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La linguistica
Cap. 3 “Morfologia”
Cos'è la morfologia?
La morfologia (derivante dal greco “morphe” ovvero “forma” + “logia” ovvero
“studio”) studia quella che è la struttura di una parola.
La parola, è la minima combinazione di elementi minori dotati di significato, ovvero i
morfemi, costruita spesso, ma non sempre, attorno a una base lessicale che
funzioni come entità autonoma della lingua.
I criteri che permettono la definizione e individuazione più precisa sono:
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grandi classi: le “semantemi” (quando sono elementi lessicali) e “morfemi” (quando
sono elementi grammaticali).
Il morfo è un morfema inteso come forma, dal punto di vista del significante,
indipendente dalla sua analisi funzionale e strutturale. È più corretto dire che “il
morfema del singolare è realizzato dal morfo -e”; non è sbagliato dire “il morfema
del singolare è -e”, ma è più corretto adoperare la prima forma citata. È necessario
dire, in ogni caso, che lavorando sui morfemi, significante e significato vanno
sempre considerati assieme, mai separatamente.
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Tipi di morfemi
Dal primo punto di vista, in “dentale”, abbiamo che dent- è un morfema, ma che
presenta un significato referenziale, concettuale, ovvero fa riferimento alla realtà
esterna rappresentata nella lingua: è un “morfema lessicale” (anche: “radice”,
“base”) sulla cui base è costruito una parola piena. Invece, gli altri due morfemi, (-
al-, -e) recano un significato (o valore) interno al sistema e alla struttura della lingua
prevista dalla grammatica: -al- serve a costruire parole derivandole da altre parole
già esistenti; -e serve per attualizzare una delle varie forme in cui la parola può
comparire, recante il significato previsto obbligatoriamente dal sistema
grammaticale di una lingua. Il primo è un “morfema derivazionale”, il secondo è un
“morfema flessionale”.
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come l’inglese. si adatta male alla struttura morfologica dell'italiano, in cui anche i
morfemi lessicali sono perlopiù morfemi legati (gatt-o, buon-o).
Gli affissi (definizione: consiste in ogni morfemi che si combina con una radice) sono
sempre, per definizione, morfemi legati. Adottando tale distinzione, possiamo
trovare una casella per i tipi di elementi come parole funzionali designandole come
morfemi semiliberi. La derivazione, che dà luogo a parole regolandone I processi di
formazione, e la flessione, che dà luogo a forme di una parola regolandone il modo
in cui si attualizzano le frasi, costituiscono i due grandi ambiti della morfologia.si
tenga presente che partendo da determinate radici o basi lessicali la derivazione
agisce prima della flessione: prima costruiamo le parole e poi applichiamo le dovute
flessioni. Questa priorità della derivazione, unita alla caratteristica di “non
interrompibilità” delle parole, ha come conseguenza che di solito i morfemi
flessionali stanno più lontano dalla radice lessicale rispetto i morfemi derivazionali
che invece tendono a disporsi immediatamente contigui alla radice. Mentre la
derivazione non è obbligatoria, la flessione è obbligatoria, cioè si applica
invariabilmente a qualunque base lessicale ad essa soggetta.
Riprendiamo gli affissi. Esistono diverse tipologie di affissi: i prefissi, ovvero degli
affissi che nella struttura della parola stanno prima della radice; i suffissi, ovvero
degli affissi che stanno dopo la radice.
Le desinenze sono dei suffissi con valore flessionale che si trovano sempre
nell'ultima posizione della parola, dopo la radice, con eventuali suffissi derivazionali.
La distinzione fra prefissi e suffissi è fondamentale in italiano, però, nel mondo, vi
sono altre tipologie di affissi, con definizioni più complesse. Abbiamo, infatti, gli
“infissi”: sono quegli affissi inseriti dentro la radice. In italiano non esistono veri e
propri procedimenti di infissazione. Può però essere considerata un infisso la
consonante nasale che i verbi del latino e del greco contrassegna il tema del
presente rispetto a quello degli altri tempi.
Un altro tipo di morfemi sono i “circonflessi”: oltre che morfemi discontinui, sono
anche affissi formati da due parti una che sta prima della radice e l'altra dopo la
radice e che quindi contengono al loro interno la radice.
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parentesi graffe, indicando, nella riga sottostante, con opportune sigle e
abbreviazioni, il loro significato e valore.
Morfemi zero (o più correttamente chiamato morfo zero) si ha solo in alcuni casi.
Questi casi sono delle distinzioni dove bisogna obbligatoriamente marcare le stesse
distinzioni nell'ambito grammaticale di una certa lingua in via eccezionale e queste
non vengono rappresentate in alcun modo nel significante. Un esempio è quello dei
plurali invariabili in lingue, che non hanno normalmente la marcatura del numero
(come per esempio in inglese). Un morfo o morfema zero si ha nei nomi della terza
declinazione in latino, per esempio.
Un'altra nozione ancora più importante, e che avviene spesso nei morfemi
grammaticali, che recano contemporaneamente più di un significato o di un valore,
sono i morfemi cumulativi.
Per superare problemi come quelli dell'allomorfia delle radici lessicali, alcuni linguisti
hanno introdotto una nuova entità, anche essa prima di forma fonologica concreta e
con un significato esclusivamente morfologico. Questa nuova entità viene detta
“morfoma”. Il morfoma sarebbe rappresentato unicamente da una regolarità
strutturale astratta ricorrente all'interno dei paradigmi morfologici.
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articolo determinativo plurale in cui si trovano fusi il morfo dell'articolo determinativo
l- e quello del maschile plurale -i. Gli amalgami sono, per definizione, morfemi
cumulativi che si trovano uniti in un solo morfema. Essendo che quesiti trovano uniti
in un solo morfema, allora i significati dei due morfemi, all'origine separati, risultano
amalgamati.
In parole più semplici, essendo gli amalgami l'unione di due morfemi, che all'origine
erano separati e possedevano due significati, adesso, essendo i due morfemi uniti,
anche i due significati sono uniti.
Come abbiamo già visto i morfemi derivazione ali mutano il loro significato in base a
dove vengono applicati, aggiungendo nuove informazioni, modificando la classe di
appartenenza della parola e modificando anche la sua funzione semantica. I
morfemi derivazionali svolgono una funzione molto importante: quella di permettere,
attraverso processi di prefissazione e suffissazione, la formazione di un numero
teoricamente infinito di parole a partire da una certa base lessicale.
Es.: prendiamo come esempio la base “socio”. Da questa base, otteniamo diverse
parole come società, socievole, sociale, asociale, sociologia, associare, riassociare,
eccetera.
In ogni lingua esiste una lista infinita di moduli di derivazione che danno luogo a
famiglie di parole. L'esempio appena citato, è proprio una famiglia di parole (o
famiglia lessicale). Queste tipologie di famiglie sono formate da parole che derivano
da una stessa radice lessicale.
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lunghezza, il “termometro” è il misuratore della temperatura. In questo caso il
suffissoide “metro” funge da radice, per poi generare la parola termometro, ma
anche da sola a un suo significato.
Con "parole composte" intendiamo due parole che si agganciano fra di loro per
formare un'entità unica in cui i due membri sono perfettamente riconoscibili e
recano il loro significato lessicale normale.
Es.: potremmo fare l'esempio di “gatto selvatico”. Non è un comune gatto che è
selvatico, ma una specie felina a sé, diversa dal gatto domestico. Un altro esempio
sarà “gatto delle nevi” che non è un felino abitante sulle distese nevose, ma è un
mezzo per muoversi sulla neve.
Altri meccanismi che formano parole e che hanno aspetti in comune con la
composizione sono la lessicalizzazione delle sigle e l'unione di parole diverse che si
fondono con accorciamento degli elementi consecutivi. Le sigle sono anche dette
acronimi, e sono formate in generale Dalle iniziali delle diverse parole (TG è
l'acronimo di TeleGiornale, IVA è l'acronimo di "Imposta sul Valore Aggiuntivo” e
così via).
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Invece l'unione con accorciamento da luogo a quelle parole comunemente
chiamate "parole macedonia" (per esempio la parola “cantautore” deriva dall'unione
di cantante + autore, oppure la parola “ristobar” deriva dall'unione di ristorante +
bar).
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aggettivo, aventi la stessa radice lessicale ed entrambi privi di suffisso, dove non è
possibile stabilire quale sia la parola primitiva e quale la parola derivata. Quando la
coppia è costruita da un verbo e da un nome, tuttavia, si deve supporre che la base
in realtà sia il verbo, in quanto il nome designa l'atto indicato dal verbo. Questo
fenomeno viene anche chiamato “derivazione zero”. Quando la coppia è costruita
da un verbo è un and aggettivo, si può intendere che il termine primitivo sia
l’aggettivo, in quanto il verbo indica l’azione (es.: calmo-calmare; taglio-tagliare).
Infine distinguiamo diversi tipi morfologici di parole: le parole basiche o primitive
(esempio: mano), le parole alternate (esempio: manina), le parole derivate
(suffissate: maniglia; prefissate: rimaneggiare), parole composte (esempio:
corrimano), unità plurilessematiche (esempio: mano morta). Il processo di
derivazione di una parola si può rappresentare con un diagramma ad albero:
Ma, più precisamente, quale genere di significato viene veicolato dei morfemi
flessionali?
I morfemi flessionali danno luogo alle diverse forme in cui una parola può
presentarsi nel suo impiego nel discorso. Per esempio, un aggettivo come “alto”,
può presentarsi sotto quattro forme: alto, alta, alti, alte; un verbo, invece, può avere
molte forme diverse a seconda della sua coniugazione.
Si ricordi che la forma di citazione, ovvero quella forma che rappresenta l'esponente
generale della parola, è per nomi e aggettivi il singolare maschile, in quanto il
maschile e il singolare vengono considerati i valori non marcati della categoria del
genere e del numero; invece per i verbi, in molte lingue, è l’infinito. I morfemi
flessionali operano sulle classi cosiddette “variabili” di parole, ovvero parole
suscettibili ad accogliere la flessione. Realizzano valori delle categorie grammaticali;
più precisamente, un determinato morfema realizza un valore di una determinata
categoria grammaticale; questo è la “marca” di quel valore.
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Le categorie grammaticali, a loro volta, danno espressione ad alcuni significati
fondamentali, più comuni e frequenti, ovvero di portata generale, che diventano
categorici per una determinata lingua e devono obbligatoriamente essere espressi
in quanto previsti dalla grammatica. Fra le categorie grammaticali, vi sono quelle più
propriamente flessionali, che riguardano, per l’appunto, il livello dei morfemi stessi:
ogni categoria è l'insieme dei valori che può assumere una determinata dimensione
semantica basilare elementare, ciascuno rappresentato da morfemi. In generale, si
distinguono le categorie flessionali in due grandi classi: quelle che operano sui nomi
e quelle che operano sui verbi. In lingue come l'italiano, la morfologia nominale a
come categorie fondamentali il genere il numero.in italiano la categoria del genere si
esprime tramite il maschile e il femminile.in altre lingue come per esempio l'inglese
non esiste questa differenza di genere (come per esempio l’inglese) oppure il genere
viene espresso tramite il maschile, il femminile e il neutro (come per esempio il
latino).
Per quanto riguarda, invece, la categoria del numero, questa è marcata in italiano
con i morfemi del singolare e del plurale. Anche qui, altre lingue possono avere più
valori come il duale e il triale.
Un'altra categoria flessionale molto rilevante è il “caso”, che svolge l'importante
funzione di mettere in relazione la forma della parola con la funzione sintattica che
essa ricopre nella frase. La flessione di caso è presente, per esempio, in latino, in
russo, in turco e così via; in italiano esistono resti fossili di flessione casuale nel
sistema dei pronomi personali, dove, per esempio, “tu” e “te” sono appunto distinti
per essere l'uno il soggetto al caso “nominativo” e l'altro l'oggetto al caso
“accusativo”. Il processo attraverso il quale un verbo assegna il caso al suo
complemento viene chiamato "reggenza": si dice così per esempio che in latino il
verbo usare regge l'ablativo (“clipeis uti” significa usare gli studi). Anche le
preposizioni possono essere il caso: sempre come in latino la proposizione “cum”
(con) regge anch'essa l’ablativo.
La notazione di reggenza si applica per estensione anche al rapporto fra verbi e
preposizioni quando vi sono verbi che richiedono determinate preposizioni: pensare
a, dipendere da, cambiare con, eccetera.
In molte lingue gli aggettivi possono essere marcati per "grado": un esempio di
grado è per esempio il grado superlativo e comparativo. L'italiano affida alla
flessione soltanto l'espressione del superlativo.
Altre lingue marcano con morfemi appositi sui nomi la "di finitezza" o il
"possesso".nel primo caso possiamo fare un esempio nella lingua araba nel
secondo caso un esempio è la lingua turca.
La morfologia verbale a cinque categorie flessione ali principali:
• Il modo: esprime la modalità cioè il modo nella quale il parlare si pone nei
confronti del contenuto di quanto viene detto;
• Il tempo: è la collocazione nel tempo che può essere assoluta o relativa. Il tempo
è presente passato o futuro;
• L'aspetto: riguarda la maniera in cui vengono osservati e presentati in relazione al
loro svolgimento l’azione, l'evento o il processo espressi dal verbo. L’aspetto può
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essere imperfettivo (considera un evento da una prospettiva interna al suo
svolgimento, senza fornire indicazioni circa la sua eventuale prosecuzione) o
perfettivo (considera un evento dalla prospettiva esterna al suo svolgimento, nella
sua globalità, visualizzandone il momento finale);
• L’azionalità (o carattere d'azione): riguarda il modo oggettivo in cui si svolge, nello
sviluppo temporale, l'azione, l'evento o il processo espressi dal verbo. Una
distinzione importante è quella fra verbi “telici” (che denotano un’azione, un
evento o un processo dotato di un punto culminante, che ha una fine) e
"atelici" (senza un momento finale, conclusivo);
• La "diatesi" (o voce): esprime il rapporto in cui viene rappresentata l'azione o
l'evento rispetto ai partecipanti e in particolare rispetto al soggetto;
• La persona: indica chi compie l'azione o più in generale riferisce e collega la forma
verbale al suo soggetto e si manifesta con morfemi diettici o di accordo. La
marcatura di persona implica, di solito, anche la marcatura di numero (per
esempio, “lui gioca” indica che il soggetto “lui” è la terza persona singolare).
Mentre in italiano marchiamo sia sul soggetto sia sul verbo, altre lingue marcano
solo sul verbo. Il giapponese ha una complessa morfologia di marcatura sul verbo,
dato dal rapporto sociale gerarchico, di rispetto, confidenza, distanza ,prossimità
sociale, eccetera. Questa complessa morfologia di marcatura sul verbo, in
giapponese, si ha fra il parlante e l’interlocutore.
Categorie grammaticali a livello di parola, che classificano le parole raggruppandole
in classi a seconda della loro natura e del loro significato, del loro comportamento
nel discorso e del loro caratteristiche flessionali e funzionali, sono le classi di parole
o più comunemente conosciute come “parti del discorso” (allora volta dette anche
“categorie lessicali” o "classi lessicali”). Nella grammatica tradizionale le parti del
discorso sono nove: il nome, l’aggettivo, il verbo, il pronome, l’articolo, la
preposizione, la congiunzione, l'avverbio e l’interiezione. La reale natura linguistica
di quest'ultima classe citata è, peraltro, molto dubbia, siccome le interazioni
primarie costituiscono un insieme di espressioni che non appaiono integrate nel
sistema linguistico e condividono molti aspetti la comunicazione non verbale.
L'assegnazione delle parole a categorie o classi lessicali diverse, avviene in base a
tre criteri fondamentali:
• Criterio semantico, ovvero il tipo di significato;
• Criterio morfologico, dato dal comportamento delle parole in relazione alle
categorie morfologiche presenti nella lingua;
• Criterio sintattico, dato dal contesto in cui le parole possono comparire, dalla loro
collocazione all'interno dei sintagmi e delle frasi e delle funzioni sintattiche che
possono svolgere;
L'insieme di tre criteri consente di stabilire l’appartenza di ogni parola a una
determinata classe. Anche le due classi lessicali fondamentali, i nomi (che
designano entità e codificano la realtà esterna in prospettiva statica) e i verbi (che
designano predicazioni e codifica la realtà in prospettiva dinamica) a volte non sono
ben differenziabili. Un esempio sarà la lingua cinese, poiché molte parole possono
funzionare sia da verbi che da nomi.
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Un altro esempio di sovrapposizione di categorie sia nel caso dei “partitivi”: le
preposizioni articolate “del”, “degli”, possono funzionare sia come preposizioni sia
come articoli partitivi, indicanti una quantità indefinita, imprecisa, di cose (per
esempio: del pane, degli studenti).
Mentre le categorie grammaticali fino adesso viste sono definibili, vi sono altre
categorie importanti grammaticali che si individuano sull'asse sintagmatico,
considerano le parole nel loro rapporto con le altre parole all'interno di un
determinato messaggio. A queste categorie grammaticali, si può ritrovare la
definizione di:
• “Funzioni sintattiche”: nozioni tradizionalmente definite dall'analisi logica come
soggetto predicato oggetto complemento di termine complemento di
specificazione di luogo eccetera;
• “Flessione inerente”: riguarda la marcatura a cui viene assoggettata una parola in
isolamento a seconda della classe di appartenenza per il solo fatto di essere
selezionata nel lessico e comparire in un messaggio;
• “Flessione contestuale”: una flessione che dipende dal contesto: specifica una
forma e seleziona i relativi morfemi flessione ali in relazione al contesto in cui la
parola viene utilizzata dipendendo dai rapporti gerarchici che si instaurano fra le
parole all'interno del discorso o della frase;
Un meccanismo che opera in molte lingue, più in generale, è quello della marcatura
di "accordo", che prevede che tutti gli elementi suscettibili di flessione all'interno di
un costrutto prendono le marche delle categorie flessionali per le quali è marcato
l'elemento a cui si riferiscono o da cui dipendono. In italiano, per esempio, è
obbligatorio l'accordo fra verbo e soggetto (esempio: un gatto miagola) e fra i
diversi componenti di un sintagma nominale.
Può anche convenire, nella morfologia contestuale, distinguere “accordo” e
“concordanza”: il primo termine, mette in relazione gli elementi del sintagma
nominale; il secondo mette in accordo le forme verbali con elementi nominali, in
particolare il soggetto.
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