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ROMANTICISMO

L’Ottocento si apre come risultato di due grandi rivoluzione, quella industriale e quella francese. Si aprono
anche nuovi scenari pedagogici. Da tutto ciò l’Ottocento si appresta ad un’altra grande rivoluzione che
porterà ad una grande epoca, il romanticismo. La cultura romantica prende dall’era dell’illuminismo alcuni
fondamentali insegnamenti, si studiano pedagogisti come Rousseau, egli stesso definito pre-romantico, Kant
e Herder e vengono così tratti elementi che costituiscono il cuore del nuovo atteggiamento romantico. Tra
questi il sentimento, la ricerca dell’infinito, un nuovo senso della storia, della religione, dell’individuo e del
popolo. La conseguenza della rivoluzione francese vede però inasprire i rapporti tra sudditi, Stato e nazione.
L’Educatore dovrà allora intersecare il suo compito con la creazione di una formazione morale individuale e
con la formazione di un’etica collettiva. La rivoluzione industriale, invece, inaspriranno le problematiche
legate all’istruzione del popolo e io contrasto fra l’educazione unilaterale di stampo umanistico e quella
specializzante fondamentale per le nuove esigenze sociali.

FROBEL (1782/1852)

La caratteristica principale della pedagogia di Frobel è la creazione di scuole per la prima infanzia che creano
una rivoluzione nel modo di concepire i rapporti educativi e l’immagine stessa di questa età della vita. Avrà
la capacità, dopo essere stato cresciuto da un ispettore forestale, di creare un sistema organico di pensieri in
cui questo pensatore racchiude il rapporto tra lo spirito umano e la natura. Alla base della pedagogia di
Frobel sta la concezione romantica della natura considerata espressione vitale e unitaria della divinità, cioè
Dio. Questa legge eterna si sviluippa nella natura e nello spirito. Dio è l’elemento comune che unisce tutte le
due dimensioni, umana e divina. Secondo Frobel, dunque, l’educazione deve sviluppare il divino che è
nell’uomo. Guidandolo alla conoscenza di se, alla pace con la natura e all’unione con Dio. È fondamentale,
inoltre, delineare una teoria dello sviluppo, in modo che l’azione educativa assecondi sempre quanto è
presente nelle potenzialità dell’educando. Il fulcro della teoria di Frobel è la continuità, ossia che ogni cosa
appresa sia conseguente a quella precedente e che sia promotrice della seguente. L’educazione deve, perciò,
evitare ogni cesura netta nei periodi e non sottovalutare mai l’individualità dell’educando, analizzandola
psicologicamente e pedagogicamente, per pur rispettando ogni età che la caratterizza. Dati i suoi obbiettivi, il
fondatore del Kindergarden presta particolare attenzione alle prime tre fasi dello sviluppo che identifica con:

 Periodo del lattante (sviluppo corporeo)


 Periodo dell’infanzia (sviluppo del linguaggio e della capacità rappresentativa)
 Periodo della fanciullezza (predomina l’istruzione)

Frobel ritiene che il linguaggio sia forza e manifestazione dell’umanizzazione e che può trovare il suo pieno
sviluppo attraverso il gioco. Il gioco è manifestazione dell’attività del bambino, attività che caratterizzerà poi
la sua vita da adulto. Attraverso questi assunti, Frobel, sviluppa la sua teoria e visione dell’infanzia, basata
appunto sul gioco come espressine e fornitore di soddisfazione, gioia, libertà e pace con l’universo
dell’infante.

La fanciullezza, invece, è il momento della vita dedicato allo sviluppo della curiosità e l’interesse verso
l’apprendimento. È il momento in cui il linguaggio, sino ad ora “astratto” ossia slegato dall’oggetto, ora
diviene tangibile per trasformarsi in scrittura. Frobel sostiene che il vero maestro è colui che è capace di
essere mediatore tra l’allievo e la natura interiore (lo spirito) e la nature esteriore (uomo, sé stesso). È colui
che non si impone all’allievo ma che lo aiuta a scoprire la propria legge interiore, il giusto e a
sottomettervisi. L’apprendimento del “giusto” aiuta l’allievo a distinguere le mere richieste dell’Educatore da
quelle che derivano da una Necessità superiore. La prima figura di educatore è la famiglia. Nel suo racconto
Canti e carezze materne, Frobel, fornisce indicazioni per l’attività educative della madre. Come già espresso
da Pestalozzi, il ruolo della madre nell’allevamento è fondamentale per il lattante, ma anche come
educatrice, infatti ha un forte ascendente nell’allievo. Nella parte dell’infanzia hanno ruolo fondamentale i
genitori che devono fornire gli strumenti allo sviluppo del bambino senza adultizzarlo o sostituirsi a lui.
L’educatore deve prendere come punto di riferimento la madre, con il suo modo di insegnare gioioso e
semplice. La maestra dovrà dunque avere un attenzione individualizzata per ogni allievo ma anche una
buona preparazione pedagogica, infatti i Kindergarden frobeliani prevedono una scuola infantile e una
scuola normale per le maestre. L’educatrice deve provvedere alla conoscenza psicologica dell’alunno su cui
innestare, nel massimo rispetto dell’individualità, la propria attività educativa per guidare la libera
espressione del bambino attraverso materiali e attività predeterminate in un clima sereno in diretta continuità
con quello instaurato dalla madre. L’ambiente scolastico, pur allacciandosi alla famiglia secondo la teoria
della continuità, deve avere delle peculiarità che oltrepassino l’educazione familiare. Osservando il progetto
frobeliano del kindergarden si possono osservare quali siano le novità apportate al sistema scolastico da
Frobel. La scuola-giardino è il luogo dove l’infanzia può crescere liberamente come una pianta coltivata
dalle maestre-giardiniere. Non sarà un ricovero, come lo è per Owen, bensì sarà un ambiente educativo, che
riproduce la serenità degli spazi familiari, e vi aggiunge attività e materiali pensati nella loro funzionalità
pedagogica. Il bambino troverà un ambiente confortevole e con mobilio su misura per lui. Ai muri sono
appese illustrazioni e lavoretti fatti dai bambini. In un angolo si trovano giochi. Il kindergarden è suddiviso
in due parti:

 Zona adibita alle attività comunitarie


 Zona per attività individuali, più interna

Compito della maestra è quello di aiutare e stimolare i bambini, ma anche di osservare ed annotare. Frobel
ritiene che predeterminare un metodo didattico possa ostacolare la principale caratteristica intrinseca
nell’originalità dell’uomo, ossia la spontaneità. Ogni persona, in questo caso allievo, deve autodeterminarsi
in libera scelta. Nonostante questo ideale, nascerà col passare del tempo il “metodo didattico frobeliano”, che
sarà accusato proprio di uccidere quella spontaneità che tanto egli esalta. Diverrà comunque un metodo
tuttora valido, perché gestisce la fase dello sviluppo iniziale, l’infanzia prescolare, che sino ad allora non era
mai stata presa in considerazione. Tale età è fondamentale, dice Frobel, perché è il momento in cui con
spontaneità il bambino esteriorizza la sua parte interiore e sviluppa una adesione ai vari aspetti della vita del
mondo. È tramite il gioco che l’Educatore può osservare, e deve assencondare, le caratteristiche insite in ogni
individuo. È nel gioco che il bambino esprime le proprie capacità e tramite esso comincia ad approcciarsi al
mondo ed a conoscere la realtà. Sarà grazie allo sviluppo dei giochi individuali che il bambino comprenderà
l’unione umana di produttività e religiosità che possiederà da adulto. Il gioco diventa attività fondamentale
dell’infanzia e comprenderà attività motorie, sociali e cognitive attraverso il quale si svilupperanno il
linguaggio, il disegno, la produttività e l’attività logico-matematica. Infatti la prima attività affidata l
bambino sarà il disegno, la poesia, il canto e l’attività motiria così che possa esprimere il suo mondo interiore
attraverso la mente ed il corpo. Però, il bambino, dovrà comunque essere indirizzato dalla madre e dalla
maestra che dovranno stilolarlo nel rispetto della sua libertà di espressione. Sarà proprio su questi punti,
però, che il metodo froebeliano troverà le sue grandi difficoltà, anche a causa dell’incompetenza degli
insegnanti, che lo porteranno a ricevere gravi critiche e ad essere definito “progettistica rigida”. Nel periodo
che segue l’infanzia, la fanciullezza, l’allievo imparerà ad interiorizzare tramite l’istruzione. L’istruzione si
deve articolare vertendo sui tre elementi fondamentali che creano l’uomo: Dio, la natura e la persona. Il
metodo frobeliano esprime il concetto di continuitò tra gioco e apprendimento attraverso la pedagogia dei
“doni”, che sfrutta la curiosità naturale dell’allievo offrendogli materiali didattici con caratteristiche
cognitive e matafisiche che verranno presentate secondo un ordine preciso. In sostanza i “doni” sono giochi
che vengono presentati al fanciullo secondo un ordine prestabilito dalla teoria dello sviluppo progressivo e
contionuo della psiche infantile. I doni saranno i seguenti:
1. La palla, che rappresenta l’infinito per cui l’unità e se insieme ad altre palle la molteplicità. Aiuta il
bambino ad esercitare la mano, le dita, l’occhio. Ma sviluppa anche il concetto di simbolicità perché
a volte viene sostituita ad oggenti mancanti.
2. La sfera, il cubo, il cilindro insegnano a riconoscere i contrasti. La sfera rappresenta l’unità, il cubo
la molteplicità tridimensionale ed il riposo e, in fine, la sfera è la sintesi dei primi due.
3. Un cubo diviso in otto cubetti serve a fare acquisire il rapporto fra le parti e il tutto. Sviluppa le
cognizioni aritmetiche e di costruzione.
4. Un cubo diviso in otto mattoncini perfeziona il terzo dono.
5. Un cubo diviso in ventisette mattoncini alcuni ulteriormente suddivisi in diagonale.
6. Un cubo diviso in ventisette mattoncini alcuni ulteriormente suddivisi in per altezza e larghezza.
7. Seguiranno altri doni derivati dalla scomposizione del solido in linee e punti, con l’introduzione di
ago, filo, assicelle per sviluppare lavori sempre più complessi ed articolati.

I doni seguono la teoria dell’insegnamento dal semplice al complesso, arricchendo le capacità combinatorie e
manuali del bambino. Il “metodo frobeliano”, anche se attaccato nei suoi tempi, ha aperto la strada
all’utilizzo dei materiali didattici per la prima infanzia, spianando la strada alle analoghe iniziative di Maria
Montessori e delle sorelle Agazzi. L’aspetto caratteristico dei kindergarden frobeliani sarà la teorizzazione di
un metodo che rispetta l’età prescolastica andando contro sia all’idea degli asili come meramente
assistenziali ma anche all’idea di Aporti di dare al bambino un’educazione anticipata per introdurlo nel
mondo adulto precocemente. In Italia, le sorelle Rosa e Carolina Agazzi fonderanno, intorno al 1881/1884 i
primi giardini fondati sul metodo frobeliano.

PESTALOZZI (1746/1827)

Ci troviamo in Svizzera, ed è con Pestalozzi che si concentra tutta la luminosità della pedagogia svizzera. La
sua vita sarà segnata da una grande forza di volontà destinata però a spegnersi a seguito dei suoi molti
fallimenti. Sarà fondatore di vari istituti , come l’esperimento di Neuhof (1768) dove cercherà di migliorare
la vita dei lavoratori attraverso una rivoluzione agricola basata sugli ideali reussoniani e sulle teorie
fisiocratiche periodo inoltre in cui darà inizio alle sue più grandi opere pedagogiche iniziando da Leonardo e
Gertrude o, ancora, l’esperimento di Burgdof in cui elabora il metodo che gli drà notorietà e durante il quale
scriverà le sue più grandi opere didattiche come l’Abc dell’istruzione, il metodo, e continuerà la sua opera
pedagogica con Come Gertrude istruisce i suoi figli(1801). Temi fondamentali del metodo pestalozziano
saranno l’istruzione del popolo e il ruolo della donna. Quest’ultimo punto sarà favorito da Anna Schulthess,
moglie e compagna di vita di Pestalozzi, che avrà un importante ruolo anche nella carriera dello stesso. La
concezione politica di Pestalozzi sviluppa, sin dall’inizio, due motivi tipicamente romantici: la critica ai
regimi antiliberali e l’educazione popolare. Ruolo fondamentale sarà dato, dice Pestalozzi, dalla Rivoluzione
francese come promotrice dell’umanizzazione delle condizioni di lavoro e fornisce maggior spazio
all’attività educativa. Le teorie pestalozziane subiranno, nel corso della sua vita, delle trasformazioni
soprattutto a causa dei suoi fallimenti. In giovinezza affiderà l’educazione alle scuole ed ai maestri, in
vecchiaia, periodo di forte pessimismo, affiderà tutta l’educazione alle famiglie e allo Stato. Pestalozzi sarà
un grande ammiratore di Rousseau. Come lui, pestalozzi cosidera l’educazione come autonomo sviluppo
dell’uomo, e la pedagogia come studio delle condizioni che garantiscono questo sviluppo. A differenza di
Rousseau, però, Pestalozzi volge la sua attività educativa a tutto il popolo, concetto sconosciuto a R. che
volgeva la sua attenzione ad un solo allievo alla volta, e secondo il quale un precettore avrebbe potuto
dedicare la sua intera vita all’educazione di un solo allievo. È lamp0ante che tale metodo va in conflitto con
l’idea pestalozziana secondo la quale l’istruzione doveva essere accessibile a tutti, popolo e anche le donne.
Secondo tali necessità crollano i concetti roussoniani di contrapposizione tra individuo e società, separazione
dell’età e del ritardo di educazione morale e religiosa. Il metodo pestralozziano, però, rimane fedele all’idea
roussoniana che l’educazione debba essere naturale, cioè fondata sulla conoscenza delle leggi della natura
spirituale dell’uomo e sull’offerta di condizioni adatte allo sviluppo. Vengono allora differenziate le sfere di
vita, interiore che è rappresentata da Dio, da essa si muove l’educazione come perfezionamento della
personalità nelle dimensioni di cuore, testa e mano. Ma tale perfezionamento è possibile solo nella sfera
esteriore dei rapporti familiari, del lavoro e del ceto, dello Stato e della nazione. Tra gli anni 1780-1797
Pestalozzi si trova coinvolto nel suo periodo socio- politico più attivo, è allora che afferma i suoi ideali di
società dove l’uomo può passare dallo stato di natura, dominato dal bisogno e dall’egoismo, allo stato sociale
ove l’individuo può conoscere la moralità, che lo spinge al compimento del suo cammino formativo. È in
questo periodo che scrive Leonardo e Gertrude (1781) e un libro sull’Infanticidio. Riconosce e delinea quali
siano gli aspetti fondamentali dell’educazione. Lo Stato non dovrà mai soffocare l’individualità dell’uomo e
dei gruppi sociali, anche quelli più piccoli come la famiglia, intesa da Pestalozzi come la comunità etica
fondamentale. Ruolo fondamentale avrà la donna, in questo caso Gertrude, che dimostrerà la sua
intraprendenza ed intelligenza superando la gerarchia e riportando serenità nella sua famiglia e nella sua
comunità ove riavvierà una rigenerazione sociale, interiore, morale, familiare e politica attraverso la
ribellione al potere. La società auspicata da Pestalozzi dovrà dunque fondarsi sullo sviluppo di rapporti
morali tra gli uomini, fondati sulla fede e sull’amore reciproco. Pestalozzi approfondisce inoltre il tema
dell’infanticidio, accusando di tali problematiche l’uomo, e non la donna che altro non è che una vittima
succube di violenze. Propone una visione paternalistica dello Stato come legislatore e curatore del popolo;
deve essere favorita la ricerca della paternità e la possibilità di affidare ad altre famiglie i figli illegittimi;
aumentare il numero di consiglieri spirituali nei villaggi per le donne rimaste incinte a causa di violenze; si
dovrebbero cercare metodi per diminuire drasticamente l’infanticidio. Si sviluppa nella mente di Pestalozzi
l’ideale di istruzione per molti, che lo allontana dall’idea roussoniana di isolare l’allievo allo stato di natura.
Si prodiga per trovare un metodo per istruire al meglio il popolo e che sia adatto all’istruzione di un gruppo
ampio. Si avvale dell’ausilio degli allievi più grande, debitamente istruiti, per insegnare a quelli più piccoli
utilizzando il metodo del mutuo insegnamento. Il metodo didattico viene delineato nella sua opera
pedagogica successiva, Come Gertrude istruisce i suoi figli (1801), si esprime sullo sviluppo dell’istruzione
e sull’individualizzazione dei “principi primi” delle discipline. Con questo scritto vuole riferirsi, in primis, a
tutti i maestri fornendo loro una linea guida del suo metodo, viene delineato il METODO ELEMENTARE,
ossia graduale e organico, che vada dal semplice al complesso. I “principi primi” da seguire sono:

 Numero (matematica, aritmetica che dovranno essere insegnate dal semplice al comlesso)
 Forma ( disegno e geometria)
 Parola (lingua, quindi il parlare e il leggere)

Il ruolo della madre diviene fondamentale, l’idea di Pestalozzi in merito è rivoluzionaria. La donna diviene
prima educatrice, fondamentale, dell’infante.

Al metodo si associano le tecniche di insegnamento attraverso l’uso di ausili didattici come la lavagna di
ardesia, caratteri mobili per diffondere la lettura, ecc. Uno degli aspetti innovativi del metodo pestalozziano
è, seguendo il metodo di Rousseau, l’insegnamento induttivo, ossia gli insegnamenti vengono disposti in
“serie psicologicamente incatenate” così che ciò che segue sia connesso al precedente e introduca ciò che
segue ancora. I contenuti seguiranno anch’essi una modello di gradualità. Nell’esperienza concreta gli allievi
dovranno intuire gli elementi primi. L’educazione elementare pone al centro dell’educazione tre arre
educative fondamentali:

 Cuore, sviluppa la sfera morale ed affettiva. Tale insegnamento comincia glià tra le mura familiari
per poi essere completata dalla formazione degli elementi successivi-
 Mente, ove si viluppano le facoltà intellettive
 Mano, sviluppa la sfera tecnica-professionale.

Pestalozzi crede che sia necessario fornire delle indicazioni sul metodo anche agli insegnanti, crea allora il
“laboratorio didattico”, ove si riuniranno i maggiori educatori del tempo come Feber e Parrì. In ultima
analisi, Pestalozzi, si dissocia dal pensiero roussoniano nel suo non credere nella natura buona innata
dell’uomo. Ritiene che vi sia anche il male che solo attraverso l’educazione possa essere gestito e
controllato. Bisogna risvegliare e rigenerare la curiosità del sapere per poter creare uomini buoni. A questo
pensiero si associa anche Albertina Necker, donna aristocratiche, che nel suo saggio L’educazione
prograssiva attacca Rousseau sostenendo che l’uomo non è buono e bisogna aiutare lo sviluppo del carattere
umano e che l’educazione sarà progressiva per tutta la vita. Al pensiero pestazzoliano seguiranno, e si
contrapporanno anche, altri grandi pedagogisti. Come Fellemberg il quale vorrebbe introdurre delle scuole
differenziate per ceto sociale ed intrudurre delle tasse scolastiche; ed ancora Padre Girard egli avvierà delle
scuole mirate all’insegnamento della “lingua materna”, sottolineerà che si sta rendendo eccessivamente
curata l’educazione matematica del popolo che potrebbe creare una rivolta dello stesso verso “l’ordine
costituito”, ciò porterà alla chiusura della scuole pestalozziane. Ciò non impedisce, però, ad alcuni aspetti del
metodo pestalozziano di trovare attivazione anche ai giorni attuali. Dal periodo di Stans, luogo di ricerche,
viene tramandato il metodo intuitivo che porta ad arrivare alla pratica dalla teoria, la collaborazione di più
insegnanti che si confrontano per creare un metodo didattico incrociato ed ancora l’educazione non isolata
ma di gruppo, Pestalozzi utilizzerà il metodo lancasteriano dell’INSEGNAMENTO RECIPROCO, o
vicendevole.

Lancaster Josef (1778/1838)

Lancaster introduce un metodo molto importante nella storia della pedagogia. Il metodo lancasteriano, detto
anche “insegnamento reciproco” o vicendevole. È la ricerca di un metodo veloce ed efficiente per insegnare
ad un gruppo. Per prima cosa si riunisce il gruppo in una stanza; il gruppo sarà suddiviso in sottoinsiemi,
ossia classi, accomunate non per età ma per grado di apprendimento. Il maestro insegnerà ed istruirà il
monitore, il quale a sua volta insegnerà alla classe. Durante la riforma del metodo lancasteriano nasce
l’ausilio degli strumenti didattici, come la lavagna in ardesia, cartelloni al muro (visibili a tutta la classe),
tavolette, l’uso della sabbia fine. Il metodo però aveva una pecca, ossia era decisamente lento.

RISORGIMENTO ITALIANO

La prima parte è caratterizzata da alcuni eredi della tradizione laica e sensista dell’illuminismo italiano che
continuano a proporre riforme dell’educazione in linea con predecessori settecenteschi. Aggiungono a questo
il ruolo politico che l’educazione che l’educazione ha avuto nella rivoluzione Francese. La soluzione storico
politica è frammentaria e l’istruzione italiana appare disomogenea sia nei confronti degli altri stati che
all’interno di essi. L’analfabetismo è uno dei principali problemi della politica scolastica post-universitaria.
Spinte verso l’ampliamento della istruzione popolare. Si susseguono numerosi passaggi dal teorico al pratico
che aprono la strada al positivismo.

Aporti Ferrante (1971/1858)

Nasce in provincia di Mantova. Nel 1815 viene ordinato sacerdote. Nel 1819 gli viene affidata una scuola
elementare a Cremona, il suo obbiettivo è però quello di mettere in pratica i suggerimenti di Welderspin
Samuel dell’opera Sull’importanza di educare i piccoli figli del popolo. Fornisce allora ai bambini una una
preparazione preliminare alla frequenza della prima classe elementare. Nel 1828 allora inizia a Cremona il
primo esperimento di scuola infantile in Italia, per i bambini di famiglie agiate. Ha un grande successo, tanto
che lo Stato austriaco, nel 1829, riconosce la Scuola di educazione e ammaestramento dei fanciulli dai 2 ai 6
anni. Aporti, però, non abbandona l’idea della fondazione di una scuola per le classi sociali più umili. Questo
progetto vedrà la luce nel 1831 con l’inaugurazione della prima scuola infantile gratuita. Nel 1833 aporti
delinea il metodo ed i principi della nuova scuola con il Manuale di educazione ed ammaestramento per le
scuole infantili. Aporti vede nelle scuole infantili, non solo un’assistenza dovuta all’infanzia, ma anche
un’opera di prevenzione sociale e di prima educazione delle facoltà dei bambini, soprattutto per coloro che
sono figli delle classi sociali più povere e che probabilmente non accederanno a livelli di istruzione più alti.
Negli anni a seguire nascono molte Società per gli asili aportiani e Aporti comincia a delineare anche i
principi metodici per i maestri. Gli asili diviene scuola dell’infanzia direttamente collegata alla scuola
elementare. È per questo che si dota di metodi, preparazione degli insegnanti, curricolo. Il suo attacco va alle
istituzioni del suo tempo che non prevedono una formazione pedagogica dei maestri e che obbliga i fanciulli
a stare stipati e immobili in ambienti troppo piccolo compromettendo così il loro libero sviluppo. Aporti
sostiene lo sviluppo armonico e graduale della personalità infantile come sintesi di educazione. Il percorso
aportiano si delinea in tre elementi fondamentali:

Educazione fisica ossia esercizi ginnici come palla e salto


Educazione morale e religiosa ossia lo studio della religione attraverso i libri sacri
Educazione intellettuale ossia centralità per le lingue, nomenclatura, lettura, scrittura e
aritmetica.

Questa struttura della scuola infantile viene attaccata anche da Angiolo Gambaro, il quale sostiene che gli
asili così impostati non siano altro che scuole elementari compresi gli orari, i contenuti e i metodi. La mente
infantile non ne trae giovamento perché privata del gioco, fondamentale per lo sviluppo individuale
dell’infante. Ciò è,però, facilmente spiegabile con l’idea di Aporti che molti dei figlio del popolo non
avrebbero potuto accedere ad altre forme di istruzioni future. Egli porta all’attenzione della società del tempo
il problema dell’educazione precocie del popolo come fattore di progresso civile e di rinascita nazionale.
Negli stessi anni, in Germania, Frobel realizza il progetto del Kindergarden, sicuramente più adeguato alle
esigenze dei fanciulli di quell’età che porterà al superamento degli asili aportiani. In quanto grande filantropi,
Aporti, si occuperà anche di scuole estive, scuole per ciechi. Vuole introdurre anche una riforma scolastica
che coinvolga la scuola dagli asili all’università. Troverà però nel suo cammino molte ostilità dal governo
austriaco. Sarà costretto a trasferirsi a Torino dove sarà nominato senatore del Regno Sardo, il quale avrà
molti benefici in campo educativo apportati dal metodo aportiano.

CAPPONI GINO (1792/1876):

condanna ogni metodismo che pretenda di modellare il fanciullo invece di lasciarlo sviluppare
autonomamente, critica al metodo roussoniano. Privilegia approcci indiretti. L’educazione è valida solo
quando suscita le energie interne dell’allievo, l’educazione si rivolge al sentimento e alla volontà. Capponi
vuole cambiare la società attraverso l’educazione. Ciò viene realizzato secondo Capponi se si riesce a trovare
un fine ultimo, una sorta di “pensiero dominatore”. Tale pensiero dominatore deve venire dal di fuori
dell’uomo. Secondo Capponi tale guida-sociale si può trovare solo nella religione, ciò non toglie però che
l’educazione debba anche essere virile, cioè capace di stimolare il fanciullo a diventare uomo per sottrarsi ,
da adulto, ad ogni forma di servilismo morale e politico. Responsabili di questo sono senza dubbio i genitori,
dotati di un diritto naturale a “crescere la prole a proprio modo”.

INGHILTERRA: BADEN-POWELL (1857/1914) ATTIVISMO PEDAGOGICO

È in Inghilterra che avviene l’esordio delle “scuole nuove”, dove la classe dirigente è attenta alle sorti dello
sviluppo sociale. Iniziatore del movimento pedagogico, alla ricerca dell’istruzione, è sicuramente Locke con
la sua teorizzazione dell’educazione del gentleman. L’Inghilterra segue la sua iniziativa allargandola agli
attuali problemi dovuti all’ampliarsi dell’attività produttiva derivante dalla Rivoluzione industriale. Alla fine
dell’Ottocento, infatti, l’Inghilterra è il fulcro produttivo e commerciale del mondo. Alla creazione delle
“scuole nuove”, in Inghilterra, viene associata l’iniziativa di creare delle attività extrascolastiche ad impegno
sociale, in grado di migliorare il processo di scolarizzazione e di formazione del carattere. È Robert Baden-
Powell che teorizza, in un suo libro Esplorazione per ragazzi (1908), la nascita di una sorta di associazione
giovanile i boy-scout, che riscontra grande partecipazione a livello mondiale sino ad oggi. Viene istituito un
percorso formativo basato sulle più attuali ideologie pedagogiche, ossia l’attivismo, il contatto con la natura
e le attività di gruppo, tutti elementi con gran presa sui giovani. Il percorso formativo fu pensato come
parallelo a quello scolastico, infatti contiene elementi formativi come la disciplina, il saper stare in gruppo, la
responsabilizzazione, lo spirito di osservazione e di ragionamento.

IL POSITIVISMO

Nel Positivismo si possono distinguere due fasi:

• nella prima metà del XIX secolo, ad iniziare dal periodo della Restaurazione il Positivismo si
presenta come il progetto di superamento della crisi politica e culturale seguita all'Illuminismo e alla
Rivoluzione francese, tramite un programma politico antiliberale[2]

In questo periodo il Positivismo è messo in ombra dalla preminente cultura romantica e dalla filosofia
dell'Idealismo, ma è proprio in questi anni che nasce il termine Positivismo ad opera di Henri de Saint-
Simon, che lo usò per la prima volta nell'opera Catechismo degli industriali (1823-1824) e che venne diffuso
da Auguste Comte quando nel 1830 pubblicò il primo volume del Corso di filosofia positiva.

• Nella seconda metà dell'Ottocento il Positivismo rappresenta l'elaborazione ideologica di una


borghesia industriale e progressista per cui, in particolare in Inghilterra, ma anche nel resto d'Europa, trova
corrispondenze con l'affermazione del pensiero economico del liberismo.

È in questa fase che il Positivismo, messa da parte la filosofia idealistica considerata come un'inutile
astrazione metafisica, si caratterizza per la fiducia nel progresso scientifico e per il tentativo di applicare il
metodo scientifico a tutte le sfere della conoscenza e della vita umana. Il Positivismo diviene la cultura
predominante della classe borghese. Secondo Ludovico Geymonat infatti, sebbene non possa stabilirsi una
rigida identità tra Positivismo e borghesia, in quanto essa ha incoraggiato il Positivismo ma per certi aspetti
lo ha anche contrastato, non vi è dubbio che il Positivismo della seconda metà dell' 800, ha rappresentato
anche e in modo rilevante gli ideali borghesi quali l'ottimismo nei confronti della moderna società industriale
e il riformismo politico in opposizione al conservatorismo e nello stesso tempo al rivoluzionarismo marxista
fortemente critico nei confronti del moderno sistema industriale che non teneva conto dei "costi umani"
collegati allo sviluppo economico. Non a caso il Positivismo si diffonde soprattutto nei paesi più progrediti
industrialmente mentre è limitatamente presente in quelli meno sviluppati come l'Italia. Il Positivismo si
sviluppa in un periodo in cui l'Europa, dopo la guerra di Crimea e quella Franco-prussiana sta attraversando
un periodo di pace che favorisce la borghesia nell'espansione coloniale in Africa e in Asia e nella
contemporanea evoluzione del capitalismo industriale in un fenomeno economico internazionale. C'è una
profonda trasformazione anche nei modi di vita della città, dove si verificano, in pochi anni, cambiamenti più
incisivi di quelli avvenuti nei secoli precedenti con le innovazioni tecnologiche dell'uso della macchina a
vapore, dell'elettricità, delle ferrovie che mutano profondamente non solo le dimensioni spazio-temporali ma
anche quelle intellettuali. Tutto questo porterà nei primi anni del '900 a quella esaltazione delle "magnifiche
sorti e progressive" raggiunte dall'Europa della Belle epoque che si avvia al crollo delle illusioni nel baratro
della Prima guerra mondiale.

POSITIVISMO IN FRANCIA ED INGHILTERRA

Si sviluppa alla fine del periodo napoleonico ed è caratterizzata dall’espansione del pensiero scientifico e dal
decollo industriale. Il Positivismo francese risente di una forte tradizione illuministica, è orientata all’analisi
dei problemi sociali della rivoluzione industriale e alla soluzione degli stessi attraverso una nuova visione
della scienza e della tecnica. In questo contesto il ruolo dell’educatore è quello illuministico, ossia quello di
sviluppare le condizioni per la realizzazione di una nuova società senza trascurare l’individualismo e la
felicità del soggetto. Con lo sviluppo socioeconomica si fa sempre più forte il bisogno di un’istruzione più
volta alle esigenze che il progresso tecnico-scientifico propone. La necessità si fa più forte intorno alla metà
del Settecento, a seguito della rivoluzione industriale. I nuovi metodi di produzione, legate all’introduzione
delle macchine e all’accumulo di manodopera, che porta con se problemi sociali e scolastici. Tali problemi
sono la formazione della classe dirigente, del popolo e della formazione di scuole per l’infanzia. Solo nella
prima metà dell’Ottocento però ci sarà la fondazione delle scuole secondarie. Tutta la pedagogia del
Positivismo si basa sulla necessità di di creare un’educazione che sia in grado di affrontare il progresso
sociale. Oltre ai teorici che si approcciano ai problemi socio-politici, vi saranno anche degli studiosi che
cercheranno di definire in medo scientifico le modalità dell’azione educativa. Ne nascerà una vera e propria
scienza pedagogica.

ROBERT OWEN (1771/1858), positivismo inglese

In Inghilterra, la Rivoluzione industriale (ma così come anche negli altri paesi europei) fa nascere una
riflessione educativa che ha come problemi fondamentali due necessità sociali: la creazione di una scuola
adatta a fronteggiare le nuove esigenze delle classi popolari e lo sviluppo di un modello aderente alla
gestione del nuovo modello socio-economico. Primo fra tutti a preoccuparsi di questi problemi fu John
Locke, fu padre del nuovo modello formativo per la classe dirigente, con la formazione del gentelman, e
fondò le working school per la classe operaia. Sarà poi alla fine del Settecento inizio Ottocento, con Bell A.
e il quacchero Josef Lancaster che il problema dello sfruttamento infantile avrà la sua fine e l’assistenza
all’infanzia vedranno lo sviluppo di luoghi per i figli delle donne che andranno a lavorare. Lancaster diffonde
in Inghilterra il metodo del mutuo insegnamento (anche definito insegnamento vicendevole). La fortuna del
metodo lancasteriano è enorme, soprattutto in un’ epoca priva di mezzi economici e di maestri preparati.
Robert Owen nel 1779 diviene, dopo essere stato manovale, direttore di una filanda a New Lanark (Scozia)
ed è allora che comincia a realizzare una serie di riforme delle condizioni del lavoro: offre buoni salari, eleva
l’età minima con la quale un ragazzo può entrare a lavorare in fabbrica, non sfrutta gli indigenti. Il risultato è
un miglioramento della produttività. Notato ciò, Owen, si farà portavoce di tale riforma. Nel 1812, già
grande attivista, Owen propone al governo la diffusione di scuole popolari e nel 1816 fonda la prima scuola
per i figli dei poveri. Nel 1822 redige i Nuovi punti di vista della società sopra la formazione del carattere
umano, dove sintetizza un progetto di riforma della socità. Nel 1832, dopo un soggiorno in America, ritorna
in Inghilterra dove crea delle cooperative di consumo e di produzione e si attiva molto in campo editoriale,
da vita a numerose riviste e giornali. Vengono create, anche grazie a lui, nuove scuole sia a Londra che a
Manchester. Morirà nel 1858. Il pensiero oweniano si basa sull’assunto che l’ambiente e le esperienze che
ogni soggetto vive condizionano attivamente la formazione della personalità dello stesso. Per cui bisogna che
l’ambiente sociale in cui l’uomo vive, lavora sia positvo. Owen ritiene che dedicandosi alla crescita morale,
culturale ed economica dei suoi lavoratori abbia fatto prosperare la sua fabbrica è per questo che si cimenta
nell’esperimento di New Lanakar che rimane esemplare perché consentirà di diffondere l’istruzione
popolare, presenterà nuovi princìpi pedagogici. Il progetto oweiano è però visto, dalla classe borghese, come
una sorta di superamento del limite quando la sua sembra diventare una riforma globale. È allora che Owen
si impunta sui suoi ideali sostenendo la necessità di una scolarizzazione precoce per offrire anche ai figli del
popolo una educazione sociale. Secondo Owen la scuola sarà nuova ed innovativa: sarà uguale per tutti,
organizzata in edifici funzionali, dotati di servizi necessari come la mensa e l’infermieria, e sarà vicino
l’officina perché sarà alternato studio al lavoro. Ovviamente vi saranno anche attività fisiche come il canto,
la danza e l’educazione fisica. Tutto però sarà secondario allo studio della scienza e della natura. Ogni forma
di superstizione viene combattuta. Nella sua esperienza a New Lanakar, Owen istituisce una scuola da prima
solo per i figli del popolo e in seguito aperta a tutti dove insegnerà in primis a leggere, scrivere e far di conto;
si insegna la storia, il canto, la danza e l’educazione religiosa. Alla bambine vengono dati fondamenti anche
di cucina, taglio e cucito. I maestri vengono anch’essi istruiti secondo il modello oweniano così da essere un
esempio sia dentro le mura scolastiche che fuori da esse. Owen pone comunque il suo maggior interesse alla
scuola per l’infanzia. Fonda un suo asilo nido, è tra i primi a farlo, che comprende una stanza per i più
piccini e una sala di studio prescolastico per i bambini dai 4 ai 6 anni. Ritiene utile una formazione
prescolastica anche perché, come Aporti in Italia, credeva che molti di quei bambini non avrebbero avuto la
possibilità di proseguire gli studi.

PEDAGOGIE ALTERNATIVE

La diffusione delle ideologie dell’Attivismo portano, nella seconda metà del ‘900, ad un approccio non
direttivo. La scuola tradizionale viene posta a critica radicale, in favore di alternative autogestite, comunitarie
e addirittura descolarizzanti. Si ritiene che la scuola tradizionale sia ormai ad un livello di invalidità che
anche riforme dall’interno non potrebbero funzionare. Si opta allora per un cambiamento radicale con un
approccio di rivoluzione sociale che coinvolge i modelli educative e di vita. Anche in Italia, l’area ed il
bisogno di rivoluzionare il sistema scolastico vede in prima linea due grandi personaggi, i religiosi Don Zeno
Saltini e don Lorenzo Milani.

DON ZENO SALTINI (1900/1981)

Dopo aver vissuto in giovinezza esperienze lavorative precoci, Don Zeno, entra in contatto con quelli che
sono i problemi sociali dei primi del ‘900. Decide allora di dedicarsi alla cura e all’assistenza dei fanciulli
poveri ed abbandonati. Fonda, nel 1933, l’Opera Piccoli Apostoli. All’interno della comunità creata di
formeranno delle “famiglie” di circa 10 giovani ai quali verranno affiancate delle “mamme di vocazione”.
Nel 1943, la comunità stribgerà un patto sociale con alcune famiglie “di vocazione” che si occuperanno
dell’educazione dei giovani. Dopo la dispersione provocata dalla guerra la comunità viene nuovamente
riunita. Rinascerà con il nome di Nomadelfia nel 1947, si basa su un progetto di un sistema sociale basato
sulla democrazia diretta, sulla comunanza dei beni e del lavoro, sulla autogestione della comunità. La
comunità avrà una costituzione propria e servizi autogestiti, ovviamente non mancheranno le critiche e gli
interventi, come negli anni ’50, dello Stato e delle forze dell’ordine. Al di là dell’aspetto politico, però,
Nomadelfia, nasce come progetto di famiglia aperta per i “figli dell’abbandono”. Nella comunità tutti sono
figli di tutti. Tutta la comunità si impegna ad esercitare una “paternità e maternità” ai ragazzi. La comunità
però non resta chiusa in sé stessa ma tende alla congiunzione con il resto della società.

DON LORENZO MILANI (1923/1967)

L’itinerario di don Milani è parallelo a quello di don Zeno, anche se da questo si distanzia nei contenuti e nel
progetto. Nel 1954 trasforma la parrocchia in una scuola per l’istruzione popolare e per i giovani emarginati.
La scuola di Barbiana del Mugello. Dal suo passagio da San Donato (Prato), dove aveva istituito una scuola
per i poveri principalmente indirizza a fornire ai giovani gli strumenti per avvicinarsi alla vita religiosa, per
arrivare a Barbiana don Milani capì che il vero problema non era una scuola che avvicinasse a Dio e alla
religione, bensì una scuola che potesse realmente essere per tutti. Infatti, nonostante la Costituzione Italiana
sancisse l’obbligo nonché diritto all’istruzione, tale diritto non era per i più poveri. Con la nascita della
scuola di Barbiara rese possibile, per i poveri della cittadina montanara, frequentare una scuole volta però
non alla formazione di una educazione propria delle classi dominanti, bensì ad una educazione che rispetasse
l’identità politica dei giovani e fornisse loro gli strumenti per diventare cittadini. Don Milani sostiene che la
condizione di povertà inculca nei poveri stessi dei valori evangelici che vanno difesi mediante un’educazione
particolare, civile e non confessionale. È per questo che rivendica una scuola popolare che si diversifichi da
quella “normale”, infatti la scuola normale è per le classi dominanti mentre la scuola per i poveri, a suo
parere, deve essere diversa e speciale. La scuola di don Milani si differenzia dalla scuola di don Zeno. Essa è
fondata su ideali direttivi, ai ragazzi va insegnata a tutti i costi, anche con la frusta, la disciplina e la
“coscientizzazione”. Egli si sente padre dei ragazzi, e come tale si comporta. La scuola di Barbiara si
concentra sull’insegnamento della lingua. La lingua deve sviluppare la capacità di leggere il presente per
affrontarlo con criticità, da diversi punti di vista. Fondamentale è anche il saper scrivere “come si legge”,
perché la scrittura è il mezzo con cui i dominanti occultano la verità ai poveri. L’attività di don Milani è
caratterizzata dal rifiuto della pedagogia accademica, ma fondamentali sono l’assistenza, l’ideale
comunitario, la creazione di gruppi di lavoro ed il lavoro stesso. Non vengono assegnati voti e non ci sono
bocciature né promozioni. Ognuno progredisce con il proprio ritmo. Viene utilizzato il metodo del mutuo
insegnamento e vengono rifiutati i libri di testo tradizionali. Un aspetto importante degli insegnamenti
milaniani è il “saper scrivere”, collettivamente si procede alla stesura di lettere che in seguito vengono
discusse, anche per mesi, e nel frattempo ripulite di tutte le parti inutili o che la rendono incomprensibile. Da
questa pratica nascerà la celeberrima Lettera ad una professoressa che attirò a sé non poche critiche. Nella
lettera viene criticato il metodo delle bocciature, sostenendo che tale procedura non tiene conto dell’ambiente
e del passato vissuti dal ragazzo che si ha difronte. Che il bocciatura non è causata dall’ignoranza del
ragazzo, bensì dell’incompetenza delle istituzioni di di garantire il servizio scolastico a tutti.

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