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Umberto Eco
Linguistica
Università degli Studi Suor Orsola Benincasa
12 pag.
– Equivalenza di significato e sinonimia: Secondo i dizionari i SINONIMI sono equivalenti per significato, mentre in
realtà la sinonimia pone molti problemi ai traduttori. Ad es. nelle varie lingue vi sono molti termini sinonimi (come
father, père, padre e persino daddy e papà sono sinonimi) ma in determinate situazioni non si possono usare in quanto
l'equivalenza referenziale non coincide con l'equivalenza connotativa, che riguarda il modo in cui le parole stimolano
nella mente degli ascoltatori o dei lettori le stesse associazioni e reazioni emotive (non diciamo “God is your
DADDY” ma “FATHER”). Per dimostrare quanto affermato, Eco ricorre ad un esempio di traduzione effettuata
tramite il sistema di traduzione automatica di Altavista, Babel Fish, in cui ne ho chiesto la traduzione italiana e poi ho
– Capire i contesti: Il significato di una parola corrisponde a tutto ciò che in un dizionario è scritto in corrispondenza
di una determinata “voce” e tutto ciò che definisce quella voce rappresenta il contenuto che quella parola esprime.
Leggendo le definizioni della voce ci si rende conto che essa include varie accezioni o sensi della parola stessa, e che
questi sensi spesso non possono essere espressi da un sinonimo “secco” ma da una definizione, una parafrasi o da un
esempio concreto. Questo ci fa comprendere come una traduzione NON dipenda solo dal contesto linguistico ma
anche dal CONTESTO ESTERNO in cui il testo è stato scritto. Altavista dimostra che, essendo sprovvisto delle
selezioni contestuali e non conoscendo le varie sfumature che una parola possiede, traduce erroneamente “work” con
“impianti”.
– La presenta incommensurabilità dei sistemi: Se la traduzione riguardasse solo i rapporti tra due sistemi linguistici
allora si potrebbe sostenere che una lingua naturale imponga al parlante una propria visione del mondo, che queste
visioni sono incommensurabili e pertanto tradurre ci espone a dei problemi inevitabili. Ciò equivarrebbe a dire che
ogni lingua esprime una diversa visione del mondo (= HUMBOLDT; concetto che si ricollega all'ipotesi di Saphir-
Whorf e al principio di indeterminatezza della traduzione di Quine). Questo concetto si spiega mediante la semiotica
di HJELMSLEV, il quale ritiene che in una lingua (e in generale in ogni sistema semiotico) possiamo distinguere un
piano dell'ESPRESSIONE e un piano del CONTENUTO, i quali rappresentano l'insieme dei concetti esprimibili da
quella lingua. Ciascuno dei due piani è caratterizzato da una FORMA e una SOSTANZA ed entrambi sono il risultato
della segmentazione di un continuum o materia pre-linguistica e sono reciprocamente interdipendenti:
• La SOSTANZA del CONTENUTO è oggettiva e non varia da una lingua all'altra, poiché si riferisce a qualità
intrinseche.
• La FORMA del CONTENUTO varia da lingua a lingua, ciò non significa che ci sia una corrispondenza
completa tra i campi semantici delle forme di contenuto simile in lingue diverse (ad es. non c'è un modo sicuro
per tradurre la parola francese “bois” poiché in inglese potrebbe essere “wood” (IT “legno” o “bosco”),
“timber” (“legno da costruzione”) e persino “woods”).
• La SOSTANZA dell'ESPRESSIONE è l'espressione grafica e fonica del contenuto.
• La FORMA dell'ESPRESSIONE riguarda il modo in cui viene attualizzata la sostanza dell'espressione: il modo
in cui viene pronunciata una forma grafica o in cui viene scritta una forma fonica e perciò è caratterizzato da un
sistema fonologico, da un repertorio lessicale e da regole sintattiche.
Quindi una lingua associa a diverse forme dell'espressione diverse forme del contenuto. Il continuum o materia del
contenuto è tutto ciò che è pensabile e classificabile e che le varie lingue suddividono in modi diversi; per questo due
sistemi del contenuto sono reciprocamente incommensurabili e le differenze nell'organizzazione del contenuto
rendono la traduzione teoricamente impossibile. Infatti a volte accade che il termine di una lingua rinvii ad un’unità
di contenuto che altre lingue ignorano e questo pone seri problemi al traduttore. Tuttavia c’è una differenza tra
incommensurabilità e incomparabilità. Ovvero: due sistemi anche se associano diverse forme di forma e contenuto,
possono essere comparati tra loro ed è possibile trovare una soluzione che risulti la più adeguata. Non si parlerà di
traduzioni perfettamente esatte o sbagliate ma attraverso la negoziazione e il contesto si potrà trovare la soluzione più
adatta per un determinato testo (es. in IT “nipote” -> in IN ci sono 3 modi: “nephew, niecle, grandchild”).
– La traduzione riguarda mondi possibili: Per capire un testo e per tradurlo bisogna fare un ipotesi sul mondo
possibile che esso rappresenta e in mancanza di tracce adeguate, la traduzione deve appoggiarsi su congetture
plausibili e, solo dopo averle elaborate, il traduttore può procedere a volgere un testo da una lingua all'altra. Questo
– I testi come sostanze: Un testo, che è già una sostanza attuata, è costituito da una MANIFESTAZIONE LINEARE
(ovvero ciò che si percepisce attraverso la lettura o l'ascolto) e dai SENSI. Per interpretare la manifestazione lineare,
il traduttore ricorre a tutte le conoscenze linguistiche mentre per individuare il senso di ciò che non viene detto, deve
operare un processo più complicato: ad es., l’espressione “cavallo” si riferisce a quella forma del contenuto che
l’oppone, nella terminologia dei sarti, come “cavallo del pantalone”. Ad ogni fase della traduzione, bisogna
individuare le ISOTOPIE, ovvero i livelli di senso omogenei. Per es., date due frasi “il fantino non era soddisfatto del
cavallo” ed “il sarto non era soddisfatto del cavallo”, solo individuando le isotopie omogenee è possibile distinguere
i diversi significati di “cavallo”.
– La reversibilità ideale: Partendo da una traduzione in francese che Eco ritraduce dal francese, nota come la sua
versione non dà un risultato esattamente uguale al testo originale ma permette comunque di riconoscerlo. Afferma
quindi che la reversibilità è pressoché totale sul piano del contenuto ma NON sul piano dello stile. Inoltre la
reversibilità non è necessariamente lessicale o sintattica ma può anche riguardare modalità di enunciazione a livello
grafico, in termini di punteggiatura e di altre convenzioni. A tal proposito, Eco riporta l'esempio della sua traduzione
della Sylvie di Nerval in occasione della quale si accorse che i francesi sono più complicati riguardo all’argomento
dei grafemi che introducono un dialogo. Sostiene che normalmente traducendo un romanzo francese in italiano si
trascura questo particolare e si dispongono i dialoghi secondo i nostri criteri ma spesso il dettaglio non è trascurabile.
– Un continuum di reversibilità: La reversibilità non è una misura binaria (o c'è o non c'è) ma materia di gradazioni
infinitesimali e va da una reversibilità massima ad una minima. Pertanto si pone un continuum di gradazioni tra
reversibilità in base al quale si può definire come traduzione quel testo che mira a rendere ottimale la reversibilità. E’
chiaro che il criterio di reversibilità ottimale vale per traduzioni di testi molto elementari, come un bollettino
meteorologico o una comunicazione commerciale. Un ragionevole principio di reversibilità stabilirebbe che i modi di
dire e le frasi idiomatiche fossero tradotti NON letteralmente ma scegliendo l'equivalente nella lingua di arrivo.
Proponendo per ora un criterio di ottimalità abbastanza prudente si potrebbe dire che è ottimale la traduzione che
permette di mantenere come reversibili il maggior numero di livelli del testo tradotto.
– Far sentire: Secondo Leonardo Bruni, che ha scritto nel 1420 il De Interpretatione Reltà, il traduttore “deve fare
affidamento anche al giudizio dell'udito per non rovinare o sconvolgere ciò che in un testo è espresso con eleganza e
senso del ritmo”. Per preservare il livello ritmico il traduttore può evitare di tradurre alla lettera il testo fonte, poiché
il problema non è quello di trovare il termine migliore ma di individuare il ritmo del testo, magari leggendolo ad alta
voce. Quindi secondo Eco, ciò che deve interessare il traduttore non è tanto la reversibilità letterale (caso in cui il
principio di reversibilità vacilla) quanto la capacità di riprodurre lo stesso effetto che il TO ha provocato nel lettore.
– Riprodurre lo stesso effetto: Eco sostiene che non bisogna concentrarsi solo sulla similarità di significato,
sull'equivalenza o sulla reversibilità linguistica ma anche sull'equivalenza FUNZIONALE o SKOPOS THEORY,
secondo cui una traduzione che ha finalità estetiche deve produrre lo stesso effetto a cui mirava l'originale. In tal caso
si parla di uguaglianza del valore di scambio che diventa un’entità negoziabile.
– Tipi cognitivi e contenuti nucleari: Eco fa ricorso all'idea di negoziazione anche per spiegare la nozione di
significato. Eco fa una distinzione tra TIPO COGNITIVO, CONTENUTO NUCLEARE e CONTENUTO MOLARE.
Tipo Cognitivo: è uno schema mentale in base al quale le persone hanno la capacità di riconoscere un determinato
oggetto. Possiamo cercare di capire quali schemi sono presenti nella nostra mente ma non possiamo conoscere quelli
che sono nella mente altrui. Ad es., non sappiamo che cosa accade nella mente di chi riconosce un topo, ma sappiamo
attraverso quali interpretanti qualcuno spiega agli altri che cosa sia un topo e l'insieme di queste interpretazioni
costituisce il Contenuto Nucleare che è visibile, toccabile, confrontabile perché viene fisicamente espresso attraverso
suoni e immagini, gesti. Mentre il Contenuto Molare è la competenza allargata che comprende anche nozioni non
indispensabili al riconoscimento percettivo di un oggetto e in questo caso di un topo, che ad es. dispone un zoologo.
– Negoziare: Tradurre significa “limare via” alcune delle conseguenze che il termine originale implicava; in questo
senso traducendo non si dice mai la stessa cosa. L’interpretazione che precede ogni traduzione deve stabilire quante e
quali delle possibili conseguenze che il termine suggerisce possono essere limitate via ma la negoziazione non è
sempre una trattativa che distribuisce perdite e vantaggi tra le parti in gioco.
– Perdite per accordo tra le parti: Vi sono casi in cui se una traduzione adeguata è impossibile l'autore autorizza il
traduttore a saltare la parola o l'intera frase se la perdita è irrilevante. Come es., egli riporta la traduzione in inglese
del suo libro “Il nome della rosa” in cui alcuni studiosi han riscontrato ben 100 omissioni che, sebbene siano state
autorizzate dall'autore stesso, contraddicono il principio secondo cui la traduzione debba rispettare il detto dell'autore/
testo originale.
– Compensazioni: A volte le perdite possono essere compensate, sebbene il traduttore può cadere nella tentazione di
dire di più, non tanto perché il testo originale risulta incomprensibile ma, perché ritiene di dover sottolineare un
opposizione concettuale, strategica per l'andamento del racconto. Così facendo però si rischia di sostituirsi all'autore.
– Evitare di arricchire il testo: Ci sono delle traduzioni che arricchiscono la lingua di arrivo e che riescono a dire di
più degli originali, ma una traduzione che dice più del testo fonte, anche se appare un’opera eccellente, NON è una
buona traduzione. Tradurre a volte significa “ribellarsi alla propria lingua” quando essa introduce effetti di senso che
nella lingua di partenza non c'erano, quando esplicita l'implicito, tradendo le intenzioni del testo di partenza. Ci sono
4 problemi diversi:
1) Un’espressione del TO appare ambigua al traduttore, il quale deve chiarire l'ambiguità sulla base del principio che
anche il lettore originario era in grado di fare.
2) L'autore originario ha fatto ricorso ad un ambiguità per sventatezza; non intendeva apparire ambiguo e in tal caso
il traduttore deve, non solo chiarirla, ma indurre l'autore (se ancora in vita) ad una successiva riedizione dell'opera
a disambiguare l'enunciato.
– Migliorare il testo: Secondo Eco ci sono dei casi in cui una traduzione ha migliorato il testo di partenza: un grande
autore riprende un opera precedente e la riscrive a modo proprio. Tipi di miglioramenti:
a. Miglioramenti preterintenzionali che sono il risultato, non di una modificazione voluta, ma di una scelta letterale
obbligatoria (come ad es., nella trad. IT di Cyrano de Bergerac che Eco ritiene migliore dell'originale di Rostand,
poiché molte scelte del traduttore, che si discostano dal testo di partenza, rendono meglio l'effetto che l'originale
voleva suscitare).
b. Ci sono casi in cui il traduttore perde qualcosa per una svista guadagnando comunque qualcosa altro.
Tuttavia in linea di principio il traduttore non deve proporsi di migliorare il testo. Se crede che quella storia o quella
descrizione, avrebbe potuto essere migliore, si eserciti nel rifacimento d’autore; se si traduce un’opera modesta mal
scritta, che rimanga tale, e che il lettore di destinazione sappia che cosa ha fatto l'autore.
– Compensare rifacendo: Vi sono situazioni in cui per rispettare l’effetto che il testo voleva ottenere si può ricorrere
a rifacimenti PARZIALI o LOCALI (ad es., brano in cui vengono citati alcuni versi di Giovan Battista Marino che
nella traduzione Weaver rende tramite un lessico e un ortografia del 17mo secolo mentre i versi sono tradotti
letteralmente a differenza della traduttrice spagnola Lozano, la quale opta per il rifacimento, sostituendo i versi del
poeta italiano con versi di un poeta spagnolo appartenente alla letteratura del Siglo de Oro, affine alla corrente
italiana di Marino, poiché ciò che contava non era ciò che l'amante dicesse ma che lo dicesse rispettando i modi
amorosi dell'epoca. In questo caso il rifacimento appare come un atto di fedeltà poiché il testo tradotto da Lozano
produce lo stesso effetto dell'originale).
– Riferimento e stile: Tuttavia vi sono casi in cui il riferimento può essere trascurato per rendere l'intenzione stilistica
del testo originale. A tal proposito egli riporta l'esempio di varie traduzioni del 32° capitolo del suo libro “L'isola del
giorno prima” incentrato sulla figura di Roberto che vede i coralli, e per poter ricreare lo stesso effetto che il testo
intende raggiungere, ossia quello di dare al lettore un impressione cromatica variata di questi coralli, lo stile da
adottare è quello di evitare la ripetizione dello stesso termine cromatico, in modo da ottenere lo stesso rapporto tra
quantità di termini e quantità di colori. Ciò che conta è ricreare lo stesso effetto del testo attraverso lo stile a scapito
del significato immediato dei termini: il traduttore non si deve concentrare tanto sulle sfumature cromatiche quanto
sull'effetto che esse devono creare sul lettore.
A volte il traduttore può trascurare il significato letterale dell'originale per preservarne il senso profondo. Il problema
non è tanto la fedeltà al testo quanto se esso preserva il senso originale cambiando il suo riferimento.
– I riferimenti dei rebus e il rebus dei riferimenti: Interpretare significa fare una scommessa sul senso di un testo per
prendere una decisione di questo tipo il traduttore deve interpretare l’intero testo per caratterizzare lo stile mentale
dei personaggi. Il Rebus è il modello dell’interpretazione testuale. Per capire a cosa si riferisce realmente un testo,
Eco propone un analogia con il rebus, in cui vengono raffigurati personaggi, eventi e oggetti, alcuni contrassegnati da
lettere alfabetiche e altri no. L'inesperto commette 2 errori: 1) pensa che contino solo le immagini contrassegnate
dalle lettere e 2) che la soluzione dipenda dalla scena generale. In realtà contano entrambe in base alle quali il
solutore inizia a porsi delle domande per poterne evincere quelle parole che possano aiutarlo a comprendere il rebus.
Con ciò, Eco suggerisce che il lettore come il traduttore non è autorizzato a fare qualsiasi ipotesi ma deve attenersi a
ciò che è presente nell'immagine/testo in modo da reperire un senso coerente col resto da permettere la ricostruzione
dell'intera fase.
– Fonte e destinazione: E’ importante studiare la funzione che esercita una traduzione nella cultura di arrivo, anche se
così facendo la traduzione diventa un problema interno alla storia di questa cultura sminuendo i problemi linguistici
e culturali posti dall'originale (ad es. non è necessario conoscere l’ebraico per valutare l’impatto della traduzione di
Lutero sulla lingua tedesca). Eco si interessa maggiormente al processo che avviene tra TP e TA, questione che era
già stata affrontata da autori quali HUMBOLDT e SCHLEIERMACHER, secondo i quali una traduzione può essere:
TARGET ORIENTED, cioè orientata al TP, oppure SOURCE ORIENTED, orientata al TA.
Dunque una traduzione deve condurre il lettore a comprendere l’universo linguistico e culturale del TP con cui deve
immedesimarsi o deve trasformare il TP per renderlo accessibile al lettore della lingua/cultura di arrivo? Eco inoltre
nota come le traduzioni col passare del tempo invecchino e perciò i traduttori han il compito di modernizzare in
qualche modo l’originale.
– Addomesticare e straniare: Per quanto riguarda lo STRANIAMENTO, Humboldt fa una distinzione tra
STRANEZZA (Fremdheit) ed ESTRANEO (Das Fremde): il lettore sente la stranezza quando la scelta del traduttore
appare incomprensibile, come se fosse un errore, e sente l'estraneo quando si trova di fronte a un modo poco
familiare di presentargli qualcosa che potrebbe riconoscere ma che ha l'impressione di vedere per la prima volta.
Riguardo alla traduzione dei nomi, Eco riporta l'esempio di alcuni traduttori del suo libro intitolato: “Il nome della
rosa” in cui vi sono molti termini e riferimenti all'epoca medievale che causano difficoltà ai traduttori appartenenti ad
una cultura come quella finlandese o ungherese che non conoscono quest’epoca storica. Dovendo decidere se
nazionalizzarli o meno e tenendo presente che a differenza dell'IT in ungherese il cognome precede il nome, il
traduttore ha scelto di lasciarli come nell'originale a differenza del traduttore finlandese che li ha tradotti in inglese.
Torop lamenta che in certi romanzi in cui è essenziale la componente dialettale locale, la traduzione mette in ombra
questo elemento (come avviene nella traduzione del “Baudolino” di Eco in cui i traduttori han preferito far
riferimento ad un linguaggio popolare evitando rinvii ad un epoca o ad un area geografica precise. Hanno quindi
usato un linguaggio generico familiare a tutti i lettori a differenza del dialetto piemontese comprensibile per un
lettore piemontese ma non per uno siciliano).
A volte i casi di ADDOMESTICAMENTO sono indispensabili proprio perché si deve rendere il testo consono alla
LA dal momento che il traduttore deve sempre tener presente la necessità di rendere, oltre alla lettera, l'effetto che il
TP voleva ottenere.
– Modernizzare e arcaizzare: Eco riporta come es. la traduzione del libro della Bibbia intitolato “Ecclesiaste” il cui
titolo originale in ebraico significa “assemblea” (o meglio “colui che parla ad un’assemblea di fedeli”). Analizzando
traduzioni in diverse lingue (tra cui l'IN, FR, TED, IT), Eco nota come, tenendo conto che i lettori del suo tempo
sapevano che Ecclesia significa Assemblea, nelle varie traduzioni si mantiene questo termine, a differenza di versioni
in altre lingue in cui il termine viene modernizzato e tradotto come “predicatore” che tradisce il significato originario
(presentando però ai lettori una figura riconoscibile). [ricorda: mentre versioni in lingue diverse tendono a
modernizzare, le traduzioni IT tendono ad arcaicizzare per ricreare l'atmosfera poetica del testo.] Un altro es. riguarda
i tentativi di rendere la metrica, la terza rima e il lessico dantesco nelle varie traduzioni. Jacqueline Risset sostiene
questi valori che sono fondamentali nell'originale non possono essere recuperati in una traduzione; afferma che
nessun testo poetico può essere trasposto in un altro idioma senza perdere dolcezza e armonia (per ricreare la terza
rima in una altra lingua si rischia di cadere in una ripetizione eccessiva e si avrà impressione di meccanicità). Risset
conclude affermando che la traduzione è un PROCESSO DECISIONALE, perciò sceglie di essere il più possibile
fedele al testo dantesco in modo da riprodurne la stessa rapidità narrativa. La sua traduzione quindi non è orientata
verso l’addomesticamento ma verso la modernizzazione.
– Ekfrasi: è intesa come la descrizione di un opera visiva (quadro o una scultura). Anticamente era un esercizio
retorico molto praticato grazie al quale abbiamo notizie su opere d'arte scomparse (come le Imagines di Filostrato),
mentre attualmente è considerato un strumento che tende ad attirare l'attenzione sull'immagine che intende evocare.
Eco distingue tra: 1) ekfrasi classica o palese: traduzione verbale di un opera già nota e 2) l’ekfrasi occulta:
traduzione verbale che ha il fine di evocare nella mente di chi legge una visione precisa. Eco afferma di aver fatto
ricorso nelle sue opere a molte ekfrasi occulte (ne “Il nome della rosa” descrive 2 portali e varie pagine di codici
miniati) ed insiste molto sul modo di rendere percepibile al lettore la citazione visiva in quanto ha a che vedere con la
questione del dialogismo, dell'ironia e degli echi intertestuali.
– Suggerire l’intertesto al traduttore: Eco sostiene che l'autore dovrebbe informare il traduttore riguardo allusioni
nella propria opera poiché potrebbero sfuggirgli (ad es., nella traduzione de “L'isola del giorno prima” egli ha
avvisato il traduttore che ogni capitolo ha un titolo che suggerisce vagamente quello che avviene dato che in realtà
ogni capitolo è il titolo di un libro del 17mo secolo). Raramente questo gioco è stato compreso dagli specialisti di
quell'epoca e per questo motivo Eco ha avvertito il traduttore affinché lo rendesse riconoscibile anche nella varie
lingue in cui il testo sarebbe stato tradotto.
– Difficoltà: Eco cita un caso in cui i traduttori han perduto il rinvio intertestuale per rispettare alla lettera l'originale:
suggerisce che in questi casi i traduttori avrebbero potuto evitare la traduzione letterale sostituendo una frase con una
proveniente dalla letteratura della LA capace di ricreare lo stesso effetto dell'originale (ad es. ne “Il pendolo di
Foucault” Jacopo Belbo per connotare il gusto del personaggio per il romanzo d'appendice, fa riferimento alla sfida
lanciata da Sandokan quando affronta un tigre indiana; traduttori non colsero l’allusione).
Eco mette in evidenza come la traduzione può alterare il gioco dell'ironia intertestuale e soprattutto come può
arricchirlo e precisa che non comprendere un rinvio colto e ironico significa impoverire il testo fonte mentre
aggiungervi un rinvio in più significa arricchire troppo. L'ideale per una traduzione sarebbe rendere in un’altra
lingua niente di meno ma anche niente di più di quello che insinua il T fonte.
– Jakobson e Peirce:
Jakobson fu affascinato dal fatto che Peirce, per definire la nozione di interpretazione, fece ricorso all'idea di
traduzione. Il punto centrale della sua argomentazione è il principio d'INTERPRETANZA in base al quale stabilisce
che l’equivalenza di significato tra 2 espressioni è data dall'identità di conseguenze che esse implicano o
implicitano. Per chiarire afferma che il significato (meaning) nella sua accezione primaria è “una traduzione di un
segno in un altro sistema di segni” (PEIRCE). Secondo Jakobson, la nozione di interpretazione come traduzione da
segno a segno permette di superare la diatriba su dove sia il significato (se nella mente o nel comportamento) e
inoltre non ritiene l'interpretare e il tradurre come la stessa operazione ma è utile affrontare la nozione di significato
in termini di traduzione, come se fosse una traduzione. A tal proposito, Eco scrive che Jakobson dimostra che
interpretare un elemento semiotico significa tradurlo in un altro elemento e che da tale traduzione l'elemento da
interpretare risulta sempre creativamente arricchito.
– La linea ermeneutica: L’idea che ogni attività d’interpretazione sia da ritenere traduzione ha radici profonde nella
tradizione ermeneutica (ogni processo interpretativo è un tentativo di comprensione della parola altrui). La linea
ermeneutica si propone di individuare il nucleo comune in tutti i processi di interpretazione e le differenze che
intercorrono tra i vari tipi di interpretazione.
• Secondo Gadamer, la traduzione è una forma del dialogo ermeneutico che giunge come compimento di un
processo di comprensione e di interpretazione che il traduttore ha dato della parola a cui si trova di fronte. Ritiene
che ogni traduttore è un interprete ma ciò non significa che ogni interprete sia un traduttore. Di fronte ad
un’iscrizione il compito ermeneutico comincia solo quando l'iscrizione è stata già decifrata. Decifrazione che
Peirce intende già come interpretazione e ciò dimostra come il concetto di interpretazione di Peirce è più vasto di
quello ermeneutico.
• Steiner afferma che la traduzione è solo un caso particolare del rapporto di comunicazione che ogni atto
linguistico riuscito traccia all'interno di un dato linguaggio.
• Ricoeur invece parte dall'impostazione di Steiner e dal fatto che nell'interpretazione e nella traduzione si dice la
stessa cosa in un altro modo e conclude che “dire una cosa in altri termini” è appunto ciò che fa il traduttore.
• Fabbri, sulla base del concetto Peirciano (secondo il quale il segno in relazione ad un altro segno non è un
semplice rinvio, poiché il significato di un segno è il segno in cui esso deve esser tradotto) ed afferma che l'atto di
traduzione è il primo atto di significazione e che le cose significano grazie ad un atto di traduzione a esse interno.
Dunque ogni interpretazione è prima di tutto traduzione.
• Eco fa riferimento al termine “traduzione/tradurre” e con un piccolo excursus mostra che appare in latino
“translatio” col senso di “cambiamento, trasporto, passaggio, condurre oltre”; solo Seneca fa riferimento come
“versione da una lingua all'altra”. Il termine tradurre col significato odierno si diffonde nel 400 e sostituisce
“traslatare” che in inglese diventa il verbo “to translate”. Quindi tradurre ci arriva nel significato primario nel
senso di versione da una lingua all’altra.
– Altri tipi di interpretazione: Oltre a quella jakobsoniana, ci sono altri tipi di interpretazione che Eco classifica in:
• Interpretazione per trascrizione o per sostituzione automatica;
• Interpretazione intrasistemica che si divide in: intrasemiotica all'interno di altri sistemi semiotici,
intralinguistica all'interno della stessa lingua naturale ed esecuzione;
• Interpretazione intersistemica con variazioni della sostanza (interpretazione intersemiotica, interlinguistica e
rifacimento) o mutazione di materia (parasinonimia e adattamento/trasmutazione).
L'interpretazione per trascrizione ubbidisce ad una stretta codifica e può essere attuata anche da una macchina (ad
es., il rapporto tra un alfabeto espresso graficamente e i suoi corrispondenti, poiché ad ogni lettera corrisponde un
suono preciso – alfabeto morse). L'interpretazione intrasistemica avviene all'interno di uno stesso sistema semiotico
ed è caratterizzata dai casi che Jakobson definisce riformulazione (ad es., i casi di interpretazione in sistemi non
verbali, come la riformulazione di un brano musicale trascritto in una diversa tonalità passando dal maggior al
minore). In questi casi, il fatto che uno stesso contenuto venga espresso con segni diversi fa pensare che si voglia
delimitare la forma del contenuto quando in realtà si rimane sempre all'interno della stessa forma o materia
dell'espressione.
– Prima interpretare poi tradurre: Per tradurre una frase si deve prima compiere l'operazione di riformulazione del
testo fonte ma queste riformulazioni non sono traduzioni. Il traduttore quindi prima di tutto riformula la frase fonte
sulla base di una sua ipotesi sul mondo possibile che essa descrive e solo dopo la tradurla. Il traduttore deve far
precedere la traduzione da una lettura critica, interpretazione o analisi testuale che sia poiché un interpretazione
precede sempre la traduzione. In effetti i bravi traduttori prima di iniziare a tradurre, dedicano molto tempo a leggere
e rileggere il testo e a consultare tutti i sussidi che possono consentirgli di comprendere in modo appropriato i passi
oscuri, i termini ambigui, ecc. La traduzione che ne deriva rappresenta un contributo critico alla comprensione
dell'opera tradotta. Infatti una traduzione indirizza sempre ad un certo tipo di lettura dell'opera perché se il traduttore
ha negoziato scegliendo di porre attenzione su certi livelli del testo, ha automaticamente focalizzato l’attenzione del
lettore su quelli.
– Esecuzione: E’ un’altra forma di interpretazione che si pone come anello di congiunzione tra interpretazione
intrasistemica e interpretazione intersistemica. Tra due esecuzioni ci possono essere variazioni di sostanza ma così
non deve accadere nella traduzione. Es. due esecuzioni di una sonata per violino o due interpretazioni di un lavoro teatrale seguono le
indicazioni della partitura, ovvero la melodia e il timbro voluti dal musicista e le parole volute dal commediografo, anche se possono avere
variazioni timbriche nella sonata mentre l'interprete può introdurre variazioni in termini di dinamica durante la rappresentazione scenica.
Pertanto l'esecuzione rende riconoscibile il testo tipo o identifica due esecuzioni come interpretazioni della stessa partitura. Ma se di fronte a
2 esecuzioni si fanno valere criteri di gusto, allora ci troviamo di fronte a 2 manifestazioni testuali diverse, tanto che pronunciamo 1 giudizio
di valore privilegiando l'una piuttosto che l'altra. Di fatto tra due esecuzioni ci sono variazioni di sostanza.
– Il problema della sostanza nella traduzione tra due lingue naturali: Considerando come la traduzione deve far
sentire il ritmo di un testo, Eco fa riferimento al fatto che nella manifestazione lineare (cioè sul piano
dell'espressione), si manifestano diverse sostanze definite EXTRALINGUISTICHE, a livello del ritmo, del metro,
dei valori fonosimbolici di un testo (fenomeni che riguardano la semiosi e quindi devono essere studiati non solo dal
punto di vista linguistico ma anche da quello semiotico più generale). Il problema della sostanza nella traduzione tra
2 lingue naturali non riguarda soltanto la finalità estetica ma anche quella:
• stilistica (in quanto, ad es., se volessimo tradurre in un’altra lingua la formula di saluto buongiorno dovremmo
prima interpretarla o riformularla per poi tradurla tenendone presente l'aspetto fondamentale della brevità della
formula linguistica che dipende da una regola pragmatica).
• grafica (in quanto se scriviamo più volte una stessa frase dal punto di vista linguistico si nota la stessa
manifestazione lineare e variazioni fisiche sono irrilevanti mentre se la riproduciamo in 3 caratteri diversi dal pdv
linguistico abbiamo la stessa forma realizzata in 3 sostanze diverse ma questo cambio di forma ha prodotto 3
sostanze grafiche diverse di cui tener conto se si esprimono preferenze tipografiche).
• fonica (in quanto se una stessa frase viene letta da un contadino piemontese, da un avvocato napoletano o da un
attore tragico si ottengono 3 realizzazioni diverse in termini di sostanza fonica che ha molta importanza per
rilevare l'origine regionale, il livello culturale ecc.).
Ciò ci fa comprendere come di fronte ad una frase elementare intervengono tratti che non sono solo linguistici ma
soprasegmentali, fonemici, paralinguistici.
Molto importanti le differenze di sostanza. La sostanza linguistica muta nelle operazioni di riformulazione (come la
definizione o la parafrasi): infatti tra “c'è un topo in cucina” e “c'è un sorcio in cucina” vi sono differenze a livello di
manifestazione lineare perché hanno una diversa consistenza materiale. Tuttavia affinché si abbia un adeguata
– La sostanza in poesia: Jakobson afferma che i testi estetici sono AUTORIFLESSIVI perche rendono pertinente sia
la sostanza linguistica e sia quella extralinguistica. La sostanza extralinguistica diventa fondamentale in questioni di
fonosimbolismo e di ritmo locutivo. Ogni traduzione si muove in un orizzonte di tradizioni e convenzioni letterarie
che influenzano le scelte di gusto. A tal proposito, Eco riporta l'es. delle traduzioni in IT del Prufrock: il testo
originale ha una metrica, delle rime e delle assonanze che vanno perdute nella traduzione italiana. Le traduzioni sono
state determinate sia dal momento storico in cui sono state fatte che dalla tradizione traduttoria in cui si inserivano. I
2 autori han agito in senso “target-oriented” e han scelto la sequenza delle immagini evocate senza attenersi alla rima
anche se non han privilegiato il contenuto (disinteressandosi della manifestazione lineare e della sostanza linguistica).
– Il quasi della traduzione poetica: L'importanza della sostanza extralinguistica è centrale in poesia poiché serve a
colpire i sensi tramite i quali interpretare il contenuto. In un discorso a funzione poetica si colgono il contenuto
denotato e quello connotato, poi le questioni di sostanza e infine il rapporto tra sostanze e il contenuto.
Traducendo si dice “quasi” la stessa cosa: il problema sussiste durante la ricreazione, quando si passa dal “quasi” ad
un’altra cosa. La traduzione è un strategia che mira a produrre, in lingua diversa, lo stesso effetto del discorso fonte
mentre i discorsi poetici mirano a produrre un effetto estetico. L’effetto estetico non è una risposta fisica o
emotiva ma un invito a guardare come quella risposta fisica o emotiva sia causata da quella forma in una sorta
di “va e vieni” continuo tra effetto e causa. L'apprezzamento estetico si risolve nell'effetto che si prova con la
strategia testuale che lo produce e dalle strategie stilistiche attuate a livello di sostanza che indicano
l'autoriflessività del linguaggio poetico.
– Il caso Queneau: Un esempio è la traduzione di Eco degli “Excercises de style di Raymond Queneau”, i quali
rappresentano una serie di variazioni su un testo base. Alcuni di questi esercizi riguardano il contenuto e si prestano
alla traduzione propriamente detta, mentre altri riguardano l'espressione e sono caratterizzati da metagrafi
(anagrammi, permutazioni per numero crescente di lettere, ecc.) e da metaplasmi (onomatopee, sincopi, metatesi,
ecc.). Comprendono anche riferimenti a forme poetiche che si prestano ad un rifacimento radicale: dove il TO
racconta la storia in versi alessandrini con riferimento parodistico alla tradizione letteraria francese, Eco sceglie di
raccontare la stessa storia con riferimento ad un canto leopardiano.
– Il caso Joyce: La traduzione dell'episodio del “Finnegans Wake” detto “Anna Livia Plurabelle”. Si tratta di un caso
particolarissimo di rifacimento radicale perché Joyce per rendere il principio fondamentale che domina il testo (il
principio del pun) non ha esitato a riscriverlo radicalmente, al punto da non avere più alcun rapporto con le sonorità
tipiche del testo inglese (ma tono toscaneggiante). Dovendo tradurre un ritmo tipico della lingua inglese, Joyce
riformula il testo per adattarlo alla lingua FR prima e all'IT poi.
1) Il testo utilizza parole composte o fonde insieme due parole brevi mentre in IT questo non è possibile: dunque ricorre ad un ritmo
polisillabico e per ottenerlo non si è preoccupato del fatto che spesso il testo IT non diceva le stesse cose di quello ING.
2) Fa riferimento a circa 800 nomi di fiumi ma questo aspetto è difficile da mantenere in IT in quanto i fiumi italiani non sono abbastanza
numerosi da poter sostituire tutti quelli citati nel testo originale. Così Joyce cerca di rendere questo effetto, pone alcuni fiumi che nel testo di
arrivo non si trovano negli stessi punti in cui appaiono nell'originale. Poi alcuni nomi di fiumi vengono ripresi dal TP, mentre altri vengono
sostituiti da riferimenti a nomi di fiumi italiani maggiormente noti al lettore del TA. Eco contesta la scelta di eliminare un così gran numero
di fiumi del testo originale poiché non ne vede il motivo, neppure per ragioni di comprensibilità(poiché molti dei fiumi citati nel testo inglese
sono sconosciuti anche agli stessi anglofoni).
– Trasmutazioni o adattamenti: La diversità di materia è un problema per ogni teoria semiotica e pur ritenendo il
linguaggio verbale come il sistema più potente di tutti, in realtà non lo è affatto. Hjemslev ha distinto: 1) linguaggi
LIMITATI (linguaggio delle formule logiche che risulta esser limitato rispetto ad una lingua naturale) e 2) linguaggi
ILLIMITATI. Si può affermare che un determinato sistema semiotico può comunicare sia meno che più di un altro
sistema semiotico, ma non si può dire che entrambi siano in grado di esprimere le stesse cose (ad es., pare difficile
tradurre in parole quello che è espresso dalla 5 sinfonia di Beethoven e allo stesso modo non si può tradurre la Critica
della ragion pura in musica). Inoltre nel passaggio da materia a materia si è costretti a esplicitare degli aspetti che una
traduzione lascerebbe indeterminati quindi la trasmutazione di materia aggiunge significati o rende rilevanti
connotazioni che non erano originalmente tali. [I casi più consueti di adattamento o trasmutazione sono quelli della
versione di un romanzo in film, di una favola in balletto, e cosi via.]
– Traduzione ed ontologia: La fedeltà delle traduzioni non è un criterio che porta all'unica traduzione accettabile; è
piuttosto la tendenza a credere che la traduzione sia sempre possibile se il testo fonte è stato interpretato con
complicità, se il traduttore si è impegnato a identificare il senso profondo del testo e abbia avuto la capacità di
negoziare la soluzione che appare migliore. Eco mette infine in evidenza il fatto che consultando il dizionario la
parola “fedeltà”, essa ha come sinonimi non tanto il termine “esattezza” quanto “lealtà, onestà, rispetto”.
– Colori: Un testo che per lungo tempo mi ha creato problemi è la discussione sui colori che si svolge nel capitolo 26
dei secondo libro di “Notti Attiche” di Aulo Gellio. Occuparsi dei colori ricorrendo ad un testo del II secolo d.C. è un
imprese piuttosto ardua. I colori che vediamo oggi a Pompei non sono i colori che vedevano all’epoca i Pompeiani e
anche se il tempo fosse stato clemente ed i pigmenti fossero ancora gli stessi, le risposte percettive sono diverse. Il
modo di distinguere i colori variano da cultura a cultura anche se sono state individuate alcune costanti transculturali.
Il daltonismo stesso rappresenta un enigma sociale, difficile sia da risolvere che da individuare. I daltonici hanno
esperienze percettive diverse da quelli degli altri ma le riferiscono allo stesso sistema linguistico usato da tutti.