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MORFOLOGIA

Le parole sono il risultato della combinazione sintagmatica di diversi pezzi, ciascuno dei quali (morfemi)
contengono significati autonomi.

Va detto che, a differenza della fonetica e della fonologia, che presentano “etichette”, nella morfologia
abbiamo il termine dal composto neoclassico, derivante da radici riconducibili al greco, una parola da una
certa antichità. È una parola che ha avuto un uso molto più diversificato nel corso del tempo. “Morfologia”
significa letteralmente studio o discorso sulla forma. In questo senso generale, applicabile in prima battuta
alle forme degli organismi naturali, la parola è esistita per molto tempo. Tale termine da un certo momento
in poi transiò nell’ambito dello studio della parola.

Diciamo quindi che la morfologia studia la ‘forma interna’ delle parole, i processi fondamentali grazie ai
quali vengono create e le varie caratteristiche che possono assumere, occupandosi di individuare e
classificare le unità minime di prima articolazione dotate di significato che le compongono, ossia i morfemi,
unità astratte le cui realizzazioni concrete sono chiamate morfi o allomorfi.

La morfologia descrive tali unità, unità che al parlante non sono immediatamente evidenti, né costituiscono
il punto di partenza della sua riflessione, dato che il suo comportamento ‘epilinguistico’ in prima battuta
non individua i morfemi, bensì le parole. Dobbiamo anzitutto definire la parola in contrapposizione al
morfema per capire le relazioni tra parole e morfemi all’interno della struttura di una lingua.

La nozione di parola, sebbene intuitivamente presente alla consapevolezza dei parlanti (a differenza di
quella di morfema, che in sede descrittiva appare tuttavia di facile individuazione) è stata ed è tuttora
oggetto di dibattito in linguistica perché nessun criterio adottato sinora per definirla si è dimostrato del
tutto soddisfacente.

I criteri comunemente citati (ordine fisso dei morfemi, presenza di pause potenziali ai confini, separabilità
nella scrittura, unità dell’accento primario) sono tutti, per molti aspetti – con la probabile eccezione della
non interrompibilità (ossia, non si può aggiungere ulteriore materiale linguistico all’interno della parola)–
soggetti a eccezioni o limiti. Sono state proposte del resto definizioni basate su criteri di natura fonetico-
fonologia, morfologica, sintattica e semantica, ma probabilmente la definizione più completa deve tener
conto di tutti questi livelli allo stesso tempo, su criteri di natura fonetico-fonologica, morfologia, ma anche
semantica. La definizione più completa di parola deve necessariamente tener conto di tutti questi livelli.

Criteri fonologici: la definizione fonologica punta ad identificare i confini della parola sulla base della
posizione dell’accento primario (che nelle lingue in cui l’accento è fisso spesso si rivela un criterio
abbastanza affidabile). Restano problematici, tuttavia, i casi in cui sono presenti segmenti non tonici che da
un punto di vista morfosintattico siano però indipendenti: il francese elle est belle, ‘lei è bella’, è un chiaro
esempio. Il criterio fonologico entra in crisi in questo caso.
Quando si tratti di lingue con accento mobile, invece, si dirà che è ‘parola’ qualunque segmento che si
raggruppa attorno a un accento primario. In base a tale prospettiva, stazione sarebbe senza dubbio una
parola, ma non altrettanto certo potrebbe definirsi lo status di capostazione, perché presenta in realtà due
accenti come ‘residuo’ del suo essere esito di un processo morfologico di composizione a partire da parole
semplici.

Criterio ortografico: punta a definire la ‘parola’ ogni unità che, in un testo scritto, compare tra due ‘spazi’
e/o marche ortografiche di separazione (diacritici, segni interpuntivi…)
Oltre a non essere applicabile a lingue prive di una traduzione scritta, non è valido per tutti i sistemi di
scrittura (o di epoche diverse nell’evoluzione di uno stesso sistema).
Inoltre, i criteri ortografici non consentono di identificare come parole unità polirematiche o
polilessematiche: ferro da stiro, ad esempio, a dispetto della sua ortografia tende a comportarsi come unità
lessicale unitaria e autonoma, e la stessa oscillazione che si ritrova in norme ortografiche differenti nella
trascrizione di parole quali pesce spada (o pescespada) chiarisce molto bene tale questione.

Criterio morfologico: in base a una definizione morfologica si potrebbe dire che è parola ogni forma coesa
internamente e libera esternamente , ossia la parola si sposta all’interno del discorso, (secondo la nota e
tuttora condivisibile definizione di parola proposta da Bloomfield: “la parola è una forma libera minima”,
internamente non segmentabile, ma libera esternamente di spostarsi in una certa misura all’interno delle
parole che producono le frasi d una lingua).
Capostazione è dunque una parola , un composto coeso, in quanto non è possibile dire stazionecapo. Vi
sono tuttavia casi di parole sintagmatiche come testa di ponte o macchina da scrivere o di alcuni espressioni
polirematiche (es. capro espiatorio), in cui verifichiamo una coesione interna relativamente meno rigida:
posso dire infatti, cambiando il significato dell’espressione e trasformandola in un potenziale sintagma,
ponte di testa; o posso creare un altro paralessema, come in testa di rapa.
Tutti questi esempi non hanno sufficiente coesione morfologica, ma sintatticamente sono da considerarsi
vere e proprie parole. Un utile corollario alla definizione bloomfieldiana è allora il criterio della non
interrompibilità: poiché non è possibile dire”testa grossa di ponte” mentre testa acerba di rapa non
mantiene la significazione del paralessema, bisogna concludere che si tratta di vere e proprie parole.

In particolare, il criterio della mobilitàdella combinazione si rivela particolarmente rilevante: la differenza


tra il latino ille non edit e l’inglese he doesn’teat, il cui significato è simile e che il suffiso flessivo -it in latino
(il cui significato è ‘terza persona singolare, presente, indicativo) non è mobile, bensì legato alla base o alla
radice della forma verbale edere (mangiare) mentre does in inglese, che ha all’incirca lo stesso senso) può
comparire in posizioni o slot diversi (ad es. in does he eat?).
Quanto alla enunciabilità in isolamento della combinazione di morfemi che è parola, si tratta di una
caratteristica che la parola assume in quanto testa di un (potenziale) sintagma formato da un unico
costituente; ogniqualvolta ciò sia possibile (ovvero a esclusione delle teste preposizionali).

Criterio sintattico: è ‘parola’ ogni elemento sintatticamente semplice (che, cioè, non è costituito da più
unità in relazione sintagmatica).
Questa definizione finisce per non considerare parole i paralessemi e le espressioni polirematiche, ma
esclude anche parole che intuitivamente considereremo unitarie – come le costruzioni italiane con pronomi
clitici: prendimelo, infatti,non sarebbe una parola perché costituito da tre unità sintattiche (‘prendi’, ‘a me’,
‘quello’).
In generale, la morfologia dei clitici italiani non consente di considerare tali elementi come parole perché
non hanno accento proprio ma soprattutto sono privi di mobilità (ossia non sono liberi nella loro
combinatoria: non è possibile avere cioè prendilome ma soltanto prendilo o prendimi.

Criterio semantiche: tutte le parole che si riferiscono ad entità ed oggetti presenti nella realtà esterna sono
più facilmente identificabili come parole. Quantunque in generale le parole provviste di un significato
lessicale e denotazione siano più facilmente riconducibili a un concetto di ‘parola’, in base a una definizioni
semantica si dirà che è ‘parola’ ogni unione di un particolare significato con un particolare insieme di suoni,
suscettibile di un particolare uso grammaticale.
Se stazione e capostazione soddisfano tale criterio (l’ultima espressione va infatti analizzata come parola
unica, in virtù del particolare significato denotativo di cui è espressione) lo stesso sembra valere per unità
morfologiche legate (ovvero non libere da un punto di vista combinatorio) quali in e bil di intrattabile, che
dunque non possono essere considerate parole, sebbene la prima sia all’incirca equivalente a ‘non’ e la
seconda si identifica con il significato ‘che si può’.

Il concetto di parola è dunque un concetto ‘prototipico’. Diciamo che in linea di massima essa è una
costruzione che può assumere forme molto diverse, presentando meccanismi di formazione molto
differenti, tanto che è impossibile isolare una serie di tratti che facciano riferimento ai criteri di una parola,
tutt’al più “ingredienti” che ci permettono di stabilire che ci sono parole che sono più parole di altre.
Il concetto di parola, pertanto, poiché si manifesta nelle differenti lingue in forme notevolmente differenti,
piuttosto che un’unità di significato individuata partire da una somma di tratti semantici considerati
sufficienti e necessari e definiti sulla base dellla loro presenza/assenza, ossia un concetto inteso nel senso
‘sostanziale’ e positivo tradizionale, aristotelico – è meglio configurabile come un concetto prototipico:
accanto a parole ‘prototipiche’ ve ne saranno di via via meno tipiche: si va da parole semplici a unità
polilessematiche che non sono interrompibili, alle parole frase con più radici lessicali delle lingue
polisintetiche.

La nozione di morfema è assai meno evidente. I diversi modi in cui le lingue costruiscono le “parole”, e il
confronto tra parole simili nella forma dell’espressione, mette in luce l’esistenza di elementi minimi o forme
elementari della lingua chiamate morfemi: le più piccole unità delle lingue dotate di significato (ovvero
unità di prima articolazione) che possono corrispondere a una parola, ma più spesso coincidono con ‘parti’
o ‘pezzi’ di parola (talora, anzi, si tratta addirittura di parole così complesse da corrispondere a un’intera
frase di un’altra lingua).

Classificazione delle lingue di Whorf(dalla più analitica alla più sintetica)


Lingue isolanti: la struttura della parola è semplice (indice di sintesi 1:1 ovvero parole mono-morfemiche e
monosillabiche. L’assenza di morfologia viene supplita dalla sintassi o dal lessico.
Es- cinese, vietnamita.

Lingue agglutinanti: la struttura della parola giustappone morfemi e presenta un elevato indice di sintesi
3:1; i morfemi tuttavia hanno valore o senso univoco, sono facilmente individuabili e privi di allomorfia e
omonimia. I morfemi sono incollati l’un l’altro. E’ il caso del turco

Lingue flessive o fusive: sono parole abbastanza complesse (indice di sintesi 2:1) ma amalgamano morfemi
cumulativi in morfi non separabili o identificabili (fusi, appunto).
E’ il caso del russo.

Lingue introflessive: come l’arabo, le cui parole presentano confissi, ossia morfemi detti discontinui accanto
ai tradizionali prefissi o suffissi. Sono flessioni che avvengono all’interno della stessa radice. Sono
esclusivamente le lingue ‘semitiche’.

Lingue polisintetiche: hanno la struttura della parola più complessa (indice medio di sintesi 4:1) e la
particolarità che in una medesima parola possono comparire due o più morfemi ‘pieni’ o lessicali, spesso
incorporando a una radice verbale anche l’oggetto (si dicono anche, in questo caso, lingue incorporanti), di
modo che spesso una parola più corrispondere a un’intera frase in altre lingue.

Nel caso dell’inglese, le sue parole semplici sono di tipo monomorfemico: boy, dog…; formate da un unico
morfema che esprime il contenuto lessicale senza espressione di genere e numero, al di fuori del plurale.
L’inglese è di per sé una lingua che mostra uno stadio di transizione che la porta ad oscillare da uno stato
più analitico a meno sintetico.

In generale, tutte le lingue si distribuiscono all’interno di un continuumnel quale le lingue che chiamiamo
isolanti sono lingue che presentano nella maggior parte dei casi da un massimo di analiticità (1:1) fino ad
arrivare ad un massimo di sinteticità.
Classificazione dei morfemi
i morfemi sono unità caratterizzate per essere ascrivibili a delle sottocategorie costruite sulla base di due
parametri: funzione e distribuzione (la loro distribuzione all’interno del significante).
In base alla funzione i morfemi si distinguono in lessicali (provvisti di un significato che denotativo e facenti
parte del lessico) e grammaticali/funzionali (provvisti di una funzione grammaticale, che viene solitamente
esplicitata dal contesto in cui occorrono). Queste due classi, inoltre, si distinguono per il fatto che la prima è
sostanzialmente aperta, la seconda è tendenzialmente chiusa.
In alcune lingue, compreso l’italiano, le cosiddette parole funzionali formano classi chiuse, ma non si
possono propriamente definire morfemi grammaticali a pieno titolo, in quanto ulteriormente scomponibili,
o provviste di un significato referenziale-deittico.
In base alla distribuzione, i morfemi possono essere liberi o legati: saranno liberi quelli che possono
ricorrere da soli in una frase (ad es. bar, ieri, virtù), legati quelli che non possono ricorrere da soli e devono
“legarsi” a qualche altra unità (la -i dell’italiano in libr-i).
In italiano, ma non in inglese, le parole semplici sono bimorfemiche e i verbi regolari trimorfemiche: in
inglese si può dunque dire che una parola è ciò che resta ove si sottraggono i morfemi flessivi (boy-s, sing-s)
laddove in italiano non è mai così e il morfema lessicale privo di desinenza non è mai libero, a meno che
non si tratti di un prestito dall’inglese.

Morfi e allomorfi
In fonologia, i fonemi potevano realizzarsi sotto forma di foni come ‘allofoni’, sulla base di caratt. Legati alla
provenienza del parlante, in rapporto al suo apparato articolatore, o anche di natura geografica e sociale.
Gli allomorfi sono dunque indicativi sulle caratt. Del parlante.

La meccanica che porta all’utilizzo degli allomorfi, agisce anche a livello della prima articolazione che fanno
sì che diversi morfi, diverse manifestazioni fisiche di un morfema, possano realizzare degli ‘allomorfi’,
realizzando comunque lo stesso contenuto.

Quando troviamo una serie di diversi morfi che siano dunque altrettante manifestazioni di uno stesso
morfema, parleremo di allomorfi: il morfema +plurale in italiano ha quali possibili allomorfi -e, -i, -ini, ad es.
per donne, città, cani, uomini…

Si dice allomorfo la variante formale di un morfema che realizza lo stesso significato di un altro morfo della
stessa funzione. Ad es. il morfema (ven-) radice del verbo venire, presenta ben cinque forme allomorfiche:
ven-, venn-, veng-, vien-, ver-.

Si parla di suppletivismo quando, in un paradigma omogeneo, sono presenti morfemi radicali diversi che
hanno rapporti semantici cui non corrispondono rapporti sul piano del significante. Ad es. la flessione del
verbo andare (a differenza di venire) presenta due radici in relazione suppletiva, and e vad; analogo
fenomeno lo si ritrova nel campo della morfologia nominale con la presenza di “radici duplici” che formano
entrate lessicali complesse e si suddividono la distribuzione dei derivati.
acqu-oso; idr-ico. Una buona parte del lessico italiano è formato da tali radici che formano parole nuove
suddivise all’interno di specifici campi(es-. varianti della stessa parola con radici derivanti dal latino, greco).
Es. cavallo deriva da caballum(ver. volgare) , mentre il latino classico è equinus: il campo semantico della
‘cavallinità’ è formato da parole divise nei due gruppi delle due diverse radici equin- e cavall-

Si ha allomorfia, invece, in presenza di un sensibile rapporto tra significanti delle forme alternanti (in
genere spiegabile con il ricorso a una regola attiva): corretto> correzione, perfetto>perfezione.

Derivazione e flessione
Sono i due principali processi morfologici
La derivazione è la modificazione di una parola ottenuta attraverso l’aggiunta di una forma o morfema
legato (affisso) ad una forma libera o parola semplice; essa raggruppa almeno tre diversi processi:

- Prefissazione: prefissi
- Infissazione: infissi
- Suffissazione: suffissi

La flessione “aggiunge” alla parola informazioni grammaticali relative a generi, numero, caso, tempo,
modo diatesi, persona senza cambiarne il significato ‘di base’, ma derivandone ‘forme’diverse; essa si
applica tanto alle parole semplici quanto a quelle complesse.

Tutte le lingue presentano un numero definito di processi derivazionali, il cui numero varia a seconda delle
varie lingue, tale da permettere la formazione delle parole, ove si tenga conto anche di regole di restrizione
che non consentono tutte le combinazioni possibili: es. giornale, giornalaio e giornalista, ma da latte
soltanto lattaio e non latt-ista (chi si occupa del latte’) e il birraio non è chi vende birra, ma chi fa la birra.
Si chiama famiglia di parole (o lessicale)quella formata da tutte le parole derivate da una stessa
base/radice/morfema lessicale.
Alcuni morfemi, ad esempio socio- (‘della società’) e -patia (sofferenza) in sociopatia sono allo stesso
tempo provvisti di valore lessicali e derivazionale e vengono denominati prefissoidi e sufissoidi.
Quando i formanti morfologici che coesistono nella stessa parola conservano il loro valore di parole
autonome siamo in presenza di parole composte, in cui accade come in caposquadra, in cui riconosciamo le
due parole con una propria funzione e utilizzo regolari come parole autonome.

Tipi di affissi

Oltre alla fondamentale distinzione tra prefissi e suffissi, le parole delle lingue presentano anche altri tipi di
affissi, più complessi da definire.
Gli infissi sono inseriti ‘dentro’ la radice. In italiano ne esistono soltanto marginali (ort-ic-ell-o, il cui ic funge
solo da morfema di giunzione), e alcuni considerati come semplici ‘interfissi’ , come nel caso dei
vezzeggiativi, ma in molte lingue sono ben attestati e interrompono la continuità della radice lessicale.
Anche i cosiddetti circonfissi sono affissi formati da due parti collocate prima e dopo la radice, come nel
caso del tedesco.
Morfemi discontinui si ritrovano anche, in altre lingue, come il caso della negazione in frase espressa dal
circonfissone____pas (che alcune considerazioni distribuzionali sembrerebbero far ritenere come due
parole indipendenti, ma che in verità non lo sono mai del tutto.
Infine i morfi discontinui che in alcune lingue (come quelle semitiche) si incastrano entro la radici sono
spesso denominati transfissi.

Nella morfologia di molteplici lingue troviamo anche altre tipologie di morfemi, come i morfemi sostituitivi
o modulari, quelli il cui formante sul piano dell’espressione si manifesta con una sostituzione di un fono a
un altro, trasformando quindi la radice: foot-feet.
Si parla di morfo zero, invece, quando una distinzione presente nella grammatica di una lingua non riceve
alcuna manifestazione con una marca morfemica nel significante: sheep(‘pecora/e) o città, in cui la
categoria numero viene ‘neutralizzata’.
In inglese, come in altre lingue, esistono morfemi definibili soprasegmentali come quelli derivanti dalla
distribuzione dell’accento in coppie di parole come contest, ‘competizione’, vs ‘contestare’.
Nelle lingue le distinzioni morfologiche (e i meccanismi alla base della formazione delle parole) fanno
ricorso anche ad altri processi non riducibili ad alternanze morfemiche.

Si dicono inoltre morfemi cumulativi quelli che esprimono contemporaneamente con un medesimo
formante più di un significato o valore (fondendoli entro un solo segmento): in latino la desinenza -um in
lupum fonde all’interno di un morfema segmentale suffissale tre morfemi, ossia numero singolare, caso
accusativo e genere maschille.
Un morfema cumulativo particolare è quello definito amalgama, ossia il risultato della fusione di due
morfemi: francese au (a + le) o l’articolo determinativo plurale italiano i che fonde il morfo l- e quello del
plurale, annullando la consonante alla radice dell’articolo le.

Classificazione delle parole composte.

I composti sono parole in cui la complessità interna fa riferimento all’unione di due parole semplici esistenti
nella lingua e in esso funzionali.

- Subordinati: caposquadra (capo trasmette la categoria morfologica di nome di persona animato:


capisquadra. In questo caso, il composto è endocentrico).Lavapiatti: composto esocentrico.
- Coordinati:treno merci (endo): composti che sono caratterizzati dal fatto che le due parole semplici
sono coordinati tra loro.
- Attributivi: le due parti del composto sono disposti in modo che uno sia l’attributo dell’altro
(cassapanca), o come nel caso di pellerossa ,il cui secondo termine è l’attributo del primo.Pelle in
questo caso non è testa: ‘i pellerossa’.

Ci sono anche altri tipi minori di composti, come quelli neoclassici(callofugo), composti incorporanti (to
horseide), che si realizzano nel processo di incorporazione , composti sintagmatici (va e vieni) , composti
reduplicati (pigiapigia) e composti troncati (confindustria).

Interazione tra morfologia e altri livelli di analisi

Esistono delle modificazioni delle combinazioni tra morfemi che seguono delle regole che seguono ordine
fonologia e morfologia: regole di morfofonologia, regole di “riaggiustamento”: lungo+mare vs lungo+Arno
(lungarno). Queste regole non ci mettono mai in dubbio la condizione di riconoscere i morfi.

Interfaccia fra morfologia e sintassi: sintagmi fissi vs sintagmi “normali”


Alcuni dei renziani non lo seguono. Difficoltà nell’interazione del pronome lo, il quale non ha un chiaro
riferimento che possa essere ricondotto a un costituente interno al sintagma derivato renziani. In generale,
ci si accorge che esso fa riferimento a Renzi in quanto il derivato rende “opaco” il costituente della parola
stessa. Per cui tutte le parole derivate che usano “ani”/ “iani” , soprattutto in ambito politico ma anche in
altri, hanno regole che consentono la formazione di parole complesse che diventano non più trasparenti.

Interfaccia tra morfologia e semantica: è data dal fatto che l’idea secondo cui un significato di tipo
grammaticale sia espresso da un solo morfema è impossibile, in quanto le lingue sono estensibili,
sinonimiche. Per cui i processi di "derivazione" non sono retti da regole simmetriche, ma producono
processi semanticamente diversi anche in presenza di un’identità al livello del significante (giornalaio vs
birraio vs granaio). Ciò che accade è che gli affissi da un punto di vista espressivo sono identici, ma non
reggono lo stesso significato. Non c’è nelle lingue una corrispondenza morfema-semantica.
Inoltre, determinate forme di derivazione sono bloccate dal fatto che le lingue prevedono l’esistenza di altri
meccanismi di natura lessicale per esprimere quello stesso contenuto. Tale è il cosiddetto “Fenomeno del
Blocco”: bello>inbello (ma esiste brutto); corretto>incorretto (scorretto). La regola che fa sì che il prefisso
“in” funga da negazione per tali aggettivi viene “bloccata” dall’esistenza di altri tipi di suffisso di significato
analogo.
dobbiamo inoltre ricordarci di tutte quelle parole idiosincratiche, paralessemi, parole percepite dal parlante
come gruppi di parole ma che sono interrompibili e autonome, non facilmente soggette a flessioni, sono
altrettanto particolare in quanto il loro contributo è di tipo non composizionale, non più trasparenti, che
hanno nella propria accezione perso ogni trasparenza: pomodoro, ortaggio non presente da sempre in
Europa, viene importato a seguito della scoperta delle Americhe, per poi essere utilizzato nel corso del
Rinascimento. Privo di una dominazione in territorio europeo; in italiano, la dominazione del ‘pomo (mela)
d’oro’ è il nome che gli viene attribuito per descrivere inizialmente questo nuovo e originale ortaggio,
significato che ora ha perso la propria espressione composizionale (smette di essere un pomo che è d’oro),
perciò non è più trasparente.

Altri processi di formazione delle parole

 Coniazione (invenzione); strano , perché molto spesso generato da fenomeni casuali. Si tratta del
fatto che alcune parole entrano e si diffondono come vocabili di uso comune dopo essere stati
attribuiti a dei marchi (aspirina, sandwich, jeans, ma anche aggettivi in italiano come cartesiano,
giuliano).
 Prestito; l’adozione di parole di un’altra lingua, fenomeno di grande importanza in linguistica
storica. Esistono prestiti adattati (es. il giapponese suupaamaaketto per ‘supermarket’), non
adattati (in italiano, film, computer) o parzialmente adattati (bar da cui barista, sport da sportivo).
Infine c’è il calco, o traduzione diretta dagli elementi costituitivi la parola originaria nella lingua che
adotta il prestito: skyskraper>grattacielo
 Incrocio o clipping, combinazione di due forme separate in un unico termine quale esito di fusione:
smog, bit, motel, telethon, modem (in italiano, anche le parole macedonia: cantautore,
apericena…).
 Abbreviazione, o riduzione di una parola formata da molte sillabe (es. auto, aereo, foto…).
 Retroformazione; riduzione di una parola appartenente a una certa classe per formarne una
appartenente a un’altra classe: televisione>televise, donation>donate…
 Conversione (suffissazione zero); cambiamento della funzione di una parola (ovvero quando un
nome viene usato come verbo o viceversa): bottle, to bottle, mangiare, il mangiare. Si difinisce
conversione anche la presenza di coppie di parole con stessa radice lessicale e prive di suffisso di
cui non è dunque possibile in linea di principio stabilire la sequenza derivazionale; lavorare-lavoro
 Reduplicazione; il raddoppiamento di un segmento che può essere parziale o totale
 Parasintesi; ovvero l’unione di una base più un prefisso e un suffisso in cui tuttavia né la sequenza
prefisso + base né quella base + suffisso sono parole dell’italiano (ad es. ingiallire,in cui ingiallo e
giallire non sono sequenze grammaticali
 Acronimi: ossia nuove parole formate con le lettere iniziali di altre parole che possono restare
combinazioni di lettere (CD) o esser pronunciati come singole parole (NATO, UNESCO). Acronimi
non trasparenti vengono talora combinati con uno dei loro elementi, ad esempio PIN number.

Testa, prefissazione e suffissazione

La caratterizz. Che abbiamo dato al composto era quella per cui entrambe le parole erano sullo stesso
piano, oppure con il caso in cui ci fosse una testa del composto, la quale trasmetteva allo stesso composto
le caratteristiche grammaticali della stessa testa.

I costituenti che si uniscono per formare una parola complessa non sono sullo stesso piano: uno dei due
“trasmette” alla costruzione la categoria lessicale e alcune proprietà sintattico-semantiche. A questo
componente si è soliti dare il nome di testa, parola in linguistica che equivale ad un calco dall’inglese ed
utilizzato sia in morfologia che in sintassi per definire quella che è la parte di elemento gerarchicamente
preminente all’interno di una combinazione di morfemi.

Fama (N)> famoso (A). la testa è il morfema –oso (suffisso che trasmette al derivato l’informazione
grammaticale, trasformando un nome in un aggettivo).
la suffissazione in italiano è solita cambiare la categoria della base, a differenza della prefissazione (ad es.
passare>ri passare, probabile>improbabile) in cui la testa resta il morfema lessicale base o radice.
Dalla morfologia alla sintassi: grammatica e categorie
La grammatica è la disciplina che si occupa di descrivere (e spesso prescrivere)la combinazione di parole che
costituisce la struttura dei sintagmi e delle frasi in una data lingua, in modo tale da dar conto di tutte le
sequenze ammissibili (grammaticali) escludendo quelle non ammissibili (agrammaticali). Le cosiddette parti
del discorso sono un prodotto della grammatica normativa tradizionale a base greco-latina (e per questo
non sono sempre automaticamente applicabili a lingue molto diverse da quelle per descrivere le quali sono
state create). Lo stesso può dirsi per una serie di altre categorie grammaticali espresse dalla flessione che
sono alla base dei fenomeni di concordanza e accordo: “numero”, “genere”, “persona” attivano relazioni di
reggenza: ad es. in italiano sensibile, la cui combinazione di reggenza prevede la reggenza della
preposizione “a” , fare a meno regge la preposizione “di”. Le funzioni sintattiche sono allora espresse da
categorie morfologiche individuabili sull’asse sintagmatico (e ciò consente di distinguere, nelle lingue che la
posseggono, la cosiddetta flessione inerente (amico, amici) da quella contestuale (simpatico, simpatici) ed
è dettata da regole di concordanza verbo-soggetto, sostantivo-aggettivo).

In italiano il sistema di accordo è di tipo pervasivo.

Categorie flessionali più frequenti

 Genere : solitamente in uso nella morfologia nominale; si oscilla fra un paradigma a due valori ad
una serie di ‘generi’ o classi lessicali dei nomi differenziati su basi semantiche (nounclassifiers delle
lingue bantu, non connesso al sesso biologico del referente della parola).
 Numero: in italiano marcata secondo la distinzione singolare/plurale, vi sono lingue che possono
moltiplicare i valori della categoria aggiungendo morfi come dueale, triale, paucale…
 Caso: ha la funzione di mettere in relazione un costituente nominale con la funzione sintattica
svolta dal gruppo di parole in cui appare. I linguisti hanno a lungo studiato i sistemi di caso delle
lingue che li possiedono: sono infatti estremamente variabili e alcune lingue (ad esempio quelle
uraliche e caucasiche) presentano sistemi di caso molto ricchi (perché soggette a distinzioni
specifiche per ciò che attiene ai casi locativi). La reggenza è il processo grammaticale attraverso il
quale un predicato (o una preposizione) assegna il caso al nominale che da esso dipende. Si
definisce anche il rapporto tra verbi e specifiche preposizioni (talora vincolante, ad es. dipendere
da; si pensi anche alle costruzioni dei verbi inglesi detti phrasal).
 Grado dell’aggettivo: nonché la definitezza o il possesso di un nominale possono essere marcati
con morfemi flessionali ad hoc o far ricorso a mezzi lessicali.

Categorie flessionali dei verbi

 Modo: è espressione della modalità, ossia dell’atteggiamento epistemico con cui il locutore si pone
nei confronti del processo designato da quanto detto (certezza, speranza, credenza, realtà,
possibilità…). Le lingue grammaticalizzano questa categoria o si affidano a elementi lessicali per
esprimere queste distinzioni.
 Tempo: come categoria grammaticale (non, dunque, in quanto tempo cronico o assoluto), il tempo
T ‘localizza l’evento-processo espresso in relazione all’atto dell’enunciazione (l’asse è dunque
quello anteriorità- contemporaneità – posteriorità fra enunciazione ed evento)
 Aspetto: considera l’evento-processo espresso non in base alla sua collocazione temporale ma
secondo il punto di vista del parlante nei riguardi dell’evento stesso: si avrà così una perfettiva
(evento concluso: ho firmato), imperfettiva di natura progressiva (quando mi hai visto leggevo il
contratto; focalizzazione su un istante del processo); continua (mentre osservavi leggevo il
contratto; con evento colto nella sua durata) e abituale (ti ricordi? Mi guardavi mentre giocavo a
pallone).
 Azionalità : è il ‘carattere dell’azione processo0, il modo (oggettivo) in cui si svolge. La distinzione è
tra verbi telici (o terminativi: concludere addormentarsi (distinto da dormire)) e atelici(verbi di
stato, come sapere, e verbi di attività indefinita come camminare o passeggiare).
 Persona : marca il collegamento o rapporto tra la forma verbale e il suo soggetto sintattico,
attraverso l’accordo anche di numero (in alcune lingue viene marcato sul verbo anche il genere, in
it. Nel caso del pronome personale in virtù dell’accordo/concordanza , espressione marcata di
flessione contestuale o congruente.

Tali categorie, che costituiscono il meccanismo attraverso cui le parole esprimono determinate funzioni
grammaticali, veicolano dei rapporti tra parole, chiamando in causa una dimensione dell’articolazione del
contenuto linguistico molto più ampia che risulta essere quella dei sintagmi e frasi.

Ciascuna delle categorie indicate, ovviamente, è manifestata in modi diversi da lingue diverse¸la
grammatica tradizionale in genere ha identificato come pertinenti solo categorie morfologicamente
marcate in modo esplicito, ma il linguista Benjamin Lee Whorf in un famoso saggio del 1937 ha istituito
una distinzione tra tipi di categorie grammaticali.

Whorf ritiene anzitutto che vi sia una distinzione tra:

1a) categorie manifeste, ossia dotate di un contrassegno formale presente in ogni frase contenente la
categoria (ad esempio il plurale dei nomi inglesi o la forma potenziale del verbo sempre in inglese (can,
could);

1b) categorie latenti, provviste di un contrassegno formale presente solo in alcuni tipi di frasi chiamati
raettanzadella categoria: mi consente di dire quale verbo è ad esempio transitivo o meno (ad es. i verbi
intransitivi inglesi, la cui reattanza è costituita dall’assenza del participio passivo e delle voci passive e
causative: non possiamo avere Iwasgoed). Non viene sempre marcata morfologicamente.

2a) categorie selettive, ossia classi grammaticali con un’appartenenza fissa e limitata, chiusa, in confronto
ad alcune classi più estese (le categorie selettive primarie, o categorie lessemiche, corrispondono all’incirca
alle tradizionali parti del discorso, che costituiscono la base dell’analisi della struttura morfo sintattica delle
lingue); ovviamente può trattarsi di categorie manifeste (ad es. la distinzione tra verbi e nomi in latino) o
latenti, che richiedono un contesto di reattanza, in base al quale il sostantivo non può costituire un
predicato nominale sulla base di un cambiamento di genere grammaticale, per poter essere identificati,(ad
es. la distinzione tra nomi e aggettivi sempre in latino: est gladius (è la spada), est bonus ma est bona e non
est gladia: solo gli aggettivi possono sfrutturare la capacità di ‘vagare’ il proprio genere)

2b) categorie modulari, ovvero applicabili e rimuovibili a piacere (come le “flessioni” in indoeuropeo): ad
es. il participio presente in inglese, manifestato da una sigla –ing, affisso che può essere applicato o rimosso
senza che la radice verbale cambi la sua appartenenza alle forme verbali partecipiali. In lingue diverse da
quelle indoeuropee le categorie modulari possono riguardare anche aspetti comunemente ascritti alle classi
selettive: ad es. in yana e nelle lingue semitiche nomi e verbi sono moduli (in ebraico e-e è un morfema
discontinuo o sigla di stativazione, a-a di verbazione: berek (ginocchio), barak (si inginocchiò). Lo stesso
vale per gli elementi del lessico inglese soggetti al processo di conversione (head, hand ecc.)

3) categorie isosemantiche, ovvero parole distinte per configurazione ma identiche per significati, a loro
volta suddivise in:

- 3a) selettive (declinazioni e coniugazioni, ad es. lat. Rosa vs populus;

- 3b) alternative, che cioè manifestano differenze stilistiche piuttosto che grammaticali (ad es. inglese don’t
vs do not, electric vs electrical…). Sono quindi termini sostituibili.
Classi di forme: le parti del discorso o classi lessicali
tradizionalmente le parole di ogni lingua sono state raggruppate in classi o parti del discorso, dette anche
categorie lessicali e definite spesso su basi contenutistiche o funzionali. La grammatica di ogni lingua, in
effetti, articola una serie di nozioni obbligatorie distribuendole su diverse classi di parole (il cui studio è
spesso affrontato anche dalla lessicologia). Quelle identificate di solito sono:

 Nome (solitamente variabile, aperta)


 Verbo (solitamente variabile, aperta)
 Aggettivo (spesso variabile, aperta)
 Pronome (variabile, ma non sempre, chiusa=
 Articolo (chiusa, variabile)
 Preposizionale (chiusa, invariabile a meno di composizione con articoli)
 Avverbio (aperta, invariabile)
 Congiunzione (chiusa, invariabile)
 Interiezione (chiusa, invariabile)

Tali classi, come si vede, sono suddivise in variabili vs invariabili (cioè soggetti a trasformazione dovute a
processi morfologici di derivazione flessione o composizione o meno), aperte vs chiuse. La cosiddetta
definizione “nozionale” o “concettuale” che ne dà la grammatica tradizionale, tuttavia (i nomi designano
“entità”, o “oggetti”, i verbi “azioni” o “processi” ecc.) è inadeguata, in quanto tutte le parti del discorso
devoo essere definite sulla base della distribuzione e delle loro caratteristiche morfologiche e va sostituita
con una definizione puramente distribuzionale: distribuzione è la possibilità che un tipo di parola ha di
comparire in determinati punti di una combinazione di parole o frasi. La definizione di queste classi di
forme è stata nella linguistica del Novecento lasciata su una base sintattica

La maggior parte delle parti del discorso possono essere allora definite in base alla posizione che esse
possono avere nella distribuzione delle parole escludendo le altre.

Tali parti del discorso che natura hanno in confronto alle lingue? Dato per scontato che per costruire frasi
debbano esserci predicati, la cui predicazione deve avvenire su qualcosa (nomi e verbi sono parti del
discorso presenti in generale), molti dubbi si hanno sul fatto che anche tutte le altre parti del discorso siano
effettivamente presenti in tutte le lingue. Ad esempio, tutte le lingue hanno ad esempio tipi di pronome,
ma non tutte le lingue hanno tutte le categorie di pronome.

Metodo descrittivo e l’analisi dello strutturalismo americano


Scopo dell’analisi strutturale americana (detta distribuzionalismo) è indagare empiricamente sulla
distribuzione delle forme in una lingua (ad es. attraverso dei testi quali frasi con un posto “vuoto” o slot): in
caso come quello di “____ fa bene” ci sono alcuni tipi di forme che possono occupare lo slot e dunque sono
presumibilmente ascrivibili alla stessa categoria grammaticale.
La c.d. analisi in costituenti immediati mostra in che modo i costituenti di una frase si combinino per
formare costituenti maggiori (i sintagmi, o gruppi di parole forniti di una testa e definiti in base a criteri
distribuzionali e test specifici (movimento congiunto, enunciabilità in isolamento, coordinabilità).

Da un punto di vista tecnico, l’analisi sintattica richiede l’uso di notazioni “speciali” che indichino la
gerarchia non lineare di relazioni tra costituenti: il diagramma di distribuzione per livelli, l’etichettatura
sotto forma di parentesi indicizzate (creata da Bloomfield); la rappresentazione sotto forma di diagramma
ad albero (in uso a partire dai primi sviluppi del generativismo di Chomsky).

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