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Linguistica italiana

Morfologia
La morfologia studia la struttura interna delle parole. Prendiamo per esempio libr-i, la
prima parte dà il significato della parola mentre il secondo dà la marca del plurale:
ognuno di questi due segmenti costituisce un morfema (la più piccola unità dotata di
significato). I morfemi possono essere:
1. Lessicali -> riguardano il lessico ed appartengono ad una classe ampia
(significante e significato; la base per tutte le forme e le occorrenze di una
parola):
Es.: È un fiore prorompente quindi raramente può essere accostato ad altri fiori.
2. Grammaticali -> costituiscono un gruppo chiuso e poco spandibile (numero,
genere, persona ecc.)
Confrontando parole come tavolo e tavoli si può individuare il morfema lessicale:
tavol- (parti di significante in comune).
 Morfema lessicale: tavol- (radice)
 Morfema grammaticale: -o, -i (desinenza)
Il morfema può essere costituito da un elemento (-i, plurale maschile) oppure da più
elementi, può essere:
1. Libero, la parola in questo caso coincide con il morfema
2. Semilibero, parole grammaticali
3. Legato ad altri morfemi
Possono inoltre essere:
1. Flessionali -> -i di libr-i
2. Derivativi -> libr-one
La morfologia flessionale, riguarda la flessione, cioè la modificazione delle forme in
relazione alle diverse funzioni grammaticali e pertanto indica:
 Genere, numero singolare o plurale per il nome (ma ragazzo e ragazza sono da
considerare lessemi diversi: non abbiamo sempre questa differenza per il
genere: libro / *libra);
 Persona, numero singolare o plurale, modo, tempo, aspetto, diatesi per il verbo.
Classi di flessione: la declinazione e la coniugazione
Le varie forme flesse dei lessemi variabili si organizzano in paradigmi.
L’italiano è in parte una lingua flessiva, perché alla flessione demanda alcune
funzioni, mentre per altre ricorre a elementi esterni. Nella tipologia morfologica si
riconoscono le lingue isolanti, agglutinanti, polisintetiche e flessive, queste ultime
possono essere analitiche e sintetiche. Si dicono analitiche e lingue ricorrono a
elementi esterni per esprimere rapporti sintattici, mentre sintetiche che si avvalgono
di elementi interni.
Morfo
A un elemento unico è possibile ricondurre più morfi:
ad es. al morfema «maschile singolare» colleghiamo la realizzazione concreta
chiamata morfo: -o (tavol-o), -e (pied-e).
Il morfema indica sul piano dei contenuti il significato minimo espresso dal morfo
(talvolta il concetto di morfema ingloba quello di morfo).
Si parla di vincoli distribuzionali per definire le selezioni a seconda del contesto
sintattico (cotesto)
Es. gli studenti, i fiori.
bello: bello, bel, bei, begli parole grafiche o fonologiche che realizzano la stessa
parola grammaticale
ALLOMORFIA: alternanza di più forme che hanno lo stesso valore morfologico ma
che non determinano un cambiamento al livello del significato. Le trasformazioni di
morfemi grammaticali possono dipendere da condizioni fonetiche
*Polimorfismo -> quando due o più forme dello stesso paradigma svolgono le stesse
funzioni con ko stesso significato (es. perso e perduto). Nell’italiano è frequente per
una stessa forma grammaticale la presenza di due o più morfemi non
fonologicamente derivabili l’uno dall’altro ed etimologicamente provenienti da forme
distinte come per esempio (and- e vad-).
Allomorfie per il morfema di negazione prefisso in basi nominali: in-, im-, ir-
impossibile, inadatto, irreprensibile…
Allomorfi: il e lo sono allomorfi per il morfema dell’articolo determinativo maschile
singolare.
Parti del discorso:
In genere, le parole vengono suddivise in classi di parole ("classi grammaticali" o
"parti del discorso"). Il loro numero può variare a seconda dei criteri adottati e della
lingua considerata.
 5 variabili:
- verbo
- nome
- aggettivo
- pronome
- articolo
 4 invariabili:
- avverbio
- preposizione
- congiunzione
- interiezione
Secondo la classificazione tradizionale la classe degli invariabili comprende quattro
parti il discorso: Congiunzione, avverbio, preposizione e interiezione. Le
congiunzioni possono essere coordinative e subordinative. Vale la pena di soffermarsi
sugli usi recenti di piuttosto che, una congiunzione con valore avversativo che
significa anziché. Da tempo si è diffuso Il valore disgiuntivo, ciò che rende spesso
l’enunciato ambiguo. Le preposizioni si distinguono in proprie (semplici e articolate)
e improprie alcuni avverbi usati come preposizioni tipo dopo di te. Si registra
reggenze nuove e nelle preposizioni:
- L’estensione di in e da
- L’uso della locuzione grazie a
Gli avverbi possono essere qualificativi, determinativi, valutativi, interrogativi ed
esclamativi. Possono esserci anche aggettivi usati come verbi. L’interiezioni, le
esclamazioni e le onomatopee hanno una funzione principalmente espressiva,
ricorrono più nel parlato in alcuni contesti scritti tipi testuali. Le interiezioni sono
suoni non nettamente articolati con cui si esprimono stati d’animo e le azioni; le
esclamazioni sono normali parole che si pronunciano con un tono esclamativo e
isolatamente; l’onomatopee imitano suoni e rumori. Alle tradizionali parte il discorso
si sono aggiunti anche i segnali discorsivi che possono essere congiunzioni avverbi
verbi, Elementi che in parte assumono valore aggiuntivo all’interno del testo.

I criteri di classificazione delle classi di parole sono diversi:


 Logico-semantico, che si fonda sul contenuto di ciò che le stesse categorie
indicano: su questa base si distinguono parole piene, quelle che hanno un
contenuto semantico significativo, dalle parole vuote, o grammaticali o
funzionali, che hanno un contenuto semantico debole e hanno un ruolo
grammaticale di completamento alle parole piene.
 Funzionale , che si basa sulla funzione esercitata dalla parola, come quella di
collegare e coniugare altri elementi
 Distribuzionale, che si basa sulla posizione che la parola occupa rispetto ad
altre parole nella frase
 Formale, che distingue parole variabili e invariabili
Il mutamento linguistico nel tempo: grammaticalizzazione e lessicalizzazione
1. Grammaticalizzazione: è il fenomeno per cui forme linguistiche libere perdono
gradualmente l’autonomia fonologica e il significato lessicale, fino a diventare
forme legate con valore grammaticale (formazione del futuro)
2. La lessicalizzazione è il processo per cui nuove unità linguistiche che in una
fase precedente non avevano valore lessicale vengono a far parte del lessico di
una lingua: forme e strutture grammaticali possono nel tempo dare origine a
parole nuove e autonome. Un caso frequente della lessicalizzazione degli
alterati (o idiomatizzazione)
Nome
Il nome è una parola che ha una funzione referenziale (denotativa) nel discorso:
rappresenta e classifica la realtà extralinguistica.
- Ha una variabilità morfologica: marche di genere (singolare e plurale) e
numero (maschile e femminile) e caso
Classificazioni tradizionali:
- Nomi propri: Andrea, Carla… (antroponimi), Napoli… (toponimi)
- Nomi comuni: cane, uomo, sedia… (si riferiscono a tutta la categoria)
- Nomi collettivi: gente, folla, squadra…
- Nomi concreti/astratti (e gradi intermedi di astrazione e concretezza):
cucchiaino, libertà, disagio…
Sulla base di un criterio formale i nomi possono distinguersi per l'aspetto
morfologico (variabili e invariabili, nomi derivati, composti, nomi sintagmatici
ecc.).

Numero dei nomi


A partire dal numero, i nomi dell'italiano si distribuiscono in sei classi (cfr. TAB. I).
Le classi più produttive sono le prime due, a cui appartengono quasi tutti nomi
maschili (alla prima, con una sola eccezione) e femminili (alla seconda). In netta
crescita risulta la sesta classe degli invariabili a cui appartengono
1. Monosillabi forti (re)
2. Parole ossitone (virtù)
3. Nomi in -ie (serie)
4. Vari nomi in -a (maschili come cinema, gorilla, mascara, puma; femminili
come iguana)
5. Numerosi termini derivanti da accorciamenti (moto, auto, foto, frigo ecc.)
6. Sigle (DNA);
Oscillano tra la prima classe e la sesta degli invariabili anche alcuni composti
(agriturismo, lungarno). Rientrano tra gli invariabili
1. Molti prestiti come film, bar, sport, tram, computer, sponsor. In generale, è
buona norma lasciare sempre invariati al plurale i nomi stranieri non adattati
(gli step e non gli steps).
Alla terza classe appartengono come produttivi:
1. Derivati in -tore, -trice e in -zione (clonazione), mentre tra i pochi neologismi
si registra anche il drone, i droni.
Poco produttiva risulta la quarta classe, si segnalano
1. Derivati in -, e i grecismi in -a
Mentre tace ed è ormai improduttiva la quinta. A quest'ultima appartengono
1. Nomi maschili in -o, detti anche “sovrabbondanti"
2. Nomi difettivi
Il genere è in italiano una categoria grammaticale che nei nomi presenta un certo
valore inerente (non è condizionato da niente di esterno al lessema o alla forma). Per
la segnalazione del genere, come del numero, l'italiano mette in gioco anche i vari
determinanti (articolo, pronomi, attributi ecc.). Questi rafforzano la marca del
femminile o del maschile, ma possono anche risultare decisivi come nel caso degli
invariabili. Per le persone (e spesso gli animali), in linea generale c'è
corrispondenza e genere tra il genere naturale e quello grammaticale (donna, madre,
gallina, mucca sono grammaticale femminili, mentre uomo, padre, gallo, bue sono
maschili; per gli animali si abbina spesso maschio e femmina: una pantera maschio,
un pavone femmina)
Le sedie piccole: le e piccole sono in questa forma per accordo.
Articoli e aggettivi non hanno genere e numero inerente: dipendono dal valore che la
categoria assume nel nome che costituisce la testa del sintagma nominale: il
controllore dell’accordo.
Proposta di classi di flessione dei nomi in italiano (P. D’Achille, A. Thornton 2003):
1. -o/-i: libro/libri, piatto/piatti…
2. -a/-e: casa/case, matita/matite…
3. -e/-i: fiore/fiori, tigre/tigri… (-tore, -trice, -zione)
4. -a/-i: poeta/poeti, artista/artisti (grecisimi in -ista)
5. -o/-a: uovo / uova, lenzuolo / lenzuola…
6. varie, invariabile: re, caffè, città, foto…
Usi nominali di verbi, avverbi, aggettivi, congiunzioni e pronomi:
verbo: il cadere delle
avverbio: parlare del perché si è comportato così…
aggettivo: l’ottimo è nemico del buono
congiunzione: c’è un però…
pronome: come stanno i tuoi?
Genere grammaticale: maestro, maestra, studente, studentessa, padre, madre, mare,
pensiero
Il genere può essere riconducibile alla tassonomia
Es. Arancio / arancia Roma, Firenze, Napoli f. / il Milan, il Bologna, il Napoli
L’Adriatico, il Tirreno, il Po, il Tevere, il Trasimeno
Le eccezioni alla serie (-o nomi maschili e -a nomi femminili) dipendono dal genere
dell’etimo:
mano < mănus
eco < ēchō
Maschile e femminile: il problema del sessismo della lingua
-a, -essa:
figlio / figlia: -a, signore / signora, avvocato / avvocata / avvocatessa, professore /
professoressa, poeta / poetessa, la presidente, la ministra: il ministro Paola De
Micheli, la presidentessa ‘la moglie del presidente’
Femminile in modo isolante: la tartaruga maschio, donna poliziotto, donna soldato
( esempi in Serianni 1988: 1981, 1986)
Uso dell’articolo soltanto con il femminile:
Dopo la Boldrini, lo spot di Grasso: "L'Italia è più sicura con lo ius soli"
Dopo la Boldrini, anche Grasso va all'attacco:
"Approvate subito il ddl sullo ius soli".
Aggettivi
Gli aggettivi si dividono in qualificativi e determinativi (o pronominali: possessivi,
dimostrativi ecc.). Gli aggettivi qualificativi italiani appartengono a due classi
principali: la prima ha quattro uscite (bello, bella, belli, belle), la seconda due
(illustre, illustri); altri aggettivi si distribuiscono tra: L'aggettivo qualificativo, oltre
a quella attributiva e predicativa, può avere anche una funzione avverbiale (correre
veloce o bere forte), frequente oltre che nel parlato anche in alcuni tipi di scritto
(per esempio, nei testi pubblicitari)
Concorrono, inoltre, alla formazione del superlativo varie strutture analitiche
sempre più diffuse nell'italiano contemporaneo:
1. Il tipo con intensificatori, con avverbi e locuzioni
2. Il tipo diffuso soprattutto nel linguaggio giovanile (ma non solo) con ricorso a
prefissi e prefissoidi
3. La reiterazione dell'aggettivo la struttura con tutto + aggettivo
4. Le strutture con alcuni aggettivi e locuzioni in collocazioni precise
Genere con allocutivi di cortesia Con gli allocutivi di cortesia la forma lei (più
correttamente in maiuscolo, Lei) è ambigenere e quindi concorda al maschile o al
femminile in base all'interlocutore. All'accusativo il clitico La è unigenere, quindi
resta tale anche con referente maschile (Ingegnere, preoccupato. Unigenere
femminile anche il clitico dativo Le. Nel caso del raro allocutivo Ella, dello scritto
più formale, l'accordo è al femminile anche con referente maschile: si tratta di una
forma in disuso che sopravvive appena in qualche scritto burocratico.
Posizione dell'aggettivo qualificativo Dall'aggettivo qualificativo può collocarsi,
nelle lingue romanze, prima o dopo il nome. Più spesso l'aggettivo è collocato dopo
il nome sia nello scritto, sia nel parlato. Ma è anche possibile porre l'aggettivo prima
del nome, nel caso in cui esso esprime una qualità intrinseca, descrittiva come di
frequente nella lingua letteraria (il lontano orizzonte). In alcuni casi l'aggettivo
qualificativo va posposto al nome:
1. Quando è un alterato
2. Quando regge un complemento
3. Quando deriva da un participio
4. Quando è un aggettivo di relazione che specifica il significato del nome
5. Con gli aggettivi etnici o derivati da un nome proprio
In alcuni casi uno stesso aggettivo può avere significati differenti a seconda che si
trovi prima o dopo il nome.
Altri aggettivi pronominali
Per i dimostrativi il paradigma attuale è bipartito questo/quello, un tempo era
tripartito prevedendo anche codesto che non è più in uso tranne che nell’italiano
regionale fiorentino, nel linguaggio burocratico e in quello giuridico. Il pronome
neutro ciò è poco usato nella lingua parlata, e anche in quella scritta tende sempre di
più ad essere sostituito da questo e quello. Nel parlato questo è spesso ridotto a ‘sto.
A volte, specie con referenti non umani o inanimati i pronomi dimostrativi sono
usati al posto del pronome personale tonico di terza persona. In alcuni contesti
quando i dimostrativi sono usati per indicare persone hanno una connotazione
dispregiativa.
I pronomi relativi consentono di collegare due proposizioni seguendo
immediatamente il punto di attacco e connettendo così sintatticamente la
subordinata. Il pronome più comune è la forma invariabile che, sia soggetto, si
oggetto diretto. Perciò che riguarda la semplificazione del paradigma, anche per i
relativi si nota l’estensione del che in funzione temporale al posto di in cui.
Sono quantificatori gli indefiniti che comprendono gli universali, esistenziali, i
quantitativi, I negativi, identificativi, i generalizzanti.
I quantificatori sono anche i numerali distinti in: cardinali, ordinari, frazionari,
moltiplicativi, numerativi o collettivi, distributivi.

Articolo
Indichiamo con “determinante” ogni elemento che caratterizza, “determina” un
sostantivo, come, per esempio, l'articolo, che tra i determinanti opera come
“specificatore” del nome. In italiano gli articoli possono introdurre referenti noti e
non noti, e si distinguono in definiti (“determinativi”) e indefiniti
(“indeterminativi”), questi ultimi solo in forma singolare, mentre per il plurale si
ricorre al partitivo (Ho guardato dei libri) o agli aggettivi indefiniti (Ho ricevuto
alcuni amici, Ho incontrato certi colleghi ecc.). Accanto al determinativo e
all'indeterminativo, infatti, esiste il partitivo, usato al singolare con nomi di massa:
L'indeterminatezza può essere specifica, quando il referente è noto all'emittente, ma
non al destinatario, oppure, quando il referente non è specificato né all'emittente né
al destinatario;
Con i nomi propri in vari italiani regionali l’articolo si può trovare con i femminili,
meno con i nomi maschili; in alcune aree sono diffusi entrambi. Nello standard
l’articolo è obbligatorio con elementi di specificazione. Normalmente con i
cognomi maschili viene omesso ragione per la quale si va diffondendo l’uso non
sessista di ometterlo anche davanti a quelli femminili. Nell’uso degli articoli
determinativi si registra un omissione o decrescita soprattutto: davanti ai nomi di
aziende, enti sentiti come nomi propri, nella preposizione articolata dopo andare e
in complemento di tempo determinato. Si espande nello scritto prima dell’articolo
determinativo la perifrasi costituita dal pronome dimostrativo quello introdotto da
che più il verbo essere.
Possessivi a destra e a sinistra: aggettivi possessivi possono essere collocati per
maggioranza anche dopo il nome. In alcune strutture di tipo esclamativo o vocativo
possono essere solo posposti. Esistono inoltre espressioni cristallizzate in cui la
posizione è post nominale.
Posizione di dimostrativi indefiniti e numerali: gli aggettivi dimostrativi indefiniti e
ordinali se precedono obbligatoriamente il nome
Le costruzioni con ridondanza pronominale come la ripetizione della forma tonica
sono molto frequenti nel parlato. Tuttavia il primo dei due elementi costituisce una
sorta di espansione con valore di tema ad esempio a me può essere interpretato
come per quanto riguarda me.

Pronomi personali
La complessità dei pronomi personali si lega alla presenza di una serie doppia,
atona e tonica e alla diversificazione in base alla funzione sintattica. Il sistema,
inoltre, prevede asimmetrie e alcuni sincretismi (Forme di significato diverso ma
con significante uguale ‘mi’ -> a me; ‘mi’-> me). Per la seconda persona singolare è
in espansione la forma accusativa col ruolo di soggetto, diffusa nel parlato. Negli
italiani regionali settentrionali e nell’italiano regionale tosco-fiorentino l’uso
dipende soprattutto dalle lingue locali, che esprimono obbligatoriamente il soggetto
pronominale e usano di frequente il te soggetto. In varietà centro meridionali il te
soggetto è molto diffuso e si spiega per la convergenza da una parte dell’influsso
dell’italiano settentrionale e dall’altra dall’indebolirsi della distinzione tra una
forma soggetto una forma complemento oggetto.
In italiano me e te si sono grammaticalizzate come soggetto:
- dopo come e quanto
- nelle esclamazioni
- dopo la congiunzione “e”
Per la terza persona, la semplificazione dell’opposizione tra nominativo e
accusativo si è dovuta a una riduzione del paradigma. Egli e ella sopravvive nello
scritto molto formale, mentre lui si è esteso a tutte le posizioni sintattiche.
Lui, lei, loro sono in evitabili anche nello scritto più sorvegliato:
- dopo come e quanto
- nelle esclamazioni
- nella contrapposizioni
- quando si vuole mettere in rilievo il soggetto, con pronome postverbale
- quando il pronome è da solo, per esempio, in risposta alle domande
- dopo la congiunzione “e”
- (sono preferiti) dopo anche, pure, neanche, nemmeno, neppure. Ella sembra
ormai uscito dall’uso, mentre esso ed essa sembrano specializzati con
riferimento ai referenti inanimati o almeno non umani. Un tipo particolare di
pronome personale è costituito dai cosiddetti allocutivi, cioè forme di
pronomi usati nel rivolgersi a qualcuno, per interloquire e per richiamare
l’attenzione. Italiano si fa distinzione tra una forma più confidenziale di
vicinanza il tu e una forma di cortesia di distanza il lei: la prima tende a
diffondersi molto a spese della seconda soprattutto tra i giovani. Al plurale il
voi si è ormai imposto anche come plurale di Lei, al posto del più regolare ma
molto formale Loro.
Morfologia: egli e lui
Esempi di egli che è un pronome anaforico soggetto NON marcato:
Uso anaforico del pronome zero (Ø) e non di egli:
Morfologia: lui, lei, loro
Lui, lei e loro
- possono avere il ruolo di soggetto o non soggetto;
- sono pronomi deittici: servono a riferirsi, cioè, a qualcuno che è presente nel
contesto situazionale (o che è possibile individuare sulla base delle conoscenze
condivise tra gli interlocutori).
- sono forme marcate: sono usate con una ragione speciale; marcano un
cambiamento di tema o un’opposizione rispetto a un’altra persona menzionata
o presupposta nel contesto comunicativo (in precedenza o in séguito)
- possono avere anche funzione anaforica
Morfologia: egli e ella a scuola
Esempi di usi sbagliati di egli negli scritti scolastici:
1. «A me piace molto il protagonista Riccardo Scamarcio nel ruolo di Step, egli è
alto, ha gli occhi verdi e i capelli mori «Il primo egli non sarebbe stato
esprimibile con lui, non avendo alcuna marcatura, ma il soggetto sarebbe più
correttamente rappresentato dall’assenza del pronome;
2. Italo Calvino è nato a Cuba e cresciuto a Sanremo. Egli era compagno di classe
del famoso giornalista Eugenio Scalfari […] si iscrisse alla facoltà di agraria,
seguendo le orme del padre botanico. Ma per questi studi egli non era portato.
Il secondo egli, un po’ più marcato (diversamente dal padre, lui, Italo, non era
portato per gli studi di agraria) poteva essere espresso anche da lui. Ma pure in
questo caso sarebbe stata più opportuna l’omissione di qualsiasi pronome.
Questi esempi dimostrano che l’uso più improprio e frequente di egli non è
tanto nella sua preferenza rispetto a lui quanto nella sua inutile presenza»).
Morfologia: ella
Ella, che ha le stesse funzioni di egli, è una forma soltanto soggetto ormai da anni in
disuso.
Attenzione. egli ed ella possono essere usati soltanto per il soggetto; sarebbe un
errore dire o scrivere:
Presidente, le dichiarazioni *da ella rilasciata…,
Morfologia: lei, lui
Lui e lei (e loro) vengono usati anche per cose, animali o per concetti al posto di esso
(nell’italiano parlato di tutto i giorni e anche nella lingua degli articoli di giornale
dallo stile più ‘brillante’):
«Quando un musicista comincia a lavorare, soprattutto su questo tipo di cose, la mano
va da sola. Non sono più io che suono il violino ma è lui che suona me. Bisogna
scoprire quello che c'è già ma che va svelato. Non so se riesco a essere chiaro".
- Finalmente, Xiaomi Mi Smart band 5 sbarca ufficialmente anche in Italia. Di
lui vi abbiamo raccontato tutti i dettagli al momento del lancio in Cina, ma è
tempo di focalizzarsi sulla versione internazionale
Lui e lei possono avere nel testo anche funzione anaforica e si usano invece
normalmente anche come complemento: con lui, da lui, a lui ecc.
Morfologia: gli, le e loro
Gli, le, loro sono le forme per l’oggetto indiretto (il tradizionale complemento di
termine o il dativo) della terza persona: valgono ‘a lui’, ‘a lei’, ‘a loro’.
Nell’italiano contemporaneo si è ormai molto diffuso l’uso di gli al posto di loro ‘a
loro’, che «non può certo dirsi errore»
gli ho dato i biglietti = ho dato loro i biglietti (loro tende spesso a essere sostituito da
gli nella comunicazione quotidiana: «Loro non è attestato in testi di narrativa, teatro e
fiction televisiva […]; loro sembra invece relegato ai registri più alti dell’italiano»,
dati dell’Osservatorio linguistico dell’università di Bologna, cfr. Cardinaletti 2003).
Nel parlato e nello scritto informale gli viene usato anche al posto del femminile le; si
tratta di uso che non è ancora accettato nell’italiano scritto formale.
Diversi valori del pronome si
Il pronome atono di terza persona si può avere valore riflessivo e coincide con il
soggetto in funzione di oggetto diretto o indiretto oppure può avere un valore
reciproco o un uso apparente in cui il sì non ha valore riflessivo, cioè una funzione
argomentale, ma si è lessicalizzato. Il si impersonale, consente la costruzione
impersonale di qualunque verbo intransitivo o transitivo senza oggetto espresso o
passivo. Il si impersonale può costituire il soggetto di una frase passiva. Inoltre
quando il complemento oggetto di un verbo transitivo è costituito da un pronome
clitico, questo precede il si impersonale, mentre non avviene così con il sì riflessivo.
Se invece è coinvolto un verbo transitivo con il suo complemento oggetto sì è il
cosiddetto sì passivante in cui l’oggetto diventa soggetto e il verbo si accorda. Il sì
passivante è impiegato in costrutti con valore passivo con la terza persona singolare o
plurale di un verbo transitivo attivo di tempo semplice: tale forma sintetica di passivo
prevede di non esplicitare l’agente. Per la distinzione tra sì passivante e impersonale è
possibile osservare che quest’ultimo può essere considerato il soggetto vero e proprio
della proposizione, mentre il sì passivante va considerato come un mero segno della
passività del verbo. In presenza di un transitivo o intransitivo senza oggetto espresso
il sì non ho mai valore passivante ma soltanto impersonale.
Morfologia: che polivalente
«Si parla di che polivalente nel caso in cui la congiunzione sia utilizzata per
introdurre frasi di significato esplicativo-consecutivo (come in 1), frasi causali (2),
frasi consecutivo-presentative (3), frasi relative temporali (4), frasi finali (5), frasi in
cui che ha valore enfatizzante-esclamativo (6), frasi pseudorelative (7):
- (1) vieni che ti pettino
- (2) vai a dormire che ne hai bisogno
- (3) io sono una donna tranquilla che sto in casa, lavoro (Sornicola 1981: 70-71)
- (4) maledetto il giorno che ti ho incontrato
- (5) fai in modo che è tutto pronto al mio arrivo
- (6) che sogno che ho fatto (Berruto 19984: 69)
- 7) li vedo che scendono (Berruto 19984: 69
Esempi di che polivalente:
- subordinante generico: sbrigati che è tardi
- che indeclinato: il mio amico che il fratello fa il medico…, il posto che sono
stato l’altra sera
- ma uno che non gli piace tantissimo comprare cd non è un
appassionato? (uno a cui gli piace + controllato; il quale nel parlato
è meno usato)
- che + ripresa:
è una procedura che l’hanno seguita anche a Economia
c'era un mio amico che lui gli altri lo odiavano
Tra gli usi pronominali dell’italiano contemporaneo parlato (colloquiale e poco
sorvegliato) c’è quello del che come relativo analitico: un medico che gli posso
telefonare, una spiaggia che ci torno sempre volentieri
Esempio da un post su un forum on line:
Oggi ho avuto un colloquio in questa Agenzia e mentre stavo presentando il mio cv
lavorativo vengo interrotto subito....e mi viene detto il punto del colloquio.....da un
ragazzino di poco più di 18 anni che neanche sapeva quello che stavo parlando.
I clitici
I pronomi personali complemento dispongono, accanto alla serie tonica di una serie
debole atona, detta anche clitica, priva di accento proprio e appoggiata alla parola ti
precede, proclitica, o che segue, enclitica, con il gerundio, l’infinito e il participio.
In funzione di complemento oggetto o di complemento indiretto il pronome tonico è
usato quando si vuole marcare. I clitici sono quelle parole brevi o brevissime
(monosillabe o bisillabe) che non hanno accento proprio e si appoggiano dunque a
un’altra parola con cui formano un’unità prosodica:
- forme atone del pronome personale: mi, ti, gli…
- congiunzioni come ma
- pronomi e avverbi ne, ci (ce), vi (ve)
Quando si posizionano
- prima della parola si dicono proclitici (pròclisi); dopo la parola, enclitici (ènclisi)
Cumuli di clitici: me ne vado, glielo (gliel’…).
Nota: particella è un termine generico che indica gli elementi grammaticali non
autonomi (quelli che si usano sempre insieme a un’altra parola) e per lo più
monosillabici e atoni (sono particelle anche gli articoli, le preposizioni, le
congiunzioni e gli avverbi).
L’enclisi pronominale normalmente è prevista con i modi infiniti, con l’imperativo e
con l’avverbio ecco. Con i verbi servili il clitico può agganciarsi all’infinito o può
risalire precedente il verbo servile. Con fare e lasciare con valore causativo il clitico
precede obbligatoriamente il verbo; Con sembrare e parere + infinito, il clitico va
dopo l’infinito. In qualche caso la posizione del clitico può lessicalizzarsi.

Nota sul dativo etico


I clitici possono essere adoperati In una funzione affettiva o intensiva, come nel caso
del dativo etico. Il dativo etico indica la partecipazione o il coinvolgimento emotivo
di una persona rispetto a un’azione o una circostanza indicata dal predicato. È
sempre espresso da un pronome atono e non è necessario ai fini della compiutezza
sintattico grammaticale delle enunciato. Una forte partecipazione del soggetto
all’azione possono indicare i pronomi atoni pleonastici accompagnati a un verbo
transitivo.
Che mi combini?
Uso del pronome con valore affettivo-intensivo (marca di una più attiva e sentita
partecipazione del soggetto all’azione) con verbi transitivi -> mi faccio un giro
Questo tipo di pronome dativo in italiano indica la proprietà inalienabile (parti del
corpo): si è rotto il naso, si è tagliato i capelli…
Morfologia: ci
Origine: (ĕc)c(e) hī(c) ‘ecco qui’ > ci (il collegamento semantico è ‘se vedi qui, vedi
noi’
Ci o ce è preferito a vi locativo ( < ĭbĭ con spirantizzazione, ĭ > e , > i per protonia
sintattica) come avverbio di luogo (vi si trova in usi molto formali).
Con questo significato ci si usa con il verbo essere quando significa ‘esistere, essere
presente, essere qua, trovarsi’
ci voglio parlare, devo parlarci: ‘parlare con lui/lei/loro’; purché corrisponda a un
pronome dimostrativo o personale costruito con le preposizioni con, su, da, in
(substandard ci ho detto, ci ho dato con ci ‘a lui/lei’).
Ci attualizzante:
c(i) ho fame, che ci hai?, ce l’hai?, c’aveva ecc.
L’uso del ci attualizzante è tipico dell’italiano parlato e scritto medio di tutta Italia.
La sua rappresentazione grafica non è stabile: si può trovare scritto, ma solo in
messaggi informali, o nella prosa narrativa che imita consapevolmente il parlato, in
questi tre modi:
c’ha, c’ho, o ci ha, ci ho, cià, ciò fame.
Ce l’hai i biglietti? (dovrebbe essere li non l’)
L’ qui potrebbe essere una mera marca di oggetto; sembra la costituzione di una
formula fissa: cel-avresti, cel-ho ma non te li do.
Esempio di uso di ci attualizzante con il verbo avere nella saggistica contemporanea:
«Le congiunzioni coordinative hanno spesso funzione testuale, a volte quasi solo
quella: è il caso di dunque, quindi, cioè, però, tuttavia. Ce l’ha anche piuttosto, usato,
lo abbiamo visto, nella locuzione piuttosto che impropriamente come congiunzione
coordinativa».
Morfologia: ci con i verbi
Usato in unione con alcuni verbi ci > lessicalizzazioni (e univerbazioni):
centrare, entrarci: che c’entra?
«scambiare messaggi che con il calcio centrano poco»
entrarci è solo una forma teorica, statisticamente debole; è arrivato il momento di
registrare centrare nei dizionari ‘avere a che fare’ (Renzi 2012: 58)
prenderci
starci
volerci
restarci male
Morfologia: pronomi e verbi
Verbi procomplementari (De Mauro):
finirla
farcela
avercela
prendersela
mettercela tutta
Morfologia: il verbo
Il verbo
Nella flessione del verbo in italiano i tratti morfosintattici e morfosemantici, coinvolti
sono il modo, il tempo, la persona, il numero, l’aspetto e la diatesi. I verbi italiani si
distribuiscono in tre coniugazioni; Un’altra classificazione propone due macroclassi,
una corrispondente alla prima coniugazione, produttiva e numerosissima e un altro
che raccoglie tutti gli altri verbi.
Alle radici lessicali seguono le vocali tematiche differenti per coniugazione, la marca
temporale e/o modale ed infine il morfema personale o desinenza verbale. Esistono
inoltre alcuni verbi difettivi nel cui paradigma alcune caselle sono vuote. I verbi sono
invece sovrabbondanti quando appartengono a due coniugazioni diverse, ora
conservando lo stesso significato, ora mutandolo. Il modo esprime la modalità del
verbo e indica pertanto l’atteggiamento del parlante nei confronti di quanto
enunciato. In italiano la modalità è espressa da quattro modi finiti ed altri modi non
finiti che non sono quasi mai autonomi ma dipendono da verbi o preposizioni. A
parte l’imperativo usato per dare ordini, il condizionale per presentare le situazioni
come possibili, indicativo e congiuntivo rispondono rispettivamente i modi delle
certezze e dell’ipotesi. Inoltre la modalità questo può essere espressa anche non
morfologicamente per esempio con il ricorso ad avverbi. Il participio è caratterizzato
da una morfologia mista, sia di tipo verbale, sia di tipo nominale. La complessità del
sistema italiano è testimoniata dalla presenza di una ricca gamma di tempi verbali,
che hanno funzioni diverse come esprimere relazioni temporali e così via. Possiamo
distinguere fra tempi deittici e anaforici: i primi indicano azioni che avvengono in
contemporanea o prima o dopo il momento dell’enunciazione ad esempio il presente,
il passato remoto, l’imperfetto. I secondi invece hanno una relazione temporale
rispetto ad un’azione già espressa per esempio il trapassato remoto rispetto al passato
remoto e così via.
• Il verbo è una parola che esprime un un processo collocato in una
dimensione temporale.
• Il verbo ha la principale funzione di predicare, ovvero di dire qualcosa su
qualcos’altro.
• La flessione del verbo italiano è detta anche coniugazione.
• La morfologia del verbo italiano è fatta di un tema e di una desinenza. Il tema
è la radice del verbo, la parte che porta il significato lessicale (morfema
lessicale). La desinenza porta le informazioni grammaticali (morfema
grammaticale).
La desinenza dà queste informazioni:
• persona (prima, seconda, terza);
• genere (per il participio: Marco è tornato, Alessandra è arrivata; l’accordo del
plurale è al maschile con soggetti di genere diverso: Antonio e Alessandra
sono arrivati);
• numero (singolare o plurale);
• tempo (presente, passato, futuro; tempi semplici: amo, amerò…; e composti:
ho amato, avrà amato…);
• modo (modi finiti: indicativo, congiuntivo, imperativo, condizionale; infiniti:
infinito, gerundio e participio).
• diàtesi: ( il modo in cui la persona o la cosa indicate dal soggetto della frase
partecipano all’evento descritto dal predicato -> l’indicazione della relazione
che c’è tra il verbo e il soggetto agente , cioè ‘chi o che cosa fa l’azione’);
1. Diàtesi attiva: ho fatto il lavoro che mi hai chiesto,
2. Diàtesi passiva:
- L’esercizio è stato fatto dagli studenti,
- Il lavoro che mi hai chiesto è stato fatto
- Il lavoro viene fatto il lunedì,
- Il lavoro si è fatto lunedì, in questa fabbrica si producono circa 50 mila
bottiglie all’anno (la diatesi può essere espressa tramite il si passivante).
3. Diàtesi riflessiva: quando c’è coincidenza tra soggetto e oggetto (si lava).
• Aspetto
Le forme del verbo italiano consistono in un tema (arriv-o) e in una desinenza
(arriv-o)
 Il tema (radice) porta il significato lessicale
tema + vocale tematica: gir-a-re, sent-i-re sap-è-re, mett-e-re (la vocale tematica è
selezionata dalla radice)
Le vocali tematiche non sono ancora ben definite. Hanno alcune proprietà dei morfi,
ma non quella del significato. In una voce di un verbo all’imperfetto, quindi,
riconosceremmo questa struttura (Basile et al., 2010: 192):
• am: morfema lessicale (significato di amare)
• a: ? (vocale tematica)
• v: morfema grammaticale: ‘imperfetto’
• o morfema grammaticale: ‘prima persona singolare’.
Nella flessione del verbo, oltre che con i suffissi, le informazioni sono date anche
tramite:
- il cambiamento della vocale interna nella radice: vedi, vidi
- l’alternanza dell’accento: mangio, mangiò
- le costruzioni perifrastiche: ho visto, sto vedendo, avrò visto… (Iacobini 2011)
Tre coniugazioni: tre classi di flessione che corrispondono alle quattro latine
amare, timēre, legĕre, finire
Nel passaggio dal latino volg. al volgare si è avuta la riduzione delle coniugazioni
verbali: = ē, ĕ > e
Nel latino parlato si sono verificati spostamenti di accenti:
respondēre > rispóndere; cadĕre > cadére.
La prima classe (-are) è la più produttiva: chattare, spoilerare…
Il verbo: il suppletivismo
• Nel paradigma di un verbo si ha suppletivismo quando la flessione presenta
forme diverse per il morfema lessicale:
• ANDARE vado vai va andiamo andate vanno
• DOVERE devo devi deve dobbiamo dovete devono
• FINIRE finisco finisci finisce finiamo finite finiscono
• SEDERE siedo siedi siede sediamo sedete siedono
• USCIRE esco esci esce usciamo uscite escono
• UDIRE odo odi ode udiamo udite odono
Il paradigma di questi verbi italiani è organizzato in sottoinsiemi: le classi di
partizione
Sono le classi di partizione che stabiliscono la distribuzione dell’allomorfia: gli
allomorfi (forme diverse per uno stesso morfema) qui non sono condizionati
fonologicamente (non dipendono cioè dai contesti fonosintattici che si creano con la
flessione).
Allomorfie verbali
Allomorfie: presenza di più forme per uno stesso morfema (lessicale o grammaticale)
come in:
• - conoscere: conosc-o, conosc-i, conosc-e, conosci-uto ([k] vs [ʃ]);
• - sedére: siedo, seggo (prego, si sièda! / prego si segga, siediti!);
• - il participio di perdere: perso / perduto;
• - morire: mor(i)rai, mor(i)rà (fenomeno della sìncope della i) > morrai, morrà
(forme meno frequenti).
• - udire ‘ascoltare’: udirai, udirà > udrai, udrà
Allomorfie
Alcune forme possono essere minoritarie, cioè meno comuni, o a volte di registro
letterario (il dizionario le segnala).
Possono avere significati diversi: che cosa è successo? per succedere ‘accadere’;
mentre si usa succeduto per succedere nel significato di ‘venire dopo, prendere il
posto’: es. il presidente Mattarella è succeduto a Giorgio Napolitano.
Forme verbali inesistenti o non più in uso sono dunque errori: forme analogiche, cioè
create sul modello di altre forme, come per esempio i congiuntivi *venghi al posto di
venga, *facci al posto di faccia o *dasse al posto di desse.
Accordo del participio
l participio passato, ho dei vari usi verbali, viene facilmente di analizzato come
aggettivo. Ad oggi al participio sono emerse forme che sono da considerare
puramente aggettivali. Anche se il participio passato si associa alla diatesi passiva
qualche participio ha valore attivo, spesso nelle espressioni molto colloquiali, solo del
parlato. Il participio presente è prevalentemente forma aggettivale o nominale; vale
come Verbo qualora compaia con il complemento diretto, mentre è analizzabile solo
come aggettivo quando regge un complemento preposizionale. Il participio presente
verbale italiano è in larga parte sostituito dal gerundio ma continua ad essere usato
anche sostantivato sole registri formali come nel linguaggio burocratico giuridico.
Si registra ormai l’uso di frasi implicite espresse con un gerundio non differibile al
soggetto della principale; frequenti sono i gerundi con valore testuale conclusivo
posti soprattutto a inizio di frase o di capoverso.
Particolarità relative all’accordo del verbo con i nomi riguardano il participio.
Il participio di norma resta perlopiù invariato: le promesse che ho fatto, abbiamo
scelto queste fotografie, le cose che ti ho portato, Anna, chi ti ha accompagnato a
casa?
Nell’uso contemporaneo è oscillante (cioè variabile) l’accordo del di essere o di un
altro verbo copulativo con il soggetto o con il nome del predicato: il suo intervento al
convegno è stata una bella sorpresa, la sua telefonata è stata/o un modo per chiedere
scusa, il suo discorso è diventato/a una sorpresa.

Il verbo: grammatica tradizionale e linguistica moderna


• La grammatica tradizionale presenta e ordina i verbi dell’italiano secondo
quattro categorie: persona modo, tempo, diatesi.
• Questa sistemazione si fonda sulla corrispondenza di una forma e di una
somma di etichette:
amasse = terza persona singolare, congiuntivo, imperfetto, diatesi attiva
Le forme del verbo nell’analisi della linguistica moderna
Tendenze nel sistema verbale di oggi: nel sistema verbale l’italiano mostra un
processo di riduzione e semplificazione dei paradigmi temporale modali per esempio:
 Il presente è usato anche per il futuro
 Il passato prossimo e sovresteso a scapito del passato remoto
 L’imperfetto indicativo e impiegato, oltre che con valore temporale, al posto di
altri tempi ad esempio L’imperfetto prospettico -> ha detto che veniva, Anche
in usi non ammessi, modali Più che temporali, in cui esprime non fattualità
- Uso ipotetico se venivo me lo dicevi
- Uso attenuativo mi sembrava che stessi parlando
- Per esprimere il futuro se ti interessa ti davo quei tortelli
- Nel discorso riportato come imperfetto di citazione
 Il futuro a perso valore temporale, ma assunto è rafforzato altri valori modali
 Nei modi verbali c’è debolezza, ma non scomparsa del congiuntivo, specie
nelle completi ive, in cui si usa sempre più frequentemente l’indicativo
 Più vitale del congiuntivo è il condizionale, soprattutto nelle principali
- Uso attenuativo l’indagine potrebbe riferirsi a..
- Nelle richieste domani mi porteresti
- Nei modali, di cui attenua il valore deontico.
- Nel linguaggio giornalistico come condizionale di dissociazione si parla in
questi casi di modalità quotativa Con cui si riporta qualcosa come detto ad altri
 In espansione l’uso dell’infinito anche Indipendente
 In crescita l’uso delle perifrasi verbali
 In retrocessione la diatesi passiva

Tra gli attuali non ho ancora messo in italiano standard ma certamente risalita sono
da segnalare due tratti:
- Il congiuntivo imperfetto invece del presente in frasi principali che hanno
valore esortativo andasse a quel paese
- Il gerundio dipendente da una frase passiva era stato convocato dichiarando la
sua estraneità alla vicenda. Diffusi non solo nel parlato sono i gerundi il
regolari o ambigui fosse la fine del periodo e non riferibile al soggetto
sintattico della principale precedente, ma al soggetto logico
• Il presente, per esempio, dovrebbe indicare una situazione contemporanea
rispetto al momento in cui si parla
• Ma in frasi come Parto domani alle 7 o Il fatto che Anna parta domani…
(Congiuntivo Presente), la situazione descritta dal verbo è futura, posteriore al
momento in cui si parla.
• Per forme come il Presente che indica situazioni future la grammatica
tradizionale parla di significato primario o di valori tipici e fondamentali
(presente = contemporaneità) e di usi secondari, come il presente pro futuro.
• La linguistica contemporanea ha una diversa prospettiva rispetto alla
grammatica tradizionale e cerca di approfondire i rapporti tra forme e funzioni
dei verbi.
• Per spiegare i vari valori delle forme verbali la linguistica moderna parte dalla
neutralizzazione del valore temporale primario. L’analisi si concentra così
sugli usi detti «secondari» per ridefinire la funzione semantica di una forma
verbale.
• Il linguista Eugenio Coseriu definì per questo in negativo il presente, cioè sulla
base della mancanza di indicazioni relative alla collocazione temporale: il
presente è una forma neutra, che può essere usata anche in riferimento al futuro
e al passato (presente storico: in frasi come Manzoni nasce a Milano nel 1785).
• Il presente va inteso quindi come una forma «non marcata» da un punto di
vista temporale, compatibile, quindi, con situazioni contemporanee, future e
passate rispetto al momento in cui si parla.
Il presente, forma non marcata dal punto di vista temporale, normalmente indica
eventi o processi contemporanei (simultanei al momento in cui si parla o si scrive: al
momento dell’enunciazione): guardo la televisione (‘adesso, in questo momento’).
Il presente può però avere particolari valori aspettuali (relativi all’aspetto del verbo);
può essere:
- iterativo, se indica un’azione abituale: il corso si tiene ogni lunedì mattina;
- atemporale, se indica qualcosa che è sempre vero o accade sempre: il fumo
nuoce gravemente alla salute;
- storico, quando si usa per raccontare: ieri vado in centro e chi ti incontro?; si
ha così un effetto di zoom nella narrazione, come ad es. nel titolo di questa
notizia data da un quotidiano on line: Svegliata dai rumori nella stanza: si alza
e si trova davanti il ladro.
- pro futuro, usato, cioè, ‘per il futuro, al posto del futuro’: domani vado a
Roma, domani faccio l’esame, domani chiamo anche lui.
L’azione progressiva è descritta tramite la perifrasi stare + gerundio: sta mangiando.
L’aspetto del verbo.
1) Ieri nel pomeriggio Paolo parlava al telefono con Lucia (quando all’improvviso
ha sentito un rumore)
2) Ieri Paolo ha parlato al telefono con Lucia
• La differenza tra le due frasi non è temporale (anche se imperfetto e passato
prossimo nel paradigma grammaticale sono nella categoria del tempo).
• Le frasi hanno significati diversi perché cambia il punto di vista del parlante.
• La linguistica, infatti, distingue tra aspetto e tempo del verbo:
l’aspetto è la forma verbale che mostra il punto di vista del parlante, il quale può
scegliere di adottare una visione interna, evidenziando un singolo istante nella -
situazione rappresentata (frase 1), oppure può presentare la situazione nella sua
globalità, dall’esterno (frase 2).
«L’aspetto è una categoria grammaticale dei verbi che esprime diversi modi di vedere
la scansione temporale interna a una situazione» (Grandi, 2010).
L’aspetto è quindi un’informazione relativa alla distinzione tra azioni concluse e non
concluse, ovvero alla durata del processo (inizio, ripetizione, conclusione: mangio,
mangiai, ho mangiato, mangiavo, stavo mangiando, sto per mangiare, sto finendo di
mangiare…).
L’aspetto mostra un particolare punto di vista del parlante, che può scegliere di
presentare il contenuto di una frase secondo una visione interna, mettendo in
evidenza un singolo istante nella situazione rappresentata oppure, può presentarlo
nella sua globalità, cioè dall’esterno.
L’aspetto può essere perfettivo e imperfettivo.
L’aspetto perfettivo è la visualizzazione della situazione nella sua globalità, fino al
suo punto finale. In italiano è reso con il passato prossimo e il passato remoto.
L’aspetto imperfettivo visualizza la struttura interna della situazione, in qualsiasi suo
punto. In italiano è reso con l’imperfetto o tramite perifrasi: stare per + infinito,
essere sul punto / in procinto di + infinito ecc.
Aspetto imperfettivo
 L’aspetto imperfettivo -> descrive azioni che non specificano la durata
oppure che durano a lungo o che si ripetono nel tempo.
• L’aspetto imperfettivo può essere continuo, abituale e progressivo.
• L’aspetto imperfettivo continuo indica la mancanza dell’indicazione di un
qualsiasi istante: durante il concerto il pubblico rumoreggiava.
• L’aspetto imperfettivo abituale segnala la ripetizione regolare del processo:
Quando piove prende/ è solito prendere la metro.
• L’aspetto imperfettivo progressivo indica un processo còlto nel suo
svolgimento; è reso, per esempio, con la perifrasi stare + gerundio: sto
mangiando, stava mangiando ecc. Nell’aspetto imperfettivo progressivo il
verbo indica una singola occorrenza del processo e non dà informazioni sulla
sua ripetizione.
Aspetto perfettivo
 L’aspetto perfettivo -> descrive azioni delimitate nel tempo
• L’aspetto perfettivo può essere aoristico, compiuto e ingressivo.
• L’aspetto perfettivo aoristico è di norma quello dei tempi non composti e
focalizza il processo senza considerare i suoi effetti; ciò vuol dire che segnala
un’azione priva di durata, còlta in un suo singolo manifestarsi. A Parigi
Alessandra incontrò un suo amico.
• L’aspetto perfettivo compiuto è più spesso espresso dai tempi perfettivi
composti. Indica la permanenza, rispetto a un riferimento temporale stabilito,
del risultato di un evento compiuto: A Parigi Alessandra ha incontrato un suo
amico.
• L’aspetto perfettivo ingressivo è un particolare valore che possono avere i
tempi con aspetto aoristico: segnala la fase iniziale di un processo, ad esempio
tramite le perifrasi iniziare a + infinito o cominciare a + infinito: cominciò a
piovere.
L’aspetto del verbo
L’aspetto del verbo è dunque una prospettiva, un punto di vista .
La frase con l’imperfetto (1) comunica un punto di vista interno: la visualizzazione
del processo è aperta e la situazione descritta funziona da sfondo di un testo più
ampio.
La frase con il passato prossimo (2) ha un punto di vista esterno: la visualizzazione è
chiusa; la frase è autonoma dal punto di vita testuale: non può essere lo sfondo di altri
eventi (sono evidenziati i limiti temporali della situazione, che potrebbero anche
essere segnalati con una espressione avverbiale: ha parlato al telefono per venti
minuti).
Non è la durata a distinguere una forma come l’imperfetto da una come il passato. La
possibile combinazione con alcuni avverbi mostra che la durata è un effetto della
visione aperta data dalla somma dell’aspetto e del significato del verbo, come in, ad
es., il telefono squillò a lungo e in quel momento il telefono squillava.
L’imperfetto
• Etichette per i valori dell’imperfetto
• - descrittivo: quel giorno c’era un sole bellissimo;
• - iterativo: un’azione che si ripeteva abitualmente: prendeva sempre l’autobus
alle 8;
• - narrativo, storico: ha valore perfettivo ed è usato in contesti in cui gli
eventi indicati dall’imperfetto sono rappresentati come successivi ->
Giovedì 2 ottobre ignoti si introducevano nel mio appartamento, entrando da
una finestra al secondo piano (nei verbali della polizia, ad esempio).
• - conativo: ieri Grazia andava a trovare sua mamma, ieri Mario faceva
l’esame (indica un’azione che si stava per fare o che si aveva l’intenzione di
fare, ma che poi non è stata fatta).
• - di modestia o di cortesia: volevo un caffè, volevo una sfogliatella,
professore, la chiamavo per dirle che…, le volevo chiedere se… (si usa per
attenuare una richiesta);
• - irreale: se lo sapevo, ti avvertivo (nelle frasi condizionali);
• - onirico o ludico: nel sogno era tutto buio e io cercavo di accendere la luce…
facciamo che io ero il re e tu la regina… (per riferirsi a eventi o fatti che
appartengono al mondo dei sogni o della fantasia).
• - prospettivo: Prima ho sentito Nina: dice che usciva più tardi (indica il futuro
nel passato).
I tempi verbali nell’analisi della linguistica moderna
I tempi relativi: l’uso del passato prossimo (perfetto composto) e del passato
remoto (perfetto semplice).
• L’osservazione dell’uso di una forma che la grammatica tradizionale indica
con «infinito passato» fa capire che il termine passato non è sempre adeguato:
Mi sembra / Mi sembrava / Mi sembrerà di aver finito: nella terza aver finito si
riferisce a un momento che viene prima della situazione descritta da Mi sembrerà,
che è posta nel futuro.
Da ciò si capisce che le forme dell’infinito passato indicano un tempo che si riferisce
non al momento in cui si parla, bensì a un punto del tempo espresso da altri elementi
nello stesso enunciato. L’Infinito passato è quindi un tempo relativo. Hanno un uso
relativo in questo senso anche l’infinito presente e il gerundio:
Mi sembra / sembrava / sembrerà di essere a casa;
Pur essendo a casa non risponde / non rispondeva / risponderà al telefono.
• Alle 3 Anna era già partita;
• Quel giorno Anna era partita alle 3 ma non è arrivata in tempo.
• L’infinito passato, il futuro anteriore, il trapassato e il valore dell’infinito
presente e del gerundio presente vanno interpretati in relazione al momento di
riferimento.
La nozione di tempo, quindi, in linguistica è distinta in 1) collocazione temporale di
una situazione rispetto al momento dell’enunciazione e 2) relazione rispetto a un
momento di riferimento.
Il verbo nell’analisi della linguistica moderna
• Per capire il funzionamento dei tempi verbali la linguistica ricorre ai concetti di
deissi e di anafora.
• La deissi è il meccanismo linguistico di indicazione che permette di
interpretare gli enunciati sulla base degli elementi presenti nel contesto della
comunicazione.
Tramite la deissi, quindi, la collocazione temporale non è stabilita in assoluto ma
in base al momento dell’enunciazione:
Due anni fa sei venuto a trovarmi in questa casa
Il 15 settembre 2010 Carlo è andato da Gianni in via Verdi 15.
Due anni fa sei venuto a trovarmi in questa casa
Il 15 settembre 2010 Carlo è andato da Gianni in via Verdi 15.
• Le due frasi potrebbero avere lo stesso significato (potrebbero cioè riferirsi allo
stesso giorno). La prima, però, che presenta più elementi deittici (quelli indicati
in grassetto), è comprensibile solo per chi dispone delle coordinate del contesto
in cui avviene la comunicazione (spazio, tempo, persone presenti).
La deissi temporale indica una relazione tra il momento dell’enunciazione (‘oggi,
adesso’ = ME) e il momento della situazione espressa dal verbo: Adesso è a casa /
Ieri era a casa / Domani sarà a casa.
• La collocazione temporale non è stabilita in assoluto. Il fatto che la stessa
prospettiva aspettuale sia compatibile con diverse collocazioni deittiche
conferma l’autonomia dell’aspetto rispetto al tempo verbale, come mostra la
forma verbale perifrastica stare + gerundio che codifica una situazione aperta
senza una focalizzazione sul limite finale della situazione:
In questo momento Anna sta leggendo un libro
In quel momento Anna stava leggendo un libro
In quel momento Anna starà leggendo un libro
• Per cogliere le ragioni della selezione dei tempi composti (passato prossimo,
trapassati, futuri anteriori) dobbiamo considerare oltre al momento
dell’enunciazione (ME) anche un momento di riferimento (R).
• Per capire l’aggancio a R abbiamo bisogno del concetto di anafora, ovvero del
riferimento al cotesto, a un referente espresso nell’enunciato:
• Ieri ho incontrato Carlo mentre il giorno precedente avevo visto Lucia
Ieri ho incontrato Carlo mentre il giorno precedente avevo visto Lucia
• In questa frase il trapassato prossimo è una forma anaforica che indica
anteriorità rispetto a un R dato nel contesto: R è infatti localizzato
dall’avverbio deittico ieri, rispetto al quale si calcola la collocazione della
situazione espressa dal trapassato (avevo visto Lucia).
Questi tempi dunque hanno una duplice natura deittico-anaforica: il rapporto deittico
è tra R e E piuttosto che tra E e la situazione espressa dalla frase avevo visto Lucia e
oltre a questo rapporto esiste una relazione anaforica di anteriorità tra la situazione
avevo visto Lucia e R.
• La referenza anaforica è il tratto proprio dei tempi composti con un participio
passato. Si noti che in una frase come Anna è già partita il passato prossimo è
anteriore a R che coincide con E.
• Se osserviamo frasi, tutte accettabili in italiano, come Domani ho finito gli
esami, da domani ho finito le ferie capiamo che il passato prossimo si riferisce
ad avverbi di tempo che si collocano dopo E: domani = R. Questi usi mostrano
la natura anaforica del passato prossimo.
Anche se è anaforico il trapassato prossimo impone restrizioni deittiche sulla
collocazione di R, che deve essere localizzato nel passato (come fa il futuro
anteriore).
Passato prossimo e passato remoto
• I termini remoto e prossimo della grammatica tradizionale suggeriscono un
funzionamento dei tempi in base alla distanza temporale. In italiano, però, sono
possibili entrambe queste frasi:
I dinosauri si estinsero milioni di anni fa
I dinosauri si sono estinti milioni di anni fa.
• Il passato prossimo, dunque, si usa anche in riferimento a tempi molto remoti.
Qual è la vera differenza d’uso? La capiamo se consideriamo frasi come
queste:
1. *I dinosauri si estinsero da milioni di anni
2. I dinosauri si sono estinti da milioni di anni
 Con la preposizione da è accettabile soltanto il passato prossimo. La frase con
il passato remoto, invece, è agrammaticale. Questo perché il sintagma
preposizionale da milioni di anni fissa una relazione tra la situazione descritta
dal verbo estinguersi ed E. In questo modo E diventa il punto di osservazione
rispetto al quale vengono valutate le conseguenze di situazioni precedenti.
Questo punto è cioè un R che coincide con E. Il confronto mostra che il passato
remoto è una forma di passato deittico, sempre localizzato rispetto a E, mentre
il passato prossimo indica un’anteriorità riferita a un R che non coincide
necessariamente con E (come in Domani ho finito gli esami, da domani ho
finito le ferie, in cui R è posteriore a E).
• Si capisce, dunque, perché il passato remoto non è usato nello standard per
riferirsi a situazioni di prossimità temporale rispetto a E, ed è invece usato per
riferirsi a situazioni temporali più distanti, non valutate rispetto a E. Manca,
infatti, il collegamento che sarebbe garantito dalla coincidenza tra R e E.
Con i tempi composti R è un “punto di osservazione che permette di valutare le
conseguenze di una situazione”. Una frase come Anna è uscita di casa da due ore
non solo colloca l’azione di Anna nel passato ma descrive il passaggio da uno stato a
un altro: l’essere in casa e l’essere ancora fuori, che è la conseguenza dell’evento di
uscire.
Nella sua semantica temporale il passato prossimo indica anteriorità rispetto a R e
«aggiunge una prospettiva aspettuale, in cui si visualizza una situazione come
già compiuta focalizzando l’attenzione sullo stato risultante». R funziona anche
come punto di osservazione che permette di visualizzare una situazione nelle sue
conseguenze. È questa dunque la differenza tra frasi come Anni partì molto tempo fa
e Anna è partita da molto tempo: entrambe hanno valore generalmente perfettivo
(visualizzano la situazione in modo globale) ma solo la seconda ha valore di perfetto
e segnala le conseguenze della partenza. Di conseguenza (Squartini 2015: 56):
Da un punto di vista temporale il Passato Prossimo è un tempo anaforico che
indica anteriorità rispetto a R; il Passato Remoto è invece un tempo rigidamente
deittico che colloca situazioni nel passato.
Da un punto di vista aspettuale il Passato Prossimo esprime la compiutezza di
una situazione focalizzando l’attenzione sulle sue conseguenze; il Passato
Remoto visualizza la situazione globalmente, indipendentemente dalla sua
rilevanza attuale.
Il passato prossimo come tempo anaforico-deittico
La possibilità di un aggancio anaforico a R, da cui scatta l’interpretazione aspettuale
di compiutezza, fa sì che quando R coincide con E si mettano in evidenza le
conseguenze attuali della situazione denotata dal verbo e sia quindi più naturale usare
il Passato Prossimo per situazioni vicine nel tempo.
Di conseguenza, Il Passato Remoto verrà gradualmente relegato a esprimere
situazioni più distanti, le quali verosimilmente hanno meno conseguenze sul
momento in cui si parla.

Modi e modalità
• Il modo del verbo italiano va ricondotto alla categoria grammaticale della
modalità, ovvero l’espressione dell’atteggiamento del parlante verso la
situazione indicata dal verbo (espressione di una situazione reale, probabile,
ipotetica, necessaria, obbligatoria).
• La modalità è «l’insieme delle risorse linguistiche (parole, espressioni, ma
anche elementi morfologici, ecc.) che manifestano il modo, ovvero
l’atteggiamento del parlante rispetto all’enunciato prodotto, o rispetto all’atto
dell’enunciazione” (De Santis, 2011).
Il modo del verbo è uno dei mezzi in cui nella lingua italiana si può esprimere una
certa modalità (vedi tabella).
La modalità
• assertiva: è l’espressione di un contenuto senza giudizio sul grado di certezza
o di obbligo: Andrea è uscito (modo indicativo, frase dichiarativa);
• epistèmica: indica come certo o incerto lo stato di cose presentato dal verbo (il
parlante esprime così anche un giudizio su quanto sta dicendo); per esempio,
con il futuro epistèmico: - Che ore sono?; - Saranno le 11.
Quest’atteggiamento si può comunicare anche usando avverbi modali come
forse, sicuramente, di sicuro, senz’altro; oppure, usando verbi come credere,
supporre, immaginare, pensare (credo / penso che siano le 11); o ancora
usando verbi modali (dovere, potere, sapere e volere) e un modo specifico del
verbo: Andrea deve / può / dovrebbe / potrebbe essere uscito = probabilmente
Andrea è uscito, forse Andrea è uscito = è probabile che Andrea sia uscito =
Andrea sarà uscito.
• deontica: indica come obbligatorio o permesso lo stato di cose presentato
dall’enunciato; si può esprimere con il modo imperativo: fai l’esercizio! fate
l’esercizio!; con i verbi modali (potere o dovere): devi fare l’esercizio; con
l’infinito: non fumare nel corridoio, non si può fumare, non si deve fumare,
non bisogna fumare; con il futuro deontico: i candidati presenteranno la
domanda on line ( = la domanda deve essere presentata on line).
• anankastica: riguarda la necessità fisica o le condizioni necessarie perché si
verifichi qualcosa (per esempio quelle normative); si esprime con i verbi
modali dovere e potere: le piante per crescere devono ricevere acqua e luce;
per essere ammessi all’esame gli studenti non devono aver fatto più di 10 ore
di assenza durante il corso.
• dinamica o disposizionale: esprime la capacità, l’abilità ed è espressa dai
verbi potere, sapere o espressioni come essere capace, essere in grado di: i
pipistrelli sanno orientarsi al buio, il cammello può resistere anche un mese
senza bere.
Tempi e modalità
ll tempo per la modalità
• Anche in una frase come Adesso saranno le 11 l’etichetta della grammatica
tradizionale (futuro) non corrisponde alla funzione del verbo. Il futuro qui
segnala un ridotto grado di certezza del parlante, che fa un’ipotesi (la frase
corrisponde a quella con il presente e un avverbio che indica la congettura:
forse sono le 5). Il tempo in questo caso è piuttosto un modo, «l’atteggiamento
che il parlante assume verso la sua stessa comunicazione». La grammatica
tradizionale non chiarisce la distinzione tra tempo e modo per il futuro. E
anche il condizionale (modo) ha valore di tempo (futuro nel passato) in una
frase come disse che sarebbe tornato domani. Per questi scambi di valore la
grammatica tradizionale si limita a distinguere di nuovo tra uso primario e
secondario delle forme verbali.
• La ricerca linguistica, invece, distingue tra la nozione grammaticale di modo,
relativa ai fenomeni morfologici e sintattici, e quella semantica di modalità,
relativa ai diversi gradi di certezza del parlante. Il congiuntivo è dunque un
modo perché ha una sua morfologia e dei tratti sintattici: Che sia Anna? In
questa frase il congiuntivo serve anche a mostrare una certa modalità della
frase, il suo valore dubitativo. Ma non è sempre così: in una frase come Il fatto
che Anna sia partita il congiuntivo non ha valore dubitativo. Il futuro è un
tempo ma nella sua semantica esiste anche la modalità, perché anch’esso
può essere usato dal parlante per indicare un’ipotesi: - Hanno suonato; - Sarà
Anna? (sarà quindi un Futuro epistemico).
Morfologia: il futuro
Etichette per gli usi modali del futuro
 Futuro deittico, temporale, sta retrocedendo a favore del presente indicativo,
 Futuro regressivo, può avere un uso corrispondente al presente storico
Il futuro è usato, inoltre, con diverse sfumature modali:
• epistemico (il parlante esprime una sua deduzione del presente -> suppositivo,
perché esprime ipotesi, previsioni, dubbi, incertezze): a quest’ora Luca sarà
arrivato a casa, questa è una forma che voi conoscerete senz’altro;
• attenuativo: (ha lo scopo di mitigare un evento) Lei professore ammetterà che
questo fatto è un po’ strano…;
• deontico (che indica un dovere): i candidati consegneranno la domanda entro
il 31 maggio;
• iussivo (cioè imperativo, che serve a dare gli ordini in forma attenuata: mi
dirai tutto quello che è successo!).
• concessivo (vicino all’epistemico -> Sarà anche economico ma è un brutto
hotel).
Morfologia: l’uso del congiuntivo
Note sull’uso del congiuntivo.
• Il modo del verbo nelle frasi completive (soggettive e oggettive) è in genere
determinato dal verbo della frase reggente; alcuni verbi reggono il congiuntivo
e altri reggono l’indicativo:
crediamo che sia troppo tardi (completiva oggettiva)
che sia troppo tardi è ormai certo (completiva soggettiva)
• Il verbo della subordinata è all’indicativo se il suo contenuto è presentato come
reale: so che Luca è a casa;
• è invece al congiuntivo se il contenuto della subordinata non è presentato come
reale: temo / ho paura / è probabile che Luca non sia a casa adesso.
Morfologia: il congiuntivo
Nell’italiano parlato il congiuntivo oscilla in dipendenza da frasi completive. È il
significato del verbo che dà il valore alla frase oggettiva o soggettiva: crediamo che è
troppo tardi (stesso significato, ma il registro è più basso).
L’alternanza è legata al registro della comunicazione: es. Credo che Dio esiste vs
Credo che Dio esista.
Morfologia: il condizionale
• Nella lingua dei giornali è frequentemente usato il condizionale di
dissociazione: è il modo con cui si presentano notizie di cui non si è
completamente certi, notizie quindi che si suppongono, che si sanno per sentito
dire o perché si sono lette in un’altra fonte che non si poteva controllare. Ad
es.:
Claudia Cardinale, 76 anni, avrebbe schiaffeggiato una hostess che le aveva chiesto
di spegnere la sigaretta all'aeroporto parigino di Orly e sarebbe poi stata portata in
commissariato. Lo scrive oggi il settimanale francese "Closer".
• Il condizionale si usa poi anche per indicare il futuro nel passato (un’azione
successiva al momento passato dell’enunciazione): L’anno scorso ci disse che
sarebbe venuto a trovarci.
La classificazione dei verbi
Verbi copulativi (quando il compito di predicare è svolto da un altro elemento:
collegano un soggetto a un predicato non verbale, come essere, fare, stare, sembrare
in questi usi:
Nicola fa l’avvocato / è diventato avvocato
Nicola sta bene
Nicola sembra arrabbiato
in Nicola è avvocato abbiamo una copula (dal lat. cōpula(m), ‘unione,
legame’); alcuni studiosi la distinguono dal verbo copulativo, che oltre a unire
predica anche qualcosa.
La classificazione dei verbi: aspetto lessicale (Azione / Aktionsart)
La classificazione dei verbi in base al loro aspetto lessicale / alla loro azionalità «è
una classificazione in base al modo in cui l’evento che il verbo esprime è presentato
dal punto di vista delle fasi temporali che lo compongono» (Ježek 2011: 129).
Bisogna distinguere tra aspetto verbale e azionalità:
l’aspetto verbale riguarda i morfemi grammaticali
l’aspetto lessicale o azionalità riguarda i morfemi lessicali (azione lessicale)
La classificazione in base all’azione tiene conto
- del dinamismo
- della durata
- della telicità («presenza o assenza di un punto in cui l’evento necessariamente
si conclude»; es. verbo atelico: Luca disegna; verbo telico: Luca disegna un
paesaggio).

In base all’azionalità (unione di durata, dinamismo, telicità) distinguiamo:


- verbi di stato (stativi): essere, possedere, sapere, conoscere ecc. (hanno
durata, non sono considerati dinamici, hanno fasi una uguale all’altra: indicano
qualità permanenti del soggetto o stati non modificabili)
- verbi di processo indefinito (continuativi): camminare, spostarsi (hanno
durata, sono dinamici – introducono cambiamenti – , hanno fasi una uguale
all’altra)
- verbi di processo definito (risultativi): svuotare (hanno durata, sono
dinamici, hanno fasi non uguali: eventi proiettati verso un punto finale,
caratterizzati da una progressione: le fasi non sono uguali)
- verbi istantanei (trasformativi): trovare (non hanno durata, indica un evento
istantaneo, punto iniziale e finale coincidono)
Oltre a dinamismo, durata e telicità si considerano anche:
- l’iteratività, in verbi puntuali ma che esprimono ripetizione, fa riconoscere i
verbi semelfattivi: starnutire, tossire, lampeggiare ecc.;
- l’ingressività o egressività: valutazione in base a ciò che viene prima o dopo
l’evente descritto: incamminarsi, camminare, trovare, cercare;
- l’incrementalità: eventi che descrivono successione di stadi: crescere.
In base alla telicità, ovvero all’espressione di un raggiungimento di una meta,
riconosciamo
- verbi telici: arrivare, costruire, disegnare (un…), quelli il cui significato
mostra un’azione che tende verso un fine
- o atelici: disegnare in Luca disegna (senza espressione dell’oggetto diretto)
Ho letto un libro in due ore (aspetto perfettivo, telico)
Ho letto un libro per due ore (aspetto perfettivo, atelico)
La classificazione dei verbi
Verbi supporto: supportano un predicato costituito da un nome:
dare un consiglio ‘consigliare’
fare una passeggiata ‘passeggiare’
prendere una decisione ‘decidere’
Verbi sintagmatici (verbo + avverbio): unità lessicali formate da una base verbale +
una particella che di solito è un avverbio -> tirare su, portare giù, mettere sotto (a
volta la particella è pleonastica: entrare dentro, uscire fuori (Jansen 2011)
Verbi ausiliari: - essere e avere che aiutano a formare i tempi composti e
accompagnano il verbo predicativo esprimendo tempo, modo e persona ; andare e
venire nella costruzione passiva:
venire descrive un’azione: il lavoro viene fatto da…
andare esprime anche la modalità: la domanda va fatta subito
Uno stesso verbo può avere valori diversi (variazione semantica in relazione ai
nomi):
fare un caffè: fare è predicativo, vale ‘preparare’
fare l’attore:  fare è copulativo, vale ‘essere’
fare una passeggiata: fare è un supporto, ‘mettere in atto’
Esiste quindi una scala di verbalità (o di predicatività): si va dai verbi con
significato stabile ai verbi ‘leggeri’, che hanno diverse accezioni a seconda dei nomi
con cui sono adoperati
Verbi modali (servili): esprimono informazione sulla modalità di un’espressione:
epistemico, deontico, dinamico, anankastico.
Verbi fraseologici: stare per, continuare a, finire di… : definiscono l’aspetto del
processo (sono perifrasi verbali: costruzioni formate da un verbo di modo finito
seguito da un verbo principale coniugato al participio, al gerundio o all’infinito).
Nella perifrasi il verbo fraseologico ha un significato diverso da quello che ha di
solito e dà al processo una particolare sfumatura temporale-aspettuale indicando
- imminenza
- progressione
- continuità
- conclusione
I verbi solitamente vengono divisi in due classi
I verbi transitivi ammettono un oggetto diretto e la forma passiva:
• Ho spedito una lettera
• La lettera è arrivata (*il postino arriva la lettera)
Alcuni verbi transitivi possono essere usati senza oggetto: ho già mangiato
(qualcosa); qui il complemento oggetto, quale che sia, non è espresso ma si può
inferire

I verbi intransitivi non hanno un oggetto diretto, né una forma passiva:


Sono di due tipi
• inergativi: quelli che nei tempi composti hanno avere ed esprimono attività
intenzionali o funzioni e reazioni corporee: ha camminato, ha sorriso, ha
pianto
• inaccusativi: quelli che nei tempi composti hanno essere ed esprimono un
cambiamento di stato o di posizione, o uno stato oppure un avvenimento:
è caduto, è arrivato, è successo, è rimasto
inaccusativi sono anche i verbi intransitivi pronominali: Marco si è arrabbiato
Verbi pronominali (i verbi in -si):
Nella loro forma è compreso un pronome clitico come nei:
• verbi riflessivi: descrivono un’azione intenzionale fatta da un soggetto su sé
stesso: lavarsi, vestirsi ecc.
• verbi con uso riflessivo indiretto: hanno come oggetto non la persona in
generale ma «alcune sue pertinenze tipiche»: tagliarsi i capelli
• verbi con uso intensivo (o di affetto): il -si indica una più intensa
partecipazione del soggetto al processo: per es., leggersi un fumetto, bersi una
birra… 
• verbi reciproci : «descrivono eventi in cui partecipano due soggetti, ognuno
dei quali promuove e riceve gli effetti dell’evento stesso»: salutarsi, sposarsi
ecc.
• verbi con uso reciproco indiretto: «il cui oggetto non è la persona in generale
ma sue pertinenze»: stringersi la mano…
• verbi intransitivi pronominali: hanno il si nella coniugazione anche se non
esprimono un evento riflessivo: arrabbiarsi.
Verbi procomplementari:
• verbi con
-ci: andarci, entrarci/centrare (es.: questo non c’entra con la questione);
-la: finirla, piantarla;
-le: buscarle; prenderle;
- ne: volerne (non volermene).
I clitici si combinano tra loro dando luogo a verbi con pronome multiplo:
avercela (con), cavarsela… In forme lessicalizzate con pronome semplice o multiplo:
mettercela tutta  
La suffissazione è caratterizza dalla transcategorizzazione (passaggio da una
categoria morfologica a un’altra): rumore (nome) > rumoreggiare (verbo) e dalla
ricorsività
dolce > dolcificare (verbi denominali)
smarrire > smarrimento (nome deverbale)
I verbi parasintetici (parasìnteto): si ottengono tramite l’aggiunta simultanea di un
prefisso e un suffisso (fenomeno della circonfissazione):
ad-dolc-ire
im-barc- a-re/si
Dante: «s'io m'intuassi, come tu t'inmii», (Par. IX, 81)
«La particolarità di questa costruzione sta nel fatto che nella lingua non appaiono
come parole né la forma solo prefissata (*abbottone, *addolce) né quella solo
suffissata (*bottonare, *dolcire)» (Iacobini, 2011). 
Si fonda sulla distinzione (Frege) tra:
Gli argomenti del verbo: elementi necessari (obbligatori) e rappresentano le
informazioni aggiuntive che vanno a completare il significato dalla forma verbale.
circostanziali: elementi non necessari (facoltativi)
es. Ieri Andrea ha regalato un libro a Marco
soggetto, oggetto e «complemento di termine» qui sono argomenti.
In base alla valenze il verbo ha da zero a quattro posti per collegarsi e costruire una
frase -> La grammatica valenziale individua gli argomenti dei verbi:
verbi con un solo argomento (verbo con soggetto-> a un posto), monovalenti:
camminare
verbi con due argomenti (verbo con soggetto e complemento diretto -> a due posti),
bivalenti: incontrare
verbi con tre argomenti (verbo con soggetto complemento diretto e indiretto -> a tre
posti), trivalenti: dare, dire, regalare
verbi con quattro argomenti, tetravalenti: tradurre (?)
verbi che non hanno argomenti (non ha né soggetto né il complemento), zerovalenti:
piovere, nevicare (?)

La prospettiva valenziale (L. Tesnière)


Verbi a un posto (monovalenti): intransitivi
Verbi a due posti (bivalenti):
- transitivi con oggetto diretto (OD) (> soggetto di una frase passiva);
- intransitivi che reggono un nome preceduto da preposizione (oggetti
preposizionali): ha rinunciato alla proposta, la decisione dipende da lui, contare su
qco
Da notare la reggenza preposizionale (accusativo preposizionale) nell’italiano
regionale meridionale dei verbi normalmente transitivi che hanno una persona come
oggetto diretto: senti a me, chiama a tuo cugino…
Verbi a tre posti:
aggiungono un oggetto indiretto (OI): offrire, togliere, paragonare (diverso da un
oggetto preposizionale che completa un verbo intransitivo)
l’ OI
- si aggiunge a un OD;
- è sempre introdotto da a (ha forma propria);
- indica il destinatario (nei verbi di dire o dare è il tradizionale compl. di
termine):
spedire qca a Carla, spedire qca a Roma, togliere qca a Carla (fonte).
a quindi è «una codifica grammaticale vuota pronta ad accogliere il ruolo di volta in
volta coerente con il verbo che la occupa»
Gli argomenti sono costituenti del predicato, controparte di un verbo, che li richiede
e ne controlla numero e forma.
- Non è sempre necessario che tutte le valenze siano espresse (uso assoluto dei
verbi):
Es.:
- Che mestiere fa?
- Traduce
Sono anche indicati con il termine attanti
Non sempre alla funzione sintattica corrisponde lo stesso ruolo semantico
Il soggetto fa l’azione, è il punto di partenza
L’oggetto subisce l’azione
L’oggetto indiretto: indica a beneficio o a danno del quale si fa l’azione
Sono individuati da segni distintivi, sintattici (l’ordine della parole) e morfologici (i
casi).
I ruoli tematici
tagliare: ha un soggetto agente
soffrire: ha un soggetto paziente
capire: ha un soggetto esperiente
guardare: ha un soggetto esperiente (?)
Antonio capisce il cinese: il soggetto degli intransitivi che non indicano
un’azione (nascere, crescere) è un tema.

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