Premessa
- Alcune riflessioni preliminari
- Il concetto di traduzione
6. La sintassi
7. Le frasi marcate
8. La punteggiatura
9. Le condizioni di testualità
10. La coerenza
11. Le relazioni logiche tra le frasi
12. La coesione
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PREMESSA
ALCUNE RIFLESSIONI PRELIMINARI
Per capire cosa sia un testo possiamo risalire all’origine del nome, alla sua etimologia: la parola viene dal
latino textus, che significa ‘tessuto’, cioè un insieme di elementi che sono collegati e strettamente
intrecciati fra loro. Il testo è l’unità fondamentale della comunicazione linguistica, che ha uno
scopo comunicativo globale (è un atto di comunicazione) e un significato unitario e strutturato.
Può essere formato anche da un singolo sintagma o, al contrario, essere molto ampio. Sono testi i libri,
gli articoli, i discorsi pubblici, i messaggi su whatsapp, una mail, una chiacchierata fra amici, l’insegna di
un negozio ecc.
► Una stessa cosa può essere detta in modi diversi, cioè con testi diversi, a causa di fattori esterni:
- la competenza linguistica di chi produce il testo, che può essere diversa in base all’età, all’istruzione,
al livello sociale, alle conoscenze specifiche o professionali;
- le condizioni esterne oggettive, cioè lo spazio o il tempo a disposizione, la situazione in cui avviene
la comunicazione (un dialogo informale, una conferenza ecc.), la diversità del canale (scritto o orale).
► Inoltre uno stesso testo può assumere sensi diversi (o addirittura opposti) a seconda del contesto e
del cotesto in cui il testo si realizza.
Il contesto è la realtà extralinguistica all’interno della quale avviene lo scambio comunicativo:
elementi spaziali, temporali, culturali e sociali (cioè le conoscenze condivise dagli interlocutori), le
relazioni interpersonali tra gli interlocutori. Astratta dal contesto, la comunicazione verbale rimane
povera, generica, ambigua, al limite anche impossibile. Per interpretare un testo, dunque, non si può
prescindere dal confronto con il contesto extralinguistico.
Il cotesto è invece l’insieme degli elementi linguistici che compongono un testo.
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■ illocutiva: lo scopo comunicativo, ciò che il mittente intende ottenere o raggiungere con il suo atto
linguistico
Uno stesso scopo comunicativo può essere ottenuto in modi diversi. In alcuni casi inoltre l’illocuzione,
la funzione pragmatica è chiara e diretta, in altri è indiretta:
■ perlocutiva: gli effetti concreti che la comunicazione ha sulla realtà, che possono coincidere oppure
essere diversi rispetto a ciò che il mittente si aspettava o intendeva ottenere.
Il testo si incarica dunque di trasmettere entrambi questi aspetti, quello semantico e quello pragmatico.
Per esprimere il contenuto (aspetto semantico) e per realizzare il proprio scopo (aspetto pragmatico) il
mittente ha a disposizione molti strumenti. Egli può scegliere in che modo trasmettere un contenuto,
può scegliere e selezionare gli strumenti con i quali comunicare.
Le parole hanno una grande forza e provocano delle conseguenze: l’uso di una parola invece di un’altra
(e quindi l’uso della lingua) non è indifferente, neutro. Scegliendo di produrre uno o un altro testo si
cambia, in qualche misura, anche il senso: scelte diverse realizzano progetti comunicativi diversi.
Bisogna decidere quale parola usare, come usare la lingua. Costruire un testo è sempre, dunque, anche
una scelta: e si può scegliere solo se si conosce.
IL CONCETTO DI TRADUZIONE
Produrre testi efficaci a seconda delle varie situazione e necessità significa adattarli di volta in volta, cioè
di fatto tradurli. Se ad es. posso dire a un amico ‘sono andato all’esame ma poi me la sono fatta sotto
dalla fifa e me ne sono andato’, raccontandolo al professore che mi ha chiesto come mai non mi ha
visto all’esame dovrò adattare il mio testo alla situazione, cioè dovrò tradurlo in modo pertinente, e dirò
piuttosto ‘mi sono presentato all’esame, ma poi ho avuto paura e mi sono ritirato’.
È comunemente noto il significato del verbo ‘tradurre’: trasporre un testo da una lingua ad un’altra (la
parola deriva dal latino trans + ducere, cioè letteralmente ‘condurre al di là’, quindi, in senso lato, ‘portare
da una lingua all’altra’). Il concetto di traduzione si può applicare non solo tra due codici linguistici
diversi, ma anche tra sistemi semiotici diversi e all’interno di uno stesso codice linguistico. Potremo
dunque distinguere 3 tipi di traduzione: interlinguistica, intersemiotica, endolinguistica.
In generale possiamo dire che la traduzione è un meccanismo estremamente fluido, schematizzabile nei
termini di un percorso che parte da un testo (testo di partenza), risale al senso e realizza questo senso in
un nuovo testo (testo di arrivo): testo A → senso → testo B.
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Traduzione interlinguistica
È il concetto più diffuso di traduzione, che prevede il passaggio tra due codici linguistici diversi: essa è
dunque il passaggio che conduce dal testo di partenza A in un certo codice linguistico al testo di arrivo
B con lo stesso senso, ma in un codice linguistico diverso.
I nomi alterati danno un esempio della complessità della traduzione interlinguistica; un altro esempio è
costituito dagli usi fraseologici.
Traduzione intersemiotica
È una traduzione in cui si passa da un codice di linguaggio ad un altro: da un testo A in un certo codice
comunicativo al testo B con lo stesso senso, ma in un altro codice comunicativo. I tipi di codice che
normalmente usiamo sono molti: dal linguistico-verbale al mimico o prossemico (il linguaggio gestuale),
all’iconico (arte figurativa, fotografia, immagine pubblicitaria, disegno illustrativo…), al musicale, al
teatrale, al cinematografico ecc.
Un testo filmico ad esempio è un’interazione complessa fra parole, immagine in movimento, musica:
ogni volta che vedo un film e ne colgo il contenuto, il filo diventa un senso nella mia mente, e se voglio
raccontarlo, non faccio altro che eseguire una traduzione semiotica, traduco cioè dal linguaggio
cinematografico al linguaggio verbale. Sempre di traduzione semiotica si tratta, in questo caso dal
codice iconico a quello linguistico, quando un manuale di storia dell’arte descrive, usando le parole, un
quadro o una scultura. E la stessa operazione, inversa, è compiuta, ad esempio, dall’illustratore che
traduce in immagini un testo letterario, un racconto, un romanzo.
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1. IL LESSICO: DENOTAZIONE E CONNOTAZIONE
Il lessico è una delle strutture intermedie della lingua, cioè di quegli elementi che organizzano il
rapporto tra il suono e il significato. Esse consentono di dare un significato a una certa sequenza di
suoni (costruire un testo) e di interpretare come un significato una certa sequenza di suoni (interpretare
un testo). Le strutture intermedie sono: fonetica, lessico, morfologia, sintassi.
Il lessico è l’insieme delle parole di una lingua. Si tratta di un insieme aperto e dinamico, fluido: è
stratificato storicamente, ed è in continua evoluzione.
Lo studio del significato delle parole si chiama semantica.
Ogni parola è formata dall’unione inscindibile di un significante (la forma, l’espressione formale,
fonica e grafica) con un significato (il contenuto concettuale, la rappresentazione mentale, l’‘idea di’). Il
referente è la realtà a cui ogni parola fa riferimento.
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2. LA SINONIMIA
Le parole non sono unità isolate, ma vivono in relazione con altre parole, sono cioè collegate fra loro da
una fitta rete di associazioni. Queste associazioni possono essere di due tipi:
► relative alla forma delle parole (il significante)
► relative al significato delle parole: si parla in questo caso di relazioni semantiche.
Iperonimi
Si definiscono iperonimi le parole che contengono il significato di un’altra parola. Rispetto ad essa
hanno un significato più generico e la classe che delimitano è più ampia: mentre la sinonimia è un
rapporto di equivalenza semantica, l’iperonimia è dunque un rapporto fra le parole di tipo verticale,
gerarchico, in cui cioè una delle parole (l’iperonimo) è sovra-ordinata rispetto all’altra.
Iponimi
Si definiscono iponimi le parole il cui significato è contenuto in quello di un’altra parola. Anche
l’iponimia è un rapporto fra le parole di tipo verticale, gerarchico, in cui cioè una delle parole
(l’iponimo) è sotto-ordinata rispetto all’altra.
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Sinonimia cotestuale
È la sostituzione di una parola o di una sequenza di parole con un’altra, anche lontana da
quella sostituita, valida solo nello specifico contesto discorsivo (cotesto). Si tratta spesso (non
sempre) di parole dal significato molto generale. Spesso la parola che sostituisce contiene in sé, più o
meno esplicita, una valutazione o un valore connotativo.
Sinonimia e perifrasi
La perifrasi è la sostituzione di una parola con un giro di parole. In fondo anche le perifrasi
possono essere considerate forme sinonimiche, poiché riformulano un’espressione mantenendo lo
stesso contenuto. Tuttavia, tanto più nel caso delle perifrasi si deve parlare di sinonimia approssimativa.
La perifrasi ha in sé un’informazione in più rispetto alla parola che sostituisce: si può trattare di una
semplice informazione, ma anche di perifrasi valutative
D’altra parte la perifrasi isola un solo aspetto del significato della parola sostituita.
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3. I FRASEOLOGISMI
I fraseologismi (o unità fraseologiche) sono espressioni formate da più parole, fisse (che cioè non
possono essere modificate) e con un significato complessivo (dunque non ricavabile dalla somma dei
significati delle singole parole). Questo loro significato globale può avere un rapporto variabile con il
significato letterale, cioè può essere più o meno chiaro ed evidente perché dal significato letterale si è
passati al significato globale dell’espressione (si tratta spesso di un procedimento metaforico).
Naturalmente è indispensabile interpretare bene il significato di un fraseologismo per poterlo tradurre
correttamente in un’altra lingua. Questo vale non solo dall’italiano ad altre lingue, ma naturalmente
anche viceversa.
COLLOCAZIONI
Le parole instaurano spesso una relazione preferenziale, una specie di legame privilegiato, con altre
parole. Quando queste relazioni diventano stabili e fisse si parla di collocazione. La collocazione è
dunque un abbinamento stabile di parole: in essa, diversamente da quanto avviene nei fraseologismi,
tutte le parole mantengono il loro significato.
In prospettiva interlinguistica, bisogna tener conto del fatto che spesso le collocazioni non possono
essere tradotte letteralmente, parola per parola:
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4. LA POLISEMIA
Polisemia significa ‘molteplicità di sensi’ e si verifica quando uno stesso segno linguistico ha più
significati. Nella polisemia è dunque coinvolto un solo segno linguistico.
Questi diversi significati generalmente sono vicini o collegati, derivati uno dall’altro: possono essere
collegati l’uno all’altro ripercorrendo la storia della parola. Si può trattare talvolta di usi e significati
particolari e specifici assunti da una parola all’interno di un sottocodice; più spesso si tratta di usi estesi
o di usi figurati, che si aggiungono a quello proprio.
Nell’uso esteso di una parola si ha restringimento o allargamento del significato, ma il campo
concettuale rimane lo stesso. Nell’uso figurato, invece, cambia il campo concettuale: nella frase.
Questi diversi significati (specifici, estesi, figurati ecc.) di uno stesso segno linguistico sono chiamati
accezioni: nei vocabolari, essi si trovano elencati all’interno di una stessa voce.
La polisemia è un fenomeno che interessa molte parole. È un fenomeno linguistico funzionale, perché
serve a moltiplicare i significati in modo ‘economico’.
Nell’atto concreto della produzione linguistica viene generalmente attualizzato uno e un solo significato
dell’insieme. Nell’atto concreto della comunicazione si attiva il processo di disambiguazione il
contesto del discorso permette al destinatario di capire quali dei significati possibili di una parola il
locutore ha usato.
In prospettiva interlinguistica è importante ricordare che a una parola polisemica di una L1 possono
corrispondere più parole di una L2.
Inoltre la polisemia (e dunque la possibilità dell’ambiguità semantica o della creazione di un equivoco)
può essere volontariamente sfruttata nella comunicazione, diventando una tecnica espressiva. Ciò
avviene soprattutto in alcune tipologie testuali dal forte intento suasorio, quali lo slogan pubblicitario, i
titoli di articoli, di libri, di film ecc.; oppure volte a suscitare effetti comici e umoristici. A volte, in
questi tipi di testi, i due o più significati veicolati dalla stessa parola o espressione rimangono attivi e
convivono.
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5. L’OMONIMIA
Si verifica quando due o più segni linguistici hanno uguale significante ma diversi significati,
non imparentati fra loro. Essi dunque si scrivono e si pronunciano nello stesso modo, cioè sono sia
omografi che omofoni (sono formalmente uguali), ma hanno origini diverse e sono semanticamente
lontani; fra di essi non esiste alcuna relazione semantica. Nell’omonimia sono dunque coinvolti due o
più segni linguistici. Nei vocabolari, essi sono elencati come voci distinte e autonome.
L’omonimia può essere volontariamente sfruttata nella comunicazione, in particolare nei testi comici
o a forte valore suasorio:
Per distinguere tra omonimia e polisemia si può ricorrere
► al criterio etimologico: bisogna cioè considerare le origini e la storia delle parole (l’etimologia). Nel
caso di una parola polisemica siamo di fronte a una stessa parola, con la stessa origine, che ha
sviluppato, per vari motivi, diversi significati collegati tra loro; nel caso di due omonimi siamo di fronte
a due parole che casualmente si scrivono e si pronunciano nello stesso modo, ma che hanno significati
diversi non collegati fra loro e alle spalle un’origine e una storia diversa.
Tuttavia in alcuni casi non è facile applicare questo criterio, perché non è facile distinguere tra polisemia
e omonimia: infatti, una parola può aver sviluppato nel corso della sua storia significati molto diversi fra
loro e dunque ormai può essere avvertita come ‘sdoppiata’ in due parole distinte (due omonimi), anche
se a rigore, avendo un’unica origine, si tratta di un’unica parola polisemica.
► al criterio semantico: a prescindere dall’etimologia, si ha omonimia quando tra i significati di due
parole non si percepisce un nesso, una relazione motivata; e invece si ha polisemia quando tra i vari
significati di una parola si può stabilire una relazione.
OMOGRAFIA
Alcune parole possono essere legate solo da omografia, che si verifica quando due segni linguistici con
diverso significato si scrivono nello stesso modo ma si pronunciano in modo diverso.
OMOFONIA
Alcune parole possono essere legate solo da omofonia, che si verifica quando due segni linguistici con
diverso significato si pronunciano nello stesso modo ma si scrivono in modo diverso. In italiano gli
omofoni sono molto rari.
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6. LA SINTASSI
Anche la sintassi, come il lessico, è una delle strutture intermedie della lingua.
La sintassi (dal greco syntaksis: ‘ordinamento’, der. di syntassein: ‘disporre secondo un ordine’) è lo
studio delle regole che determinano il modo in cui le parole si combinano dando vita a testi
complessi. L’oggetto della sintassi sono
■ i sintagmi (gruppi di parole in cui si articola la frase)
■ le frasi
■ il periodo (insieme di frasi delimitato da due segni di interpunzione forti).
La correttezza sintattica serve a dare un senso compiuto al testo, a rendere possibile la sua
interpretazione. L’uso corretto della sintassi, e più in generale della scrittura, permette di organizzare il
proprio pensiero e di comprendere i testi (i pensieri) degli altri. Padroneggiare la sintassi è infatti un
requisito necessario e indispensabile per dare giusta ed efficace forma verbale ai nostri pensieri.
D’altra parte il rispetto delle regole sintattiche (grammaticali) non è di per sé sufficiente a dare un senso
compiuto a un testo.
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SINTASSI DELLA FRASE SEMPLICE (INDIPENDENTE)
STRUTTURA
La frase semplice è una sequenza autonoma dal punto di vista sintattico e semantico, che contiene un
solo predicato. Ogni frase semplice è composta da un nucleo e da elementi circostanziali. Il nucleo è la
parte fondamentale ed è formato dal verbo e dai suoi argomenti, cioè dagli elementi che sono
necessari per completare il verbo e dunque per realizzare la frase in modo compiuto:
Per essere completi i verbi possono richiedere un numero diverso di argomenti, cioè possono richiedere
un numero diverso di valenze. La valenza di un verbo è dunque il numero di argomenti che un verbo
richiede perché si realizzi compiutamente il senso della frase. Esistono verbi a valenza zero, a una
valenza, a due valenze, a tre valenze, a quattro valenze.
Gli elementi circostanziali sono gli elementi che forniscono informazioni non fondamentali, che
arricchiscono ciò che è detto nel nucleo.
TIPI
Le frasi semplici possono essere di tipo:
► dichiarativo (enunciativo): la frase dichiarativa asserisce, afferma qualcosa (il contenuto può essere
affermativo o negativo), descrive, esprime un giudizio, un’opinione, un’ipotesi, un’intenzione ecc.
► esclamativo: la frase esclamativa sottolinea un particolare stato emotivo di chi parla, attribuisce un
particolare rilievo emotivo
► interrogativo: la frase interrogativa pone una domanda o una richiesta
▬ un tipo particolare di interrogative sono le interrogative retoriche: esse non pongono una
domanda reale, ma presuppongono già la risposta. Il loro scopo, dunque, non è informativo, ma
pragmatico
▬ un altro tipo particolare di interrogative sono le interrogative didascaliche: esse non pongono una
domanda reale, ma sono usate per rendere più vivace un’esposizione, un racconto ecc.
► ottativo (desiderativo): la frase ottativa esprime un desiderio (che può essere realizzabile o non
realizzabile)
► imperativo (iussivo): la frase imperativa esprime un ordine, un’istruzione, un consiglio,
un’esortazione, oppure una richiesta o una preghiera
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SINTASSI DELLA FRASE COMPLESSA (DEL PERIODO)
Per formare un periodo le frasi si uniscono fra loro in due modi: 1. per coordinazione o 2. per
subordinazione.
1. COORDINAZIONE (PARATASSI)
La coordinazione collega tra loro frasi che svolgono la stessa funzione sintattica e che restano
‘esterne’ una all’altra. Esse hanno pari grado: la coordinazione è dunque un tipo di relazione
simmetrica.
La coordinazione può essere di tipo:
► copulativo: le frasi coordinate copulativa aggiungono uno o più contenuti. Sono introdotte da e, e
anche, né, neppure
► avversativo: le frasi coordinate avversative esprimono un contenuto che contrasta con il contenuto
della frase cui sono coordinate (in modo parziale o in modo totale). Sono introdotte da ma, però, tuttavia,
anzi, bensì, invece
► disgiuntivo: le frasi coordinate disgiuntive esprimono un’alternativa rispetto al contenuto della frase
cui sono coordinate. Sono introdotte da o, oppure, altrimenti
► correlativo: le frasi coordinate correlative sono in relazione fra loro. Sono introdotte da sia… sia,
e… e, o… o, né… né, non solo… ma anche, tanto… quanto, da un lato… dall’altro
► conclusivo: le frasi coordinate conclusive costituiscono una conclusione o esprimono la
conseguenza di quanto detto della frase cui sono coordinate. Sono introdotte da quindi, dunque, perciò,
pertanto
► esplicativo: le frasi coordinate esplicative spiegano il contenuto della frase cui sono coordinate.
Sono introdotte da infatti, cioè ecc.
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Quando le frasi sono divise fra loro da un punto fermo, in realtà siamo in presenza non più di un unico
periodo in cui le frasi che lo costituiscono sono coordinate fra loro, ma di più periodi autonomi.
▓ Un errore al quinto giro: Valentino Rossi cade e deve cedere la corona mondiale all’americano Nicky
Hayden. Il suo box lo festeggia e lui: «Credevo di essere invincibile come nei fumetti, imbattibile, mi
sarebbe piaciuto, ma purtroppo la vita non è come nei fumetti. Ho perso tutto alla partenza: il semaforo
è rimasto rosso più del normale e io ho sbagliato con la frizione, la moto si è impennata e ho perso un
sacco di posizioni. Poi la temperatura dell’acqua è salita, ho sofferto un calo di potenza, perdevo in
rettilineo ed è arrivato l’errore».
2. SUBORDINAZIONE (IPOTASSI)
La subordinazione è un tipo di relazione asimmetrica, cioè collega due o più frasi che svolgono una
funzione sintattica diversa: in particolare la frase subordinata svolge una funzione sintattica
all’interno della frase reggente. La subordinazione istituisce una relazione gerarchica: questa
relazione gerarchica può essere tra principali e secondarie (dipendenti o subordinate), ma anche tra
subordinate e altre subordinate (si avranno così subordinate di 1°, di 2°, di 3° grado ecc.).
A seconda del modo del verbo utilizzato le subordinate possono essere esplicite (modi finiti:
indicativo, congiuntivo, condizionale) oppure implicite (modi non finiti: infinito, gerundio, participio).
In base alla funzione sintattica che svolgono all’interno della reggente le subordinate possono essere
suddivise in quattro grandi gruppi:
A) subordinate argomentali (completive)
B) subordinate non argomentali (circostanziali)
C) subordinate relative
D) subordinate completive del nome o dell’aggettivo
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► avversativo: le subordinate avversative contengono un fatto, una situazione ecc. che si
contrappongono a ciò che è espresso nella reggente. Sono introdotte da mentre, quando, laddove, piuttosto
che, invece che/di, in luogo di, al posto di
► consecutivo: le subordinate consecutive esprimono la conseguenza, l’effetto di ciò che è detto nella
reggente. Sono introdotte da che, cosicché, di modo che, di maniera che, al punto che, perché, per, da ecc. (spesso
nella reggente è presente un elemento antecedente: così, talmente, tanto, tale, in modo tale ecc.)
► temporale: le subordinate temporali stabiliscono una relazione di tempo con la reggente:
contemporaneità, anteriorità, posteriorità. Sono introdotte da quando, mentre, appena, come, finché, fino a
quando, da quando ecc.
► comparativo: le subordinate comparative stabiliscono un termine di comparazione, un confronto
con ciò che è espresso nella reggente
C) Le subordinate relative si riferiscono a un solo elemento della frase principale o reggente (detto
antecedente) e sono introdotte da un pronome relativo (che, cui, quale), da un pronome relativo
indefinito (chi, chiunque, quanto, quanti) e da dove e dovunque
Si distinguono due tipi di subordinate relative
▬ relative restrittive: sono necessarie per individuare l’antecedente; hanno inoltre significato restrittivo,
cioè definiscono in modo preciso il referente
▬ relative appositive: contengono un’informazione secondaria, che potrebbe anche essere eliminata;
D) Le subordinate completive del nome o dell’aggettivo si riferiscono a un sintagma della frase della
reggente, completandone il significato.
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Esempio di testo costruito con sintassi prevalentemente ipotattica
▓ Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto
a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a
prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il
ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione,
e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive,
allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e nuovi seni. (A.
Manzoni, I promessi sposi, cap. I)
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LA SINTASSI – SCHEMA RIASSUNTIVO
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7. LE FRASI MARCATE
Per capire come funzionano le frasi marcate è necessario definire alcuni concetti: dato/nuovo e
tema/rema. Un’informazione è data quando è presente nella situazione comunicativa, o è stata
citata/introdotta in precedenza, o infine fa parte delle conoscenze condivise fra gli interlocutori.
Diversamente tale informazione è nuova.
Inoltre in uno scambio comunicativo, i contenuti si distinguono in tema e rema. Si definisce tema (topic)
ciò di cui si parla o si vuole parlare, ciò intorno a cui si vuole dire qualcosa. Si definisce rema (focus) ciò
che si dice intorno al tema.
Spesso elemento dato, tema e soggetto sintattico coincidono, e in italiano tendono a occupare la
parte sinistra della frase; e allo stesso modo spesso coincidono elemento nuovo, rema e predicato, ed
essi tendono a occupare la parte destra della frase: ma si tratta di una tendenza generale, non di una
legge assoluta.
Nella realizzazione delle frasi la lingua italiana utilizza, come ordine preferenziale o naturale, il
cosiddetto ordine SVO, cioè la sequenza sogg. + verbo + ogg. Si tratta di un ordine, appunto,
preferenziale (detto non marcato). Ci sono però molte eccezioni. Si può infatti utilizzare un ordine
diverso, deviante rispetto a quello naturale SVO; si parla in questo caso di frasi marcate e di sintassi
marcata. La frase marcata è quella che non rispetta l’ordine naturale dei costituenti allo scopo di
mettere in evidenza un elemento. Essa ha dunque un valore pragmatico.
Si tratta di fenomeni molto comuni, presenti anche in passato e oggi diffusi in molti registri linguistici.
DISLOCAZIONE A SINISTRA
Costrutto sintattico in cui si disloca (sposta) a sinistra del verbo un elemento che viene presentato come
tema e come già noto e dato; esso è connesso sintatticamente col resto della frase mediante un
pronome (si tratta di una ripresa pronominale anaforica). La dislocazione a sinistra è una costruzione
tematizzante.
DISLOCAZIONE A DESTRA
Costrutto sintattico in cui si disloca (sposta) a destra del verbo l’elemento che viene presentato come
tema e come già noto e dato; esso è connesso sintatticamente col resto della frase mediante un
pronome che lo anticipa (si tratta di una ripresa pronominale cataforica). Anche la dislocazione a destra
è una costruzione tematizzante.
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Costrutto sintattico che presenta una frattura fra un primo elemento, che rimane sintatticamente
sospeso, e un secondo elemento che svolge il senso complessivo della frase ma che non è
correttamente (dal punto di vista grammaticale) collegato al primo.
L’elemento tematizzato è posto all’inizio del costrutto ed è isolato, cioè è privo di indicatori della
funzione sintattica e generalmente seguito da virgola: dunque la sua posizione all’inizio di un discorso lo
fa sembrare il soggetto grammaticale. Si tratta invece del soggetto non grammaticale ma logico (per
questo si parla anche di tema sospeso, perché rimane sintatticamente sospeso). Anche questa
costruzione è tematizzante.
FRASE SCISSA
È costituita da due frasi, una principale e una subordinata. La principale contiene il verbo ‘essere’ +
l’elemento focalizzato; la subordinata (pseudorelativa) è introdotta da ‘che’. L’elemento di maggiore
rilevanza informativa, quella su cui si concentra l’attenzione, cioè la parte nuova della frase, è contenuto
nella prima parte, all’inizio, cioè nella principale. La frase scissa è una costruzione focalizzante.
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8. LA PUNTEGGIATURA
All’interno di un testo la punteggiatura svolge una serie di funzioni:
► funzione intonativa e prosodica: fornisce importanti indicazioni sull’intonazione di una frase
(dichiarativa, interrogativa, imperativa o esclamativa), sul ritmo e sull’intonazione del testo, sulle pause
del respiro. Tuttavia non sempre l’intonazione e le pause del parlato corrispondono agli snodi logici
► funzione sintattica: indica i rapporti sintattici tra i membri di una frase o di un periodo e rende così
più trasparente la struttura sintattica della frase
► funzione testuale: indica l’organizzazione del testo delimitandolo in unità
► funzione metalinguistica (solo alcuni segni): indica che l’espressione usata non deve essere
interpretata nel senso più comune.
PUNTO FERMO
Divide i periodi e dunque segmenta un testo in porzioni più piccole.
Di questo segno si tende talvolta a fare un uso frequente, utilizzandolo anche per frammentare la
sintassi. Si parla in questo caso di punto anomalo: il punto fermo che interrompe la sequenza
sintattica in una posizione inaspettata e inconsueta, o tra due proposizioni che normalmente
sarebbero coordinate o subordinate all’interno dello stesso periodo, o all’interno di sintagmi di
qualunque tipo. Si tratta di un uso espressivo.
Quando non è una moda passivamente subita, la scelta consapevole di una sintassi così frantumata può
andare anche oltre la messa in rilievo di alcuni elementi, cioè può essere di per sé significativa,
portatrice di senso. Essa, infatti, può chiamare in causa il lettore, cui si chiede di collaborare
attivamente.
▓ Viviamo tempi incerti. E l’incertezza si diffonde. Pervade la società. Tanto che, ormai, ci stiamo
abituando. I gruppi sociali più preoccupati di quel che avviene intorno a loro (e a noi), peraltro, sono i
più “periferici”. I più marginali. Sul piano economico e del lavoro. Anche perché oggi faticano a trovare
riferimenti a cui affidarsi. Nei quali confidare. Le organizzazioni di rappresentanza, per primi i sindacati,
sono in declino. Sotto il profilo della fiducia e delle adesioni. D’altra parte, l’organizzazione del lavoro è
cambiata profondamente. E gli “operai” stessi hanno perduto visibilità. Anche se non sono scomparsi,
come ha osservato Gad Lerner, su queste pagine, nei giorni scorsi. Tuttavia, non trovano più
“rappresentazione”. Soggetti che diano loro voce ed evidenza. Anzitutto, sul piano politico. Perché le
basi stesse dell’identità politica si sono indebolite. Per non dire: dissolte. Fra tutte e per tutte, l’asse
Destra-Sinistra. (I. Diamanti, «La Repubblica», 17 giugno 2019)
→ allo stile giustappositivo, di cui abbiamo già parlato, si aggiunge la frammentazione delle sequenze
sintattiche.
A proposito della scrittura del sociologo Ilvo Diamanti, nella quale l’uso di una sintassi frantumata è
costante, il linguista Francesco Sabatini ha così commentato:
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«Una visione altamente problematica delle cose da rappresentare può trovare una forma confacente in
questo assetto testuale. Questo può significare, però, che anche il lettore deve mettersi nella stessa
posizione: non di chi riceve una informazione lineare, pianamente chiarificatrice. Il procedere del
discorso a piccoli e piccolissimi passi nella costruzione di un concetto completo, e in fondo complesso,
trasmette circospezione, incertezza nel collocare ogni particolare al suo posto, l’impressione che da ogni
punto possano aprirsi diverse strade, dipartirsi diversi fili di ragionamento. […] Il lettore è avvertito di
tanti pericoli, ma il più delle volte non vede, dopo la lettura di questi articoli, una via di uscita» (F.
Sabatini, in Generei, architetture e forme testuali, Firenze, Cesati, 2004, p. 68)
VIRGOLA
È un segno di pausa breve, ma ciò non significa che sia debole, perché il suo diverso uso modifica
sensibilmente il testo. Essa inoltre riveste numerose funzioni.
Va usata:
► nelle enumerazioni e nelle coordinazioni asindetiche. Si tratta della cosiddetta ‘funzione seriale’.
■ se però l’enumerazione è complessa (ad es. se i vari elementi enumerati hanno struttura eterogenea) è
preferibile, talvolta anzi necessario, il punto e virgola
► prima di un’apposizione
► per introdurre un vocativo senza interiezione
► nelle ellissi
► negli incisi, cioè in quelle porzioni di testo che si ritengono meno importanti, secondarie
► prima o dopo le subordinate che possano assomigliare agli incisi (ad es. concessive, ipotetiche)
Non va usata:
► all’interno di un blocco compatto (sogg. + pred.; pred. + compl. ogg.; elemento reggente +
compl. specifico; agg. + sost.; reggente + completiva)
► prima di una relativa restrittiva
► nelle coordinate unite dalla copulativa e
■ la virgola può invece essere usata se si vuole sottolineare una distinzione grammaticale o tematica fra
le coordinate, o se si vuole mettere in evidenza un elemento
DUE PUNTI
È un segno che indica che quanto segue è in funzione di ciò che precede. I due punti infatti hanno la
funzione di introdurre:
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► un discorso diretto
► una citazione
► un rapporto logico: di riformulazione, di consecuzione, di opposizione, di specificazione ecc.
▬ In particolare, quando i due punti introducono una specificazione, questa può prendere la forma di
un’enumerazione. Quando però l’enumerazione fa corpo con la frase che precede i due punti non
vanno usati.
PUNTO E VIRGOLA
È un segno problematico e difficile, perché ricopre diverse funzioni che però in parte sono svolte anche
dal punto fermo e dalla virgola. In linea generale, si può dire che il punto e virgola segnala un confine
tra due porzioni di testo in modo più marcato rispetto alla virgola, meno marcato rispetto al punto.
Il punto e virgola va comunque usato:
► nelle enumerazioni complesse (funzione seriale)
► per dividere due o più frasi coordinate o giustapposte di un periodo complesso
► per dividere due frasi giustapposte nelle quali la seconda introduca un’opposizione, una
conclusione, svolga il ragionamento precedente ecc.
► per dividere due frasi giustapposte nelle quali si verifichi un cambiamento di soggetto
PUNTINI DI SOSPENSIONE
È un segno che indica che nel testo manca una parte. Si può trattare di:
► una semplice omissione volontaria di una parte di una citazione: in questo caso va indicata con le
parentesi quadre: […]
► un elenco non esaustivo
► un rimando implicito a conoscenze condivise tra mittente e ricevente
► particolari sfumature del significato
Si tratta, negli ultimi due casi, di situazioni in cui il significato può rimanere ambiguo, o in cui
comunque il ricevente è chiamato a compiere uno sforzo per interpretare il testo
► un elemento imprevedibile all’interno di un testo
▓ Le cause del cheratocono sono sconosciute; ma studi sperimentali hanno portato ad ipotizzare che
alla sua base ci siano cause genetiche che ne condizionano l’insorgenza e fattori esterni come
microtraumi da sfregamento o da allergie che ne condizionano l’evoluzione. L’aumento di alcuni enzimi
specifici fra cui le proteasi e una diminuzione dei loro inibitori, determina disequilibrio e alcune cellule
della cornea, i cheratociti che sono deputati al costante rinnovamento del tessuto, lavorano in modo
anomalo con conseguente riduzione dello spessore e degenerazione e deformità della cornea.
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9. LE CONDIZIONI DI TESTUALITÀ
Il testo, in quanto occorrenza comunicativa, deve soddisfare 7 criteri di testualità (R.-Alain de
Beaugrande, W.U. Dressler, Introduzione alla linguistica testuale, 1981):
► requisiti extralinguistici (pragmatici): riguardano l’atteggiamento di tutti quelli che prendono
parte alla comunicazione (intenzionalità, accettabilità, informatività, situazionalità, intertestualità)
► requisiti linguistici (coerenza e coesione).
INTENZIONALITÀ
Riguarda chi produce il testo, la sua intenzione comunicativa, cioè la sua intenzione di creare un testo
coeso e coerente che soddisfi le sue intenzioni.
ACCETTABILITÀ
Riguarda chi riceve e interpreta il testo, che deve essere ben disposto a riceverlo e si predispone
all’accoglimento del testo creandosi delle aspettative. Sul criterio dell’accettabilità delusa o infranta
fanno leva alcuni testi, come quelli pubblicitari, comici, narrativi (tecnica della suspense)
INFORMATIVITÀ
Riguarda il testo, nel quale devono essere presenti informazioni note e nuove in modo equilibrato.
SITUAZIONALITÀ
Riguarda il testo e la sua adeguatezza rispetto alla situazione comunicativa.
INTERTESTUALITÀ
Riguarda il testo, l’insieme dei rapporti che esso intrattiene con altri testi, anche non verbali; o che una
porzione di testo intrattiene con altre porzioni dello stesso testo. Un testo A, dunque, si collega a un
testo B (che è detto ipotesto).
L’intertestualità può richiamare anche testi noti (o che si presumono tali) al destinatario: si tratta ad es.
di allusioni a testi che si presume facciano parte delle conoscenze enciclopediche del destinatario. Lo
scopo è generalmente quello di attirare l’attenzione. Va precisato che inevitabilmente ogni testo
intrattiene una serie di rapporti intertestuali, anche se non cercato volutamente dal mittente: ogni testo è
sempre in relazione, più o meno stretta, con altri testi. In realtà la nozione di intertestualità, anche se il
termine è piuttosto recente (fu introdotto dalla semiologa bulgara Julia Kristeva nel 1966), è antica.
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10. LA COERENZA
È l’armonia semantica tra le varie parti del testo e tra il testo e le conoscenze che il destinatario
già possiede sulla realtà entro la quale il testo si colloca. La coerenza è dunque la presenza di
legami logici tra le varie parti del testo, segnalati dalla lingua o che il destinatario può ricostruire
basandosi sulle sue conoscenze. Spesso dunque la coerenza di un testo è almeno in parte soggettiva.
La coerenza è una qualità necessaria e irrinunciabile. È anzi il criterio più importante per l’esistenza di
un testo: dunque è la condizione di testualità sovraordinata alle altre.
Per essere coerente (per avere ‘armonia semantica’) il testo deve essere:
► unitario e non contraddittorio rispetto al contesto e al cotesto: il testo deve poter essere
ricondotto a uno o più nuclei semantici essenziali; deve cioè avere un’unità di senso complessiva, una
continuità di senso. Tali nuclei semantici non devono presentare contraddizioni logiche a nessun
livello
► continuo: all’interno di un testo ogni unità si deve collegare al cotesto o a una porzione del cotesto
precedente, vicina o lontana, in modo esplicito o implicito; il testo deve assicurare una continuità
tematica
► progressivo: all’interno di un testo ogni unità deve contribuire a modificare o arricchire le
informazioni già fornite, deve cioè assicurare una continuità informativa. Naturalmente il testo deve
presentare le informazioni secondo un ordine, in modo da facilitare l’interpretazione. Tuttavia questo
ordine può essere violato per fini particolari.
Queste tre caratteristiche si realizzano su più livelli:
► referenziale: il testo deve essere coerente rispetto alla realtà extralinguistica, non deve contenere
elementi che contrastino con essa
► logico: il testo deve rispettare i legami logici, cioè i rapporti di causalità, temporalità, opposizione
ecc.
► enunciativo: il testo deve essere adatto alla situazione comunicativa
► composizionale (compositivo): il testo deve essere costruito in modo da realizzare il suo scopo.
L’incoerenza, tuttavia, può essere apparente: un testo può sembrare del tutto incoerente per mancanza
di informazioni, o per una apparente contraddittorietà, che però si possono risolvere considerando il
contesto o ricorrendo all’‘enciclopedia’ del destinatario.
Spesso inoltre l’incoerenza è volontaria. È un meccanismo molto sfruttato dai testi comici, dalla lingua
della pubblicità e dalla poesia perché inevitabilmente attira l’attenzione del destinatario. Ed è un
meccanismo che è alla base di molte figure retoriche.
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11. LE RELAZIONI LOGICHE TRA LE FRASI
Come si è detto, un testo deve essere prima di tutto coerente (unitario, continuo, progressivo). La
coerenza riguarda anche, e anzi in primo luogo, il piano della logica.
Le relazioni logiche tra le frasi si instaurano sia tra frasi sia tra porzioni più o meno ampie del testo
(cioè tra insiemi più o meno complessi di frasi).
Le relazioni logiche riguardano i nessi logici profondi che legano fra loro le varie parti del testo. Una
stessa relazione logica si può esprimere in modi molto diversi, cioè con soluzioni sintattiche diverse:
mediante la subordinazione, la coordinazione (compresa la giustapposizione) e con soluzioni ancora
diverse.
Le relazioni logiche possono essere esplicitate o lasciate implicite e ricostruite dal destinatario.
Quando sono esplicite, le relazioni logiche sono introdotte dai cosiddetti connettivi: forme invariabili
del discorso (congiunzioni e locuzioni congiuntive, avverbi e locuzioni avverbiali, preposizioni e
locuzioni preposizionali) che garantiscono e segnalano le relazioni logiche e semantiche tra le
varie parti del testo. Possono svolgere funzione di connettivi anche altre parti del discorso, come
verbi, locuzioni complesse, intere frasi
Nell’uso dei connettivi bisogna fare attenzione, perché alcuni sono semanticamente poveri, e possono
veicolare più tipi di relazioni logiche.
■ L’uso delle relazioni logiche cambia a seconda del tipo di testo, del contesto della comunicazione,
dell’intenzione comunicativa.
Possiamo distinguere due tipi di relazioni logiche: tra eventi e di organizzazione (o composizione)
testuale.
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► relazione di opposizione (oppositiva): presenta due eventi come opposti o sostitutivi o alternativi
► relazione di concessione (concessiva): presenta due eventi opposti, ma l’opposizione si risolve a
favore di uno dei due eventi, mantenendo nel contempo l’esistenza dell’altro
► relazione di condizione (ipotetica): presenta un’ipotesi che, se si realizza, provoca un evento.
L’ipotesi può avere diversi gradi di realizzabilità
► relazione di comparazione: paragona due eventi
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12. LA COESIONE
La coesione è la presenza in un testo di un sistema di collegamenti linguistici tra le sue varie
parti, che cioè collegano ogni parte con il cotesto. La coesione, dunque, è la manifestazione
linguistica della coerenza del testo.
La coesione è un requisito linguistico importante, perché aiuta a ricostruire il senso di un testo, ma di
per sé non sufficiente.
La coesione all’interno di un testo può essere mantenuta in molti modi, sfruttando tutti i livelli della
costruzione linguistica di un testo (morfologico, lessicale, sintattico, interpuntivo):
► mediante il rispetto delle regole dell’accordo. Una violazione dell’accordo piuttosto diffusa è la
concordanza a senso, che cioè tiene conto solo del significato
► mediante il rispetto della consecutio temporum, cioè la concordanza dei tempi verbali: il tempo
verbale della reggente e il tempo verbale della/delle subordinata/e devono essere collegati in modo tale
da rendere chiaro il rapporto temporale di anteriorità, contemporaneità o posteriorità
► mediante l’uso corretto della punteggiatura
► mediante l’uso corretto dei connettivi
► mediante il rispetto della catena forica, cioè della coreferenza: l’insieme di tutte le forme
(coreferenti) che si riferiscono a un medesimo elemento del testo (referente o punto d’attacco). I
coreferenti possono essere anafore (se riprendono un referente già esplicitato in precedenza) o
catafore (se anticipano un referente che sarà esplicitato solo dopo).
La coreferenza può essere assicurata:
▬ attraverso la ripetizione totale o parziale del referente
▬ attraverso la sostituzione con:
- pronomi (personali, dimostrativi, indefiniti, possessivi, relativi ecc.) e particelle pronominali
- avverbi
- aggettivi possessivi
- sinonimi, iperonimi, iponimi
- riformulazione del referente attraverso perifrasi
- riformulazione del referente attraverso incapsulamento: l’uso di un solo sintagma nominale che svolge
la funzione testuale di rinviare al contenuto di un’intera frase o di una serie di frasi e che per questo è detto
incapsulatore; è anaforico se riprende una o più frasi precedenti, cataforico se le anticipa. L’incapsulatore
può essere neutro o contenere una valutazione
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- in molti casi non è necessario richiamare il referente: si verifica in questo caso il fenomeno
dell’ellissi
Concretamente, nei testi si incrociano e si sovrappongono diverse e talvolta numerose catene foriche.
■ Perché il testo sia chiaro deve essere facilmente ricavabile quale sia l’antecedente a cui anafore e
catafore si riferiscono. In caso contrario il testo rimane ambiguo. Ma questa ambiguità può essere
voluta.
■ L’uso di anafora o catafora non è senza conseguenze: si tratta di due strategie diverse di costruzione
del testo. Quando si usa il procedimento cataforico si ricorre a una strategia precisa.
COESIONE INDIRETTA
In tutti i casi che abbiamo considerato, il referente ripreso era già stato introdotto (anafora) o viene
introdotto successivamente (catafora). Ma in molti casi il referente è ripreso o anticipato facendo
entrare in gioco un sapere implicito: in questi casi si parla di coesione indiretta.
Questo sapere in realtà può non essere già condiviso, posseduto, ma essere appreso durante
l’interpretazione del testo.
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