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15) La nozione di parola tra morfologia e lessico.

La nozione di parola nella storia della linguistica generale è da sempre stata una delle
questioni più controverse poiché i parlanti immaginano le parole come entità separate
le une dalle altre.
Nella realtà delle lingue parlate però non c'è una reale separazione e anche per i
fenomeni di continuità di pronuncia (si vedano i link sintattici) è difficile
comprendere cosa sia la parola e quali siano i suoi confini.
In alcune tradizioni di scrittura (non tutte) si prevede la separazione delle parole di
tipo morfologico (si veda il materiale su Dixon che vi ho mandato). Specie nelle
lingue definite indoeuropee la nozione di parola appare come qualcosa di ben
individuabile e indipendente.
Infatti attraverso il principio di non interrompibilità e di occorrenza distribuzionale,
ossia proprietà di struttura morfologica delle lingue indoeuropee, la parola è vista
come un’entità indivisibile, nonché come un pezzo di frase che si muove sempre
insieme ai suoi costituenti. Secondo Dixon la parola è l’unità centrale, il punto di
intersezione tra sintassi e morfologia e per la sua definizione applica tre criteri di
diversa natura: fonologica, morfologica e semantica.
Nella definizione di parola morfologica concorrono otto criteri generali, tra i quali i
principali sono quattro. La parola deve contenere una o più radici lessicali (significato
lessicale) alle quali si applicano processi morfologici (composizione, reduplicazione,
spostamento dell’accento, cambiamento di tono, sottrazione, affissazione) ed ha
coerenza e significato convenzionalizzati dal momento che parlanti di una lingua
pensano alla parola come un’entità dotata di unità e carattere specifico.
Inoltre quando è prevista una composizione o affissazione, gli elementi grammaticali
da cui è formata occorrono sempre insieme (criterio della coesione) e generalmente
con un ordine fisso. Talvolta è possibile che gli affissi occorrano in un altro ordine
determinando, allora, delle differenze semantiche, ma per le lingue che distinguono i
processi di derivazione e flessione vale il criterio secondo cui in una parola può
esserci solo un affisso.
Un altro criterio è quello definito dal linguista Matthews, per il quale i processi
morfologici coinvolti nella formazione di parole, a differenza di tutti quelli sintattici,

tendono ad essere non ricorsivi ma, come sottolinea giustamente Dixon, Matthews
non ha tenuto conto, in questo suo giudizio, di alcune lingue come il turco che usa in
sequenza alcuni suffissi per comporre alcuni costrutti.
Il più importante criterio riguarda la posizione della pausa e la capacità delle parole
di formare un enunciato; Bloomfield e Lyons pongono l’accento sul criterio di pausa
o dell’interrompibilità, secondo il quale un parlante può interrompersi tra parole ma
non all’interno di una parola. Per Dixon però questa più che una regola è una
tendenza, dal momento che è possibile udire una pausa tra morfemi di una stessa
parola, e anche perché la pausa sembra essere legata alla parola fonologica e non a
quella grammaticale.
L’ultimo criterio è quello dell’isolabilità, secondo il quale una parola può costituire
un sintagma completo da sé.
Guardando il livello del significato è importante dire che esistono parole a cui è più
semplice attribuire un significato, mentre altre come gli articoli o i pronomi, se
considerate autonomamente, sono di difficile definizione.
A tal proposito si parla di parole piene e parole vuote; le prime hanno un significato
autonomo laddove le seconde hanno un significato chi si precisa solo nel contesto in
cui sono inserite e che serve a illustrare le relazioni che intercorrono tra le parole
piene. Per mettere in evidenza questo diverso modo di significare si parla anche di
parole dal significato lessicale e parole dal significato grammaticale, ma questa
ripartizione non è rigida dal momento che le parole possono essere più o meno
tendenti ad avere uno o l’altro dei significati.

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