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Francoise Dolto: afferma che per costruirsi sul piano psichico, per trovare interesse per l’espressione orale
e poi per quella scritta, il bambino ha bisogno di un “bagno di linguaggio”. Afferma anche che alcune parole
sono pericolose per il bambino, come quelle di rifiuto, minaccia, ingiunzione, le parole che mascherano la
verità e la bellezza. Marianne Zogmal definisce queste parole come strategie difensive.
Il bambino riceve prima di parlare, quindi è fondamentale parlargli molto e con affetto, ciò è indispensabile
per la costruzione dell’oralità. Un dialogo può stabilirsi ed essere modulato in funzione delle reazioni del
bambino: l’adulto parla quando il bambino ascolta, tace quando il bambino reagisce. Sembra che la
strutturazione stessa del discorso si apprenda attraverso l’allattamento che è fatto di parole e di pause: la
madre resta in silenzio durante la suzione del bambino, lei gli parla durante le piccole pause.
Dolto afferma che “i bambini vivono le parole”.
Ruolo contesto: determinante in quanto il bambino fin dall’inizio gode di una straordinaria capacità di
attenzione e possiede gli strumenti necessari per il linguaggio e la narrazione. Ipotesi sul contesto familiare:
il linguaggio non è un dono ma dipende dall’uso limitato o meno della lingua all’interno della famiglia. Ci
sarebbe dunque una trasmissione culturale del livello di linguaggio nell’ambiente familiare. Parlare è anche
raccontare, è tenere un discorso che non si riferisce sempre alla situazione presente. Una madre parla al
suo bambino piccolo, come se comprendesse, pur sapendo che non comprende, anticipando ciò che fa.
Arricchire molto presto il linguaggio rivolto ai bambini, attraverso storie, racconti, libri, è un’importante
azione di prevenzione e accessibile a tutti. I contesti educativi al di fuori della famiglia, partecipano a questa
trasmissione.
R. Diatkine distingue un tipo di parlare per il piacere, la fantasia, la tenerezza, da un parlare per una
necessità materiale in relazione con la realtà immediata. Il piacere di immaginare è una potenzialità vivente
in tutti i bambini. Arricchire molto il linguaggio rivolto ai bambini, le storie, i racconti ed i libri è, di fatto, un
importante atto preventivo ed accessibile a tutti.
Gli ambienti di vita complementari alla famiglia, quali le strutture di cura destinate ai bambini piccoli, dove
questi ultimi passano una parte significativa del loro tempo, partecipano a questa trasmissione. Essi
giocano certamente un ruolo non trascurabile, in modo particolare in ciò che riguarda il tipo di parlare nella
trasmissione culturale.
E’ importante riflettere sul tipo di parole che proponiamo ai bambini, farne oggetto di studio, di
osservazione, discussione in équipe e fare del linguaggio uno strumento pedagogico rivolto ai bambini.
Il Centro Pedagogico Emmi Pikler (Lóczy) osserva da molti anni la questione del linguaggio. I pedagogisti di
questa istituzione hanno osservato una comparsa tardiva del linguaggio nei bambini, e non sapendo
spiegare le ragioni di questo ritardo, lo hanno collegato al linguaggio delle educatrici, povero, un po’
stereotipato e privo di stimoli. Attraverso le registrazioni e un corso di formazione le educatrici hanno
imparato a parlare ai bambini, e questo ha avuto un effetto positivo sullo sviluppo del loro linguaggio.
La parola dell’adulto che accompagna il bambino è importante per lo sviluppo del linguaggio, per
l’elaborazione della consapevolezza che il bambino ha di se stesso. Il linguaggio è anche di supporto per
l’azione del bambino, all’apprendimento, in particolare della lettura, e alla comprensione del mondo che lo
circonda.
Lóczy: un centro residenziale tutte le forme di istituzionalizzazione e gli orfanotrofi producono danno e
sofferenza ai bambini che perdono capacità e acquisiscono sofferenza.
Emmi Pikler è una pediatra ungherese, nel 1947 le viene proposto di prendere la direzione dell'orfanotrofio
di Lóczy, e sebbene concordi sui bisogni pensa sia possibile un progetto educativo positivo per la crescita dei
bambini: a certe condizioni si possono evitare danni irreparabili in un ambiente organizzato.
Pikler sosteneva che le educatrici non devono ripetere il comportamento materno ma realizzare il
benessere del bambino in modi diversi.
Lóczy aveva poche educatrici all’interno del suo orfanotrofio ma esse puntavano sulle attività senso-
motorie ovvero bimbi svestiti a contatto fra loro su tappeti morbidi che sperimentano esperienze sul
mondo e sul proprio corpo base per un’autonomia senso-motoria. Le educatrici lavoravano parlando ai
bambini, lasciandoli liveri di muoversi e mantenendo la relazione con la voce.
Lóczy dimostra che un orfanotrofio può non essere deprivante.
Bernard Golse sottolinea l’aspetto narrativo del linguaggio e la sua importanza per permettere al bambino
di inserirsi in una storia, ciò implica che il parlare includa non solo il presente ma anche il passato ed il
futuro. Il linguaggio gioca un ruolo molto importante nell’apprendimento. Per i bambini, ogni nuova area di
apprendimento è inizialmente organizzata, esplorata ed analizzata grazie alla parola. La parola si trova alla
base della scrittura. Gli individui creano delle conoscenze semplicemente partendo dal linguaggio.
Per raggiungere il suo scopo, il linguaggio rivolto al bambino deve accompagnare i gesti dell’adulto, le
produzioni gestuali o fonetiche del bambino, e ritmare le loro interazioni. Ricco e variato, dà allo stesso
tempo al bambino la coscienza dei propri limiti nell’apertura verso il mondo che lo circonda.
ORIGINE RICERCA
Progetto che si inserisce nella linea d’azione della Delegazione della Prima Infanzia della Città di Ginevra
che mira a promuovere il piacere del libro e delle storie nelle istituzioni della prima infanzia. La ricerca è
stata motivata dalla constatazione che il tema del linguaggio adulto in riferimento al bambino sia poco
presente nei progetti pedagogici. Lo studio propone alle educatrici una riflessione sulla loro attività e il loro
ruolo vicino ai bambini, attraverso l’osservazione e l’analisi del linguaggio.
OBIETTIVO RICERCA
Identificare i tipi di linguaggio rivolti ai bambini dalle educatrici nelle strutture di accoglienza
prescolare e mettere in evidenza il modo di parlare ai bambini in questi luoghi.
Avviare una riflessione supportata dalle osservazioni filmate.
Un aspetto particolare del linguaggio dei bambini: L’USO DEI PRONOMI il bambino solitamente compie
questo passaggio dai 2 anni ai 2 anni e mezzo. Gli ERRORI più frequenti sono l’uso del proprio nome invece
che del pronome IO uso e l’uso del TU invece che del pronome IO (ripetizione di ciò che dice l’adulto).
CAMAIONI: acquisizione che si consolida tardi e uso difficoltoso dei pronomi per i bambini. A
3ANNI: sono acquisiti e utilizzati solo quelli di I e II persona e lo\la per indicare l’oggetto.
BRUNER: acquisizione precoce dei pronomi in quanto sono COMMUTATORI DEITTICI, cioè
presuppongono la capacità mentale di tenere presente sia il proprio punto di vista che quello
dell’altro→ prerequisito per lo sviluppo del linguaggio.
I pronomi sono segnalatori di PERCEZIONE DI IDENTITA’ e CONSAPEVOLEZZA dell’USO del LINGUAGGIO per
COMUNICARE.
Nell’adulto si nota un uso frequente della III persona:
• BAMBINO: FORMA di DISTANZIAMENTO- INDIVIDUAZIONE-RISPECCHIAMENTO
• SE’ STESSA: MODO per farsi RICONOSCER DAL bambino
ANALISI SEQUENZE VIDEO L’analisi delle sequenze video mette in evidenza il CONTESTO, la sua
importanza per individuare gli inizi del linguaggio e per osservare il passaggio dal proto-verbale al verbale.
Base inizio linguaggio ipotizzata da Valèrie Desjardin, che afferma che un insieme di movimenti del lattante
messi in atto nell’interazione con i genitori siano la base per i precursori del linguaggio. Il verbale dei
genitori sarebbe alla base di questa organizzazione. Quando il genitore si rivolge al bambino si costruirebbe
un “involucro ritmico” (enveloppe rythmèe).
Il silenzio - Durante l’osservazione delle sequenze video ha preso senso il discorso del silenzio, che è
importante quanto il flusso delle parole; è una componente del dialogo e serve per lasciare spazio al
bambino durante le interazioni. Partecipano anche alla costruzione dell’”involucro ritmico”.
Nelle registrazioni di bambini piccoli sono state registrate forme di soliloqui da parte dell’adulto. Paule
Aimard sottolinea infatti che “con un bambino piccolo, l’adulto dice per lo più qualsiasi cosa. Un
comportamento analogo a ciò che facciamo quando parliamo da soli”. Questo è importante in quanto
permette al bambino di abituarsi poco a poco alla voce umana.
La forma del linguaggio – Quella dominante è quella che commenta le azioni, in particolare quelle che
riguardano la situazione del pasto. Necessario perché permette ai bambini di prendere coscienza di ciò che
accade attorno a loro e di partecipare a quel momento, relazionandosi nel frattempo con l’educatrice. Il
“linguaggio fattuale”, cioè quello che commenta le azioni e gli avvenimenti è appunto quello più usato con i
bambini piccoli. Composto da frasi incomplete, il cui senso è compreso solo nella situazione vissuta.
All’opposto del “linguaggio fattuale” c’è la “lingua del racconto”, che apre la porta all’immaginario. E’ poco
presente nelle sequenze analizzate.
Pikler (pediatra ungherese) afferma che il bambino lasciato libero di muoversi in autonomia impara ad
agire, ad usare il corpo e, attraverso tentativi ad errori, a superare le difficoltà. L’educatrice deve quindi
rispettare i ritmi del bambino, anche se ciò richiede tempo, perché ha bisogno di tutto il sostegno
dell’adulto. E’ importante che si crei un legame tra bambino ed educatrice stabile, che permetta che il suo
sviluppo sia globale e armonico. Il legame deve essere significativo e il più possibile individualizzato. La
relazione educatrice-bambino si instaura soprattutto nei momenti di routine, e fondamentale è,
nell’approccio di “pikleriano”, il modo in cui tali cure vengono svolte. L’educatrice soddisfa i bisogni del
singolo in maniera diversa, adatta il suo comportamento alle particolarità del bambino, in modo che
ognuno abbia esperienza della propria individualità. Inoltre, al bambino è data la possibilità di collaborare.
Importanza del gioco libero e della scoperta del mondo – L’approccio Pikler sottolinea come sia necessario
lasciar giocare il bambino a modo suo e non come desidereremmo noi. Il gioco spontaneo rappresenta
infatti un presupposto importante per l’evoluzione del bambino. E’ solo così che nasce in lui il desiderio di
scoprire e di agire.
Ruolo dell’adulto – l’attività dell’adulto assume 2 forme:
Facilitazione – sia attraverso la sua presenza, sia attraverso la continua organizzazione dello spazio.
Osservazione dei bambini – in questo modo l’educatrice riesce a conoscere ogni singolo bambino e
può così intervenire in modo adeguato e personalizzato.
Il linguaggio dell’educatrice – Il bambino, nell’approccio Pikler-Loczy, viene considerato competente, capace
ed efficace nelle sue azioni fin da piccolissimo. Un bambino in grado di interagire attivamente con l’adulto.
Il contesto gioca a quest’età un ruolo determinante. Nei primi mesi è la madre che dialoga con lui. Alcuni
bambini vivono fin dalla nascita in un “bagno di linguaggio”, ma non per tutti è così.
Nel rapporto ed-bambino viene data molta importanza alla comunicazione corporea, al linguaggio non
verbale di entrambi. Dare voce a questo tipo di comunicazione, il primordiale per il bambino, è
fondamentale per il suo successivo sviluppo linguistico.
L’istituto Lòczy ha iniziato a osservare esplicitamente la questione del linguaggio a partire dagli anni ’80. I
pedagogisti di questa istituzione hanno osservato una comparsa tardiva del linguaggio nei bambini, e non
sapendo spiegare le ragioni di questo ritardo, lo hanno collegato al linguaggio delle educatrici, povero, un
po’ stereotipato e privo di stimoli. Attraverso le registrazioni e un corso di formazione le educatrici hanno
imparato a parlare ai bambini, e questo ha avuto un effetto positivo sullo sviluppo del loro linguaggio.
Silvia Moretti ha analizzato alcuni stralci di scritti presenti nell’Archivio dell’Associazione Pikler Lòczy-Italia
che si riferiscono in modo indiretto al linguaggio verbale delle educatrici:
“Ovviamente, si deve parlare al neonato, si deve creare un dialogo con lui, prestare
attenzione alle sue iniziative e rispondervi” ecc.
“Il bambino ha il diritto fondamentale di partecipare attivamente alle scelte che lo
riguardano” ecc.
“Il bambino, fin dalla più tenera età, è considerato come un interlocutore attivo e
intelligente che capisce le cose o le capirà, se gli viene offerta la possibilità di farlo”.
“Interessante è che l’educatrice racconti quello che succede nella vita reale e anche a
casa”.
Altro testo interessante è intitolato “La comunicazione adulto-bambino al nido”, tenuto da Anna Tardos. La
relatrice propone 3 principi della comunicazione adulto-bambino:
1° Comunicazione vuol dire interazione, una persona da sola non comunica;
2° A Lòczy è obbligatorio che l’adulto parli sempre con il bambino di cui si sta occupando in quel
momento. Non è un monologo ma un dialogo.
3° Un altro strumento di comunicazione è costituito dai movimenti del corpo e dai gesti. La gestualità
nel dialogo è fondamentale perché il bambino piccolo si esprime con gesti, con le azioni, con i
movimenti. Questo ricorda che la comunicazione è sempre una comunicazione personale.
L’analisi della funzione comunicativa materna – L’acquisizione del linguaggio è influenzata da fattori
ambientali, fattori contestuali (sistema culturale e scolastico/educativo ecc.) e da fattori prossimali
relazionali (responsività materna, stile comunicativo materno ecc.).
LONGOBARDI – Ha proposto un sistema di codifica che analizza le modalità comunicative materne
nell’interazione con il bambino tenendo conto di diversi fattori funzionali. 5 Categorie di interventi materni
verbali e non verbali:
1° Interventi tutoriali – sincronizzati con il focus di attenzione del bambino;
2° Interventi didattici – forniscono informazioni o conoscenze;
3° Interventi conversazionali – promuovono lo scambio comunicativo;
4° Interventi di controllo – ri-orientano o modificano l’attenzione del bambino;
5° Interventi asincronici – comportamenti intrusivi o sovrapposti rispetto a quelli del bambino.
Questo sistema di codifica è stato applicato alle analisi delle interazioni M-B a 16 mesi in contesti di gioco,
con oggetti familiari e oggetti nuovi, e di routine. Successivamente a 20 mesi è stata rilevata l’ampiezza del
vocabolario dei bambini mediante l’uso del questionario “Primo Vocabolario del Bambino”.
Cosa è emerso dallo studio?
Stile prevalente a 16 mesi: conversazionale e di controllo, seguite da tutoriale e didattico, ma solo le ultime
due corrispondono positivamente con lo sviluppo lessicale del bambino a 20 mesi.
Uno stile interattivo materno centrato sull’interesse del bambino e che sostiene l’azione facilita lo sviluppo
comunicativo-linguistico del piccolo, mentre uno stile direttivo rallenta le potenzialità di apprendimento del
bambino. Il ruolo della funzione comunicativa materna è stato analizzato anche in ricerche condotte su
bambini con sindrome di Down, sordità e ritardo del linguaggio.
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L’insegnamento degli oggetti – Fondamentale per la Montessori è la cura e l’attenzione che i bambini
rivolgono agli oggetti che li circondano. Vengono usati per esempio dopo i 3 anni bicchieri di vetro, piatti di
ceramica ecc in modo tale da permettere ai bambini di raggiungere un naturale controllo dei movimenti per
non romperli. L’idea cardine è l’autocontrollo dell’errore.
Dai sensi alla costruzione dei concetti – Altro aspetto fondamentale è la costruzione dei sensi, e dato che i
bambini sono tutti diversi tra di loro, il lavoro deve essere indiretto. Gli oggetti sono definiti dalla
Montessori “astrazioni materializzate” di ciò che vi è nel mondo: dimensioni, colori, forme. Il materiale di
sviluppo è “maestro di cultura”, che consente un apprendimento individualizzato. Questi materiali si
rivelano utili strumenti di formazione del carattere. Ogni apprendimento deve quindi avvenire nella
massima concretezza possibile. Grazia H. Fresco sottolineava che l’idea della Montessori era che il bambino
imparasse le cose come essere ATTIVO che aveva a sua disposizione oggetti che gli permettevano di
constatare le cose con i propri sensi.
Ci sono periodi, che la Montessori definisce “periodi sensitivi”, in cui l’apprendimento di competenze risulta
più facile e naturale. Prima dei 6 anni d’età il bambino attraverso il PERIODO SENSITIVO DEL LINGUAGGIO,
e conclusosi tale periodo, l’apprendimento linguistico si fa sempre più difficile. Cominciare a 6 anni ad
apprendere la scrittura è tardi, perché il periodo sensitivo del linguaggio si è concluso. Periodo sensitivo
dell’alfabeto: 2 anni e mezzo. Per questo la Montessori aveva grande fiducia nelle forze originarie di ogni
essere umano, e così è importante che facciano anche le nuove maestre. La caratteristica di questo modo di
lavorare è appunta quella che riguarda la maestra che non interferisce, ma osserva.
Arno Stern e Maria Montessori: educare alla creatività – Altro elemento che emerge dalle parole di Grazia
H.F. relativo alla pedagogia montessoriana è il Closlieu di Arno Stern. Egli denuncia lo “spreco d’infanzia”,
così realizza questo luogo chiuso, una stanza foderata di sughero ricoperto da carta da pacchi, con al centro
una tavolozza e 18 colori. Il protagonista è il singolo bambino e il gruppo nel suo insieme. Il Closlieu, come
l’ambiente montessoriano, riesce a creare una giusta unione tra strumenti, regole, opportunità e desideri.
Esiste un sano rapporto fra regole e libertà? Grazia H.F. dice che l’una è conseguente all’altra, dalla libertà
emerge la disciplina. I bambini quindi si trovano ad agire secondo il loro istinto imparando che la propria
libertà però termina dove inizia quella altrui.
CONCLUSIONE – I principali indicatori montessoriani di una scuola di qualità sono da ricercarsi anzitutto
nell’aiuto che “indirettamente” l’adulto deve fornire al piccolo, eliminando gli ostacoli materiali che
avvolgono la sua sfera d’azione e la progettazione di un ambiente a “misura di bambino” con arredamento
proporzionato, sia per dimensioni che per ingombro, fornendo inoltre oggetti e utensili “reali” al fine di
responsabilizzare l’attività del bambino favorendone l’autocontrollo e la correzione dell’errore.
Il metodo Montessori si basa sul piacere della scoperta e dell’apprendimento insito nel piccolo ed è questo
che consente la definizione di “scuola di qualità”.
Dati che riguardano la comunicazione tra insegnanti e famiglie immigrate tratti dalla ricerca che il CIRES
(Centro Interdipartimentale di Ricerca Educativa e Sociale dell’Università di Roma Tre) ha svolto nel 2008-
2009 su “domande delle famiglie immigrate nei confronti del sistema scolastico italiano”. Dalla ricerca
emergono 3 aspetti in particolare:
1° Diffuso il ricorso alla figura del mediatore culturale per facilitare la comunicazione con le famiglie
straniere e predisporre materiali informativi tradotti in lingua straniera.
2° Relazione con la famiglia straniera è un grande oceano inesplorato, questo incide sulla dimensione
dell’integrazione.
3° Le famiglie straniere fanno emergere lacune e disfunzioni del sistema educativo.
In questo contesto emerge l’importanza del ruolo degli insegnanti e delle loro competenze, perché sono
loro che devono confrontarsi quotidianamente con la necessità di costruire uno spazio comunicativo
comune con i genitori immigrati.