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4.

Testualità
La testualità è definibile come il modo in cui le parole (le unità minime della frase), i sintagmi
(unità della frase) e le frasi si collegano fra di loro, per garantire al testo la coerenza e la coesione.
I suoi argomenti di studio sono, oltre alla coerenza e alla coesione, anche i riferimenti anaforici,
cataforici e la deissi, nonché le informazioni date e nuove (dette tema e rema), l’implicito e
l’esplicito.
La sintassi, invece, studia il modo in cui le sole parole si combinano tra loro in unità maggiori,
ovvero i sintagmi, le frasi semplici e complesse (le quali costituiscono anche suoi argomenti di
studio).
Fare tale distinzione è fondamentale. Inoltre, bisogna considerare che alla base della linguistica
italiana vi sia la comunicazione verbale. In particolare, il testo in sé è proprio un atto
comunicativo, e ogni parte o elemento del testo non è mai astratto, ma bensì sempre calato in un
determinato contesto (ad esempio, nello scrivere il testo di una mail bisogna sempre tenere
presente il contesto in cui essa viene prodotta). Ad esempio, la frase Ieri Michele non ha telefonato
è comprensibile, ma per avere una vera informazione ci sarà il bisogno di sapere chi Michele sia;
quindi, per ricavare informazioni da una frase sarà necessario ancorare la frase stessa ad un
contesto.
4.1 - Il testo
Il testo, come già accennato, è un atto comunicativo e il mezzo con cui si realizza non prevede
necessariamente le parole, per cui esso si distingue in testo verbale (principalmente adottato) e
non verbale. Il testo verbale, quindi, si basa su un codice linguistico, scritto o orale, che una
comunità di individui conosce, si tramanda e usa (sia pure con gradi di padronanza differenti), per
formare una rete di legami (grammaticali e semantici) che consente di produrre e condividere
informazioni per comunicare. Il testo, quindi, è una vera e propria rete di collegamenti che si
estende sia all’interno (cioè il collegamento tra le parole, le frasi, ecc.) che all’esterno del testo
stesso (cioè il collegamento con la situazione comunicativa in cui il testo è immerso). In tal senso,
dunque, il testo verbale è il risultato dell’interazione tra il cotesto, ovvero l’insieme di parole che
precedono o seguono un’altra parola in una stessa conversazione, e il contesto, cioè l’insieme di
circostanze, extralinguistiche e non, in cui si verifica l’atto comunicativo.
Dal latino, la parola “testo” deriva da textus, ovvero il participio passato di texere, “tessere”: il
testo, quindi, metaforicamente è un “tessuto”, creato dalle relazioni tra parole, frasi semplici e
altro. In tal senso, il testo è anche identificabile come un processo, in quanto esso, e più in
particolare i generi testuali, variano nel corso dei secoli.
Da un punto di vista cognitivo, per interpretare un testo vi è bisogno di compiere due azioni:
decodifica ed inferenza. Nell’esempio presentato precedentemente, cioè Michele ieri non ha
telefonato, riusciremo ad attuare la prima azione di decodifica, perché riusciamo a comprendere
quali siano gli elementi della frase, in che lingua essa è scritta e così via. L’inferenza, invece, è
quella conoscenza extralinguistica che ci permette di comprendere meglio il significato del testo,
nonché di avanzare deduzioni sulle informazioni che il testo stesso vuole trasmettere. In A: TUO
FRATELLO È RIENTRATO? B: IL GIUBBINO NON C’È, le due frasi, dall’esterno, appaiono
scollegate fra di loro, per cui sarebbe impossibile comprendere il testo se non si effettuasse un
lavoro di inferenza, il quale ci permette di comprendere che la frase di B altro non è che la risposta
alla domanda di B.
Il testo, inoltre, si colloca tra le conoscenze linguistiche, all’ultimo livello di decodifica e al primo
di inferenza. Infatti, la decodifica parte dal livello della fonologia, dal quale, ad esempio, avendo
una frase riusciamo a comprendere quante parole ci siano in essa sulla base dei suoni. Vi è poi il
livello morfologico, dal quale apprendiamo, ad esempio, quale sia il soggetto, il suo genere e
così via. La decodifica della sintassi, invece, ci permette di comprendere che, ad esempio, un
punto interrogativo indica una frase interrogativa. Ad un livello lessicale, attraverso la decodifica
noi comprendiamo il significato delle parole espresse, anche dissociandole dai loro opposti (ad
esempio, noi comprendiamo il significato di “fratello” perché inevitabilmente lo dissociamo da
quello di “sorella”). Il testo, quindi, si presenta all’ultimo di livello di decodifica, attraverso cui
riusciamo a comprendere se un determinato testo sia un dialogo, un’argomentazione e così via.
Ogni testo si basa su alcune regole elementari di cooperazione, fondate sul comune buon senso
e chiamate spesso come “massime conversazionali”, che sono: dire cose vere (o che si
ritengono come tali), dire cose pertinenti all’argomento del discorso, dire cose in modo
esaustivo e dirle in modo chiaro. Mentre le prime due proprietà dipendono in larga parte dalla
volontà del parlante, la pertinenza e, soprattutto, la chiarezza dipendono in gran parte dalla
padronanza linguistica e della capacità logico-argomentativa del singolo. Pertanto, i requisiti
essenziali di un testo, che fanno sì che esso si tenga insieme, sono la coesione, ovvero il rispetto
delle regole grammaticali e del loro utilizzo, ma, in modo ancora più importante, la coerenza, che
si realizza quando l’unione degli elementi del discorso tra loro non dà mai luogo a contraddizioni,
ambiguità o contrasti di senso, anche se lievi (esse non sono sullo stesso piano, in quanto un testo
può anche essere coeso senza, però, avere coerenza, fallendo in questo caso il suo fine
comunicativo). Non a caso, entrambi i termini derivano dal latino cohaerⅇ re (“essere strettamente
connesso”), che coniugato al participio presente dà vita a cohaerens, cioè coerenza, mentre al
participio perfetto diventa cohaesus, cioè coesione.
4.2 - Coerenza
La coerenza, quindi, è il primo requisito di un testo: in ogni testo, prodotto o interpretato, le tante
informazioni che lo compongono sono concatenate tra loro secondo relazioni di senso e di
significato (relazioni logico-semantiche). Ma la coerenza di un testo è data, innanzitutto, dalla
continuità di senso, vale a dire la corretta e chiara concatenazione logica tra gli elementi del
testo, alla quale contribuisce anche la continuità referenziale o tematica, cioè la concatenazione
sensata dei modi con cui i temi e gli argomenti del testo sono richiamati e disposti.
Ovviamente, la violazione della coerenza può dar luogo a dei dubbi o dei fraintendimenti; a far sì
che il testo sia coerente, allora, intercorrono alcune strutture linguistiche: il rapporto tra il detto e
il non detto (cioè le informazioni esplicite, ovvero sulla “superficie” del testo, e quelle implicite, cioè
nascoste nelle “profondità” del testo); la deissi; la già citata coesione; la continuità e la
progressione tematica; l’uso dei connettivi.
4.2.1 - Implicito ed esplicito
La compresenza di uno strato esplicito e di uno implicito di informazioni è una caratteristica di
ogni lingua storico-naturale, sebbene poi il loro equilibrio possa variare, in quanto, ad esempio, lo
strato implicito è assolutamente comune nella conversazione di tutti i giorni, mentre è evitato nei
linguaggi specialistici (come quello medico) ed è completamente evitato nei linguaggi
formalizzati, come quello della matematica.
In ogni testo, inoltre, implicito ed esplicito convivono in differenti proporzioni in quanto,
contemporaneamente al testo “detto”, un altro testo “non detto” si dipana via via in modo
silenzioso. Possiamo, però, distinguere due forme di implicito: la presupposizione e
l’implicazione.
La presupposizione è quell’informazione che risulta indispensabile per poter comprendere il
senso dell’enunciato ed è presentata sempre come vera. A generarla può essere una frase, un
verbo o altro ancora. Per esempio, la frase Le bugie che mi dici mi fanno stare male fa
presupporre il fatto che siano state dette delle bugie. Bisogna prestare attenzione, però, perché la
presupposizione presenta sì un’informazione come vera, ma ciò non vuol dire che essa
effettivamente lo sia.
L’implicazione, invece, è un’informazione non espressa esplicitamente, ma lasciata intendere,
cioè è ricavabile per inferenza (ovvero per deduzione). A generarla può essere il senso della
frase e le sue relazioni logiche, ovvero l’uso di connettivi come ma, quindi, persino e altro. Ad
esempio, la frase Va benissimo a scuola, ma fa anche tantissimo sport implica, cioè lascia
intendere, che il fare moltissimo sport non sia compatibile con l’andare bene a scuola.
I presupposti e le implicazioni sono usati con molta sapienza in testi con finalità persuasive e
propagandistiche, come in politica o in pubblicità, dove si tende a spostare l’attenzione del
destinatario dalle premesse e dalle relazioni logiche profonde alle affermazioni effettivamente
pronunciate, così che il destinatario tenda ad accettare come un dato di fatto le implicazioni. Per
esempio, calato nel contesto della pandemia da Covid-19, l’insegna pubblicitaria Leccati le dita in
tutta sicurezza, da noi puoi farlo, implica che, sebbene in altri posti non sia possibile fare tale
azione, da loro, in quel determinato luogo, essa sia consentita. Ancora, particolarmente evidente
risultano le implicature e i presupposti nella questione-scandalo che coinvolse le aziende
alimentari della Plasmon e della Barilla e Mulino Bianco; infatti, nella confezione dei biscotti e
della pasta Plasmon erano indicati i valori nutrizionali dei loro prodotti rispetto a quelli della Barilla-
Mulino Bianco: su base inferenziale il lettore poteva chiaramente evincere come la Plasmon
accusasse i prodotti delle altre due marche di essere “inferiori” e meno adatti ai bambini rispetto ai
loro, senza che ciò, però, fosse scritto esplicitamente sulle confezioni stesse. La risposta della
Barilla fu “Ma le mamme italiane sanno quello che fanno e cosa devono comprare”: ancora
una volta, l’inferenza fece comprendere a tutti il significato dell’enunciato, giacché il contesto della
diatriba era oramai noto ai più, rendendo innecessaria un’eventuale spiegazione riguardo la
presenza di tale frase all’interno della pubblicità.
Ma, oltre che per scopi persuasivi, le presupposizioni possono anche servire a non esprimere in
modo esplicito fatti o giudizi che rischiano di risultare sgraditi, come avviene, ad esempio, nelle
risposte “diplomatiche”.
Pertanto, risulta che gli impliciti siano fondamentali nella costruzione di un testo, in quanto
consentono di dare alcuni elementi per scontati e di richiamare l’attenzione del destinatario
sull’informazione che l’emittente ritiene più importante, sebbene poi la loro gestione dev’essere
molto accorta e misurata, al fine di non far sentire il destinatario del testo né un ignorante
(esplicitando troppo), ma neanche un esperto (esplicitando troppo poco).
4.2.2 - Gestione delle informazioni e costruzione del testo
Quando scriviamo un testo, ciò che conta nel determinare quali informazioni trasmettere in modo
esplicito e quali, invece, in modo implicito è l’enciclopedia, ovvero l’insieme di informazioni
condivise tra emittente e destinatario, ovvero conoscenze che sono conosciute sia dall’uno che
dall’altro, come possono essere quelle grammaticali o lessicali, nonché anche le credenze e le
aspettative. L’enciclopedia, quindi, è una base di conoscenze e di esperienze comuni
fondamentale per poter cominciare un qualsiasi discorso e portarlo avanti. Ad esempio,
l’enciclopedia è massima tra amici e compaesani mentre è minima tra persone sconosciute, di età
differente e di culture diverse.
Il testo si fonda, perciò, su questa base di conoscenze comuni, cioè sull’enciclopedia, e procede
poi in relazione ad altri particolari fattori, che definiamo come domini di referenza. In particolare,
essi sono:

 l’enciclopedia, cioè il sapere condiviso;


 il contesto, che si riferisce alle particolari circostanze della comunicazione e ai fattori
extralinguistici;
 il cotesto, che coincide con le parole e le frasi che compongono il testo;
 la situazione comunicativa, che riguarda il momento, il luogo e i protagonisti della
comunicazione.
In basi a questi fattori, quindi, l’emittente sceglie e distribuisce le informazioni nel suo testo,
distinguendo con conseguente equilibrio quali informazioni omettere (cioè quali rendere implicite) e
quali esprimere (cioè quali esplicitare), scegliendo, in quest’ultimo caso, gli adeguati strumenti
linguistici da utilizzare. Bisogna tener conto, però, che le varie informazioni che compongono il
testo possono essere presenti alla coscienza del destinatario in misura variabile, in quanto non
tutti avranno, ad esempio, una stessa enciclopedia rispetto ad altri. In tal caso, vediamo come dal
testo sarà possibile ricavare tre tipi di informazioni diverse:

 l’informazione di dominio comune, data e nota a tutti;


 l’informazione non data, ma ricavabile sulla base dei domini di referenza attraverso un
semplice ragionamento;
 l’informazione introdotta per la prima volta nel testo, non ricavabile dal contesto (ad
esempio, che la formula dell’acqua sia H2O non si può ricavare da nessun contesto, per cui
l’informazione sarà introdotta per la prima volta nel testo e sarà nuova, per coloro che non
possedevano già tale informazione).
Analizziamo, pertanto, il seguente testo, cercando analizzare le informazioni che esso contiene,
tenendo presente che esse sono ricavabili per via inferenziale:

Testo 2____ Francesco da Buti [il testo informa circa il fatto che Buti sia un paese] (Buti, Pisa,
1324 – Pisa, 1405) grammatico e letterato italiano. È noto soprattutto [avverbio che
sottintende “non solo”: si sta suggerendo che il grammatico ha scritto anche altro, che
evidentemente l’autore ritiene meno importante ricordare qui] per il suo commento sopra la
Divina Commedia, frutto di una lettura pubblica del poema [data la notorietà dell’opera
dantesca, l’autore dà per scontato che “poema” sia per il lettore un riferimento chiaro alla Divina
Commedia appena citata; in caso non lo si sapesse, l’informazione sarebbe comunque ricavabile
dal testo], commissionata dal comune di Pisa intorno al 1385 e poi condotta a termine
intorno al 1395 [informazioni secondarie, ma essenziali per l’inquadramento storico-geografico e
sociale]. Sostanzialmente [avverbio che non esclude qualche eccezione, cioè alcune cose del
testo sono effettivamente originali] debitore dei commenti precedenti [si allude all’esistenza di
altri commentatori di Dante che però qui non si ritiene opportuno specificare], quello di F. da B. è
ancora utile per le glosse grammaticali e per l’interpretazione letterale del poema [si lascia
intendere che il Commento non è utile per tutto il resto; ma, anche se quest’opera può dirsi
complessivamente poco utile per il lettore moderno, l’autore evidenzia opportunamente ciò che
essa può ancora offrire di buono].
4.3 - Deissi
La deissi, ovvero un elemento da cui dipende la coerenza di un testo, è l’insieme dei riferimenti
spaziali, temporali e personali che caratterizzano l’atto comunicativo e che trovano
espressione attraverso un’ampia gamma di categorie grammaticali. In particolare, la parola
“deissi” deriva dal greco deixis, cioè “indicazione”, a significato del fatto che essa vada ad indicare
gli elementi extra-testuali che legano un testo ad un determinato contesto.
Ogni testo, in particolare, è un atto comunicativo, frutto per la maggior parte dei casi di un’azione
volontaria, e tale atto presenta un suo centro deittico, chiamato anche “origo” (dal latino origo,
“origine”), che di solito coincide con il parlante e attorno al quale sono incardinati tutti gli elementi
deittici. Infatti, alcuni avverbi temporali come ieri, oggi e domani oppure avverbi spaziali come qui,
lì e là segnalano che l’avvenimento di cui si parla è ancorato al momento e al luogo in cui
l’enunciato viene prodotto e, in particolare, al parlante stesso.
Durante gli scambi comunicativi, tuttavia, gli avvenimenti rappresentati possono avere un punto di
riferimento deittico diverso rispetto a quello del centro deittico (ad esempio, se si sostituisce
l’avverbio ieri con il giorno prima, l’elemento deittico non è più incardinato all’origo e al momento
dell’enunciazione, ma bensì ad un altro riferimento, individuato all’interno del testo). Si può fare un
esempio attraverso le modalità del discorso diretto (in cui è presente una frase citante e una
frase citata, suddivise da segni interpuntivi quali i due punti e le doppie virgolette) e del discorso
indiretto (in cui vi è un solo piano enunciativo ed un solo centro deittico). Infatti, la scelta tra uno
dei discorsi comporta anche l’adeguamento degli elementi deittici, come possiamo vedere in:
- Marco mi ha chiesto: “Domani puoi venire qui?” (D. diretto);
- Marco mi ha chiesto se domani posso andare lì. (D. indiretto);
- Marco mi chiese se il giorno dopo sarei potuto andare lì. (D. indiretto).
Nel caso del discorso diretto i centri deittici (cioè i parlanti) sono due: io e Marco. Da ciò, quindi,
ricaviamo che in un dialogo i centri deittici saranno sempre più di uno. Nel discorso indiretto, al
contrario, il centro deittico è unico, ovvero l’io parlante. Ad ogni modo, mentre nel secondo degli
esempi il domani ancóra comunque la frase alla dimensione del parlante, l’espressione della terza
frase il giorno dopo, invece, che si riferisce al passato, non comunica una coordinata temporale
riferita al soggetto parlante. In particolare, nelle tre frasi, anche il verbo varia, sia
morfologicamente che lessicalmente. Dal punto di vista morfologico, infatti, il verbo passa dal
presente puoi al condizionale passato sarei potuto, cioè da una condizione che esprime futuro nel
presente ad una che esprime il futuro in una situazione passata. Dal punto di vista lessicale,
invece, il verbo passa da venire (che indica un avvicinamento all’io parlante) ad andare (che indica
allontanamento dell’io parlante). Tutto ciò quanto detto, quindi, rappresenta il cosiddetto
adeguamento deittico al contesto.
Bisogna considerare, tuttavia, che non tutti gli avverbi deittici richiedono di essere adeguati al
contesto, come nel caso dei giorni della settimana, di avverbi come prima, dopo e così via, ma
anche sostantivi come vigilia. Infatti, usando come esempi le frasi Marco mi ha chiesto: “Puoi
venire qui subito?” e Marco mi ha chiesto se posso andare lì subito, si può notare come l’avverbio
subito non subisce variazione. Andiamo, dunque, ad analizzare quali sono i vari tipi di deissi:
temporale (avverbi di tempo), spaziale (avverbi di spazio), personale e sociale (anche detta
deissi pronominale, poiché avviene attraverso i pronomi personali), testuale e dimostrativa
(attraverso i dimostrativi).
4.3.1 - Deissi temporale
La deissi temporale è l’insieme di riferimenti temporali che legano un testo ad un contesto.
La temporalità, in particolare, è la dimensione deittica più complessa e ricca di sfumature. A tal
proposito, bisogna distinguere tra due tipi di deittici: i deittici situazionali, che sono ancorati al
centro deittico (al parlante) e, quindi, ad un contesto situazionale extralinguistico; i deittici
anaforici (dove “anaforico” indica un richiamo a qualcosa che è stato già espresso
precedentemente), i quali sono legati ad un momento di riferimento variabile (tendenzialmente
nel passato), individuato nel testo stesso. Ad esempio, nell’espressione In quel momento, decisi di
diventare medico, il deittico In quel momento sarà anaforico, poiché esso non si lega alla
situazione comunicativa attuale, ma bensì ad un’altra. Nel corso della storia, tuttavia, il sistema
deittico dell’italiano è cambiato, soprattutto tra la fine dell’Ottocento e il Novecento, in quanto, fino
ad allora, molte espressioni che oggi sono situazionali potevano avere anche valore anaforico.
Nell’italiano di oggi, tuttavia, alcuni aggettivi possono prestarsi a più significati, come nel caso di
altro; ad esempio: ci vedremo un altro giorno (altro inteso come futuro); ci siamo visti l’altro giorno
(altro come passato). Anche aggettivi come contemporaneo adeguano il loro significato in
relazione alle circostanze; esso, infatti, può avere significato di “in quegli anni” e, in questo caso,
sarebbe un deittico anaforico, oppure può indicare “in questi tempi” ed essere situazionale, come
in questi esempi:

Testo 3____
 La Chiesa sosteneva il partito e il partito si faceva interprete degli interessi della
Chiesa, mediando tali interessi con le esigenze del mondo contemporaneo e, più in
generale, dei problemi della società moderna. [ “di quegli anni”  deittico anaforico]
 Maria è stata per me un grande esempio di passione e dedizione allo studio della
Cina contemporanea. [“di oggi, di questi tempi”  deittico situazionale]
 Si tratterebbe di cercare di ricostruire al Sud quel tessuto industriale e produttivo
che l’Italia contemporanea non ha mai conosciuto. [significato storico che divide
quattro epoche principali]
Anche i tempi verbali partecipano attivamente alla costruzione della deissi, prestandosi a
impieghi deittico-situazionali (in questo caso sono usati l’indicativo presente, il passato prossimo,
l’imperfetto, il passato remoto e il futuro semplice) o deittico-anaforici (e qui sono usati il
trapassato prossimo, il trapassato remoto, il futuro anteriore e il condizionale passato). In
particolare, però, con i verbi deittico-situazionali si distinguono il momento dell’avvenimento
(MA) e il momento dell’enunciazione (ME), il quale può porsi prima, dopo o in contemporanea
con l’MA. Ad esempio, nella frase Sto uscendo, MA e ME coincidono, per cui il verbo della frase
sarà deittico-situazionale. Nei deittici-anaforici, invece, oltre ai due momenti già espressi,
distinguiamo anche un momento di riferimento (MR), che serve a collocare sull’asse temporale
l’azione espressa; più chiaramente, esso esprime un momento “fisso”, indipendente dalle azioni
del parlante. Ad esempio, nella frase Quando arriverò alla stazione, il treno sarà già partito il ME è
il presente, il MA è il futuro, mentre il MR, cioè il fatto che il treno parte, indipendentemente dalle
azioni del parlante, è un futuro anteriore.
Attraverso il modo in cui possono essere disposti questi tre momenti, in italiano possiamo
esprimere anche: il passato nel futuro (Quando tornerò a casa, lo zio sarà già andato via, dove
MA: futuro, ME: presente e il MR: passato del futuro, cioè l’azione dello zio è già passata nel futuro
di cui si sta parlando), nonché il futuro nel passato (Infatti, mio zio mi aveva detto che sarebbe
andato già via al momento del mio ritorno, dove MA: passato, l’ME: presente e l’MR: futuro del
passato, cioè l’andare via dello zio è il futuro del passato che viene indicato).
Ad ogni modo, il mancato rispetto dei deittici adatti può creare messaggi spiazzanti o fuorvianti,
eventualmente anche a scopo giocoso o artistico. Ad esempio, nel motto Domani si fa credito, oggi
no, derivante dal titolo di una satira del latino Terenzio Varrone nel I secolo a.C., vi è un effetto
beffardo perché l’informazione, essendo scritta, è ancorata al momento della lettura e non c’è
modo di comprendere in riferimento a quale “domani” la scritta si riferisca. Tale errore avviene
anche nella scrittura di messaggi, anche perché non sempre l’emittente può sapere con
sicurezza quando il destinatario leggerà il messaggio. Ciò avviene tendenzialmente nelle e-mail,
dove, sebbene l’uso dei deittici temporali sia necessario per far comprendere all’interlocutore la
successione degli avvenimenti descritti, si dovrebbero evitare, invece, i deittici che implicano
condivisione temporale simultanea della conversazione (ad esempio la formula Buongiorno,
Buonasera e così via).
4.3.2 - Deissi spaziale
I deittici spaziali segnalano la posizione di un certo referente (ovvero l’oggetto di cui si parla)
nello spazio. Tali deittici sono, quindi, individuati in relazione ad un altro elemento esterno (ad
esempio accanto, vicino, ecc.), oppure in riferimento al parlante stesso, con espressioni di
vicinanza (qui, qua), di lontananza (là, lì), oppure di collocazione spaziale (a destra, a sinistra).
Inoltre, nei contesti formali dell’italiano burocratico, è ancora usato il dimostrativo codesto per
indicare qualcosa di vicino al destinatario ma non all’emittente. Si tratta, infatti, di un relitto
dell’italiano antico e letterario ancora in uso a Firenze. Ad esempio, nella Divina Commedia, il
traghettatore di anime Caronte si rivolge a Dante dicendo partiti da cotesti, in riferimento alle
anime, che sono vicine a Dante ma non a sé stesso. Un discorso simile vale anche per costui,
costei e costoro, che sono usati oggi soprattutto con valore anaforico, come nell’esempio Che
vuole costui che ficca il naso dappertutto?
Infine, tra i deittici spaziali vi è anche l’uso colloquiale di su e giù in riferimento a luoghi del Nord e
del Sud della penisola (ad esempio, Scendere giù in Sicilia).
4.3.3 - Deissi personale e sociale
Negli scambi comunicativi, ogni partecipante si rivolge al suo interlocutore scegliendo un
allocutivo, ovvero un pronome personale o un appellativo con cui egli stabilisce il primo
contatto, esplicita il grado di formalità e che tipo di rapporto vi è tra sé stesso e l’interlocutore.
Quindi, a patto che essi siano presenti nella conversazione, sono deittici personali tutti i pronomi
personali usati in riferimento agli interlocutori.
Vediamo, tuttavia, che tra i pronomi: io e tu sono sempre deittici situazionali (ovvero legati
prettamente al contesto comunicativo del parlante), tranne nel caso del tu fittizio o impersonale;
lui, lei e loro possono, invece, essere anche anaforici (soprattutto quando sono riferiti a individui
assenti ma richiamati nella conversazione); noi e voi, infine, poiché plurimi, ovvero comprendenti
sia di parlante che di interlocutore, possono avere valore deittico anaforico o situazionale in base
al contesto, sebbene ciò non sia, comunque, sempre definibile (infatti, il noi può essere sia
inclusivo che esclusivo, a seconda che comprenda o meno l’interlocutore; nella frase Stasera
andiamo al cinema, infatti, il noi è inclusivo e, pertanto, legato al parlante, mentre nella frase Allora
stasera andiamo al cinema, eh? il noi può essere anche inteso come esclusivo del parlante e,
quindi, lontano dal centro deittico, per cui anaforico).
Se usato correttamente, invece, è disambiguante l’aggettivo personale proprio, da riferire al
soggetto, sebbene possa anche essere usato con valore improprio o plurimo. Prediamo, infatti, ad
esempio le frasi:
- Marco ha incontrato Maria a casa propria (in questo caso non vi è ambiguità, in quanto la
casa a cui ci si riferisce è quella di Marco);
- Marco ha incontrato Maria a casa sua (il sua rende la frase ambigua: casa di lei o di lui?);
Ovviamente, soprattutto per via dei nuovi mezzi di comunicazione, non tutti gli scambi comunicativi
avvengono quando i parlanti sono in sincronia e in sintopia (cioè che condividono fisicamente lo
stesso tempo e luogo): infatti, la sincronia è massima nella conversazione telefonica e nelle
videoconferenze, quasi massima nella messaggistica istantanea e tendenzialmente molto alta
nelle e-mail. Questo aumento delle occasioni in cui vi è sincronia nei tempi attuali ha portato,
comunque, ad un fortissimo aumento della frequenza degli scambi, facendo sì che si
rimodellassero i rapporti interpersonali e che venissero spinti nella direzione dell’informalità e della
confidenzialità. Il tutto, ovviamente, ha comportato una difficoltà, da parte dei più giovani, nella
corretta gestione del registro medio-alto, tipico delle conversazioni formali.
Ad ogni modo, poiché prevede sempre la presenza di più di un individuo, la deissi personale è un
fatto soprattutto sociale (infatti è anche detta “deissi sociale”). In italiano, circa i suoi usi, bisogna
ricordare che il tu sia adoperato nei contesti informali, mentre il lei in quelli formali. In
quest’ultimo caso, se il lei è riferito ad un maschio, l’accordo del participio passato e dell’aggettivo
sarà maschile, sebbene possa essere usato anche il femminile, in quanto percepito come ancora
più formale. Inoltre, con il lei è anche possibile, in scritti molto formali, usare la maiuscola
reverenziale (come in ArrivederLa), cosa possibile anche con i pronomi ella, loro e voi, sebbene
questa pratica sia confinata soprattutto ai contesti burocratici. In questo caso, ella in maiuscolo si
riferisce ad una singola persona, loro a più persone (a sostituzione del classico uso di voi) ed è
una forma di estrema cortesia, dal sapore antiquato, mentre il voi, sempre per riferirsi ad una
singola persona, che nell’italiano letterario era ricorrente per tutto l’Ottocento, è correntemente in
uso soltanto in Italia meridionale (cioè è un regionalismo). Naturalmente, il grado di formalità
con cui un interlocutore si rivolge all’altro può variare nel corso del discorso, rappresentando o una
maggiore confidenza acquisita, oppure una perdita di rispetto.
Negli scambi comunicativi empatici, invece, si tende ad usare spesso il deittico personale del
noi inclusivo, che tende ad introdurre una sfumatura di coinvolgimento affettivo tra i due
parlanti (esempio: Allora, come andiamo?).
In alcune situazioni particolari, poi, il parlante può riferirsi a sé stesso con la terza persona, come
in alcuni passi letterali, oppure con la quarta persona, detta anche plurale maiestatis, possibile
in condizioni di formalità quali i contesti istituzionali, adoperate dai politici. Questo, tuttavia, è
anche molto legato al contesto politico-culturale del paese a cui ci si riferisce; infatti, in Russia i
politici non li utilizzano.
Sempre facenti parte della deissi personale e sociale sono gli appellativi e i saluti, forme non
meno importanti nella comunicazione interpersonale. Infatti, le formule d’apertura con le quali si
richiama l’attenzione del nostro interlocutore prevedono solitamente una sequenza formata da un
titolo di cortesia (esempio: egregio, gentile e caro) seguito o da un nome generico (come
signore/a) o da un titolo professionale (come professore, dottore e così via). Alcuni appellativi,
invece, sono prerogativa di personalità ecclesiastiche, come Sua Santità per il papa o Sua
Eccellenza per i cardinali, mentre Sua Maestà è pertinenza di re e regine; ad ogni modo, questi e
altri appellativi così formali trovano spesso anche usi antifrastici e ironici.
Per quanto riguarda i saluti, infine, sono comuni l’amichevole ciao (a cui corrisponde il tu) e
buongiorno/buonasera (sono fortemente situazionali, cioè legati al referente), nonché
arrivederci (o più formalmente arrivederla). Salve, invece, è una soluzione “opaca”, in quanto
rende ambiguo il grado di confidenza che si ha con l’interlocutore e, pertanto, va evitato nei
contesti formali.
4.3.4 - Deissi testuale
Abbiamo distinto, precedentemente, tra deittici anaforici e situazionali. Tra le forme di rinvio
anaforico (da “anafora”, ovvero “richiamare ciò che è stato detto precedentemente”) vi sono
anche, allora, i deittici testuali, ovvero quegli elementi del testo che rimandano alla globalità
del testo stesso o, comunque, ad una sua partizione; se, invece, tali rinvii anaforici rimandano a
singole espressioni già menzionate nel testo, si parla di “coesivi”.
I deittici testuali, in particolare, possono servire ad esplicitare l’organizzazione del discorso,
richiamandosi ad una parte di testo precedente, oppure preannunciando quanto seguirà. Questo
è frequente, infatti, soprattutto nei testi di manualistica scolastica o universitaria, in cui vi sono
continui richiami a porzioni di testo già trattate o ancora da esaminare, come in:

Testo 4____ Nella parte precedente del testo, abbiamo discusso l’esistenza di geni sui
cromosomi che controllano caratteri fenotipici e la maniera con la quale i cromosomi sono
trasmessi alla discendenza futura attraverso i gameti [...]. Nella parte iniziale, questo
capitolo riesamina la prova che il DNA è il materiale genetico; di seguito ne illustra la
struttura.
Un altro loro impiego è anche di presentare al destinatario il testo medesimo, come nella frase La
presente disposizione…, dove l’uso di presente, di tono burocratico, fa riferimento alla
disposizione stessa. Queste forme di deissi possono ricorrere anche in discorsi orali d’una certa
ampiezza, sebbene, in tal caso, la condivisione della situazione enunciativa tra parlante e
interlocutore fa sì che il centro deittico del parlante e quello del testo (cioè deissi situazionale e
deissi anaforica-testuale) coincidano, giacché il referente, entrambi i casi, è comunque il testo.
Analogamente, l’interpretazione può risultare incerta quando sono in gioco espressioni temporali
e spaziali. Consideriamo, infatti, l’esempio: Non è stata mai dedicata molta attenzione alla
distribuzione del reddito: lì si annida la disuguaglianza. La presenza dell’avverbio di luogo lì, il
quale rinvia a qualcosa di interno al testo, cioè la distribuzione del reddito, suggerisce che si tratti
di un deittico testuale; d’altra parte, il fatto che tale richiamo riguardi un’entità che fosse stata già
menzionata induce a ritenerlo come un coesivo anaforico. Per cui, per evitare errori, bisognerà
sempre verificare se vi sia la presenza o meno del referente all’interno del testo; se esso manca, si
può parlare, quindi, di un deittico testuale.
Un altro elemento di ambiguità è l’avverbio allora. Esso, infatti, derivando dall’espressione latina
Ad illa(m) hora(m) – “a quell’ora, a quel tempo” – implica, etimologicamente, un rimando ad un
momento precedente ma, nel corso del tempo, esso è stato desemantizzato, assumendo anche
la connotazione di un semplice introduttore di frase generico (detto anche “fatismo”). A
quest’ultima accezione è rimandabile la frase Allora, che facciamo?, mentre in Quando avrai finito i
compiti, allora potrai uscire, l’allora, riferendosi ad un momento espresso precedentemente nel
testo stesso, avrà valore anaforico.
4.3.5 - Dimostrativi
Anche gli aggettivi e i pronomi dimostrativi possono avere valore deittico, in relazione al
determinato contesto. Ad esempio, questo e quello possono avere un valore chiaramente
deittico (cioè di concatenazione del testo al contesto), come in Questo sapore è caratteristico, e
possono anche dotarsi di sfumature connotative, esprimendo, ad esempio, distacco e disprezzo
(esempio: Chi è questo qua?). Essi, tuttavia, possono anche servire per fornire un rilievo deittico
particolare ad un’informazione nuova del discorso oppure, nel caso di quello, per alludere a
referenti tabuizzati (Una di quelle).
I dimostrativi, infine, sono utilizzati anche per richiamarsi a un referente espresso in un’altra parte
del testo, motivo per il quale il loro uso può essere, oltre che deittico, anche anaforico, quando
rinvia indietro nel testo, o cataforico, quando rinvia avanti nel testo. Eventualmente, può fungere
da connettivo nelle frasi. Ad esempio:
- Se vuoi riuscire a fare il puzzle, i pezzi li devi mettere così (così = “in questo modo”,
deittico).
- Abbiamo saputo che non sarebbe venuto e così ce ne siamo andati (“a quel punto”,
connettivo).
- I nostri servizi di sicurezza sono inefficienti perché così li hanno voluti gli accordi (rinvia a
inefficienti, anaforico).
4.4 - Coesione
La coesione, altro requisito fondamentale del testo assieme alla coerenza, è l’insieme delle
connessioni grammaticali e semantiche che si stabiliscono all’interno di un testo e, in
particolare, connessioni tra un certo elemento linguistico (detto “punto di attacco”, “antecedente”
o “capocatena”) e un altro elemento che nel corso del testo lo riprende una o più volte (detto
“coesivo”, “ripresa” oppure “proforma”). Il punto di attacco, più in particolare, sarà proprio il
referente, ovvero quell’oggetto, quell’elemento extratestuale che vogliamo designare e a cui ci
riferiamo mentre parliamo.
Le connessioni, in particolare, possono essere sia di tipo morfosintattico (come nel caso della
concordanza di numero e genere tra soggetto e verbo e così via), che di tipo interpuntive (infatti,
la punteggiatura evidenzia le relazioni logico-sintattiche tra le componenti interne della frase,
cosicché il suo intento non riprodurre le tonalità e le cadenze del parlato); possono essere, inoltre,
anche ti natura lessicale-semantica.
Tra i coesivi, cioè gli elementi che, nel testo, richiamano il punto di attacco, distinguiamo tra:

 coesivo lessicale (se l’elemento ha un contenuto semantico ricco, come i sostantivi, gli
aggettivi, i verbi e le riformulazioni);
 coesivo non lessicale (se tale elemento ha un contenuto semantico povero, come i
pronomi; esempio: Gli occhiali dove li hai presi? – occhiali è semanticamente ricco e può
funzionare anche da solo, mentre li è un coesivo non lessicale, semanticamente povero e
preso in assoluto non dà un significato vero e proprio);
Abbiamo, inoltre, la differenza tra:

 coesivo nominale (se il punto di attacco, ovvero l’elemento linguistico che il coesivo
richiama, è un sostantivo o un sintagma nominale);
 coesivo testuale (se l’elemento a cui il coesivo rinvia è una frase semplice, un intero
periodo o una porzione del testo).
Infine, a seconda della sua posizione rispetto all’antecedente, un coesivo può essere:

 anaforico, quando viene dopo (maggior parte dei casi);


 cataforico, quando viene prima (casi rari). In questo caso, pertanto, il punto di attacco va
ricercato nel cotesto successivo e, quindi, il sostituto precede (invece di seguire) il
referente testuale: ciò significa che il rinvio cataforico comporta la sospensione
dell’interpretazione del testo.
In caso vi sia una successione di più coesivi che dovessero fare riferimento allo stesso punto di
attacco, tale successione sarà detta catena anaforica (oppure cataforica), che si apre con un
antecedente e che prosegue con coesivi differenti. Prendiamo l’esempio della frase: Il mio gatto è
molto affettuoso. Quando lo chiamo, salta sulla scrivania. In questo caso, sulla base di quanto
detto, il mio gatto sarà il referente del testo e lo andrà ad essere riferito ad esso; quindi, in questo
caso, il mio gatto sarà il punto di attacco e lo un coesivo non lessicale, nominale e, soprattutto,
anaforico, poiché segue l’antecedente. Diversamente sarebbe se la frase fosse scritta come: Il mio
gatto è molto affettuoso. Quando lo chiamo, Felice salta sulla scrivania. In questo caso, il referente
sarà Felice, ovvero il nome del gatto, mentre il mio gatto sarà un coesivo lessicale nominale e
cataforico, così come lo, a differenza del fatto che quest’ultimo sarà non lessicale.
In particolare, tutti gli elementi che si riferiscono allo stesso referente testuale si chiamano
coreferenti. Si parla di riferimento, in particolare, quando si instaura un legame semantico tra
un elemento del testo e il referente stesso, un legame di rinvio per ogni relazione di rimando tra
due elementi di uno stesso testo. Proviamo ad analizzare i coesivi e i referenti di un testo:

Testo 5____ La Bibbia: una biblioteca scritta da migranti. Così qualche mese fa un
gesuita tedesco, Dominik Markl, intitolava un suo articolo sulla rivista “Civiltà cattolica”
(n. 4018). Effettivamente si può concordare con lui che questo testo sacro […] “è una
piccola biblioteca da portare nel bagaglio a mano, scritta da e per migranti”. Non per
nulla essa si apre con una migrazione drammatica.
In questo testo, vi sono elementi che vengono richiamati di continuo e permettono al testo di
mantenere una sua coesione. Tali referenti, ovvero i punti di attacco, sono, quindi, Bibbia,
biblioteca, migranti e Dominik Markl e tutti i coesivi sono anaforici rispetto ad essi (tranne
gesuita tedesco, il quale è cataforico rispetto a Dominik Markl). Infatti, Bibbia è richiamata dai
coesivi lessicali questo testo sacro e da essa; biblioteca, invece viene rinviata per ripetizione da
biblioteca; migranti, oltre che dalla ripetizione migranti, viene richiamato anche dal sintagma di
significato affine migrazione drammatica; per ultimo, Dominik Markl viene ripreso dal coesivo lui e
gesuita tedesco. Tra questi antecedenti, ve ne uno, la Bibbia, che rappresenta il tema del testo,
ovvero l’argomento principale, conosciuto e condiviso tra gli interlocutori, su cui poi si dipana il
resto del testo. A tal proposito, si potrebbe anche affermare che i coreferenti, come una biblioteca,
sono coesivi anaforici rispetto alla Bibbia, sebbene comunque aggiungano informazioni
nuove, rendendo possibile la cosiddetta “progressione tematica del discorso”, cioè il passaggio
da un argomento ad un altro.
In particolare, vi sono diversi tipi di rinvii anaforici. In primo luogo, vi è il rinvio endoforico (dove
“endo” è un prefissoide che indica “dentro”), che richiama ad un antecedente interno al testo:
esempi di esso sono i rinvii anaforici (e in questo caso si dice che il coesivo è “orientato a
sinistra”, in quanto il punto di attacco si troverà prima, e quindi “a sinistra” nella frase, rispetto al
coesivo stesso) e i rinvii cataforici (in questo caso si dice “orientato a destra”, poiché il referente
si troverà a destra rispetto al coesivo). Più comune nel parlato spontaneo, invece, è il rinvio
esoforico (cioè extratestuale); ricordando il significato dei deittici come elementi che ancorano il
testo al contesto, diremo che un rinvio è deittico quando ha bisogno di un ancoraggio esterno,
cioè quando il punto di attacco è extratestuale (esempio: Sono meravigliose, dove le hai prese?
dove le è un coesivo deittico).
Per gestire tutte queste relazioni (cioè rinvii) anaforiche si possono avere due tipi di modi: la
ripetizione e la sostituzione. In particolare, la ripetizione può essere totale o parziale, a
seconda di come venga riprodotto il punto di attacco; nella frase Il serpente corallo comune è
diffuso negli Stati Uniti. Questo serpente presenta una colorazione vistosa. Il morso del serpente
corallo causa la morte, l’antecedente serpente corallo comune viene ripreso sia con una ripetizione
parziale (questo serpente) che con una ripetizione totale di esso. Diversamente, per sostituzione
l’antecedente può essere cambiato nei rinvii con: pronomi (ovvero coesivi non lessicali), cioè con
sostitutivi vuoti che si riempiono di volta in volta del significato dell’antecedente a cui rinviano
(come in Il mio gatto viene quando lo chiamo); proforme (cioè coesivi lessicali), che sono termini
dal significato generale usati come se fossero dei pronomi (ad esempio Marco va a correre tutti
i giorni. La cosa non mi stupisce – in questo caso il sostantivo cosa diventa un pronome del fatto
che Marco vado a correre).
È curioso notare come, in italiano, il termine “antecedente” presenti molti sinonimi: costituente,
elemento o referente testuale, punto di attacco e capocatena. Questo è dovuto al fatto che la
linguistica italiana abbia avuto sempre un approccio maggiormente diacronico, cioè storico,
invece che sincronico: in altri termini, lo studio dell’italiano contemporaneo è relativamente
recente, in quanto l’analisi della lingua italiana è stata sempre trattata da un punto di vista storico.
L’italiano in sé, quindi, è una lingua giovane (basti pensare che prima della Seconda guerra
mondiale compatrioti di diverse regioni a stento si comprendevano), per cui, trovare molti
significanti diversi per uno stesso significato è un qualcosa di comune, proprio per via di tutti gli
arcaismi derivanti dallo studio storico della lingua.
Ad ogni modo, l’antecedente può essere anche un sintagma nominale (Il giovane attaccante subì
un fallo. L’avversario lo aveva atterrato con un calcio), un sintagma verbale (Marco superò
l’avversario con una finta, Giovanni lo fece con un pallonetto), un sintagma aggettivale (Il calcio è
un gioco adatto ai bambini, altri giochi non lo sono), un sintagma preposizionale (La nostra
squadra indossa pantaloncini con le righe laterali: quelli degli avversari sono uguali) oppure
un’intera preposizione.
Vi sono, poi, dei tipi di anafora detti “ellissi del soggetto” e “anafora zero”. Infatti, in italiano,
l’ellissi del soggetto è molto comune, in quanto, se il soggetto del periodo rimane invariato,
esso può essere omesso. Più chiaramente, nella frase Il mio gatto ha sempre fame. Quando sente
il rumore della scatola di croccantini, viene in cucina per mangiarli, il richiamo anaforico è
sottinteso (cioè non è esplicitamente ripetuto il pronome lui) grazie alla marca morfologica (cioè
il genere e il numero) del verbo, come nel caso di viene e di sente, che sono riferiti alla terza
persona del gatto, esplicitata precedentemente. Diversamente, la parte di frase per mangiarli non
richiama in modo diretto nessun soggetto, per cui saremo in caso di anafora zero, cioè un
richiamo anaforico che non rende l’antecedente identificabile. In questi casi, quindi, per
comprendere chi sia il referente, dovremmo ricorrere ad una regola dell’italiano, secondo cui il
soggetto di una subordinata implicita è lo stesso della reggente. Quindi, in conclusione, quando i
richiami anaforici sono impliciti, se i verbi della preposizione sono espliciti, cioè presentano una
marca morfologica, si parla di ellissi del soggetto; se sono impliciti, cioè non si riferiscono a
nessun soggetto, si parla di anafora zero (entrambi sono indicati col simbolo ø).
Questi espedienti dell’anafora zero e dell’ellissi del soggetto rientrano nell’ambito dei rinvii anaforici
per sostituzione pronominale. La sostituzione lessicale (cioè con coesivi lessicali), avviene,
invece, attraverso ripetizioni totali o parziali, oppure per mezzo di sinonimi (sebbene non dal
significato prossimo), iperonimi (cioè un nome di classe generale di cui fa parte il nome da
sostituire; ad esempio, l’iperonimo di rosa è fiore), iponimi (cioè l’inverso degli iperonimi; ad
esempio, l’iponimo di fiore è rosa) ed infine per perifrasi sinonimiche.
Cerchiamo di riconoscere, quindi, antecedente, coesivi e catena anaforica in un testo:

Testo 6____ Quando torniamo in Italia ci iscriviamo Gigi e io all’università, a Bologna.


Affittiamo una stanza con uso cucina da una signora anziana che occupa un’altra
camera sul lato opposto dell’appartamento, fuori Porta Saragozza. Lo stabile è dello
IACIPÌ e la nonna, a rigore, non potrebbe subaffittare visto che la casa l’ha gratis, così
siamo costretti a contrabbandarci per nipotini suoi.
Il primo antecedente, nel testo, nonché anche tema principale, è Gigi e io, ovvero un noi.
Attraverso le marche morfologiche “-iamo” nel verbo torniamo e iscriviamo avremmo ellissi del
soggetto, ovvero richiami cataforici (poiché precedono il soggetto). Sono, invece, coesivi
anaforici per ellissi del soggetto i successivi affittiamo, siamo e contrabbandarci, mentre nipotini è
una sostituzione. Il secondo antecedente è la parola stanza, che nel corso del discorso viene
sostituito da forme iperonimiche, cioè di classe sempre più generale, come stabile, casa e così
via. Inoltre, al secondo antecedente si riferisce anche il coesivo non lessicale la (troncato nel
testo). Terzo referente, invece, è il sintagma signora anziana, la quale viene ripresa per
sostituzione dal sinonimo nonna e dal possessivo suoi. Nel caso di potrebbe e di ha, invece, vi è
ellissi del soggetto.
4.4.1 - Coesivi testuali
Vediamo, ora, i coesivi testuali, osservando le loro forme, cioè la loro configurazione linguistica
(ovvero a quali categorie grammaticali appartengono e come si combinano con le altre parti del
discorso) e le loro funzioni.
Occorre introdurre il concetto di incapsulatore, ovvero un elemento linguistico che rinvia a una
porzione di testo più o meno ampia, composta da una o più frasi, per cui è un coesivo testuale.
Esso può essere sia lessicale (sostantivo, aggettivo, sintagma nominale) che non lessicale
(pronome, avverbio). Vediamo, dunque, alcuni esempi in cui ricavare i referenti e gli incapsulatori:

Testo 7____
 I modelli hanno esaminato come le popolazioni potrebbero spostarsi in futuro se le
emissioni di gas serra diminuissero e hanno confrontato questo scenario con
quello che potrebbe accadere se le emissioni continuassero sulla loro traiettoria
attuale.
 Alcune persone dovranno migrare qualunque siano le misure che verranno prese ,
ma questo non deve diventare una crisi.
 Perché un contratto bancario sia valido è sempre necessaria sia la sottoscrizione
che quella del funzionario della banca. Così ha affermato il giudice di prime cure cui
era stata affidata la vicenda.
 Haydée, la bella figlia di un pirata, si innamora di Don Giovanni: ma il padre li
sorprende e fa prigioniero il giovane, imbarcandolo su una delle sue navi. Haydée
ne muore di dolore.
Nell’ultima frase, il referente Hydée viene rispesa dal sintagma la bella figlia, dalla marca
morfologica “-ra” in innamora, per ripetizione totale e, infine, dalla marca morfologica “-re” in
muore. Il secondo referente, cioè pirata, viene ripreso dal coesivo lessicale padre, dalla marca
morfologica del verbo fa e dal possessivo sue. Infine, l’ultimo antecedente è Don Giovanni,
ripreso per sostituzione sinonimica da prigioniero e giovane ed infine dalla marca morfologica
“-lo” in imbarcandolo. In ultima analisi, il ne rappresenterà l’incapsulatore, ovvero il coesivo
testuale che richiama alla parte precedente del testo.
In questi esempi, gli incapsulatori sono anaforici, ma ovviamente tale elemento può essere anche
cataforico, come dimostrato dal seguente testo:

Testo 8____ “A casa di mio fratello c’è anche mia madre”, aveva spiegato Graziano
Mesina. Per la verità̀ , l’anziana madre di “Grazianeddu”, in questi giorni, non si è mai
mossa da Orgosolo. Ed ecco la prima stranezza [incapsulatore anaforico] in questa vicenda.
Ma ne arriva subito una seconda [incapsulatore cataforico]. Proprio giovedì̀ scorso, quando è
stato trasferito a Vercelli, Graziano Mesina avrebbe dovuto presentarsi in un’aula di
Tribunale a Nuoro per deporre come testimone.
Ancora, aggiungiamo che, quando un rinvio è cataforico, il punto d’attacco va ricercato nel cotesto
successivo, per cui il “sostituto” precede (invece di seguire) il referente testuale. Ciò determina il
rinvio cataforico che comporta la sospensione dell’interpretazione del testo, come nei seguenti
esempi:

Testo 9____
 La notizia è ormai ufficiale: il premier ha rassegnato le dimissioni.
 A lungo si è parlato della nuova tavoletta made in Apple. A lungo si è immaginato
come Ø fosse, quali caratteristiche avesse la nuova meraviglia della mela
morsicata. Ma adesso il nuovo prodotto è stato presentato: l’Ipad3 è arrivato.
Per quanto riguarda la sua funzione, l’incapsulazione contribuisce in modo rilevante alla
strutturazione del testo perlomeno da quattro punti di vista: informativo, sintattico, semantico e
logico-testuale.
Da un punto di vista informativo, l’incapsulatore lessicale, condensando un concetto in una nuova
parola, introduce nel testo un referente testuale nuovo, semanticamente ricco. Inoltre, esso serve
anche a tematizzare il rema della frase precedente e a predisporre l’ingresso di un nuovo rema.
In particolare, il “tema” è l’informazione nota, condivisa da entrambi gli interlocutori, mentre il
“rema” è l’informazione nuova, inedita o a entrambi gli interlocutori o solo ad uno di essi;
nell’esempio C’era una volta un principe. Il principe si chiamava… “il principe” sarà, nella prima
frase, il rema, ovvero un elemento nuovo nel testo, dato che non sapevamo ci fosse prima di
allora, mentre, nella seconda parte del testo, esso sarà tema, poiché oramai è una conoscenza
nota da parte dell’interlocutore. Pertanto, si può evincere che ogni volta che si parla si alterna
sempre, nei propri discorsi, fra rema e tema. Quindi, la funzione di passaggio tra un rema e un
tema può essere svolta anche dalle locuzioni preposizionali come al riguardo/al proposito che,
ovviamente, andranno ad essere degli incapsulatori anaforici.
Da un punto di vista sintattico, l’incapsulatore assume spesso un ruolo sintattico alto, potendo
diventare soggetto (anche se non necessariamente: infatti, può anche diventare un
complemento, continuando, tuttavia, ad avere un ruolo sintattico alto) delle frasi successive a
quella di riferimento, come nell’esempio: due auto si sono scontrate frontalmente sulla statale 460.
Lo schianto è avvenuto intorno all’una, dove lo schianto, che incapsula la frase precedente, sarà il
soggetto della quasi successiva.
Da un punto di vista semantico, invece, l’incapsulatore, quando lessicale, introduce un nuovo
referente testuale, portatore di nuovi valori semantici, che possono essere: neutri e denotativi,
con il ricorso a parole dal significato generico o dal valore referenziale come cosa, idea, situazione
e così via; valutativi e connotativi, se ricorrono aggettivi o sostantivi che esprimono una forma di
giudizio o una particolare sfumatura di significato. Pertanto, l’incapsulazione connotativa è molto
frequente nella conversazione quotidiana, così come nella saggistica e nella scrittura giornalistica,
sia per orientare l’opinione del lettore, sia per sintetizzare più facilmente le informazioni.
Da un punto di vista logico-testuale, all’interno di un testo, le connessioni logico-semantiche
che correlano le sue parti sono espresse dai connettivi, alcuni dei quali presentano, al loro
interno, degli incapsulatori. Degli esempi possono essere i connettivi di valore: causale (che
possono essere lessicali e non lessicali: per questo, per quello, a causa di); concessivo (perlopiù
non lessicali: ciò nonostante, nonostante ciò); conclusivo (perlopiù non lessicale: con ciò, con
questo, pertanto, perciò); condizionale (sia lessicali che non: ammesso ciò, nell’ipotesi che, a
condizione/patto che); consecutivo (sia lessicali che non: così che, motivo per cui); finale
(perlopiù lessicali: al fine di, allo scopo di, con l’intenzione di). Tali incapsulatori-connettivi sono,
pertanto, risorse che consentono alla relazione logico-semantica di emergere in modo più esplicito.
Inoltre, incapsulatori-connettivi come quelli citati possono contribuire alla coesione del testo anche
tramite la tematizzazione di un determinato rema, come nel testo:

Testo 10____ Però occorre che sulle rotaie, fra i due deviatori, si stabilisca il contatto:
basta una leggerissima patina di ghiaccio e il dispositivo non funziona. È per questo
[incapsulatore-connettivo causale] che liberare semplicemente dalla neve gli scambi non basta.
4.4.2 - Coesivi nominali
Quando l’elemento richiamato non consiste in una o più frasi, o segmenti più ampi, di un testo,
ma, bensì, in un sostantivo o in un sintagma nominale (così come anche un pronome, un
aggettivo o avverbio) abbiamo un coesivo nominale.
In particolare, dato, ad esempio, l’antecedente medicinale, potremmo richiamare questo punto di
attacco tramite i seguenti coesivi nominali lessicali: medicinale (una semplice “ripetizione”);
rimedio (termine semanticamente più ampio rispetto a medicinale, cioè “iperonimo”); antipiretico
(significa “farmaco contro la febbre” ed è, pertanto, “iponimo”, ovvero semanticamente più ristretto
di medicinale); farmaco (semanticamente coincide con medicinale ed è, pertanto, “sinonimo”);
sostanza dotata di virtù terapeutiche (espressione semanticamente più ricca di medicinale e,
pertanto, una “riformulazione”).
Oltre a queste, sono possibili relazioni semantiche anche di tipo diverso, fondate
sull’opposizione più o meno graduabile tra i significati (detta “antonimia”), sulla relazione
parte-tutto (detta “meronimia”) oppure sulla metonimia (cioè fondate sulla sostituzione di un
termine con un altro che ha con il primo una relazione di vicinanza). Un esempio di quest’ultima
possono essere i verbi assumere, ingerire o somministrare, i quali si riferiscono all’antecedente
medicinale grazie ad un rapporto logico di associazione (in questo caso si parla di “anafora
associativa”).
Tuttavia, sebbene i coesivi lessicali giochino un ruolo assolutamente decisivo ai fini della coesione
di un testo, sono pressoché irrinunciabili anche i coesivi non lessicali, quali i pronomi, gli
aggettivi e l’ellissi. Ma coesivi lessicali e non lessicali, nel corso del testo, si alternano fra di loro, a
seconda delle diverse loro funzioni informative, sintattiche, semantiche e testuali. Esaminiamo,
pertanto, un testo dal punto di vista dei coesivi, segnalando anche antecedenti e catene foriche
e specificando, per ogni forma di ripresa, il tipo di coesivo:

Testo 11____ Torna alla ribalta l’interferone [1], la “magica” medicina [1a] che qualche
anno fa sollevò speranze [2] miracolistiche, poi duramente ridimensionate. Ne [1b]
parlano da ieri oltre duecento scienziati [3] provenienti da tutto il mondo, Giappone e
Stati Uniti compresi, riuniti presso l’Istituto superiore di sanità in un convegno, promosso
dalla Società internazionale per le ricerche sull’interferone, che durerà fino a sabato
prossimo. Nomi famosi, illustri biochimici e clinici e ricercatori [3a] che da dieci o venti anni
lavorano nei loro laboratori [3b] ø per scoprire i segreti di questa minuscola proteina [1c] a
cui, secondo molti, sarebbe affidato il futuro della nostra salute. La scienza [3c] non ama i
miracoli e perciò ha ridimensionato le speranze [2a] accese un po’ prematuramente
dall’interferone [1d], che si pensava potesse curare tutto. Dopo i risultati negativi dei primi
approcci, si era diffuso nel mondo scientifico [3d] un certo scetticismo sulle possibilità
terapeutiche di questo farmaco [1e]: ma a mano a mano che sulle proprietà dell’interferone
[1f] si va facendo luce[...], sembra sempre più sicuro che proprio lui [1g] sarà un
protagonista del nostro futuro sanitario [4]: lo [4a] dimostra se non altro il fatto che
grandi industrie farmaceutiche [5] stanno accentuando il loro interesse sulle ricerche in
corso, e che proprio nei giorni scorsi una casa produttrice italiana [5a] ha lanciato il primo
interferone “tutto italiano” [1h], destinato a sconfiggere l’herpes. L’interferone [1i] non è un
prodotto di sintesi [1l]: lo [1m] produciamo anche noi, quando le cellule del nostro
organismo vengono attaccate da un virus. [...] Da ciò le speranze [2b] originarie, che
fecero pensare per qualche tempo che l’interferone [1n] fosse una panacea contro ogni
male [6]: anche, anzi in primo luogo, contro i tumori [6a]. Si pensava infatti che
intervenendo nei meccanismi di riproduzione delle cellule tralignanti [6b], lo [6c] si ø
potesse bloccare. Speranze [2c] che purtroppo, per ora, sembrano ancora lontane dal
realizzarsi. [...] Sabato prossimo verranno presentati alcuni promettenti risultati [2d], che
consentirebbero finalmente a questa preziosa proteina [1o] di ø divenire veramente il
“farmaco del futuro” [1p].
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I catena forica <-> Referente: INTERFERONE
1. la “magica” medicina = lessicale, riformulazione, connotativo;
2. ne = non lessicale, pronome;
3. questa minuscola proteina = lessicale, sostituzione iperonimica (iponimica rispetto a medicina),
connotativo;
4. interferone = lessicale, ripetizione totale;
5. questo farmaco = lessicale, sostituzione iperonimica (sinonimica rispetto a medicina);
6. interferone = lessicale, ripetizione totale;
7. lui = non lessicale, pronome;
8. interferone “tutto italiano” = lessicale, ripetizione totale con aggiunta di aggettivi connotativi;
9. interferone = lessicale, ripetizione totale;
10. prodotto di sintesi = lessicale, riformulazione;
11. lo = non lessicale, pronome;
12. interferone = lessicale, ripetizione totale;
13. questa preziosa proteina = lessicale, riformulazione con sostituzione iperonimica, connotativo;
14. “farmaco del futuro” = lessicale, riformulazione con sostituzione iperonimica, connotativo (per via
delle virgolette).

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

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II catena forica <-> Referente: speranze
1. speranze = lessicale, ripetizione totale;
2. speranze = lessicale, ripetizione totale;
3. Speranze = lessicale, ripetizione totale;
4. promettenti risultati = lessicale, riformulazione.

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

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III catena forica <-> Referente: convegno
Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

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IV catena forica <-> Referente: duecento scienziati


1. Nomi famosi, illustri biochimici e clinici e ricercatori = lessicale, sostituzione iponimica;
2. loro = non lessicale, pronome;
3. La scienza = lessicale, anafora associativa;
4. metodo scientifico = lessicale, anafora associativa;

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

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V catena forica <-> Referente: nostro futuro sanitario
1. lo = non lessicale, pronome incapsulatore.

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VI catena forica <-> Referente: grandi industrie farmaceutiche


1. casa produttrice italiana = lessicale, sostituzione iponima.

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

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VII catena forica <-> Referente: ogni male


1. tumori = lessicale, sostituzione iponima;
2. cellule tralignanti = lessicale, sostituzione iponima (riformulazione rispetto a tumori);
3. lo = non lessicale, pronome.

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Inoltre, si può notare come, nel testo, alcune catene anaforiche e alcune espressioni proseguono
per alcune righe, per poi interrompersi e avvicendarsi con altre e che, alcune di queste,
introdotte all’inizio, possono tacere per diverso spazio e ricomparire alla fine, soprattutto se si
tratta di elementi connotativi; del resto, l’inizio e la fine di un articolo di giornale sono i momenti
testuali che più da vicino chiamano in causa il lettore, sollecitandolo anche emotivamente, più o
meno come avviene in una lettera, con formule allocutive in apertura e quelle di congedo in
chiusura.
Ad ogni modo, varrà la pena di ricordare anche usi particolari e caratteristici di alcune varietà
dell’italiano che riguardano tali coesivi nominali. Ad esempio, nell’italiano letterario, gli avverbi di
luogo quivi, indi, ivi non hanno valore deittico (come qui e lì), ma bensì anaforico, perché
rimandano a luoghi citati in precedenza nel testo. Inoltre, anche nella prassi della scrittura
accademica (come in tesi di dottorato e di laura), per i riferimenti bibliografici usati nelle note o
nel corpo del testo, sono usate espressioni abbreviate che rinviano al testo medesimo, come le
formule infra (per rimandare ad una nota che segue) o ivi (per riferirsi all’ultima opera bibliografica
citata nel contesto precedente).
Per quanto concerne le funzioni dei coesivi nominali, analogamente a quanto spiegato per gli
incapsulatori, anche essi contribuiscono alla strutturazione del testo, almeno in alcuni dei punti di
vista precedentemente osservati per i coesivi testuali.
Infatti, da un punto di vista informativo, un coesivo nominale lessicale è una risorsa molto utile
per tematizzare il rema precedente, eventualmente con un’espressione connotata, come può
essere nell’esempio Torna alla ribalta l’interferone, la “magica” medicina…, dove l’interferone
rappresenterà il rema, cioè l’informazione nuova ed espressa denotativamente, mentre “magica”
medicina il tema, riformulando il rema connotativamente. Da un punto di vista sintattico, invece,
la scelta del coesivo nominale può determinare la chiarezza comunicativa del testo, giacché esso
può ricoprire il ruolo di soggetto quando, ad esempio, l’antecedente è un complemento indiretto
o si trova all’interno di un sintagma nominale complesso.
4.4.3 - Coesivi e relazioni semantiche
Da quanto abbiamo visto finora, i coesivi stabiliscono tra le parole e le frasi, all’interno di un testo,
importanti relazioni semantiche, cioè di significato, che contribuiscono in modo molto importante
a determinare il senso di un singolo passo o, anche, dell’intero testo. Per far ciò, essi agiscono in
almeno quattro modi diversi:

 creando relazioni tra le frasi: infatti, le relazioni logico-sintattiche possono agire non
tanto a livello lessicale, cioè tra le parole, quanto a livello frasale, risultando meno “visibili”,
ma avendo comunque un ruolo attivo sui rapporti semantici del testo;
 assumendo valore di denotazione o connotazione: infatti, mentre i coesivi non lessicali
sono, di norma, solo denotativi (in quanto instaurano un legale solo grammaticale e non
anche semantico col resto del testo), i coesivi lessicali possono essere, invece, sia
denotativi che connotativi ed introdurre, in quest’ultimo caso, una sfumatura
particolare, che nei vocabolari dell’uso troviamo tipicamente segnalata come colloquiale,
enfatica, da evitare, eufemistica e così via. Pertanto, se la scelta delle parole va compiuta
sempre con grande prudenza e oculatezza, ciò vale anche per quelle parole che fungono
da coesivo, in quanto, riprendendo il già detto, possono reinterpretarlo secondo una
nuova luce. Quest’ultimo concetto vale, soprattutto, per quella parte di lessico suscettibile
di sinonimia, giacché la perfetta intercambialità tra parole è garantita solo molto
raramente: ad esempio, si può vedere come ammonizione, appunto, critica, osservazione e
altre ancora, sussistano sì su aree semantiche contigue ma che non sono, però,
perfettamente coincidenti né denotativamente né connotativamente (tant’è che si parla, a
tal proposito, di “sinonimia relativa” o di “quasi sinonimia”). Questa imperfetta
sovrapponibilità può valere, del resto, anche per termini meramente denotativi, oltre che
per tutti i tipi di coesivi lessicali, come l’iperonimia o la sinonimia, comprendendo persino la
ripetizione che, in determinati contesti (specialmente quelli dialogati), può dotarsi di
sfumature particolari.
Infine, vediamo che anche i coesivi non lessicali sono passabili, delle volte, di valori
connotativi, come nell’esempio sembra sempre più che proprio lui sarà un protagonista
del nostro futuro sanitario, dove il pronome lui si riferisce a interferone. In questo caso, la
scelta del rinvio, sebbene non lessicale, non è neutra, ma stilisticamente marcata, perché
lui viene usato per personificare l’inanimato interferone, proiettandolo nella dimensione
mitica di molta divulgazione scientifica.
 Constatato, quindi, che coesivi lessicali perfettamente intercambiabili l’un l’altro non
esistono, ci si può condurre ad un’altra considerazione, ancora relativa alla
sovrapponibilità tra antecedente e coesivo. In particolare, nell’esempio Carlo ha dieci
anni. È un bambino molto ubbidiente, il capocatena sarà Carlo. Tuttavia, la parola bambino,
oltre che ad essere una forma sostitutiva di Carlo, è anche coreferente, in quanto tale
coesivo lessicale va a richiamarsi direttamente al referente reale di Carlo. In tal senso,
quindi, la coreferenza si riferisce solo ai coesivi lessicali. Infatti, nella frase Lo prendo
spesso in braccio: il mio gatto è proprio simpatico, l’antecedente sarà il mio gatto, ma la
frase non presenterà un coreferente, cioè un coesivo che richiami direttamente il referente
reale. Pertanto, per i coesivi non lessicali parliamo di non coreferenza. Oltre a questi, è
possibile parlare anche di coreferenza parziale, che si ha quando l’elemento linguistico di
ripresa rinvia a una parte dell’insieme che l’antecedente esprime.
 In ultima analisi, bisogna considerare che i coesivi portano avanti anche la continuità
semantica; in particolare, ciò che porta avanti il testo, cioè che conduce da un tema ad un
altro, sono proprio i legami non coreferenti, come possono essere le anafore associative.
È importante, tra le relazioni semantiche, ricordare il vincolo di solidarietà che si instaura fra i
diversi coesivi: le parole, in un testo coerente e coeso, tendono a solidarizzare. Infatti, negli
esempi Luigi ha vinto il concorso. Era stato ammesso un anno fa e Luigi ha vinto il concorso. Era
stato bandito un anno fa. noi comprendiamo che, nel primo caso, il soggetto della seconda frase
non può che essere Luigi, giacché il verbo ammesso può riferirsi solo a lui e non ad altri elementi;
nel secondo periodo, invece, bandito non può che riferirsi a concorso, rendendolo il soggetto della
seconda frase. Pertanto, potremmo dire che il vincolo di solidarietà tra le parole determina un
sistema di attese nel ricevente che, ascoltato il primo elemento della collocazione, si aspetta che
sia seguito da un solo termine.
Questa solidarietà tra le parole può anche chiamarsi collocazione: più nello specifico, esse sono
sequenze di parole che si presentano stabilmente in combinazione tra loro (ad esempio, si dice
sempre discutere animatamente, non discutere fortemente o rumorosamente e così via). Pertanto,
le collocazioni sono parole che, per convenzione, necessitano di presentarsi assieme,
formando un vero e proprio costrutto rigido. Tra esse, inoltre, possiamo ritrovare collocazioni
lessicali, cioè formate da due parole semanticamente piene (come in battere un record, bandire
un concorso, ecc.), oppure grammaticali, cioè formati da una parola semanticamente piena ed
una vuota (come in innamorarsi di, sicuro di, ecc.).
4.4.4 - Coesivi forti e coesivi deboli
Per comprendere, di volta in volta, quale sia il coesivo migliore da inserire nel testo, bisogna
osservare le condizioni sintattiche, testuali, semantiche e informative che caratterizzano il
particolare contesto che ospiterà il coesivo.
In linea di massima, un coesivo è debole (cioè semanticamente “povero”, come i pronomi),
quando l’antecedente presenta un ruolo alto dal punto di vista sintattico (cioè se è un
soggetto), dal punto di vista semantico (cioè se è “umano” o comunque “animato””) e dal punto
di vista informativo (cioè se esso è già dato e non è nuovo). Più ci si allontana da queste
condizioni e ci si avvicina a quelle opposte (cioè se l’antecedente è un complemento, inanimato e
nuovo), più si tenderà a preferire l’uso di coesivi forti, cioè semanticamente “ricchi”.
Partendo dai coesivi più deboli, vi è in primo luogo l’ellissi. In particolare, quando il soggetto della
frase subordinata è coreferente con il soggetto della frase reggente (cioè si rinvia al soggetto della
reggente), l’ellissi è obbligata, se la frase subordinata è implicita, cioè ha verbi impliciti, mentre è
facoltativa, ma tendenzialmente preferita, se la frase subordinata è esplicita (in quest’ultimo
caso, la coreferenza dei due soggetti è segnalata dall’accordo verbale di numero e genere). Come
l’ellissi, hanno la funzione di semplici marche grammaticali, cioè che non veicolano altre
informazioni, anche i pronomi relativi e i pronomi personali complemento mi, ti, ci, vi, lo, la e
così via.
Inoltre, a sostituzione dei pronomi personali si possono avere i dimostrativi costui, costei e
costoro, in funzione sia di soggetto che di complemento. Un uso analogo a costui ha poi questi,
però solo se riferito ad un soggetto maschile “umano”, come nell’esempio Mazzini stesso non era
restio a concedere il proprio appoggio a Carlo Alberto, purché questi si dichiarasse apertamente
contro l’Austria. Per il resto, invece, i dimostrativi questo, questa e questi si prestano poco a
sostituire un referente “umano”, mentre sono del tutto abituali con referente “non umano”.
Sempre tra i pronomi dimostrativi, può venire in aiuto anche quest’ultimo, il quale può essere
preferito, oltre che per ragioni sintattiche, anche per ragione di stile, al posto di questo/questa,
poiché perlopiù inadatti se riferiti a persone, o anche al posto di costui/costei, in quanto
tendenzialmente formali. D’altro canto, quest’ultimo può avere anche un valore disambiguante.
A metà tra coesivi deboli e forti vi sono poi i pronomi personali soggetto; infatti, il referente
“umano” presenta ben tre modalità di ripresa: egli, lui, esso. Dal punto di vista testuale, egli (solo
di rado, in contesti altamente formali, ella) presenta valore quasi sempre anaforico ed è possibile
trovarlo anche con un antecedente astratto o indefinito, come in Ciascuno ha il dovere di
considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall’Egitto, dove egli stesso rinvia a ciascuno, il
referente. Tra questi pronomi non sono, tuttavia, molto usate le forme al singolare esso ed essa, in
quanto sono preferibili altre soluzioni, mentre invece è corrente il plurale essi, sia in funzione di
soggetto che di complemento.
Molto vicini ai coesivi forti sono i sintagmi nominali definiti, ovvero sintagmi nominali che
possono corredarsi di aggettivi e comparire come rinvii con valore di sinonimo, iperonimo,
iponimo o di riformulazione. Alcuni esempi possono essere: Il Giappone mostra maggiore
comprensione per le inquietudini di Washington: questa sua premura lo sottrae delle incalzanti
pressioni (in questo caso il sintagma nominale questa sua premura è un dimostrativo unito ad un
possessivo); L’azienda californiana attraversa un periodo assai difficile. La società ha corso molto
in borsa (il coesivo società è un sinonimo dell’antecedente). Ma questa scelta del vocabolo o
dell’espressione sostitutiva dipende spesso dalla varantio, ovvero dal desiderio di trovare
soluzioni espressive diversificate per esprimere lo stesso referente, come avviene tipicamente
nei contesti narrativi, oppure anche per poter fornire al lettore una particolare interpretazione e
lettura di quanto enunciato. Ad ogni modo, anche la ripetizione può essere una soluzione adatta e
addirittura necessaria, nel caso di termini tecnico-specialistici, che, per loro natura, sono
monosemici, cioè non sostituibili con espressioni equivalenti. Infine, i più forti tra i coesivi sono i
sintagmi nominali indefiniti, ovvero elementi nuovi introdotti nel corso del corso, i quali sono
eventualmente ripresi da anafore successive.
4.5 - Costrutti marcati
In italiano, la posizione degli elementi della frase ha meno restrizioni che in altre lingue. In
particolare, l’ordine cosiddetto “di base”, non marcato, è dato dalla sequenza SVO, ovvero
soggetto + verbo + oggetto (cioè complemento sia diretto che indiretto), come in Luca studia la
lezione o Anna risponde a Gianni.
Al contrario, il latino, che aveva un ordine SOV, possedeva maggiori possibilità di spostamento
degli elementi, data la presenza di desinenze con funzione sintattica, le quali esprimevano i
casi: ad esempio, la frase all’accusativo Claudius epistulam mittit (“Claudio invia una lettera”)
sarebbe riconoscibile anche se essa fosse ordinata diversamente, ovvero epistulam Claudius
mittit. Con la perdita dei casi, tuttavia, la posizione dei costituenti nella frase è diventata cruciale
per l’indicazione dei ruoli sintattici e, infatti, Mario vede Paolo e Paolo vede Mario sono due frasi
quasi simili, con il soggetto che occupa normalmente la prima posizione (o comunque una
posizione preverbale), ma hanno significato diverso tra loro.
Ad ogni modo, l’ordine SVO in italiano non è obbligatorio. Ricordiamo, allora, che per tema si
intende l’informazione data, ciò che è noto al lettore, mentre per rema ci si riferisce
all’informazione nuova, inedita, che viene data. Dunque, la sequenza SVO realizza una
successione logica che mette in primo piano l’elemento conosciuto, cioè il tema (detto anche
topic), a cui fa seguito ciò che si predica di nuovo, ovvero il rema (detto anche comment oppure
focus). Quindi, spostando un elemento dell’ordine basico SVO si produce un cambiamento non
solo sintattico, ma anche delle informazioni, ovvero del rapporto dato-nuovo, tema-rema; questi,
d’altronde, sono fondamentali per la successione di elementi noti e nuovi, in una distribuzione che
è anche detta come “progressione tematica”.
Pertanto, mentre nel parlato, per evidenziare (marcare) un elemento, è sufficiente ricorrere a
strategie prosodiche come l’alzare il tono di voce, nello scritto è necessario avvalersi di
strategie sintattiche di spostamento dell’ordine SVO dei costituenti: in questo senso, si dice
costrutto marcato una frase o un enunciato in cui la disposizione dei costituenti modifica
l’ordine basico delle parole, al fine di garantire una particolare sfumatura al testo. Vediamo,
dunque, quanti tipi di costrutti marcati possono esservi e che tipo di ruolo essi svolgono nella
concatenazione delle informazioni, partendo però, in modo preliminare, da una differenza, cioè
che: costrutti che enfatizzano un tema diverso al normale soggetto dell’ordine non marcato,
costituiscono tematizzazioni o topicalizzazioni (ovvero le dislocazioni, le costruzioni a tema
sospeso e le passivizzazioni); costrutti che, invece, mettono in evidenza la funzione di un
elemento della frase quale rema o focus, sono dette focalizzazioni (ovvero le frasi scisse,
l’anteposizione contrastiva).
In primo luogo, vi è la dislocazione a destra o a sinistra, a seconda di dove si trova il tema,
ovvero l’elemento noto, nella frase. In particolare, nella dislocazione a sinistra un elemento della
frase (nella maggior parte dei casi l’oggetto, che può essere sia diretto che indiretto), diverso dal
soggetto, va ad occupare la posizione iniziale, acquistando rilievo e fungendo da tema, cioè
venendo tematizzato (mentre il complemento normalmente è rema nell’ordine SVO). Esempi di
dislocazione a sinistra possono essere Il libro lo compro domani o anche A Maria le parlo più tardi.
In questi casi, il rinvio all’elemento dislocato avviene tramite i pronomi clitici di valore anaforico
lo, la o anche attraverso le particelle pronominali ci, ne e così via.
Nella dislocazione a destra, invece, l’elemento noto (tema) è collocato a destra, dalla parte
opposta di una frase costruita con un ordine rema-tema. In questo caso, quindi, il pronome che
riprende l’elemento dislocato è cataforico, in quanto lo anticipa; d’altronde, in questo tipo di
costrutto il tema è ripetuto in una sorta di aggiunta di frase, spesso reso nello scritto con una
virgola, dando un’enfasi diversa al testo e prevedendo una pausa prima dell’elemento
tematizzato, che, anche in questo caso, può essere o un oggetto indiretto o uno diretto. Inoltre, c’è
da dire che la dislocazione a destra si connota per la maggiore informalità, nonché per essere
più frequente nelle frasi interrogative. Esempi sono Lo compro, il libro o anche Ce l’hai il biglietto?
Anche il passivo è una forma di costrutto marcato tematizzante, il quale permette di trasformare
il rema di una frase in tema di una frase successiva, cioè producendo uno spostamento del tema
a sinistra, come nella dislocazione a sinistra (Il biglietto del concerto – tema – è stato comprato da
Luisa – rema –). Un esempio a livello testuale può essere: Il risultato di questa costruzione è detto
“modello standard”. Il modello standard, messo a punto negli anni Settanta, è stato confermato
da esperimenti. Tuttavia, il modello standard è ancora preso poco sul serio. In questo caso,
attraverso il passivo, il rema della prima frase viene tematizzato nelle successive, entrambe al
passivo. La forma attiva, d’altronde, avrebbe creato un disallineamento forte tra tema e rema,
sebbene però tale scrittura sia presente in molti testi scientifici.
Un altro tipo di costrutto marcato, questa volta focalizzante (cioè che mette in evidenza il nuovo, il
rema) è quello della frase scissa. Infatti, la messa in evidenza di un elemento, attraverso la sua
emarginazione dal resto della frase, può arrivare fino alla scissione della frase stessa in due
parti. In particolare, le frasi scisse sono costituite da due unità frasali, una principale ed una
subordinata, e focalizzano un costituente (cioè uno dei due elementi scissi) attraverso
un’operazione di messa in rilievo (appunto, di focalizzazione). Generalmente, in tale scissione, la
prima parte della frase, in cui viene affermata l’informazione nuova (cioè il rema), è costituita da
un’enunciazione contenente il verbo essere + l’elemento da risaltare, mentre la seconda parte
della frase, che esprime il tema, è costituita da una pseudorelativa introdotta da che + verbo (in
particolare, “pseudorelativa” si riferisce al fatto che il che è polivalente, cioè può avere più valori).
Grazie a questa strategia sintattica, quindi, si può dare un maggiore rilievo al rema della frase,
basti pensare alla differenza del messaggio veicolato dalla frase scissa Erano i tuoi vicini che si
lamentavano e della non scissa I tuoi vicini si lamentavano. Una sottospecie di frase scissa è
anche la struttura con c’è presentativo, costituita dal verbo essere e dal ci attualizzante, i quali
conferiscono al soggetto un valore rematico, come nella frase scissa; per cui, in questo caso
l’enunciato si divide in due segmenti, il primo dei quali è posto in risalto, in quanto potrebbe anche
essere isolato dal cotesto, mentre il secondo consiste in una frase pseudorelativa introdotta da
che, come nella frase esempio: C’è qualcuno che bussa alla porta (rema, tema).
Ancora, nel caso dei costrutti focalizzanti, se in una frase manca la ripresa pronominale si ha
una semplice anteposizione o inversione, detta “topicalizzazione contrastiva” o “focalizzazione”,
che colloca il rema nella posizione normalmente occupata dal tema; d’altronde, questo tipo di
costrutto, come Il libro compro, è accettabile solo in determinati contesti e, in particolare, in quelli
che presentano un elemento di contrasto (ad esempio, Il libro compro e non il quaderno, nel
parlato).
Un altro costrutto marcato è dato dalla anteposizione anaforica: in essa, in particolare, vi è una
sequenza SVO invertita, formata da complemento oggetto, verbo e soggetto, per cui vi è una
anteposizione del complemento oggetto dovuta a ragioni di progressione tematica, ovvero di
passaggio dal tema (complemento oggetto), che viene collocato in apertura per riagganciarsi a
quanto precede, al rema, che viene, quindi, posticipato. In alternativa, questa funzione potrebbe
essere garantita anche dalla dislocazione a sinistra e dalla frase al passivo.
La coesione può essere mantenuta anche da una frase subordinata + verbo + soggetto, come
nell’esempio Ad accelerare le decisioni dei sovrani italiani avevano contribuito le notizie della
rivoluzione parigina. In questo caso, la frase subordinata Ad accelerare le decisioni, che dovrebbe
essere posta dopo, viene anticipata e si ritrova ad essere anche il complemento oggetto del
periodo. Quindi, l’ordine tipico della frase/periodo viene stravolto, come in tutti i costrutti marcati.
Vi sono, infine, come strumenti di coesione, anche le frasi copulative con soggetto nuovo
postverbale, ovvero frasi in cui il soggetto, rematico e nuovo, è posto dopo il verbo e segue un
elemento tematico e dato, come in Comune era la cultura di base che li aveva allevati, dove
cultura di base è il soggetto nuovo posto dopo il verbo essere e dopo anche l’elemento dato,
ovvero l’aggettivo Comune.
Va notato, inoltre, anche il costrutto marcato a tema sospeso (o “tema libero” o anacoluto o
nominativus pendens), cioè una particolare variante della dislocazione a sinistra che provoca
una frattura della sequenza sintattica; in particolare, in essa l’elemento enfatizzato si trova in
posizione iniziale come componente autonomo, slegato morfosintatticamente dal resto della
frase, che prosegue con un soggetto diverso. Più chiaramente, quindi, la costruzione si interrompe
per via dell’intromissione di una seconda costruzione, come in Luigi, io spero di vederlo presto,
sebbene, come notiamo, l’elemento sospeso venga ripreso da un pronome atono (ovvero un
coesivo non lessicale) o da altri elementi della frase seguente, anche senza che esso presenti
indicatori di funzione sintattica. Quando, tuttavia, tra il tema sospeso e il resto della frase non c’è
nessuna ripresa, si parla di “tema libero”, come in Carlo, siamo usciti presto. Ovviamente, questo
tipo di costrutto è particolarmente frequente nel parlato, sebbene sia sfruttato anche nello scritto
letterario (da Boccaccio fino a Manzoni e Verga), rappresentando una particolare scelta stilistica.
Altre caratteristiche del tema sospeso sono, poi, che: tra il tema e un sintagma nominale della
frase seguente debba esistere almeno una relazione semantica, che può essere di sinonimia,
iponimia o iperonimia (come in I film, io li amo molto i thriller); il tema sospeso può essere costituito
solo da un sintagma nominale e non anche da quello preposizionale (in quanto una
preposizione ne indicherebbe la funzione sintattica); il tema sospeso può precedere una
dislocazione, come nel caso di: Le lingue, il tedesco lo considero complesso.
Va fatta attenzione, pertanto, ai diversi usi, contesti e norme che tali costrutti hanno assunto nella
storia dell’italiano, giacché oggi noi definiremo “anacolutiche” (cioè campate in aria ed errate)
strutture come il che polivalente, che nei loro contesti e tempi sarebbero normali. In effetti, si può
osservare come proprio le dislocazioni siano ben attestate fin dal tardo latino, giungendo anche
nelle prime testimonianze in volgare italoromanzo, quali i Placiti campani al ridosso del Mille.
Questa tipo di costrutto, inoltre, non nasce neanche ex abrupto negli scritti campani, giacché esso
era una formula tipica dell’uso notarile del tempo. Tuttavia, nonostante la loro antichità, a
seguito della ricodificazione grammaticale del Cinquecento, le dislocazioni (sia a destra che a
sinistra) furono ascritte a fenomeni di ridondanza pronominale e, pertanto, relegate a tratto di
substandard.
Circa le frasi scisse, invece, la loro diffusione, in italiano, è stata ricondotta ad un influsso
francese diffusosi a partire del Settecento, sebbene se ne trovino esempi già nei secoli
precedenti, soprattutto con la scissione del soggetto, come nella lirica cortese siciliana del
Duecento. A partire da Goldoni, invece, viene fatta risalire la diffusione della frase scissa
implicita con l’infinito.
In conclusione, è importante sottolineare che la scelta di un coesivo inadatto può avere
ripercussioni importanti sul testo, determinando non solo forti ricadute di stile ma anche
incertezze sulla sua comprensione; va detto, però, che queste sviste dipendono anche da una
bassa padronanza della lingua scritta o da un basso controllo della grammatica e dei rapporti
testuali all’interno del testo, che portano i legami sintattici ad allentarsi e affidano la coesione ai
solo rapporti semantici tra le parole.
4.6 - Continuità e progressione tematica
Come abbiamo evidenziato più volte, ogni testo è una concatenazione di informazioni e di
concetti che si combinano tra di loro e che si susseguono l’un l’altro, introducendone via via di
nuovi, pur mantenendo sempre intatte e forti la coesione e la coerenza d’insieme del testo stesso.
Pertanto, va detto che il testo è un intreccio formato da temi che si ripetono e ritornano
(fornendo, in questo caso, continuità) e da temi che cambiano e si rinnovano (fornendo così
progressione). Tuttavia, la scelta tra i vari tipi di ripresa tematica, che possono essere sia
lessicali che non, dipenderà, di volta in volta, dalle esigenze della scrittura e sono:

 progressione tematica lineare: alternanza diretta tra rema (rosso) e tema (blu); il rema di
una frase diventa il tema della successiva e il rema di questa diventa il tema della frase
seguente e così via; ad esempio Ernesto vorrebbe giocare con suo fratello Bartolomeo.
Bartolomeo preferisce inseguire il gatto. Il gatto vorrebbe solo dormire.
 progressione a tema costante: in una sequenza di enunciati, il tema della prima frase
rimane tema anche per tutte le altre frasi, sebbene possa subire sostituzioni (oltre che
ripetizioni); ad esempio Caterina è una strana bambina. Lei ama i vestiti rosa e le scarpe
arancioni. Si ferma incantata davanti alle vetrine a guardarli quando è a passeggio.
 progressione a temi derivati da ipertema od iperrema: il tema (o rema) del primo
enunciato viene progressivamente scomposto nelle sue parti costitutive nei temi degli
enunciati successivi (in questo caso, il tema/rema principale sarà un ipertema/iperrema
degli altri temi/remi; il secondo tema sarà ipertema per il terzo e ipotema per il prima e
così via); ad esempio La città sembrava una città fantasma quella notte. I quartieri erano
immersi in un profondo silenzio. Le vie erano deserte.
 progressione con sviluppo di un tema o di un rema dissociato: il rema del primo
enunciato viene diviso in più elementi che diventano temi nelle frasi successive; ad
esempio Giovanna oggi andrà al cinema con Luca e Maria. Luca vorrebbe vedere una
commedia. Maria preferisce i film d’azione.
 progressione tematica a salti: ogni enunciato presenta un tema diverso, i quali non sono
connessi fra di loro; ad esempio, nel periodo Un cane attraversava lentamente il sentiero. I
rami degli alberi erano spogli. Il freddo aveva ghiacciato la superficie del laghetto tra i temi
degli enunciati non vi sono legami, ma il testo presenta comunque coerenza. Più
chiaramente, tra le parole vi è una coerenza semantica che è fondata sull’esperienza
comune del fatto descritto (infatti, tutti, sulla base delle nostre esperienze, sappiamo che
un paesaggio può essere composto in quel determinato modo quando vi è freddo). Da
questo tipo di progressione tematica, inoltre, comprendiamo che, sulla base della nostra
esperienza del mondo, cioè sulla nostra enciclopedia, un testo potrebbe essere anche
sgrammatico ma, finché esprime cose a noi note, esso sarà comunque comprensibile.
4.7 - I connettivi
Un ultimo elemento che garantisce coerenza ad un testo è costituito dai connettivi. In particolare,
i connettivi sono avverbi, congiunzioni, preposizioni ed alcuni verbi (eventualmente tutti sotto forma
di locuzione) che esprimono le relazioni tra una frase e l’altra (in questo caso si parla di
“connettivi frasali”), oppure tra un periodo e l’altro, o tra segmenti testuali ancora più ampi (e in
questo caso si parla di “connettivi testuali”).
I connetti possono svolgere principalmente tre funzioni all’interno di un testo:

 una funzione logico-semantica, cioè di porre in una relazione logico-semantica i vari


segmenti del testo (in questo caso sono frequenti connettivi di valore temporale, causale,
concessivo, condizionale, finale e altri); questi connettivi logico-semantici possono
essere anche avverbi, congiunzioni, preposizioni e locuzioni, sia avverbiali che
preposizionali. In questo caso, quindi, il sostantivo connettivo fungerà da coesivo lessicale
(nominale o testuale) rispetto all’elemento introdotto e renderà, pertanto, esplicito il tipo di
relazione logico-semantica tra i due elementi che esso connette, come nel connettivo di
valore causa/effetto a causa di, per via di, da quello di valore di relazione a seconda di,
nei riguardi di e così via. In particolare, una prova del pieno valore semantico di questi
connettivi e, dunque, del loro contenuto interpretativo, risiede nella frase esempio Le
proteste sfociano nella mozione di sfiducia per colpa/grazie a uno scivolone del partito, in
cui l’autore, pur di non mostrare il suo punto di vista sull’accaduto sceglie di inserire
entrambi i connettivi connotativi, l’uno negativo e l’altro positivo;
 una funzione retorico-testuale, cioè che gestiscono la partizione interna del discorso,
per cui essi segnalano l’avvio di un tema (quanto a, a proposito di, ecc.), i passaggi
argomentativi (ora, dunque, a questo punto, ecc.), nonché i bilanciamenti interni (non
solo… ma anche, ecc.) e la conclusione (insomma, per concludere, ecc.). Tali connettivi
retorico-testuali possono anche segnalare dei richiami interni da una parte all’altra del
discorso (come abbiamo già visto, ecc.), per cui si possono ricordare, tra questi, alcuni
avverbi temporali che fungono da deittici testuali e che contribuiscono alla strutturazione
logica degli eventi rappresentati;
 una funzione pragmatica, ovvero di segnalare l’atteggiamento assunto dal locutore nei
riguardi dell’interlocutore, sia in modo diretto (cioè nello scambio interazionale), che in
modo indiretto (cioè nel contenuto proposizionale), da almeno tre punti di vista, cioè:
quello della fonte, ovvero il punto di vista del locutore, del contenuto comunicato stesso,
attraverso considerazioni metadiscorsive, ed infine del parlante stesso, ovvero il grado di
coinvolgimento che egli assume nel discorso. Tuttavia, per quanto riguarda le funzioni dei
connettivi pragmatici (detti anche “segnali discorsivi”) se ne possono individuare di
quattro tipi:
- interazionale: presa del turno di parola (ma, allora, scusa), controllo della
comprensione (capisco, capisci?), segnali di accordo o disaccordo (certamente,
chissà), di sorpresa (davvero?) o anche richiesta di riscontro e attenzione (no?);
- epistemica: specificazione della fonte delle informazioni (secondo, a detta di);
- metalinguistica, cioè che consente alla lingua di descrivere sé stessa: connettivi che
introducono glosse metalinguistiche per spiegare quanto appena detto (cioè, vale a
dire, in altre parole) o anche considerazioni con diverse sfumature logico-semantiche
(come quelle confermative-avversative, ad esempio d’altronde, del resto, oppure
confermative-aggiuntive come peraltro, tra l’altro e così via);
- modalizzatrice: espressioni di “mitigazione”, ovvero di attenuazione della forza
dell’enunciato (diciamo, per così dire, praticamente) o, al contrario, espressioni che
accentuano un elemento (come i focalizzatori e gli intensificatori davvero, addirittura,
persino) ed anche espressioni che esprimono partecipazione emotiva (purtroppo,
fortunatamente). Va evidenziato, però, che i connettivi sono solo alcune delle risorse
espressive del fenomeno della mitigazione e della modalizzazione, ovvero, appunto,
quelle forme attenuano o enfatizzano le affermazioni o le domande.
Da come si evince, dunque, la varietà e l’ampiezza delle funzioni dei connettivi fanno sì che essi
siano una “serie aperta”, cioè che appartengano a categorie grammaticali differenti e che siano
composti da un numero non precisabile di risorse espressive che, essendo largamente dipendenti
dal particolare contesto sociocomunicativo, variano in relazione alle peculiarità dei rapporti
intersoggettivi che si creano tra i parlanti, facendo sì che una particolare espressione possa avere
valori differenti a seconda del contesto.
Bisogna ricordare, inoltre, che i connettivi spesso assumono più funzioni. Infatti, basta osservare
le due frasi E’ una storia molto triste ma molto istruttiva e E’ una storia molto istruttiva ma molto
triste che esprimono le stesse informazioni e che segnalano entrambe il rapporto di contrasto che
lega le valutazioni, attraverso il ma; tuttavia, proprio il diverso ordine mostra la differente
posizione del locutore (infatti, l’informazione che segue il ma assume sempre un maggior rilievo
rispetto a quella che lo precede) per cui: nel primo caso, chi parla darà maggior importanza al fatto
che la storia è istruttiva, mentre nel secondo caso il rilievo maggiore sarà dato al fatto che la storia
sia triste. Da tutto ciò, pertanto, si evince che il connettivo usato non ha solo valore logico-
semantico, ma bensì anche pragmatico.
Infine, come per i coesivi, anche sviste nell’uso dei connettivi possono dar luogo a esiti poco felici
e ad incertezze di interpretazione, con gli errori più comuni che riguardano i connettivi infatti
(connettivo che lega due parti di un periodo, ovvero premessa e conclusione), ma (il cui ruolo è di
porre in contrasto ciò che segue, dandogli maggior rilievo, da ciò che precede) e per colpa di (che
presenta un forte valore connotativo e, pertanto, andrebbe evitato nelle espressioni che non
vogliono essere valutative).

Testo 12________________________________________________________________
Nessuna delle bellissime vedute di Venezia dipinte da Canaletto venne presa dal vero e
nessuna ritrae fedelmente la realtà. Il grande vedutista aveva un modo di lavorare diverso
dagli altri artisti della tradizione romantica che, come risaputo, andavano a riprendere en
plain air le città e i paesaggi. Canaletto usciva solo se il cielo era terso, in gondola con un
quadretto di «scaraboti» sotto braccio. Faceva fermare la gondola dove gli pareva
congeniale e senza ø scendere dalla barca (dunque da un punto di vista ribassato)
riprendeva a matita gli edifici davanti a lui, ø annotando (in veneto) i nomi dei colori, le
scritte delle insegne dei negozi, i nomi dei proprietari dei palazzi. Spostata di poco la
gondola, in un altro foglio riprendeva l’edificio accanto e così via. ø Tornato in bottega
incollava i fogli uno all’altro ø ottenendo una veduta grandangolare. Che poi riportava sulla
tela, ø torcendo e piegando a suo piacimento chiese e edifici (dall’inserto domenicale de Il
Sole-24 Ore del 18 agosto 2002).

ANALISI CATENE FORICHE_____________________________________________________


I catena forica (a progressione di sviluppo ipotema) <-> Referente: BELLISSIME VEDUTE
(connotazione positiva referente)
15. nessuna = non lessicale, denotativo;
16. quadretto di “scaraboti” = lessicale, riformulazione, denotativo;
17. fogli = lessicale, anafora associativa;
18. veduta quadrangolare = lessicale, ripetizione totale, denotativo;
19. tela = lessicale, sostituzione iperonimica, denotativo.
20. città e paesaggi = lessicale, sostituzione iponima, denotativo;
21. edifici = lessicale, sostituzione iponima, denotativo;
22. negozi = lessicale, sostituzione iponima, denotativo;
23. palazzi = lessicale, sostituzione iponima (sinonimica rispetto a negozi), denotativo;
24. edificio = lessicale, sostituzione iponima (ripetizione totale rispetto a edifici), denotativo;
25. chiese e edifici = lessicale, sostituzione iponima, denotativo.

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
II catena forica (a progressione tematica costante) <-> Referente: Canaletto (tema
principale)
5. Il grande vedutista = lessicale, riformulazione, connotazione positiva;
6. Canaletto = lessicale, ripetizione totale;
7. gli = non lessicale, pronome;
8. lui = non lessicale, pronome;
9. suo = non lessicale, pronome.

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
III catena forica <-> Referente: altri artisti
Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
V catena forica <-> Referente: gondola
1. barca = lessicale, sostituzione iperonimica, denotativo;
2. gondola = lessicale, ripetizione totale, denotativo.

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

ANALISI PROGRESSIONE TEMATICA_E COSTRUTTI___________________________


Progressione I: lineare <-> Tema (reggente): Canaletto; Rema: bellissime vedute  Tema
(subordinata): bellissime vedute.
“Nessuna delle bellissime vedute di Venezia dipinte da Canaletto venne presa dal vero e
nessuna ritrae fedelmente la realtà.”
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Progressione II: lineare <-> Tema (r): il grande artista; Rema (r): modo di lavorare…;  Tema
(s): che (riferito a modo di lavorare…); Rema (s): andavano a riprendere…
“Il grande vedutista aveva un modo di lavorare diverso dagli altri artisti della tradizione romantica
che, come risaputo, andavano a riprendere en plain air le città e i paesaggi.”
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Progressione III: sviluppo di un tema costante (Canaletto) <-> Tema (1): Canaletto; Rema (1):
usciva solo se…  Tema (2): gli (egli soggetto sottinteso, coesivo di Canaletto); Rema (2):
Faceva fermare…  Tema (3): riprendeva (marca morfologica riferita a Canaletto); Rema (3):
Spostata di poco la gondola…  Tema (4): incollava (marca morfologica riferita a Canaletto) 
Tema (5): suo (coesivo riferito a Canaletto).
“Canaletto usciva solo se il cielo era terso, in gondola con un quadretto di «scaraboti» sotto
braccio. Faceva fermare la gondola dove gli pareva congeniale e senza ø scendere dalla barca
(dunque da un punto di vista ribassato) riprendeva a matita gli edifici davanti a lui, ø annotando (in
veneto) i nomi dei colori, le scritte delle insegne dei negozi, i nomi dei proprietari dei palazzi.
Spostata di poco la gondola, in un altro foglio riprendeva l’edificio accanto e così via. ø Tornato in
bottega incollava i fogli uno all’altro ottenendo una veduta grandangolare. Che poi riportava sulla
tela, torcendo e piegando a suo piacimento chiese e edifici.”

Testo 13________________________________________________________________
Nel 1902 mio padre era in Argentina (a). Nel 1909 rimpatria per sposarsi (b). Nel 1910 ha
il primo figlio, nel 1912 il secondo, nel 1913 il terzo, nel 1914 il quarto, poi arriva la guerra
se no chitava nen (c). La mia famiglia non era ricca, più o meno tutte le famiglie della
frazione Ambrosi erano come la nostra (d). Due vacche e una scrofa nella stalla: due
giornate di terra e tre le affittavamo (e). Ma la nostra era una famiglia ordinata, mia madre
era in gamba, imponeva una disciplina, e lavorava come un uomo (f). In casa mangiavamo
(g). (Garavelli, 1993).
Il testo riportato è un testo di italiano popolare, cioè una varietà della lingua parlata e scritta da
persone semicolte, ovvero che non hanno potuto completare il loro ciclo di studi. In particolare,
dall’analisi che faremo, riusciremo a notare come il testo, sebbene sia sgrammaticato (e quindi
non coeso) sia comunque comprensibile in quanto coerente.
-> I catena forica => Referente: mio padre  ripreso da marche morfologiche nelle frasi a, b e c.
Il testo, dalla frase a alla frase c è sia coerente che coeso, nonostante non vi siano richiami
espliciti, per via dello stile elencativo applicato, visibile dalla progressione (o meglio, appunto,
elencazione) temporale. Inoltre, a dare ulteriore coerenza a questa sezione del testo vi è la
seconda catena forica, di minore importante rispetto alla prima (che costituisce il tema principale
del testo da a a c). La progressione tematica sarà, in questo blocco, a tema costante.
-> II catena forica => Referente: primo figlio  ripreso da secondo, terzo e quarto.
Successivamente, a partire dalla frase d, fino alla frase e, il capocatena sarà diverso.
-> III catena forica => Referente: mia famiglia  ripreso dalle marche morfologiche e dai coesivi
nostra, le nostra, famiglia, in casa.
In particolare, essendo un testo semicolto, si può notare come, sebbene si possano identificare le
catene foriche, il testo presenti dei difetti di coesione; infatti, si passa dal capocatena mia
famiglia singolare ad un coesivo, che vuole riferirsi ad esso, che è plurale, come nostra. La stessa
cosa avviene osservando le marche morfologiche: da il era singolare si passa ad affittavamo
plurale. In questo caso, pertanto, si può dire che l’autore intenda il mia famiglia come un “noi”,
motivo per il quale si effettua questo passaggio di numero, cosa che non sarebbe stata possibile
in un testo perfettamente coeso.
Infine, nelle frasi f e g viene introdotto un nuovo referente e ripreso quello precedente.
-> IV catena forica => Referente: mia madre  ripreso da marche morfologiche nella frase f.
Tuttavia, possiamo osservare come sia mia madre che mio padre sono iponimi di famiglia: il tema
centrale del testo, nel suo complesso, sarà dunque famiglia e la progressione tematica sarà a
sviluppo di ipertema e ipotema (mentre suddiviso a blocchi è costante). Ad un livello ancora più
astratto, inoltre, si potrebbe addirittura affermare che il tema centrale del tutto sia io, da cui
derivano, in ordine di importanza nel testo, mia famiglia, mio padre e mia madre.
4.8 - Testi, generi e tipologie
Coerenza e coesione, visti precedentemente, sono parti di un solo requisito, noto come
intenzionalità, ovvero l’atteggiamento del parlante ed il fine ultimo che egli intende realizzare
attraverso il testo. Tuttavia, il testo non è solo il prodotto di un parlante, ma bensì è un atto
comunicativo che, in quanto tale, coinvolge anche un destinatario, al quale sono ovviamente
correlati altri requisiti:

 in primo luogo, tra questi, vi è l’accettabilità, ovvero la buona disposizione a ricevere il


testo da parte del destinatario, cioè a considerarlo utile e a volerlo comprendere,
indipendentemente da come esso si presenti; pertanto, intenzionalità e accettabilità sono
due aspetti speculari e complementari, necessari alla cooperazione tra parlante e
destinatario;
 l’informatività, che invece riguarda la buona distribuzione, all’interno del testo, delle
informazioni nuove e di quelle note al lettore-ascoltatore; è evidente, quindi, che questo
requisito dipende dalle conoscenze che il parlante presume essere più o meno note al suo
interlocutore. Tuttavia, che si tratti di un pubblico esperto e competente o meno, ogni buon
testo deve comunque trovare il giusto equilibrio tra noto e nuovo;
 infine, vi sono la situazionalità, la quale consiste nella rilevanza che il testo assume in
relazione alla situazione comunicativa (risultando più o meno opportuno o più o meno
adeguato al contesto), e l’intertestualità, la quale riguarda l’insieme dei rapporti che il
testo inevitabilmente intrattiene con altri testi dello stesso ambito o di ambiti affini.
Ad ogni modo, ogni testo si inserisce in un quadro di relazioni e di prassi comunicative ben
consolidate, le quali poi lo riferiscono all’interno di determinati generi discorsivi e tipologie
testuali. In particolare, con genere discorsivo si intende il genere di un testo in funzione al
contenuto (filosofico, giornalistico, giuridico, letterario - narrativo e poetico), al mezzo
(cinematografico, epistolare, teatrale) e allo stile (comico, encomiastico, epistolare), individuando,
poi, via via, sottogeneri all’interno di ciascuno di questi, (ad esempio, in letteratura si distingue tra
romanzo rosa, romanzo gotico, romanzo giallo e così via).
Da un altro punto di vista, però, questa vasta produzione testuale può essere osservata in
relazione alla finalità comunicativa dell’emittente, la quale costituisce l’ottica caratteristica della
retorica antica; quest’ultima, infatti, produce una suddivisione di tutti i testi possibili in una
tipologia testuale, formata da ben cinque gruppi principali:

 descrittivi, cioè che descrivono qualcosa attraverso i dettagli e i particolari che lo


caratterizzano: guide turistiche, guida all’uso, eccetera;
 narrativi, i quali sono il racconto di un fatto di o di una serie di fatti, in cui prende risalto la
dimensione temporale: articoli di cronaca, biografie, romanzi, eccetera;
 informativi (o espositivi), i quali trasmettono informazioni attraverso l’analisi ordinata
delle varie parti che lo compongono: manuali scolastici, enciclopedie, eccetera;
 prescrittivi (o regolativi), i quali sono testi finalizzati a fornire regole o comandi e ne
danno indicazioni: testi giuridici, ricette di cucina, eccetera;
 argomentativi, ovvero testi pensati per persuadere, i quali prevedono l’esposizione del
proprio personale punto di vista, oltre che degli argomenti trattati: discorsi di uomini politici,
dialoghi filosofici, eccetera.
A questa ripartizione classica è stato affiancato, in tempi recenti, un altro modello che guarda il
testo dal punto di vista del destinatario, sulla base della considerazione che la consapevolezza
che egli ha del suo ruolo e della sua identità eserciti un condizionamento sulle caratteristiche del
testo: pertanto, al criterio della finalità comunicativa, subentra quello dell’interpretazione, ovvero
non ci si chiede che cosa voglia fare l’emittente con quel testo, ma bensì quale effetto il testo
provochi sul destinatario, oltre che a quanto impegno e margine di libertà interpretativo esso
richieda. A tal proposito, va specificato che l’impegno e la libertà interpretativa richiesti al
destinatario sono in buona parte correlati al grado di esplicitezza del testo stesso, ovvero a
quanto l’autore si preoccupa di fornire tutte le informazioni necessarie alla comprensione, senza
dare troppo per scontato e quasi conducendo per mano il lettore (in questo caso si potrebbe dire
che un testo molto esplicito imporrà un vincolo interpretativo molto alto); pertanto, applicando
tale considerazione ai testi correnti, avremo un’ulteriore ripartizione in:

 testi molto vincolanti, come i trattati scientifici o giuridici;


 testi mediamente vincolanti, come quelli espositivi, divulgativi e informativi;
 testi poco vincolanti, che sono soprattutto quelli letterari.
In conclusione, bisogna precisare che nessun modello è migliore dell’altro e, anzi, c’è da tener
presente che le categorie individuate non sono quasi mai rappresentate in modo esclusivo
all’interno di uno stesso testo. Infatti, la funzione tipica di una certa tipologia testuale, così come
d’altra parte il genere, sono essenzialmente soltanto una caratteristica predominante del testo e
non esclusiva, tanto che molto spesso proprio la commistione tra generi e tipologie determina
l’interesse e l’originalità del testo stesso.

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