Sei sulla pagina 1di 33

VIAGGIO NELLA GRAMMATICA

PARTE PRIMA: RAGIONAMENTI PRELIMINARI


CAPITOLO 1: SULLA OPPORTUNITA’ DI FARE GRAMMATICA NELLA SCUOLA
PRIMARIA
1.1 LINGUISTICA ACQUISIZIONALE ED ERRORI CREATIVI DEI BAMBINI
Esiste un campo che riguarda l’acquisizione della lingua materna da parte dei bambini. è una
disciplina che alcuni chiamano linguistica acquisizionale. Il linguaggio dei bambini avviene non
solo per imitazione del modello adulto, ma grazie a un lungo processo di osservazione,
selezione ed elaborazione dei dati linguistici che il bimbo compie autonomamente. Non avviene
lo stesso per la grammatica.
Quindi nell’acquisizione del linguaggio giocano un ruolo fondamentale da una parte
l’esposizione del bambino alla lingua, l’input che riceve dall’ambiente familiare e sociale nel
quale è immerso; dall’altra da dotazione biologica di cui il bambino dispone alla nascita.
Su come un bimbo acquisisca il linguaggio ci sono varie teorie; ma la cosa comune è la
convinzione che l’intero processo sia un processo creativo, che mette in gioco le abilità
intellettuali del bambino, cioè la sua capacità di osservare la realtà, in questo caso, linguistica
che lo circonda.
Farò due esempi: è stato notato che bambini molto piccoli producono le forme irregolari di
alcuni verbi: aprire, diviso, vado. Hanno sentito queste parole, le hanno memorizzate, le
riproducono correttamente. A un certo punto però cominciano a sbagliare dicendo aprito,
dividito, vieno. E qui nascono le preoccupazioni dei genitori. Ma quello che i genitori non sanno
è che i bambini davvero incompetenti non fanno questo genere di errori.
Che cosa è successo? I bimbi stanno faticosamente ricostruendo il paradigma dei verbi italiani.
Per avere un’idea rifacciamo per intero tutto il percorso. Diciamo che un bambino che dica io
ando è un bambino che ha già maturato una competenza linguistica di ottimo livello. Quando
parla di sé ha capito che deve utilizzare io; l’errore sta nella prima parte and- a cui è pervenuto
pensando che con il verbo mangiare viene io mangio, con il verbo giocare io gioco, con il verbo
andare io ando. Un errore diventa quindi una prova importante del lavoro mentale del
bambino. Succederà che abbastanza presto, anche senza l’aiuto dell’adulto si accorgerà che si
dice io vado.
Farò un altro esempio: mia nipote di 4 anni era con le nonne e una dice “Questa bambina è
gelosa!” e lei risponde “No non sono di ghiaccio”. La bambina non conosce la parola gelosa ma
ha accostato la parola che termina con –osa a pauroso, capriccioso cioè qualcosa che indica una
qualità, un modo di essere. Dunque un bambino geloso sarà un bambino pieno di gelo, di
gh8iaccio. Per arrivare a pensare questo vuol dire che sua nipote conosce già molto cose
importanti sulla grammatica.

1.2 I BAMBINI CONOSCONO LA GRAMMATICA


I bambini, ove non conoscano già delle parole, segmentano le parole e approdano per questa
via a un significato plausibile.
Tutti i bambini intervistati ricostruivano il significato delle parole sconosciute dimostrando di
avere già individuato le relative regole di formazione.
Al momento del loro ingresso a scuola nella classe 1 della primaria, tutti i bambini, “sanno”
moltissime cose niente affatto facili sulla grammatica della loro lingua materna.
La conoscenza grammaticale che abbiamo ragione di attribuire a bambini molto piccoli è una
conoscenza inconsapevole e irriflessa, oltre che non verbalizzante, cioè non esprimibile in
parole.
Bialystock e Karmiloff Smith hanno indagato il modo in cui la mente umana elabora le
informazioni sul linguaggio attraverso un processo ciclico in tre fasi: in un primo livello la
conoscenza non è analizzata, e le forme linguistiche vengono apprese per imitazione; in un
secondo livello la conoscenza è analizzata ma implicita e inconsapevole e dunque frammenti
della lingua vengono scomposti; un terzo livello in cui la maturazione cognitiva e linguistica dei
bambini consente l’accesso a una forma consapevole di conoscenza, articolata e esplicita,
verbalizzata e verbalizzabile.
Il nostro obiettivo come docenti di lingua è quello di aiutare i bambini, e poco più tardi gli
adolescenti e i giovani, a ritrovare questa conoscenza grammaticale per sollevarla a livello di
consapevolezza. L’obiettivo di riflettere sulla lingua che gli ordinamenti scolastici demandano ai
docenti di italiano di ogni ordine e grado può ripercorrere assieme i percorsi menali già fatti,
andando dall’analisi di ciò che è più facile a ciò che è più difficile e fissando con le parole la
terminologia tecnica gli oggetti linguistici già individuati.
Nel Indicazioni nazioni del 2012 ogni persona, fin dall’infanzia, possiede una grammatica
implicita, che le permette di formulare frasi ben formate pur senza conoscere concetti quali
quelli del verbo.
QUANDO INIZIARE A FARE GRAMMATICA?
Non posso credere che a scuola i bambini smettano di fare domande sulla lingua, a maggior
ragione nel momento in cui il lungo processo che porta all’apprendimento della lettura e della
scrittura attiva un’attenzione mirata e continuativa su oggetti linguistici.
Gli studiosi della prima alfabetizzazione vedono nell’apprendimento della lettura e della
scrittura l’innesco dell’attività metalinguistica vera e propria, vale a dire l’inizio di un’attivItà di
riflessione mirata. Pinto ricorda la prospettiva cognitivista per cui scrivere è un’attività
complessa che richiede un maggior grado di astrazione, elaborazione e riflessione.
Nel volgere di pochi mesi il bambino scoprirò il principio fondamentale su cui si basano le
scritture alfabetiche, vale a dire la corrispondenza suono – grafema, cui si accompagnano i
problemi connessi ai molti casi di mancata corrispondenza o le somiglianze sonore.
Dire che il bambino che impara a scrivere svolge nel contempo un’intensa attività
metalinguistica significa affermare che egli fa per suo conto ipotesi su come si scrivono le
parole, e prova le sue ipotesi nel momento della scrittura.

4 BUONI MOTIVI PER FARE GRAMMATICA NELLA SCUOLA PRIMARIA


La prima buona ragione per fare grammatica è di carattere storico istituzionale. Sono gli
ordinamenti scolastici nazionali che lo prevedono, e di conseguenza i libri di testo per la scuola
hanno sempre una sezione dedicata alla riflessione sulla lingua.
Nei Programmi del 1860, si affidava all’insegnamento grammaticale il compito improprio di
insegnare la lingua italiana ai moltissimi alunni dialettofoni che affollavano le aule scolastiche.
Visto che l’obbligo scolastico finiva in II elementare, si concentrava in quei primi due anni una
grande massa di nozioni grammaticali: da una parte i rudimenti di sintassi, dall’altra le categorie
lessicali. Soprattutto sul verbo si invitavano i maestri a far esercitare gli allievi in quello che
veniva definito il più utile e importante esercizio grammaticale.
Dopo di allora sono seguiti in rapida successione ben 11 nuovi Programmi per la scuola
dell’obbligo e 3 Indicazioni nazionali che hanno accompagnato le più importanti vicende della
nostra storia.
Chi decidesse di non fare grammatica in questa fascia scolare contravverrebbe a una specifica
sollecitazione dello stato.
Il secondo motivo è il più popolare e ha a che fare con lo sviluppo delle abilità. Molti sono infatti
convinti che abituare i bambini a riflettere sulla lingua serva a migliorare le loro prestazioni
linguistiche, ad esempio la comprensione dei testi offerti in lettura o la produzione scritta.
Il terzo motivo per fare grammatica è già stato in parte anticipato. Ho detto che i bambini che
arrivano a scuola hanno maturato una straordinaria competenza linguistica che li mette in
grado di interagire linguisticamente con l’ambiente che li circonda. Tale competenza è il frutto
di un colossale lavoro di individuazione. È solo per questo che i bambini conoscono già la
grammatica della loro lingua materna. Ora aggiungo che un compito altamente formativo per la
scuola potrebbe essere quello di aiutare il bambino a ritrovare, portare alla luce e dare un
nome alle sue scoperte.
L’abitudine all’osservazione e all’analisi degli elementi linguistici della lingua materna fornisce al
bambino che apprende un bagaglio concettuale e una terminologia che potranno risultare
molto utili nel momento dello studio di una seconda lingua.
Un ulteriore buon motivo per fare grammatica in classe ha a che fare con la correzione degli
errori. Come docenti abbiamo tra gli altri il compito di introdurre un uso corretto della lingua.
Nel nostro lavoro quotidiano ci imbattiamo in usi anomali: intervenire? E come intervenire
perché l’intervento sia efficace e snidi l’errore?
La prima domanda (intervenire?) potrebbe a prima vista sembrare discutibile. Ci sono situazioni
in cui bloccare con continui interventi correttivi il flusso della comunicazione potrebbe risultare
penalizzante. In questi casi decidere di soprassedere, magari prendendo nota dell’errore per
una futura migliore occasione. Ma ci sono momenti in cui l’intervento correttivo è d’obbligo,
come è quasi sempre il caso della produzione scritta.
Di fronte a errori ripetuti e comuni potrà addirittura essere utile innestare percorsi di riflessione
collettiva ed esercitazioni mirate che coinvolgano l’intera classe.
L’errore potrebbe essere il pretesto per una lezione di grammatica.

PER STANARE LA COMPETENZA, IL METODO DELLE DOMANDE


Nel caso della lingua e della sua grammatica, l’acquisizione è già in parte avvenuta prima e fuori
della scuola: i bambini che arrivano in 1 elementare sanno già usare la lingua, capiscono e
usano centinaia, migliaia di parole; sanno esprimere ordini, esclamazioni, dubbi; sanno
descrivere. Sono operazioni linguisticamente complesse, che prevedono l’applicazione di regole
complesse. È per questo che diciamo che i bambini conoscono la grammatica.
Immaginiamo di avere di fronte una 1 elementare. Per tastare il terreno, basterà fare loro
alcune domande del tipo che differenza c’è tra gatto e gatti? E tra ragazzo e ragazza= potremo
presentare le parole in forma isolata e subito dopo provare a costruire assieme, e a trascrivere,
brevi frasi.
Via via che il nostro piccolo allievo cresce, le nostre domande potranno mettere alla prova le
sue supposte aumentate capacità su terreni più complessi.
Noi dovremmo limitarci a stimolare e coordinare il lavoro dei bambini, astenendoci dalla
tentazione di dare noi la risposta che consideriamo giusta, o di commentare con giusto o
sbagliato i tentativi dei bambini. semmai dovremmo fare altre domande, allo scopo di aiutare e
orientare la ricerca. E potremmo aiutarli a scrivere le varie risposte, alla lavagna, e guidare via
via i bambini fino a giungere a una risposta condivisa.
Così facendo i bambini scopriranno cose che già sanno: ad esempio, che in italiano esistono
categorie come il genere; che certe parole sono collegate tea loro da rapporti di accordo; che
l’ordine con cui si succedono le parole nelle frasi non è casuale.
Senza fretta, senza l’ossessione della completezza o della sistematicità, tornando nel corso
dell’anno sui casi vecchi, ma con l’aggiunta di casi nuovi, appena un po’ più difficili.
Per fare riflessione sulla lingua potrebbe essere necessario partire da oggetti concreti o da
immagini e disegni, per abbianare oggetti e immagini con parole, frasi, testi secondo criteri
riconoscibili; oppure si possono evidenziare con i colori certe parole; o si può procedere a
tappezzare l’aula con cartelli o cartelloni a illustrazione dei percorsi fatti.
Naturalmente i compiti saranno diversi e diversamente strutturati in funzione dell’età degli
allievi e del problema grammaticale sotto osservazione. Se necessario ad aumentare la
motivazione, i compiti possono addirittura assumere la forma di una gara, che qualcuno
vincerà. La ricerca della soluzione sarà il frutto di un percorso collettivo, a cui si giungerà
gradualmente con il concorso di tutti.

COSA SIGNIFICA FARE GRAMMATICA NELLA CLASSE MULTILINGUE?


La classe, ogni singola classe e in modo diverso nelle diverse regioni italiane, è stata più o meno
massicciamente investita dall’ondata migratoria che ha interessato negli ultimi due o tre
decenni il nostro paese. Sicchè la situazione sociolinguistica della comunità classe è oggi più
complessa che nel passato.
Tutti questi idiomi hanno status e collocazione diverse nel repertorio linguistico della classe e di
ciascuno dei suoi componenti.
L’idea che sottostà all’esperimento è che l’interazione con i compagni di classe svolga un ruolo
centrale nell’acquisizione della lingua.
L’intervento correttivo può diventare occasione di esplorazione collettiva nelle regole della
lingua italiana. Come e più dei bambini italiani, quelli stranieri sbagliano quando tentano di
parlare o scrivere in italiano. La linguistica acquisizionale che si occupa di acquisizione della L1
(lingua materna) e della o delle L2 (lingue seconde) in contesto spontaneo, ha ritrovato due tipi
di apprendenti.
Quello che la linguistica acquisizionale ci ha insegnato è che spesso l’apprendete di una L2
sbaglia perché confronta dati e ipotizza regolarità: fa grammatica anche se nessuno gliel’ha mai
spiegata e talvolta approda a risultati errati.
È possibile fare grammatica anche nelle classi multilingui dell’Italia di oggi.

CAPITOLO 2 QUALCHE SILLABO GRAMMATICALE NELLA SCUOLA PRIMARIA?


Il sillabo è quella parte dell’attività curriculare che si riferisce ai contenuti d’insegnamento.
Nella costruzione di un sillabo, le due operazioni imprescindibili sono: la selezione dei
contenuti, cioè la scelta di che cosa fare e che cosa non fare, e la sequenziazione, cioè la messa
in sequenza, la decisione su quando presentare un certo tema, in quale anno del ciclo.
Si tratta di decisioni che l’insegnante non affronta da solo. Ci sono le Indicazioni nazionali del
2012 che fissano le finalità generali della scuola e gli strumenti culturali di base.

2.1 PROGRAMMAZIONE DIDATTICA E INDICAZIONI NAZIONALI


All’interno della disciplina chiamata italiano, nel paragrafo “Elementi di grammatica esplicita e
riflessioni sugli usi della lingua”, le Indicazioni nazionali individuano in estrema sintesi i
contenuti grammaticali in senso stretto, validi per tutti il primo ciclo, fino alla III media.
Il passo successivo è la messa in sequenza di tali contenuto, il loro frazionamento e la loro
ripartizione negli 8 anni previstil. Seguono prima un riquadro in cui si elencano tutte le
competenze che l’allievo deve sviluppare nel corso dei primi 5 anni di scolarità; poi si scende
nel dettaglio con gli Obiettivi di apprendimento che si presentano scanditi in due pèarti: la prima
fissa gli obiettivi da raggiungere entro la classe III della scuola primaria, la seconda fissa gli
obiettivi da raggiungere entro la V classe. Si dedica una particolare attenzione a Ascolto e
parlato, Lettura, Scrittura,…
Ad esempio, per quanto riguarda l’ambito della frase, al termine della III classe della primaria si
dice che gli allievi dovranno essere in grado di riconoscere se una frase è o no completa,
costituita cioè dagli elementi essenziali; al termine della V classe dovranno riconoscere la
struttura del nucleo della frase semplice.

2.2 ERRORI DI PROGRAMMAZIONE, E NON SOLO


sappiamo tutti che ogni categoria lessicale si compone di sottocategorie e a volte anche di sotto
– sottocategorie, e in ognuna sono riconoscibili elementi centrali e periferici, elementi
frequenti.
Prendiamo la categoria dei pronomi, che secondo il documento ministeriale i bambini alla fine
della V classe primaria dovrebbero sapere riconoscere in una frase o in un testo. A quali
pronomi si pensa? Perché ci sono i pronomi allocutivi (tu, lei, voi) usati per rivolgersi
direttamente a un interlocutore più o meno familiare; ci sono i pronomi personal, la cui forma
dipende dal genere e numero del referente; ci sono i pronomi doppi (glielo); quelli
polifunzionali (si, ci, ne). Di ciascuna di queste sottocategorie esistono forme centrali e forme
periferiche, e almeno nelle prime due sicuramente i bambini si sono già imbattuti. Il lavoro da
fare sarà quello di disarticolare la materia individuando le categorie centrali e quelle
periferiche.
È un fatto che le Indicazioni nazionali continuano ad avere una lacuna grave: l’assenza di una
vera scansione dei contenuti.
Troppo spesso l’insegnamento grammaticale tradizionale si riduce a far memorizzare
definizioni, liste e paradigmi. Attraverso la definizione si descrivono e si fissano le caratteristiche
e le proprietà dell’oggetto grammaticale sotto osservazione; attraverso le liste si elencano i
diversi componenti della categoria; ove si tratta di una categoria lessicale di forma variabile, si
elencano le diverse forme del paradigma. Che cos’è che non va in questo modello?
Intanto, la definizione: definire gli oggetti grammaticali è un esercizio complesso, cui di solito si
dedicano i linguistici e i grammatici di professione.
Sono l’esperienza ripetuta dell’oggetto e dell’incontro ripetuto con la parola che lo denomina a
costruire il suo lessico.

2.3 LA RICERCA GRAMMATICALE


Ho condotto una serie di indagini. Scelto il tema grammaticale di qualche rilevanza, si conduce
in prima istanza su di esso una ricerca mirata. In questa fase svolgono un ruolo fondamentale le
grammatiche dell’italiano che hanno visto la luce in questi decenni. Questo libro preliminare
sfocia nella stesura di uno o più capitoli di stampo grammaticale.
A questo punto si passa alla seconda fase. Se nella prima parte del lavoro si è approfondita la
categoria dell’articolo, ci si chiederà: come fa un alunno a riconoscere l’articolo rispetto ad altri
categorie lessicali?
Abbiamo cercato la risposta di questo a questo tipo di domande intervistando direttamente gli
studenti, più spesso piccoli ma anche più grandi, attraverso colloqui individuali attentamente
preparati da Bombi, Cannoni e Di Norcia che si ispira direttamente al cosiddetto colloquio
clinico di Piaget.
Lo scopo delle prove è misurare in modo oggettivo la capacità di condurre una riflessione
intenzionale e analitica su specifici segni e contesti linguistici. Interessante si è rivelato per noi il
TAM – 2, che prevede una prima domanda definita linguistica in quanto fa leva sulla
conoscenza di regole d’uso della lingua; una seconda domanda è una richiesta di
argomentazione della prima risposta, ed è valutabile in base al grado di elaborazione dei
materiali linguistici.
Lo scopo di questa tipologia di colloqui non è misurare una competenza ma capire:
- Su quali fenomeni la competenza linguistica sia già assodata e sicura
- Su quali fenomeni sia possibile innestare una riflessione esplicita
- Su quali fenomeni operi già una sistemazione scolastica.
Si tratta di capire fin dove si può arrivare, a una certa età, nell’esplorazione di un certo tema
grammaticale.
Il colloquio si sviluppa seguendo una traccia scritta, contenente la lista dei dati e delle domande
da sottoporre all’attenzione degli intervistati. Agli intervistati vengono mostrati solo i dati, vale
a dire le parole, i sintagmi, le frasi.
Nel nostro sondaggio sull’articolo, ad esempio, solo una bambina, avevano appena terminato la
II e la III primaria, solo una bambina, Sara, non esclude la possibilità che l’articolo segua il nome.
Al contrario Tiziano corregge la sequenza errata lo bambino con il bambino. Ci sono bambini
che non vedono alcuni fatti banali, altri che vedono più in profondità.
Tutto il colloquio, che dura tra i 20 e i 40 minuti, è costruito in modo che ogni domanda indirizzi
l’attenzione su uno e uno solo degli aspetti che riguardano un certo tema.
I colloqui sono individuali, ma coinvolgono gruppi di 10 studenti di una stessa classe, scelti dal
docente di italiano sulla base di indicazioni precise: i 2 studenti più bravi, gli altri 6 di prestazioni
scolastiche medie, tutti aventi l’italiano come lingua materna. I gruppi sono solitamente due e
le classi coinvolte sono state soprattutto la III e la V primaria, in alcuni casi la I e la III media.

2.4 PROPOSTE DAL MONDO DELLA SCUOLA: ALLA RICERCA DI UN CURRICOLO


GRAMMATICALE
Disponiamo oggi di molte interessanti proposte. Alcune riguardano tutto il primo ciclo, altre
riguardano la sola scuola primaria. In quest’ultimo caso gli autori sono generalmente docenti di
scuola primaria.
Queste proposte sono concordi sul piano metodologico, dichiarandosi tutti gli autori a favore di
una metodologia attiva di riflessione sulla lingua. Per quanto riguarda i contenuti grammaticali
in senso stretto, le proposte divergono ma mi soffermerò solo su due di esse.
Della prima è autore Colombo che sostiene che ogni segmento scolare dovrebbe fare delle
scelte, e che non tutto va affrontato fin dal ciclo elementare. Nei primi 3 anni nessuna
grammatica sistematica, ma solo l’introduzione di una terminologia di base minima,
ovviamente senza definizioni; negli ultimi due anni morfologia, intesa come scoperta sia delle
categorie grammaticali (genere, numero) sia delle categorie lessicali (verbo, aggettivo).
Quanto alla sintassi, Colombo la sposterebbe nel triennio successivo, con qualche anticipazione.
Nello stesso anno vedeva la luce un libretto, frutto di un lavoro collegiale nella scuola di
Bolzano. Il tentativo era quello di mettere appunto un curricolo grammaticale che scandisca
anno dopo anno tutta la morfosintassi. Ogni indice è accompagnato da esempi di attività, ideati
e sperimentati dai docenti del gruppo di lavoro, che mostrano come sia possibile fare
grammatica anche con i più piccoli. Questo sillabo rivela la sua scelta già dal titolo: A partire
dalla frase…
Già nella I classe della primaria si fa scoprire che tutti i bambini hanno un nome, ed è bello
scriverlo adesso che lo si sa fare, e bisogna scriverlo con la lettera maiuscola. Ma oltre alle
persone, anche gli animali domestici, le città, i fiumi. Anche gli oggetti comuni hanno un nome,
ma sono comuni e si scrivono con la lettera minuscola. In II classe si scopre che i nomi comuni
hanno un numero e un genere, e che sono preceduti da articoli. In III classe, la possibilità di
ridurre il nome a pezzi, individuando la radice e la desinenza; in IV classe i nomi numerabili e i
nomi non numerabili, i nomi collettivi, i nomi derivati; in V classe la differenza tra nomi alterati
e derivati, e l’esistenza di nomi composti da più parole; nella I classe della scuola secondaria di
primo grado trovano posto una ripresa e una sistematizzazione di tutto quanto fatto fin qui.
Anno dopo anno, si introducono le categorie lessicali, si ragiona sul verbo e sulla frase e sui
diversi segni della punteggiatura, con l’ausilio del dizionario. Così facendo, tutti il percorso nelle
categorie lessicali è lento e graduale.
Nell’introdurre i diversi temi non si danno mai definizioni ma esempi, così che il bambino impari
a riconoscere e denominare i diversi oggetti grammaticali in modo naturale. Alla fine c’è un
Glossario, che definisce le parole grammaticali usate nel sillabo.
Ujcich si avvale della collaborazione di Cannavò e delinea un percorso in verticale.
Spadotto racconta il suo particolarissimo modo di fare grammatica. Dall’indice si evince che
l’autore si muove con molta libertà. Spadotto ascolta le domande, anche scomode dei bambini,
li esorta a cercare delle risposte e li sollecita.
Spadotto non è interessato a delineare un sillabo di riflessione sulla lingua. Non dimentica mai
di dire in quale classe è stato effettuato un certo percorso, con quali esiti, con quali eventuali
difficoltà.

PARTE SECONDA: DENTRO LA DISCIPLINA


CAPITOLO 3. ALLA SCOPERTA DELLA SINTASSI
Ho il sospetto che molti docenti identifichino la sintassi con quella parte della grammatica che si
occupa della struttura della frase.
Nella descrizione delle lingue possiamo assumere come oggetto di studio i suoni (fonologia); le
combinazioni significative tra i suoni, cioè le parole (morfologia); le combinazioni significative
tra i sintagmi, cioè le frasi; le combinazioni significative tra le frasi semplice, cioè le frasi
complesse.
3.1 LA FRASE, TRA LINGUA COMUNE E GRAMMATICA
“Frase” ha il significato di espressione linguistica, sequenza di parole con un qualche significato
riconoscibile.
La verità è che quasi tutto quello che nel linguaggio comune chiamiamo frase, in grammatica
prenderebbe il nome di enunciato, mentre frase assume un significato più ristretto. L’enunciato
è un frammento di lingua reale, che qualcuno ha scritto.
La frase è un modello astratto, una sorta di rappresentazione ideale dell’enunciato che non
riguarda in modo specifico questo o quell’enunciato ma tutti gli enunciati.
3.2 MODELLI TEORICI E INSEGNAMENTO DELLA GRAMMATICA
In grammatica la scuola è rimasta abbarbicata a quello che siamo soliti chiamare “modello
tradizionale” il quale offre l’indubbio vantaggio di essere abbastanza ben conosciuto per essere
stato sperimentale. Quello tradizionale non è la proposta ricostruttiva di un linguista, ma
l’insieme delle ipotesi. La scelta migliore per un docente di lingua è l’adozione di un
atteggiamento eclettico, vale a dire aperto al confronto con tutti i modelli e tutte le scuole, ma
attento alle specificità del proprio pubblico.
3.3 PAROLE CHE VANNO D’ACCORDO
Le parole di una lingua devono concordare secondo regole precise. L’incontro con la lingua
scritta obbliga i bambini a scandire i diversi elementi del linguaggio verbale e a vedere prima,
riconoscere poi ciò che potrebbe sfuggire nel flusso del parlato. Quando guidiamo i bambini a
riconoscere e scrivere il nome accanto a immagini di persone e oggetti a loro familiari,
potremmo far notare che i nomi delle entità raffigurate nei disegni sono precedute da paroline:
la mamma, la casa, il bambino.
La presenza di più articoli tra cui scegliere condurrà a parlare di genere (maschile e femminile) e
di numero (sing o plur). I nomi hanno genere maschile o femminile; i bambini lo sanno.
I bambini incontreranno nomi accompagnati da articoli indeterminativi, da agg qualificativi,
dimostrativi, possessivi. È sempre il nome che decide la forma di questi elementi.
Ho usato l’espressione gruppo ben assortito di parole per definire il sintagma. Perché sia ben
assortito, un sintagma nominale deve rispettare l’accordo con il nome, ma non solo.
Per gli aggettivi le cose si complicano, perché ci sono vari gruppi di aggettivi che si comportano
diversamente. Gli aggettivi possessivi possono stare sia prima (la mia bambola) sia dopo (la
bambola mia).
Un caso appena più difficile è dato dall’accordo tra il soggetto e la parte nominale del predicato:
ad esempio dirò queste fotografie sono belle, la mia mamma è spagnola.
E con i tempi composti del verbo, che cosa succede al participio passato? Posta la domanda,
faremo in modo che siano i bambini a trovare la risposta, presentando loro due liste parallele:
da una parte Ieri abbiamo mangiato il gelato; dall’altra la mamma è andata a fare la spesa. I
bambini dovrebbero arrivare a scoprire la regola: con i verbi che selezionano l’ausiliare non c’è
accordo del participio con il soggetto, il participio esce sempre in –o ed è invariabile.
3.3.1 RICERCHE E SPERIMENTAZIONI
In età prescolare i bambini mostrano di avere introiettato le regole dell’accesso. Su 10 bambini
di 5 anni intervistati da Vargiu relativamente a 5 diversi fatti grammaticali solo la regola
dell’accordo risulta acquisita con sicurezza da tutti i bambini, tranne uno. Riccardo, figlio di
madre marocchina e padre italiano, non riesce a svolgere l’esercizio.
Dopo due anni di scolarizzazione, a 8 anni, le interviste condotte da Franceschet, documentano
non solo la piena padronanza delle regole, ma anche nei più la capacità di spiegare l’errore.
Nonostante tutti i bambini abbiano ben salda l’idea che la posizione canonica dell’aggettivo sia
adiacente al nome a cui si riferisce, nessuno ha trovato difficoltà nel riconoscere l’accordo
dell’aggettivo in funzione predicativa con il soggetto, anche quando il soggetto e l’aggettivo
predicativo risultano distanti e separati da una frase relativa contenente ben 4 nomi.
Da questi sondaggi risulta che il tema dell’accordo può essere assunto a pieno titolo nel corso
della scuola primaria.

3.4 IL SINTAGMA, QUESTO SCONOSCIUTO


questo libro propone un diverso tipo di analisi delle frasi. Ad esempio la frase il mio gatto si è
arrampicato su un albero altissimo può essere scomposta in 3 sintagmi: Il mio gatto / si è
arrampicato / su un albero altissimo. Il primo (il mio gatto) è un sintagma nominale perché
ruota intorno al nome (gatto), e che condiziona l’accordo degli elementi che vi si riferiscono,
vale a dire l’articolo e l’aggettivo; il secondo è un sintagma verbale che ha al suo centro il verbo
arrampicarsi; il terzo (su un albero altissimo) è un sintagma preposizionale perché introdotto da
una preposizione. Un’altra scomposizione di questa frase è il mio / gatto si è arrampicato su un
albero altissimo, in cui un sintagma nominale e un sintagma verbale definiscono una frase.
Possiamo verificare la corretta di questa scomposizione provando a spostare i tre costituenti: si
è arrampicato / su un albero altissimo / il mio gatto, oppure su un albero altissimo / si è
arrampicato il mio gatto, o Il mio gatto / su un albero altissimo / si è arrampicato. Tutte le
opzioni sono possibili. È il criterio che Graffi chiama del movimento, e consiste nel fatto che il
sintagma può essere spostato in altri punti della frase, a condizione che si sposti tutto insieme.
3.4.1 UN PERCORSO PLAUSIBILE?
Proverei a condurre i bimbi su un percorso guidato e attentamente pianificato. Si potrebbe
provare a fare in modo che i nostri allievi diventino consapevoli di regole già ben
padroneggiate.
Avremo cura di scegliere frasi molto brevi e molto semplici per facilitare il ritrovamento dei
sintagmi. Potremo persino ragionare sulla spostabilità dei sintagmi in varie posizioni nella frase.
Un gioco che si potrebbe fare è quello che Morgese chiama delle frasi buffe:
- In mobilificio: si vendono letti a castello per bambini di legno
- In polleria: si vendono uova fresche per bambini da succhiare
- Nel negozio di abbigliamento: si vendono impermeabili da donna di gomma.
I bambini non hanno difficoltà a notare che l’anomalia dipende dal fatto che gli elementi di certi
sintagmi. Un bambino di nome Marco, ad esempio, sostiene con molta convinzione che letti e a
castello vanno insieme. L’intuizione di uno viene assunta da tutti, e l’analisi delle altre frasi
procede spedita.

3.5 LA FRASE? È UN PICCOLO DRAMMA


siamo sempre abituati a considerare la frase come l’unione di un soggetto, inteso come ciò di
cui si parla, e di un predicato, inteso come ciò che si dice del soggetto.
Il cosiddetto modello valenziale ha scelto di misurarsi sulla struttura della frase, della quale dà
rappresentazione abbastanza diversa da quella tradizionale.
Il modello valenziale propone una diversa rappresentazione della frase. Il punto di partenza è il
verbo che diventa predicato.
Quali sono le differenze con il modello tradizionale?
- Non esiste un’unica struttura valida per tutte le frasi della lingua, perché le scene
attivate dai verbi/predicati, e di conseguenza le frasi che le rappresentano, possono
essere di diversa consistenza. Sarà la semantica del verbo a dettare la struttura della
frase: perché si realizzi il piccolo dramma previsto dal verbo, devono essere presenti
sulla scena, i partecipanti indispensabili alla realizzazione dell’evento. Tali partecipanti,
che Tesniere chiamava attanti, oggi vengono chiamati valenze o argomenti. Una frase
composta solo dal verbo e dai suoi argomenti prende il nome di frase nucleare, o
minima.
- Tutti gli argomenti del verbo/predicato sono elementi necessari, obbligatori. Un verbo
che attiva una scena a due argomenti è sempre un verbo con due argomenti.
- Ci sono molti verbi che attivano più scene perché possono avere più significati; di
conseguenza possono dar luogo a più strutture frasali: Maria ha preso la valigia/
l’influenza/ una brutta strada
3.5.1 RAPPRESENTAZIONI
All’interno di un modello condiviso si può approdare a soluzioni diverse. Tre rappresentazioni
della stessa frase nucleare:

La prima rappresentazione vede la frase come costituita da un SN (sintagma nominale, il


soggetto) e da un SV (sintagma verbale, il verbo e gli altri argomenti obbligatori). È una
rappresentazione che sembra riprendere la definizione tradizionale della frase come costituita
da un soggetto e da un predicato. Il sintagma verbale comprende non solo il verbo ma anche
tutti gli argomenti del verbo con esclusione del soggetto.
Le due rappresentazioni successive enfatizzano il ruolo centrale del verbo. La terza soluzione è
certo quella più diffusa nella scuola tra i docenti innovatori
3.5.2 VERBI PREDICATIVI E VERBI COPULATIVI
chiamiamo predicativi tutti i verbi che hanno un contenuto semantico pieno, e uniti ai loro
argomenti, bastano a predicare qualcosa, definire una scena, mettere in relazione necessaria.
Sono tutti i verbi che danno luogo a un predicato verbale. Esiste anche un altro tipo di predicato
(nominale) cui dà luogo un’altra sottocategoria di verbi, i cosiddetti verbi copulativi, di cui
essere è il membro prototipico.
I verbi copulativi sono monovalenti (unico argomento, il soggetto) Maria bacia il gatto ha due
entità, Maria è brava ha un’entità.
È proprio la parte nominale che aggiunge informazione nuova alla predicazione, mentre il verbo
si limita a fare da copula. La parte nominale della predicazione è obbligatoria (Maria sembra
sono frasi agrammaticali) e li chiameremo predicativo del soggetto.

3.5.3 RIFLETTORI SUL VERBO ESSERE


Di quale verbo essere intendiamo parlare? Perché c’è un verbo essere che è un verbo ausiliare,
vale a dire svolge, assieme ad avere, la funzione di formare i tempi composti del paradigma
verbale italiano. Il verbo essere ha anche la funzione di formare il passivo dei verbi transitivi.
Il verbo essere può presentarsi come il verbo principale della frase, il caso in cui essere è
chiamato copula. È un verbo monovalente con predicativo del soggetto obbligatorio.
Esiste un altro verbo essere che si comporta come un verbo predicativo. Si tratta di contesti
particolari, nei quali essere significa avere vita, esistere. In questi casi diremo che essere è un
verbo monovalente.
Si presenta ancora diverso il caso in cui essere equivale a trovarsi, abitare. Diremo che in questi
casi essere è un verbo a due argomenti, esattamente come trovarsi o abitare.
3.5.4 VERBI TRANSITIVI E VERBI INTRANSITIVI
Possono essere transitivi e intransitivi tutti e solo i verbi predicativi. Sono considerati verbi
transitivi tutti quei verbi che nella forma attiva sono seguiti dall’oggetto diretto. Questi verbi
hanno la particolarità di poter assumere la forma passiva, in cui l’oggetto diretto della frase
attiva diventa il soggetto della frase passiva, e il soggetto della frase attiva diventa
complemento d’agente nella frase passiva. I verbi intransitivi non possono avere il
complemento oggetto e dunque neppure la forma passiva.
Basta dire che:
- I verbi transitivi possono essere bivalenti, trivalenti o tetravalenti
- Non tutti i verbi transitivi hanno la forma passiva: non ce l’ha, ad esempio, avere
- Non tutti i verbi transitivi sono seguiti dall’oggetto diretto
- Tutti i verbi transitivi formano i tempi composti con l’ausiliare avere; i verbi intransitivi si
dividono in due sottogruppi: quelli ad ausiliare avere (ho tossito), chiamati inergativi, e
quelli ad ausiliare essere (sono arrivato), chiamati inaccusativi
3.5.5 VERBI PRONOMINALI
Fra i verbi predicativi troviamo anche i verbi pronominali, vale a dire tutti i verbi in –arsi, -ersi, -
irsi, che si coniugano con l’ausilio di un pronome atono. Si preferisce suddividerli in sotto –
sottocategorie presentando in prima battuta i verbi riflessivi (lavarsi, vestirsi), e i reciproci
(Maria e la mamma si abbracciano).
3.5.6 VERBI CHE ACCOMPAGNANO ALTRI VERBI
Alcuni verbi possono svolgere anche una funzione vicaria: una funzione morfologica (gli
ausiliari), una funzione modale (i servili), una aspettuale (fraseologici), una causativa (fare e
lasciare).
I più frequenti tra queste sottocategorie di verbi sono gli ausiliari. Gli ausiliari sono essere e
avere, ma fanno saltuariamente parte di questa sottocategoria anche venire e andare.
I verbi modali sono tre, e indicano la necessità (dovere), la possibilità (potere) o la volontà
(volere) che un evento accada. I verbi modali sono seguiti dall’infinito del verbo principale: il
nesso verbo modale+verbo principale è accompagnato da un pronome atono, questo può o
precedere il nesso (ti voglio parlare) o seguirlo (voglio parlarti).
I verbi fraseologici danno informazioni su un aspetto del processo verbale espresso dal verbo
principale: l’imminenza di un evento (sto per partire); l’inizio di un evento, lo svolgimento di un
evento, la conclusione di un evento.
I verbi fare e lasciare possono svolgere una funzione causativa quando accompagnano altri
verbi all’infinito.
3.5.7 VERBI MULTILESSICALI
i verbi multilessicali sono verbi costituiti da più parole. Si possono distinguere due sottogruppi:
- i verbi supporto: sono un ristretto numero di verbi che svolgono una funzione di
appoggio nei confronti di quest’ultimo. I principali sono avere, fare, dare quando si
trovino usati in locuzioni come aver la speranza, aver fame, fare festa, dare un consiglio.
La loro funzione è morfologica, nel senso che si limitano a esprimere il tempo, il modo e
la persona
- i verbi polimeratici.
: costituiti da una testa verbale seguita da diversi tipi di espressioni nominali, come
andare in porto, andare in onda.
3.5.8 VERBI CON PIÚ STRUTTURE
Un primo gruppo comprende verbi come bruciare, affondare, aumentare. Si tratta di verbi che
nella variante transitiva presentano una semantica causativa, con un soggetto agente che
provoca un evento che si ripercuote sull’oggetto diretto e ne cambia lo status. La variante
monovalente può presentarsi anche in forma pronominale.
Un secondo gruppo comprende verbi che vengono descritti come verbi transitivi ma che
possono presentarsi in forma assoluta, cioè senza complemento oggetto.
Possono far parte di questa categoria anche alcuni verbi che possono rappresentare un evento
da due differenti punti di vista: dal punto di vista dell’agente che volontariamente fa un’azione,
e in questo caso il verbo è bivalente (Maria taglia il pane); dal punto di vista di uno strumento
che è in grado di svolgere la funzione cui è deputato e in questo caso il verbo è monovalente
(questo coltello non taglia).
C’è anche un’altra classe di verbi, i verbi reciproci che sono quei verbi pronominali che
esprimono una relazione di reciprocità tra due o più soggetti (innamorarsi, fidanzarsi, sposarsi)

3.6 NUCLEO, MODIFICATORI ED ESPANSIONI


I modificatori non possono per alcuna ragione essere separati dalla testa del sintagma più
ampio che lo contiene.
Potrei voler arricchire di altre informazioni il mio messaggio, esplicitando ad esempio le
caratteristiche generali del contesto in cui si colloca l’evento rappresentato. A differenza degli
elementi modificatori del nucleo, questi aggiunti si riferiscono non a questo o quell’elemento
del nucleo ma all’evento nel suo complesso. Il nome tecnico più condiviso è espansioni,
chiameremo soggetto il primo argomento, che ha la caratteristica fondamentale di accordarsi
con il predicato; il predicato è il verbo accompagnato dagli altri elementi nucleari; l’oggetto
diretto è l’argomento retto direttamente dal verbo senza preposizioni; oggetto indiretto è
l’argomento retto dal verbo con una preposizione; espansioni sono tutti gli elementi
extranucleari; modificatori sono tutti gli elementi aggiuntivi che descrivono gli elementi nucleari
ed extranucleari.

3.7 FRASE NUCLEARE, SEMPLICE, COMPLESSA


Chiameremo frase nucleare o frase minima una frase costituita dal verbo e dai suoi argomenti;
frase nucleare arricchita una frase nucleare con modificatori; frase semplice una frase nucleare
arricchita da espansioni e modificatori, ma dove ci sia un solo predicato; frase complessa un
agglomerato di più frasi in cui siano presenti più verbi/predicati.
In una frase complessa distingueremo la frase reggente e le frasi subordinate che si attaccano al
pilastro.
Abbiamo tre diversi tipi di subordinate:
- le argomentali, che sono indispensabili a completare la frase reggente e possono
svolgere la stessa funzione del soggetto, dell’oggetto diretto e dell’indiretto
- le relative che si comportano come dei modificatori, in quanto aggiungono informazioni
di vario tipo su un singolo elemento della frase
- le extranucleari che si comportano come le espansioni e aggiungono informazioni di
vario tipo.

3.8 IL MODELLO VALENZIALE NELLA SCUOLA


La scuola ha mostrato interesse per il modello valenziale. La frase è analizzata secondo il
modello valenziale, e nel suo Dizionario della lingua italiana tutti i verbi sono descritti a partire
dalla loro struttura argomentativa. L’apparato descrittivo e terminologico è stato poi
perfezionato in due volumi recenti per la scuola. In queste opere il modello è presentato con
grande rigore e completezza.
Un ritocco terminologico ha coinvolto la parola complemento, sostituito da espansioni. Non
tutti i complementi della tradizione sono espansioni e non tutte le espansioni corrispondono ai
vecchi complementi.
Non sono espansioni né l’oggetto diretto né tutti i complementi indiretti che sono argomenti
del verbo; non sono espansioni il tradizionale complemento di termine, i complementi di luogo.
Li possiamo chiamare semplicemente argomenti.

3.10 RICERCHE E SPERIMENTAZIONI


Il Sillabo grammaticale per il primo ciclo, messo a punto dai docenti di Bolzano adotta con
convinzione il modello valenziale nella versione proposta da Sabatini. Si comincia a giocare con
le frasi già in 1°: i bambini sono invitati a individuare e ritagliare le diverse parole presenti in
sequenze del tipo ilcanecorresulprato. In 2° sono previste attività su frasi e on frasi, con messa a
fuoco del ruolo fondamentale del verbo.
In 3° si ragiona sulla frase come rappresentazione di un evento e sul numero di attori. In 4° ci si
focalizza sugli argomenti del verbo e sulle loro caratteristiche strutturali, ma si comincia a
parlare anche di circostanti ed espansioni. In 5° si lavora sulla rappresentazione grafica della
frase semplice.
Un lavoro collegato al Sillabo è la tesi di laurea di Gabrielli che ha partecipato al lavoro di
gruppo. Ha condotto una sperimentazione a Brunico, in una 4° di 16 bimbi immersi in ambiente
caratterizzato da bilinguismo italiano/ tedesco. Si dà ai bambini il compito di colorare il
semaforo con il verde se la frase è ben formata, con il rosso se manca di qualche argomento,
con l’arancione in caso di incertezza. Le risposte dei bambini sono quasi sempre corrette
I bambini che hanno partecipato all’esperimento hanno sostenuto con molta convinzione che
questi verbi non sono zero- ma monovalenti perché necessitano per lo meno di un attore.
Anche Morgese assume con molta convinzione il modello valenziale nelle sue classi: già in 1° i
suoi bambini imparano a distinguere gli elenchi di parole dalle frasi all’interno delle quali c’è
sempre una parola magica.
Sempre in 1° si comincia a fare il gioco del mimo, in cui i bambini rappresentano con il gesto
l’evento evocato dal verbo. I bambini si rendono conto che non si può mimare è, a meno che
non sia accompagnato da qualcos’altro.
Il percorso si snoda poi nelle classi successive con riprese, ampliamenti e approfondimenti che
riguardano non solo l’ambito della frase ma anche la contemporanea scoperta dei sintagmi e
delle parole singole, inizialmente suddivise in parole magiche (verbi) e altre parole.
I bambini vengono continuamente stimolati e messi alla prova con compiti sempre più
impegnativi.
Un’interpretazione originale del modello valenziale si deve a Lovison che documenta un
percorso che parte dalla scoperta dei legami di significato tra i costituenti della frase, i sintagmi
nella frase semplice e le proposizioni nella frase complessa.
La proposta di Lovison è efficace e rigorosa.

3.11 ALLA RICERCA DEL SOGGETTO


Le due definizioni più diffuse di soggetto – “colui che fa l’azione” o “ciò di cui si parla” – sono
entrambe errate, e non sarebbe difficile trovare frasi che smentiscono sia la prima definizione
(in Maria ha l’influenza o Maria ha preso un bel voto “Maria” non fa alcuna azione pur essendo
il soggetto della frase), sia la seconda (in a Marco piace molto la matematica si parla di
“Marco”, ma il soggetto è la “matematica”).
Il soggetto viene presentato già in 2° classe e ripreso in 3° con l’aggiunta del soggetto
sottinteso.
Il soggetto è sempre l’argomento prominente e questo perché condiziona la forma del verbo/
predicato con cui si accorda. Indipendentemente dalla sua presenza e della sua posizione, il
soggetto comanda, decide la forma del verbo.
Con i più piccoli comincerei a ragionare sul soggetto senza inutili definizioni, attraverso la
presentazione di brevi frasi in cui il soggetto sia il più facile e intuitivo possibile: in prima
posizione nella frase, ed espresso da un nome proprio. E avrei cura di presentare fin da subito
anche frasi in cui il predicato non comporta un’azione, e il soggetto non è un agente.
Continuerei con casi appena più impegnativi: il soggetto costituito da sintagmi nominali definiti
e indefiniti, anche accompagnati da modificatori di vario tipo, presentati in prima posizione
nella frase.
Il mio suggerimento pratico è banale. Bisogna partire dal verbo e riflettere sulla persona: nel
Sillabo di Bolzano questo gioco è previsto a partire dalla 3° classe. È del tutto evidente che in
una frase la persona del verbo ci dice qual è il soggetto.
Una difficoltà in più è rappresentata dall’individuazione del soggetto nelle frasi in cui compare il
si compare il si cosiddetto impersonale (si va).
Quando in una frase il verbo è alla terza persona singolare il ritrovamento del soggetto può
essere facilissimo o difficilissimo.

CAPITOLO 4 CATEGORIE LESSICALI: NORMI, VERBI E POCO PIÚ


4.1 CRITERI DI RICONOSCIMENTO DELLE CATEGORIE LESSICALI
Le categorie lessicali individuate sono 9: nome, articolo, verbo, aggettivo, avverbio, pronome,
preposizione, congiunzione, interiezione. Per suddividere le parole in classi, si può guardare alla
forma (criterio morfologico), e al loro significato (semantico), e alla loro posizione nella frase
(distribuzione), e alla loro funzione della frase (sintattico).
Guardando alla morfologia delle parole, potremmo in prima battuta suddividerle in variabili e
invariabili. Riusciamo a dividere i nomi, gli aggettivi, i verbi, gli articoli e i pronomi da una parte;
le preposizioni, le congiunzioni, gli avverbi e le interiezioni dall’altra. Dobbiamo prendere in
considerazione anche la modalità della variazione, separando da una parte le parole che
variano per genere e numero, e sono i nomi, gli aggettivi, gli articoli e i pronomi; dall’altra le
parole che variano per tempo, numero, persona, modo, aspetto, diatesi e sono i verbi.
Si definiscono i nomi come quelle parole che designano entità (persone, animali e cose) o
sostanze (da cui il nome sostantivi); i verbi come quelle parole che rappresentano azioni o
processi; gli aggettivi come quelle parole che designano qualità.
La posizione che ogni parola può occupare nella frase correlata alla sua funzione sintattica.
4.2 PRATICHE SCOLASTICHE E INDICAZIONI NAZIONALI
Si comincia già in II classe con qualche primizia sul nome, l’aggettivo, l’articolo, il verbo, dopo di
che si passa in rapida successione a tutte le categorie e sottocategorie lessicali: soprattutto in IV
e V tutto viene presentato ed esaurito. Mi chiedo: che cosa rimane nella testa degli studenti
dopo queste rapide categorie? Purtroppo le formulazioni ministeriali incoraggiano
interpretazioni di questo tipo.
Torniamo alle Indicazioni nazionali (2012) con un’ultima notazione. Nella prima parte della sua
formulazione non sembra dare particolare rilievo a nessuna di esse; nella seconda parte invita a
curare il riconoscimento, da parte degli allievi, delle congiunzioni di uso più frequente.
Né le cancellazioni, né lo spostamento in avanti della presentazione delle categorie lessicali
risolvono il problema della loro complessità.

4.3 NOME E DINTORNI


Il fatto che il nome e il verbo siano considerati classi basiche è facilmente comprensibile. È viva
e intuitivamente plausibile l’idea che per parlare di alcunché abbiamo prioritariamente bisogno
di nomi e di verbi: i primi hanno il compito di designare le entità in senso lato che popolano il
mondo reale; i secondi designano ciò che se ne dice.
La funzione principale del nome è di tipo referenziale, poiché serve a designare e identificare
uno o più individui appartenenti a una classe di referenti concreti o astratti.
Sul piano semantico non sempre i nomi designano entità, ma possono designare sia eventi
(partenza) sia qualità (sincerità). Sul piano morfologico ci sono nomi invariabili per numero
(città, nozze) oltre ai nomi prestati da altre lingue come film, sport. All’opposto, ci sono nomi
che variano non solo per numero ma anche per genere. Il nome non ha sempre funzione
referenziale, ma può avere anche funzione attributiva o predicativa quando delimita e modifica
un altro nome. A queste funzioni aggiungerei anche quella vocativa, quando il nome serve a
richiamare l’attenzione di un interlocutore.
A tutto ciò va aggiunto il caso delle conversioni in nomi di elementi appartenenti ad altre classi
lessicali: ad esmepio, gli aggettivi che diventano nomi, come i ricchi (le perosne ricche), il
francese; o i verbi che diventano nomi, come il dovere (infinito).
4.3.1 MA È DAVVERO TANTO DIFFICILE RICONOSCERE UN NOME?
In due ricerche correlate sul riconoscimento del nome è emerso chiaramente che ci sono nomi
facili da riconoscere e nomi difficili.
Se invece ci spostiamo all’estremità opposta, troviamo nomi risultati difficili perché in un certo
senso non prototipici, o perché designano eventi; o qualità.

4.3.2. ESPLORAZIONI NEL GENERE


Non c’è il pericolo di annoiarsi a lavorare sul nome per tutti e 5 gli anni della scuola primaria.
Una volta scoperto che ogni nome ha un genere, che in italiano può essere maschile o
femminile e che viene rivelato dall’articolo, potremmo condurre i bambini a riflettere sul fatto
che con gli essere animati il genere grammaticale spesso corrisponde al sesso.
E che cosa diremo con i verbi che terminano in –e? e di quelli che finiscono in –i? sono maschili
o femminili? E quelli che finiscono in consonante? Dovremo abituarci a consultare il dizionario,
che ci dice sempre il genere dei nomi con delle abbreviazioni.
C’è poi almeno un caso in cui il genere ha una motivazione precisa: in italiano gli alberi sono
solitamente maschili, la frutta è solitamente femminile. A meno che… non siano agrumi, per i
quali la forma maschile vale sia per l’albero sia per il frutto.

4.3.3 NOMI O SINTAGMI NOMINALI? RIFLESSIONI DI GRAMMATICI E BAMBINI


nel caso dei nomi propri, nella stragrande maggioranza dei casi noi usiamo il nome facendolo
precedere da modificatori di vario tipo. Tra questi modificatori ci sono prima di tutto i
determinanti o specificatori: articoli e quantificatori in genere hanno una posizione fissa prima
del nome.
Altri tipi di modificazioni sono i possessivi, la cui funzione è indicare l’appartenenza e gli
aggettivi qualificativi. Tutti questi modificatori hanno almeno una proprietà in comune: si
accordano con il nome. Altri possibili modificatori del nome sono alcuni tipi di sintagmi
preposizionali e le proposizioni relative che, come gli aggettivi, servono a specificare la
referenza del nome o a dare informazioni supplementari.

4.4 RICONOSCERE I VERBI


La presentazione del verbo consiste in una rapida definizione di tipo nozionale (il verbo indica
l’azione) e in una rapida presentazione del suo paradigma: è in 4° che si procede con lo studio
delle diverse forme del verbo attraverso tavole dedicate alle 3 coniugazioni, cui vengono
affiancate le tavole dei verbi essere e avere.
La prima operazione che viene richiesta ai bambini è quella del riconoscimento della categoria
rispetto ad altre.
Vorrei insistere sul mancato riconoscimento dei tempi composti.
Via via che si sale nel ciclo scolastico, gli errori diminuiscono mentre le percentuali di corretto
riconoscimento aumentano.
4.4.1 MAESTRI E RICERCATORI
Ujcich propone in 3° classe della primaria l’esercizio di completamento di brevi testi da cui sono
stati tolti i verbi, perché i bambini si rendano conto del fatto che solo l’aggiunta di un verbo può
trasformare una sequenza incomprensibile in una breve frase dotata di significato.
Questi percorsi didattici puntano al riconoscimento del verbo come l’unica classe di parole che
possa descrivere un evento, darne una rappresentazione linguistica, e quindi dare vita a una
frase.
Il percorso di Tonellotto è di tipo nozionale, e mira a far scoprire ai suoi alunni di 3° primaria i
mezzi che la lingua utilizza per esprimere la nozione di tempo. Si comincia con una scheda in cui
il tempo è reso attraverso avverbi temporali, mentre i verbi sono tutti all’imperativo. Dopo aver
invitato i bambini a cerchiare le parole che danno informazioni sul tempo, Tonellotto fornisce
loro un aiuto, chiedendo di rintracciare le azioni dei due personaggi di cui si parla nella storiella.
Il percorso nozionale di Tonellotto offre spunti forse più interessanti quando interseca la
morfologia: i suoi bambini scoprono che, a differenza degli avverbiali, che sono rigidi, i verbi
sono elastici o snodabili. Le diverse forme servono a esprimere il tempo, vale a dire il presente,
passato, futuro.

4.4.2 CATEGORIE DEL VERBO


I bimbi della 3° classe della primaria hanno già imparato che le forme verbali veicolano il tempo
e i suoi diversi valori di presente, passato e futuro.
Passato, presente e futuro: questa tripartizione potrebbe essere introdotta molto presto,
trascritta su un cartellone, e restare a lungo l’unica disponibile per collocare gli eventi lungo
l’asse del tempo. Altre possibilità, altre voci verbali, si potranno aggiungere via via che
emergono nel lavoro di classe.
I modi del verbo sono sottoinsiemi del paradigma verbale. Alcuni di essi fanno parte
dell’insieme delle risorse linguistiche che manifestano il modo, ovvero l’atteggiamento del
parlante rispetto all’enunciato prodotto.
4.5 FORME DEL PARADIGMA: TRA FORMA E FUNZIONE
in italiano il verbo esprime i suoi molti valori attraverso un paradigma molto articolato e ci sono
tre ordini di fattori:
- il primo ha a che fare con la molteplicità delle forme: tre classi di coniugazione; sette
modi, di cui 4 finiti e 3 indefiniti; una miriade di tempo, semplici e composti per un
totale di 21 tempi diversi; una grandissima quantità di forme irregolari.
- Sfera del significato o della funzione che ciascuna di queste diverse forme svolge.
Purtroppo non esiste tra forma e funzione una corrispondenza biunivoca.
- Terminologia tradizionale: aumenta le difficoltà di memorizzazione. Per quanto riguarda
i due passati, prossimo e remoto, Brtinetto prova a suggerire una terminologia più
coerente, perfetto composto e perfetto semplice. Questa proposta terminologica non
ha in alcun modo raggiunto il mondo della scuola.
Bisognerebbe studiare una progressione più lenta, che tenga conto da una parte delle moderne
descrizioni del verbo, dall’atra delle possibilità dei bambini.
4.5.1 CONOSCENZE SCOLASTICHE E NON: IL PRESENTE DELL’INDICATIVO
Il presente rappresenta un evento nel momento stesso in cui esso ha luogo: Maria dorme/ sta
dormendo. Si può in questo caso parlare di presente progressivo. Ma non mancano casi in cui
l’azione è imminente (vengo subito) o appena conclusa (vengo adesso da casa); casi in cui il
presente veicola il passato (Roma diventa capitale d’Italia nel 1871); casi in cui il presente
veicola il futuro (Francesco arriva domani)
Il presente risulta l’unica voce del paradigma riconosciuta senza incertezze da tutti gli
intervistati.
In tutta questa materia, nonostante molti rimangano impigliati nelle definizioni apprese, non
sono pochi coloro che riescono ad accedere a una visione più articolata dei valori temporali.
I diversi valori temporali del presente sono accessibili ai bambini della scuola primaria e
possono essere fatti oggetto di riflessione esplicita.
4.5.2 CONOSCENZE SEMANTICHE E NON: I TEMPI DEL PASSANO NELL’INDICATIVO
I 5 tempi (imperfetto, passato prossimo e remoto, trapassato prossimo e remoto) si
differenziano l’uno dall’altro per una serie di ragioni che hanno a che fare con l’aspetto e con le
relazioni temporali tra gli eventi.
La differenza tra l’imperfetto, il passato prossimo e remoto non è di tipo temporale ma
aspettuale. Dire Maria ieri mangiava e scriveva un messaggio non è la stessa cosa che dire
Maria ieri ha mangiato e ha scritto un messaggio, anche se la cornice temporale è la stessa. Nel
primo caso rappresentiamo due eventi contemporanei nel momento del loro svolgersi; nel
secondo caso i due eventi si danno come compiuti e in successione.
Quindi imperfetto da una parte, passato prossimo e remoto dall’altra. Ma quale differenza tra
passato prossimo e remoto? Il passato prossimo esprime il risultato di un evento successo nel
passato il cui effetto perdura al momento dell’enunciazione; al contrario il passato remoto
denota un passato il cui risultato non persiste più.
Dei due trapassati, prossimo e remoto, lascerei perdere il secondo, per fermarmi su quello
prossimo. È un tempo anaforico, nel senso che esprime l’anteriorità relativa di un evento
rispetto a un qualche punto di riferimento temporale, che può essere dato un avverbiale di
tempo (alle 3 Maria era già partita) o da un altro evento al passato (quando sono arrivato,
Maria era già partita).
Penso che ci sia spazio per indirizzare l’attenzione dei più piccoli sui tempi del passato
dell’indicativo ma sempre in chiave testuale: si mette a fuoco un tempo alla volta, si impara a
riconoscerlo nei testi, se ne apprende il nome, se ne esplora la morfologia, si confronta con gli
altri tempi del passato, se ne analizza la funzione.
4.5.3 CONOSCENZE SCOLASTICHE E NON: I TEMPI DEL FUTURO
Il futuro semplice rappresenta eventi che accadranno in un momento futuro, con maggiore o
minore certezza da parte del parlante e con diverse sfumature: come, ad esempio, il futuro
ingiuntivo (domani andrai dalla maestra a chiederle scusa) e il futuro ipotetico (se verrai,
finiremo il lavoro).
Come l’imperfetto, anche i tempi del futuro possono avere una funzione modale, esprimendo o
sottolineando l’incertezza del parlante sull’evento del quale parla: hanno bussato, chi sarà a
quest’ora?. Questo tipo particolare di futuro viene solitamente chiamato futuro epistemico. In
quest’uso il futuro perde le sue caratteristiche temporali, in quanto rappresenta eventi che si
riferiscono al presente (saranno le dieci) o che si riferiscono al passato (sarà stato il gatto).
4.5.4 CHE COSA NE FACCIAMO DEL MODO CONGIUNTIVO?
Il congiuntivo mantiene le sue posizioni di forza senza mostrare cedimenti: ad esempio nelle
frasi indipendenti, in cui può esprimere invito o permesso, desiderio, dubbio, casi tutti in cui
l’uso del congiuntivo è obbligatorio.
Ma che cosa ne capiscono i bambini? Riferirò in proposito di una ricerca da me coordinata, cui
ha partecipato un gruppo di docenti che hanno raccolto i dati utili direttamente nelle classi.
Il caso di Daniele è emblematico. Posto di fronte a coppie di frasi in cui l’alternativa corretta è
una sola, mostra di avere maturato una buona competenza linguistica. Richiesto però di
spiegare la sua scelta, Daniele non sa farlo.
Fa capolino la presentazione scolastica del congiuntivo. Tutti i bambini intervistati hanno capito
dalle spiegazioni ricevuto che l’indicativo è il modo del certo e del reale, il congiuntivo il modo
dell’incerto e dell’ipotetico.
Alla domanda se una riflessione esplicita sul congiuntivo possa essere posizionata là dove
solitamente si fa, cioè nelle ultime due classi della scuola primaria, la mia risposta è no.
Questo non significa che i bambini non debbano essere esposti al congiuntivo nei testi scritti. Al
contrario: l’uso della lingua, e dunque la pratica del congiuntivo in tutti i casi e i contesti che lo
prevedono, è la conditio sine qua non su cui innescare al momento opportuno la riflessione
esplicita.
4.5.5 ALTRI MODI DEL PARADIGMA
i bambini intervistati hanno già incontrato, come per il congiuntivo, anche per il condizionale, le
solite definizioni. La mia proposta è limitarsi a due usi del condizionale: il condizionale presente
per esprimere una richiesta cortese (vorrei un gelato) e il condizionale passato per esprimere il
cosiddetto futuro nel passato (disse che sarebbe arrivato presto).
L’imperativo è un modo cui i bambini sono frequentemente esposti.
Dei modi indefiniti lascerei perdere quasi tutto, forme e funzioni, tranne: l’infinito presente,
come forma base del verbo; il gerundio presente, che accompagna il verbo stare nella forma del
presente progressivo.

4.6 ALTRE CATEGORIE LESSICALI


secondo le Indicazioni nazionali, la riflessione esplicita nella scuola primaria dovrebbe
riguardare tutte le categorie. Già solo parlando del nome, abbiamo dovuto fare riferimento ai
determinanti (articoli, dimostrativi, indefiniti, numerali, interrogativi / esclamativi).
Sui pronomi personali ci focalizziamo su tre nodi: la presenza delle forme atone delle sei
persone canoniche nella coniugazione dei verbi pronominali; la possibilità che hanno i pronomi
di saturare le valenze del verbo; la funzione testuale dei pronomi come forme di ripresa
anaforica nei testi.
Sulle preposizioni ci focalizziamo su: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra. E tutte le altre
preposizioni? Vengono ignorate.
Abbiamo incontrato anche gli avverbi, nella loro funzione di modificatori del verbo, analizzando
la possibilità di arricchire la frase nucleare con elementi avverbiali riferiti al verbo

CAPITOLO 5 OLTRE LA FRASE


A partire dagli anni 80 del solo scorso, si è imposta la cosiddetta linguistica teatrale che va oltre
la frase. Si sviluppa in una serie successiva di frasi, collegate tra loro sia sul piano semantico
(coerenza di un testo) sia sul piano grammaticale (coesione).

5.1. TESTI E TEMPI VERBALI


Ogni testo seleziona una serie di tempi verbali. L’analisi testuale dei tempi verbali consente di
ragionare sulla loro funzione: sulla funzione che ciascun tempo e/o modo svolge sia rispetto al
parlante che lo ha selezionato, sia rispetto a tutti gli altri tempi.
5.1.1 TEMPI VERBALI NEI TESTI DESCRITTIVI E REGOLATIVI.
Nel testo descrittivo che serve per descrivere, si usa il presente indicativo.
Quando descriviamo qualcuno o qualcosa, è come se ci ponessimo di fronte all’oggetto
descritto, ne osservassimo e trascrivessimo le caratteristiche.
I testi regolativi, cioè quelli che regolano una sequenza di azioni (ricette, leggi e regolamenti)
hanno un diverso assetto temporale: i più semplici tra di essi si rivolgono direttamente al lettore
attraverso l’imperativo.
I verbi sono tutti all’imperativo, che è il modo degli ordini e delle raccomandazioni, di cui i
bambini hanno quotidiana e diretta esperienza.
5.1.2 TEMPI E ALTERNANZE NEI TESTI NARRATIVI
Le cose si complicano con il testo narrativo che mostra un assetto temporale più complesso.
Nel predisporre l’ossatura temporale di un testo narrativo l’italiano presenta almeno due
possibilità. La possibilità di narrare delle storie tutte al presente è mediamente sfruttata dai libri
per bambini: consente di narrare storie come se avvenissero oggi, sotto i nostri occhi.
Per raccontare storie, non importa se vere o di fantasia, i narratori usano i tempi del passato,
più tempi differenti, aventi ciascuno una specifica funzione.
L’imperfetto, grazie alla sua natura imperfettiva descrive nei testi narrativi lo scenario o sfondo
in cui si collocano gli eventi narrati e i diversi personaggi.
La formula introduttiva (Molto tempo fa, c’era una volta) colloca subito il testo in un passato
che è in realtà un altrove, un luogo favoloso fuori dal tempo e dallo spazio.
Abituare i bambini a riflettere sui diversi tempi presenti in un testo narrativo pone di fronte a
molte sfide. Di fronte a un breve frammento della favola di Cappuccetto Rosso proposta in due
versioni, al presente e al passato, quasi tutti i bambini preferiscono la versione al passato. Le
motivazioni sono diverse: in III prevale l’idea che il passato sia preferibile perché è una storia di
molti anni fa; in V molti sono già in grado di notare che l’uso del presente attualizza e rende più
immediata e viva la narrazione.

5.2 ANAFORA
Il termine anafora ha più significati per interpretare un certo sintagma del testo. Passerò
rapidamente in rassegna le diverse possibilità di ripresa anaforica dell’italiano:
- Ripetizione dello stesso sintagma: ieri Maria è stata interrogava… Maria aveva studiato
molto; se l’antecedente è un sintagma indefinito, la ripresa anaforica sarà un sintagma
definito: un bambino… il bambino; in questo caso è proprio l’uso dell’articolo
determinativo nella ripresa anaforica a segnalare che il referente è già noto
- Vari tipi di sintagmi nominali: un sinonimo; un sinonimo testuale; un sovraordinato, in
cui la ripresa anaforica è espressa da un nome di significato più ampio rispetto
all’antecedente (un cliente… l’uomo); una perifrasi (Venezia… la città lagunare)
- Vari tipi di pronomi
Il meccanismo anaforico è frequentissimo in tutti i tipi di testi, scritti ed orali ed è ovvio che
capire un testo significa ricostruire correttamente i rapporti anaforici che il testo crea.
5.2.1 DATI E RICERCHE
Ci sono molte domande che riguardano proprio la capacità degli studenti di vedere e
interpretare correttamente il meccanismo anaforico. Il motivo è facilmente intuibile: la corretta
individuazione dell’antecedente di una qualunque ripresa anaforica è essenziale alla
comprensione dell’intero testo. Toth ha ragionato sui tipi di antecedenti e sui tipi di riprese
presenti nelle domande, mettendoli in relazione con le percentuali di risposte corrette.
Risultano più facili le domande in cui l’antecedente sia in una posizione sintattica forte,
essendo, ad esempio, il soggetto della frase, e rimandi a una entità facilmente e chiaramente
identificabile perché posta al centro di una storia.

5.3 PRIMA DIVULGAZIONE: I PRONOMI


Che tipo di riflessione si potrebbe fare con i bambini con le forme pronominali? È una categoria
compositiva che comprende molti sottogruppi. Non tutti gli elementi sono di facilissima lettura:
si pensi, ad esempio al si, al ci, al ne; ai pronomi doppi come glielo, gliene.
I pronomi, come i nomi, hanno valore referenziale, nel senso che hanno la funzione di riferirsi
alle entità del mondo. Ma non hanno la capacità di referenza fuori contesto, nel senso che le
entità richiamate dai pronomi devono poter essere recuperate o dal contesto linguistico
(riferimento anaforico) o dal contesto situazionale (riferimento deittico). Ad esempio in oggi è
arrivato Gianni…. più tardi andrò con lui al cinema il recupero dell’identità di quel lui è di tipo
anaforico; in maestra, è stato lui a picchiarmi!, il recupero dell’identità di lui è possibile solo
condividendo la situazione in cui l’enunciato viene prodotto. Parliamo di riferimento deittico.
La riflessione su questa basilare distinzione tra pronomi personali deittici e pronomi personali
anaforici è sicuramente accessibile ai bambini della scuola primaria.

5.4 SECONDA DIVAGAZIONE: LE CONGIUNZIONI E E MA


si suggerisce di condurre i bambini al riconoscimento delle congiunzioni di uso più frequente
(come e, ma, infatti, perché, quando).
Cominciamo dalla e guidando in prima battuta i bambini al riconoscimento e alla evidenziazione
di questo elemento linguistico nelle frasi e nei testi che ci capiti di leggere. Dove e quante volte
compare la e in un testo? Dopo che i bambini avranno imparato a riconoscerla, potremo fare
una seconda domanda: a che cosa serve? E quando i bambini arriveranno a dire che serve ad
aggiungere, congiungere parole, potremmo fornire loro il nome tecnico.
Non ho dubbi sul fatto che i bambini possano arrivare a capire che la e congiunge sempre due
elementi contigui, siano essi nomi e aggettivi, e naturalmente anche frasi. Potremmo imparare
a segnalare questa relazione con le parentesi, le quali rendono chiaro il fatto che i due elementi
messi in relazione dalla e devono essere della stessa natura sintattica.
Un’altra cosa che potremmo chiedere ai bambini è se in tutti questi casi i due elementi posti in
relazione dalla e possano scambiarsi di posto.
Sul ma la riflessione diventa subito più impegnativa perché la sua funzione prevalente si esplica
tra frasi. Con elementi più piccoli, il ma svolge una funzione correttiva quando neghi un
elemento (il primo) in favore di un altro (il secondo).
Anche per questa congiunzione si potrebbe fare con i bambini la prova del cambio di posto per
vedere se le frasi che ne risultano continuano ad avere lo stesso significato.
Non credo che i bambini avranno difficoltà a concludere che i due elementi messi in relazione
dal ma non sono interscambiabili, perché si capovolge completamente il senso della frase.
Nei testi la funzione prevalente del ma è di tipo più genericamente oppositivo, e riguarda frasi o
anche porzioni più ampie di testo.
I testi per bambini sono pieni di questi ma, che hanno la funzione insostituibile di connettere
pezzi di testo, esplicitando le relazioni tra essi. Presumo che i bambini comprendano il senso
generale dei testi proposti. Ma ciò non significa che essi siano pronti per una riflessione
esplicita su questa materia.

5.5 LA PUNTEGGIATURA
Come si può avviare al rispetto delle funzioni sintattiche dei principali segni interpuntivi senza
indurre una riflessione esplicita su di essi? Senza imparare a riconoscer ee segnalare i confini di
frasi e costituenti?
Non sono pochi i testi prodotti dai ragazzi, quelli in cui sembra dominare una sorta di casualità
interpuntiva, per cui c’è chi va a capo a ogni frase e chi articola il suo testo in una lunga
ininterrotta sequenza.
5.5.1 CHE COS’É LA PUNTEGGIATURA? E QUALI SONO I SINGOLI SEGNI DI PUNTEGGIATURA?
Non sono domande banali, non almeno per i bambini. Aiutare i bambini a mettere a fuoco i
segni interpuntivi, a distinguerli dai grafemi e da altri segni grafici. Il primo è quello che
chiamerò della “seconda lettura”: dopo la prima lettura di una qualsiasi sequenza, che individua
i grafemi, le parole e le frasi e ricostruisce il senso del testo, si passa a una seconda lettura, che
individua i segni interpuntivi presenti, li sottolinea o li evidenzia, impara a chiamarli con il loro
nome. Compariranno subito il punto, la virgola, i punti esclamativo e interrogativo, i due punti
introdotti del discorso diretto accompagnati dai trattini o dalle virgolette, senza dimenticare gli
accapo.
Il primo esercizio sarà la messa a fuoco di questi segni. Per qualche tempo basterà limitarsi alla
loro individuazione e denominazione. Poi, via via che i bambini si familiarizzano con la lettura ad
alta voce, nascerà spontanea l’esigenza di scandire il ritmo, segnalare cioè il susseguirsi delle
frasi e delle pause.
5.5.2 A CHE COSA SERVONO I SEGNI DI PUNTEGGIATURA?
La punteggiatura assolve contemporaneamente a tre funzioni:
- Prosodico – intonazionale: indica il ritmo del discorso, dato dalla successione delle frasi
e delle pause tra l’una e l’altra e dal modo in cui vengono pronunciate
- Logico – sintattico: la punteggiatura è contemporaneamente al servizio dell’orecchio e
dell’occhio; dell’orecchio perché è nata per indicare le pause alla lettura; dell’occhio
perchè rende visibile la demarcazione di unità sintattiche. È la punteggiatura che rivela a
una prima occhiata come è strutturato un testo dal punto di vista linguistico. I due punti
servono prima a introdurre la spiegazione di quanto affermato prima, poi a introdurre il
discorso diretto.
- Stilistica o testuale: consiste nella violazione consapevole delle norme interpuntive a fini
espressivi.
5.5.3 DAL MONDO DELLA RICERCA. UN CURRICOLO SULLA PUNTEGGIATURA NELLA SCUOLA
PRIMARIA
Già i primissimi incontri con la lingua scritta offrono al bambino testi strutturali e ben
punteggiati. Di pari passo dovrebbe precedere la presa di coscienza del valore funzionale dei
diversi segni interpuntivi, i quali però vanno presentati a tempo debito.
Il percorso sulla punteggiatura si fa iniziare nella II classe della scuola primaria. Le prime
riflessioni potranno riguardare:
- il punto fermo per chiudere frasi di senso compiuto
- il punto interrogativo per esprimere domande o dubbi
- il punto esclamativo per esprimere stupore, sdegno
- la virgola seriale negli elenchi
- i due punti per introdurre il discorso diretto
- le virgolette o le lineette per racchiudere il discorso diretto
- i puntini di sospensione per indicare una sospensione nel testo
Risultano appena più difficili:
- la virgola per separare frasi
- la virgola che si apre e si chiude per segnalare gli incisi
- i due punti per introdurre una spiegazione
- il punto e virgola per separare frasi
- l’accapo per segnalare blocchi informativi o snodi del testo.
Questa lista può essere un comodo ausilio alla programmazione didattica, in quanto può
aiutare a tenere a mente gli usi canonici dei segni e le difficoltà da tenere sotto controllo.
CAPITOLO 6: DENTRO LE PAROLE
6.1 LESSICO E RIFLESSIONE SUL LESSICO NELLA SCUOLA DI OGGI
Le Indicazioni nazionali del 2012 contengono un’importante novità: compare un nuovo
paragrafo dal titolo Acquisizione ed espansione del lessico ricettivo e produttivo.
La riflessione sugli aspetti più formali delle parole aiuti la loro piena e sicura acquisizione.
La riflessione sul lessico risulta ora del tutto assente tra gli obiettivi dei primi 3 anni di scuola
primaria, quando l’incontro con la lingua scritta e la connessa aumentata considerazione della
forma delle parole potrebbero rivelarsi un’occasione unica.
Gli unici due obiettivi di riflessione sulla lingua relativi al lessico sono:
- conoscere i principali meccanismi di formazione delle parole (parole semplici, derivate,
composte)
- conoscere le principali relazioni di significato tra le parole (somiglianza, differenze,
appartenenza a un campo semantico).
Sono due obiettivi già presenti nelle Indicazioni del 2007. Dei due indici tratterò solo il primo,
che attiene all’ambito della cosiddetta morfologia lessicale: studia le parole complesse, che si
sono formate, tramite regole, da altre parole.
Le prove INVALSI dimostrano che già alla fine del secondo anno di scuola primaria i bambini
sono pronti a riflessioni semantiche sul lessico.

6.2 LA FORMAZIONE DELLE PAROLE


I procedimenti derivativi sono quelli che, grazie all’aggiunta di suffissi e prefissi, formano:
- nuovi nomi a partire da basi nominali (camion – camionista), verbali (allenare –
allenamento) o aggettivali (ricco – ricchezza)
- nuovi aggettivi a partire da basi nominali (paura – pauroso), verbali (mangiare –
mangiabile), aggettivali (misero – miserabile)
- nuovi verbi a partire da basi nominali (zucchero – zuccherare), verbali (mangiare –
mangiucchiare) aggettivali (caldo – caldeggiare)
I procedimenti derivati tramite suffissazione hanno la facoltà di dare in uscita parole di diversa
categoria lessicale rispetto alla base. I prefissi non alterano la categoria lessicale della base
(grazia – disgrazia) , a meno che non si tratti dei cosiddetti procedimenti parasintetici, che
formano verbi da nomi e aggettivi grazie all’aggiunta contemporanea di un prefisso e di un
suffisso (bottone – abbottonare).
I procedimenti alterativi mantengono nelle nuove formazioni la categoria lessicale della base:
essi si applicano per lo più a nomi per formare altri aggettivi (povero – poverino). Tali
procedimenti aggiungono alla parola di base il tratto della piccolezza / grandezza.
I procedimenti compositivi riguardano parole intere. Possono dare in uscita:
- nomi, formati da due nomi (capo – classe), un nome e un aggettivo in posizione variabile
(cassa – forte), un verbo e un nome (schiaccia – noci), una preposizione e un nome
(dopo guerra), persino due verbi (sali – scendi)
- aggettivi, formati da due aggettivi (sordomuto)
- verbi, formati da un nome e un verbo (capo – volgere)
si hanno vere e proprie catene derivative: ad esempio: da un nome si può formare un aggettivo
(centro – centrale); dall’aggettivo che ne è derivato si può formare un verbo (centrale –
centralizzare); dal verbo si può formare un nuovo nome (centralizzare – centralizzazione); da
questi, tramite l’aggiunta di un prefisso, si possono formare altri verbi (de – centralizzare) e altri
nomi (de centralizzazione).
Da aggettivi, tramite l’aggiunta di un suffisso –ezza, si sono formati i nomi di qualità
corrispondenti: ricch_ezza; da nomi di cibi e bevande, tramite il suffisso –iera, si sono formate
le parole che designano i rispettivi contenitori: sal-iera; da nomi di sostanze o materie si sono
formati i verbi che designano i processi per la formazione di tali sostanze o materie
(burrificare); da nomi di luogo si sono formati verbi parafrasabili (ghettizzare, ospedalizzare).

Potrebbero piacerti anche