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solo la diagnosi: oggi – finalmente – molti bambini, ragazzini, ragazzi e adulti riescono a trovare un
nome per le loro difficoltà, ottenendo così l’aiuto che occorre per mettere in atto le loro potenzialità
cognitive. Fino a pochi anni fa, a questi ragazzi veniva attribuita l’etichetta di chi “non ne voglia”
oppure “è pigro” o peggio ancora “è intelligente, ma non si applica”, causando, in moltissimi casi,
l’abbandono scolastico, per non parlare delle ricadute sull’autostima.
Nelle prossime pagine troverete un testo informativo sui DSA e indicazioni utili nel caso abbiate nel-
le vostre classi studenti con questo tipo di disturbo. Vedrete che la didattica per i bambini con DSA
non è diversa da quella per i bambini normolettori, necessita semplicemente di alcuni accorgimenti
che aggirino le difficoltà di automatizzazione che caratterizzano il disturbo.
Di questi accorgimenti si è tenuto conto anche nella realizzazione di questa nuova antologia.
Abbiamo scelto di dedicare particolare attenzione agli studenti con DSA a partire dal carattere di
alcuni testi, quelli indicati come Testo amico, che è diverso da quello a cui siamo abituati.
La diversità di questi caratteri crea quelle differenze fra grafemi simili che, indifferenti per i normo-
lettori, possono aiutare molto il ragazzo dislessico nei compiti di decifrazione e nel miglioramento
conseguente della velocità di lettura.
Abbiamo inoltre deciso di incrementare nel testo i messaggi veicolati attraverso le immagini e più
genericamente attraverso il linguaggio visivo. Questa procedura, più agile e immediata, non solo
stanca meno lo studente con DSA, ma è più accattivante anche per il normolettore o il ragazzo con
esigenze diverse (per esempio di madrelingua non italiana).
Abbiamo optato per un riduzione degli esercizi da eseguire sul quaderno, prediligendo sempre
– laddove possibile – la compilazione sul testo. A questo scopo, e per venire incontro alle esigenze
* Anna Maria Novero è laureata in Storia della Lingua italiana e in Logopedia all’Università di Genova. Si occupa da diversi
anni di DSA, di apprendimento e di didattica, dopo aver vissuto, all’interno della sua stessa famiglia, il problema “disles-
sia”. Da sempre sostenitrice di percorsi terapeutici centrati sui bambini (e non sui disturbi), ha lavorato a Genova in équipe
multidisciplinare e attualmente collabora con il Centro Psicologia della dottoressa Piera Campagnoli di Gorgonzola, al fine
di fornire un approccio integrato e multidisciplinare alla terapia del bambino con DSA.
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il cervello ha convertito a questi compiti alcune aree già esistenti che, semplicemente, facevano altro.
Si tratta di alcuni gruppi di neuroni dell’emisfero temporale sinistro. Prima si occupavano di rico-
noscere la forma degli oggetti, in particolare di quelli che presentavano intersezioni (come due rami
incrociati, per esempio) successivamente hanno imparato a riconoscere la forma delle lettere (non a
caso spesso costituite da forme che presentano intersezioni o giunzioni).
Questa è la prima lettera dell’alfabeto fenicio: nata probabilmente dall’osservazione di una testa
bovina ( ). A quel punto il più era fatto e lo scoglio più arduo superato. La strada che avrebbe por-
tato a Omero, Dante e Proust era aperta. Il nostro cervello oggi ha imparato a riconoscere a colpo
d’occhio le lettere (e magari è meno veloce con i rami intrecciati).
Vediamo ora come imparano a leggere i normolettori. Il modello più accreditato è quello a quattro
stadi proposto da Uta Frith.1
1. Stadio logografico: si ha durante la scuola materna; in questa fase il bambino “legge” in modo
globale, sfruttando la componente visiva. Le parole sono percepite come disegni e il significato è
associato solo con l’aiuto di un adulto. In questa fase il bambino non ha ancora appreso i nessi
che legano i suoni alle lettere, quindi non è in grado di leggere, ma solo di riconoscere la parola:
Una particolare scritta bianca in campo rosso, associata a una cosa piacevole permetterà al bam-
bino di riconoscerla e al genitore di pensare che il piccolo sia già in grado di leggere. In realtà la
stessa parola scritta “Coca Cola” non sarebbe riconosciuta.
1 Frith U., Beneath the surface dyslexia, in J.C. Marshall, M. Coltheart, K. Patterson (a cura di), Surface Dyslexia and Surface
Dysgraphia, Routledge and Kegan Paul, London, 1985.
s riconoscimento dello stimolo “M” e soppressione di quelli diversi “A” “B” “C” “D” “V” “Z”;
s associazione dello stimolo grafico al suono corrispondente: “M” = /m/.
È intuitiva la complessità di questo compito e la conseguente necessità di dispiegare in esso notevoli
energie mnemoniche e attentive. E si tratta solo del riconoscimento di un grafema! Se il compito
fosse di riconoscerne due (per esempio “M” + “A”) il lavoro sarebbe doppio, e non solo, il bambino
dovrebbe svolgere anche un compito metafonologico, associando il suono /m/ al suono /a/.
Tuttavia, in un tempo relativamente breve questa abilità diventa automatica e non richiede più né
fatica né tempi lunghi. Che cosa è successo? Semplicemente il bambino ha imparato.
Quando impariamo a fare qualcosa come guidare l’auto, sciare o leggere, accade che un atto da complesso e
volontario diventi semplice e automatico, o quasi. Ricordiamo le prime volte che abbiamo guidato un’auto:
la tensione dei muscoli e lo sforzo mentale per cercare di ricordare tutto quello che dovevamo fare e tutte le
cose a cui dovevamo prestare attenzione. Un’esperienza faticosissima e probabilmente non troppo positiva
(difficile avere una guida fluida ai primi tentativi). Adesso probabilmente ognuno di noi è in grado di guida-
re in modo rilassato e sicuro, senza stress e in modo nettamente migliore rispetto agli esordi.
Tanto che magari mentre stiamo guidando possiamo anche permetterci di pensare ad aggiornare la
lista della spesa. Meno fatica, meno tempo, miglior risultato.
ATTO AUTOMATICO
– FATICA
– TEMPO
+ RISULTATI
2 Le “non parole” sono parole senza senso (come *doci, o *cruvimere), vengono usate in ambito testistico per valutare
l’efficienza della lettura per via fonologica. Ma le incontriamo nelle nostre letture quotidiane, in forma, per esempio, di
nomi propri o parole straniere.
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Questo dato significa che abbiamo a che fare con bambini e ragazzini dall’intelligenza pronta e vi-
vace che fanno tanta, tantissima fatica a imparare quanto viene loro insegnato a scuola già dai primi
anni delle elementari.
Sono disturbi che emergono in età evolutiva, che spesso hanno segnali indicatori precoci e che non
passano con la crescita: un bambino dislessico sarà un adulto dislessico. Tuttavia, l’impiego di stra-
tegie di apprendimento adeguate può portare le performance di lettura, scrittura e calcolo a notevoli
miglioramenti (in alcuni casi sovrapponibili con i risultati dei normolettori).
Oggi sappiamo che esiste una causa genetica per i DSA; una minima anomalia cromosomica. Sap-
piamo che quel piccolo gruppo di neuroni dell’emisfero temporale sinistro, quelli deputati al ricono-
scimento degli oggetti con intersezioni, cui si faceva cenno in precedenza, nei bambini che saranno
dislessici si disloca in maniera anomala4 già durante la gravidanza.
Sappiamo che la causa è genetica e sappiamo anche che esiste familiarità: un bambino con un ge-
nitore o un parente stretto con DSA ha assai più probabilità di sviluppare a sua volta un DSA di un
coetaneo senza familiarità.
Un bambino intelligente, vivace e pieno di attesa si affaccia, a sei anni, al mondo della scuola. È facile
immaginare la sua curiosità, le sue aspettative e quelle della famiglia. Per tutti i bambini è così. L’ingresso
nella scuola è il primo contatto con un mondo che non è quello della famiglia, con i primi doveri e le
prime vere regole. È un mondo, come accennavo prima, di cui la maggior parte di noi serberà il ricordo
per tutta la vita. Di solito fin dai mesi precedenti il bambino viene preparato all’evento con incitamenti
e raccomandazioni, gli si spiega che “sta diventando grande”, che imparerà a leggere e scrivere, cose “da
grandi” per eccellenza. La scuola sarà il suo lavoro, non troppo diverso da quello di mamma e papà.
3 Questa percentuale vale per la lingua italiana. È relativamente bassa a causa della “trasparenza” dell’ortografia della no-
stra lingua (che con poche eccezioni si legge come si scrive). In paesi dove la lingua è meno trasparente le percentuali sono
assai più elevate (17% in Gran Bretagna).
4 “L’anomalia” di cui stiamo parlando è subclinica, cioè non è riscontrabile con esami; non si “vede” né con lastre né con
risonanze magnetiche.
line ecc.).
s Fatica:
– nei compiti che proponiamo ai bambini non notiamo nessun miglioramento dovuto alla prati-
ca: le attività di riconoscimento, di associazione, di memorizzazione non solo rimangono lente,
ma sono anche sempre faticose. Dopo aver decifrato pochi grafemi, il bambino è già “stanco”.6
Se osserviamo questi elementi, possiamo cominciare a sospettare di avere davanti un caso di DSA.
Per la maggior parte delle famiglie questo è un fulmine a ciel sereno. “Improvvisamente” un bambi-
no sveglio e sano non riesce a imparare a leggere bene come gli altri.
Questo non è sempre vero, o almeno, non lo è nella maggior parte dei casi. Oggi sappiamo che circa l’80%
dei soggetti con DSA ha avuto un pregresso disturbo del linguaggio (per esempio ha cominciato a parlare
tardi, ben oltre il primo anno di vita, ha sviluppato il linguaggio verbale in maniera irregolare, spesso ha
avuto bisogno di aiuto logopedico, in alcuni casi è giunto a scuola con qualche residua difficoltà nell’e-
spressione verbale). Spesso i genitori (e anche gli addetti ai lavori) trascurano il legame fra linguaggio e
apprendimento della letto-scrittura. Invece questo legame è molto, molto importante. Perché il disturbo
del linguaggio è strettamente correlato a quello dell’apprendimento: come il bambino piccolo decodifica
e produce con difficoltà i suoni della lingua parlata, allo stesso modo il bambino più grande sarà in diffi-
coltà con quelli della lingua scritta. L’80% dei bambini con disturbo del linguaggio svilupperà un DSA.
Questo dato non è utile soltanto per i logopedisti e per le famiglie, ma anche per gli insegnanti:
permette (almeno per un certo numero di DSA) di potersi muovere con tempestività, di “tenere
d’occhio” i bambini a rischio, evitando il pericolo della diagnosi tardiva e della conseguente caduta
di autostima del bambino.
Un ruolo fondamentale può essere svolto anche dagli insegnanti della scuola materna. Proponendo
nell’anno precedente l’ingresso a scuola attività metafonologiche ai bambini, possono dare indica-
5 Earvin Johnson jr., noto come Magic Johnson è un ex giocatore di basket statunitense ed è considerato uno dei più grandi
giocatori della storia di questo sport.
6 E i bambini non sono “pigri”.
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– problemi psicologici.8
Ma PUÒ presentare:
– difficoltà nel linguaggio verbale;
– difficoltà metafonologiche;
– lentezza nell’apprendimento, affaticabilità e distraibilità.9
3. La dislessia
Come abbiamo visto, è il disturbo che impedisce o rende assai lenta e difficile l’automatizzazione
del processo di lettura. In precedenza abbia ricordato che l’atto automatico richiede meno tempo e
meno fatica di quello volontario, a parità di risultato. Se parliamo di lettura, l’automatizzazione del
processo si vede nelle variabili di:
1. rapidità,
2. correttezza,
3. affaticabilità.
Rapidità
L’incremento fisiologico della velocità di lettura è di circa 0,5 sillabe al secondo annue, fino alla 2°
media; per un dislessico lieve è di 0,3 e per uno grave di 0,2. Il grafico alla pagina seguente illustra chia-
ramente che un dislessico grave, alla fine della terza media, legge più o meno come un normolettore in
seconda primaria.
7 A pag. 133 proponiamo un piccolo elenco di giochi metafonologici.
8 Qui si vuole intendere che la dislessia non è causata da problemi psicologici, come molti ancora credono; in realtà molti
bambini dislessici sviluppano problemi psicologici, ma essi sono la conseguenza della dislessia e non la sua causa.
9 La distraibilità non è legata a problemi attentivi, ma correlata con il maggior sforzo che il bambino fa per svolgere i
compiti proposti: facendo più fatica, si stanca prima e, quindi, tende a distrarsi.
Correttezza
La variabile della correttezza è meno importante della rapidità nella lingua italiana; la trasparenza
fonologica della nostra lingua che, con poche eccezioni, si legge come si scrive, “aiuta” i bambini a
essere corretti. Non mancano, tuttavia, alcune difficoltà legate alla “somiglianza” grafica di alcuni
caratteri, come per esempio p – d – q – b, a – e, u – n ecc.
Questi grafemi, in stampato minuscolo, sono il ribaltamento o la rotazione dei medesimi elementi e
possono creare difficoltà di lettura. Di solito intorno alla quarta classe della primaria la correttezza
del bambino dislessico si allinea a quella del normolettore. Le difficoltà di correttezza sono tuttavia
un utile campanello di allarme per cogliere la dislessia.
A questo punto ritengo importante spendere qualche parola sulla “pigrizia” e sull’“allenamento”: si
è calcolato che alla fine della seconda classe della primaria un bambino ha visto per 400000 volte lo
stimolo “a”; se dopo aver visto “a” per 400000 volte il bambino ha ancora problemi per distinguerla
da “e”, è perché ogni volta deve fermarsi e confrontare i due simboli, non avendoli automatizzati.
Non ha senso proporre più allenamento o pensare che il bambino sia pigro.
La dislessia rende difficile l’automatizzazione del collegamento fra fonema e grafema.
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– Mancanza di autocorrezione (il bambino sente che c’è un errore, ma non sa trovarlo).
Scuola secondaria di primo grado (e di secondo grado)
Difficoltà nell’usare lettura e scrittura come strumenti per apprendere. Ciò provoca:
– difficoltà nell’organizzare il proprio pensiero e le nozioni apprese;
– difficoltà di espressione (specie nella stesura del tema: il bambino presta un’eccessiva attenzione
all’ortografia, a scapito del contenuto);
– difficoltà a rendere produttivo il proprio studio.
4. La disgrafia e la disortografia
Le componenti specifiche della scrittura sono:
1. l’analisi fonemica della parola che si vuole scrivere (o che viene dettata);
2. la corrispondenza fra grafema e fonema;
3. il recupero della forma ortografica (cioè dell’insieme delle regole che permettono di rendere i suo-
ni della lingua parlata attraverso i grafemi);
4. la realizzazione effettiva della parola scritta, cioè la produzione di precisi pattern di movimenti,
volti alla scrittura delle lettere e delle parole.
Se i problemi a livello della scrittura riguardano i punti 1, 2 o 3 si parlerà di disortografia, se sono a
livello del punto 4, si avrà disgrafia.
Disgrafia
La disgrafia è uno dei disturbi dell’apprendimento e spesso si associa a dislessia e disortografia. Si
manifesta con calligrafia difficilmente leggibile e disarmonica.
Normalmente, già nella prima classe della scuola primaria, dopo un iniziale periodo di confusione
e difficoltà, i bambini raggiungono una scrittura abbastanza chiara e leggibile. In seconda, spesso, si
Disortografia
Come abbiamo visto in precedenza, la disgrafia rende difficile la realizzazione grafica dei segni quan-
do si scrive a mano; un bambino che fosse esclusivamente disgrafico potrebbe scrivere con il compu-
ter o con la macchina da scrivere e sarebbe perfettamente comprensibile. Nella disortografia, invece,
si hanno degli errori nel contenuto delle parole scritte, errori che sarebbero perfettamente visibili
anche se scritti con la tastiera di un computer.
Quando si vuole scrivere una parola occorre:
1. identificare i fonemi che la compongono;
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2. mantenerli nella memoria;
3. individuare i grafemi corrispondenti ai fonemi identificati;
4. conoscere le regole ortografiche per la scrittura corretta di una determinata parola.
Gli errori compiuti da un paziente disortografico sono di vario tipo; è molto importante analizzarli,
ed eventualmente identificare quelli prevalenti, per avere un valido “bilancio” dell’ortografia del pa-
ziente, e poter programmare rinforzi e trattamenti mirati. Gli errori più comuni sono:
s Errori ortografici fonologici: sono relativi alla difficoltà di riconoscere correttamente i suoni che
formano le parole; per esempio scrivere balla al posto di palla.
– errori di sostituzione: possono riguardare suoni che si somigliano dal punto di vista fonologico
(per esempio c/g, f/v, s/z), dal punto di vista della forma grafica (per esempio p/q/b/d, a/o,
m/n/u), o per entrambi i criteri;
– errori di omissione: di solito riguardano i dittonghi o i gruppi di consonanti;
– errori di aggiunta di grafema.
s Errori ortografici non fonologici: sono causati da una cattiva rappresentazione ortografica10 delle
parole; per esempio scrivere *accua al posto di acqua (la pronuncia è la stessa):
– errori di segmentazione e fusione illegale: si hanno quando il bambino separa le componenti di una
sola parola, per esempio *in sieme (per insieme), o fonde due elementi che sarebbero separati,
per esempio *lerba (per l’erba) o *melanno (me l’hanno);
– errori nelle parole omofone non omografe: per esempio nell’uso di “qu”/”cu”;
– errori relativi all’accento e all’uso di “h”;
– errori nell’uso delle doppie.
Gli errori ortografici fonologici sono caratteristici nei bambini del primo ciclo della scuola primaria,
quando l’attività di riconoscimento dei suoni e la scelta del grafema corretto per rappresentarli è
ancora incerta e faticosa.
10 Ortografia è l’insieme delle regole che permettono di scrivere in maniera corretta in una determinata lingua.
5. La discalculia
La discalculia evolutiva è il disturbo specifico del calcolo. In realtà mediamente, in ogni classe di circa
25 alunni, 5 vengono segnalati per difficoltà di calcolo,12 quindi la percentuale di bambini con diffi-
coltà nell’ambito matematico è di circa il 20% del totale. I discalculici, invece, sono “solo” lo 0,5-1%.
Questo dato lascia supporre una qualche diffusa difficoltà nell’ambito della didattica della matema-
tica, seppur le più recenti ricerche psicologiche13 abbiano dimostrato che la capacità di comprendere
il mondo in termini numerici sia innata nell’uomo e anche in molti animali (non solo primati, ma
anche i mammiferi e persino alcuni anfibi).
Per quanto concerne la discalculia, la Consensus Conference Italiana (2007) distingue fra due tipi di
“profili”:
s 1° profilo: il bambino presenta difficoltà a strutturare la cognizione numerica. Risulterà proble-
matico rappresentare le quantità, compararle, manipolarle e gestire il calcolo a mente;
s 2° profilo: riguarda le difficoltà nelle procedure esecutive (lettura e scrittura delle cifre e dei nu-
meri, incolonnamento ecc.) e del calcolo.
Gli errori più frequentemente commessi da bambini e ragazzi discalculici sono:
s difficoltà visuospaziali: i bambini hanno difficoltà a riconoscere i segni matematici, a incolonnare, a
stabilire la direzione procedurale, a gestire i prestiti e i riporti;
s errori nel recupero dei fatti numerici:14 per i ragazzi risulta difficile automatizzare anche i calcoli più
semplici, e sono costretti a ricorrere sempre al conteggio;
11 La lettura “esatta” della parola “palla” dovrebbe essere “pal-la”; non a caso, la trascrizione fonetica della parola (/’pal:a/)
si avvale del simbolo “:” a indicare il prolungamento della consonante precedente.
12 Lucangeli D. et al. L’apprendimento difficile, Quaderni del Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e
l’adolescenza, 2006, Firenze, Istituto degli Innocenti.
13 Rugani R., Regolin L. e Vallortigara G., Rudimental numerical competence in 5-day-oldchicks: identification of ordinal
position, Journal of Experimental Psychology: Animal Behaviour Processes, 2007, 33, 1, pag. 21-31.
14 I “fatti numerici” sono i calcoli di cui conosciamo il risultato senza dover contare (per esempio 3 + 2 = 5).
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s semplificare il testo dei problemi;
s schematizzare in modo visivo le modalità di svolgimento delle operazioni;
s cercare strategie alternative che favoriscano la memorizzazione dei fatti numerici e delle sequenze
vincolate.
6. La diagnosi
Abbiamo imparato a conoscere i DSA e a coglierne i “campanelli di allarme”. In alcuni casi sono
proprio gli insegnanti i primi a notare i segni di difficoltà dei bambini e a segnalarli alla famiglia.
Questo non deve sorprendere: l’insegnante è l’esperto dell’apprendimento, naturale che riesca a co-
glierne le anomalie. Altre volte le difficoltà del bambino vengono rilevate precocemente dalla fami-
e pedagogiche da mettere in campo per mettere il bambino nelle migliori condizioni di apprendere
e di sfruttare le sue potenzialità cognitive.
In ultimo, nella relazione, non dovrebbero mancare indicazioni sull’approccio psicologico e sulle
maniere per aiutare il bambino non solo a migliorare nel leggere, nello scrivere e nel far di conto, ma
anche – e soprattutto – a vivere serenamente e costruttivamente le proprie difficoltà.
L’emotività del bambino con DSA, su cui torneremo, è di fondamentale importanza: migliorare il
numero delle sillabe lette al secondo è assolutamente inutile se il bambino si sente un “problema”
per la sua famiglia, un “fastidio” per gli insegnanti, un “numero” per i terapisti.
Il bambino ha fatto i test e ha ricevuto, insieme alla sua famiglia, la restituzione della diagnosi. In
moltissimi casi la diagnosi di DSA ha un esito estremamente positivo sui bambini: finalmente le dif-
ficoltà hanno un nome. C’è una spiegazione per tutta la fatica, la frustrazione, la stanchezza.
Di solito sono due le domande che i bambini pongono, a questo punto.
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s Fare una diagnosi adeguata e restituirla con chiarezza e semplicità.
s Programmare cicli riabilitativi per il tempo necessario, prevedendo anche periodi di pausa.
s Spiegare a bambini, genitori e insegnanti il problema, ricordandosi sempre che la spiegazione non
viene assimilata una volta per tutte, ma spesso è necessario ribadire le nozioni fondamentali (per
esempio i punti di forza del bambino).
s Fare consulenza agli insegnanti e agli altri medici e terapisti che entrano in contatto con il bambi-
no (per esempio i pediatri).
s Presentare il caso quando il bambino cambia scuola.
s Lodare sempre l’impegno profuso e tutti i miglioramenti, anche relativi.
Come non devono comportarsi i logopedisti e i medici che seguono i bambini?
s Comunicare in “buracratese” o in “medichese”: è fondamentale per i futuro del bambino (e per la
serenità della famiglia) che il problema venga compreso. Questa fase è molto delicata. Compito
del medico che restituisce la diagnosi e del terapista che illustra la riabilitazione è fare in modo
che ciò avvenga. Per questo è fondamentale usare un linguaggio chiaro che sia comprensibile sia
al bambino che ai genitori.
ovo
Nell’immagine proposta il grafema “U” viene presentato attraverso un oggetto che ha una forma che
ricorda quella del grafema il cui nome comincia con la stessa lettera. Nei normali alfabetieri non
esiste questa “doppia” associazione, ma solo quella fonologica. In questo modo si offre ai bambini
un doppio canale di accesso al grafema e si riduce il carico di lavoro della memoria.
Inoltre si sconsiglia di approcciare l’insegnamento della letto-scrittura attraverso la presentazione
contemporanea dei quattro caratteri (stampato e corsivo maiuscolo e minuscolo).
Successivamente le linee guida non solo presentano le misure compensative e dispensative, ma spie-
gano anche come esse non debbano essere fornite “a pioggia”, ma scelte d’accordo con i terapisti
in base alle difficoltà del bambino, e costantemente “adeguate” ai progressi fatti e alle necessità di
16 A pag. 140 altre doppie associazioni, ma ogni insegnante può crearne di personali, eventualmente sfruttando gli inte-
ressi dei bambini.
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Le famose (e a mio avviso famigerate) schede: vorrei ricordare che gli insegnanti (non i terapisti, non
i genitori) sono gli esperti dell’apprendimento, quindi non devono “aver paura” di creare il proprio
materiale senza l’avallo degli esperti. Siete voi insegnanti gli esperti.
L’offerta di schede “pronte” (in testi di didattica speciale, in testi “normali”, su Internet) è infinita.
Si tratta in genere di materiali validi, che, magari con qualche minima modifica tarata sulle esigenze
individuali, possono senza dubbio essere usati; l’unico suggerimento che mi sento di dare è di avere
sempre ben presente quale sia l’obiettivo che ha la somministrazione di una scheda o la proposta
di un esercizio. Per esempio, se ho intenzione di rinforzare la competenza sull’uso di H, cercherò di
focalizzare il mio intervento su questo: un dettato di frasi “con molte H” potrebbe non essere adatto
allo scopo. Perché?
Perché per fare un dettato le competenze in gioco sono molte:
1. ascoltare quello che l’insegnante detta (impiegando risorse attentive);
2. ricordarlo (impiegando risorse mnemoniche);
3. recuperare le regole di conversione grafema/fonema (risorse attentive e mnemoniche);
4. recuperare i pattern motori di realizzazione grafica delle lettere (risorse attentive, mnemoniche e
procedurali);
5. scrivere;
6. recuperare le regole ortografiche (non fonologiche) per usare correttamente l’H.
Un semplice dettato di frasi, e stiamo lavorando su sei competenze; per non parlare della memoria e
dell’attenzione; la competenza che volevamo veramente allenare, nello specifico, era solo la n° 6.
È molto facile che a un bambino DSA (ma anche semplicemente un bambino “stanco” alla terza ora
di lezione) “sfugga” qualcosa; e ancor più facilmente gli sfuggirà la cosa da fare “per ultima” e la più
difficile (perché senza aiuto fonologico), cioè “mettere l’H”, proprio la competenza che era l’obiet-
tivo dell’esercizio.
– Per andare ……… correre ……… messo la mia tuta nuova ……… righe.
(HA/A) (HO/O) (HA/A)
Per aiutare la memorizzazione della regola, si potrebbe proporre ai bambini di svolgere l’esercizio con
schede che illustrassero, con esempi, le regole; l’attività di ricerca dell’esempio nella scheda didattica e
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il suo adattamento all’esercizio permette di “fissare” le regole, senza affaticare inutilmente la memoria.
Non bisogna temere che così sia “troppo facile” perché vedere la forma corretta aiuta a fissare nella
memoria la regola e a familiarizzare con essa. Non appena la regola sarà automatizzata il bambino
smetterà di usare la scheda: perché farà molto più in fretta senza,18 ma magari sarà rassicurato dal
fatto di poterla tenere sul banco.
L’insegnante noterà facilmente che i bambini senza particolari difficoltà ben presto non useranno
più la scheda didattica (o la useranno solo per “controllare”), avendo familiarizzato con la regola. I
bambini con DSA (o magari soltanto bambini più piccoli o stranieri) continueranno a usarla più a
lungo. Ma avendola messa a disposizione di tutti si eviteranno problemi e difficoltà.
Questo tipo di approccio permette di superare molte difficoltà legate al trattamento “diverso” dei
bambini con DSA. L’insegnante deve essere sicuro che la didattica adatta ai DSA è adatta a tutti i
bambini e che in molti casi l’intervento specifico sul DSA consiste solo nel dare un minor numero di
esercizi o nel mettere a disposizione un maggiore tempo di svolgimento.19
Le altre difficoltà che inevitabilmente si presentano possono essere risolte instaurando un clima di
collaborazione e integrazione in classe.
Il ruolo dell’insegnante è preziosissimo, in questo: sulla scorta della mia esperienza la cosa peggiore
che può capitare è che un bambino abbia un trattamento diverso dagli altri (per esempio usi il pc
in classe, o la calcolatrice) e che nessuno spieghi la cosa ai compagni. Il “è così, perché sì” crea nella
classe un clima di scarsa fiducia reciproca e alimenta le peggiori “leggende”.
In accordo con la famiglia e il bambino, ed eventualmente anche con la collaborazione del terapista,
si deve spiegare la situazione del bambino DSA alla classe, con calma e semplicità, illustrando le cose
in cui riesce bene e quelle in cui c’è una difficoltà e in che modo queste difficoltà vengono superate.
18 Chi di noi tiene in macchina il manuale per la patente, per verificare il suo operato al volante?
19 In realtà dare più tempo è una misura non sempre adatta, specie ai bambini più piccoli: abbiamo visto come la fatica
del bambino DSA sia assai maggiore di quella del bambino non DSA; prolungare il tempo dell’esercizio spesso allunga solo
l’ultima parte del compito, già affaticata e poco brillante. In genere meglio ridurre la quantità di esercizi.
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s Lavorare “per obiettivi”.
s Partecipare a corsi di formazioni e creare gruppi di lavoro con i colleghi in modo da condividere
i saperi acquisiti.
s Favorire l’autostima del bambino.
s Mettere in atto provvedimenti compensativi e dispensativi.
s Lodare.
20 Mi è capitato di vedere bambini DSA “parcheggiati” nel banco (attaccato alla cattedra) da soli, ma con il posto accanto in-
gombro di audiolibri, calcolatrici e PC, ammucchiati alla rinfusa e a volte non funzionanti. Alle proteste della famiglia il direttore
didattico disse «non ci possono dire niente, gli diamo tutto». Questo un perfetto esempio di come NON devono essere le cose.
Anche perché i genitori hanno una missione nell’ambito dell’apprendimento che difficilmente può
essere svolta da un insegnante o da un terapista: quella di far amare la lettura e i libri ai loro bambi-
ni. Può sembrare impossibile, ma si può far amare la lettura a un bambino dislessico; si può fare in
modo che non sia preso dall’angoscia ogni volta che vede un libro o che conti le righe che gli man-
cano per finire la pagina. Il sistema esiste, ed è molto semplice, basta leggere per lui.
Sicuramente questo non aiuterà a migliorare la velocità e la correttezza della lettura, ma contribuirà
a farla diventare una soddisfazione personale, una motivazione in più a superare le difficoltà; potrà
far nascere quella “voglia di libri” che può fare la differenza fra un bambino che supera la dislessia e
uno che si arrende a essa.
tenere collaborazione si possono ottenere ottimi risultati. Esistono dislessici laureati, e dislessici
insegnanti, medici e ingegneri.
s È importante che un tale atteggiamento negativo non arrivi al bambino, è importante che egli
sia a conoscenza del proprio problema, ma non viva “da malato”.
s L’atteggiamento precedente con la diagnosi vista come una sentenza senza appello, porta spesso
a comportamenti iperprotettivi, o di mortificazione: “Questo non puoi farlo, è troppo difficile”.
Il bambino con DSA può fare cose difficili perché le sue abilità cognitive sono integre. Compito
di terapisti, insegnanti e genitori è trovare il modo in cui possa “fare la cosa difficile” senza incor-
rere nelle difficoltà che il disturbo gli provoca. Vivere nell’angoscia; spesso quando il genitore,
con fatica, trova un ambiente sereno e collaborante, comincia a pensare con ansia a quello che
succederà nel futuro, quando, obbligatoriamente, si dovrà abbandonare quell’ambiente: “alle
medie come faremo?”.
s Certo appare naturale affezionarsi e fidarsi di insegnanti e terapisti che hanno mostrato compe-
tenza e disponibilità verso i propri problemi, tuttavia ciò non deve portare a un atteggiamento di
chiusura. I bambini con DSA devono poter frequentare la scuola pubblica e lì avere tutto quanto
è previsto dalla legge per la loro formazione.
s Non fare eterne sessioni di compiti “in più”: per il bambino i compiti normali richiedono già
un lavoro assai più gravoso di quello che viene svolto dai compagni. Tormentarli con esercizi
supplementari che di solito non sono neanche utili è assolutamente da evitare.
s Non strappare le pagine e far riscrivere: il genitore, per quanto preparato e amorevole, spesso non
può rendersi conto dello sforzo che quella pagina, piena di segnacci e cancellature, sia costata al
Sezione 2
bambino. Le pagine scritte da un bambino con DSA non sono certo da valutare come un “prodotto
estetico”, ma come l’emblema della fatica e dell’impegno. Strapparle e buttarle via manifesta di-
sprezzo per qualcosa che è costato tanto, magari un pomeriggio intero senza giochi, senza tv, senza
merenda. È bene che la frustrazione del genitore non vada mai a ricadere sul bambino.
21 Spesso si passerà dall’allocutivo “tu” al “lei” nel rivolgersi alla figura docente. Può sembrare una differenza marginale,
ma è invece una cifra di cambiamento percepita come molto importante; il “tu” è la forma che si usa in famiglia, gli in-
segnanti della scuola primaria hanno anche funzioni simili a quelle genitoriali; alla scuola media i rapporti si fanno più
formali (anche se non per questo necessariamente caratterizzati da minor affetto e stima).
La terapia
Quando i ragazzi DSA giungono alla scuola secondaria di primo grado, la terapia si adatta alle loro
nuove esigenze: difficile (e inutile) proporre ad alunni di dodici anni esercizi per la velocità di lettura
o lunghe sessioni di rinforzo dell’ortografia; meglio materiale specifico e agile che permetta di agire
selettivamente sulle criticità e preparazione di materiali che aiutino a catalogare le regole in modo
chiaro, così da potervi attingere in caso di dubbio.
Soprattutto la terapia deve aiutare il ragazzo a imparare le strategie che gli permettano di aggirare
le difficoltà causate dal DSA e di studiare in modo razionale ed economico. In breve la terapia deve
aiutare i ragazzi a elaborare un proprio metodo di studio.
Anche in questo caso il percorso del ragazzino con DSA non è diverso dal quello del ragazzino
normolettore: entrambi si trovano a fronteggiare un aumento importante del carico di lavoro, più
materie da studiare e più complesse. Entrambi hanno bisogno di “imparare a studiare”, di riflettere
sul loro stile di apprendimento, di ragionare in termini metacognitivi.
Le particolari difficoltà del ragazzino con DSA possono richiedere un’attenzione maggiore nello sco-
prire le proprie caratteristiche di apprendimento; ma proporre in classe riflessioni metacognitive e
guidare i ragazzi a capire “come funziona” l’apprendimento e come ognuno può favorire il proprio
è una buona prassi, che di certo porterà ottimi risultati nell’ambito della consapevolezza e della di-
dattica.
A questo scopo abbiamo elaborato il breve questionario che si trova a pag. 150.
Sezione 2
alcune pause nel proprio tempo di studio, per non arrivare sfiniti (e non più operativi) alla fine del
pomeriggio. Permette di gestire i tempi di preparazione delle verifiche, dividendoli su più giorni, con-
tenendo in questo modo l’ansia scolastica. Permette di non dover rinunciare ai propri impegni ludici,
sportivi o artistici. L’errore di molti adulti è pensare che questa capacità di organizzazione sia “innata”.
Non esiste il metodo di studio perfetto, ma aiutare i ragazzi a pensare al loro tempo e a come gestirlo
al meglio è senza dubbio un ottimo sistema per incominciare a trovare il proprio.
Si inizierà in modo molto semplice, organizzando la settimana, suggerendo ai ragazzi di non lasciare
accumulare compiti e lezioni, ma di studiare un poco per volta, “portarsi avanti” con il lavoro nei giorni
meno faticosi per avere un po’ più di tranquillità in quelli più faticosi e precedenti alle verifiche.
Le critiche a questo sistema organizzativo non mancano, neppure fra gli adulti: in genere si obietta
che gestire un’agenda razionale è difficile e “porta via molto tempo”, e che in un certo senso “frena”
la creatività di ciascuno.
È certo che la gestione richiede tempo, ma permette di guadagnarne molto di più e soprattutto, di ge-
stirlo nella maniera migliore: organizzarsi non vuole dire lavorare sempre, significa potersi godere
una pausa in tranquillità, senza pensare che in quel momento si dovrebbe fare qualcos’altro.
Molti ritengono che essere organizzati significhi essere rigidi; questo sarebbe vero se si avesse la pretesa che
un metodo organizzativo adatto a qualcuno fosse arbitrariamente esteso a tutti gli altri; è evidente che que-
sto non avrebbe senso, tutte le persone sono diverse fra loro. Esistono persone più abili in alcune attività e
meno in altre, che rendono meglio facendo una sola pausa abbastanza lunga, altre che ne fanno spesso di
brevissime; alcune preferiscono studiare nel primo pomeriggio, altre riescono meglio nelle ore serali, alcune
sono ansiose e necessitano di essere tranquillizzate, altre devono essere spesso “richiamate all’ordine”.
Un metodo organizzativo dovrà essere:
s efficace;
s usato sempre.
È importante che genitori e insegnanti cerchino di fare imparare allo studente a organizzarsi, ma non
“come” organizzarsi, dando piccoli suggerimenti, come quelli sopraelencati, ma mai canoni precisi
2) Utilizzare i sussidi
“Sussidio” significa: “che dà aiuto o soccorso”; qui si vogliono indicare i sussidi che aiutano a studia-
re meglio. Alcuni di essi sono contenuti nei libri di testo (caratteri particolari, sottolineature, figure,
didascalie, carte geografiche, mappe, schemi) altri sono testi autonomi, come i vocabolari, gli atlanti,
le enciclopedie; in alcuni casi possono essere sussidi di studio anche alcuni programmi televisivi,
Internet, il registratore, il lettore CD ecc.
È molto importante conoscere questi sussidi, perché il loro contributo a rendere più piacevole e inte-
ressante lo studio può essere notevole; tuttavia è anche fondamentale che ai ragazzi venga insegnato
ad adoperarli adeguatamente, a seconda delle caratteristiche del loro modo di apprendere.
Gli approcci a un testo così vario possono essere molteplici: per esempio un ragazzo con DSA potrà
preferire leggere il titolo, poi analizzare le figure e leggere le didascalie, consultare l’enciclopedia
multimediale per farsi un’idea di quello che di cui tratterà il testo. Successivamente passerà alla let-
tura vera e propria (o alla sintesi vocale).
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Un altro soggetto, magari con difficoltà nel mantenere l’attenzione22 sarebbe distratto dall’uso del com-
puter e dall’analisi delle figure; per lui sarà quindi preferibile una lettura veloce che gli permetta di
cogliere il senso del testo, e poi potrà approfondire cercando le parole, analizzando le immagini ecc.
Molti studenti si concentrano talmente sul testo che quasi non si accorgono delle altre cose che com-
pongono la pagina; se si domanda loro che cosa raffigurassero le illustrazioni, in genere rispondono
che non si sono neppure accorti della loro presenza. Questi studenti, in genere vengono considerati
molto attenti e concentrati; tuttavia è bene che gli insegnanti facciano capire che i sussidi non sono
qualcosa “in più” di cui si può fare a meno, ma possono essere elementi che arricchiscono lo studio
e lo rendono capace di aprire la mente a nuove esperienze. Quindi è importante che lo studente sia
aiutato a “fare tesoro” del sussidio, compatibilmente con il suo metodo di studio.
3) Rielaborare
In un certo senso la rielaborazione è la vera chiave del processo di apprendimento. È un’attività che
ciascuno svolge in maniera originale e diversa dagli altri.
Rielaborare significa:
s costruire legami fra cose che già si conoscono e cose nuove;
s distinguere le informazioni importanti da quelle che lo sono meno;
s riformulare con le proprie parole quanto si apprende (facendo un riassunto, uno schema, una
parafrasi, un grafico, un disegno ecc.);
s farsi domande e porsi in modo critico verso ciò che si apprende;
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4) Modalità di studio
Esistono diversi metodi per ottimizzare il tempo dello studio. Come già sottolineato, non ve ne sono
“giusti” o “sbagliati”, ma ciascuno deve scegliere quello più adatto a se stesso e a ciò che sta studiando.
s Sottolineare (o evidenziare): molti studenti ricorrono a questa tecnica, spesso anche in manie-
ra incongrua. Facilmente insegnanti, genitori e terapisti si trovano di fronte pagine interamente
evidenziate. Sottolineare tutto è come non sottolineare nulla, e imparare a distinguere quello che
è davvero importante ricordare da quello che, invece, può essere recuperato mediante ragiona-
mento non è affatto semplice. Può essere utile, per esempio, far riflettere i ragazzi sul fatto che
spesso sottolineare durante la prima lettura può essere poco proficuo: infatti può accadere che si
conosca poco quello che si legge, e quindi si possono sottolineare cose trascurabili o tralasciarne
di importanti; a una seconda lettura, invece, sarà più facile distinguere quello che è utile sapere e
memorizzare da quello che non lo è. Inoltre possiamo far notare ai ragazzi come il testo “aiuti”
nell’evidenziazione: le cose più importanti sono già messe in risalto in modo visivo (per esempio
sono scritte in carattere maiuscolo o in grassetto).
È infine molto importante capire che tipo di testo si abbia di fronte e quale compito si debba svolgere
per sottolineare in modo adeguato: se il testo è una ricetta di una torta e lo scopo è quello di riassu-
merla si eseguirà un certo tipo di sottolineatura; se invece è quello di immaginare il risultato finale
per poi disegnarla si evidenzieranno altre cose.
– Scrivere mentre si studia: leggere, sottolineare, e infine scrivere una parola o una breve frase, a
margine del testo. Frutto di una valida capacità di sintesi, questo approccio può rappresentare un
metodo davvero completo e personale per “impadronirsi del testo”.
– Ripassare: può sembrare strano agli studenti delle precedenti generazioni, ma oggi non è più
molto diffusa l’abitudine del ripasso. Si ritiene comunque che sia buona norma, una volta che si
è studiato, riprendere il materiale appreso e cercare di esporlo. Questo ripasso può essere parziale,
5) Flessibilità di studio
È bene che lo studente apprenda molto presto che il suo studio deve essere “flessibile”, cioè deve
avvalersi di diverse strategie, e deve essere in grado di passare rapidamente da una all’altra: la lettura,
per esempio potrà essere differente a seconda dei testi che si è chiamati a studiare. L’insegnante potrà
facilmente trovare esempi di testi diversi che richiedano modalità di lettura differenti: alcuni richie-
deranno una lettura molto attenta e accurata (la sintesi di un capitolo di storia), altri una lettura più
veloce (una descrizione all’interno di un romanzo), altri ancora una lettura che proceda “a salti” (una
tabella, un dizionario). Occorre che lo studente sia consapevole di poter usare questi diversi tipi di
lettura e sia in grado di scegliere quello più adatto per il compito che deve svolgere.
6) Gli appunti
La strategia su cui si basano gli appunti consiste nel “raccogliere” in classe quante più informazioni
possibili su quanto l’insegnante spiega; in questo modo il lavoro a casa sarà più semplice e veloce.
Prendere appunti è un’attività piuttosto complessa e assolutamente personale: tutti gli studenti, infatti,
tenderanno ad appuntare le informazioni che non sono riportate sul testo e quelle che l’insegnante
ritiene più importanti; tuttavia ogni studente si concentrerà con maggiore attenzione (e prenderà più
appunti) su quelle parti della spiegazione che gli sembrano più complesse, appuntando poco o nulla
Sezione 2
su altre che appaiono più semplici. Prendere appunti non è facile: spesso osservando le prove degli stu-
denti più giovani si vede per qualche riga una “trascrizione fedele” di ogni parola detta dall’insegnante,
poi si hanno poche parole con molti spazi bianchi (lo studente non riesce, con la scrittura-trascrizione
a tenere il passo della spiegazione), infine qualche parola sparsa e poi più nulla. Le responsabilità di
queste difficoltà risiedono anche nell’abitudine di alcuni insegnanti di “dettare gli appunti” (o di indi-
care che cosa sottolineare): attività contraddittoria che impedisce agli alunni di imparare a trovare da
soli uno stile e una modalità propri e di avere un ruolo attivo nell’apprendimento.
7) Concentrarsi
La capacità di concentrarsi e di mantenere la concentrazione è variabile in ogni studente e come mol-
ti altri aspetti dell’apprendimento può essere “allenata”. Naturalmente la motivazione verso il com-
pito che dobbiamo svolgere influenza notevolmente la concentrazione. Sembra superfluo notare che
ci si concentra senza alcuna fatica su di un compito interessante e piacevole. Capita a molte persone
di essere così coinvolti dalla lettura di un romanzo da riuscire a concentrarsi su di esso anche su un
treno affollato e rumoroso, in piedi e dopo una lunga giornata di lavoro. Probabilmente le stesse
Le situazioni di “emergenza”
La verifica e l’interrogazione sono situazioni che molti studenti vivono con apprensione, e in molti
casi con ansia. L’ansia è uno stato emotivo che ci fa vivere le stesse sensazioni della paura (anche a
livello fisico si riscontrano pallore, aumento della frequenza cardiaca, addirittura crampi addomi-
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nali) senza che però nulla di reale ci minacci. Se è vero che, in una certa misura, la tensione porta le
persone a “dare il meglio”, è anche vero che se essa è eccessiva possono esserci situazioni di blocco:
quante volte capita di essere talmente tesi da avere l’impressione di non ricordare nulla o di non
essere in grado di fare alcunché?
Questo capita anche agli studenti, e anche in questo caso l’aiuto del docente può essere prezioso per
imparare a gestire queste situazioni critiche. Potrebbe anche essere utile provare a svolgere in classe
questo tipo di riflessioni, rendendo partecipi gli alunni e chiedendo loro di esporre i propri stati d’a-
nimo. Alcuni consigli generali possono essere:
1. Fare un elenco degli argomenti (con equivalente “in pagine”) da studiare, e stabilire il totale.
2. Raccogliere il materiale su cui si dovrà studiare (testi, eventuali appunti, enciclopedie, atlanti ecc.).
3. Dividere il totale a seconda dei giorni che si hanno a disposizione (e in relazione agli impegni
già presi o che si può supporre che si aggiungeranno, come compiti di altre materie ecc.), ricordarsi
di lasciare un po’ di tempo a disposizione del ripasso. Naturalmente si dedicherà più tempo alle
parti ancora sconosciute e meno a ciò che è solo necessario rivedere.
L’insegnante spiegherà che è meglio non stabilire tempi troppo “stretti”, in modo da poter gestire al-
cuni possibili “imprevisti” (un forte mal di testa che impedisce di studiare, una festa di compleanno
a cui si vuole partecipare ecc.).
4. Preparare una lista delle domande che l’insegnante pone più spesso sull’argomento, e ipotizzare
le relative risposte.
5. Qualora l’insegnate lo permetta, preparare un argomento “a scelta” da approfondire.
23 Molti sussidi scolastici non aiutano gli studenti: per esempio spesso si hanno astucci molto ingombranti e “distraenti”
che non posso essere tenuti sul banco e creano perdita di tempo e attenzione con il loro uso. Potrebbe essere utile, inoltre,
che l’insegnante promuovesse una certa sobrietà nella gestione dello spazio del banco: per esempio richiedendo la presenza
delle sole cose indispensabili su di esso (durante una lezione di storia: libro, foglio/quaderno, matita, evidenziatore).
Infine sarebbe opportuno spiegare ai ragazzi che non stanno studiando per far piacere all’insegnante
o ai genitori, o per potersi vantare di fronte ai compagni dei loro bei voti, ma solo per loro stessi.
Sarebbe positivo comunicare le proprie opinioni ai ragazzi non solo attraverso i voti, o i giudizi, ma
soprattutto, parlando.24
Create queste premesse che comunque dovrebbero contribuire a ridurre notevolmente l’ansia e a
migliorare in modo significativo la vita di classe, si potranno proporre strategie più mirate, volte a
combattere particolari situazioni stressanti. Per esempio si potrà permettere all’alunno di essere in-
terrogato mentre resta seduto al suo posto, senza dover stare in piedi di fronte al resto della classe; si
potranno programmare interrogazioni e verifiche di gruppo; si potranno valutare come interrogazio-
ni lavori di ricerca svolti insieme a scuola, si potrà permettere agli studenti di preparare un calendario
di interrogazioni programmate.25 È importante che sia i genitori sia gli insegnanti comprendano che
un ambiente eccessivamente autoritario è negativo quanto lo è uno troppo permissivo. Così come
gli adulti lavorano meglio in un ambiente disteso e sotto la guida di un capo autorevole (non auto-
ritario!), allo stesso modo gli alunni impareranno e cresceranno meglio in una classe serena, sotto la
guida di un insegnante severo, ma comprensivo.
Applicando queste “buone prassi” alla fine ci accorgeremmo di aver creato un ambiente sereno e
stimolante, di aver soddisfatto le esigenze dei nostri alunni DSA e – ormai non è più una sorpresa –
Sezione 2
25 Curiosamente, invece, l’insegnate manifesta le sue opinioni sullo studente soprattutto durante i colloqui con i genitori.
26 Questo sistema, di solito piuttosto mal visto, permette in realtà di responsabilizzare gli studenti ed eliminare un impor-
tante fattore di ansia.
Sezione 2
l’oste. Un giorno fece delle liste per rimpinguare le scorte rimaste: tre ceste, una veste celeste, del-
le paste miste. Così decise di andare a Trieste, dove riempì le ceste con la veste celeste e si mangiò
tutte le paste.”
6 Domino: preparando dei cartoncini che rappresentino le parole trovate nei due giochi precedenti
si può organizzare un gioco di domino, nel quale si possono legare fra loro le parole che iniziano
(o che finiscono) con la stessa sillaba.
7 Ricerca di parole: l’adulto, con l’aiuto del bambino, sceglie una serie di categorie (animali, oggetti,
città, nomi di persona ecc.), poi viene sorteggiata una sillaba. Il bambino (o i bambini) devono trovare
una parola che inizi con la sillaba scelta, appartenente a ogni categoria.
8 Gioco dell’intruso: si propongono al bambino tre o più disegni raffiguranti soggetti i cui nomi
comincino con la stessa sillaba, tranne uno. Dapprima si faranno denominare i soggetti, poi si
chiederà al bambino di identificare la sillaba iniziale di ciascuno, e infine di trovare “l’intruso”.
Naturalmente l’adulto dovrà cercare di rendere il compito interessante e divertente; per esempio
dicendo al bambino: “sei un famoso detective e devi scoprire chi è andato alla festa senza essere
invitato... a questa festa sono invitate solo le parole che cominciano per...”. In questo tipo di attivi-
tà, e anche in molti altri giochi, è utile proporre uno “scambio di ruolo”: in questo caso possiamo
proporre al bambino (a seconda delle sue abilità) di scegliere le parole e disegnarle, mentre noi
troveremo l’intruso. Per esempio: «Dov’è l’intruso? Colora l’intruso.»
Sezione 2
s uso di cartine geografiche, mappe concettuali, parole chiave (se necessario anche durante i mo-
menti di verifica);
s registratore e/o sintesi vocale:
– da utilizzare a scuola per registrare eventuali dettati di appunti integrativi del testo effettuati
da parte dell’insegnante e per registrare l’assegnazione dei compiti a casa;
– per facilitare lo studio.
s uso del computer con:
– programmi di videoscrittura con correttore ortografico;
– sintesi vocale;
– libri digitali.
s uso di facilitatori per la produzione scritta spontanea (es. tracce, domande guida) per le prove scritte;
s uso della calcolatrice.
SCUOLA
ATTENZIONI NELLE SINGOLE DISCIPLINE
ITALIANO
s Per le verifiche di comprensione e rielaborazione considerare le difficoltà di decodifica di lettura
(anche l’adulto può diventare “lettore” per l’alunno).
s Utilizzare consegne scritte possibilmente in forma semplice e chiara (vd carattere e grandezza).
s Nell’analisi grammaticale, logica e del periodo permettere all’allievo di consultare schemi con le
possibili voci.
es. nome PROPRIO COMUNE
DI COSA DI PERSONA DI ANIMALE
FEMM. MASCH.
SING. PLUR.
Sezione 2
s Nei temi fornire una traccia o domande per favorire l’organizzazione delle idee.
s Per le verifiche di comprensione e rielaborazione considerare la lunghezza del testo da proporre
e la sua complessità lessicale.
MATEMATICA
s Utilizzo della tavola pitagorica e della calcolatrice.
s Consentire l’uso di tabelle di misura, di peso, di formule geometriche.
s Semplificare la terminologia o abbinarla a esempi figurativi: possono presentarsi difficoltà nella com-
prensione e memorizzazione di termini specifici (es. crescente-decrescente, addizione, sottrazione...).
s Fornire i testi dei problemi già dattiloscritti o scritti in stampatello dall’insegnante.
s Incentivare l’utilizzo del supporto figurativo o l’esemplificazione pratica durante l’esecuzione dei
problemi.
GEOGRAFIA, STORIA, SCIENZE
Può essere difficoltosa la memorizzazione di città, fiumi, date, nomi e vocaboli specifici. Permette-
re la consultazione della cartina geografica, di tabelle, mappe concettuali, parole chiave.
LINGUA STRANIERA
Si presentano difficoltà in quanto le ortografie delle lingue straniere studiate non sono trasparenti,
ovvero non presentano una stretta corrispondenza fonografica come l’italiano.
s Si suggerisce di rafforzare soprattutto il lessico e far prevalere l’orale sullo scritto.
Scrittura
s Evitare di farlo scrivere alla lavagna.
s Evitare di far prendere appunti, ricopiare testi (anche dalla lavagna il compito di copiatura risulta
difficile).
s Controllare che scriva correttamente i compiti sul diario per permettere a chi segue l’alunno a
casa di aiutarlo nel modo corretto.
s Fornire gli appunti dettati su supporto digitalizzato o cartaceo stampato (preferibilmente arial o
comic sans 14-16).
Altre indicazioni
s Insegnare l’utilità degli indici testuali per lo studio (lettura delle immagini sul libro, titoli, sotto-
titoli, parole in grassetto, box per approfondimenti).
s Sono importanti i momenti di gratificazione e incoraggiamento.
Sezione 2
s Il Consiglio di classe al completo deve essere a conoscenza di tutte le scelte metodologiche con-
divise nella stesura del PEP.
ACCORDI SCUOLA-FAMIGLIA
Si ricorda che gli alunni con DSA sono lenti e fanno più fatica rispetto agli altri anche nello svolgi-
mento dei compiti, pertanto occorre ridurre gli esercizi tenendo conto degli aspetti fondamentali
per ogni disciplina (riduzione della quantità ma non dei contenuti).
Si consiglia di accordarsi su:
s compiti da svolgere a casa (comunicazione tramite diario, contenuti passati attraverso fotocopie
o registrazioni di messaggi orali su supporto digitale (registratore, I Pod); modalità e tempi di
verifiche;
s argomenti delle interrogazioni;
s strumenti compensativi da usare a casa e in classe.
Fonte: Centro per la diagnosi clinica e la rieducazione dei disturbi specifici dell’apprendimento, Sede di Milano,
Dott.ssa Marcella Mauro, Direttore scientifico: Prof. Giacomo Stella.
1. DATI GENERALI
Nome e cognome
Data di nascita
Classe
presso …
aggiornata in data …
da
presso …
Rapporti scuola-famiglia
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in classe
Calcolo
Mentale
Per iscritto
Eventuali disturbi nell’area motorio-prassica:
Altro
Bilinguismo o italiano L2:
Livello di autonomia:
3. DIDATTICA PERSONALIZZATA
Strategie e metodi di insegnamento
Discipline linguistico-espressive
Discipline logico-matematiche
Discipline storico-geografico-sociali
Altre
Discipline linguistico-espressive
Discipline logico-matematiche
Discipline storico-geografico-sociali
Altre
Discipline linguistico-espressive
Discipline logico-matematiche
Discipline storico-geografico-sociali
Altre
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MISURE DISPENSATIVE
All’alunno con DSA è garantito l’essere dispensato da alcune prestazioni non essenziali ai fini dei
concetti da apprendere. Esse possono essere, a seconda della disciplina e del caso:
s la lettura ad alta voce;
s la scrittura sotto dettatura;
s prendere appunti;
Sezione 2
s copiare dalla lavagna;
s il rispetto della tempistica per la consegna dei compiti scritti;
s la quantità eccessiva dei compiti a casa;
s l’effettuazione di più prove valutative in tempi ravvicinati;
s lo studio mnemonico di formule, tabelle, definizioni;
s sostituzione della scrittura con linguaggio verbale e/o iconografico.
STRUMENTI COMPENSATIVI
Altresì l’alunno con DSA può usufruire di strumenti compensativi che gli consentono di compensare
le carenze funzionali determinate dal disturbo. Aiutandolo nella parte automatica della consegna,
permettono all’alunno di concentrarsi sui compiti cognitivi oltre che avere importanti ripercussioni
sulla velocità e sulla correttezza. A seconda della disciplina e del caso, possono essere:
s formulari, sintesi, schemi, mappe concettuali delle unità di apprendimento;
s tabella delle misure e delle formule geometriche;
s computer con programma di videoscrittura, correttore ortografico;
s stampante e scanner;
s calcolatrice o computer con foglio di calcolo e stampante;
s registratore e risorse audio (sintesi vocale, audio-libri, digitali);
s software didattici specifici;
s computer con sintesi vocale;
s vocabolario multimediale.
1 Cfr. D.P.R. 22 giugno 2009, n. 122 – Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli
alunni e ulteriori modalità applicative in materia, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169 – art. 10. Valutazione degli alunni con difficoltà specifica
di apprendimento (DSA).
1. Per gli alunni con difficoltà specifiche di apprendimento (DSA) adeguatamente certificate, la valutazione e la verifica degli appren-
dimenti, comprese quelle effettuate in sede di esame conclusivo dei cicli, devono tenere conto delle specifiche situazioni soggettive di
tali alunni; a tali fini, nello svolgimento dell’attività didattica e delle prove di esame, sono adottati, nell’ambito delle risorse finanziarie
disponibili a legislazione vigente, gli strumenti metodologico-didattici compensativi e dispensativi ritenuti più idonei.
2. Nel diploma finale rilasciato al termine degli esami non viene fatta menzione delle modalità di svolgimento e della differenziazione
delle prove.
I fascicoli, dunque, senza la pretesa di essere esaustivi, si propongono come un percorso che supporta
Sezione 2
docente e alunno verso il raggiungimento degli obiettivi programmati. Per questo motivo, infatti, le
verifiche di fine Unità sono le medesime proposte nel testo base; in alcuni casi è stato proposto un
adeguamento delle richieste, solo laddove ciò non va a influire sul raggiungimento degli obiettivi
di apprendimento o di comprensione, ma è solo strumentale al lavoro e riguarda la sostituzione di
alcuni esercizi con attività più facilmente gestibili da un ragazzo con certificazione. Per esempio, la
ricerca dei vocaboli nel dizionario è stata sempre evitata negli esercizi di comprensione.
Tutte le proposte operative prevedono l’utilizzo degli strumenti compensativi previsti dalla legge
170/2010 che sono concordati con la famiglia e formalizzati nel Piano educativo didattico.
Le attività, soprattutto quelle dove è richiesta la scrittura, privilegiano l’utilizzo del PC e suggerisco-
no spesso il lavoro cooperativo in modo da favorire l’inserimento sociale dell’alunno con DSA che
assumerà, in questo contesto, un ruolo di esperto nella gestione delle nuove tecnologie a supporto
dello svolgimento del compito del gruppo.
I fascicoli sono corredati ciascuno da un CD che raccoglie, in formato MP3, la maggior parte dei bra-
ni del testo in modo da sollevare l’alunno dislessico dalla fatica della decodifica del testo scritto e da
fornirgli accesso alla comprensione attraverso l’ascolto.
Si consiglia comunque l’utilizzo del testo base come supporto all’ascolto in modo da poter usufruire
della memoria visiva per poter poi, negli esercizi di comprensione, più facilmente ritrovare le infor-
mazioni nel brano. Per questo motivo, sia nei brani riportati nei fascicoli, sia in molti dei brani del
testo base, a margine del testo sono riportati i titoli di sequenza, che consentono un miglior orienta-
mento nel testo e una più efficace comprensione del brano.
Particolare cura è stata dedicata agli esercizi di allenamento alle prove Invalsi, che sono state inte-
ramente lette sia nella parte testuale sia nella parte di domande e risposte, ricalcando la proposta del
Ministero dell’Istruzione che prevede la possibilità di richiedere il formato MP3 delle prove per gli
alunni che abbiano depositato la certificazione agli atti della scuola.
Ampio risalto è stato dato al metodo di studio. È noto infatti che per i ragazzi con DSA è fortemente
consigliato l’utilizzo di mappe concettuali sia per riassumere e schematizzare gli argomenti di studio,
sia per memorizzare, a livello visivo, le informazioni che servono alla rielaborazione dell’argomento
trattato. Anche in questo caso il lavoro è stato pensato come un percorso che possa accompagnare il
ragazzo alla costruzione di mappe sempre meglio strutturate e sempre più efficaci ai fini dell’appren-
dimento. Questo percorso trova il suo compimento nel capitolo che riguarda i testi argomentativi: la
parte che riguarda il metodo di studio è infatti differentemente trattata sul fascicolo, rispetto al testo
Sezione 2
base, perché si è voluto indirizzare l’alunno con certificazione verso una metodologia che prevedesse
fasi di studio diverse da quelle proposte ai compagni di classe. Le strategie proposte e sviluppate sug-
geriscono l’anticipazione dell’argomento trattato, la fruizione degli indici testuali e delle immagini,
l’utilizzo di parole chiave per strutturare mappe concettuali e le prove di esposizione dell’argomento
in previsione di dell’interrogazione, che dovrà sempre essere concordata con l’insegnante.
Sono stati inseriti nei CD anche alcuni brani scelti per il piacere della lettura. È noto, infatti, che i
ragazzi con dislessia non maturano il piacere di leggere, pertanto sviluppano un lessico un po’ povero.
La fruizione di romanzi audio può invece coinvolgere e appassionare gli studenti con DSA, finalmente
sollevati dalla fatica di decodificare il testo per accedere al suo significato. In questo senso, i brani della
sezione “Il piacere di leggere” non propongono attività mirate al raggiungimento di obiettivi didattici
e/o esercizi di verifica o comprensione, ma sono proposte come momento di puro piacere e relax.
I brani d’ascolto sono sempre letti da attori e non da voci sintetizzate per poter rendere la lettura più
calda e vicina affettivamente al ragazzo e si è avuto cura di differenziare le voci (maschile, femminile)
per poter di volta in volta riattivare l’attenzione dell’alunno senza rendere monotona la fruizione del
brano audio.
In conclusione, il lavoro, lungi dall’essere esaustivo rispetto alle necessità dei ragazzi con DSA, si
propone come un ausilio nel loro percorso d’apprendimento. Siamo consapevoli che il prodotto a
cui siamo arrivati, sia pur curato e specificatamente strutturato, non riuscirà mai a sostituire un buon
insegnante, che è colui che media la proposta didattica non considerando gli allievi rispetto alle cate-
gorie di appartenenza, ma proponendo il proprio intervento basandosi sulla professionalità, passio-
ne, sensibilità ed esperienza. È impresa impossibile trasferire tutto ciò in un supporto didattico, sia
pur con le migliori intenzioni e tecnologie a disposizione.
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potenziamento dell’espressione scritta e orale.
Dopo la lettura e la comprensione del testo semplificato si suggerisce agli alunni di leggere il testo in
originale, in modo da favorire il graduale passaggio ad un livello linguistico più maturo.
Nel testo sono inserite anche molte schede lessicali (Laboratorio di lessico) ampiamente illustrate,
che presentano i termini essenziali di alcune aree semantiche significative per il lavoro sui brani e
sui temi dell’antologia.
A Marco Polo che sta descrivendo un ponte, pietra per pietra Kublai Khan chiede:
«Ma qual è la pietra che sostiene il ponte?»
«Il ponte» risponde Marco Polo, «non è sostenuto da questa o quella pietra
ma dalla linea dell’arco che esse formano.»
(I. Calvino, Le città invisibili)
camente, di un solo individuo. È probabile che la disposizione più importante nella società post
industriale sia l’abilità elevata di pensare insieme con altri, essere più interdipendenti e sensibili ai
bisogni degli altri. La soluzione dei problemi è diventata un processo così complesso che nessuna
persona può raggiungerla da sola. Nessuno ha l’accesso a tutte le informazioni necessarie per pren-
dere decisioni critiche; nessuno può considerare tante alternative come possono invece fare alcune
persone insieme. Lavorare in gruppo richiede l’abilità a giustificare idee e saggiare la fattibilità delle
strategie di soluzione con altri. Richiede anche lo sviluppo di una volontà e di un’apertura ad ac-
cettare il feedback da amici critici. Attraverso questa interazione, il gruppo e l’individuo continuano
a crescere. Ascoltare, ricercare il consenso, sospendere un’idea per lavorare con qualcun altro, em-
patia, compassione, leadership di gruppo, sapere come sostenere gli sforzi del gruppo, e altruismo
tutti questi sono comportamenti indicativi di essere umani cooperativi.
Il lavoro in classe
Se dunque la buona riuscita di un’attività didattica svolta con metodologie tradizionali prevede il rag-
giungimento del solo obiettivo didattico (l’apprendimento di contenuti o competenze da parte del
singolo alunno), l’esito favorevole di una proposta svolta in apprendimento cooperativo deve sempre
contemplare obiettivi plurimi: relativi alla didattica, agli aspetti sociali e al lavoro individuale.
Con questo presupposto diventa decisiva la fase di analisi della situazione iniziale, ovvero prece-
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dente allo svolgimento dell’attività, che andrà a modificare lo status quo in ragione dei risultati attesi
ai differenti livelli.
Da qui si avvia la progettazione dell’attività che ricadrà e modificherà sia la condizione del singolo
alunno (rispetto agli apprendimenti e alle competenze di cooperazione), sia del gruppo (gestione
degli interscambi, interdipendenza positiva), sia della didattica del gruppo classe.
Anche la progettazione della composizione dei gruppi, nell’ottica di quanto esposto, diventa deter-
minante per il raggiungimento degli obiettivi programmati.
I gruppi possono essere formati valutando le competenze di ciascuno e facendo in modo che a cia-
scuno, in relazione al ruolo che gli verrà affidato, abbia il riconoscimento da parte del gruppo dei
propri punti di forza.
Altra strategia può invece essere quella di utilizzare la tecnica del sociogramma di Moreno per definire
quali sono le figure leader o emarginate del gruppo classe, valutare la posizione sociale di ciascuno
in relazione a un ipotetico “centro sociale” e di conseguenza costruire gruppi e affidare ruoli che pos-
sano modificare la visibilità e la centralità di ciascun alunno rispetto al gruppo. Per esempio affidare
a un alunno taciturno e chiuso il ruolo di espositore del progetto potrebbe essere efficace o dannoso,
a seconda di come è composto il gruppo: se nel gruppo non abbiamo inserito figure dominanti dal
punto di vista comunicativo, l’alunno in questione potrebbe trovare uno spazio dove “in sicurezza”
sperimentare una competenza, supportato, magari da qualcuno del gruppo che abbia competenze
inclusive o incoraggianti.
Prima della lezione è bene sempre (ma questo anche quando non si lavora in apprendimento coope-
rativo) esplicitare gli obiettivi didattici e sociali dell’attività. Ciò rende protagonisti del percorso i ra-
gazzi che più facilmente possono verificare in autonomia i propri progressi e/o i nuovi apprendimenti.
E prima di iniziare a lavorare è efficace ricordare agli alunni che nessuno potrà raggiungere gli obiet-
tivi senza avvalersi del supporto di ciascun componente del gruppo. Tecnicamente ciò è nominata da
Jonson e Holubec, interdipendenza positiva.
tante infatti offrire agli studenti strumenti metacognitivi grazie ai quali ciascuno impari, tramite ten-
tativi ed errori, il proprio funzionamento cognitivo, le strategie opportune da mettere in atto rispetto
al proprio apprendimento e ai propri meccanismi di relazione cooperativa.
Un ottimo strumento per la riflessione metacongnitiva è rappresentato dall’autovalutazione (sia del
prodotto sia delle interazioni sociali) che verrà supportata dall’individuazione e la condivisione dei
criteri di valutazione.
A questo punto bisogna individuare i ruoli necessari allo svolgimento del compito. L’insegnante
potrà scegliere, a seconda della complessità del progetto, di assegnare tutti i ruoli o solo alcuni. D’al-
tro canto, non sempre il numero dei ruoli/funzioni necessari, sia didattici che sociali, rispondono
al numero degli alunni che compongono il gruppo. Se necessario, a ciascun alunno possono essere
affidati più ruoli, sia di produzione del lavoro, sia di gestione del gruppo.
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– chiarire e illustrare
s ruoli di stimolo
– criticare le idee e non le persone
– chiedere motivazioni
– distinguere
– sintetizzare
– sviluppare
– verificare
– sviluppare opzioni
– valutare
Definiti i ruoli, si procede ad assegnare un tempo entro cui svolgere il lavoro e l’insegnante inizia il
suo monitoraggio come osservatore dell’attività dei gruppi.
In apprendimento cooperativo l’attenzione del docente deve sempre essere su entrambi i livelli di
prestazione: quello prettamente didattico e quello sociale. Ecco che assistiamo al cambiamento del
ruolo del docente che, da trasmettitore dei saperi, si pone adesso come mediatore, facilitatore degli
apprendimenti, come persona che supporta l’abilità sociale e pone l’accento sulle modalità di risolu-
zione dei problemi, contemporaneamente sui contenuti dei saperi e sul risultato raggiunto. L’atten-
zione si sposta sulle competenze sociali, sulle abilità di problem solving, sulle dinamiche relazionali, sulle
metodologie organizzative e comunicative degli alunni, rispondendo così a quelle che abbiamo in apertura
elencato come le competenze dell’adulto adeguatamente formato.
La metodologia originale del Coooperative Learning prevede che per ogni ruolo da assumere, in “riu-
nioni” di coloro che ricoprono il medesimo ruolo, prima della fase concreta di svolgimento del la-
voro, si definiscano modalità ed obiettivi del proprio ruolo, come anche a fine lavoro possa svolgersi
fra gli stessi alunni una riunione di confronto e verifica del lavoro svolto.
Un passaggio decisamente importante riguarda infine la valutazione. Essa verrà attribuita al gruppo,
cosicché il lavoro del gruppo diventi la somma dell’impegno di ciascuno. È preferibile in tal senso
In conclusione
È comprensibile che l’apprendimento cooperativo possa sembrare complesso e articolato sia nell’or-
ganizzazione sia nella fattibilità in ragione dei tempi sempre serrati che l’organizzazione scolastica
impone. Il docente che volesse intraprendere la propria formazione in merito e conseguentemente
proporre alle proprie classi una sperimentazione della metodologia, dovrebbe partire certamente da
attività semplici, dove il numero di ruoli sia esiguo e l’attività di facile svolgimento. Sia il docente sia
gli alunni necessitano infatti di un graduale apprendimento e adeguamento del loro lavoro metodo-
logico che rappresenta esso stesso la formazione attesa.
È possibile introdurre la metodologia cooperativa in ogni classe di qualunque grado di scuola, ma
naturalmente, come ogni competenza, più la si esercita e sperimenta, maggiori saranno i risultati in
termini di efficacia dell’applicazione.
Lungi dal voler essere esaustiva, la descrizione dell’apprendimento cooperativo qui proposta deve
necessariamente rimandare a fonti specifiche che possano supportare l’insegnante che volesse intra-
prendere questa nuova avventura.
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Libri consigliati
David W. Johnson, Roger T. Johnson, Edythe J. Holubec, Apprendimento cooperativo in classe, Migliorare il clima emotivo e il
rendimento, Erickson
Elizabeth G. Cohen, Organizzare i gruppi cooperativi, Ruoli, funzioni, attività, Erickson
Siti consigliati
http://www.apprendimentocooperativo.it/
http://www.abilidendi.it/materialeCooperativeLearningBreveGuida.pdf
http://www.edscuola.it/archivio/comprensivi/cooperative_learning.htm