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Dire quasi la stessa cosa di

Umberto Eco
Linguistica
Università degli Studi Suor Orsola Benincasa
12 pag.

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UMBERTO ECO: DIRE QUASI LA STESSA COSA.
INTRODUZIONE
Che cosa vuol dire tradurre? La prima risposta vorrebbe essere “Dire la stessa cosa in un altra lingua” ma bisogna
stabilire che cosa significa “dire la stessa cosa” perché davanti ad un testo da tradurre, non sappiamo quale sia la
“cosa” e a volte è persino in dubbio cosa voglia dire “dire”.
In realtà il problema è cercare di capire come si possa dire “quasi la stessa cosa” e “non l'idea della stessa cosa”, dato
che traducendo, si sa, non si dice mai la stessa cosa. Per Eco quindi dire quasi la stessa cosa, ovvero tradurre, è un
procedimento basato sulla NEGOZIAZIONE.
Dalla prima metà del secolo scorso in poi sono state elaborate teorie riguardanti la struttura di una lingua o la
dinamica dei linguaggi che evidenziavano l'impossibilità della traduzione e gli stessi teorici che avevano elaborato
queste teorie le definivano contraddittorie dal momento che la gente traduce.
La traduzione si fonda su processi di negoziazione, in base ai quali, per ottenere qualcosa si rinuncia ad altro e le
parti in gioco ne escono reciprocamente soddisfatte (per il principio secondo cui non si può avere tutto). Le parti in
gioco in questo processo di negoziazione sono:
- da 1 parte c'è: il testo fonte/l'originale, la figura dell'autore empirico e la cultura in cui il testo nasce;
- dall'altra c'è: il TA e la relativa cultura costituita dalle aspettative dei probabili lettori e talvolta persino dall'industria
editoriale che prevede diversi criteri di traduzione in base al pubblico. Nel libro, Eco utilizza un tono colloquiale per
analizzare la teoria della traduzione attraverso esperienze concrete, poiché sostiene che i problemi teorici sono
sempre sollecitati da problemi personali. Ha notato che spesso alcuni testi di traduttologia sono ricchi di argomenti
teorici ma carenti di esempi pratici e ciò l'ha portato a sospettare che il teorico della traduzione non avesse mai
tradotto e che quindi parlasse di qualcosa di cui non aveva esperienza diretta (ritiene che per fare osservazioni sul
tradurre è utile averne avuta esperienza attiva). Eco decide di parlare di traduzione partendo dai problemi concreti per
arrivare a delle soluzioni teoriche e non viceversa ma allo stesso momento non scrive un libro di teoria della
traduzione poiché lascia irrisolti molti problemi traduttologici.
Tradurre vuol dire capire il sistema interno di una lingua e la struttura di un testo dato in quella lingua per costruire
un sistema testuale che possa produrre effetti analoghi nel lettore sul piano semantico, sintattico, stilistico, metrico e
fonosillabico a cui il testo fonte tendeva. Negli ultimi decenni gli scritti di teoria della traduzione sono stati molti e le
ragioni di questa crescita derivano: da fenomeni di globalizzazione che mettono sempre più in contatto gruppi e
individui di lingue diverse, dallo svilupparsi degli interessi semiotici per i quali il concetto di traduzione diventa
centrale anche quando non viene esplicitato e dall'espansione dell'informatica che spinge ad affinare i modelli di
traduzione artificiale.
Partendo da esperienze personali, l'argomento che interessa Eco è dunque la traduzione propriamente detta, ovvero la
traduzione da una lingua naturale all'altra, che egli distingue dalla traduzione intersemiotica (vale a dire tutti quei casi
in cui non si traduce da una lingua naturale ad un’altra ma tra sistemi semiotici diversi tra loro, come quando ad
esempio si traduce un romanzo in un film, un poema epico in un opera a fumetti ecc.) mostrandone affinità e
differenze. Precisa inoltre che per quanto un teorico affermi che non vi sono regole in base alle quali si possa stabilire
che una traduzione sia migliore di un’altra, la pratica editoriale insegna che in casi di errori palesi è facile stabilire se
una traduzione è errata e va corretta poiché ci si basa sul senso comune.

CAPITOLO 1 – I sinonimi di Altavista (sito traduzione online):


Non è facile definire la parola “traduzione”; sui vocabolari ci sono varie definizioni di cui Eco ne cita alcune:
- Treccani: “azione, operazione o attività di tradurre da una lingua ad un’altra un testo scritto o anche orale”,
(definizione che appare tautologica -> vera per definizione ma priva di valore informativo);
- Zingarelli: “voltare, trasportare da una lingua in un’altra, dare l'equivalente di un testo, una locuzione, una parola”,
da questa affermazione traspare il problema di tutta la traduttologia, ossia stabilire che cosa significhi “dare
l'equivalente”;
- Il Webster New Collegiate Dictionary: la definizione inglese appare più scientifica in quanto il verbo “to translate”
viene definito come “trasferire o volgere da un insieme di simboli all'altro” (è quello che si fa nell’alfabeto morse che
fornisce una regola di “traslitterazione”).
Da queste definizioni, Eco evidenzia come i vocabolari parlino del passaggio da una lingua ad un’altra e di come una
lingua sia costituita da un insieme di simboli che veicolano dei significati. Il problema è che ogni teoria della
traduzione dovrebbe partire da una nozione comprensibile di equivalenza di significato mentre spesso il significato
viene definito come ciò che rimane immutato (o equivalente) nei processi di traduzione.

– Equivalenza di significato e sinonimia: Secondo i dizionari i SINONIMI sono equivalenti per significato, mentre in
realtà la sinonimia pone molti problemi ai traduttori. Ad es. nelle varie lingue vi sono molti termini sinonimi (come
father, père, padre e persino daddy e papà sono sinonimi) ma in determinate situazioni non si possono usare in quanto
l'equivalenza referenziale non coincide con l'equivalenza connotativa, che riguarda il modo in cui le parole stimolano
nella mente degli ascoltatori o dei lettori le stesse associazioni e reazioni emotive (non diciamo “God is your
DADDY” ma “FATHER”). Per dimostrare quanto affermato, Eco ricorre ad un esempio di traduzione effettuata
tramite il sistema di traduzione automatica di Altavista, Babel Fish, in cui ne ho chiesto la traduzione italiana e poi ho

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domandato di ritradurre la traduzione italiana in inglese: es. inserendo l'espressione IN “The works of Shakespeare”
e richiedendo la traduzione in IT, ha ottenuto “Gli impianti di S” e poi ritraducendo in IN “The systems of S”.
Dall'analisi di queste traduzioni, Eco deduce che Altavista si basa su definizioni dizionariali, perché traduce “works”
con “impianti” e successivamente “impianti” con “systems”, rendendo la traduzione una semplice translitterazione tra
alfabeti invece di un trasferimento di simboli da una lingua ad un’altra (dal momento che una parola di una
determinata lingua ha più di un termine corrispondente in un’altra lingua). Infatti la parola “work” in inglese ha vari
significati: può essere un attività, un compito, un obbligo, un luogo dove si svolge un lavoro industriale, ecc. Quindi,
quando una parola esprime due o più significati diversi si ha un OMONIMIA e non sinonimia (si ha SINONIMIA
quando due diverse parole esprimono la stessa cosa e OMONIMIA quando la stessa parola esprime due cose diverse).
Se nel lessico di una lingua esistessero solo sinonimi sarebbe ricchissima e faciliterebbe la traduzione, poiché
permetterebbe diverse formulazioni per lo stesso concetto. Invece una lingua caratterizzata da troppi omonimi è
povera, poiché utilizzerebbe lo stesso termine per vari oggetti differenti. Da ciò emerge che per individuare due
termini sinonimi nel confronto tra una lingua e l'altra, bisogna prima disambiguare gli omonimi all'interno della
lingua in cui si traduce (come fa il parlante nativo), dal momento che le parole assumono significati diversi a
seconda del contesto (chiamasi selezioni contestuali) che il parlante possiede a differenza di Altavista che ne è privo.

– Capire i contesti: Il significato di una parola corrisponde a tutto ciò che in un dizionario è scritto in corrispondenza
di una determinata “voce” e tutto ciò che definisce quella voce rappresenta il contenuto che quella parola esprime.
Leggendo le definizioni della voce ci si rende conto che essa include varie accezioni o sensi della parola stessa, e che
questi sensi spesso non possono essere espressi da un sinonimo “secco” ma da una definizione, una parafrasi o da un
esempio concreto. Questo ci fa comprendere come una traduzione NON dipenda solo dal contesto linguistico ma
anche dal CONTESTO ESTERNO in cui il testo è stato scritto. Altavista dimostra che, essendo sprovvisto delle
selezioni contestuali e non conoscendo le varie sfumature che una parola possiede, traduce erroneamente “work” con
“impianti”.

CAPITOLO 2 – Dal sistema al testo:


Se la traduzione riguardasse solo i rapporti tra due lingue intese come due sistemi semiotici, allora l'unico esempio di
traduzione soddisfacente sarebbe il dizionario bilingue, mentre la traduzione NON avviene tra sistemi ma tra TESTI.

– La presenta incommensurabilità dei sistemi: Se la traduzione riguardasse solo i rapporti tra due sistemi linguistici
allora si potrebbe sostenere che una lingua naturale imponga al parlante una propria visione del mondo, che queste
visioni sono incommensurabili e pertanto tradurre ci espone a dei problemi inevitabili. Ciò equivarrebbe a dire che
ogni lingua esprime una diversa visione del mondo (= HUMBOLDT; concetto che si ricollega all'ipotesi di Saphir-
Whorf e al principio di indeterminatezza della traduzione di Quine). Questo concetto si spiega mediante la semiotica
di HJELMSLEV, il quale ritiene che in una lingua (e in generale in ogni sistema semiotico) possiamo distinguere un
piano dell'ESPRESSIONE e un piano del CONTENUTO, i quali rappresentano l'insieme dei concetti esprimibili da
quella lingua. Ciascuno dei due piani è caratterizzato da una FORMA e una SOSTANZA ed entrambi sono il risultato
della segmentazione di un continuum o materia pre-linguistica e sono reciprocamente interdipendenti:
• La SOSTANZA del CONTENUTO è oggettiva e non varia da una lingua all'altra, poiché si riferisce a qualità
intrinseche.
• La FORMA del CONTENUTO varia da lingua a lingua, ciò non significa che ci sia una corrispondenza
completa tra i campi semantici delle forme di contenuto simile in lingue diverse (ad es. non c'è un modo sicuro
per tradurre la parola francese “bois” poiché in inglese potrebbe essere “wood” (IT “legno” o “bosco”),
“timber” (“legno da costruzione”) e persino “woods”).
• La SOSTANZA dell'ESPRESSIONE è l'espressione grafica e fonica del contenuto.
• La FORMA dell'ESPRESSIONE riguarda il modo in cui viene attualizzata la sostanza dell'espressione: il modo
in cui viene pronunciata una forma grafica o in cui viene scritta una forma fonica e perciò è caratterizzato da un
sistema fonologico, da un repertorio lessicale e da regole sintattiche.
Quindi una lingua associa a diverse forme dell'espressione diverse forme del contenuto. Il continuum o materia del
contenuto è tutto ciò che è pensabile e classificabile e che le varie lingue suddividono in modi diversi; per questo due
sistemi del contenuto sono reciprocamente incommensurabili e le differenze nell'organizzazione del contenuto
rendono la traduzione teoricamente impossibile. Infatti a volte accade che il termine di una lingua rinvii ad un’unità
di contenuto che altre lingue ignorano e questo pone seri problemi al traduttore. Tuttavia c’è una differenza tra
incommensurabilità e incomparabilità. Ovvero: due sistemi anche se associano diverse forme di forma e contenuto,
possono essere comparati tra loro ed è possibile trovare una soluzione che risulti la più adeguata. Non si parlerà di
traduzioni perfettamente esatte o sbagliate ma attraverso la negoziazione e il contesto si potrà trovare la soluzione più
adatta per un determinato testo (es. in IT “nipote” -> in IN ci sono 3 modi: “nephew, niecle, grandchild”).

– La traduzione riguarda mondi possibili: Per capire un testo e per tradurlo bisogna fare un ipotesi sul mondo
possibile che esso rappresenta e in mancanza di tracce adeguate, la traduzione deve appoggiarsi su congetture
plausibili e, solo dopo averle elaborate, il traduttore può procedere a volgere un testo da una lingua all'altra. Questo

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significa che, dato l'intero contenuto messo a disposizione da un voce del dizionario, il traduttore deve scegliere
l'accezione o il senso più probabile, ragionevole e rilevante in quel contesto e in quel mondo possibile.
Linguisticamente e culturalmente un testo è simile ad una giungla in cui una parlante assegna per la prima volta un
senso ai termini che usa e questo senso potrebbe non corrispondere al senso che i termini potrebbero assumere in un
altro contesto. Noi attribuiamo alle parole un significato nella misura in cui gli autori di dizionari ne hanno stabilito
definizioni accettabili ma queste definizioni riguardano molti possibili “sensi” di un termine prima che esso venga
inserito in un contesto e parli di un mondo. “L’uso può influenzare l’esattezza di una traduzione”. Le eventuali
ambiguità possono essere risolte traducendo i testi in base ai contesti e in riferimento al mondo di cui quel dato testo
parla (es. di Eco: nella traduzione di un libro di psicologia lesse “un’ape riuscì a prendere la banana posta fuori dalla
sua gabbia aiutandosi con un bastone”. La sua prima reazione fu in base alla conoscenza del mondo: le api non sono
capaci di afferrare banane; seconda reazione si basò secondo termini di conoscenza linguistica: sebbene nel testo
originale si parlava di un’ape, in realtà si riferisce ad una grande scimmia).

– I testi come sostanze: Un testo, che è già una sostanza attuata, è costituito da una MANIFESTAZIONE LINEARE
(ovvero ciò che si percepisce attraverso la lettura o l'ascolto) e dai SENSI. Per interpretare la manifestazione lineare,
il traduttore ricorre a tutte le conoscenze linguistiche mentre per individuare il senso di ciò che non viene detto, deve
operare un processo più complicato: ad es., l’espressione “cavallo” si riferisce a quella forma del contenuto che
l’oppone, nella terminologia dei sarti, come “cavallo del pantalone”. Ad ogni fase della traduzione, bisogna
individuare le ISOTOPIE, ovvero i livelli di senso omogenei. Per es., date due frasi “il fantino non era soddisfatto del
cavallo” ed “il sarto non era soddisfatto del cavallo”, solo individuando le isotopie omogenee è possibile distinguere
i diversi significati di “cavallo”.

CAPITOLO 3 – Reversibilità ed effetto:


Concetto di traduzione ideale tra due lingue: il testo B scritto nella lingua Beta è la traduzione del testo A scritto nella
lingua Alfa, se ritraducendo il testo B nella lingua Alfa, il testo A2 che si ottiene ha in qualche modo lo stesso senso
del testo A [per “in qualche modo” si intende una traduzione che, anche se sbagliata, permetta di tornare al testo di
partenza].

– La reversibilità ideale: Partendo da una traduzione in francese che Eco ritraduce dal francese, nota come la sua
versione non dà un risultato esattamente uguale al testo originale ma permette comunque di riconoscerlo. Afferma
quindi che la reversibilità è pressoché totale sul piano del contenuto ma NON sul piano dello stile. Inoltre la
reversibilità non è necessariamente lessicale o sintattica ma può anche riguardare modalità di enunciazione a livello
grafico, in termini di punteggiatura e di altre convenzioni. A tal proposito, Eco riporta l'esempio della sua traduzione
della Sylvie di Nerval in occasione della quale si accorse che i francesi sono più complicati riguardo all’argomento
dei grafemi che introducono un dialogo. Sostiene che normalmente traducendo un romanzo francese in italiano si
trascura questo particolare e si dispongono i dialoghi secondo i nostri criteri ma spesso il dettaglio non è trascurabile.

– Un continuum di reversibilità: La reversibilità non è una misura binaria (o c'è o non c'è) ma materia di gradazioni
infinitesimali e va da una reversibilità massima ad una minima. Pertanto si pone un continuum di gradazioni tra
reversibilità in base al quale si può definire come traduzione quel testo che mira a rendere ottimale la reversibilità. E’
chiaro che il criterio di reversibilità ottimale vale per traduzioni di testi molto elementari, come un bollettino
meteorologico o una comunicazione commerciale. Un ragionevole principio di reversibilità stabilirebbe che i modi di
dire e le frasi idiomatiche fossero tradotti NON letteralmente ma scegliendo l'equivalente nella lingua di arrivo.
Proponendo per ora un criterio di ottimalità abbastanza prudente si potrebbe dire che è ottimale la traduzione che
permette di mantenere come reversibili il maggior numero di livelli del testo tradotto.

– Far sentire: Secondo Leonardo Bruni, che ha scritto nel 1420 il De Interpretatione Reltà, il traduttore “deve fare
affidamento anche al giudizio dell'udito per non rovinare o sconvolgere ciò che in un testo è espresso con eleganza e
senso del ritmo”. Per preservare il livello ritmico il traduttore può evitare di tradurre alla lettera il testo fonte, poiché
il problema non è quello di trovare il termine migliore ma di individuare il ritmo del testo, magari leggendolo ad alta
voce. Quindi secondo Eco, ciò che deve interessare il traduttore non è tanto la reversibilità letterale (caso in cui il
principio di reversibilità vacilla) quanto la capacità di riprodurre lo stesso effetto che il TO ha provocato nel lettore.

– Riprodurre lo stesso effetto: Eco sostiene che non bisogna concentrarsi solo sulla similarità di significato,
sull'equivalenza o sulla reversibilità linguistica ma anche sull'equivalenza FUNZIONALE o SKOPOS THEORY,
secondo cui una traduzione che ha finalità estetiche deve produrre lo stesso effetto a cui mirava l'originale. In tal caso
si parla di uguaglianza del valore di scambio che diventa un’entità negoziabile.

CAPITOLO 4 – Significato, interpretazione, negoziazione:


– Significato e interpretanti: Non potendo identificare il significato con la sinonimia, Eco lo intende come “tutto
quello che una voce di dizionario o di enciclopedia fa corrispondere a un dato termine”. Il criterio sembra valido,

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anche per evitare fenomeni di incommensurabilità tra lingue, dato che un buon dizionario dovrebbe spiegare in quali
contesti si dice una determinata parola (ad es. la parola “bois” significa “legname da costruzione” e in quali altri
“legno lavorato” o “bosco”). In base alla semiotica di PEIRCE, un REPRESENTAMEN è qualsiasi forma espressa di
segno, non necessariamente un termine linguistico, ma può anche esserlo, o una frase, o un intero testo, mentre
l'INTERPRETANTE del segno è un’altra rappresentazione riferita allo stesso oggetto. Quindi per stabilire il
significato di un segno è necessario sostituirlo con un altro segno o insieme di segni che a sua volta è interpretabile
da un altro segno o insieme di segni e così via. Ma un’infinita serie di rappresentazioni può avere un oggetto assoluto
come limite definito INTERPRETANTE FINALE. A livello LESSICALE, l'interpretante potrebbe essere un
sinonimo (come husband/mari/marito), un segno in un altro sistema semiotico (ad es. interpreto la parola “bois”
mostrando il disegno di un “bosco”). Una nozione così ampia di interpretante suggerisce che una traduzione è un
interpretazione ma non sempre un interpretazione è una traduzione, perciò non basta tradurre un interpretante del
termine del testo originale, dal momento che l'interpretante è quello che mi fa sapere qualcosa in più.

– Tipi cognitivi e contenuti nucleari: Eco fa ricorso all'idea di negoziazione anche per spiegare la nozione di
significato. Eco fa una distinzione tra TIPO COGNITIVO, CONTENUTO NUCLEARE e CONTENUTO MOLARE.
Tipo Cognitivo: è uno schema mentale in base al quale le persone hanno la capacità di riconoscere un determinato
oggetto. Possiamo cercare di capire quali schemi sono presenti nella nostra mente ma non possiamo conoscere quelli
che sono nella mente altrui. Ad es., non sappiamo che cosa accade nella mente di chi riconosce un topo, ma sappiamo
attraverso quali interpretanti qualcuno spiega agli altri che cosa sia un topo e l'insieme di queste interpretazioni
costituisce il Contenuto Nucleare che è visibile, toccabile, confrontabile perché viene fisicamente espresso attraverso
suoni e immagini, gesti. Mentre il Contenuto Molare è la competenza allargata che comprende anche nozioni non
indispensabili al riconoscimento percettivo di un oggetto e in questo caso di un topo, che ad es. dispone un zoologo.

– Negoziare: Tradurre significa “limare via” alcune delle conseguenze che il termine originale implicava; in questo
senso traducendo non si dice mai la stessa cosa. L’interpretazione che precede ogni traduzione deve stabilire quante e
quali delle possibili conseguenze che il termine suggerisce possono essere limitate via ma la negoziazione non è
sempre una trattativa che distribuisce perdite e vantaggi tra le parti in gioco.

CAPITOLO 5 – Perdite e compensazioni:


– Perdite: A volte nella traduzione ci possono essere delle perdite che si distinguono in: ASSOLUTE: nel caso in cui
non è possibile tradurre e il traduttore opta per una nota a piè pagina (giochi di parole) e PARZIALI: si han nella
maggior parte dei casi e talvolta si possono risolvere mediante compensazioni.
Le perdite si hanno nel caso di povertà lessicale del testo originale. La regola in genere prevede di non arricchire mai
il lessico dell'autore; ci sono casi in cui la perdita è irrimediabile soprattutto quando si traduce alla lettera il testo.
Come es., egli riporta la traduzione del titolo dell'ultimo capitolo di Sylvie “Dernier feuillet” che rappresenta una
sorta di congedo che Eco traduce come “Ultimo foglio” sebbene una versione migliore sarebbe stata “ultima carta”,
nel senso di tentare un ultima scommessa. Questa connotazione avrebbe tradito il senso dell’originale, perché il
narratore non tenta nessuna scommessa ma anzi si rassegna al proprio destino. Eco preferisce il termine “foglio” pur
sapendo di aver perso così un allusione importante.

– Perdite per accordo tra le parti: Vi sono casi in cui se una traduzione adeguata è impossibile l'autore autorizza il
traduttore a saltare la parola o l'intera frase se la perdita è irrilevante. Come es., egli riporta la traduzione in inglese
del suo libro “Il nome della rosa” in cui alcuni studiosi han riscontrato ben 100 omissioni che, sebbene siano state
autorizzate dall'autore stesso, contraddicono il principio secondo cui la traduzione debba rispettare il detto dell'autore/
testo originale.

– Compensazioni: A volte le perdite possono essere compensate, sebbene il traduttore può cadere nella tentazione di
dire di più, non tanto perché il testo originale risulta incomprensibile ma, perché ritiene di dover sottolineare un
opposizione concettuale, strategica per l'andamento del racconto. Così facendo però si rischia di sostituirsi all'autore.

– Evitare di arricchire il testo: Ci sono delle traduzioni che arricchiscono la lingua di arrivo e che riescono a dire di
più degli originali, ma una traduzione che dice più del testo fonte, anche se appare un’opera eccellente, NON è una
buona traduzione. Tradurre a volte significa “ribellarsi alla propria lingua” quando essa introduce effetti di senso che
nella lingua di partenza non c'erano, quando esplicita l'implicito, tradendo le intenzioni del testo di partenza. Ci sono
4 problemi diversi:
1) Un’espressione del TO appare ambigua al traduttore, il quale deve chiarire l'ambiguità sulla base del principio che
anche il lettore originario era in grado di fare.
2) L'autore originario ha fatto ricorso ad un ambiguità per sventatezza; non intendeva apparire ambiguo e in tal caso
il traduttore deve, non solo chiarirla, ma indurre l'autore (se ancora in vita) ad una successiva riedizione dell'opera
a disambiguare l'enunciato.

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3) L'autore per sventatezza è stato ambiguo ma il lettore ritiene che quell'ambiguità sia testualmente importante,
perciò il traduttore deve non solo mantenerla ma renderla anche più maliziosa del testo di partenza.
4) L'autore ricorre intenzionalmente all'ambiguità per suscitare un interpretazione che oscilli tra 2 alternative ed il
traduttore deve riconoscere e rispettare l'ambiguità, se la chiarisce commette un errore.

– Migliorare il testo: Secondo Eco ci sono dei casi in cui una traduzione ha migliorato il testo di partenza: un grande
autore riprende un opera precedente e la riscrive a modo proprio. Tipi di miglioramenti:
a. Miglioramenti preterintenzionali che sono il risultato, non di una modificazione voluta, ma di una scelta letterale
obbligatoria (come ad es., nella trad. IT di Cyrano de Bergerac che Eco ritiene migliore dell'originale di Rostand,
poiché molte scelte del traduttore, che si discostano dal testo di partenza, rendono meglio l'effetto che l'originale
voleva suscitare).
b. Ci sono casi in cui il traduttore perde qualcosa per una svista guadagnando comunque qualcosa altro.
Tuttavia in linea di principio il traduttore non deve proporsi di migliorare il testo. Se crede che quella storia o quella
descrizione, avrebbe potuto essere migliore, si eserciti nel rifacimento d’autore; se si traduce un’opera modesta mal
scritta, che rimanga tale, e che il lettore di destinazione sappia che cosa ha fatto l'autore.

– Compensare rifacendo: Vi sono situazioni in cui per rispettare l’effetto che il testo voleva ottenere si può ricorrere
a rifacimenti PARZIALI o LOCALI (ad es., brano in cui vengono citati alcuni versi di Giovan Battista Marino che
nella traduzione Weaver rende tramite un lessico e un ortografia del 17mo secolo mentre i versi sono tradotti
letteralmente a differenza della traduttrice spagnola Lozano, la quale opta per il rifacimento, sostituendo i versi del
poeta italiano con versi di un poeta spagnolo appartenente alla letteratura del Siglo de Oro, affine alla corrente
italiana di Marino, poiché ciò che contava non era ciò che l'amante dicesse ma che lo dicesse rispettando i modi
amorosi dell'epoca. In questo caso il rifacimento appare come un atto di fedeltà poiché il testo tradotto da Lozano
produce lo stesso effetto dell'originale).

CAPITOLO 6 – Riferimento e senso profondo:


– Riferimento: una traduzione deve rispettare gli atti di riferimento del testo originale. Il riferimento è un atto
linguistico mediante il quale, dato per riconoscibile il significato dei termini che si usano, si punta su individui e
situazioni di un mondo possibile in base ai quali in una data situazione spazio-temporale ci siano determinate cose o
si verifichino determinate situazioni.

– Riferimento e stile: Tuttavia vi sono casi in cui il riferimento può essere trascurato per rendere l'intenzione stilistica
del testo originale. A tal proposito egli riporta l'esempio di varie traduzioni del 32° capitolo del suo libro “L'isola del
giorno prima” incentrato sulla figura di Roberto che vede i coralli, e per poter ricreare lo stesso effetto che il testo
intende raggiungere, ossia quello di dare al lettore un impressione cromatica variata di questi coralli, lo stile da
adottare è quello di evitare la ripetizione dello stesso termine cromatico, in modo da ottenere lo stesso rapporto tra
quantità di termini e quantità di colori. Ciò che conta è ricreare lo stesso effetto del testo attraverso lo stile a scapito
del significato immediato dei termini: il traduttore non si deve concentrare tanto sulle sfumature cromatiche quanto
sull'effetto che esse devono creare sul lettore.
A volte il traduttore può trascurare il significato letterale dell'originale per preservarne il senso profondo. Il problema
non è tanto la fedeltà al testo quanto se esso preserva il senso originale cambiando il suo riferimento.

– I riferimenti dei rebus e il rebus dei riferimenti: Interpretare significa fare una scommessa sul senso di un testo per
prendere una decisione di questo tipo il traduttore deve interpretare l’intero testo per caratterizzare lo stile mentale
dei personaggi. Il Rebus è il modello dell’interpretazione testuale. Per capire a cosa si riferisce realmente un testo,
Eco propone un analogia con il rebus, in cui vengono raffigurati personaggi, eventi e oggetti, alcuni contrassegnati da
lettere alfabetiche e altri no. L'inesperto commette 2 errori: 1) pensa che contino solo le immagini contrassegnate
dalle lettere e 2) che la soluzione dipenda dalla scena generale. In realtà contano entrambe in base alle quali il
solutore inizia a porsi delle domande per poterne evincere quelle parole che possano aiutarlo a comprendere il rebus.
Con ciò, Eco suggerisce che il lettore come il traduttore non è autorizzato a fare qualsiasi ipotesi ma deve attenersi a
ciò che è presente nell'immagine/testo in modo da reperire un senso coerente col resto da permettere la ricostruzione
dell'intera fase.

CAPITOLO 7 – Fonti, foci, delta, estuari:


In un saggio ORTEGA Y GASSET afferma che “non è vero che ogni linguaggio può esprimere qualsiasi cosa”. Eco
non condivide questa ipotesi. Egli è d’accordo con SCHLEIERMACHER, il quale sostiene che “ogni individuo è in
balia della lingua da lui parlata. Egli non può pensare con piena determinatezza nulla che stia al di fuori dei confini
della lingua. D’altra parte però ogni individuo liberamente pensante e intellettualmente autonomo è a sua volta in
grado di plasmare la lingua”. HUMBOLDT è stato il primo a dire come le traduzioni arricchiscono il linguaggio di
arrivo in termini di senso ed espressività.

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– Tradurre da cultura a cultura: Una traduzione non riguarda solo un passaggio tra due lingue ma tra due culture
perciò un traduttore non deve tener conto solo delle regole linguistiche ma anche degli elementi culturali presenti in
un testo. Lo stesso accade quando leggiamo un testo scritto secoli fa: STEINER dimostra come alcuni testi di
Shakespeare e Jane Austen non sono pienamente comprensibili al lettore contemporaneo se non conosce il lessico
dell'epoca e il bagaglio culturale degli autori.
L’esempio più vistoso di fraintendimento culturale che produce una catena di fraintendimenti linguistici è quello della
poetica e della retorica di Aristotele, come fu tradotta la prima volta da Averroe (traduttore latino): non conosceva il
greco, lesse Aristotele grazie ad una traduzione araba che proveniva a sua volta da una traduzione siriaca di qualche
originale greco. Il testo poetico è pieno di riferimenti della drammaturgia greca e di esempi poetici, che i traduttori
che lo avevano preceduto tentarono di adattare alla traduzione letteraria araba.

– Fonte e destinazione: E’ importante studiare la funzione che esercita una traduzione nella cultura di arrivo, anche se
così facendo la traduzione diventa un problema interno alla storia di questa cultura sminuendo i problemi linguistici
e culturali posti dall'originale (ad es. non è necessario conoscere l’ebraico per valutare l’impatto della traduzione di
Lutero sulla lingua tedesca). Eco si interessa maggiormente al processo che avviene tra TP e TA, questione che era
già stata affrontata da autori quali HUMBOLDT e SCHLEIERMACHER, secondo i quali una traduzione può essere:
TARGET ORIENTED, cioè orientata al TP, oppure SOURCE ORIENTED, orientata al TA.
Dunque una traduzione deve condurre il lettore a comprendere l’universo linguistico e culturale del TP con cui deve
immedesimarsi o deve trasformare il TP per renderlo accessibile al lettore della lingua/cultura di arrivo? Eco inoltre
nota come le traduzioni col passare del tempo invecchino e perciò i traduttori han il compito di modernizzare in
qualche modo l’originale.

– Addomesticare e straniare: Per quanto riguarda lo STRANIAMENTO, Humboldt fa una distinzione tra
STRANEZZA (Fremdheit) ed ESTRANEO (Das Fremde): il lettore sente la stranezza quando la scelta del traduttore
appare incomprensibile, come se fosse un errore, e sente l'estraneo quando si trova di fronte a un modo poco
familiare di presentargli qualcosa che potrebbe riconoscere ma che ha l'impressione di vedere per la prima volta.
Riguardo alla traduzione dei nomi, Eco riporta l'esempio di alcuni traduttori del suo libro intitolato: “Il nome della
rosa” in cui vi sono molti termini e riferimenti all'epoca medievale che causano difficoltà ai traduttori appartenenti ad
una cultura come quella finlandese o ungherese che non conoscono quest’epoca storica. Dovendo decidere se
nazionalizzarli o meno e tenendo presente che a differenza dell'IT in ungherese il cognome precede il nome, il
traduttore ha scelto di lasciarli come nell'originale a differenza del traduttore finlandese che li ha tradotti in inglese.
Torop lamenta che in certi romanzi in cui è essenziale la componente dialettale locale, la traduzione mette in ombra
questo elemento (come avviene nella traduzione del “Baudolino” di Eco in cui i traduttori han preferito far
riferimento ad un linguaggio popolare evitando rinvii ad un epoca o ad un area geografica precise. Hanno quindi
usato un linguaggio generico familiare a tutti i lettori a differenza del dialetto piemontese comprensibile per un
lettore piemontese ma non per uno siciliano).
A volte i casi di ADDOMESTICAMENTO sono indispensabili proprio perché si deve rendere il testo consono alla
LA dal momento che il traduttore deve sempre tener presente la necessità di rendere, oltre alla lettera, l'effetto che il
TP voleva ottenere.

– Modernizzare e arcaizzare: Eco riporta come es. la traduzione del libro della Bibbia intitolato “Ecclesiaste” il cui
titolo originale in ebraico significa “assemblea” (o meglio “colui che parla ad un’assemblea di fedeli”). Analizzando
traduzioni in diverse lingue (tra cui l'IN, FR, TED, IT), Eco nota come, tenendo conto che i lettori del suo tempo
sapevano che Ecclesia significa Assemblea, nelle varie traduzioni si mantiene questo termine, a differenza di versioni
in altre lingue in cui il termine viene modernizzato e tradotto come “predicatore” che tradisce il significato originario
(presentando però ai lettori una figura riconoscibile). [ricorda: mentre versioni in lingue diverse tendono a
modernizzare, le traduzioni IT tendono ad arcaicizzare per ricreare l'atmosfera poetica del testo.] Un altro es. riguarda
i tentativi di rendere la metrica, la terza rima e il lessico dantesco nelle varie traduzioni. Jacqueline Risset sostiene
questi valori che sono fondamentali nell'originale non possono essere recuperati in una traduzione; afferma che
nessun testo poetico può essere trasposto in un altro idioma senza perdere dolcezza e armonia (per ricreare la terza
rima in una altra lingua si rischia di cadere in una ripetizione eccessiva e si avrà impressione di meccanicità). Risset
conclude affermando che la traduzione è un PROCESSO DECISIONALE, perciò sceglie di essere il più possibile
fedele al testo dantesco in modo da riprodurne la stessa rapidità narrativa. La sua traduzione quindi non è orientata
verso l’addomesticamento ma verso la modernizzazione.

– Situazioni miste: La doppia opposizione straniare/addomesticare e arcaicizzare/modernizzare può produrre varie


combinazioni che Eco dimostra attraverso l'es. della traduzione de “Il nome della rosa” in inglese e russo.
Nell'elaborazione del testo, Eco pensava ad un lettore occidentale che pur non avendo studiato il latino potesse
comunque comprenderlo a livello elementare. Nelle traduzioni i problemi riguardano le citazioni in latino intese a
ricreare l'atmosfera del tempo, citazioni che l'editore americano preferisce abbreviare o evitare per timore che
risultassero incomprensibili al lettore (si tratta di un processo di addomesticamento e modernizzazione al tempo

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stesso che ha reso più fluidi alcuni passaggi senza tradire lo spirito dell'originale) mentre l'opposto è accaduto nella
traduzione russa (lettore estraneo sia alla cultura latina che al medioevo): al posto del latino la traduttrice ha usato
l'antico slavonico ecclesiastico della chiesa ortodossa medievale (così che il lettore poteva cogliere lo stesso senso di
lontananza, la stessa atmosfera di religiosità, comprendendo anche il significato generale del testo. In questo caso si
addomestica per arcaicizzare).

CAPITOLO 8 – Far vedere:


– Ipotiposi: E' l'effetto retorico per cui le parole possono rendere evidenti fenomeni visivi. Si producono per
denotazione 8come quando si afferma che tra un luogo e un altro ci sono 20km di distanza), descrizione minuta
(come quando si dice che una piazza ha a destra una chiesa e un palazzo antico a sinistra), elenco ed accumulo di
eventi o personaggi. Il traduttore incorre in complicazioni per sollecitare la descrizione verbale di un’immagine
visiva. Spesso un ipotiposi rinvia ad un esperienza, un ricordo di qualcosa che non si è mai visto (come lancio bomba
atomica non è un richiamo così evidente nei ventenni) creando molte difficoltà al traduttore, il quale reagisce facendo
finta di aver visto qualcosa in base agli elementi che l'espressione ipotipotica riporta. L'ipotiposi quindi può anche
creare il ricordo di cui necessita per potersi realizzare.
Un altro aspetto che riguarda la descrizione degli spazi che il traduttore non può ignorare è l'illuminazione descritta
nelle scene del testo. Eco riporta l'es. dell'opera di “Nerval” in cui l'autore descrive molte scene come se si trattasse
di realizzarle su un palcoscenico. Un traduttore attento deve quindi seguire le “indicazioni di regia” fornite dal TP per
ottenere gli stessi effetti. Ma vi sono casi in cui Nerval (per far vedere qualcosa), utilizza dei termini che dovevano
esser familiari ai lettori della sua epoca ma non ad un lettore contemporaneo (anche se francese). Ad es., fa
riferimento a termini desueti legati alla moda di quei tempi che i traduttori han faticato a rendere comprensibili ai
lettori moderni. Eco ha preferito evitare una traduzione letterale e senza perdere il ritmo (descrivendo troppo questi
oggetti), lascia intuire come essi apparissero all'epoca attraverso l'uso di un aggettivo.

– Ekfrasi: è intesa come la descrizione di un opera visiva (quadro o una scultura). Anticamente era un esercizio
retorico molto praticato grazie al quale abbiamo notizie su opere d'arte scomparse (come le Imagines di Filostrato),
mentre attualmente è considerato un strumento che tende ad attirare l'attenzione sull'immagine che intende evocare.
Eco distingue tra: 1) ekfrasi classica o palese: traduzione verbale di un opera già nota e 2) l’ekfrasi occulta:
traduzione verbale che ha il fine di evocare nella mente di chi legge una visione precisa. Eco afferma di aver fatto
ricorso nelle sue opere a molte ekfrasi occulte (ne “Il nome della rosa” descrive 2 portali e varie pagine di codici
miniati) ed insiste molto sul modo di rendere percepibile al lettore la citazione visiva in quanto ha a che vedere con la
questione del dialogismo, dell'ironia e degli echi intertestuali.

CAPITOLO 9 – Far sentire il rinvio intertestuale:


– Ironia o rinvio intertestuale: Quando l’autore fa allusioni non esplicite ad opere precedenti, ovvero fa ricorso alla
strategia della CITAZIONE INTERTESTUALE, accetta la lettura del lettore ingenuo che non riconosce, non
comprende e segue lo svolgersi del discorso e dell’intreccio come se ciò che gli viene raccontato fosse nuovo e
inaspettato. Mentre il lettore colto coglie la citazione maliziosa che definisce IRONIA IPERTESTUALE. Lo
“strizzato d’occhio” avviene quando nel contesto nuovo in cui è inserita, la situazione o la frase cambia senso e
determina un salto di registro, una strategia di abbassamento.
Eco distingue inoltre il rinvio testualmente trasparente che il traduttore avverte e traduce con l'espressione
corrispondente nella sua lingua, dal rinvio non trasparente, che il traduttore non sa come tradurre poiché non ha un
corrispondente nella propria lingua.

– Suggerire l’intertesto al traduttore: Eco sostiene che l'autore dovrebbe informare il traduttore riguardo allusioni
nella propria opera poiché potrebbero sfuggirgli (ad es., nella traduzione de “L'isola del giorno prima” egli ha
avvisato il traduttore che ogni capitolo ha un titolo che suggerisce vagamente quello che avviene dato che in realtà
ogni capitolo è il titolo di un libro del 17mo secolo). Raramente questo gioco è stato compreso dagli specialisti di
quell'epoca e per questo motivo Eco ha avvertito il traduttore affinché lo rendesse riconoscibile anche nella varie
lingue in cui il testo sarebbe stato tradotto.

– Difficoltà: Eco cita un caso in cui i traduttori han perduto il rinvio intertestuale per rispettare alla lettera l'originale:
suggerisce che in questi casi i traduttori avrebbero potuto evitare la traduzione letterale sostituendo una frase con una
proveniente dalla letteratura della LA capace di ricreare lo stesso effetto dell'originale (ad es. ne “Il pendolo di
Foucault” Jacopo Belbo per connotare il gusto del personaggio per il romanzo d'appendice, fa riferimento alla sfida
lanciata da Sandokan quando affronta un tigre indiana; traduttori non colsero l’allusione).
Eco mette in evidenza come la traduzione può alterare il gioco dell'ironia intertestuale e soprattutto come può
arricchirlo e precisa che non comprendere un rinvio colto e ironico significa impoverire il testo fonte mentre
aggiungervi un rinvio in più significa arricchire troppo. L'ideale per una traduzione sarebbe rendere in un’altra
lingua niente di meno ma anche niente di più di quello che insinua il T fonte.

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CAPITOLO 10 – Interpretare non è tradurre:
Nel saggio sugli aspetti linguistici della traduzione Jakobson distingue 3 tipi di traduzione:
1) INTRALINGUISTICA o RIFORMULAZIONE: è l’interpretazione di segni verbali per mezzo di altri segni della
stessa lingua;
2) INTERLINGUISTICA: si verifica quando si traduce un testo da una lingua ad un’altra, ovvero quando si ha
un’interpretazione di segni verbali per mezzo di segni di un’altra lingua (è la traduzione propriamente detta);
3) INTERSEMIOTICA o TRASMUTAZIONE: è quella in cui si ha un’interpretazione di segni verbali per mezzo di
un sistema di segni non verbali (ad es. quando si traduce un romanzo in un film).

– Jakobson e Peirce:
Jakobson fu affascinato dal fatto che Peirce, per definire la nozione di interpretazione, fece ricorso all'idea di
traduzione. Il punto centrale della sua argomentazione è il principio d'INTERPRETANZA in base al quale stabilisce
che l’equivalenza di significato tra 2 espressioni è data dall'identità di conseguenze che esse implicano o
implicitano. Per chiarire afferma che il significato (meaning) nella sua accezione primaria è “una traduzione di un
segno in un altro sistema di segni” (PEIRCE). Secondo Jakobson, la nozione di interpretazione come traduzione da
segno a segno permette di superare la diatriba su dove sia il significato (se nella mente o nel comportamento) e
inoltre non ritiene l'interpretare e il tradurre come la stessa operazione ma è utile affrontare la nozione di significato
in termini di traduzione, come se fosse una traduzione. A tal proposito, Eco scrive che Jakobson dimostra che
interpretare un elemento semiotico significa tradurlo in un altro elemento e che da tale traduzione l'elemento da
interpretare risulta sempre creativamente arricchito.

– La linea ermeneutica: L’idea che ogni attività d’interpretazione sia da ritenere traduzione ha radici profonde nella
tradizione ermeneutica (ogni processo interpretativo è un tentativo di comprensione della parola altrui). La linea
ermeneutica si propone di individuare il nucleo comune in tutti i processi di interpretazione e le differenze che
intercorrono tra i vari tipi di interpretazione.
• Secondo Gadamer, la traduzione è una forma del dialogo ermeneutico che giunge come compimento di un
processo di comprensione e di interpretazione che il traduttore ha dato della parola a cui si trova di fronte. Ritiene
che ogni traduttore è un interprete ma ciò non significa che ogni interprete sia un traduttore. Di fronte ad
un’iscrizione il compito ermeneutico comincia solo quando l'iscrizione è stata già decifrata. Decifrazione che
Peirce intende già come interpretazione e ciò dimostra come il concetto di interpretazione di Peirce è più vasto di
quello ermeneutico.
• Steiner afferma che la traduzione è solo un caso particolare del rapporto di comunicazione che ogni atto
linguistico riuscito traccia all'interno di un dato linguaggio.
• Ricoeur invece parte dall'impostazione di Steiner e dal fatto che nell'interpretazione e nella traduzione si dice la
stessa cosa in un altro modo e conclude che “dire una cosa in altri termini” è appunto ciò che fa il traduttore.
• Fabbri, sulla base del concetto Peirciano (secondo il quale il segno in relazione ad un altro segno non è un
semplice rinvio, poiché il significato di un segno è il segno in cui esso deve esser tradotto) ed afferma che l'atto di
traduzione è il primo atto di significazione e che le cose significano grazie ad un atto di traduzione a esse interno.
Dunque ogni interpretazione è prima di tutto traduzione.
• Eco fa riferimento al termine “traduzione/tradurre” e con un piccolo excursus mostra che appare in latino
“translatio” col senso di “cambiamento, trasporto, passaggio, condurre oltre”; solo Seneca fa riferimento come
“versione da una lingua all'altra”. Il termine tradurre col significato odierno si diffonde nel 400 e sostituisce
“traslatare” che in inglese diventa il verbo “to translate”. Quindi tradurre ci arriva nel significato primario nel
senso di versione da una lingua all’altra.

– Altri tipi di interpretazione: Oltre a quella jakobsoniana, ci sono altri tipi di interpretazione che Eco classifica in:
• Interpretazione per trascrizione o per sostituzione automatica;
• Interpretazione intrasistemica che si divide in: intrasemiotica all'interno di altri sistemi semiotici,
intralinguistica all'interno della stessa lingua naturale ed esecuzione;
• Interpretazione intersistemica con variazioni della sostanza (interpretazione intersemiotica, interlinguistica e
rifacimento) o mutazione di materia (parasinonimia e adattamento/trasmutazione).
L'interpretazione per trascrizione ubbidisce ad una stretta codifica e può essere attuata anche da una macchina (ad
es., il rapporto tra un alfabeto espresso graficamente e i suoi corrispondenti, poiché ad ogni lettera corrisponde un
suono preciso – alfabeto morse). L'interpretazione intrasistemica avviene all'interno di uno stesso sistema semiotico
ed è caratterizzata dai casi che Jakobson definisce riformulazione (ad es., i casi di interpretazione in sistemi non
verbali, come la riformulazione di un brano musicale trascritto in una diversa tonalità passando dal maggior al
minore). In questi casi, il fatto che uno stesso contenuto venga espresso con segni diversi fa pensare che si voglia
delimitare la forma del contenuto quando in realtà si rimane sempre all'interno della stessa forma o materia
dell'espressione.

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- Interpretazione intralinguistica o riformulazione: I casi di interpretazione intrasistemica all'interno della stessa
lingua naturale secondo Eco sono più interessanti in quanto sono caratterizzati dall'interpretazione di una lingua
naturale mediante se stessa, (come ad es.: la sinonimia secca, padre = papà; la definizione che può essere molto
schematica o molto diffusa, gatto = mammifero felino; la parafrasi; il riassunto; la chiosa, ovvero nota esplicativa di
una parola o di un passo di difficile comprensione; il commento; la parodia, che è comunque una forma di
interpretazione). In tutti questi casi, il fatto che uno stesso contenuto venga espresso con sostanze diverse viene
pienamente ammesso. Ma la riformulazione non è una traduzione e può essere dimostrato con il concetto di
reversibilità (provando a sostituire i termini di un testo con le definizioni equivalenti e da questo si dovrebbe risalire
alla ricomposizione dell'originale ma nessuno lo riconoscerebbe come traduzione). Lo stesso accadrebbe se si
sostituissero i termini con sinonimi o con la parodia (no stesso effetto/no riproduce il proposito dominante del brano).
Queste sono pseudo-traduzioni non producono nel lettore lo stesso effetto del testo originale e rappresentano un
problema che riguarda la sostanza dell'espressione non il contenuto.

– Prima interpretare poi tradurre: Per tradurre una frase si deve prima compiere l'operazione di riformulazione del
testo fonte ma queste riformulazioni non sono traduzioni. Il traduttore quindi prima di tutto riformula la frase fonte
sulla base di una sua ipotesi sul mondo possibile che essa descrive e solo dopo la tradurla. Il traduttore deve far
precedere la traduzione da una lettura critica, interpretazione o analisi testuale che sia poiché un interpretazione
precede sempre la traduzione. In effetti i bravi traduttori prima di iniziare a tradurre, dedicano molto tempo a leggere
e rileggere il testo e a consultare tutti i sussidi che possono consentirgli di comprendere in modo appropriato i passi
oscuri, i termini ambigui, ecc. La traduzione che ne deriva rappresenta un contributo critico alla comprensione
dell'opera tradotta. Infatti una traduzione indirizza sempre ad un certo tipo di lettura dell'opera perché se il traduttore
ha negoziato scegliendo di porre attenzione su certi livelli del testo, ha automaticamente focalizzato l’attenzione del
lettore su quelli.

– Esecuzione: E’ un’altra forma di interpretazione che si pone come anello di congiunzione tra interpretazione
intrasistemica e interpretazione intersistemica. Tra due esecuzioni ci possono essere variazioni di sostanza ma così
non deve accadere nella traduzione. Es. due esecuzioni di una sonata per violino o due interpretazioni di un lavoro teatrale seguono le
indicazioni della partitura, ovvero la melodia e il timbro voluti dal musicista e le parole volute dal commediografo, anche se possono avere
variazioni timbriche nella sonata mentre l'interprete può introdurre variazioni in termini di dinamica durante la rappresentazione scenica.
Pertanto l'esecuzione rende riconoscibile il testo tipo o identifica due esecuzioni come interpretazioni della stessa partitura. Ma se di fronte a
2 esecuzioni si fanno valere criteri di gusto, allora ci troviamo di fronte a 2 manifestazioni testuali diverse, tanto che pronunciamo 1 giudizio
di valore privilegiando l'una piuttosto che l'altra. Di fatto tra due esecuzioni ci sono variazioni di sostanza.

CAPITOLO 11 – Quando cambia la sostanza:


– Variazioni di sostanza in sistemi semiotici: A differenza dell'interpretazione intrasistemica, che avviene all'interno
dello stesso sistema semiotico (di cui Eco porta l'esempio della trascrizione di un brano musicale in un altra tonalità),
quando invece si considera il caso della trascrizione, che implica un mutamento timbrico, mette in evidenza come
cambiando il timbro l'effetto sull'ascoltatore è diverso; si ha un mutamento di sostanza che ha importanza nella
traduzione da lingua a lingua.

– Il problema della sostanza nella traduzione tra due lingue naturali: Considerando come la traduzione deve far
sentire il ritmo di un testo, Eco fa riferimento al fatto che nella manifestazione lineare (cioè sul piano
dell'espressione), si manifestano diverse sostanze definite EXTRALINGUISTICHE, a livello del ritmo, del metro,
dei valori fonosimbolici di un testo (fenomeni che riguardano la semiosi e quindi devono essere studiati non solo dal
punto di vista linguistico ma anche da quello semiotico più generale). Il problema della sostanza nella traduzione tra
2 lingue naturali non riguarda soltanto la finalità estetica ma anche quella:
• stilistica (in quanto, ad es., se volessimo tradurre in un’altra lingua la formula di saluto buongiorno dovremmo
prima interpretarla o riformularla per poi tradurla tenendone presente l'aspetto fondamentale della brevità della
formula linguistica che dipende da una regola pragmatica).
• grafica (in quanto se scriviamo più volte una stessa frase dal punto di vista linguistico si nota la stessa
manifestazione lineare e variazioni fisiche sono irrilevanti mentre se la riproduciamo in 3 caratteri diversi dal pdv
linguistico abbiamo la stessa forma realizzata in 3 sostanze diverse ma questo cambio di forma ha prodotto 3
sostanze grafiche diverse di cui tener conto se si esprimono preferenze tipografiche).
• fonica (in quanto se una stessa frase viene letta da un contadino piemontese, da un avvocato napoletano o da un
attore tragico si ottengono 3 realizzazioni diverse in termini di sostanza fonica che ha molta importanza per
rilevare l'origine regionale, il livello culturale ecc.).
Ciò ci fa comprendere come di fronte ad una frase elementare intervengono tratti che non sono solo linguistici ma
soprasegmentali, fonemici, paralinguistici.
Molto importanti le differenze di sostanza. La sostanza linguistica muta nelle operazioni di riformulazione (come la
definizione o la parafrasi): infatti tra “c'è un topo in cucina” e “c'è un sorcio in cucina” vi sono differenze a livello di
manifestazione lineare perché hanno una diversa consistenza materiale. Tuttavia affinché si abbia un adeguata

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riformulazione è necessario che, in questo cambiamento di sostanza dell'espressione, si esprima la stessa sostanza del
contenuto (così che la variazione di sostanza linguistica sia irrilevante). Invece in un processo di traduzione le frasi
“c'è un sorcio in cucina” e “there is a mouse in the kitchen” individuano la stessa sostanza del contenuto attraverso
due manifestazioni lineari in cui la differenza di sostanza linguistica ha maggiore importanza.
In un processo di traduzione elementare, ad es. quando si traduce sui treni “è pericoloso sporgersi” si transige sulle
differenze di sostanza linguistica (poiché ad es. l'espressione FR è più lunga di quella IT) pur di trasmettere il più
possibile la stessa informazione. Di conseguenza, in una traduzione elementare, una sostanza linguistica che
trasmette un contenuto viene trasformata in una sostanza linguistica che esprime lo stesso contenuto del TP,
tenendo conto però dell'adeguatezza di una traduzione, anche in termini di rapporti quantitativi tra sostanze
linguistiche.

– La sostanza in poesia: Jakobson afferma che i testi estetici sono AUTORIFLESSIVI perche rendono pertinente sia
la sostanza linguistica e sia quella extralinguistica. La sostanza extralinguistica diventa fondamentale in questioni di
fonosimbolismo e di ritmo locutivo. Ogni traduzione si muove in un orizzonte di tradizioni e convenzioni letterarie
che influenzano le scelte di gusto. A tal proposito, Eco riporta l'es. delle traduzioni in IT del Prufrock: il testo
originale ha una metrica, delle rime e delle assonanze che vanno perdute nella traduzione italiana. Le traduzioni sono
state determinate sia dal momento storico in cui sono state fatte che dalla tradizione traduttoria in cui si inserivano. I
2 autori han agito in senso “target-oriented” e han scelto la sequenza delle immagini evocate senza attenersi alla rima
anche se non han privilegiato il contenuto (disinteressandosi della manifestazione lineare e della sostanza linguistica).

– Il quasi della traduzione poetica: L'importanza della sostanza extralinguistica è centrale in poesia poiché serve a
colpire i sensi tramite i quali interpretare il contenuto. In un discorso a funzione poetica si colgono il contenuto
denotato e quello connotato, poi le questioni di sostanza e infine il rapporto tra sostanze e il contenuto.
Traducendo si dice “quasi” la stessa cosa: il problema sussiste durante la ricreazione, quando si passa dal “quasi” ad
un’altra cosa. La traduzione è un strategia che mira a produrre, in lingua diversa, lo stesso effetto del discorso fonte
mentre i discorsi poetici mirano a produrre un effetto estetico. L’effetto estetico non è una risposta fisica o
emotiva ma un invito a guardare come quella risposta fisica o emotiva sia causata da quella forma in una sorta
di “va e vieni” continuo tra effetto e causa. L'apprezzamento estetico si risolve nell'effetto che si prova con la
strategia testuale che lo produce e dalle strategie stilistiche attuate a livello di sostanza che indicano
l'autoriflessività del linguaggio poetico.

CAPITOLO 12 – Il rifacimento radicale:


La traduzione poetica è considerata la più complessa da tradurre rispetto ad ogni altro genere testuale in quanto in
essa si hanno una serie di costrizioni a livello della manifestazione lineare che ne determinano il contenuto. Per
questo motivo, spesso si punta al rifacimento radicale, che viene visto come un sottoporsi alla sfida del TO per
ricrearlo in un’altra forma e in altre sostanze, cercando di rimanere fedeli non alla lettera ma ad un principio
ispiratore, la cui individuazione dipende dall'interpretazione critica del traduttore. Per restare fedeli al senso profondo
o all'effetto che il testo vuole produrre sul piano dell'espressione, i traduttori si concedono delle licenze, violando a
volte il riferimento. Ma vi sono occasioni di rifacimento più radicale che rischiano di oltrepassare il limite di
reversibilità. In questi casi, se si prova a volgere nuovamente il TA nella LP, si ottiene un testo diverso dall'originale.

– Il caso Queneau: Un esempio è la traduzione di Eco degli “Excercises de style di Raymond Queneau”, i quali
rappresentano una serie di variazioni su un testo base. Alcuni di questi esercizi riguardano il contenuto e si prestano
alla traduzione propriamente detta, mentre altri riguardano l'espressione e sono caratterizzati da metagrafi
(anagrammi, permutazioni per numero crescente di lettere, ecc.) e da metaplasmi (onomatopee, sincopi, metatesi,
ecc.). Comprendono anche riferimenti a forme poetiche che si prestano ad un rifacimento radicale: dove il TO
racconta la storia in versi alessandrini con riferimento parodistico alla tradizione letteraria francese, Eco sceglie di
raccontare la stessa storia con riferimento ad un canto leopardiano.

– Il caso Joyce: La traduzione dell'episodio del “Finnegans Wake” detto “Anna Livia Plurabelle”. Si tratta di un caso
particolarissimo di rifacimento radicale perché Joyce per rendere il principio fondamentale che domina il testo (il
principio del pun) non ha esitato a riscriverlo radicalmente, al punto da non avere più alcun rapporto con le sonorità
tipiche del testo inglese (ma tono toscaneggiante). Dovendo tradurre un ritmo tipico della lingua inglese, Joyce
riformula il testo per adattarlo alla lingua FR prima e all'IT poi.
1) Il testo utilizza parole composte o fonde insieme due parole brevi mentre in IT questo non è possibile: dunque ricorre ad un ritmo
polisillabico e per ottenerlo non si è preoccupato del fatto che spesso il testo IT non diceva le stesse cose di quello ING.
2) Fa riferimento a circa 800 nomi di fiumi ma questo aspetto è difficile da mantenere in IT in quanto i fiumi italiani non sono abbastanza
numerosi da poter sostituire tutti quelli citati nel testo originale. Così Joyce cerca di rendere questo effetto, pone alcuni fiumi che nel testo di
arrivo non si trovano negli stessi punti in cui appaiono nell'originale. Poi alcuni nomi di fiumi vengono ripresi dal TP, mentre altri vengono
sostituiti da riferimenti a nomi di fiumi italiani maggiormente noti al lettore del TA. Eco contesta la scelta di eliminare un così gran numero
di fiumi del testo originale poiché non ne vede il motivo, neppure per ragioni di comprensibilità(poiché molti dei fiumi citati nel testo inglese
sono sconosciuti anche agli stessi anglofoni).

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CAPITOLO 13 – Quando cambia la materia:
– Parasinonimia: indica casi specifici di interpretazione in cui, per chiarire il significato di un enunciato, si ricorre ad
un’interpretante espresso con una diversa materia semiotica (ad es., il dito puntato di un bambino vs. un’automobile
al quale si chiarisce che l'oggetto indicato è appunto un’automobile). Spesso i parasinonimi appaiono “in presentia”,
(ad es., in un aeroporto accanto alla scritta verbale “partenze” appare anche la figura di un aereo che decolla), o sono
difficilmente definibili come traduzioni, dato che tra essi vi è anche il gesto. Il principio di reversibilità, nel caso dei
parasinonimi, è irrealizzabile poichè si ha il passaggio da un opera singola a un raffigurazione di tipo iconografico.
Da ciò si deduce che nel processo di interpretazione si passa non solo da un sistema semiotico all'altro, come avviene
nella traduzione interlinguistica, ma i mutamenti di sostanza passano da una materia all'altra.

– Trasmutazioni o adattamenti: La diversità di materia è un problema per ogni teoria semiotica e pur ritenendo il
linguaggio verbale come il sistema più potente di tutti, in realtà non lo è affatto. Hjemslev ha distinto: 1) linguaggi
LIMITATI (linguaggio delle formule logiche che risulta esser limitato rispetto ad una lingua naturale) e 2) linguaggi
ILLIMITATI. Si può affermare che un determinato sistema semiotico può comunicare sia meno che più di un altro
sistema semiotico, ma non si può dire che entrambi siano in grado di esprimere le stesse cose (ad es., pare difficile
tradurre in parole quello che è espresso dalla 5 sinfonia di Beethoven e allo stesso modo non si può tradurre la Critica
della ragion pura in musica). Inoltre nel passaggio da materia a materia si è costretti a esplicitare degli aspetti che una
traduzione lascerebbe indeterminati quindi la trasmutazione di materia aggiunge significati o rende rilevanti
connotazioni che non erano originalmente tali. [I casi più consueti di adattamento o trasmutazione sono quelli della
versione di un romanzo in film, di una favola in balletto, e cosi via.]

– Far vedere il non detto e Non far vedere il detto:


Le variazioni esplicitano punti che il TP teneva impliciti dato che in un film, soprattutto per quanto riguarda la
caratterizzazione dei personaggi, molti aspetti non possono essere resi totalmente impliciti. E' noto che Melville in
“Moby Dick” non abbia mai specificato quale gamba mancasse al capitano Acab mentre in una trasposizione filmica
il regista deve decidere quale delle due gambe deve mancare. Così il film ci dice qualcosa in più del romanzo. Mentre
una traduzione non deve dire più di quanto non dica l'originale, ovvero deve rispettare le reticenze del TO. Questo ci
fa comprendere come passando ad un’altra materia si è costretti a imporre allo spettatore del film un’interpretazione
rispetto a cui il lettore del romanzo era più libero.
Con il cambiamento di materia non si rischia soltanto di dire di più ma anche di meno rispetto all'originale. Eco
riporta l'esempio del 4 capitolo dell'Apocalisse in cui vi è una descrizione di persone ed eventi ma non si descrive
tutto, si sofferma solo sui dettagli principali, poiché ciò che si vuole rendere evidente è il movimento.

CAPITOLO 14 – Lingue perfette e colori imperfetti:


La traduzione è negoziazione: il traduttore deve negoziare con l'autore del TO, con il testo, con la figura del lettore
modello e spesso anche con l'editore.
Per stabilire che gli enunciati “Il pleut, it's raining, piove” esprimono la stessa proposizione dovremmo poter
esprimere quella proposizione in una sorta di linguaggio neutro rispetto alle lingue naturali a confronto e in questo
caso sorgono 3 possibilità:
1) L’esistenza di una lingua perfetta che serva da parametro a tutte le altre;
2) Costruire una lingua razionale che esprime tutti gli oggetti, le azioni, gli stati d'animo, i concetti astratti di cui ogni
cultura dovrebbe servirsi per descrivere il mondo o individuare una lingua del pensiero presente nella mente umana i
cui termini ed enunciati possano essere espressi in linguaggio formalizzato.
3) Ci deve essere un “tertium comparationis” che permetta di passare dall'espressione di una lingua A a quella
di una lingua B decidendo che entrambe sono equivalenti a una proposizione espressa in un metalinguaggio C
indipendente dal modo in cui la esprimono le diverse lingue naturali.

– Traduzione ed ontologia: La fedeltà delle traduzioni non è un criterio che porta all'unica traduzione accettabile; è
piuttosto la tendenza a credere che la traduzione sia sempre possibile se il testo fonte è stato interpretato con
complicità, se il traduttore si è impegnato a identificare il senso profondo del testo e abbia avuto la capacità di
negoziare la soluzione che appare migliore. Eco mette infine in evidenza il fatto che consultando il dizionario la
parola “fedeltà”, essa ha come sinonimi non tanto il termine “esattezza” quanto “lealtà, onestà, rispetto”.

– Colori: Un testo che per lungo tempo mi ha creato problemi è la discussione sui colori che si svolge nel capitolo 26
dei secondo libro di “Notti Attiche” di Aulo Gellio. Occuparsi dei colori ricorrendo ad un testo del II secolo d.C. è un
imprese piuttosto ardua. I colori che vediamo oggi a Pompei non sono i colori che vedevano all’epoca i Pompeiani e
anche se il tempo fosse stato clemente ed i pigmenti fossero ancora gli stessi, le risposte percettive sono diverse. Il
modo di distinguere i colori variano da cultura a cultura anche se sono state individuate alcune costanti transculturali.
Il daltonismo stesso rappresenta un enigma sociale, difficile sia da risolvere che da individuare. I daltonici hanno
esperienze percettive diverse da quelli degli altri ma le riferiscono allo stesso sistema linguistico usato da tutti.

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Quando si enuncia un termine di colore lo si sa collegando ad un TIPO COGNITIVO o contenuto nucleare. La
competenza cromatica media è rappresentata meglio dai 7 colori dell’arcobaleno. Esistono 2 livelli di contrasto
cromatico. Trascurando il secondo perché contiene centinaia di categorie, il primo livello contempla 4 categorie,
reciprocamente esclusive, dai confini imprecisi ma abbastanza definibili al centro: 1) MABI:RU include nero,
violetto, indaco, blu, verde scuro, grigio; 2) MALAGTI si riferisce al bianco e ai toni molto leggeri di altri colori; 3)
MARARA al castano, al rosso, all’arancio, al giallo; 4) MALATUY al verde chiaro e a miscele di verde, giallo e
marrone chiaro. Questa divisione dello spettro dipende da criteri culturali e da esigenze materiali. Pare che prima si
disegni un opposizione tra chiaro e scuro, poi un opposizione tra secchezza o aridità e umidità o succosità. Una terza
opposizione, trasversale rispetto alle precedenti è quella delle sostanze indelebili, contrapposte a quelle pallide e
sbiadite o incolori.

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