dono ma dipende dall’uso limitato o meno della lingua all’interno della famiglia. Ci
sarebbe dunque una trasmissione culturale del livello di linguaggio nell’ambiente familiare. Parlare è anche
raccontare, è tenere un discorso che non si riferisce sempre alla situazione presente. Una madre parla al
suo bambino piccolo, come se comprendesse, pur sapendo che non comprende, anticipando ciò che fa.
Arricchire molto presto il linguaggio rivolto ai bambini, attraverso storie, racconti, libri, è un’importante
azione di prevenzione e accessibile a tutti. I contesti educativi al di fuori della famiglia, partecipano a questa
trasmissione.
R. Diatkine distingue un tipo di parlare per il piacere, la fantasia, la tenerezza, da un parlare per una
necessità materiale in relazione con la realtà immediata. Il piacere di immaginare è una potenzialità vivente
in tutti i bambini. Arricchire molto il linguaggio rivolto ai bambini, le storie, i racconti ed i libri è, di fatto, un
importante atto preventivo ed accessibile a tutti.
Gli ambienti di vita complementari alla famiglia, quali le strutture di cura destinate ai bambini piccoli, dove
questi ultimi passano una parte significativa del loro tempo, partecipano a questa trasmissione. Essi
giocano certamente un ruolo non trascurabile, in modo particolare in ciò che riguarda il tipo di parlare nella
trasmissione culturale.
E’ importante riflettere sul tipo di parole che proponiamo ai bambini, farne oggetto di studio, di
osservazione, discussione in équipe e fare del linguaggio uno strumento pedagogico rivolto ai bambini.
Il Centro Pedagogico Emmi Pikler (Lóczy) osserva da molti anni la questione del linguaggio. I pedagogisti di
questa istituzione hanno osservato una comparsa tardiva del linguaggio nei bambini, e non sapendo
spiegare le ragioni di questo ritardo, lo hanno collegato al linguaggio delle educatrici, povero, un po’
stereotipato e privo di stimoli. Attraverso le registrazioni e un corso di formazione le educatrici hanno
imparato a parlare ai bambini, e questo ha avuto un effetto positivo sullo sviluppo del loro linguaggio.
La parola dell’adulto che accompagna il bambino è importante per lo sviluppo del linguaggio, per
l’elaborazione della consapevolezza che il bambino ha di se stesso. Il linguaggio è anche di supporto per
l’azione del bambino, all’apprendimento, in particolare della lettura, e alla comprensione del mondo che lo
circonda.
Lóczy: un centro residenziale  tutte le forme di istituzionalizzazione e gli orfanotrofi producono danno e
sofferenza ai bambini che perdono capacità e acquisiscono sofferenza.
Emmi Pikler è una pediatra ungherese, nel 1947 le viene proposto di prendere la direzione dell'orfanotrofio
di Lóczy, e sebbene concordi sui bisogni pensa sia possibile un progetto educativo positivo per la crescita dei
bambini: a certe condizioni si possono evitare danni irreparabili in un ambiente organizzato.
Pikler sosteneva che le educatrici non devono ripetere il comportamento materno ma realizzare il
benessere del bambino in modi diversi.
Lóczy aveva poche educatrici all’interno del suo orfanotrofio ma esse puntavano sulle attività senso-
motorie ovvero bimbi svestiti a contatto fra loro su tappeti morbidi che sperimentano esperienze sul
mondo e sul proprio corpo  base per un’autonomia senso-motoria. Le educatrici lavoravano parlando ai
bambini, lasciandoli liveri di muoversi e mantenendo la relazione con la voce.
Lóczy dimostra che un orfanotrofio può non essere deprivante.

Bernard Golse sottolinea l’aspetto narrativo del linguaggio e la sua importanza per permettere al bambino
di inserirsi in una storia, ciò implica che il parlare includa non solo il presente ma anche il passato ed il
futuro. Il linguaggio gioca un ruolo molto importante nell’apprendimento. Per i bambini, ogni nuova area di
apprendimento è inizialmente organizzata, esplorata ed analizzata grazie alla parola. La parola si trova alla
base della scrittura. Gli individui creano delle conoscenze semplicemente partendo dal linguaggio.
Per raggiungere il suo scopo, il linguaggio rivolto al bambino deve accompagnare i gesti dell’adulto, le
produzioni gestuali o fonetiche del bambino, e ritmare le loro interazioni. Ricco e variato, dà allo stesso
tempo al bambino la coscienza dei propri limiti nell’apertura verso il mondo che lo circonda.

ORIGINE RICERCA
Progetto che si inserisce nella linea d’azione della Delegazione della Prima Infanzia della Città di Ginevra
che mira a promuovere il piacere del libro e delle storie nelle istituzioni della prima infanzia. La ricerca è
stata motivata dalla constatazione che il tema del linguaggio adulto in riferimento al bambino sia poco
presente nei progetti pedagogici. Lo studio propone alle educatrici una riflessione sulla loro attività e il loro
ruolo vicino ai bambini, attraverso l’osservazione e l’analisi del linguaggio.
OBIETTIVO RICERCA
 Identificare i tipi di linguaggio rivolti ai bambini dalle educatrici nelle strutture di accoglienza
prescolare e mettere in evidenza il modo di parlare ai bambini in questi luoghi.
 Avviare una riflessione supportata dalle osservazioni filmate.

DOMANDE DELLA RICERCA


Qual è la parte del linguaggio che:
1. Nomina e descrive la realtà presente? (Funzione informativa o descrittiva)
2. Pone i fatti e le azioni nel loro contesto? (Funzione contestualizzante)
3. Destinata a ottenere un comportamento nel bambini? (Funzione interattiva)
4. Destinata a sviluppare una comprensione reciproca? (Funzione cognitiva)
5. Le parole delle educatrici permettono al bambino di situarsi nella successione
degli eventi? (Funzione narrativa)
6. Il linguaggio rivolto ai bambini permette loro di situarsi al di là del qui e ora e di
aprirsi al mondo? (Funzione identificatrice)
PROCEDIMENTO
Strumento: OSSERVAZIONE.
Metodo: Filmare interazioni adulti-bambini per poi procedere all’analisi codificata e approfondita delle
sequenze.
Momento: Pasto.
Argomento filmati: “bagno di linguaggio” che le educatrici producono in presenza del bambino, nei suoi
aspetti quantitativi e qualitativi.
Luogo: istituzione che accoglie bambini 2-4 anni e mezzo.
Organizzazione gruppi:
2 gruppi di 10 lattanti 0-13 mesi
2 gruppi di 10 bambini 13-18 mesi
2 gruppi di 10/11 bambini 18-36 mesi
2 gruppi di 9/10 bambini 36-48 mesi.
Raccolta e modalità trattamento dei dati: Riprese condotte 3 volte a settimana per ogni gruppo. 40
sequenze filmate che vanno dai 10 ai 30 minuti in funzione del pasto. Durata totale registrazioni: 9 ore. Dati
trattati attraverso una griglia di analisi per classificare i tipi di enunciati degli adulti secondo determinati
criteri.

COMUNICARE PRIMA DI PARLARE


L'attenzione a questa formulazione invita a tenere presente che la comparsa del linguaggio è preceduta
dall'acquisizione di una serie di abilità nell'uso del complesso sistema della comunicazione umana.
L'analisi del linguaggio dell'adulto come sistema di supporto allo sviluppo del linguaggio del bambino deve
essere messo in relazione con il contributo che si riceve dal bambino. Il linguaggio dell’adulto: chiede e
fornisce INFORMAZIONI, dà ISTRUZIONI, fa COMMENTI di natura AFFETTIVA.
La funzione affettiva decresce e aumenta quella INFORMATIVA STILE DIRETTIVO o CONVERSAZIONALE. Il
BABY TALK si adatta al linguaggio del bambino soprattutto per facilitare lo scambio comunicativo.
Il baby talk è un particolare modo di parlare ai bambini piccoli nel quale il discorso viene organizzato non
tanto in base al significato delle parole che vengono pronunciate, ma, per esempio, all'emotività che si
intende comunicare ai bambini, attraverso l'intonazione con cui parole e suoni vengono pronunciati. Quindi
il baby talk si adatta al linguaggio del bambino non tanto per insegnargli a parlare, quanto per facilitare lo
sviluppo della comunicazione. E’ attento al contesto.
BABY TALK → caratteristiche: frasi brevi numerose ripetizioni tono alto produzione lenta e fluente pause
lunghe, risponde ad esigenze cognitive ed emotive del bambino.
Desiderio dell’adulto di:
- farsi capire
- esprimere affettività
- insegnare il linguaggio

ASPETTI PECULIARI dell’adulto


Adattamento prosodico: tono e timbro alto, nelle parti finali delle frasi, in contesti di gioco e non di
narrazione
Adattamento lessicale: uso di vezzeggiativi, diverso uso dei pronomi, termini concreti, varietà lessicale
limitata.
Adattamento sintattico: linguaggio ben formato sul piano grammaticale. Grado di complessità che aumenta
in relazione all’età e al livello dei bambini.
Ciò SVILUPPA NEL BAMBINO:
Funziona analitica: Migliore possibilità di definire il contorno delle parole e delle frasi, grazie all’ascolto
degli elementi prosodici del parlare adulto.
Funzione socio-affettiva: attira e mantiene l’attenzione, veicola stati emotivi e consente al bambino di
sperimentare uno scambio comunicativo efficace.

Un aspetto particolare del linguaggio dei bambini: L’USO DEI PRONOMI  il bambino solitamente compie
questo passaggio dai 2 anni ai 2 anni e mezzo. Gli ERRORI più frequenti sono l’uso del proprio nome invece
che del pronome IO uso e l’uso del TU invece che del pronome IO (ripetizione di ciò che dice l’adulto).

 CAMAIONI: acquisizione che si consolida tardi e uso difficoltoso dei pronomi per i bambini. A
3ANNI: sono acquisiti e utilizzati solo quelli di I e II persona e lo\la per indicare l’oggetto.
 BRUNER: acquisizione precoce dei pronomi in quanto sono COMMUTATORI DEITTICI, cioè
presuppongono la capacità mentale di tenere presente sia il proprio punto di vista che quello
dell’altro→ prerequisito per lo sviluppo del linguaggio.
I pronomi sono segnalatori di PERCEZIONE DI IDENTITA’ e CONSAPEVOLEZZA dell’USO del LINGUAGGIO per
COMUNICARE.
Nell’adulto si nota un uso frequente della III persona:
• BAMBINO: FORMA di DISTANZIAMENTO- INDIVIDUAZIONE-RISPECCHIAMENTO
• SE’ STESSA: MODO per farsi RICONOSCER DAL bambino

FAR PARLARE I NUMERI: ANALISI QUANTITATIVA


Caffari-Viallom, Jaquet-Travaglini, Bayriswyl
Categorie raccolte in una griglia di osservazione che raggruppa le frasi dell’adulto in 4 indici:
1. NOMINARE (designazioni, descrizioni, evocazioni). Gli enunciati più numerosi riguardano la voce
“descrizioni”, nei bambini fino a 7 mesi rappresentano infatti l’84% del totale degli enunciati. Le
“designazioni” nominano un elemento della realtà (es: “questa è una carota”). Gli enunciati che riguardano
le “evocazioni” sono poco numerosi e riguardano riferimenti ad un evento passato o a un oggetto assente.
2. COMPRENDERE (interpretazioni, domande, riformulazioni). Per “interpretazioni” si fa riferimento
ad enunciati al quali l’adulto da un significato, e rappresentano il 50% fino a 7 mesi (es: “avevi molta
fame”). L’aumento delle “domande” da parte dell’adulto significa che ha bisogno di assicurarsi di aver
capito. “Riformulazioni” esempio: “senti il rumore di sopra” (il bambino ha indicato il soffitto).
3. OTTENERE UN COMPORTAMENTO (anticipazioni, sollecitazioni, ingiunzioni/ordini). Le
“anticipazioni” preparano il bambino a ciò che avverrà. “Sollecitazioni” sollecitano l’azione. Esempio:
“prova ad usare il coltello”. “Ingiunzioni” mirano a sollecitare un comportamento immediato del bambino.
Esempio: “attento al bicchiere”.
4. ALTRO (constatazioni, espressioni parassite, espressioni sociali).
Tra le 4 categorie, si sono distinti enunciati di portata generale e altri che interpellano, sollecitano,
interrogano direttamente il bambino (abbondante presenza di questi enunciati durante il momento del
pasto). Gli enunciati rivolti direttamente al bambini permettono di creare un legame tra lui e ciò che sta
vivendo e sono importanti per i bisogni del bambino.
Durata media pasto
1) 0-13 mesi – 12 minuti
2) 13-18 mesi – 10 minuti
3) 18-36 mesi – 19 minuti
4) 36-48 mesi – 21 minuti
Il numero degli enunciati aumenta in base alla lunghezza del pasto. Infatti, se si valuta il “bagno di
linguaggio” di cui beneficiano i bambini durante il pasto, è evidente quanto questo sia significativamente
consistente nei grandi.
Comparsa enunciati in ordine di frequenza
1° Categoria “COMPRENDERE”, salvo per i bambini fino ai 7 mesi. Manifesta la focalizzazione
dell’educatrice sul bambino di cui si occupa.
2° Categoria “NOMINARE”. Indotti spesso da una domanda implicita o esplicita del bambino. Hanno
spesso carattere descrittivo.
3° Categoria “OTTENERE UN COMPORTAMENTO”. Enunciati poco numerosi.
4° Categoria “FORMULAZIONI PARASSITE”. Trascurabile.

COME PARLANO LE EDUCATRICI: ANALISI QUALITATIVA


Caffari-Viallom, Jaquet-Travaglini, Bayriswyl
L`analisi tiene conto dei contenuti, prende in considerazione dati che emergono dal contesto, dal linguaggio
non verbale e dalle condizioni nel quale avvengono gli scambi, informa sulla tonalità emozionale e sui
particolari individuali. Permette di rendersi conto del ritmo del linguaggio durante i pasti e della sua
evoluzione durante lo sviluppo del bambino.
Funzione del linguaggio da parte dell’adulto:
 Di contenimento: l’adulto rassicura e crea un legame
 Di controllo: l’adulto aiuta il bambino ad adottare un comportamento adeguato o a limitarlo
 Empatica: l’adulto mette in relazione il bambino con ciò che vive, prove o esprime
 Di accompagnamento: l’adulto rassicura il bambino sulla sua presenza
 Creativa: l’adulto fa accedere all’immaginario e al culturale
 Informativa: l’adulto rinvia alla realtà, presente, passata e futura
 Didattica: l’adulto mira allo sviluppo delle conoscenze, all’arricchimento del vocabolario
Analizzate 5 sequenze di pasto:
1. Guy, 6 mesi e mezzo con M., educatrice. – In questa situazione la parola è un elemento di contesto,
rassicurante e portatore di relazione con l’esterno, in particolare con l’adulto che lo tiene in braccio.
Predominante la funzione di ACCOMPAGNAMENTO.
2. Lisa, 13 mesi con Ch., educatrice. – Linguaggio è una componente indispensabile della relazione.
Piacevole scambio tra l’educatrice e la bambina. Frasi dell’adulto sono complete e alcune interrogative,
richiamano il contesto del pasto. Predominante la funzione INFORMATIVA.
3. Anne, 18 mesi con S., educatrice. – Ci si avvicina al contenuto dei “discorsi a tavola”, i discorsi
dell’educatrice riguardano essenzialmente il pasto. Linguaggio spontaneo. Funzioni predominanti:
ACCOMPAGNAMENTO e INFORMAZIONE.
4. Eliane, Mireille, Lili, 30 mesi con Sd., educatrice. – Il linguaggio gioca il suo ruolo di
ACCOMPAGNAMENTO; mostra la costante attenzione che l’educatrice rivolge alla situazione e alle tre
bambine presenti. Per l’educatrice, il linguaggio sembra aver la funzione principale di permettere uno
svolgimento adeguato del momento del pasto.
5. Fleur, Moritz, Tom, 48/49/50 mesi con N., educatrice. – Il pasto è un soggetto di dialogo poco utilizzato.
Non è commentato in dettaglio, come lo era con i bambini più piccoli. L’educatrice, riguardo agli argomenti
della conversazione, lascia l’iniziativa ai bambini. La mimica e i gesti dei bambini sono numerosi: è un
linguaggio non verbale analogo a quello degli adulti. Molto presente la funzione di ACCOMPAGNAMENTO:
l’educatrice manifesta durante tutto il pasto l’attenzione che rivolge ai bambini.

ANALISI SEQUENZE VIDEO  L’analisi delle sequenze video mette in evidenza il CONTESTO, la sua
importanza per individuare gli inizi del linguaggio e per osservare il passaggio dal proto-verbale al verbale.
Base inizio linguaggio ipotizzata da Valèrie Desjardin, che afferma che un insieme di movimenti del lattante
messi in atto nell’interazione con i genitori siano la base per i precursori del linguaggio. Il verbale dei
genitori sarebbe alla base di questa organizzazione. Quando il genitore si rivolge al bambino si costruirebbe
un “involucro ritmico” (enveloppe rythmèe).
Il silenzio - Durante l’osservazione delle sequenze video ha preso senso il discorso del silenzio, che è
importante quanto il flusso delle parole; è una componente del dialogo e serve per lasciare spazio al
bambino durante le interazioni. Partecipano anche alla costruzione dell’”involucro ritmico”.
Nelle registrazioni di bambini piccoli sono state registrate forme di soliloqui da parte dell’adulto. Paule
Aimard sottolinea infatti che “con un bambino piccolo, l’adulto dice per lo più qualsiasi cosa. Un
comportamento analogo a ciò che facciamo quando parliamo da soli”. Questo è importante in quanto
permette al bambino di abituarsi poco a poco alla voce umana.
La forma del linguaggio – Quella dominante è quella che commenta le azioni, in particolare quelle che
riguardano la situazione del pasto. Necessario perché permette ai bambini di prendere coscienza di ciò che
accade attorno a loro e di partecipare a quel momento, relazionandosi nel frattempo con l’educatrice. Il
“linguaggio fattuale”, cioè quello che commenta le azioni e gli avvenimenti è appunto quello più usato con i
bambini piccoli. Composto da frasi incomplete, il cui senso è compreso solo nella situazione vissuta.
All’opposto del “linguaggio fattuale” c’è la “lingua del racconto”, che apre la porta all’immaginario. E’ poco
presente nelle sequenze analizzate.

L’INTERESSE DELLA RICERCA PER L’EQUIPE EDUCATIVA


Caffari-Viallom, Jaquet-Travaglini, Bayriswyl
La ricerca è stata presentata all’equipe come una tappa supplementare di un approfondimento del
progetto pedagogico del servizio, già ben consolidato. La presentazione ha messo in evidenza come il
linguaggio fosse un aspetto poco curato nel servizio, rispetto ad altri aspetti. Ciò ha suscitato interesse per
la maggior parte dei componenti dell’équipe.
La videocamera è stata vissuta in diversi modi, ha dato comunque la possibilità di prendere coscienza di ciò
che accadeva realmente durante il pasto, di auto valutarsi, di maturare nel rapporto con la propria
immagine e di migliorare le proprie competenze personali. Le osservazioni hanno dato luogo a
cambiamenti duraturi in alcuni settori. Questo ha permesso che un interrogativo a proposito del linguaggio
rivolto ai bambini fosse presente negli scambi educativi.
Il lavoro di ricerca ha dato un impulso all’équipe educativa, le ha permesso di porsi chiaramente rispetto al
tema del linguaggio e di darsi strumenti di analisi come per altri strumenti educativi.
I PUNTI FORTI – la parola degli adulti, durante i 40 pasti filmati, è stata osservata, esaminata ed analizzata.
Emergono così degli aspetti positivi.
 Le educatrici parlano a ogni bambino;
 Le educatrici parlano molto;
 La natura dei loro enunciati è varia, in questa varietà domina la categoria del “comprendere”;
 Le educatrici sono concentrate sui bambini.
I momenti filmati sono momenti di qualità, nel quale ciascuno dei bambini può sentirsi preso in
considerazione, importante, riconosciuto.
Ciò che viene dato durante i pasti non è quindi solo il nutrimento. E’ lo sviluppo globale di ogni bambino
che si avvantaggia di questo momento. L’elemento fondamentale della realtà di un servizio per la prima
infanzia è proprio quello di curare sia la dimensione fisica sia quella psichica del bambino.
Prendersi il tempo – non dover far fretta ai bambini è un presupposto irrinunciabile della qualità del
momento del pasto. Il pasto è il momento in cui si mangia, ma ciascuno con il suo ritmo. Costruire la
giornata intorno ai tempi delle cure, pasto compreso, è fondamentale.
Una pedagogia esplicita – Il progetto pedagogico del servizio in cui si sono svolte le osservazioni fa
riferimento ad una pedagogia esplicita: l’approccio di EMMI PIKLER.
CONCLUSIONE – A proposito della comprensione del bambino da parte dell’adulto si può dire che
l’attenzione rivolta dai bambini agli adulti è spesso manifestata attraverso lo sguardo o la postura. Per un
bambino, la conoscenza dell’adulto che si occupa di lui in un servizio si basa sulla familiarità e sulla
prevedibilità dei gesti, degli atteggiamenti e dei comportamenti.
Una cosa che non si era predisposti di osservare all’inizio della ricerca è che il linguaggio soddisfa anche
alcune funzioni per l’adulto. Sostiene l’attenzione e gli permette di restare concentrato sulla situazione. Lo
si può osservare quasi in tutte le sequenze. Parlare facilita la presa di distanza ed il mantenimento di una
relazione ti tipo professionale. Gli enunciati osservati sono dunque di natura professionale, questo perché
porta a pensare a ciò che si dice, a dare un’intenzione, un contenuto. Prendono come punto di partenza ciò
che percepiscono dello stato o degli interessi di ciascuno dei bambini. L’esperienza mostra che agire
secondo l’ispirazione del momento conduce spesso alla monotonia e alla perdita di senso.
La qualità lessicale e grammaticale del linguaggio dell’adulto ha un’influenza positiva sullo sviluppo delle
possibilità di espressione dei bambini.

OSSERVARE AL NIDO D’INFANZIA LE PAROLE DELLE EDUCATRICI


Silvia Moretti
L’abilità comunicativa è una competenza che viene acquisita con relativa facilità in anni in cui i bambini non
sanno quasi fare altro. Silvia Moretti, educatrice presso un nido d’infanzia a Cesena, è stata spinta a fare
una ricerca in quanto afferma che l’apporto del linguaggio dell’adulto sia un tema poco presente negli studi
e nei progetti pedagogici dei nidi d’infanzia. Secondo lei, non viene considerata la cura della lingua, il saper
parlare ai bambini. Alcuni bambini vivono fin dalla nascita in un “bagno di linguaggio” che è funzionale allo
sviluppo dell’oralità, ma non per tutti è così. Questa affermazione ha portato alla domanda: come può
l’adulto/educatrice favorire lo sviluppo linguistico del bambino attraverso ciò che dice?
ALCUNE PRIME RICERCHE – Uno dei temi trattati è l’influenza del frequentare l’asilo nido sullo sviluppo del
bambino, e le differenze tra lo sviluppo comunicativo di un bambino che frequenta il nido e uno allevato
esclusivamente in famiglia. Studi sugli effetti benefici del nido sullo sviluppo del bambino:
MANTOVANI (1974) – Nido positivo in quanto permette al bambino di relazionarsi con interlocutori
diversi (adulto e pari), permettendogli di usare modalità comunicative differenti.
VOLTERRA e al. (1979) – Hanno rilevato che i bambini allevati in famiglia producono con maggior
frequenza espressioni di desiderio e possesso, mentre quelli frequentanti il nido utilizzano in
maggior numero racconti di eventi passati e futuri e massime generali.
MUSATTI e PANNI (1983) – Nido positivo in quanto il relativo contesto favorisce lo sviluppo
comunicativo dei bambini, grazie ai rapporti plurimi e differenziati che si sviluppano all’interno del
nido.
In conclusione, come afferma CAMAIONI (2000), l’asilo nido agisce come elemento propulsore per lo
sviluppo linguistico del bambino.

Altri studi si sono concentrati sul linguaggio delle educatrici:


BARBIERI, DE VESCOVI, BONARDI (1983) – Ipotesi dell’esistenza di una specificità nello stile
interattivo delle educatrici rispetto a quello delle madri. Hanno notato che le madri adottavano uno
“stile narrativo”, mentre le educatrici adottavano uno “stile dialogato”, favorendo la partecipazione
del bambino.
EMILIANI e ZANI (1983) – Hanno analizzato il linguaggio delle educatrici in due nidi d’infanzia di
Bologna. Hanno osservato che nel nido centrato sull’istituzione le educatrici adottavano uno “stile
grammatico”, caratterizzato da un uso frequente di domande. In questo contesto l’attenzione
dell’adulto era focalizzata sull’organizzazione e il controllo del dialogo. Nel nido invece centrato sul
bambino le educatrici adottavano uno “stile contingente”, cioè più attento alle situazioni concrete e
alle specifiche richieste dei bambini.

RICERCA SILVIA MORETTI


Osservate 3 educatrici nella sezione dei grandi (30-36 mesi) in 3 momenti diversi della giornata: gioco
libero, attività guidata e pasto.
Procedimento – Registrazione, trascrizione, categorizzazione dei dati tramite griglia di osservazione,
somministrazione alle educatrici di un questionario e analisi dei dati.
Strumenti – Griglia di osservazione. Classificati gli enunciati delle educatrici in diverse categorie,
raggruppate in 5 indici.
ENUNCIATI DI FUNZIONAMENTO – della situazione comunicativa o d’azione.
o Consigli – dare consigli permette ai bambini di trovare la “loro” soluzione.
o Sollecitazioni – stimolano l’azione
o Richiami all’attenzione
o Proposte di attività – suggerire un compito o un’attività
o Offerte di aiuto
o Tra adulti – parole scambiate tra le educatrici.
ENUNCIATI DI CONFERMA SOCIALE E/O RELAZIONALE
o Approvazioni – parte importante dell’attività pedagogica delle educatrici. Durante il gioco,
qualche parola d’incoraggiamento può avere una funzione di sostegno. Secondo Tardos:
“una buona educatrice trova e vede nel comportamento di ogni bambino ciò che può
meritare l’elogio e approfitta di ogni occasione affinché ciascun bambino del suo gruppo
ottenga più volte elogi e approvazioni”. Bisognerebbe fare in modo che ciascun bambini,
ogni giorno, ricevesse più di un’approvazione, per quanto minima, perché essi ne hanno
costantemente bisogno.
o Complimenti – Silvia Moretti li ritiene meno educativi per il bambino, visto che non si
riferiscono a ciò che sta facendo, ma a ciò che è il bambino stesso.
ENUNCIATI CON FUNZIONE CONATIVA (indurre il destinatario ad adottare un det. comport.)
o Ingiunzioni – mirano a riportare l’ordine o ad affermare la propria autorità. Possono essere
anche “dolci”.
o Avvertimenti – avvisa delle conseguenze punitive di un dato comportamento.
ENUNCIATI DI ALLARGAMENTO DELLE CONOSCENZE SUL BAMBINO E SUL MONDO
o Spiegazioni – possono essere contestuali o generali. Importante è far capire al bambino, fin
dalla prima età, tutto ciò che gli succede, che gli capiterà. Bisogna spiegare ogni evento.
o Anticipazioni – servono al bambino per orientarsi nel mondo che lo circonda, per sapere
cosa succederà a breve o in futuro.
o Descrizioni – il bambino arricchisce il suo bagaglio di conoscenze su di sé e sul mondo.
o Risposte – indispensabili per il bambino.
o Regole dirette – esposte in maniera diretta. Es: “non si mettono le mani nel bicchiere”,
“non si getta per terra”.
o Regole indirette – esposte dando per esempio anche alcune spiegazioni. Es: invece di dire
“non mettere il cucchiaio nel bicchiere” si può far notare al bambino che il cucchiaio non è
un giocattolo e che serve per mangiare.
o Commenti
ENUNCIATI INTERROGATIVI
o Domande - Es: “Hai finito di mangiare?”.
o Richieste di spiegazioni – finalizzate alla comprensione del comportamento del bambino,
dell’azione o di ciò che ha detto. Es: “bea, perché lanci i giochi?”.

Rientrano nel pensiero di PIKLER le categorie:


 Consigli
 Richiami all’attenzione
Attraverso questi interventi le
 Approvazioni
educatrici rispettano la crescita
 Spiegazioni
 Anticipazioni autonoma dei bambini, danno loro la
 Descrizioni possibilità di prendere coscienza di sé
 Risposte stessi e del loro ambiente.
 Regole
 Domande
 Richieste di spiegazione.

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IL PROGETTO PEDAGOGICO DI EMMI PIKLER E IL LINGUAGGIO DELLE EDUCATRICI: UNA


BREVE RASSEGNA.
Silvia Moretti
Principi fondamentali: autonomia, libera iniziativa e sostegno del bambino.

Pikler (pediatra ungherese) afferma che il bambino lasciato libero di muoversi in autonomia impara ad
agire, ad usare il corpo e, attraverso tentativi ad errori, a superare le difficoltà. L’educatrice deve quindi
rispettare i ritmi del bambino, anche se ciò richiede tempo, perché ha bisogno di tutto il sostegno
dell’adulto. E’ importante che si crei un legame tra bambino ed educatrice stabile, che permetta che il suo
sviluppo sia globale e armonico. Il legame deve essere significativo e il più possibile individualizzato. La
relazione educatrice-bambino si instaura soprattutto nei momenti di routine, e fondamentale è,
nell’approccio di “pikleriano”, il modo in cui tali cure vengono svolte. L’educatrice soddisfa i bisogni del
singolo in maniera diversa, adatta il suo comportamento alle particolarità del bambino, in modo che
ognuno abbia esperienza della propria individualità. Inoltre, al bambino è data la possibilità di collaborare.
Importanza del gioco libero e della scoperta del mondo – L’approccio Pikler sottolinea come sia necessario
lasciar giocare il bambino a modo suo e non come desidereremmo noi. Il gioco spontaneo rappresenta
infatti un presupposto importante per l’evoluzione del bambino. E’ solo così che nasce in lui il desiderio di
scoprire e di agire.
Ruolo dell’adulto – l’attività dell’adulto assume 2 forme:
Facilitazione – sia attraverso la sua presenza, sia attraverso la continua organizzazione dello spazio.
Osservazione dei bambini – in questo modo l’educatrice riesce a conoscere ogni singolo bambino e
può così intervenire in modo adeguato e personalizzato.
Il linguaggio dell’educatrice – Il bambino, nell’approccio Pikler-Loczy, viene considerato competente, capace
ed efficace nelle sue azioni fin da piccolissimo. Un bambino in grado di interagire attivamente con l’adulto.
Il contesto gioca a quest’età un ruolo determinante. Nei primi mesi è la madre che dialoga con lui. Alcuni
bambini vivono fin dalla nascita in un “bagno di linguaggio”, ma non per tutti è così.
Nel rapporto ed-bambino viene data molta importanza alla comunicazione corporea, al linguaggio non
verbale di entrambi. Dare voce a questo tipo di comunicazione, il primordiale per il bambino, è
fondamentale per il suo successivo sviluppo linguistico.
L’istituto Lòczy ha iniziato a osservare esplicitamente la questione del linguaggio a partire dagli anni ’80. I
pedagogisti di questa istituzione hanno osservato una comparsa tardiva del linguaggio nei bambini, e non
sapendo spiegare le ragioni di questo ritardo, lo hanno collegato al linguaggio delle educatrici, povero, un
po’ stereotipato e privo di stimoli. Attraverso le registrazioni e un corso di formazione le educatrici hanno
imparato a parlare ai bambini, e questo ha avuto un effetto positivo sullo sviluppo del loro linguaggio.
Silvia Moretti ha analizzato alcuni stralci di scritti presenti nell’Archivio dell’Associazione Pikler Lòczy-Italia
che si riferiscono in modo indiretto al linguaggio verbale delle educatrici:
“Ovviamente, si deve parlare al neonato, si deve creare un dialogo con lui, prestare
attenzione alle sue iniziative e rispondervi” ecc.
“Il bambino ha il diritto fondamentale di partecipare attivamente alle scelte che lo
riguardano” ecc.
“Il bambino, fin dalla più tenera età, è considerato come un interlocutore attivo e
intelligente che capisce le cose o le capirà, se gli viene offerta la possibilità di farlo”.
“Interessante è che l’educatrice racconti quello che succede nella vita reale e anche a
casa”.
Altro testo interessante è intitolato “La comunicazione adulto-bambino al nido”, tenuto da Anna Tardos. La
relatrice propone 3 principi della comunicazione adulto-bambino:
1° Comunicazione vuol dire interazione, una persona da sola non comunica;
2° A Lòczy è obbligatorio che l’adulto parli sempre con il bambino di cui si sta occupando in quel
momento. Non è un monologo ma un dialogo.
3° Un altro strumento di comunicazione è costituito dai movimenti del corpo e dai gesti. La gestualità
nel dialogo è fondamentale perché il bambino piccolo si esprime con gesti, con le azioni, con i
movimenti. Questo ricorda che la comunicazione è sempre una comunicazione personale.

INTERAZIONE MADRE-BAMBINO E SVILUPPO COMUNICATIVO-LINGUISTICO TIPICO E ATIPICO


Il ruolo della funzione comunicativa materna e della co-regolazione diadica
A. Sansavini, V. Zavagli
Gli scambi comunicativi adulto-bambino cominciano precocemente, prima con faccia-a faccia e poi anche
con oggetti, basati sull’uso di comportamenti sia non verbali che verbali.
BRUNER afferma che sono proprio le routine e i contesti di azione e attenzione condivisa accompagnati dalle
produzioni narrative dell’adulto per co-costruire i significati assieme all’adulto e divenire partecipe del
linguaggio e della cultura di cui fa esperienza.
Sono stati condotti studi volti ad analizzare il modo in cui gli adulti (specialmente le madri) parlano ai
bambini.
1° PASSO – Analisi del contenuto e degli aspetti strutturali del linguaggio (lessico e
pragmatica) e quelli prosodici.
2° PASSO – Analisi aspetti funzionali per analizzare le modalità comunicative materne, verbali
e non, dirette a regolare le modalità comunicative del bambino, esaminando i
comportamenti individuali dei due partner nell’interazione.
Alcuni autori si sono concentrati, invece che sui comportamenti dei singoli partner, sulla DIADE con
l’obiettivo di cogliere i processi comunicativi che emergono da quella interazione. Questo approccio
considera la comunicazione come un processo dinamico di aggiustamento reciproco di azioni, che implica la
capacità di regolare il proprio comportamento in relazione al comportamento dell’altro. La comunicazione è
considerata un processo che si modifica nel tempo e una proprietà del sistema diadico.

L’analisi della funzione comunicativa materna – L’acquisizione del linguaggio è influenzata da fattori
ambientali, fattori contestuali (sistema culturale e scolastico/educativo ecc.) e da fattori prossimali
relazionali (responsività materna, stile comunicativo materno ecc.).
LONGOBARDI – Ha proposto un sistema di codifica che analizza le modalità comunicative materne
nell’interazione con il bambino tenendo conto di diversi fattori funzionali. 5 Categorie di interventi materni
verbali e non verbali:
1° Interventi tutoriali – sincronizzati con il focus di attenzione del bambino;
2° Interventi didattici – forniscono informazioni o conoscenze;
3° Interventi conversazionali – promuovono lo scambio comunicativo;
4° Interventi di controllo – ri-orientano o modificano l’attenzione del bambino;
5° Interventi asincronici – comportamenti intrusivi o sovrapposti rispetto a quelli del bambino.
Questo sistema di codifica è stato applicato alle analisi delle interazioni M-B a 16 mesi in contesti di gioco,
con oggetti familiari e oggetti nuovi, e di routine. Successivamente a 20 mesi è stata rilevata l’ampiezza del
vocabolario dei bambini mediante l’uso del questionario “Primo Vocabolario del Bambino”.
Cosa è emerso dallo studio?
Stile prevalente a 16 mesi: conversazionale e di controllo, seguite da tutoriale e didattico, ma solo le ultime
due corrispondono positivamente con lo sviluppo lessicale del bambino a 20 mesi.
Uno stile interattivo materno centrato sull’interesse del bambino e che sostiene l’azione facilita lo sviluppo
comunicativo-linguistico del piccolo, mentre uno stile direttivo rallenta le potenzialità di apprendimento del
bambino. Il ruolo della funzione comunicativa materna è stato analizzato anche in ricerche condotte su
bambini con sindrome di Down, sordità e ritardo del linguaggio.
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L’analisi della co-regolazione diadica


FOGEL – TEORIA DEI SISTEMI DINAMICI
Secondo questa teoria, la comunicazione non dipende dai singoli comportamenti dei partecipanti, ma dal
mutuo e continuo adattamento delle loro azioni. E’ un processo dinamico legato al contesto, in cui
entrambi i partner sono in continuo movimento l’uno verso l’altro. Da queste interazioni emergono i
“frames”, cornici sociali consensualmente create dai partner che danno significato ai loro comportamenti e
ne permettono l’organizzazione temporale. Il sistema di codifica relazionale è stato creato per rilevare la
capacità di modificare le proprie azioni rispetto al procedere delle azioni del partner.
Distingue l’interazione in 5 categorie:
Simmetrica – compartecipazione dei partner;
Asimmetrica – uno dei due osserva ma non risponde;
Unilaterale – uno dei due è preso da un’altra attività e non presta attenzione;
Rottura – uno dei due disturba in maniera evidente l’altro;
Disimpegno – i partner non sono coinvolti e non interagiscono tra di loro nonostante ci sia la
possibilità di farlo.
CONCLUSIONI - Risulta rilevante, per lo sviluppo comunicativo-linguistico, un contesto sociale supportivo e
uno stile comunicativo e di interazione centrato sul focus di attenzione e azione del bambino piuttosto che
sugli interessi dell’adulto. Molto importanti sono lo stile tutorio, didattico e conversazionale.

LE PAROLE TRA EDUCATRICI E BAMBINI


Riflessioni sull’educazione alla comunicazione verbale nel nido d’infanzia
Angela Chiantera
La lingua da usare con i bambini si è caratterizzata in modo da facilitare l’apprendimento linguistico e
sostenerlo nelle varie fasi di crescita: i comportamenti parentali sono stati oggetto di studio nelle varie
culture e nelle diverse famiglie proprio per valutare quali aspetti del codice linguistico siano stati adattati
per favorire i bambini. I corsi di aggiornamento su queste tematiche sono però scarsi. L’unica situazione
comunicativa a cui si dedica interesse è la lettura ad alta voce degli albi illustrati. Parole e figure
andrebbero valutate sia separatamente, per cogliere qualità e funzioni specifiche, sia in relazione tra di
loro.
Storia che ha come protagonista un piccolo orso polare, scritta da H. DE BEER, è stata riproposta dall’87 al
2001 in almeno 4 versioni, traduzioni diverse a commento delle stesse illustrazioni.
...
Dalle intenzioni alle parole e viceversa
Per non correre rischi di ambiguità o incomprensioni occorre ben valutare nei propri messaggi, la relazione
tra lo scopo per cui sono prodotti e le parole scelte per realizzarli. Spesso riformulare una frase può dare
modo ai bambini di trovare il significato basandosi su una riformulazione a loro più adeguata. CAMAIONI
sottolinea che il bambino, nella sua crescita, deve imparare a distinguere tra ciò che le persone intendono
dire e le parole o le azioni che esse compiono. Esempio: un adulto che chiede al bambino per valutare le
sue competenze “Sai allacciarti le scarpe?”, il bambino si guarda i lacci dicendo “Sono già allacciate”
mostrando di aver capito solo il contenuto del messaggio, e non l’intenzione. Per questo il bambino deve
non solo conoscere il codice linguistico, ma anche capire com’è usato nella sua comunità e imparare ad
usarlo appropriatamente nei diversi contesti sociali. Successivamente matureranno la consapevolezza
“epilinguistica” (quella che tutti noi usiamo per valutare l’adeguatezza dei nostri comportamenti
comunicativi), così differenzierà i propri comportamenti in relazione agli scopi e agli interlocutori diversi.

Utile individuare 2 modalità di intervento al nido:


 Indiretta, legata alla strutturazione delle condizioni ambientali;
 Diretta, riguarda le scelte comunicative adottate dall’adulto nei confronti del
bambino.
L’educatrice deve essere quindi organizzatrice di esperienze e deve svolgere un ruolo di osservatrice
partecipante che riconosce valore e interesse alle iniziative infantili.
Favorire la competenza conversazionale attraverso il rispetto dei turni e del tema
All’interno della relazione, una delle prime conquiste che il bambino piccolo deve raggiungere è la
percezione di sé come interlocutore attivo. Nel contesto sono presenti le operazioni linguistiche (nominare,
collegare, collocare nello spazio e nel tempo) che permettono al bambino di formare quegli schemi cognitivi
che gli consentiranno di orientarsi nel mondo.
Occorre però rispettare i turni, favorendo con i propri silenzi l’assunzione del turno di parlante da parte del
bambino.
Per favorire la storia letta è importante guardare e commentare insieme le figure, fare ipotesi su cosa
accadrà, condividere le opinioni. Queste sono azioni comunicative e cognitive che accompagnano il
bambino nell’esplorazione della storia e nella sua comprensione. Solo dopo varie riletture ed esplorazioni è
utile leggere la storia senza interruzioni.
E’ anche importante che l’educatrice rispetti i dialoghi infantili, usando le consuete formule di cortesia
(“scusate se vi interrompo” oppure “posso dire anche io una cosa?”), questo indica ai bambini il
comportamento da adottare quando si vuole intervenire in un dialogo.
Anche il tema di cui si parla ha grande importanza: il buon successo del dialogo avviene quando si
segnalano i cambiamenti di tema, permettendo ad ognuno di avere ben chiaro a proposito di cosa ci stia
intrattenendo. Ogni interruzione o salto tematico va segnalato anche e soprattutto quando si parla ai
bambini, perché le differenze qualitative che caratterizzano la loro percezione potrebbero confonderli.

Dalle parole alle parole: favorire la conoscenza del lessico


T. DE MAURO – sottolinea che ci serviamo di un vocabolario fondamentale composto da 2000 parole, che
rappresentano il 93% delle parole usate in qualunque testo prodotto. Nel restante 7% possiamo trovare
parole ancora comuni e via via più rare. Tutte insieme, vale a dire 7050 parole, costituiscono quello che
viene chiamato “Vocabolario di base dell’italiano”. Sono invece 53000 le parole che costituiscono il
“Vocabolario comune”, che è condiviso dai parlanti di istruzione medio-alta.
Le prime due modalità con cui usano la lingua i bambini sono quella:
Predicativa – con cui si definisce qualcosa;
Relazionale – permette di collegare due o più elementi (“la bambola è sul tappeto”).
Questo perché nei primi anni l’apprendimento lessicale è strettamente legato al contesto tangibile,
concreto. L’adulto deve assecondare questo processo spontaneo di conoscenza usando alcune attenzioni:
mostrare e far esplorare l’oggetto nominandolo, per poi fare una descrizione dettagliata, evidenziando le
relazioni tra l’oggetto e il luogo in cui si trova, o tra esso e chi lo usa, utilizzando sempre un vocabolario non
troppo ampio, ma ben definito e ridondante.
Come scegliere le parole da proporre ai bambini?
Strumento utile: Questionario per la valutazione infantile elaborato dal CNR di Roma e dalla Fondazione
Macarthur. Questo strumento offre un elenco analitico di circa 700 parole usate dai bambini italiani nei
primi 36 mesi di vita.
Interessante sapere che il nome proprio del fratello/sorella di un bambino viene usato a partire dai 18 mesi,
mentre la parola “fratello” o “sorella” compare solamente dai 30 mesi in poi.
INDICATORI DI QUALITA’ EDUCATIVA NELLA PROPOSTA MONTESSORIANA:
UN DIALOGO CON GRAZIA HONEGGER FRESCO
Valeria Piccolini
Grazia Honegger Fresco, di stampo montessoriano, sottolinea la fondamentale importanza del rispetto dei
ritmi di crescita psicofisica dei bambini, fulcro attorno al quale ruota l’intera applicazione del metodo della
Montessori. Il bambino piccolo viene considerato COMPETENTE fin dalla nascita. Grazia Honegger Fresco,
d’accordo con la proposta educativa montessoriana, ritiene che solo un atteggiamento “indiretto”, l’ascolto
attento e le ottime condizioni di adattamento permetteranno lo sviluppo delle potenzialità nascoste dei
bambini. C’è appunto una relazione di interdipendenza tra ADULTO-BAMBINO-AMBIENTE. Si sottolinea
anche un altro aspetto importante: i bambini imparano attraverso il dialogo, l’ascolto e la relazione.
Nella pedagogia montessoriana inoltre ricopre un ruolo fondamentale l’OSSERVAZIONE, che costituisce il
primo passo verso l’educazione infantile.

L’insegnamento degli oggetti – Fondamentale per la Montessori è la cura e l’attenzione che i bambini
rivolgono agli oggetti che li circondano. Vengono usati per esempio dopo i 3 anni bicchieri di vetro, piatti di
ceramica ecc in modo tale da permettere ai bambini di raggiungere un naturale controllo dei movimenti per
non romperli. L’idea cardine è l’autocontrollo dell’errore.

Dai sensi alla costruzione dei concetti – Altro aspetto fondamentale è la costruzione dei sensi, e dato che i
bambini sono tutti diversi tra di loro, il lavoro deve essere indiretto. Gli oggetti sono definiti dalla
Montessori “astrazioni materializzate” di ciò che vi è nel mondo: dimensioni, colori, forme. Il materiale di
sviluppo è “maestro di cultura”, che consente un apprendimento individualizzato. Questi materiali si
rivelano utili strumenti di formazione del carattere. Ogni apprendimento deve quindi avvenire nella
massima concretezza possibile. Grazia H. Fresco sottolineava che l’idea della Montessori era che il bambino
imparasse le cose come essere ATTIVO che aveva a sua disposizione oggetti che gli permettevano di
constatare le cose con i propri sensi.
Ci sono periodi, che la Montessori definisce “periodi sensitivi”, in cui l’apprendimento di competenze risulta
più facile e naturale. Prima dei 6 anni d’età il bambino attraverso il PERIODO SENSITIVO DEL LINGUAGGIO,
e conclusosi tale periodo, l’apprendimento linguistico si fa sempre più difficile. Cominciare a 6 anni ad
apprendere la scrittura è tardi, perché il periodo sensitivo del linguaggio si è concluso. Periodo sensitivo
dell’alfabeto: 2 anni e mezzo. Per questo la Montessori aveva grande fiducia nelle forze originarie di ogni
essere umano, e così è importante che facciano anche le nuove maestre. La caratteristica di questo modo di
lavorare è appunta quella che riguarda la maestra che non interferisce, ma osserva.

La socializzazione nella proposta educativa montessoriana – Importante il concetto di “società per


coesione”. La società per coesione è, come sottolinea la Montessori, l’insieme di vissuti, autoriflessioni,
capacità di verifica dei propri errori, di osservazione degli altri. Lei parla di questo concetto riferendosi al
clima che può nascere in scuole prive di giudizi e di competizioni. Così si sottolinea il ruolo dell’ambiente
che funge da insegnante.

Arno Stern e Maria Montessori: educare alla creatività – Altro elemento che emerge dalle parole di Grazia
H.F. relativo alla pedagogia montessoriana è il Closlieu di Arno Stern. Egli denuncia lo “spreco d’infanzia”,
così realizza questo luogo chiuso, una stanza foderata di sughero ricoperto da carta da pacchi, con al centro
una tavolozza e 18 colori. Il protagonista è il singolo bambino e il gruppo nel suo insieme. Il Closlieu, come
l’ambiente montessoriano, riesce a creare una giusta unione tra strumenti, regole, opportunità e desideri.
Esiste un sano rapporto fra regole e libertà? Grazia H.F. dice che l’una è conseguente all’altra, dalla libertà
emerge la disciplina. I bambini quindi si trovano ad agire secondo il loro istinto imparando che la propria
libertà però termina dove inizia quella altrui.
CONCLUSIONE – I principali indicatori montessoriani di una scuola di qualità sono da ricercarsi anzitutto
nell’aiuto che “indirettamente” l’adulto deve fornire al piccolo, eliminando gli ostacoli materiali che
avvolgono la sua sfera d’azione e la progettazione di un ambiente a “misura di bambino” con arredamento
proporzionato, sia per dimensioni che per ingombro, fornendo inoltre oggetti e utensili “reali” al fine di
responsabilizzare l’attività del bambino favorendone l’autocontrollo e la correzione dell’errore.
Il metodo Montessori si basa sul piacere della scoperta e dell’apprendimento insito nel piccolo ed è questo
che consente la definizione di “scuola di qualità”.

UN ESEMPIO PARADIGMATICO DI COMUNICAZIONE EFFICACE E DISCRETA


TRA EDUCATRICI E BAMBINI
Manuela Gallerani
La comunicazione educativa fra relazione e conoscenza – La comunicazione colta nella sua complessità,
ossia nell’intreccio tra il versante verbale (numerico) e quello non verbale (analogico) si profila, nella
proposta pedagogica montessoriana, sia come uno strumento cardine per lo sviluppo delle relazioni e delle
pratiche di cura, sia come un veicolo per la conoscenza della realtà fattuale e sociale. A partire da questa
premessa, parlare di comunicazione efficace e discreta tra educatrici e bambini significa concepire le
pratiche di cura, nonché le relazioni interpersonali e i processi formativi di insegnamento/apprendimento,
come passaggi strettamente intrecciati gli uni agli altri. Le caratteristiche distintive della comunicazione
montessoriana adottata dalle educatrici dei servizi per l’infanzia 0-6 poggiano su alcune costanti:
a. La CONTESTUALITA’ – la comunicazione risulta tanto più efficace quanto più è situata e
contestualizzata;
b. La COMPARTECIPAZIONE – da parte di tutti gli interlocutori coinvolti;
c. Un APPROCCIO ECOLOGICO – che punti l’attenzione sull’insieme di relazioni e legami che si
instaurano fra tutti i protagonisti del processo educativo;
d. L’ASCOLTO ATTIVO – che rispetta i tempi e ritmi dell’altro eliminando la fretta;
e. La CURA DEL BAMBINO – in un’ottica di valorizzazione delle sue potenzialità.
L’atto comunicativo in questa prospettiva diventa un essenziale veicolo di ascolto attivo, di contenimento,
di costruzione di significati comuni e di costruzione del sé. La comunicazione risulta efficace perché è non
intrusiva (discreta). Questo rappresenta uno stile e una strategia del fare dell’educatrice, che implica una
costante osservazione dei comportamenti dei bambini; richiede una sviluppata capacità di comprensione
empatica, nonché la disponibilità all’ascolto attivo dell’altro.

Lo stile comunicativo e le posture dell’educatrice montessoriana – L’educatrice di stampo montessoriano


quando è implicata nella comunicazione o nell’osservazione adotta sempre un atteggiamento rassicurante e
accogliente nei confronti dei bambini. Il suo atteggiamento è quindi serio e motivante. L’educatrice
cercherà di favorire l’autonomia dei bambini in ogni circostanza, oltre a promuovere il loro senso di
sicurezza e fiducia in sé stessi, in quanto soggetti-persone capaci e comprendenti. Qua il concetto di
educazione efficace e discreta: efficace perché valorizza e promuove le competenze di ciascuno, discreta
perché non essendo intrusiva educa nel profondo rispetto per sé stessi e per gli altri. L’educatrice che
adotta uno stile comunicativo discreto ed efficace è perciò attenta, in primis, al rispetto e alla cura del
bambino. Questo suo atteggiamento accompagna il bisogno di conoscere del bambino e ne facilita la
conoscenza di sé, degli altri e della realtà fattuale, concetto ripreso dal pensiero della Montessori, che
sottolinea come questo bisogno sia innato nel bambino e sia al pare del bisogno di nutrirsi o di respirare.
Ruolo importante ha anche l’AMBIENTE, che secondo la prospettiva montessoriana deve essere
accuratamente predisposto ed organizzato in modo che possa comunicare al bambino le possibilità e le
opzioni che può compiere

Comunicare e osservare: osservare per comunicare in modo efficace – Attraverso l’osservazione


l’educatrice può predisporre “ambienti per l’apprendimento” che si pongono in alternativa alle istituzioni
educative la cui finalità risiede nel sorvegliare, punire o disciplinare. Nel nido si tratta innanzitutto di
sviluppare nei piccoli quelle abilità che nel lessico pedagogico vengono chiamate le “competenze per la
vita” tra cui la competenza comunicativa, il comportamento pro sociale e l’empatia. In questa prospettiva
l’educatrice montessoriana contribuisce alla realizzazione dei diritti dei bambini, tra i quali il diritto di essere
ascoltati e il diritto al gioco sanciti dalla Convenzione dei Diritti dell’Infanzia.
La comunicazione e il gioco rappresentano due strumenti con il quale il bambino può imparare a conoscere
il mondo circostante e la realtà fattuale nelle sue molteplici forme.

LA COMUNICAZIONE INTERCULTURALE: IL DIALOGO TRA EDUCATORI E


FAMIGLIE IMMIGRATE
Paola Polselli
Fenomeni di globalizzazione e internazionalizzazione nella vita professionale
GLOBALIZAZZIONE – fenomeno per cui diversi contesti specificità economiche, produttive, sociali e culturali
entrano in comunicazione su scala mondiale e diventano parte di un sistema più ampio attraverso la
diffusione di conoscenze, tecnologie e informazioni.
INTERNALIZZAZIONE – quando si considera l’apertura alla dimensione internazionale del settore produttivo,
del settore pubblico e della società civile.
Entrambi i fenomeni sono attraversati da una dimensione multilingue e multiculturale della comunicazione
con cui tutti noi ci confrontiamo quotidianamente sul lavoro e nella vita personale.

Dati che riguardano la comunicazione tra insegnanti e famiglie immigrate tratti dalla ricerca che il CIRES
(Centro Interdipartimentale di Ricerca Educativa e Sociale dell’Università di Roma Tre) ha svolto nel 2008-
2009 su “domande delle famiglie immigrate nei confronti del sistema scolastico italiano”. Dalla ricerca
emergono 3 aspetti in particolare:
1° Diffuso il ricorso alla figura del mediatore culturale per facilitare la comunicazione con le famiglie
straniere e predisporre materiali informativi tradotti in lingua straniera.
2° Relazione con la famiglia straniera è un grande oceano inesplorato, questo incide sulla dimensione
dell’integrazione.
3° Le famiglie straniere fanno emergere lacune e disfunzioni del sistema educativo.
In questo contesto emerge l’importanza del ruolo degli insegnanti e delle loro competenze, perché sono
loro che devono confrontarsi quotidianamente con la necessità di costruire uno spazio comunicativo
comune con i genitori immigrati.

La comunicazione interpersonale e interculturale


Tra i parlanti, non sono importanti solo i contenuti, ma anche il processo comunicativo e la relazione che si
stabilisce tra di loro. Vari studi sul parlato dialogico hanno registrato sia “che cosa” veniva detto, quindi gli
aspetti verbali, sia “come” veniva detto, aspetti sonori, prosodici e intonativi comprendendo in alcuni casi
anche i gesti. I dati raccolti hanno evidenziato che la comunicazione è un processo/prodotto negoziato dalle
persone che costruiscono insieme il dialogo. Nell’ambito della sociolinguistica Gumperz ha mostrato
l’importanza degli “indici di contestualizzazione” nelle comunicazioni problematiche. Ha osservato che
alcuni elementi paralinguistici o extralinguistici (tono voce, vestiti, postura ecc) possono portare a
fraintendimenti interculturali se sono interpretati soltanto alla luce della propria cultura di appartenenza.

Le implicazioni per le pratiche comunicative in ambito educativo


L’obiettivo in un’ottica interculturale è quello di sviluppare la sensibilità e la capacità di realizzare “strategie
di negoziazione dei significati e dei comportamenti capaci non solo di esprimere i bisogni comunicativi ma
anche di prevenire o risolvere malintesi che posso sorgere durante la comunicazione”. Così il dialogo tra
educatori e genitori stranieri rappresenta un’opportunità di crescita sociale importante. Alcuni studi
mostrano anche che esiste un rapporto tra stereotipi e padronanza linguistica nella comunicazione
interculturale.

STRATEGIE DI MIGLIORAMENTO DELLE PRATICHE COMUNICATIVE QUOTIDIANE


Quando si è in presenza di un adulto straniero possiamo attuare alcune strategie in quanto educatirici:
1° Ricordare che dialogare implica un ascolto attivo, importante quindi formulare risposte
appropriate.
2° L’educatrice deve ricordare che è in una posizione dominante, cioè svolge un ruolo di regia che le
permette di controllare la gestione della conversazione stabilendo l’inizio e la fine del dialogo,
scegliendo i temi ecc. Per questa ragione l’educatrice può attuare strategie di facilitazione della
comunicazione quando si rende conto che il/la parlante che ha di fronte comunica con risorse
linguistiche limitate. Importante quindi aiutare l’altro a orientarsi all’inizio del dialogo, cioè dire
chiaramente prima di che cosa si parlerà.
3° Facilitare la comprensione nella formulazione verbale facendo attenzione alla velocità del parlato,
alle forme linguistiche, alla lunghezza degli enunciati prediligendo quelli brevi, alle pause ecc.
In un dialogo tra due interlocutori che non condividono la stessa lingua, tutte le risorse linguistiche e non
linguistiche disponibili possono essere utili per realizzare lo scopo della comunicazione.

CONCLUSIONE - Comunicare in modo collaborativo è perseguire il successo della comunicazione cercando


di essere chiari con tutti i mezzi disponibili per favorire la comprensione reciproca.

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